00 12/01/2019 18:19

3. LA VISIONE DELLA DONNA DI SAN PAOLO


A volte la percezione del ruolo delle donne nella Chiesa delle origini è stata a lungo distorta da un’affermazione attribuita a Paolo: “Le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare” (1Cor 14,34). Secondo Bart D. Ehrman, noto studioso statunitense del Nuovo Testamento e del cristianesimo delle origini (agnostico), «ci sono solide ragioni, comprese alcune prove nei manoscritti, per credere che l’ingiunzione di tacere rivolta alle donne non facesse originariamente parte della lettera ai Corinzi, ma sia stata aggiunta in seguito dai copisti» (B.D. Ehrman, “Gesù è davvero esistito?”, Mondadori 2013, p. 352). Robin Scroggs, biblista e docente di New Testament all’Union Theological Seminary di New York ha argomentato efficacemente che tale frase fu inserita da coloro che composero le lettere deutero-paoline e pastorali, attribuendole a Paolo, nel suo libro “Paul and the Eschatological Woman” (Journal of the American Academy of Religion 1972), come confermato anche da tanti altri studiosi. Anche Rodney Stark ha spiegato che «ci sono oggi valide ragioni per rifiutare queste parole in quanto risultano incoerenti con tutto ciò che Paolo ha da dire sulle donne» (R. Stark, “Il trionfo del cristianesimo”, Lindau 2012, p. 166).


Infatti tale affermazione stona vistosamente con la visione della donna di San Paolo espressa in molti altri passaggi. In Rm 16,1-2, ad esempio, egli raccomanda di accogliere come una santa la diaconessa Febe. Paolo, evidentemente, non vedeva niente di male nella responsabilità di guida della donna, anche perché la presenza di una diaconessa non era certo raro, come abbiamo già fatto notare. Lo stesso Paolo le aveva come collaboratrici, come osservato da Wayne Meeks, professore Emerito di Studi Religiosi alla Yale University: «Le donne […] sono le compagne di lavoro di Paolo in quanto evangeliste e maestre» (W. Meeks, “The First Urban Christians: The Social World of the Apostle Paul”, Yale University Press 1983, p.71). San Paolo invitò all’equiparazione tra uomo e donna anche nell’esercizio della sessualità, ad esempio quando scrisse: «Il marito dia alla moglie ciò che le è dovuto; ugualmente anche la moglie al marito. La moglie non è padrona del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è il padrone del proprio corpo, ma lo è la moglie. Non rifiutatevi l’un l’altro, se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera. Poi tornate insieme, perché Satana non vi tenti mediante la vostra continenza» (1Cor 7,3-5).


Il giurista italiano Stefano Rodotà, notoriamente laico, ha criticato nel 2013 lo «schema patrimoniale che vede il coniuge proprietario del corpo dell’altro coniuge o creditore di prestazioni sessuali». In questo modo, ha continuato, «si perdeva così il senso delle parole di Paolo nella prima Lettera ai Corinzi: “la moglie non ha potere sul suo corpo, ma il marito. Allo stesso modo non è il marito ad avere potere sul proprio corpo, ma la moglie”. In questo reciproco possesso era fondata l’eguaglianza tra i coniugi»



 
 

————- ————–

4. LA DONNA NEL PRIMO CRISTIANESIMO E NEL MEDIOEVO

Anche nella Chiesa delle origini, oltre che nei Vangeli, le donne ebbero un ruolo importante. Ad esempio nel 112 d.C., Plinio il Giovane fa notare in una lettera inviata all’imperatore Traiano di aver torturato due giovani donne cristiane «che venivano definite diaconesse» (citato in The Letters of Pliny the Younger” Penguin Classic 1969, 10.96). Le diaconesseerano capi importanti nella prima Chiesa, dotate di speciale responsabilità, citate da Clemente Allessandrino e lo stesso San Paolo ne parla in Rm 16,1-2. Origene (185-216 d.C.), commentando questo brano di Paolo, ha spiegato: «Questo testo insegna con l’autorità di un apostolo che […] nella Chiesa ci sono, come detto, diaconi donna, e che le donne […] devono essere ammesse al diaconato» (citato in R. Gryson, “The Ministry of Woman in the Early Church”, The Liturgical Press 1976, p. 134). Nel Concilio di Calcedonia del 451, si stabilì ad esempio che in futuro la diaconessa dovrà avere almeno 40 anni e non essere sposata.

Peter Brown, professore Emerito di Storia alla Princeton University, ha fatto osservare che «i membri del clero cristiano […] hanno compiuto un passo che li ha separati dai rabbini di Palestina […]. Accoglievano le donne come protettrici e giungevano fino a dare loro dei ruoli in cui potevano agire come collaboratori» (P. Brown, “The Body and Society”, Columbia University Press 1988 p. 144,145). Wayne Meeks, professore Emerito di Studi Religiosi alla Yale University ha a sua volta commentato che «sia in termini di posto che occupano all’interno della società più vasta che in termini di partecipazione alle comunità cristiane, un gran numero di donne disattese le normali aspettative legati ai ruoli femminili»(W. Meeks, “The First Urban Christians: The Social World of the Apostle Paul”, Yale University Press 1983, p.71)

Nella Chiesa antica la differenza maschile e femminile non è mai stata in opposizione, bensì in armonia con il fatto che entrambi sono parte dell’unità dell’essere umano: l’uomo, così come la donna, non esistono “da soli” ma acquisiscono un senso e una pienezza solo se si pongono “in relazione”. «Le donne cristiane», ha spiegato Rodney Stark, «godevano davvero di maggior uguaglianza con gli uomini di quanta ne avessero le controparti pagane o ebree» (R. Stark, “Il trionfo del cristianesimo”, Lindau 2012, p. 166). Teodoreto di Cirro (393 circa – 457 circa), vescovo di Cirro, in Siria, scriveva: «Al pari dell’uomo la donna è dotata di ragione, capace di comprendere e conscia del proprio dovere; come lui essa sa ciò che deve evitare e ciò che deve ricercare; può darsi talvolta che esse giudichi meglio dell’uomo ciò che può riuscire utile e che essa sia una buona consigliera» (citato in F. Agnoli, “Inchiesta sul cristianesimo”, Piemme 2010, p. 60). Lo conferma anche l’archeologia: uno studio sulle sepolture in catacombe sotto Roma, basato su 3733 casi, ha rivelato che le donne cristiane avevano quasi le stesse probabilità degli uomini di essere commemorate con lunghe iscrizioni. Questa «quasi uguaglianza nella commemorazione di maschi e femmine è qualcosa di peculiarmente cristiano, e differenzia i cristiani dalle popolazioni non cristiane della città», ha spiegato Brent D. Shaw, storico canadese dell’Università di Princeton (B.D. Shaw, “Season of Death: Aspects of Mortality in Imperial Roman, Journal of Roman Studies 1996, p. 107)

Questi elementi insieme al culto di Maria, fecero sì che nelle comunità cristiane, fin dall’inizio, ci fu una prevalenza numerica delle donne. La crescita di comunità sane con la presenza di molte donne virtuose fu decisiva per la crescita demografica dei cristiani: accadde infatti che i pagani trovavano donne virtuose per contrarre matrimoni nelle comunità cristiane. La percentuale di unioni tra donne cristiane e uomini pagani fu relativamente alta, e generò molte conversioni dei coniugi maschi al cristianesimo. La conseguenza ultima di questi fenomeni fu ovviamente un aumento del tasso di natalità all’interno dei circoli cristiani. Come ha osservato lo storico della Chiesa dell’Università di Cambridge, Henry Chadwick, «il cristianesimo sembra aver riscosso un successo speciale fra le donne. E’ stato spesso attraverso le mogli che esso ha raggiunto le classi elevate nei primi tempi» (H. Chadwkic, “The Early Church”, Penguin Books 1967, p. 56).

Ma perché questa sproporzione numerica di donne rispetto agli uomini? Rodney Stark lo ha spiegato così: «Perché il cristianesimo offriva loro una vita enormemente superiore a quella che avrebbero altrimenti condotto» (R. Stark, “Il trionfo del cristianesimo”, Lindau 2012, p. 162). La differenza con altre culture è stata spiegata più sopra. Per questo Rodney Stark, a conclusione del suo lavoro sull’incredibile diffusione del cristianesimo nei primi secoli, ha spiegato: «L’ascesa del cristianesimo fu opera delle donne. In risposta alle speciali attrattive che questa religione presentava ai loro occhi, la Chiesa delle origini riuscì a convertire molte più donne che uomini, e questo in un mondo dove le donne scarseggiavano. Tale eccesso di donne diede alla Chiesa un noto vantaggio perché portò a una fertilità cristiana sproporzionalmente elevata e a un crescente numero di conversioni secondarie (dei loro mariti)» (R. Stark, “Il trionfo del cristianesimo”, Lindau 2012, p. 180,181)

Eppure, ha sottolineato nel 2009 lo scrittore Francesco Agnoli, esiste un’idea abbastanza diffusa che vede la Chiesa cattolica come l’artefice della discriminazione della donna come essere inferiore. Per smentire questa calunnia basterebbe citare le innumerevoli grandi donne del cristianesimo, partendo dalle diverse martiri dei primi secoli (Agnese, Tecla, Cecilia, Margherita, Blandina…), venerate da tutto il popolo cristiano con immensa devozione e derise dai polemisti anticristiani, come Celso a Porfirio, che nei loro libelli sottolineano che alla “nuova religione” aderiscono non tanto uomini colti e filosofi, quanto “donnette”, “donne sciocche”, “schiavi” e “ragazzini”. Mentre le donne più importanti dell’antichità di cui si conserva il nome sono pochissime, sovente ricordate più per la loro condizione di etere e prostitute d’alto bordo che per altri motivi, innumerevoli sono le donne colte dei monasteri, le donne nobili o menodedite alle opere di carità (Pulcheria, Eudoxia, Galla Placidia, Olimpia, Melania…), così pure come con le donne che hanno cambiato la storia dei loro regni come le principesse Clotilde, Teodolinda, Berta Di Kent, Olga di Kiev. «Dappertutto», ha scritto la storica Régine Pernoud, «si constata il legame tra la donna e il Vangelo se si seguono, tappa dopo tappa, gli avvenimenti e i popoli nella loro vita concreta» (R. Pernoud, “La donna al tempo delle cattedrali”, Rizzoli 1986, p. 18). Dopo che san Paolo ha sconvolto tutto il pensiero antico, proclamando che “in Cristo non c’è più né giudeo né greco, né maschio né femmina, né schiavo né libero” (Gal 3, 28) è utile far presente che il cristianesimo è l’unica religione in cui il rito di iniziazione e quindi di ammissione alla comunità, cioè il battesimo, è uguale per uomini e donne.

Lo storico francese Jacques Le Goff ha scritto: «Io ritengo che l’idea che la donna sia uguale all’uomo abbia determinato la concezione cristiana della donna e abbia influenzato la visione e l’atteggiamento della Chiesa medievale nei suoi confronti» (J. Le Goffe, “Un lungo Medioevo”, Dedalo 2006, p. 92). Infatti, ha spiegato ancora il celebre accademico, Tommaso d’Aquino «afferma a grandi linee, che Dio ha creato Eva da una costola di Adamo e non l’ha creata dalla testa o dai piedi; se l’avesse creata dalla testa, ciò avrebbe voluto dire che Egli vedeva in lei una creatura superiore ad Adamo, al contrario, se l’avesse creata dai piedi l’avrebbe considerata inferiore: la costola si trova a metà del corpo, e la scelta quindi stabilisce l’uguaglianza, nella volontà di Dio, di Adamo e di Eva» (J. Le Goff, “Un lungo medioevo”, Dedalo 2006, p. 91,92).

Nel saggio “Donna Domina. Potere al femminile da Cleopatra a Margaret Thatcher” (Bononia University Press 214), la storica Francesca Roversi Monaco, docente di Storia medioevale all’Università di Bologna, ha riflettuto sul ruolo della donna nel Medioevo cristiano. Il saggio è stato recensito con queste parole da Angelo Varni, ordinario di Storia contemporanea presso l’Università di Bologna e Direttore della Scuola Superiore di Giornalismo: «Ancora sovrane, principesse e nobildonne a dar sostanza ad un ruolo di potere politico ricoperto da donne nel Medioevo. Ce lo dimostrano i due persuasivi ritratti di Matilde di Canossa e di Ildegarda di Bingen». Nel libro «si descrive un’epoca che, ad onta dei luoghi comuni sulle sue chiusure, apriva spazi di presenza femminile ai vertici più alti della gestione della cosa pubblica finanche internazionale, irradiantesi dalle corti e dai monasteri affidati per vicende ereditarie e nobiltà di lignaggio alle loro cure». Al contrario, «fu la Rivoluzione francese rimettere in discussione simili opportunità tutte derivate dall’appartenenza di casta: nella società borghese dell’uguaglianza dei diritti e dei doveri non parve affatto naturale riconoscere alle donne una loro paritaria presenza nella dimensione pubblica, mentre il positivismo ottocentesco si sforzava di trovare ragioni oggettive per relegarle nei limiti del privato».