00 19/11/2012 19:22

Lettere minori

 

Rivolgiamo ora la nostra attenzione alle Lettere minori iniziando a parlare delle lettere dalla prigionia indirizzate ai Colossesi, agli Efesini, a Filemone e ai Filippesi.

 

Dai riferimenti espliciti, contenuti in queste lettere sappiamo che furono scritte da Paolo mentre si trovava in prigionia.

Si pone una prima domanda: furono scritte da Paolo o da altri? Lo capiremo leggendo le singole lettere.

Altra domanda: dove sono state scritte? Sappiamo che l'Apostolo è stato prigioniero prima a Cesarea e poi a Roma. E vedremo che molto probabilmente sono state scritte proprio in quest'ultima città.

 

Lettura degli Atti degli Apostoli 21,27-40

Antefatto: Paolo è tornato a Gerusalemme. In quel periodo circolavano vari falsi messia fra cui l'Egiziano citato nel v. 28.

Proprio in quel tempo ebbe luogo la ribellione che anticipò di pochi anni la guerra giudaica (dal 66 al 70 d.C.) conclusasi con la distruzione di Gerusalemme.

L'Egiziano comandava quattromila ribelli che vennero sconfitti e massacrati dai romani. Paolo, a Gerusalemme, riconosciuto dai giudei della provincia d'Asia, viene arrestato con l'accusa di aver profanato il Tempio. L'intervento dei romani lo salva dal linciaggio e gli consente di arringare i giudei di Gerusalemme (Att 22).

 

Lettura di Atti 22,22-29 (Paolo cittadino romano).

 

 

XXII lezione

Lettere minori - continuazione

 

Nell'incontro precedente abbiamo letto un brano degli Atti degli Apostoli che narra l'imprigionamento di San Paolo (lascio a voi la lettura delle parti degli Atti riguardanti la prigionia dell'Apostolo a Cesarea e a Roma) che - in quanto cittadino romano - si era appellato all'imperatore per essere da lui giudicato ed era stato perciò trasferito via mare, sotto scorta, a Roma.

La prigionia dell'Apostolo nella capitale era simile agli attuali arresti domiciliari con la presenza costante di una guardia personale fino alla celebrazione del processo.

 

 

La lettera ai Colossesi

 

Lettura cap. 1, vv.1-8. Indirizzo e saluto.

Notiamo subito che Paolo è mai stato a Colossi, località situata vicino a Laodicea e fuori dai suoi itinerari.

La comunità colossese era stata evangelizzata da Epafra, nominato nelle Lettera. Si trattava probabilmente di un ricco mercante che aveva, perciò, la possibilità di spostarsi frequentemente nelle città del bacino del Mediterraneo. Infatti incontra Paolo molto probabilmente a Roma mentre era prigioniero. Epafra informa l'Apostolo delle vicissitudini della Chiesa di Colossi e si trattiene presso di lui per un certo periodo per assisterlo, tanto è vero che la lettera verrà recapitata ai Colossesi da un certo Tichico.

 

Colossi, collocata lungo la vallata del fiume Lico, era un florido centro di produzione e di lavorazione della lana e si trovava nelle vicinanze della città di Laodicea, che qualche decennio prima della lettera paolina aveva avuto un grande sviluppo, tanto da provocare una certa decadenza della città di Colossi.

 

 

Schema della lettera

- Esordio : 1,1-14

- I parte (dogmatica) 1,15 - 2,23

- II parte (parenetica): 3,1 - 4,6

- Epilogo : 4,7-18

 

Leggiamo la Lettera ai Colossesi 2,6-23 per conoscere i problemi di quella comunità che era costituita da ebrei convertiti e anche da pagani convertiti (coloro che erano morti per i loro peccati e per l'incirconcisione della carne).

In questa comunità composita, specie in presenza di cristiani giudeizzanti, compaiono - come sempre - il puro e l'impuro, perché gli ebrei convertiti erano ancora legati alle leggi di purità e di impurità tipiche della Torah.

Ma la nota più significativa è il riferimento di San Paolo agli angeli (Principato e Potestà) nel v. 10.

 

I Principati e le Potestà sono proprio da intendersi come categorie angeliche. Già allora il problema dell'esistenza e della natura degli angeli era di attualità. Qualcuno aveva impostato un sistema di pensiero, un dottrina, che S. Paolo chiama "filosofia". Ne è rivelatore il v. 8 del cap. 2 che rileggiamo. Dice il testo greco: tá stoicheia tu cosmu (gli elementi del mondo).

E "tá stoicheia" erano all'epoca, da un punto di vista ebraico, o meglio, delle credenze popolari ebraiche, le forze cosmiche oppure i singoli astri che venivano guidati nel loro movimento dalle Potenze Angeliche (specie di divinità che operavano su delega di Dio).

Ricordate il salmo 8 ?

Al v. 6^ riguardo all'uomo dice: "Eppure l'hai fatto poco meno di un angelo...".

Il vocabolo ebraico "eloim" che noi traduciamo con "angeli", in realtà significa "divinità", per cui per qualche studioso è da intendere come "poco meno di un Dio".

Queste divinità, queste Potenze sarebbero preposte a diversi settori dell'universo. Le Potenze angeliche erano presenti non come tali ma come spiriti nella cultura ellenistica del tempo e avevano quasi la funzione propria degli angeli nella tradizione ebraica, ossia - soprattutto - di guida del cammino degli astri.

Queste Potenze angeliche a Colossi stavano evidentemente prendendo il posto di Gesù Cristo.

 

Per alcuni interpreti nella Lettera ai Colossesi si puo' trovare la descrizione di una primissima eresia gnostica, cioè di una conoscenza basata tutti su spiriti, eoni, entità, ecc. Secondo questa teoria, se gli angeli regolano il flusso degli astri e se - come credevano tutte le tradizioni orientali - gli astri influiscono sulla vita dell'uomo, significa che sono le Potenze angeliche o spirituali a decidere della vita dell'uomo. Notiamo la pericolosità per il cristianesimo di tale sistema di pensiero per il quale non è più il Dio provvidente, non è più l'opera di Cristo, che morendo e risorgendo ci ha chiamati a sé nella vita eterna, a regolare la vita dell'uomo, ma sarebbero queste Potenze angeliche.

 

Paolo riafferma ai vv. 9-10 "E' in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi avete in lui parte alla sua pienezza...".

Notiamo che la Lettera ai Colossesi raggiunge livelli cristologici altissimi, ed è per questo motivo che alcuni studiosi ritengono che non sarebbe opera dell'Apostolo.

 

La pienezza della divinità abita in Cristo corporalmente; secondo alcuni interpreti proprio nel suo corpo. E' questa una definizione stupenda del mistero dell'incarnazione, della presenza in Cristo delle due nature, la divina e l'umana.

Per altri interpreti, invece, "corporalmente" è da intendere come "realmente". Avremmo in questo secondo caso una definizione più sfumata, ma ugualmente molto bella, dell'incarnazione. Non nel Verbo eterno ma in Gesù Cristo, nell'uomo-Cristo è presente la pienezza della divinità.

E subito ci viene in mente il v. 14 del Prologo di Giovanni, un versetto davanti al quale dovremmo rabbrividire: "cai o Logos sarx egheneto" ("il Verbo si fece carne").

L'evangelista in un altro modo esprime lo stesso mistero: il Verbo eterno diventa Gesù. E San Paolo aggiunge che proprio in Gesù Cristo abita la pienezza della divinità.

Quindi Gesù e il vertice di ogni realtà, perché in Lui avviene l'incontro perfetto tra la divinità e l'uomo. Il vertice di Dio incontra, abbassandosi, il vertice dell'uomo e crea una realtà totalmente nuova, ossia questo uomo-Dio che racchiude in sé le perfezioni dell'uomo e dell'altro.

Ricordiamoci sempre che il nostro è il Dio della Bibbia e non il Dio dei filosofi.

 

A Colossi molto probabilmente si era sviluppata una dottrina diffusa già nell'ebraismo, secondo la quale il mondo materiale sarebbe governato da "eoni" che fungono da intermediari tra l'eone perfetto (Dio) e il mondo stesso. Si tratta di creature totalmente spirituali, create da Dio, perché svolgano le sue funzioni a contatto con il mondo materiale - che è l'imperfezione - con cui la perfezione non può avere rapporto alcuno. Il mondo esce dalla "sofia", ossia dalla sapienza divina (che la gnosi cristiana identificherà con lo Spirito Santo).

Questa "sofia", che è un eone, dà origine al "demiurgo", cioè ad una nuova creatura ancora spirituale ma gerarchicamente inferiore. Il demiurgo sfugge al contro della sofia che l'ha creato e in un momento di euforia crea il mondo materiale.

Quindi, secondo una tale visione, il mondo materiale, l'universo, sarebbe un errore di Dio, un insieme sfuggito al controllo divino.

La sofia (spirito) all'insaputa del demiurgo instilla nell'uomo (essere materiale ed imperfetto) una piccola parte di sé e lo rende capace di comunicare con gli eoni e anche con l'eone perfetto. L'uomo, allora, ha in sé quella piccola parte di "spirito" (che noi potremmo anche chiamare "anima") che permette il contatto con l'eone perfetto. E quando l'uomo così imperfetto riesce ad attivare questo contatto attraverso la sofia realizza la conoscenza di Dio.

Ecco, quindi, che la salvezza, secondo la gnosi cristiana, consiste nell'opera di Cristo ma nella conoscenza che per illuminazione si può avere da Dio.

 

Leggiamo Atti 8,9-13. "Simone, il mago",

colui che gli interpreti definiscono come il primo gnostico autentico di cui parla il Nuovo Testamento.

Costui diede inizio alla setta eretica del "magismo" che ebbe ampia diffusione nei primi decenni del cristianesimo..

 

v. 10 "Questi è la potenza di Dio, quella che è chiamata grande."

Ecco la gnostica secondo la quale Dio ha trovato un eone per manifestarsi: Simon mago. Ci domandiamo, allora: ma se l'eone è perfetto perché si manifesta in un corpo? Cadiamo così in un'altra eresia, il "docetismo", per cui il corpo non è reale ma apparente.

Di conseguenza Gesù non avrebbe assunto un corpo reale ma apparente, in quanto la natura divina non può mischiarsi con la natura umana.

 

Lettura Atti 8,14-20

Si manifesta la "simonia" che consiste nell'acquistare con denaro le cose sacre.

Nell'ambiente giudaico era presente la realtà della gnosi e Simone il mago ne è la testimonianza.

Appare facile comprendere, allora, come per effetto di questa dottrina Cristo risulti completamente svalutato: al massimo potrebbe essere il primo eone (e non quello perfetto) o addirittura il demiurgo. Perciò la lettera ai Colossesi comincia con uno stupendo inno cristologico.

 

Lettura della Lettera ai Colossesi 1,9-20

Leggiamo anche l'introduzione all'inno che in alcune parti potrebbe essere preesistente come inno liturgico battesimale.

Secondo alcuni studiosi l'inno inizia al v. 13, per altri al v. 15 e per altri ancora al v. 14. E' chiarissimo in questo brano l'intento di Paolo: tutto è sottomesso a Cristo.

 

v. 13 - rilettura. "...ci ha trasferiti nel regno del Suo Figlio diletto...".

"Del suo Figlio diletto" costituisce la traduzione errata di "tu uiú tes agápes autú" che invece significa "Figlio del suo amore": Cristo è il Figlio della pienezza dell'amore del Padre. Attraverso Cristo si manifesta agli uomini l'amore di Dio che salva e redime in modo del tutto gratuito. Cristo è il "prodotto" più eccelso e perfetto dell'amore del Padre ed è colui che porta quell'amore a tutti gli uomini di tutti i tempi.

La parola "diletto" ci potrebbe far pensare solo ad un padre che ama il figlio; sicuramente, quindi, non rende esattamente il significato del testo greco.

 

La concezione ebraica considera Dio invisibile, inconoscibile e totalmente lontano dall'uomo, mentre in questa lettera Paolo si avvicina alla concezione giovannea (lettura di Gv 1,18):

"Dio nessuno l'ha mai visto:

proprio il Figlio unigenito,

che è nel seno del Padre,

lui lo ha rivelato."

Questa frase è ripresa in Gv 14,5-12 (lettura). In Paolo e in Giovanni il Cristo storico, cioè il Verbo incarnato, è il perfetto rivelatore del Padre.

 

Sulla croce noi vediamo crocifisso l'amore del Padre. E noi comprendiamo la dimensione dell'amore del Padre solo se guardiamo la dimensione dell'amore di Cristo. Ecco perché è così difficile accogliere il nostro Dio che soffre e muore. Questo spiega tutti i tentativi effettuati in duemila anni di razionalizzare il mistero dell'amore divino, cioè di ridurre Dio e il suo amore ai nostri schemi mentali.

 

 

 

XXIII lezione

Lettera ai Colossesi - continuazione

 

Riprendiamo la lettera ai Colossesi esattamente dallo stupendo inno cristologico.

Cristo è il primogenito ma non in senso letterale. E' il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, colui che è generato prima di ogni creatura. Allora si intende che a Cristo, come primogenito, si vogliono attribuire le caratteristiche e i diritti propri del primogenito che nell'antichità godeva di diritti ben precisi. Infatti aveva la preminenza su tutti i fratelli e alla morte del padre ereditava il patrimonio e la terra.

Cristo ha il diritto di sovranità su tutte le cose create; ciò significa che la sua è una posizione privilegiata.

E "poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose" Egli è generato prima di ogni creatura ed è un intermediario della creazione. Teniamo, quindi, presente il Cristo storico, non tanto il Verbo eterno.

S. Paolo sostiene decisamente l'idea che l'incarnazione del Verbo è da sempre nella mente di Dio e che tutto è stato fatto in vista di quell'evento, di quel mistero. Il Verbo eterno diventa carne. Questo costituisce il centro, il culmine del pensiero divino.

E il Verbo incarnato è il principio di vita, perché Dio ha pensato tutta la creazione in funzione sua. Se Cristo "è" anche il resto puo' "essere"; se Cristo non "fosse" non "sarebbe" nemmeno il resto. Ciò significa che senza di Lui non possiamo operare nulla; senza di Lui non siamo nulla, non sussistiamo nell'essere. In pratica non vivremmo.

Dio ha pensato tutto in funzione di Cristo. Anche noi siamo stati pensati in funzione di Cristo come il nostro fratello, la nostra sorella, "l'altro".

 

Nella lettera ai Colossesi tornano i termini "Troni, Dominazioni, Principati e Potestà" (cap. 1,16). S. Paolo adotta il vocabolario della tradizione angelologica ebraica, cioè usa parole comuni al giudaismo per distinguere le varie categorie angeliche, per affermare che Cristo prevale su tutte le categorie angeliche. Tutto questo per confutare l'eresia - ben nota anche a Colossi - secondo la quale Cristo era uno dei tanti angeli; mentre, invece, è colui in funzione del quale sono stati creati anche gli angeli.

Quindi il Verbo è decisamente superiore agli angeli.

 

Più ancora che nella creazione, però, la divinità di Cristo si manifesta nella sua incarnazione, che ha come scopo finale la redenzione, nel mistero della morte in croce, nella risurrezione che apre le porte della vita eterna a una moltitudine di fratelli.

Se l'incarnazione ha per scopo la morte e la risurrezione di Cristo, ciò significa che nel progetto di Dio il culmine è costituito dalla redenzione di tutte le creature, dal "mistero pasquale".

Nel sangue di Gesù si realizza la riconciliazione tra il cielo e la terra, tra Dio e l'uomo.

La croce costituita da un'asse verticale e da una orizzontale rappresenta il simbolo della riconciliazione realizzata verticalmente (Dio-uomo) e orizzontalmente (tra gli uomini). In quell'uomo-Dio crocifisso si ristabilisce quell'armonia nell'universo che il peccato aveva spezzato (Vedere la IV preghiera eucaristica).

 

Lettura di Colossesi 3,1-4

San Paolo ci sta dicendo che non dobbiamo disincarnarci, ma occuparci delle cose della terra pensando al cielo. Potremmo pregare così: Signore, aiutaci a guardare e ad usare i beni della terra tenendo però ben presenti i beni del cielo; a guardare le cose di quaggiù sapendo che non sono tutto, anzi........

 

Lettura di Col 3,5-17

Una sottolineatura relativa al v. 12. La parola "sentimenti" andrebbe tradotta "visceri di compassione", espressione biblica che ci fa pensare alla maternità di Dio, all'umanità di Dio che va al di là di ogni nostra immaginazione.

 Nella versione italiana (dal greco) il termine "rivestitevi" significa più esattamente "mettete come abito". E quando parliamo di "abitudine" intendiamo il nostro "habitus", cioè quella cosa che ci qualifica, che fa parte di noi stessi. E la prima impressione che diamo è quasi mai sbagliata.