00 17/11/2012 16:24

GRIDO DI PASSIONE E DI GLORIA:

DIO MIO. PERCHÉ MI HAI ABBANDONATO?

 

1 AI maestro del coro. Sull'aria “Cerva dell'aurora”.

Salmo. Di Davide.

2 Dio mio Dio mio, perché mi hai abbandonato?

Lontano, dalla mia salvezza sono le parole del mio lamento!

3 Dio mio, grido di giorno ma tu non rispondi,

di notte. non ho mai silenzio.

4 Tu sei santo

e siedi in mezzo alle lodi di Israele.

5 In te hanno confidato i nostri padri,

hanno confidato e tu li hai posti in salvo.

6 A te gridarono e furono liberati ,

hanno confidato e non restarono delusi.

7 lo invece sono un verme, non un uomo,

un rifiuto dell'uomo, lo sprezzo del popolo.

8 Chiunque mi vede, mi schernisce,

storce le labbra, scuote il capo:

9 "Si è affidato a Jahweh? Lo liberi lui,

lo scampi lui, perché in lui s'è compiaciuto!".

10Sei tu che mi hai estratto dal grembo materno,

mi hai protetto fin dal seno di mia madre;

11 a te mi sono appoggiato fin dalle viscere materne,

dal grembo di mia madre tu sei il mio Dio.

12 Non stare lontano da me,

perché I'angustia è vicina

e non vi è chi aiuti.

13 Numerosi tori mi circondano,

tori di Basan mi assediano.

14 Spalancano contro di me le loro fauci

leoni che sbranano e ruggiscono.

15 Come acqua sono versato, le mie ossa si sono dissolte,

il mio cuore è come cera, mi si fonde tra le viscere.

16 Il mio vigore inaridisce come coccio,

la mia lingua s'è incollata al palato, su polvere di morte mi hai deposto!

17 " Cani mi circondano,

una banda di malvagi mi cinge,

le mie mani e i miei piedi sono legati.

18 Posso contare tutte le mie ossa.

Essi mi osservano, mi guardano,

19 spartiscono le mie vesti,

sul mio mantello hanno gettato le sorti

20 Ma tu, Jahweh, non stare lontano,

tu, mia forza, affrettati in mio aiuto!

21 Libera dalla spada la mia vita,

dalle zampe del. cane il mio unico bene!

22 Salvami dalla bocca del leone e dalle corna dei bufali!

Mi hai esaudito!

23 Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli,

ti loderò in mezzo all'assemblea:

24 "Voi che temete Jahweh, lodatelo ,

tutta la stirpe di Giacobbe gli dia gloria,

lo tema tutta la stirpe di Israele!

25 Egli infatti non ha disprezzato e non ha sdegnato la miseria del povero,

non gli ha nascosto il volto,

quando lo invocava, l'ha ascoltato”.

26 Tu sei la mia lode nella grande assemblea,

adempirò i miei voti davanti a quelli che ti temono.

27 I poveri mangeranno e si sazieranno,

quelli che lo cercano loderanno Jahweh:

viva il loro cuore per sempre!

28Tutte le estremità della terra

si ricordino e si convertano a Jahweh,

tutte le famiglie dei popoli

si prostrino davanti a lui.

29 Poiché è a Jahweh che appartiene la regalità,

è lui che domina sui popoli.

30 A lui solo si prostreranno quanti dormono negli inferi,

davanti a lui si curveranno quanti sono scesi nella polvere,

il cui essere non è più in vita

31 La mia discendenza gli renderà culto,

parlerà del Signore alla generazione che viene,

32 annunzierà la sua salvezza

al popolo che deve nascere ancora: “Ecco I'opera di Jahweh!”.

 

 

SALMO 22 CONTINUAZIONE

 

Confronto del salmo 22 con i racconti della passione di Gesù. Notiamo che la maggiore corrispondenza nei riferimenti e nelle citazioni si trova nel Vangelo di Matteo, che si rivolge ad una comunità di ebrei convertita. E' un vangelo ricco di citazioni veterotestamentarie, perché l'evangelista vuole dimostrare ai cristiani provenienti dall'ebraismo che Gesù porta a compimento le profezie dell'antico Testamento.

Anche Giovanni, pur facendo pochissime citazioni dell'A.T., in realtà riprende quanto detto dai profeti e dai salmisti. Qualche studioso addirittura sostiene che il canovaccio della narrazione della passione in Giovanni sia proprio il salmo 22. Potremmo dire che questo racconto giovanneo sia la versione in prosa del nostro salmo.

Ricordiamo come lo scorso anno studiando il quarto Vangelo abbiamo letto tanti brani profetici senza che mai fosse citata la fonte.

 

Richiamiamo la suddivisione di massima del salmo:

1^ parte: supplica;

2^ parte: ringraziamento;

3^ parte: apertura messianica.

Ci soffermiamo brevemente sulla seconda parte (vv.23-27) in cui il ringraziamento al Signore diventa corale, liturgico.

Segue la lettura dei versetti.

Nei vv. 23-27 incontriamo il termine assemblea che è la comunità degli eletti.

Questa seconda parte ha una introduzione nel v.23. Segue un canto liturgico eseguito dall'assemblea (vv.24 e 25) poi un intervento del solista (v.26); infine, il cosiddetto " sacrificio di comunione", cioè il sacrificio di ringraziamento che veniva offerto al Signore il quale aveva esaudito le richieste.

La seconda parte del ringraziamento costituisce un salto nell'interno de salmo. Prima il credente chiede; poi all'esaudimento della richiesta personale fa seguire una liturgia di ringraziamento alla quale partecipa tutta l'assemblea.

Alcuni studiosi interpretano in senso comunitario questa composizione che non è proclamata dal singolo sofferente perché è il popolo tutto che soffre. Vorremmo dire che è il salmo della sofferenza dell'ebreo di sempre, dell'ebreo perseguitato.

Se questo è il salmo del popolo, allora la sua seconda parte è comunitaria, come il dolore di un singolo membro è sentimento di tutta la comunità. Nei versetti che stiamo considerando vi è un'assemblea che loda (il coro) intervallata dalla voce dell'orante (il solista).

Mentre qualche interprete sostiene che il salmo 22 è di tutto il popolo, altri invece ipotizzano che il protagonista possa essere il re che coinvolge tutta l'assemblea nella lode di ringraziamento. E' un'ipotesi con scarso seguito. Per altri studiosi questo salmo sarebbe di un orante che diventa un modello per tutti coloro che soffrono. In tal senso si potrebbe dire che è il salmo del sofferente, ma non del disperato.

Nella rilettura neotestamentaria il nostro salmo si riallaccia ad alcuni brani importantissimi dell'Antico Testamento, come ad esmpio quello che parla del " servo sofferente< di Jahve" (vedere Isaia). Il Messia non è un re, ma colui che soffre e si addossa, come un capro espiatorio, tutti i peccati per i quali muore nella sofferenza.

 

I simbolismi sono numerosi.

1- simbolismo spaziale.

E' lo spazio della lontananza perché Dio è lontano e ciò comporta nel credente , nel sofferente, l'angoscia che porta all'interrogativo: perché non ci sei? Qui si vede l'attualità del salmo 22.

2- Simbolismo temporale.

Sono il giorno e la notte che danno il senso della completezza del tempo( quasi una dimensione circolare del tempo).

Dio è lontano giorno e notte: ecco i tempi lunghi del signore.

3- Simbolismo zoomorfo.

Prende spunto dagli animali: toro, bufalo, leoni, cani e vermi. A proposito di questi ultimi ricordiamo come S. Francesco quando incontrava sul suo cammino un verme non lo calpestava perché quell'essere strisciante per terra gli ricordava il salmo 22 e, quindi, l'estrema umiliazione subita da Gesù nella passione.

4- Simbolo venatorio.

Ricorda la caccia nella quale l'orante è visto come la preda ferita.

5- Simbolo giuridico.

E' contenuto nel versetto 19. Infatti la spogliazione delle vesti era l'atto giuridico che si compiva quando la persona moriva. In pratica la prima divisione dei beni del defunto era proprio quella che riguardava le vesti.

6- Simbolo somatico.

E' il simbolismo del nostro corpo, come nei vv. 15-16-17. La morte si diffonde nelle membra come una piovra che prende tutto l'organismo. E' la morte che dipende dall'acqua, sia dalla sua sovrabbondanza ( diluvio è morte) sia dalla sua carenza (siccità è morte). La gola riarsa evoca la polverizzazione dell'individuo e porta alla morte, alla tomba, allo sheol.

 

 

STRUTTURA DEL SALMO

La prima parte (vv. 2-22) comprende:

A. apertura drammatica (vv 2 e 3) in cui prevale la domanda: perché sei lontano?

B. primo movimento (vv. 4-12) nel quale per colui che prega c'è un contrasto fra la lontananza e la vicinanza di Jahve. Per questo motivo l'angoscia dell'orante può anche aumentare;

C. secondo movimento (vv. 13-19): entrano in campo le varie belve e lo sfacelo fisico d colui che prega;

D. conclusione (vv.20-22): " non ti allontanare!". Ecco allora la speranza (" tu mi libererai da queste belve") e poi la vicinanza di Dio. Per il credente comincia a farsi un po' di luce.

 

La seconda parte (vv.23-27): il ringraziamento.

Si distingue:

a. apertura (v.23): il solista orante;

b. canto orale (vv.24 e 25);

c. canto del solista (v 26);

d. sacrificio finale (v.27) al quale partecipano, ed è importante, i poveri. Per noi cristiani i poveri potrebbero anche essere intesi nel senso stretto del termine. Chiediamoci se alla nostra Eucarestia partecipano i poveri ovvero se hanno un ruolo importante. Rispondiamo affermando che nella messa tutti i preseti hanno pari dignità e che il momento della carità vissuta è l'Offertorio che coincide con la raccolta delle offerte che dovrebbero essere destinate ai bisognosi della comunità. Dobbiamo considerare che le vere ricchezze della Chiesa sono i poveri.

 

La terza parte (vv.28-32): inno cosmico di ringraziamento a Jahve re universale.

Vi si riconoscono:

A. la proclamazione della regalità di Jahve (v. 29);

B. il canto cosmico a Jahve re (vv.28, 30-32)

COMMENTO

vv.2-3

Nel grido della prima riga c'è il violento contrasto tra l'aggettivo possessivo "mio", tra il " Dio mio", un Dio che sento totalmente mio e la sua lontananza. Ecco la drammaticità dell'apertura del salmo: un misto tra la sottintesa professione di fede ("Dio mio") e l'angoscia che nasce dal non sperimentare concretamente la presenza di Dio ("perché mi hai abbandonato").

Il lamento riguarda non solo lo spazio ("sei lontano"), ma anche il tempo (" di giorno e di notte"). Si tratta della lontananza più dura e totale, del silenzio più assoluto da parte del Signore. Che dire dell'inizio del salmo gridato da Gesù sella Croce: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Il versetto rispecchia il sentimento di Gesù-uomo:

è un lamento che non si esaurisce in sé, ma che si apre alla speranza e alla professione di fede in Dio che è re e domina su tutte le nazioni.

Ricordiamo la conuetudine ebraica secondo la quale citando l'inizio del salmo si penssa all'intera composizione.

vv.4-12

Ci sono alcune difficoltà di interpretazione del v.4. Nella Bibbia di Gerusalemme leggiamo "Eppure tu abiti la santa dimora". Si tratta dell'interpretazione dei settanta e di S. Gerolamo ed è senz'altro la più bella. Dio non è da lodare, ma è lui stesso la lode d'Israele, Jahve è l'origine, la causa, il fine della lode, e quindi, della liturgia. Ecco perché anche durante la Messa funebre si deve lodare e ringraziare il Signore. I salmi costituiscono il modo più alto per lodarlo: ricordiamo che sono la stessa parola di Jahve.

La Chiesa, illuminata dallo Spirito Santo, ci porta a partecipare alla grande liturgia di lode il cui vertice è la messa che è supplica, lode, ringraziamento e invocazione.

Anche il papa ricordava ai giovni nell'incontro di Como che la Messa, pur così breve, è mirabile e completa e che dobbiamo viverla come il più grande miracolo di ogni giorno, perché è il dono più grande della Chiesa ai fedeli.

La Messa è nata nelle prime comunità cristiane. Vi si leggevano l'Antico Testamento, alcuni brani della vita di Gesù e si condivideva il pane. Rea l'agape fraterna che prevedeva essenzialmente due momenti:

a) la Cena del Signore (Eucarestia).

b) la raccolta del cibo da offrire ai poveri della comunità.

La celebrazione si concludeva con un banchetto.

In base ai luoghi in cui vivevano le comunità, vennero successivamente composti dei testi di lode con la consacrazione, la procedura per l'invocazione dello Spirito Santo e la liturgia della parola. Da ciò ebbero origine i vari riti che, comunque, prevedono sempre la liturgia della parola, l'invocazione dello Spirito Santo e la Consacrazione.

Anche oggi i testi dei differenti riti vengono predisposti dalle varie diocesi e sottoposti all'approvazione della "Congregazione per il culto". Tutti ricordiamo che in Lombardia il "rito ambrosiano", quello della diocesi di Milano, è difforme dal "rito romano". Fino al 1700 circa a Como si seguiva il "rito patriarchino" ( del Patriarcato di Acquileia ) in contrapposizione al rito praticato a Milano.

Salmo 22 - continuazione

vv. 5-6: lettura

In questa strofa troviamo l'elemento tipico della fede di Israele (che diventa anche nostro): il ricordo di ciò che Dio haoperato. La fiducia che noi adesso abbiamo nel Signore si appoggia sulle grandi opere salvifiche passate. E sono tanti i testi profetici che si basano proprio su questo, come la liberazione dalla schiavitù in Egitto, la manna, la Legge e la conquista della terra promessa.

Se Dio mi ha già aiutato tante volte non può abbandonarmi oggi e in futuro.

Allora l'intervento che il salmista invoca ha una solida garanzia di esaudimento nella fedeltà salvifica divina.

vv. 7-9: lettura

E' il culmine del dramma. Questi versetti richiamano alcuni brani del "Servo di Jahve" (e in particolare Is. 52, 13 e 53, 12) nei quali si trova descritta l'abiezione a cui è ridotto l'orante. Le sventure hanno ridotto il salmista al livello del verme strisciante nella polvere.

Purtroppo, le sventure del giusto sono per il non-credente un motivo per continuare a negare l'esistenza di Dio e un motivo di scherno nei confronti del credente e, quindi, per quest'ultimo fonte di ulteriore sofferenza.

Quando il credente soffre, gli altri proprio in quel momento lo osservano e attendono la sua testimonianza. Molti di noi hanno notato come la testimonianza positiva nella prova scuota i non-credenti o, quanto meno, faccia sorgere un dubbio o porre la domanda: perché succede tutto questo?

Se rileggiamo i brani della passione del Signore ritroviamo le stesse espressioni del nostro salmo: sono le parole pronunciate dalla gente che assiste alla crocifissione di Gesù. Ecco la forza della Croce: Cristo che può (è Dio!) scendere dalla croce, non scende; può liberarsi, ma non si libera. Egli accetta liberamente la sua passione. In proposito ricordiamo l'episodio di Pietro che nell'orto del Getsemani colpisce con la spada un servo del sommo sacerdote e viene apostrofato da Gesù con le parole (Mt 26, 53-54) "Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? Ma come allora si adempirebbero le Scritture,...?"

vv. 10-12

I versetti evocano alcuni brani biblici come Is. 44, 2; Ger. 1, 5; Gal. 1,15.

Dio non si limita a conoscerci al momento della nascita, perché ci ha formato nel grembo materno. Si tratta di un'intimità profonda fra Dio e il credente. E allora: come può il Signore che mi ama così tanto abbandonarmi proprio adesso? Non può avermi creato per l'infelicità!

Diceva S. Ignazio di Loyola quando parlava dei vari spiriti: ricordati che quando sei in uno spirito di desolazione non devi disperare, perché verrà lo spirito di consolazione; nello stesso tempo quando sei in uno spirito di consolazione non pensare che duri sempre, perché verrà lo spirito di desolazione.

Questo pensiero ci aiuta ad essere molto equilibrati, perché la nostra vita è un alternarsi di momenti più o meno favorevoli, e ad essere sereni sempre, perché Dio c'é. Tutto passa, ma Dio resta.

I vv. 10 e 11 sono frutto della pace e della comunione profonde presenti nel passato del salmista: "dal grembo di mia madre tu sei il mio Dio". Non c'è stato neppure un momento in cui il salmista e il Signore siano stati distanti.

Il simbolo della nascita è bellissimo anche perchè sottolinea la grandezza di Dio che ha operato quasi come una levatrice. Se tutto ciò è vero la drammatica situazione attuale dell'orante è totalmente inspiegabile, se vista con occhio umano.

v. 19: la speranza comincia a prendere corpo.

vv.13-19 E' la descrizione dell'attuale, penosa situazione del credente; si awale dei simboli molto belli, ma ampollosi.

Entrano in scena i tori di Basan, che era una regione transgiordanica famosa per i suoi pascoli e suoi allevamenti del bestiame. I tori sono simbolo della forza violenta e in Amos 4,1 le vacche sottolineano lo spirito gaudente delle donne di Samaria.

ll toro ha una forza tremenda e può essere simbolo della violenza dei nemici, ma, anche, segno della potenza divina o di quella regale. Secondo la logica degli estremi, questo animale simboleggia le forze del bene e le forze del male.

Il leone non ha la forza brutale del toro, è un avversario più nobile e tende agguati a prede scelte fra gli animali più belli (non è uno sciacallo).

Nel v.16 irrompe il concetto di morte e qui si coglie anche la volontà di Dio: "su polvere di morte mi hai deposto". I nemici sono stati uno strumento, un tramite, per umiliare l'orante. Molto spesso il Signore è inflessibile con le persone alle quali chiede tanto: toglie loro tutto ciò che può costituire sicurezza umana. E' l'epopea di Giobbe. Dio tira la corda fino al punto di rottura, ma, quando gli si chiede umilmente, insistentemente aiuto, tutto cambia (per le persone che "camminano" nella fede è una normale esperienza spirituale).

v. 17 : "un branco di cani mi circonda".

Un'annotazione importante: per gli ebrei i cani erano animali impuri e aggressivi.

ll termine "cane" è passato a designare i prostituti sacri e le prostitute sacre ( "cani" e "cagne") dei culti cananei. Ancora oggi nell'induismo esistono le prostitute sacre:

Per gli ebrei essere colpiti da cani era motivo di ignominia e di disonore.

"hanno forato" (v.17c) ha nella versione originale vari significati: legare, scavare, lacerare e indica, comunque, una enorme sofferenza anche fisica.

Il v.18 ha una particolarità: "Essi mi guardano" deriva dal verbo "ra'ah" che significa "guardare divertendosi". Sono ancora le persone di prima, cioè i persecutori, i non credenti (v.8) a godere delle sofferenze del protagonista.

vv. 20-22: lettura

Si riprendono in chiave diversa tutti i simboli degli animali comparsi nei versetti precedenti. Ora Dio vince tutti, non ci sono problemi.

v.21b: "dalle unghie del cane la mia vita..."

Qui "vita" è espresso con "nefesh" e significa l'intero essere. Dio salva tutta la persona (anima e corpo).

Il nostro corpo è destinato alla risurrezione ed è per questo motivo che nei funerali cristiani con l'incensazione si rende onore al corpo umano nel quale c'è un alito di vita immortale. Quel corpo vivrà perché è tempio dello Spirito Santo.

vv. 23-27: lettura

Siamo in una grande liturgia di lode; Dio si prende finalmente cura del credente, dell'orante.

Si rileggano con attenzione il "Magnificat" e, prima ancora, il "Cantico di Anna" la madre di Samuele.

Ecco, il Signore interviene a favore dei poveri e degli umili.

Questo è il salmo del giusto che è stato esaudito e che non può trattenersi dal cantare per sempre la sua lode a Jahve.

"Lodate", "lode", "loderanno".

Per la prima volta compare il verbo "halal" (=lodare) la cui radice significa "splendore", "luce accecante". E' la luce di Dio che raggiunge l'uomo e lo avvolge.

La luce vera è Jahve.

V. 23: "Annunzierò" ~. "loderò"

Annunziare e lodare sono le due grandi funzioni della liturgia. La Messa è, di per se stessa, catechesi. La liturgia è già annunzio. Infatti, ecco l'annuncio esplicito dopo la Consacrazione: "Annunciamo la tua morte, o Signore, e proclamiamo la tua resurrezione...".

w. 24-25

L' assemblea che partecipa alla liturgia è formata dai poveri I " poveri di Jahve", gli "anawim" che non sono tanto i poveri in senso materiale, ma più che altro coloro che, pur umiliati, hanno una grande fiducia in Dio e sono presenti al banchetto di comunione tra Jahve, l'offerente e tutti gli altri. E' l'immagine della Messa.

La liturgia si concludeva con il sacrificio di comunione che consisteva nel mangiare la parte non bruciata delle carni che l'offerente aveva portato per il Signore. Della vittima offerta, infatti, venivano normalmente bruciate le interiora e le carni grasse, mentre il resto dell'animale era consumato dai sacerdoti, dall'offerente, dai suoi familiari e dalle altre persone presenti al rito.

Nell'olocausto, invece, la vittima veniva completamente bruciata perchè totalmente destinata a Dio.

Il banchetto di comunione ci richiama la classica immagine biblica della gioia, della contentezza, dell'allegria, della felicità.

vv. 28-32: lettura

Qui si allargano gli orizzonti: è una lode cosmica con la partecipazione di tutte le nazioni.

Davanti a Jahve "si prostreranno quanti dormono sotto terra" e si piegano "quanti discendono nella polvere".

"E io vivrò per (lui". Se mettiamo in bocca a Gesù questo salmo capiamo che si sta parlando della risurrezione. Allora. nel v. 30 I'espressione "E io vivrò per lui" ( tratta dalla traduzione dei LXX, può avere due significati:

a) vivrò grazie a lui (la causa della mia vita)

b) vivrò per piacere a lui (il fine della mia vita).

Questa non è soltanto la lode di tutti i popoli sparsi sulla terra, ma di tutte le generazioni; lode infinita(significato spaziale) o eterna (significato temporale).

Qui c'è la Messa che è memoriale del passato, del presente e del futuro. perchè ogni Messa ha in sè tutte e tre queste funzioni. Allora, è un profumo di eternità che respiriamo nella Messa.

Concludiamo dicendo che il salmo 22 ci invita a ripensare a tutte le opere che il Signore ha fatto per noi.