00 12/01/2019 18:17

1. CONDIZIONE DELLA DONNA PRIMA DEL CRISTIANESIMO


Papa Francesco ha fatto un’affermazione molto chiara: «Gesù ha rotto gli schemi contro le donne:la misericordia di Dio è più grande dei pregiudizi». E’ così, se andiamo ad osservare le culture germaniche, al tempo delle invasioni barbariche, alla donna «viene riconosciuta una inferiorità cronica nei confronti dell’uomo. Nessuna donna può vivere nel regno longobardo da libera, senza essere cioè soggetta al mundio, che sia del marito o del padre o dei fratelli, o in caso estremo del re, né può vendere o donare beni senza il consenso del mundualdo». Nelle leggi longobarde, «la donna è considerata più come oggetto di diritto che non come soggetto dello stesso: l’offesa recata a una donna viene riparata in quanto recata a un possesso dell’uomo» (M. Guidetti, “Storia d’Italia e d’Europa”, Jaca Book 1978, p. 161). Come spiegato da Samir Khalil Samir, teologo, islamista e studioso di lingue semitiche, nel mondo islamico la donna invece soggiace alla poligamia, alla possibilità del marito di ripudiarla ripetendo tre volte la frase “sei ripudiata” dinnanzi a due testimoni maschi. Essa può essere comperata, tanto che la dote può essere essenziale per la validità del matrimonio; non ha potestà genitoriale; la sua testimonianza in tribunale vale la metà di quella di un uomo e può essere picchiata dal marito secondo la sura delle donne IV, 34 (G. Paolucci e C. Eid, “Cento domande sull’Islam”, Marietti 2002, p. 80-87).


Le donne elleniche, ha spiegato Rodney Stark, «vivevano quasi recluse, nelle classi elevate ancor più che nelle altre; e tutte conducevano una vita molto appartata; nelle famiglie privilegiate, alle donne veniva negato l’accesso alle stanze anteriori della casa» (R. Stark, “Il trionfo del cristianesimo”, Lindau 2012, p. 163). Per quanto riguarda le donne romane, invece, «non erano recluse, ma ugualmente subordinate al controllo maschile in molti altri modi. Né le donne elleniche né quelle romane avevano voce in capitolo nella scelta dell’uomo da sposare, né su quando sposarsi» (R. Stark, “Il trionfo del cristianesimo”, Lindau 2012, p. 163). La situazione delle donne ebree era ancora diversa, secondo Filone di Alessandria, la più autorevole voce ebraica della diaspora, «le donne sono sopratutto adatte a una vita domestica che mai si allontana da casa […].Una donna non deve mai essere una ficcanaso che si intromette in faccende che vanno al di là dei suoi interessi domestici, ma deve scegliere una vita di solitudine» (citato in R. Scroggs, “Paul and the Eschatological Woman”, Journal of the American Academy of Religion 1972, 290). In particolare, ha spiegato Stark, «le moglie ebree venivano ripudiate dai loro mariti abbastanza spesso e facilmente, mentre loro non potevano chiedere il divorzio».


Inoltre, ha continuato lo storico inglese W.H. Clifford Frend, «le donne ebree non avevano il diritto di prestare testimonianza e non potevano aspettarsi che fosse data credibilità a ciò che riferivano» (W.H. Clifford Frend, “The rise of Christianity”, Fortress 1984, p.67). Nel Talmud babilonese, ad esempio, si trova scritto: «Meglio bruciare la Torah che insegnarla a una donna […]. Chiunque parla troppo con una donna fa del male a se stesso» (citato in S.G Bell, “Women: From the Greeks to the French Revolution”, Stanford University Press 1971, p.72). Tuttavia alcune donne ebree ricevevano una buona istruzione e avevano ruoli di leadership in certe sinagoghe, come confermano le iscrizioni di Smirne. In generale, le donne ebree stavano meglio di quelle pagane.