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Lettera agli Efesini

 

Lettura degli Atti degli Apostoli 19,1-10 e 21-27

 

Qualche storico sostiene che il vero motivo dell'uccisione di Gesù non sia stato religioso e politico ma semplicemente economico. Infatti la decisione della condanna a morte di Cristo sarebbe stata presa dopo il suo gesto profetico di rovesciare i banchi dei cambiavalute e di cacciare i mercanti dal Tempio. Con tale atto Gesù aveva toccato gli interessi economici del gruppo sacerdotale appartenente alla setta dei Sadducei. Questi ultimi, infatti, non avevano alcun interesse particolare per le dispute teologiche, ma si preoccupavano principalmente del loro grande giro d'affari che aveva come centro il Tempio. A questo proposito ricordiamo il brano sulla purificazione del Tempio in Gv 2,13-22.

 

Lettura Atti 19,28-31

Scopriamo che non risponde a verità che il cristianesimo fosse la religione degli schiavi e dei derelitti. Certamente molti discepoli appartenevano a queste due classi sociali, ma è anche vero che fino dall'inizio aderivano al cristianesimo anche persone dei ceti sociali più elevati. Negli anni 90, durante la persecuzione di Domiziano, una delle prime vittime fu addirittura un console, cugino dell'imperatore. Ciò significa che il cristianesimo si era ormai diffuso fra gli appartenenti a tutte le condizioni sociali fino a raggiungere i vertici dello Stato.

E questi maggiorenti della provincia erano amici di Paolo. Tutti i capi romani, comunque, consideravano il cristianesimo senza particolare avversione ma come una delle tante religioni esistenti nell'impero.

Nei vangeli apocrifi si puo' leggere una falsa lettera dell'imperatore Tiberio con la quale venivano richieste al procuratore della Giudea notizie sui motivi della condanna a morte di Gesù. In essa si diceva che i cristiani erano considerati brava gente.

Qualche studioso ha addirittura ritenuto autentica questa pseudo-lettera di Tiberio sostenendo che l'imperatore aveva sempre cercato, come stile di governo, di dividere gli avversari. Ricordiamo tutti il motto "divide ed impera" (dividi e comanda). Proprio in questa prospettiva, secondo costoro, sarebbe da ritenere plausibile la lettera attribuita a Tiberio.

 

Lettura degli Atti 20,1 e 20,17-38

Paolo a Efeso ha lasciato il cuore. Certamente ha molto lavorato per la comunità efesina.

 

Efeso era la capitale della provincia dell'Asia e si trovava nel territorio dell'attuale Turchia. Definita da Plinio il Vecchio "lo splendore dell'Asia", vantava il tempio di Artemide, ritenuto una delle sette meraviglie del mondo.

La lunga presenza di Paolo in questa città porta, però, a dei problemi riguardo alla Lettera.

I - Innanzi tutto, a chi è indirizzata questa lettera? "....ai santi che sono in Efeso...."(1,1). Nel manoscritto più antico non compare "in Efeso" ma solamente "ai santi".. In tutti gli altri codici nell'indirizzo è presente "in Efeso". In realtà l'antichità di un codice non costituisce un valido criterio di giudizio, perché il codice meno antico potrebbe essere in realtà la copia di uno più antico non in nostro possesso.

Sulle parole dell'indirizzo sono state formulate diverse ipotesi nel corso dei secoli.

 

L'eretico Marcione sostiene che la lettera sarebbe stata indirizzata agli abitanti di Laodicea, città resa famosa dalla maledizione, contenuta dell'Apocalisse, alla sua chiesa ("Io sto per vomitarti dalla mia bocca....").

A causa di un certo ostracismo presente in alcune chiese verso quella di Laodicea, San Paolo avrebbe sostituito l'indirizzo vero (alla Chiesa di Laodicea) con quello a noi noto "ai santi che sono in Efeso". Il fatto che già nei primi secoli fossero state formulate questi ipotesi testimonia le difficoltà presente nelle varie Chiese.

 Alcuni studiosi sostengono che la nostra lettera potrebbe essere una specie di "enciclica", una circolare inviata a diverse comunità singolarmente e dai contenuti teologici e morali generali. Sarebbe rimasta traccia solo di quella mandata agli Efesini in quanto costoro avrebbero avuto probabilmente il gusto di copiarla e di tramandarla. Si tratterebbe di una spiegazione abbastanza plausibile.

 

Altri ritengono che, essendo Efeso la capitale di tutta l'Asia, fosse abbastanza ovvio l'indirizzo a quella Chiesa anche se in realtà, sotto forma di "circolare", venne poi mandata alle altre comunità cristiane.

 

II - La Lettera è stata scritta veramente da Paolo?

Alcuni interpreti pensano che vi siano troppi "Apax". Si tratta di una parola che si trova una sola volta in un testo e non è stata più ripetuta. Ci sono, infatti, 39 parole mai più riprese in tutto il Nuovo Testamento e ben 83 mai più ripetute nelle altre lettere paoline, per cui secondo tali interpreti questo testo si allontanerebbe tantissimo dal vocabolario di Paolo e dal suo stile.

Si tratta di un problema relativo in quanto la lettera ai Galati, di cui nessuno mette in dubbio l'attribuzione, contiene anch'essa 36 parole mai ripetute nel Nuovo Testamento. Tutto ciò è dovuto al fatto che Paolo, trovandosi di fronte a problemi diversi da quelli affrontati, ad esempio, nella Lettera ai Galati, cerca di adeguare il suo linguaggio alle soluzioni che propone.

 

Per altri interpreti nella Lettera agli Efesini sarebbe presente una concezione della Chiesa troppo evoluta rispetto al pensiero di Paolo.

 

Se è vero, come è vero, che quelle che sono definite "Lettere minori" sono state scritte nella prigionia, vuol dire che esse riassumono l'esperienza teologica, spirituale e mistica di Paolo e che il suo pensiero si era evoluto rispetto al 1a Corinzi e alla 1aTessalonicesi, scritte anni prima.

 

In questa lettera l'Apostolo insiste tantissimo sulla conoscenza del mistero di Gesù e si presenta a noi come un grande teologo e come uomo di preghiera.

 

 

 

 

XXIV lezione

Lettera agli Efesini - continuazione

 

Riprendiamo l'esame della Lettera agli Efesini iniziando, però, con il verificare quanto scrive S. Paolo sullo stesso argomento nella Lettera ai Colossesi.

 

Lettura ai Col 3,18-24

Troviamo diversi brani di questo tipo nelle "lettere minori", perché l'Apostolo sta cercando di fondare una morale cristiana che abbia come centro il Signore Gesù e si estenda a tutti gli aspetti della vita.

Se esaminiamo bene le lettere paoline scopriamo che nessun aspetto della vita dell'uomo è esente dalla presenza di Cristo (vita sociale, vita politica, ecc.), il quale, pertanto, non può non essere presente nella vita familiare. Anzi, se è vero che la prima chiesa è basata sulle famiglie (è una chiesa domestica) che si riunisce nelle case, che è formata da un piccolo gruppo di persone, è altrettanto vero - e a maggior ragione - che Cristo deve portare la sua novità a questo primo, essenziale ambito di vita.

 

Lettura di Efesini 5,21-33 e 6,1-9

Non sono versetti facili ma servono per spiegare brani simili presenti nelle lettere paoline. Questo brano venne scritto in un'epoca in cui vigeva il diritto romano, il pater familias era colui che aveva autorità su tutta la famiglia, tanto che ad un figlio maschio, per sottrarsi al potere di vita e di morte attribuito al padre, era necessaria una cerimonia pubblica detta emancipatio.

 

Per quanto riguarda, invece, la prassi, specie in Grecia e nell'ambito ellenistico orientale, i rapporti familiari erano molto sfilacciati. Infatti la famiglia non rientrava tra gli interessi principali delle persone, tanto che, ad esempio, non rappresentava un problema avere relazioni extra-coniugali.

Era questa una situazione che metteva, di diritto, l'uomo come padrone assoluto di tutta la famiglia mentre, di fatto, uomini e donne erano liberi di agire come volevano.

 

In tale contesto il problema di S. Paolo era: Cristo ha qualcosa di nuovo da comunicare?

Per l'Apostolo, per capire fino in fondo il rapporto tra un uomo e una donna, cioè il vincolo matrimoniale, è necessario pensare addirittura al rapporto di Cristo con la sua Chiesa. Questo riferimento non è presente nel brano ai Colossesi, dove c'è solo un accenno a Cristo "Servite a Cristo Signore" (Col 3,24b) e, quindi, non un approfondimento così notevole.

Allora, per comprendere questa unione tra un uomo e una donna bisogna guardare non solo a Gesù Cristo in generale, ma a Gesù Cristo nel suo rapporto con la Chiesa.

Questo è l'orizzonte di altissimo livello nel quale Paolo si muove e in tale ambito la parola tradotta con "sottomesse" (Ef 5,22) comincia a stonare se la recepiamo come siamo abituati ad intendere noi la sottomissione.

 

Per capire questa espressione dobbiamo sapere che l'Apostolo parte da una considerazione generale e cioè: "Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo." (Ef 5,21). Ciò significa che i cristiani tra di loro debbono essere tutti - come regola normalissima di rapporti e, quindi, andiamo già al di là del marito e della moglie - sottomessi gli uni agli altri..

Il verbo "siate sottomessi" (upotassesthai) è composto al medio-passivo. E' importante saperlo perché altre volte il verbo viene usato con questa accezione medio-passiva, come per es. in Luca 2,51 (siamo alla fine dell'episodio di Gesù fra i dottori nel Tempio e del suo ritorno a Nazareth dove "...stava sottomesso" ai genitori terreni.).

 

Leggiamo in proposito anche un altro brano e cioè 1 Cor 15,26-28.

Il nostro verbo, quando è usato nella forma medio-passiva "upotassesthai", indica la sottomissione volontaria di Cristo a Dio, dei cristiani a Cristo e degli uni agli altri.

Questo verbo è quasi un termine tecnico che usa S. Paolo e (come avete notato) anche la tradizione lucana. Sappiamo che Luca è abbastanza debitore all'Apostolo essendo stato uno dei suoi discepoli. Infatti, tante tematiche sviluppate nelle lettere paoline e le ritroviamo nel Vangelo di Luca e negli Atti degli Apostoli.

 

Questo verbo indica proprio una sottomissione che non nasce da coercizione ma che trova la sua radice nell'amore e nella fede. Nell'amore che lega il Figlio (Cristo) con il Padre e nella fede che diventa amore e che lega i cristiani a Cristo. La fede ci lega a Cristo, l'amore li lega fra di loro.

Possiamo ora capire come cambi molto il significato così duro che sembra avere la voce verbale "sottomesso": siamo di fronte ad un atteggiamento, ad un sentimento che nasce dall'amore, dal dono reciproco tra Padre e Figlio, tra Dio-Figlio e i cristiani, e dei cristiani tra di loro.

In questa prospettiva diventa, allora, più comprensibile quanto è scritto dopo: "E voi, mariti, amate le vostre mogli..." (Ef 5,25).

 

Per definire "amare" San Paolo usa il verbo agapáo. Egli non si limita a dire che i mariti debbono voler bene alle mogli, ma parla di "agapáo", cioè dell'amore totalmente gratuito tipico di Dio. Tutto nasce dalla sottomissione degli uni agli altri, dall'accogliere da parte della Chiesa Cristo come "capo", come fonte della salvezza.

Il marito e la moglie devono avere lo stesso atteggiamento reciproco di "agápe" che ha avuto Cristo verso la Chiesa, cioè un amore totalmente gratuito.

Si capisce, così, la portata rivoluzionaria di questo brano. Infatti non si tratta di coercizione e neppure di un obbligo legato a un contratto, ma si tratta di "agápe", di amore che permette ai cristiani di esser sottomessi gli uni agli altri, cioè di accogliersi gli uni gli altri come il proprio "capo" (quando si parla di Cristo capo della Chiesa si intende sempre la fonte della salvezza).

 

In questo brano c'è tutta la teologia del matrimonio. Il marito e la moglie non sono più due persone ma una carne sola. Ecco, perché amarsi vuol dire realizzare se stesso: amare "lei" è come amare se stesso.

 

La famiglia, però, non si limita alla moglie e al marito, ma comprende anche altri membri. E Paolo, in questo, brano, considera la famiglia tradizionale composta dai coniugi e dai loro figli e da coloro che si chiameranno "famigli", cioè schiavi.

 

Lettura Ef 6,1: "Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto."

 

Per sapere quanto è detto nell'Antico Testamento riguardo all'educazione dei figli leggiamo

Siracide 30,1-13

Proverbi 19,18

 

Lettura di Ef 6,1-4

Siamo sempre in quel clima di "agápe" che deve regolare i rapporti di ogni cristiano nei confronti di un'altra persona.

 

Lettura di Ef 5,32

"Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!"

In questo versetto la parola "mistero" è usata come oggi, nel senso di una cosa pensata da Dio nel suo progetto di salvezza.

Quando, dopo l'elevazione del calice, diciamo: "Mistero della fede..." (l'anamnesi) questa espressione non ha tanto la valenza di un evento strano e misterioso, ma ha il significato attribuitole da Paolo, cioè di un evento salvifico per eccellenza, pensato da Dio fin dall'inizio per la salvezza dell'uomo.

 Il matrimonio è questo mistero. Nel matrimonio due persone non solo stipulano un contratto, non solo simboleggiano l'amore di Cristo e della Chiesa ma lo realizzano, così come l'Eucarestia realizza di nuovo il mistero pasquale: la passione, la morte e la risurrezione di Gesù.

Ecco, allora, che il matrimonio assume un significato ancora più alto, perché fa parte del progetto salvifico di Dio e ripresenta in modo efficace e autentico l'amore tra Cristo e la Chiesa.