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Lettera ai Filippesi

 

Affrontiamo ora la lettera paolina che alcuni interpreti definiscono come la più cordiale, perché in essa traspare tutto il cuore dell'Apostolo. Non per nulla si dice che quella di Filippi fosse la comunità preferita da Paolo.

 

Filippi è stata la prima città dell'Europa ad essere evangelizzata e si può pertanto definire "la porta dell'Europa" per la diffusione del cristianesimo; riveste quindi importanza del tutto particolare e sarà visitata da Paolo per tre volte.

La città prese il nome dal suo fondatore Filippo II di Macedonia, padre di Alessandro Magno, e divenne famosa anche perché nei suoi dintorni furono sconfitti in battaglia Bruto e Cassio, uccisori di Cesare, da Ottaviano che poi diventerà Augusto imperatore. Costui fece risorgere la città, che a quell'epoca era in decadenza, inviandovi migliaia di coloni, tanto è vero che la denominazione completa di Filippi negli antichi documenti risulta essere "Colonia Julia Augusta Filippensis".

La città - quasi rifondata - si arricchirà poi per la presenza di miniere d'oro e d'argento situate nelle vicinanze.

 

Lettura degli Atti degli Apostoli ("Paolo e Sila in prigione").

E' narrato il primo incontro (che gli resterà nel cuore) di Paolo con la comunità di Filippi. E' importante sottolineare che nella sua lunga carriera apostolica Paolo accettò tre volte di essere aiutato economicamente dai cristiani filippesi (e soltanto da questi).

 

Vi invito a legge attentamente la Lettera ai Filippesi che potrebbe essere considerata come il testamento che ci lascerà S. Paolo alla fine di questo corso biblico. Vi troverete tante indicazioni, tanti suggerimenti da tradurre nella nostra vita quotidiana.

 

 

 

 

XXVI lezione

Lettera ai Filippesi - continuazione

 

Questa lettera, in cui si manifesta in modo particolare il cuore di Paolo, non si presenta in forma molto organica. Tuttavia potremmo prendere in considerazione lo schema seguente:

a) esordio: 1,1-11

b) I parte con notizie personali: 1,12-26

c) II parte con l'esortazione a resistere ai nemici della fede: 1,27-2,18

d) III parte con notizie sulla missione contro i nemici della Croce ed esortazioni varie: 2,19-4,9

e) epilogo con ringraziamenti e saluti: 4,10-23.

 

A me interessa soprattutto proporvi alcune considerazioni sul famosissimo "inno cristologico" (2,6 e segg.).

Lettura del cap. 2,1-4

Sono concetti che potremmo facilmente ritrovare in una morale puramente umana, ma che Paolo colloca in un ben diverso orizzonte. Notiamo un'esortazione alla concordia;per realizzarla si devono eliminare le contenziosità e la vanagloria. Bisogna, perciò, essere umili.

 

Lettura 2,5-11 - "Inno cristologico".

Le differenze (non poche e non di poco conto) tra la traduzione letterale del testo greco - da me letta - e la versione della Bibbia di Gerusalemme sono evidenti. Il testo che vi ho letto è molto più pregnante da un punto di vista cristologico.

Innanzi tutto gli studiosi sottolineano la naturalezza con cui questo inno è stato scritto e la profondità teologica stupenda, espressione della fede della Chiesa dell'epoca.

S. Paolo probabilmente ha preso lo spunto da un canto liturgico (o, comunque, da un inno che veniva recitato o cantato durante la liturgia), noto alle persone alle quali scriveva e proprio per tale motivo lo ha inserito nel contesto della lettera senza alcuna introduzione.

Teniamo presente che ci troviamo negli anni 50 d.C. Notiamo allora che Giovanni, il quale con il suo Vangelo, le sue Lettere e l'Apocalisse, ha approfondito così tanto il messaggio cristiano, in realtà non ha fatto altro che elaborare ulteriormente dei concetti già sviluppati da Paolo.

In quegli anni era già consolidata la fede nella pre-esistenza del Verbo, nel Cristo come Verbo eterno, nell'unione nella sua stessa persona della natura umana e della natura divina. Queste convinzioni, a pochi anni della morte di Gesù, facevano già parte normalmente delle catechesi apostolica ed erano, perciò, patrimonio delle comunità evangelizzate.

 

Analizziamo ora il testo dell'inno e soffermiamoci sulla parola che nel testo della Bibbia di Gerusalemme è tradotta con "natura" (v. 6) mentre nel testo da me letto è resa con "forma". "Natura", se usiamo i termini filosofici, e la "füsis", cioè l'essenza; invece il testo di Paolo è molto più concreto e parla di una natura che assume una forma esterna ben precisa: "morfé".

Quindi Paolo sta dicendo che Gesù Cristo ha rinunciato a tutte le caratteristiche anche esteriori di Dio per assumere la natura umana non soltanto in teoria, ma in pratica. Ha assunto, infatti, l'umanità anche nelle sue espressioni peggiori, non nel senso del peccato ma della debolezza e della fragilità.

Il Cristo, Dio da sempre, a un certo punto assume una natura umana (e, quindi, tutto quanto è tipico dell'uomo), perfino la "morfé" esteriore, per tutta la sua vita terrena in cui si rivela la divinità di Gesù: il momento della trasfigurazione.

Soltanto allora viene meno, in parte, la forma umana di Cristo.

 

Lettura della prima Lettera di Giovanni 1,1

Ecco, il mistero dell'Incarnazione.

La risurrezione è importante perché alla sua luce si comprende che quel Gesù che è stato visto, udito e toccato è il Verbo della vita.

 

Continuazione della lettura di Filippesi 2,6-8

"....ma spogliò se stesso....".

"Echenosen" va tradotto meglio con "svuotò"" anziché con "spogliò". Siamo davanti alla famosa "echenosis", cioè allo svuotamento (o spogliazione). Gesù, il Verbo eterno con il Padre, "svuota, rinuncia completamente al suo essere Dio prendendo forma non di uomo ma di schiavo.

Purtroppo nel nostro testo la parola greca dulos è tradotta con "servo", mentre più esattamente significa "schiavo per nascita", ossia l'uomo che non è stato mai libero. Solo lo schiavo - e mai un cittadino romano - poteva morire in croce. Gesù rinuncia ad ogni prerogativa divina pur essendo Dio: questa è la "chenosis".

 

Ed ancora. Al v. 8 leggiamo "umiliò", che traduce il verbo greco tapèino (da cui l'italiano "tapino"), il quale deriva dal sostantivo tapenosis che significa "nullità". Si tratta della stessa parola usata da Maria nel Magnificat "...perché ha guardato l'umiltà (= la nullità) della sua serva..." (Lc 1,48).

 

A proposito di "...morte di croce..." (v. 8) Francesco Fiorista in un articolo pubblicato recentemente sulla rivista "Storia e dossier" sostiene, sulla base di prove mediche, che Gesù sia morto di infarto cardiaco, soprattutto a causa della tensione provocata dalla flagellazione, dai vari patimenti e dalla posizione sulla croce.

Secondo l'autore questo proverebbe che la profezia che più si è avverata sulla morte di Gesù sarebbe quella contenuta nel salmo 69: "L'insulto ha spezzato il mio cuore e vengo meno" (v. 21). Si tratta di un ipotesi quantomeno interessante.

Per capire un po' le sofferenze provocate dalla crocifissione vi leggo uno stralcio dell'articolo citato:

"Una lunga , terribile agonia precedeva la morte per soffocamento".

""Il condannato inchiodato era costretto a compiere uno sforzo tremendo per respirare: "l'abnorme posizione del corpo, con il tronco accasciato e abbassato, determinava "l'immobilizzazione del torace in una posizione detta "globosa inspiratoria": "l'espirazione diventa difficile, con una conseguente riduzione del contenuto di "ossigeno nel sangue. Cosi, per non soccombere alla lenta asfissia, il condannato "doveva spingere sui piedi inchiodati per riportare il torace alla medesima altezza delle "spalle e delle braccia, in modo da ristabilire la meccanica respiratoria.

"I grandi muscoli che presiedono alla respirazione (grandi pettorali, "sternocleidomastoidei, diaframma), per lo sforzo costante e prolungato, entravano ben "presto in uno stato permanente di contrattura. Ne risultava che i polmoni si riempiano "d'aria, ma non erano più in grado di farla uscire, con quindi un grave deficit "dell'ossigenazione del sangue, paragonabile a quella di un bronchitico enfisematoso in "piena crisi d'asma. La gabbia toracica di dilatava, e la pressione negativa all'interno del "torace raggiungeva il massimo grado con tutte le conseguenze sfavorevoli sul respiro "e sul circolo.

"Come poteva dunque il crocifisso sfuggire momentaneamente a questi crampi e a "questa asfissia, per sopravvivere anche fino a più giorni?

"Egli doveva necessariamente diminuire la trazione sui polsi, che sembra essere la "causa iniziale e determinante di tutto il fenomeno. Il corpo infatti, dopo la "crocifissione, si accasciava e si abbassava notevolmente. Il condannato era costretto "allora a prendere punto di appoggio sui piedi inchiodati al palo verticale, per far "risalire, con una dolorosissima spinta, tutto il corpo e ricondurre verso la posizione "orizzontale le braccia che nell'accasciamento erano scese intorno ai 65°. La trazione "sui polsi era così ridotta, i crampi diminuivano e l'asfissia regrediva temporaneamente, "per la ripresa di una più normale meccanica respiratoria.

"L'agonia trascorreva dunque in un'alternanza di accasciamenti e di raddrizzamenti, e "cioè di asfissia e di respirazione, in una continua terribile sensazione di soffocamento. "La morte sopravveniva per asfissia irreversibile una volta che il condannato non "riusciva più, o per debolezza o per l'insorgere di uno stato crampiforme generalizzato e "persistente, compiere lo sforzo sugli arti inferiori. Per questo, ogni qualvolta si voleva "accelerare la morte, si eseguiva il crurifragio.""

Il nostro Dio tra tutte le pene possibili e immaginabili ha scelto la crocifissione. In Filippesi 2,8-9 leggiamo: "Annientò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte in croce. Per questo Dio l'ha esaltato...".

Grazie a questa obbedienza Cristo viene esaltato dal Padre e gli viene attribuito il nome di Kürios, il Signore. Il Padre afferma la sua divinità per mezzo della risurrezione con la quale Cristo ascende alla destra del Padre e realizza in pienezza la sua sovranità al di sopra di qualunque creatura e di qualunque tipo di potestà (celeste, terrestre e sotterranea).

Pensate che questa cristologia era già stata elaborata a circa 20 anni dalla morte di Gesù

 

 

 

 

Lasciamo ora il commento della Lettera ai Filippesi per riprendere le fila del discorso su San Paolo.

Sulla base di quanto abbiamo letto durante il nostro corso, quale immagine abbiamo di Paolo?

Io fisserei con voi alcuni punti che mi sembrano irrinunciabili per capire la figura dell'Apostolo.

 

* 1) La lettera ai Filippesi contiene una frase che riassume tutta la figura di Paolo: "Per me infatti il vivere è Cristo e il morire è un guadagno." (1,21)

Questo è il centro dell'apostolo, di un uomo che, come il suo maestro, si è completamente svuotato per far crescere dentro di sé il Cristo. Vuol dire che il senso della vita è Cristo, ma significa anche che il vivere quotidiano è Cristo.

Per Paolo è assoluta la centralità di Cristo.

 

* 2) Un altro aspetto della personalità dell'apostolo si puo' rilevare dalla lettura della Lettera ai Filippesi 3,7-14.

Colui che arriva a dire: "Per me il vivere è Cristo" è un uomo che non si sente arrivato alla meta perché vede davanti a sé ancora un tratto di strada. E quell''"afferrare Cristo" è un qualcosa che si deve ricercare ogni giorno.

San Paolo cerca continuamente di afferrare Cristo perché è stato da Lui afferrato.

San Paolo, che è tutto per Cristo ma ancora in cammino, ci aiuta a riscoprire la dimensione del nostro essere in cammino assieme agli altri fratelli.

Una considerazione: per la diffusione del Vangelo l'Apostolo sa condividere con tutti i fratelli il loro mod di essere.

 

* 3) Leggiamo un altro brano bellissimo che ci indica lo scopo per il quale dobbiamo agire: 1 Corinzi 9,19-23.

Per Paolo l'essenziale non è tanto il condividere ma il guadagnare qualcuno alla salvezza. Quindi, lo scopo della sua vita sta nel portare altri uomini al Vangelo. L'apostolo è l'uomo del Vangelo.

 

* 4) Nella seconda Lettera ai Corinzi San Paolo, uomo della fedeltà alla tradizione, sostiene che Cristo va amato nella Chiesa.

Cristo è vivente nella sua comunità e perciò anche noi, sacerdoti e laici, come l'apostolo, dobbiamo avere una particolare attenzione per la Chiesa.

 
Corso biblico di don Roberto Pandolfi