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Lettera a Filemone

 Riandiamo allea Lettera ai Colossesi e leggiamo i versetti 7-9 del cap. 4.

 Chi era Onesimo? Sappiamo da questo brano che era di Colossi e che, mandato da Paolo, accompagna Tichico, latore della lettera.

Leggendo la lettera a Filemone scopriamo chi era Onesimo. Innanzi tutto vediamo che la Lettera a Filemone costituiva una specie di biglietto di presentazione di questo personaggio. 

Lettura di Lettera a Filemone 1-25.

Onesimo era uno schiavo di Filemone; schiavo che a un certo momento era fuggito, molto probabilmente dopo aver derubato il padrone. Giunto a Roma, incontra Paolo, si converte e diventa, così, un fratello del Signore e, quindi, anche di Filemone, il quale era stato ed era ancora il suo padrone che, secondo la legge romana, aveva il diritto di farlo uccidere.

 

In questa lettera San Paolo non condanna la schiavitù e non chiede esplicitamente che il padrone renda libero lo schiavo, anche se (molto probabilmente) velatamente esprime questo desiderio quando scrive di non mettere limiti "...sapendo che farai anche di più di quanto ti chiedo." (v. 21).

 

La schiavitù nell'antichità costituiva uno dei fattori economici che regolavano la società. Abbiamo notizia di schiavi in Mesopotamia nel 3000 a.C.

Quando Paolo scrive, il diritto romano considerava lo schiavo res, una cosa, uno dei tanti oggetti di proprietà del padrone.

Diversi erano gli statuti dell'Oriente, poi recepiti nel mondo romano, dove lo schiavo godeva di alcuni diritti, come il diritto di proprietà. Infatti poteva possedere dei beni e poteva, addirittura, essere padrone di altri schiavi; poteva, inoltre, svolgere un'attività commerciale purché il padrone ne fosse a conoscenza e ne avesse dato l'approvazione.

Per il mondo romano la condizione dello schiavo risentiva anche di quanto era avvenuto durante le sanguinose guerre civili (condotte da gruppi di schiavi che si erano ribellati ai loro padroni), che erano state vinte dai Romani stroncando nel sangue le varie ribellioni pochi anni prima dell'inizio dell'impero.

 

Per conoscere l'atteggiamento del mondo ebraico sul problema della schiavitù leggiamo Deuteronomio 20,10-15, non dimenticando che gli ebrei costituivano un popolo nato dalla liberazione dalla schiavitù e che aveva ben presente quella lontana condizione.

Nel brano è stabilito che nelle città conquistate con la guerra si procedesse all'uccisione di tutti gli uomini e alla riduzione in schiavitù delle donne e dei bambini. Invece le città abitate da alcuni popoli (elencati nel brano stesso) dovevano essere distrutte con lo sterminio di tutti i loro abitanti e di tutti gli altri essere viventi. Questo era il "Kerem", cioè lo sterminio, la guerra santa. Guerra che era detta "santa" non soltanto perché rivolta contro i popoli nemici del Signore, ma perché richiedeva, appunto, il "Kerem", lo sterminio totale di ogni essere vivente.

Consideriamo, quindi, che la guerra costituiva una notevole fonte di schiavi.

 

 

 

 

 

 

 

XXV lezione

Lettera a Filemone

 

Mi riallaccio alla lezione precedente nella quale avevamo letto e brevemente commentato Deut 20 e avevamo sottolineato alcuni elementi veramente un po' strani per la nostra sensibilità.

 

Lettura di Numeri 31,1-24

Anche in questo capitolo è presente la tematica della schiavitù.

Esistevano gli schiavi e la loro presenza è attestata in alcuni libri dell'Antico Testamento i quali raccontano i tentativi di regolamentare le condizioni di vita di queste persone. Gran parte di loro aveva la guerra come origine della propria schiavitù; erano prigionieri che venivano portati al servizio dei vincitori.

Sappiamo che i Madianiti erano nemici storici degli israeliti e che questo brano si riferisce a una vera e propria "guerra santa" durante la quale venivano uccisi tutti gli uomini catturati, mentre le donne, i bambini e tutto il bestiame erano considerati come bottino. Ma Mosè ordinò di uccidere "ogni maschio tra i fanciulli" e "ogni donna che si è unita con un uomo" (v. 17) e di conservare in vita per i vincitori "tutte le fanciulle che non si sono unite con uomini" (v. 18).

 

Gli uomini che avevano ucciso un nemico erano obbligati a rimanere fuori dall'accampamento per sette giorni e a purificarsi. Si tratta dello stesso concetto della purificazione che è alla base della macellazione rituale praticata ancora oggi dagli ebrei e dagli islamici. Notiamo che erano soggetti a purificazione anche gli oggetti costituenti il bottino di guerra.

 

Troviamo contemplato un altro motivo di schiavitù in Levitico 25,35-46 ("Riscatto delle persone") - Lettura.

Si sta parlando del differente comportamento da tenere nei confronti degli israeliti rispetto a quello consentito verso gli schiavi che si poteva acquistare scegliendoli tra gli appartenenti ad altri popoli e tra i figli degli stranieri stabiliti in Israele.

Nessun ebreo diventava schiavo di un altro ebreo - anche nel caso che si fosse venduto per pagare i debiti con il proprio lavoro - perché era un uomo libero e avrebbe potuto essere utilizzato solo come bracciante.

 

Nell'anno del giubileo si doveva tornare liberi anche dal peccato e l'ebreo in stato di schiavitù, quindi non ancora riscattato, doveva tornare libero assieme ai suoi figli.

Alcuni studiosi sostengono, però, che il giubileo (riscoperta della liberazione dalla schiavitù in Egitto) non sia mai stato celebrato in quanto avrebbe provocato una rivoluzione totale.

Nell'anno del giubileo tutto doveva essere restituito al proprietario e bisognava riconsiderare il rapporto con la terra lasciando riposare i campi. Ovviamente si dovevano preparare le scorte durante gli anni precedenti.

 

Lettura di Esodo 21,4-11

Secondo alcuni studiosi le norme del brano del Levitico appena letto costituirebbero un adattamento delle prescrizioni molto più rigide che ora leggiamo.

Notiamo l'introduzione dell'anno sabbatico (un anno di riposo ogni sette) nel quale doveva essere liberato ogni ebreo acquistato come schiavo da un altro ebreo. Anche qui è contemplata una differenza di trattamento fra gli ebrei e gli stranieri.

Osserviamo che alcuni sono schiavi per nascita.

Se uno schiavo ebreo non vuole essere liberato, diventa "schiavo di Dio" e, perciò, continua ad essere utilizzato dal suo padrone.

 

Lettura di Esodo 22

E' contemplato il caso del ladro che, non potendo risarcire il danno procurato con il furto, diventa schiavo finché non avrà estinto il debito con il guadagno del proprio lavoro.

 

Lettura di Deut 15,12-15 ("Lo schiavo").

Questo brano prevede la liberazione al settimo anno (sabbatico) dello schiavo (e della schiava) israelita, con l'obbligo per il padrone di dargli la possibilità di ricostituirsi una vita da uomo libero. Infatti è prescritto: "...non lo rimanderai a mani vuote; gli farai doni dal tuo gregge, dalla tua aia e dal tuo torchio; gli darai ciò con cui il Signore tuo Dio ti avrà benedetto..." (vv. 13 e 14).

 

Lettura di Deut 21,10-14 ("I prigionieri").

Questi versetti riguardano il trattamento della donna straniera prigioniera, la quale presa come moglie da un ebreo diventava a tutti gli effetti israelita e non poteva essere venduta come schiava.

 

Già nella Genesi è scritto che gli schiavi potevano diventare parte integrante del popolo d'Israele - ed essere, quindi, circoncisi - pur conservando la propria condizione giuridica.

 

Nell'epoca neo-testamentaria gli schiavi potevano essere liberati dal padrone e se costui era cittadino romano essi acquistavano automaticamente la cittadinanza romana, tanto è vero che lo Stato si trovò costretto a mettere un freno per legge all'alto numero di liberazioni al fine di evitare squilibri sociali. Gli schiavi liberati assumevano il nome della famiglia del padrone e ne diventavano "clientes".

 

Lettura di Gv 13,1-17

Leggiamo questo brano, anche se molto conosciuto, perché ci testimonia la dimensione in cui opera Gesù, al quale non interessa abolire o meno la schiavitù, ma interessa farsi "schiavo" e che anche i suoi discepoli si facciano schiavi.

Gesù compie il gesto dello schiavo. L'ospite (nel senso romano "colui che ospita"), il Maestro e Signore lava i piedi dei suoi discepoli.

E in proposito voglio dirvi che mi colpisce sempre il titolo del papa dal punto di vista religioso:"Servus servorum Dei"; titolo che lo richiama continuamente al suo ruolo.