00 18/11/2012 21:10

Lettura cap. 1,6-7

Imitare il Signore e gli apostoli significa subire tribolazioni e persecuzioni anche quando si è accolta con qualche gioia (ecco l'obbedienza gioiosa) la "Parola", cioè la volontà di Dio (Vedremo nella lettera ai Galati che la gioia, secondo S. Paolo, è uno dei doni dello Spirito).

Lo Spirito Santo ci aiuta ad accettare con gioia la volontà del Signore. E ci ricordiamo subito della perfetta letizia di S. Francesco e soprattutto di quel "fioretto" che la descrive così bene.

Molti dei malati che visito mi stupiscono perché posseggono spesso una serenità che può essere definita come perfetta letizia. Si tratta dell'accettazione piena della volontà divina.

Allora, una comunità che mantiene la gioiosa adesione al Signore diventa modello per tutte le altre.

 

Lettura del v. 9

Una annotazione fondamentale di Paolo: la comunità di Tessalonica è formata interamente da greci pagani che si sono allontanati dagli idoli e sono arrivati al Dio vivo e vero, a Yahve (con tutte le conseguenze).

 

Lettura del v. 10

Appare importante per la comprensione delle parti successive della lettera.

Notiamo che in questa prima presentazione Gesù viene indicato come "l'atteso....che ci libera dall'ira ventura". Una sottolineatura particolare: quella di Cristo è un'attesa escatologica, cioè l'attesa di un futuro che sta per realizzarsi, in cui Gesù morto e risorto torna per liberarci..

 

Lettura cap. 4,1-8

Una prima annotazione: le norme che l'apostolo ribadisce provengono dal Signore e non sono, quindi, opera di S. Paolo.

Soffermiamoci sul termine "santificazione" - in greco,aghiasmòs - che coincide con la volontà di Dio che vuole per noi la santificazione. Ci si santifica facendo la volontà di Dio che è l'origine della santificazione. E, nello stesso tempo, è volontà divina tutto quell'insieme di norme, di proposte e di consigli ai quali aderiamo per aumentare la nostra santificazione.

Il fine della santificazione è il riposo in Dio.

 

In questa prima parte del capitolo Paolo si complimenta con la comunità di Tessalonica e afferma che può ancora migliorare. L'espressione "per distinguervi ancora di più" letteralmente andrebbe tradotta "per sovrabbondare ancora di più" dal termine greco perisseüo (sovrabbondo). Il Signore ci stimola continuamente affinché ciascuno di noi dia il massimo.

 

La volontà di Dio, ossia la santificazione, la si realizza attraverso due aspetti:

I - astenersi dall'impudicizia

S. Paolo usa il termine greco porneía che significa essenzialmente

1 - adulterio

2 - prostituzione

3 - lussuria.

Teniamo presente che l'apostolo scrive a una comunità di pagani convertiti da pochi mesi, che vive in una città portuale, cosmopolita, situata sull'importante via Egnàzia, i cui costumi non potevano essere certamente rigidi e nella quale era presente un'idea pagana della sessualità, sicuramente un po' diversa da quella ebraica e anche da quella cristiana.

 

Per quale motivo Paolo raccomanda di astenersi dalla porneía? Per un motivo bellissimo, e però ancora parziale, che sarà poi ripreso e sviluppato in altre lettere: "...che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto, non come oggetto di passioni e di libidine, come i pagani che non conoscono Dio..." (vv. 4 e 5). L'apostolo non usa la parola greca sõma (corpo) ma skeüs che letteralmente significa "vaso".

Qualche studioso, come il Barbaglio, attraverso un parallelo con l'aramaico, ritiene che Paolo stia intendendo non il corpo di ciascuno, ma la donna, in quanto il termine greco in secondo significato può voler dire "attrezzo" o "strumento". E' un'affermazione che io non condivido.

Ritengo, invece, che sia molto bella l'intuizione del "vaso" per indicare il corpo e che ciò costituisca un primo momento di inculturazione. Il definire il corpo come un vaso si fonda sul presupposto che il vaso debba contenere qualcosa: l'anima e il corpo. Questo concetto costituisce un primo approccio all'idea (siamo in un ambiente culturale dualistico, da questo punto di vista) che l'uomo abbia un "contenitore" (nel quale c'è l'anima) che - ecco la novità cristiana - va mantenuto con "santità e rispetto".

In altre parole Paolo afferma che il corpo (il contenitore) è tempio dello Spirito Santo.

Vorrei farvi notare che ci troviamo in presenza di un approccio culturale adeguato ai destinatari della lettera.

E "...che nessuno offenda e inganni in questa materia il proprio fratello..." (v. 6) perché quanto scritto non proviene da una dottrina umana ma dal Signore. Pertanto si finirebbe inevitabilmente per disprezzare non l'uomo ma Dio stesso che - come recita il v. 8 - "...vi dona il suo Santo Spirito...". Potremo intendere che il dono dello Spirito serve a far comprendere meglio a dei pagani che il corpo è degno di rispetto; ma queste parole potrebbero anche costituire già un riferimento al nostro corpo in cui lo Spirito Santo abita.

Ecco la portata rivoluzionaria dell'invito di Paolo; invito che non è suo ma proviene da Dio stesso. In una situazione culturale e di fatto molto antitetica a questo precetto, i pagani convertiti sono chiamati ad astenersi dalla porneía.

 

E' facile trovare, a questo proposito, agganci con il presente: noi cristiani che stiamo a fare nel mondo? I nostri ragazzi che maestri hanno? Il primo maestro della porneía è la TV, seguita dalla stampa pornografica (vedi le edicole). Il significato del corpo inteso secondo S. Paolo viene del tutto a mancare. E, poi, ci si meraviglia della presenza così diffusa della prostituzione dietro la quale ruota un enorme giro di affari. E' triste annotare che tutto ciò avviene perché non ci sarebbe offerta se non ci fosse domanda;

 

II praticare l'amore fraterno, cioè la filadelfía - Lettura dei vv. 9-12

Appare significativo che Paolo ad un certo punto della lettera scriva: "voi stessi infatti avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri..." In altre parole: i Tessalonicesi sono stati istruiti da Dio stesso. La carità, quindi, è diretta infusione dello Spirito Santo senza necessità d'insegnamento.

A questo proposito ripensiamo a quei passi di Geremia e di altri profeti in cui si dice: Io inciderò una legge nuova nel vostro cuore e non più su tavole di pietra.

Lo Spirito vi infiamma con il suo fuoco - scrive l'apostolo - e, poiché il vostro primo istruttore è il Signore, diventa per voi una necessità l'amare.

 

Leggiamo al v. 11 "...lavorare con le vostre mani....", un'espressione che può sembrare strana che serve come passaggio alla parte successiva del brano. Alcune persone della comunità di Tessalonica non volevano lavorare. E ciò era un fatto grave.

 

Lettura cap. 4,13-18 e cap. 5,1-3

A Tessalonica probabilmente la predicazione di Paolo appariva piuttosto apocalittica, tale da fare ritenere che stessero arrivando i tempi ultimi.

Dopo la morte e la risurrezione di Gesù si credeva prossimo il tempo della salvezza e, quindi, bisognava essere pronti. Ecco, allora, che nella comunità tessalonicese alcuni pensavano che i tempi ultimi fossero così imminenti da ritenere non più necessario lavorare. Contava soltanto prepararsi alla fine. Si trattava evidentemente di un disimpegno totale fondato su una escatologia errata.

S. Paolo chiarisce le idee a costoro affermando che:

1 - nessuno conosce né il giorno né l'ora;

2 - quando questo fatto avverrà non saranno trascurati coloro che sono già morti in Cristo.

Appare chiaro che si tratta di una comunità che non ha ancora ben sviluppata l'idea della risurrezione dei morti.

In questo brano San Paolo comincia a mettere a punto la dottrina della risurrezione: prima risorgeranno i morti in Cristo che non saranno, quindi, esclusi dall'incontro con il Signore; poi toccherà ai vivi.

 

Ma era proprio convinto l'apostolo che fossero ormai prossimi i tempi ultimi?

Inizia quindi un grande dibattito. S. Paolo che scrive al plurale e afferma: "...noi che viviamo e che saremo ancora in vita..." era proprio convinto che mancasse poco tempo all'arrivo del Signore? Oppure, usando una figura retorica, si chiedeva, tanto per fare un esempio: saremo ancora vivi in quel giorno?.

Certamente dalla lettura delle altre lettere si desume che Paolo non aveva alcuna intenzione di incontrare il Cristo mentre era ancora in vita. Lo scopo delle sue parole è un altro: l'apostolo vuole tenere desta nella comunità di Tessalonica la vigilanza. Il Signore può venire da un momento all'altro, ma non ha senso smettere di lavorare e di svolgere le normali attività perché - tra l'altro - ciò costituirebbe una pessima testimonianza per i non cristiani.

 

Qualche volta, a ragione, la nostra religione è stata vista un po' come fautrice di un disimpegno terreno. Anche oggi, ad esempio, alcune sette e certi gruppi protestanti, quando sentenziano sull'arrivo imminente del Signore, inducono al disimpegno. Quando si sottolinea troppo la felicità futura a scapito di quella terrena si può indurre ugualmente al disimpegno. Probabilmente quando S. Paolo afferma tutto questo ha già fatto l'esperienza di Atene.

 

Lettura del cap. 5,4-11

L'arrivo del giorno del Signore non può arrecare alcun danno a chi vive nella luce e ha capito chi è il Dio vivo e vero. E noi abbiamo la possibilità di difenderci con la fede, la speranza e la carità.

Notiamo che S. Paolo raggruppa la fede e la carità usando un ardito paragone militare (v. 8), ma pienamente iscritto nel mondo romano e, soprattutto, greco perché cita due armi difensive dei soldati di allora, la corazza (la fede e la carità) e l'elmo (la speranza).

Ci si può chiedere: ma le armi difensive dei soldati di questo tempo non erano tre, comprendendo anche lo scudo?. Ma quest'ultimo era usato anche come arma offensiva dalle fanterie pesanti greche, perché la parte superiore dello scudo (che era affilata) in caso di necessità serviva per tagliare la testa al nemico. L'apostolo adopera queste espressioni in quanto si rivolge ai Tessalonicesi, abituati a battaglie in cui si usavano sia armi difensive che armi offensive e difensive assieme.

 

 

Lettura vv. 12 e segg.

I "preposti" di cui si parla nel v. 12 erano persone istituite per aiutare i neo-convertiti con una specie di catechesi.

Dal v. 14 si evince che la comunità di Tessalonica era costituita anche da fratelli indisciplinati, pusillanimi e deboli (come nelle nostre comunità). E questa era la chiesa degli Atti degli Apostoli che non va assolutamente idealizzata.

 

L'ultimo brano che leggiamo questa sera sarebbe da scrivere a lettere d'oro nelle nostre case:

"Guardatevi dal rendere male per male ad alcuno; ma cercate sempre il bene tra voi e con tutti. Siate sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie; questa infatti è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi.... Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione.... Colui che vi chiama è fedele...." (vv.15-28).

 

Probabilmente fra i cristiani di Tessalonica erano presenti certe manifestazioni che poi rivedremo nella chiesa di Corinto. Il parlare le lingue e i carismi - anche un po' strani - suscitati dallo Spirito non erano ben accetti. Inoltre non erano tenuti nella dovuta considerazione i profeti, persone che non predicevano il futuro ma aiutavano a leggere correttamente il presente (il Nuovo Testamento).

E, allora, San Paolo invita ad esaminare "ogni cosa" con attenzione e a ritenere solo "ciò che è buono". Ecco, la prudenza nella quale la Chiesa è maestra ancora oggi.