00 18/11/2012 21:12

Seconda lettera ai Tessalonicesi

 

Lettura del cap. 1 vv.1-2. Indirizzo.

Questa lettera è stata scritta pochissimo tempo dopo la prima (ca. 3-4 mesi) e non sembra proprio che sia stata redatta - come sostiene qualche studioso - dopo la morte di S. Paolo. Secondo costoro ci troveremmo di fronte a un classico caso di pseudo-epigrafia, cioè al lavoro di un autore anonimo che firma il proprio scritto con il nome di un altro, come l'apostolo, per conferirigli autorità.

Questa opinione si fonderebbe, ad esempio, sulla constatazione che la seconda lettera, a differenza della precedente, contiene poche annotazioni personali.

E' facile obiettare che rientra nella normalità il fatto che una persona possa usare uno stile diverso nella stesura delle varie lettere, a seconda delle differenti circostanze in cui esse sono scritte o delle persone alle quali vengono indirizzate.

 

Io ritengo che la seconda lettera sia stata scritta pochi mesi dopo la prima che aveva suscitato un po' di scalpore, in quanto Paolo vi aveva sostenuto che l'arrivo del Signore andrebbe potuto sorprendere i fratelli come un ladro di notte. Di conseguenza si era diffusa l'idea che il Signore sarebbe potuto arrivare anche in quei giorni.

Nella comunità di Tessalonica era presente qualcuno - che non sappiano identificare - che fomentava l'opinione dell'imminente fine del mondo con scritti falsi attribuiti allo stesso apostolo. Ecco, il motivo per cui il tono della seconda lettera è molto più deciso rispetto a quello della precedente, in quanto si trattava per Paolo di recuperare con energia una situazione che stava degenerando. Infatti, in pochi mesi il volto della comunità tessalonicese era cambiato. Molti cristiani sembravano degli invasati.

Nella seconda lettera l'apostolo riprende con vigore a sostenere la necessità del lavoro, anche in considerazione del fatto che probabilmente i nulla-facenti erano i fomentatori del disimpegno legato all'idea dell'imminente fine dei tempi. E con costoro Paolo usa espressioni durissime.

La calunnia, specialmente contro le persone, è un'erba che, purtroppo, attecchisce quasi sempre nella comunità in cui circolano lettere false e in cui viene diffusa l'idea della fine del mondo ormai vicina; è "piegato" a questo intento perfino lo Spirito Santo (i carismi). Abbiamo ricordato che a Tessalonica erano presenti persone che parlavano "in lingue" (fenomeno esistente anche oggi), che possedevano, cioè, il dono di parlare lingue sconosciute, le lingue dello Spirito. In questo caso occorreva che nella comunità fossero disponibili altre persone che avessero il "controdono" di tradurre queste lingue ai fratelli. E su tale necessità probabilmente speculavano gli invasati, i quali, fingendo di parlare per bocca dello Spirito, proclamavano l'imminente fine del mondo.

Certe manifestazioni che compaiono ancora ai nostri giorni, come le profezie formulate dai Testimoni di Geova - e non avveratesi - , sono esempi del millenarismo ancora diffuso. Ricordiamo come attuale anche la profezia attribuita falsamente a Padre Pio e che circolava la scorsa estate anche a Sondrio, secondo la quale nel luglio di quest'anno sarebbe avvenuta la fine del mondo. Tra l'altro era proprio il momento in cui il presidente degli Stati Uniti, Clinton, aveva dato al presidente yugoslavo, Milòsevic, come termineultimo per arrendersi il mese di luglio, perché in caso contrario la guerra sarebbe stata totale. Per smentire ufficialmente l'infondatezza della notizia era dovuto intervenire il Postulatore della causa di beatificazione dichiarando che nel testamento di Padre Pio non era contenuta alcuna profezia di quel tipo.

 

Considerato che la situazione della comunità di Tessalonica era molto grave, San Paolo interviene come correttore e come difensore della fede dei "deboli", cioè di coloro che potevano essere facilmente irretiti.

E la difesa dei deboli nella fede costituisce un compito fondamentale anche nostro.

Quando Gesù nel Vangelo dice di non dare scandalo ai "piccoli" non si riferisce ai bambini, ma ai "piccoli nella fede", ai deboli nella fede, i quali di fronte a un cristiano che si comporta male si scandalizzano e perdono la propria fede. Quindi, l'apostolo vuole correggere ma, soprattutto, salvaguardare la fede proponendo, tra l'altro, la solita grande pedagogia dell'"ora et labora", che significa "prega e opera". In tal modo la nostra fede sarà autentica. In pratica si tratta della traduzione nella vita quotidiana del precetto "ama Dio e il prossimo".

 

 

Suddivisione della lettera

a) 1,1 - 12 : introduzione

b) 2,1 - 12 : parte dogmatica

c) 2,13 - 3,15 : parte parenetica (cioè esortativa)

d) 3,16 - 18 : epilogo.

 

Abbiamo letto prima l'indirizzo perché vi ritornano le parole "grazia e pace" già sottolineate all'inizio e alla fonte della prima lettera ai Tessalonicesi. Abbiamo anche notato che nell'espressione usata da Paolo compaiono insieme due saluti, l'ebreo shalom (pace) e il greco caris (grazia), che vengono fusi nel saluto cristiano "grazia e pace".

Proprio al v. 2 della seconda lettera leggiamo la stessa formula, "grazia a voi e pace".

 

Soffermiamoci, ora, sul concetto di pace.

Noi, forviati da tanti anni di conflitti e di pacifismo, siamo inclini a pensare che la pace coincida con l'assenza di guerra. Invece, un ebreo quando diceva "shalom" intendeva tutta un'altra cosa.

Nella Bibbia - e soprattuto in S. Paolo - la pace è il bene escatologico, potremmo dire il paradiso già conseguito o che inizia ad essere conseguito. Allora, pace equivale a salvezza che comprende uno stato interiore e comunitario con una prospettiva divina. E' salvezza; è dono di Dio. Quindi risulta inconcepibile nella Bibbia la pace senza Dio. Teniamo presente questo concetto anche per valutare alla luce della Sacra Scrittura tanti movimenti c.d. "pacifisti" che predicano la pace e gettano le bombe "Molotov" contro la Polizia.

La pace, che è salvezza, è una situazione di gioia assoluta e di serenità che trova l'origine e il compimento in Dio. Questa è shalom e eirene secondo S. Paolo. E l'uomo ha un ruolo di annunciatore e di collaboratore nella realizzazione della salvezza e della pace.

Ecco, allora, il lavorio continuo dell'uomo per costruire ovunque la pace favorendo il perdono, la riconciliazione e la mitezza, che sono atteggiamenti tipici dei forti e non dei deboli.

Nel concetto biblico la pace è inscindibile dall'unità che costruiamo fra noi. Di conseguenza la pace diventa l'essere tutt'uno col Padre, come lo è stato Gesù. Inoltre noi diventiamo un'unica cosa con i nostri fratelli e con le nostre sorelle.

 

Abbiamo presente il capitolo eucaristico (cap. 6) del Vangelo di Giovanni - "La moltiplicazione dei pani" - nel quale è contenuta un'annotazione splendida (v. 56): "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui". La pace si sviluppa con l'Eucarestia.

Notiamo in Paolo una connotazione particolare: la pace è, prima di tutto, la riconciliazione tra Dio e l'uomo salvato dalla morte di Gesù. Vediamo, però, che il Signore compie sempre il primo passo. E questa situazione di "salvati" realizza la vera libertà. Infatti colui che ha la pace nel cuore, perché l'ha ricevuta da Dio, è l'uomo libero davvero. Certo, si tratta di una pace che va perseguita, mantenuta e curata come un bene prezioso che proviene dal Signore.

 

Lettura 2,1-12 - La parte dogmatica.

Si tratta di un brano molto forte e, per certi versi, misterioso.

Abbiamo già evidenziato le difficoltà della comunità cristiana di Tessalonica (come le lettere false, l'uso improprio di carismi, ecc.). Ora, San Paolo afferma nella sua lettera che prima dell'arrivo del Signore compariranno dei segni premonitori. E noi sappiamo che tutti i vangeli sinottici hanno una parte apocalittica. Noi scegliamo di leggere un brano di Luca che ci pare il più affine alla teologia di Paolo.

 

Lettura di Luca 21,5-28

L'arrivo del Figlio dell'uomo non dovrà costituire un momento di terrore per i discepoli di Gesù, perché a loro è detto: "...alzatevi e levate il capo perché la vostra liberazione è vicina " (v. 28).

Dobbiamo prendere alla lettera tutto ciò e considerare come presagio i recenti disastri della natura (tifoni, terremoti, inondazioni, ecc.) che hanno causato molti morti?. O come il famoso terremoto atteso da tempo in America e che dovrebbe distruggere completamente S. Francisco in California, oppure la grande onda anomala che dovrebbe sommergere una parte dell'Australia?

Nel brano appena letto abbiamo notato che Luca usa la letteratura allora in voga, quella dei segni cosmici. Ci sarà una realtà sconvolgente, perché avverrà la ricapitolazione della creazione.

Gli eventi cosmici preparavano nell'Antico Testamento le teofanie (le manifestazioni di Dio). Ricordiamo il famoso episodio di Elia, al quale Dio si manifesta non attraverso il fuoco, il fulmine o l'uragano, ma con la voce di un "silenzio leggero": il Signore era in quel silenzio.

Tutti gli eventi descritti da Luca sono il preludio letterario alla manifestazione divina. E, infatti, il brano si conclude con l'annuncio dell'arrivo del Figlio dell'uomo "...su una nube con potenza e gloria grande" (v. 27).

Si nota una differenza notevole con Paolo che nel cap. 2 della seconda lettera al v. 3 scrive: "Prima infatti dovrà avvenire l'apostasia e dovrà essere rivelato l'uomo iniquo, il figlio della perdizione.....".

Chi è questo personaggio, che Giovanni nella sua prima lettera chiama l'anticristo?

Anzitutto, non è il diavolo. Infatti leggiamo al v. 9 del cap. 2 che l'iniquo è colui "la cui venuta avverrà nella potenza di satana (o, meglio tradotto, in virtù di satana). Quindi non può essere satana.

Chi è questo personaggio che viene definito anche "il figlio della perdizione"? L'appellativo è riferito nel Vangelo di Giovanni a un uomo: Giuda Iscariota.

Proviamo ora a cercare nel libro dell'Apocalisse dove al cap. 13 (lettura vv.1-10) si parla della bestia che non coincide con il dragone (satana). Ma le bestie sono due.

 

 

Lettura Apoc 13,11-18

Il brano appena letto appare come uno dei più aderenti alla storia. La spiegazione è abbastanza ovvia: la prima bestia non è un uomo ma una istituzione, l'impero romano. Tanto è vero che se applicassimo il n° 666 al nome della bestia ne deriverebbe, secondo l'alfabeto ebraico, la parola lateinos (latino) e, secondo l'alfabeto greco il termine teitan (titano) che era uno degli appellativi dell'impero romano. Ricordo in proposito che nell'antichità ad ogni lettera dell'alfabeto corrispondeva un numero o viceversa.

 

La seconda bestia incarna tutto l'apparato religioso e propagandistico legato all'impero romano, che raggiunge il suo apice quando proclama divinità la dea Roma e dio l'imperatore vivo. E queste due divinità dovevano essere riconosciute in tutto l'impero. La propaganda romana si basava proprio su ciò per realizzare l'unità dell'impero. Infatti tutti i sudditi - pur nella diversità delle religioni di appartenenza - dovevano riconoscersi nell'adorazione dell'imperatore e della dea Roma.

 

Ecco, allora, le due bestie: da una parte l'istituzione imperiale e dall'altra tutto l'apparato propagandistico di cui i sacerdoti facevano parte notevole e che serviva come base per il potere della prima bestia (l'imperatore).

Abbiamo già detto altre volte che questo tipico brano dell'Apocalisse si può applicare a tutta la storia, a molti regimi totalitari che contrastano Gesù Cristo e, servendosi di un apparato propagandistico, svolgono il ruolo delle due bestie.

Da una parte abbiamo le prefigurazioni cosmiche (guerre, ecc.) e dall'altra l'avvento di un simbolo che non è la persona (Hitler o Stalin), ma caso mai il nazismo o il comunismo che si erge come contrapposizione a Gesù Cristo.

 

 

VII lezione

Seconda lettera ai Tessalonicesi - continuazione

 

Avevamo terminato l'ultimo incontro leggendo il brano dell'Apocalisse che riguardava la prima e la seconda bestia. Avevamo anche fatto delle considerazioni sulla prima lettera di Giovanni che parla dell'anticristo.

Almeno nell'Apocalisse l'identificazione delle due bestie risulta abbastanza facile: l'impero romano con la sua struttura politico-militare (la prima bestia) e la propaganda soprattutto a livello religioso (la seconda bestia che è al servizio della prima). Il valore delle due bestie trascende quel determinato momento storico perché queste si riproporranno, di volta in volta, con sembianze diverse ma con uguale sostanza nel corso di tutta la storia.

 

Nella seconda lettera ai Tessalonicesi appare praticamente impossibile identificare "l'uomo iniquo, il figlio della perdizione", cioè la persona che dovrà contrastare il Cristo, anche perché non sappiamo nemmeno se si tratta effettivamente di una persona. Significativamente S. Paolo per indicare (in lingua greca) questo "essere" usa dapprima il genere neutro e successivamente il genere maschile. Non sappiamo neppure se sia una persona o un'istituzione o un ideale negativo.

Tanto per fare un esempio un paragone con la realtà odierna, potrebbe trattarsi del mito della scienza o di un mito moderno - come il progresso - con la funzione di contrastare il Cristo.

Se vogliamo restare nel campo delle istituzioni e dei movimenti del nostro secolo possiamo pensare al nazismo, e al comunismo nei modi in cui si è realizzato nei vari Stati (come si realizza ancora ad es. in Cina).

Certamente è una realtà che si oppone al Signore, totalmente votata al male, ma - anche - una realtà perdente perché alla fine il Cristo trionferà.

Ricordiamo la logica dell'Apocalisse, un libro non di sciagure ma di speranza e di consolazione. Sappiamo inoltre che i testi apocalittici sono scritti in genere quando una comunità è perseguitata per invitarla a non temere in quanto Dio vincerà. Il giorno di Jahve arriverà a purificare tutto e di conseguenza gli stolti e gli empi avranno una certa sorte e i fedeli un'altra.

Notiamo uno stravolgimento: il personaggio misterioso della lettera di Paolo tenderà a sostituirsi a Dio e pretenderà per sé l'adorazione dovuta al Signore. Sarà, cioè, un qualcosa che stravolgerà completamente l'ordinamento normale sia del singolo che delle comunità, tanto da andare di pari passo con quella realtà estremamente negativa che è l'apostasia.

 

In proposito rileggiamo la seconda lettera ai Tessalonicesi 2,1-4 che parla dell'apostasia, cioè del rifiuto cosciente dell'alleanza con Dio, del rinnegamento della propria religione per aderire o meno a un'altra.

Un problema rilevante oggi è quello del battesimo dei bambini. Secondo alcuni, battezzando i piccoli non facciamo altro che "fabbricare" degli apostati, cioè delle persone che, arrivate ad una certa età, rinnegheranno la propria religione non per aderire

ad un'altra ma per passare all'ateismo pratico, ormai abbastanza diffuso. Qualcuno, allora, si domanda se non sarebbe meglio tornare all'uso della Chiesa primitiva - che ancora è diffuso nelle missione - battezzare soltanto gli adulti. In fondo quest'idea corrisponde alla proposta di alcune parrocchie della nostra diocesi di fare la professione di fede dopo aver ricevuto alcuni anni prima la cresima. L'età per questo atto solenne non è stabilita necessariamente; comunque non è consentita prima dei diciotto anni.

 

Teniamo presente che, secondo S. Paolo, dovrà "avvenire l'apostasia" la quale, comunque, nella letteratura apocalittica, a partire da Daniele, costituisce sempre una realtà che anticipa la vittoria di Dio. In ogni caso, all'apostasia si contrappone una fedeltà al Signore; cioè, alcuni lasceranno e rinnegheranno mentre altri resteranno fedeli.

E' il famoso tema del "resto d'Israele" (ossia di quel gruppo di persone che resteranno fedeli a Dio anche nella persecuzione), che abbiamo incontrato varie volte lo scorso anno leggendo i testi dei profeti.

A proposito della fedeltà nelle persecuzioni ripensiamo alla letture stupende del "Libro dei Maccabei", che abbiamo ascoltato nelle Messe degli scorsi giorni.

 

Lettura di 2,5-7

A chi sta alludendo San Paolo in questo brano? Chi è la persona o la realtà che trattiene il mistero dell'iniquità (che pure è già in atto) dall'esprimersi pienamente?

I commentatori si sbizzariscono nelle ipotesi. Alcuni sostengono che si tratta della fede stessa dei Tessalonicesi, in questo caso, e dei cristiani, in generale. Per altri studiosi è Cristo stesso a trattenere la piena manifestazione dell'anticristo. Ricordiamo che anche nell'Apocalisse è Dio che stabilisce i tempi del suo potere e dell'iniquità, che non è autonoma ma soggetta a un certo controllo.

Di conseguenza possiamo dire ben poco su questa entità anche perché probabilmente si tratta di una "cosa" ben contestualizzata nella comunità cristiana di Tessalonica. Infatti Paolo scrive al v. 6: "E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora". Forse, se conoscessimo il contenuto della predicazione di Paolo ai Tessalonicesi, potremmo comprendere a quali fatti egli si riferisce. Per noi il mistero dell'iniquità rimane impenetrabile. Lo stesso S. Agostino sostiene che non si può dare una interpretazione ragionevole a questi versetti. Quindi, sia per quanto riguarda l'anticristo (termine mutuato da Giovanni e non da Paolo) sia per quanto riguarda ciò o colui che lo trattiene non sappiamo nulla.

Per fare una sintesi: sicuramente arriverà il giorno del Signore e sarà anticipato dalla rivelazione del mistero dell'iniquità che porterà a un'apostasia. E, però, tutto il mistero dell'iniquità sarà trattenuto da qualche cosa e da qualcuno.

 

Lettura vv. 13-14 che contengono una bellissima proclamazione della Trinità.

 

Facendo un bilancio delle due lettere ai tessalonicesi potremmo affermare con certezza che in esse vengono proclamate la resurrezione dei morti e la venuta ultima di Cristo (parusia) e questi sono dogmi di fede. E la parusia avrà dei segni premonitori.

 

Nelle due lettera esaminate, accanto al messaggio teologico (l'indicazione della resurrezione dei morti e la venuta ultima di Cristo), sono presenti tante indicazioni morali che dovrebbero restare anche in noi. I contenuti della fede non possono mai essere disgiunti dalla vita, altrimenti saremmo dei dissociati, perché si sarebbe creata in noi una frattura che non ci permetterebbe più di essere discepoli di Cristo. San Giacomo condenserebbe tutto in due parole: fede e opere. Teniamo inoltre presente che le lettere di S. Paolo riguardano una Chiesa che cresce.

Infine, come dicevamo all'inizio del corso, seguiamo proprio l'ordine cronologico nella lettura delle lettere dell'apostolo per vedere anche l'evoluzione del suo pensiero e il cammino di una Chiesa fondata circa vent'anni prima. Si trattava di creare tutto un modo nuovo di pensare, di sentire e di agire. E S. Paolo aveva davanti a sé un'opera immane da compiere.