00 16/11/2012 20:33

Capitoli 4 e 5

 

II. Le visione profetiche

 

Capitolo 4 - lettura

I capitoli 4 e 5 sono molto ricchi di simboli e uniti tra loro, tanto che l'uno si deve interpretare alla luce dell'altro, e costituiscono l'apertura, il preludio di tutta la parte centrale del libro.

 

Notiamo innanzi tutto che all'inizio della visione c'è una porta aperta nel cielo: stiamo arrivando a un livello più profondo di rivelazione.

E' interessante considerare che circolavano a quell'epoca diversi apocalissi apocrife, non ispirate, per le quali, di fronte ad una visione più approfondita, era sempre necessaria per il veggente una lunga serie di prove. Nell'Apocalisse di Giovani, invece, i cieli sono già aperti ("....una porta era aperta nel cielo." v. 1) e, quindi, il veggente non ha dovuto schiudere a poco a poco, con i suoi sforzi, la porta.

Questo passo del brano sembrerebbe in contraddizione con il discorso sulle opere (rivedere la lezione precedente). Infatti ricordiamo che nei messaggi alle sette Chiese si insiste sulla fondamentalità delle opere in quanto coloro che non operano non potranno godere di una conoscenza perfetta di Dio. Non è una contraddizione: si tratta semplicemente di sottolineare l'azione della Grazia. Il cristianesimo, anzi il cattolicesimo, è una religione di grande equilibrio: esiste la Grazia, esistono le opere. Noi andremo in Paradiso perché Cristo è morto in croce (la Grazia) e perché pratichiamo opere che sono in sintonia con quella morte in croce.

Ancora un'annotazione introduttiva: Colui che parla in questo capitolo è la stessa "voce" che avevamo sentito parlare nelle lettere. Di conseguenza anche nel cap.4 il centro è cristologico.

 

v. 1

"....ti mostrerò le cose che devono accadere in seguito.".

Il significato di questa espressione sarà svelato alla fine dei capitoli che stiamo considerando.

 

v. 2

"Ed ecco, c'era un trono nel cielo...".

Il trono citato nella lettera alla Chiesa di Pergamo era la sede del proconsole rappresentante di Roma, e quindi della "bestia" (Ap. 2,13).

Questo trono, invece, è diverso perché non è eretto sulla terra ma nel cielo. Ecco la differenza fra i troni terrestri e il trono di Dio. E, per descrivere questo trono, Giovanni fa riferimento all'Antico Testamento e precisamente ai capitoli 25, 26, 27 e 28 dell'Esodo (nei quali si descrive l'arredamento del Santuario, del Tempio itinerante) e a 1 Re, 6.

Lettura di 1 Re 6,1-13, che riguarda la descrizione del Tempio di Salomone, la cui successiva distruzione ad opera dei Babilonesi mise veramente in crisi l'ebraismo perché Dio aveva promesso di abitare in mezzo agli Israeliti. In 1 Re 6,13 leggiamo: "Io abiterò in mezzo agli Israeliti; non abbandonerò il mio popolo Israele".

A questo proposito ricordiamo che, secondo i Salmi, il Signore abitava nel Tempio.

Dopo la distruzione del secondo Tempio da parte dei Romani, l'ebraismo non fu più la religione del Tempio (del sacrificio e della parola) ma della Sinagoga (in greco=riunione, da sün=insieme e agogè=il condurre), e quindi solamente della Scrittura e della Torah.

 

Prosegue la lettura e la spiegazione di 1 Re 6,14-22.

A proposito dello sfarzo e dei rivestimenti d'oro del Tempio ricordiamo che S.Francesco obbligava i suoi frati alla povertà personale ma, nello stesso tempo, a recare con sè durante i viaggi missionari una pisside d'oro per collocarvi l'Ostia consacrata qualora avessero trovato il SS. Sacramento non dignitosamente conservato. Come per la dimora del Signore, il Tempio di Gerusalemme, così per l'Ostia consacrata, la povertà non era ammessa. Si trattava di una grande intuizione del Santo perché si era allora agli inizi dell'adorazione eucaristica e non esistevano norme liturgiche precise.

 

Lettura di 1 Re 6, 23-30.

 

Nel cap.4 dell'Apocalisse siamo di fronte a un luogo liturgico, al tempio del cielo che prende il posto del Santuario itinerante e del Tempio di Gerusalemme.

 

 

v. 3

"Colui che stava seduto era simile nell'aspetto a diaspro e cornalina."

Il diaspro è un quarzo a macchie che si scolpisce per decorazioni, mentre la cornalina è una pietra preziosa di colore rosso chiaro o rosso scuro. Sono due termini che rendono l'idea della lucentezza e della grandiosità di Dio.

 

v. 4

"...ventiquattro vegliardi...". Ventiquattro è multiplo di dodici, numero simbolico, che per l'ebraismo rappresenta le dodici tribù d'Israele e, per il cristianesimo, i dodici apostoli. Sono soltanto delle ipotesi che lasciano francamente perplessi.

 

A proposito di questo numero simbolico scopriamo nell'Antico Testamento e precisamente in 1 Cronache 1,25 che Davide istituì ventiquattro classi di sacerdoti cantori (cioè adibiti al canto liturgico): oggi potremmo definirli "salmisti". Se invece ci riferiamo al giudaismo di quell'epoca, vediamo che i libri della Bibbia ritenuti ispirati erano ventiquattro (in quanto i libri profetici minori in molte tradizioni erano raggruppati in un libro solo). Allora il numero in questione potrebbe rappresentare l'Antico Testamento che rende omaggio al trono di Dio e, come si vedrà in seguito, a Colui che porta a compimento l'Antica Alleanza.

 

"Vegliardi". Potremmo tradurre meglio con "anziani", la cui funzione appare importantissima sia nell'Antico che nel Nuoco Testamento. Ad esempio, dagli "Atti degli Apostoli" risulta che le comunità cristiane prima di assumere importanti decisioni consultassero anche gli anziani. E' appena il caso di ricordare che "prete" deriva dal greco "presbüs" cioè "anziano".

I vegliardi che stanno intorno al trono "...avvolti in candide vesti con corone d'oro sul capo..." hanno tre funzioni:

1) sacerdotale, cioè di adorare e, come vedremo dopo, di presentare le preghiere e le offerte dei fedeli al Signore. Notiamo che il sacerdote celebrante la Messa all'offertorio offre a Dio anche le intenzioni, le pene, le gioie dei fedeli;

2) regale, perché i vegliardi portano la corona d'oro sul capo;

3) di governo, perché anch'essi sono assisi sui troni.

Abbiamo quindi ventiquattro personaggi importanti, sacerdoti e re, che governano assieme a Dio.

 

v. 5

Le sette lampade rappresentano la grandezza dello Spirito.

 

 

 

v. 6

"...quattro esseri viventi...". Quattro è numero simbolico. Quattro sono i punti cardinali, i venti, gli elementi del mondo. E' un numero che indica l'universalità e, quindi, questi quattro esseri viventi hanno un'azione di portata universale.

 

"...pieni d'occhi...". Sono esseri viventi un po' strani; gli occhi indicano la multiforme sapienza di Dio, la Sua onniscienza e la Sua provvidenza. Riferimenti biblici di questi strani personaggi, che hanno la funzione di sottolineare il mistero divino, si trovano in Ez. 1 e in Is. 6.

 

v. 7

I simboli dei nostri esseri viventi rappresentano anche i quattro evangelisti secondo un'interpretazione simbolica data per primo da S.Ireneo e, in seguito, da tutti i Padri della Chiesa.. Quattro è il numero dei Vangeli e indica l'universalità della parola ma nello stesso tempo l'universalità delle persone alle quali si rivolge la parola di Dio.

 

v. 8

"Santo, santo, santo...".; "Tu sei degno, o Signore e Dio nostro..." (v. 11); "Un arcobaleno simile a smeraldo avvolgeva il trono..."(v. 3); "Sette lampade accese ardevano davanti al trono..." (v. 5).

Siamo in un contesto liturgico sia come luogo che come situazione; siamo in una liturgia celeste nella quale notiamo un ritmo ternario ("Santo, santo, santo..." v. 8 e "..la gloria, l'onore e la potenza..."" v. 11) che sottolinea la perfezione di Dio. Ci troviamo di fronte a qualche cosa di sublime: all'adorazione di Dio.

 

v. 10

In questo versetto è contenuta la dichiarazione della superiorità del Signore rispetto all'uomo. Infatti "...i ventiquattro vegliardi si prostravano davanti a Colui che siede sul trono e adoravano Colui che vive nei secoli dei secoli e gettavano le loro corone davanti al trono...".

I vegliardi, togliendosi la corona, affermano la supremazia di Dio che è il vero re, mentre loro sono re soltanto per partecipazione. I ventiquattro si comportano perciò ben diversamente dalla bestia e da tutti i re terreni, che mai getterebbero spontaneamente la corona davanti al trono divino.

 

v. 11

"....perché tu hai creato tutte le cose, e per la tua volontà furono create e sussistono.".

Dio è provvidente. Dio crea le cose e le fa sussistere.

 

 

 

Capitolo 5- lettura.

 

vv. 1-5.

In questa seconda parte della visione si ritrovano i personaggi del cap.4 ma è evidentissimo un elemento nuovo: un libro a forma di rotolo. E subito un angelo proclama: "Chi è degno di aprire il libro e di sciogliere i sigilli?".

Soffermiamoci sul termine "libro" che nel nostro capitolo - in greco - è ripetuto sette volte (nel testo italiano compare per otto volte perché nel v.7 è stata aggiunta questa parola per rendere meglio comprensibile la traduzione).

 

In sintesi potremmo dire che il libro:

1 - partecipa dell'autorità di Dio il quale lo regge nella mano destra, che è il simbolo dell'autorità. E' opportuno ricordare che la destra è anche la mano che colpisce e, nei salmi, la mano che regge la spada;

2 - è completamente sigillato con sette sigilli (numero che indica la totalità);

3- è scritto sui due lati : "...sul lato interno e su quello esterno..." (v. 1).

 

Leggiamo a questo riguardo Ezechiele cap.2 che si conclude con "...teneva un rotolo. Lo spiegò davanti a me; era scritto all'interno e all'esterno e vi erano scritti lamenti, pianti e guai.". Se teniamo sullo sfondo questo brano, possiamo affermare che il libro di cui parla l'Apocalisse è costituito soprattutto da lamenti, pianti e guai.

 

 Riprendiamo il cap. 2 di Ezechiele che ci induce a pensare a un "libro", scritto all'interno e all'esterno, contenente lamenti, pianti e guai. Sulla natura di questo libro sono state fatte due ipotesi:

1) il "libro a forma di rotolo" raffigurato nell'Apocalisse rappresenterebbe l'Antico Testamento che solo Cristo può rivelare in pienezza dandone, così, l'interpretazione autentica. Senza Gesù Cristo l'Antico testamento resterebbe un libro sigillato;

2) questo libro rappresenterebbe il piano di Dio, il progetto di Dio che è sigillato e che solo Gesù Cristo può rivelare.

Sia che si accetti la prima o la seconda ipotesi il centro è Cristo. L'Antico Testamento costituisce una preparazione alla venuta di Gesù il quale, nello stesso tempo, ci aiuta a rileggere quel testo retrospettivamente, in modo da comprenderlo in pienezza.

Parliamo sempre, sia ben chiaro, di Gesù risorto. La risurrezione è di capitale importanza perché senza di essa Gesù Cristo non sarebbe altro che un fallito della storia. Infatti la risurrezione permette agli apostoli e ai discepoli di rivedere la vicenda terrena di Gesù con occhi diversi: quell'uomo bravo, buono, coerente, morto in croce, è veramente Figlio di Dio.

 

v. 5 - lettura

"...ha vinto il leone della tribù di Giuda...".

Notiamo una voce verbale al passato. Si tratta di un verbo che nell'Apocalisse è costantemente associato alla vittoria dei credenti. In questo versetto, comunque, "ha vinto" si riferisce alla vittoria di Cristo. Rileggiamo in proposito le bellissime parole di Gv 16,33: "Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!". Anche qui si sta parlando al passato. Possiamo dire che la stessa incarnazione di Gesù, la sua presenza terrena, prima ancora della morte in croce, siano manifestazioni della vittoria divina sul mondo. E' proprio una vittoria di Dio che non è rimasto nel suo cielo ma ha dimostrato di sapersi accollare il mondo. (E questo ci rincuora tantissimo). Dalla sua vittoria sul mondo Gesù Cristo riceve il potere di aprire i sigilli.

 

"il leone della tribù di Giuda" e "il germoglio di Davide"

I titoli attribuiti da uno dei vegliardi a colui che aprirà il libro e scioglierà i sette sigilli ci rimandano a Davide e, quindi, a una dimensione del Messia (la famiglia davidica, il discendente di Davide, ecc.). Per quanto concerne "il leone della tribù di Giuda" il riferimento è a Genesi 49,9 e al brano messianico per eccellenza 2 Samuele 7.

 

vv. 6-10 - lettura

Inizia ora in onore dell'Agnello una grande liturgia in tre tempi:

1) vv. 6-10

2) vv. 11-12

3) vv. 13-14

Ritroveremo il termine "agnello" ben 28 volte nell'Apocalisse. Ecco il simbolismo numerico: 28 è il prodotto di 7 x 4, due cifre che dicono pienezza e totalità.

Cerchiamo di chiarire il significato di "Agnello".

Nel testo greco della Bibbia si usano due parole per definire l'Agnello, secondo le diverse sfumature che assume questo termine:

1) amnòs

2) arnìon

Prendiamo in considerazione quest'ultimo termine che originariamente era il diminutivo di ariete (piccolo ariete) e che in seguito, all'epoca di Gesù, aveva assunto i due significati di "agnello" e di "ariete". Vediamo allora di dare delle valenze ad "armòn", parola carica di simbolismi. Subito pensiamo a:

 

1) Esodo 12, 1-14 e 29 (sempre cap.12). Lettura

L'Angelo sterminatore è passato ma il sangue posto sugli stipiti ha preservato gli Israeliti. Il sacrificio dell'agnello è un sacrificio sostitutivo: gli ebrei, cioè, hanno ammazzato l'arniòn invece di sacrificare i propri primogeniti.

Ripensiamo agli episodi biblici di Abramo e di Isacco e quell'ariete (un agnello cresciuto) che il grande patriarca trova impigliato fra i cespugli. L'agnello si immola per salvare la vita ai primogeniti degli Israeliti. Il sangue dell'agnello permette la salvezza: ecco il paragone con Gesù.

2) Isaia 53. "Quarto canto del servo del Signore" e il famoso "servo sofferente". Lettura. Soffermiamoci sul v. 7.

Il sacrificio dell'agnello si incarna qui in una persona, il misterioso Messia, il "servo di Jahwe" che salverà tutti con la sua sofferenza. Sono evidenti anche in questo caso due riscontri in quanto l'agnello ci richiama:

a) qualcuno che dà la vita per gli altri,

b) qualcuno che viene ucciso per permettere agli altri di vivere.

Ecco il retroterra biblico di questa figura.

 

Torniamo all'Apocalisse.

Mentre i testi dell'Antico Testamento usano "amnòs", che ci richiama la mitezza, l'obbedienza e la non-ribellione, Giovanni adopera la parola "arnìon" che racchiude anche altri significati, come, ad esempio, un contenuto di giudizio.

Giovanni Battista, che per primo chiamò Gesù "Agnello di Dio", nella sua predicazione non pensa certo a un Messia mite e buono, ma a un Messia giudice. Infatti in Mt 3 leggiamo: "Già la scure è stata posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco" (v. 10) e "Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile (v. 12).

Di fronte a una realtà ben diversa da quella auspicata, il Battista entra in crisi e mentre si trova in carcere manda i suoi discepoli a chiedere a Gesù se Egli sia veramente Cristo. In Mt. 11 è contenuta la stupenda risposta del Messia: "Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: i ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano..." (v. 4). Gesù non usa il ventilabro ma siede addirittura a mensa con i peccatori. Viene allora spontaneo pensare che Giovanni Battista esclamando "Ecco l'agnello di Dio.." (Gv. 1,29) non avesse proprio presente l'idea di un Messia mite e umile, ma, piuttosto, l'arnìon, l'agnello che è contemporaneamente anche ariete. Ne deriva che il giudizio è una componente essenziale di questo agnello mite che, però, giudica.

Un'altra annotazione interessante: nella letteratura apocrifa e nell'Antico Testamento la parola greca "arnìon" è riferita a chi esercita la funzione di guida del popolo.

Credo che si debbano tenere ben presenti tutte queste diverse sfumature per capire chi sia l'agnello di cui parla l'Apocalisse: un Cristo mite e umile che si è immolato ma, allo stesso tempo, un Cristo giudice e, diciamolo pure, un po' guerriero (vedi le "sette corna" del v. 6). Gesù non è perciò quella figura remissiva alla quale siamo abituati a pensare quando, anche nelle nostre Chiese, proclamiamo: "Ecco l'Agnello di Dio, ecco Colui che toglie il peccato del mondo".

E nel v. 6 è scritto: "Poi vidi ritto in mezzo al trono circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi un agnello, come immolato". Si tratta di un Agnello che ha subito la croce, l'immolazione; ma che adesso è ritto in mezzo al trono: Cristo morto e risorto, glorioso, giudice della storia.

 

Le "sette corna" di cui è dotato l'agnello sono un simbolo di potenza guerresca ma anche il segno dell'efficienza messianica.

 

I "sette occhi" simboleggiano i sette spiriti mandati su tutta la terra. L'Agnello possiede, perciò, la pienezza dello Spirito.

Se gli occhi sono segno della Provvidenza di Dio che tutto vede e a tutto provvede, allora a questo agnello è stato demandato anche tale potere. Potremmo senz'altro definire l'Agnello come il "provvidente", Colui che pensa a guidare la storia e la vita di ciascuno di noi.

 

v. 8 -lettura

"...coppe d'oro colme di profumi che sono le preghiere dei santi".

Quando ci scoraggiamo, perché abbiamo la sensazione che le nostre preghiere non portino ad alcun effetto, rileggiamo questo brano dell'Apocalisse per riacquistare la certezza che le nostre suppliche, comunque portate davanti al Signore, valgono.

Diceva una delle nostre suore di clausura nel Monastero della Visitazione che uno degli scogli più difficili da superare nella vocazione consiste nel pregare in continuazione senza mai conoscere l'effetto delle proprie preghiere. Sono claustrali che pregano tutto il giorno secondo le intenzioni dettate dalla Superiora che, sola, conosce, attraverso la lettura dei giornali, quanto accade nel mondo.

vv. 9-10. Lettura

"Cantavano un canto nuovo"..." (v. 9)

Il canto nuovo esalta il ruolo di Gesù nella salvezza: la passione di Cristo e la sua resurrezione hanno una dimensione di redenzione per tutti gli uomini vissuti in ogni tempo. Notiamo in questo due versetti il ritorno del numero quattro (tribù, lingua, popolo e nazione) per sottolineare proprio simbolicamente l'universalità dell'opera redentrice di Gesù Cristo.

 

"...un regno di sacerdoti..."(v. 10)

Cristo è venuto a dare inizio al regno di Dio, che è anche un regno concreto, con una dimensione visibile, umana; regno d'amore, inteso come dominio di Dio sul cuore degli uomini e, di conseguenza, sull'umanità intera.

Giovanni non si riferisce qui ai sacerdoti ministeriali, ma ai sacerdoti comuni, cioè i battezzati. Viene da domandarsi se siamo consapevoli di esser sacerdoti, ossia di avere la possibilità di compiere azioni sacre. Ogni azione nostra diventa sacra. Stiamo allora attenti a non desacralizzare i nostri comportamenti facendo il male. Comportiamoci correttamente e i nostri sacrifici spirituali saranno a Dio graditi.

 

Sottolineamo ora nell'espressione "siamo un regno di sacerdoti" la dimensione della regalità. Siamo tutti re e regine secondo lo stile di Cristo, che è lo stile del servizio. Siamo re e sacerdoti che si mettono al servizio di Dio servendo l'umanità. Ben a ragione possiamo affermare di essere tutti dei "pontefici",cioè delle persone che costituiscono un ponte tra Dio e l'umanità, e di avere dignità regale e sacerdotale in quanto associati alla morte e alla resurrezione di Gesù attraverso il Battesimo.

 

vv. 11-12- lettura

Ora cambiano i protagonisti ed entrano in scena gli angeli adoranti.

Notiamo che gli attributi dell'Agnello sono sette, numero simbolico che indica pienezza del potere; potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione. Questo Agnello, a cui nulla manca, è il detentore del potere ed è stato reso perfetto dalla morte patita.

Siamo di fronte a una dossologia, a una solenne liturgia.

vv. 13-14. lettura.

L'adorazione, iniziata nella cerchia ristretta dei vegliardi e dei quattro esseri viventi, si estende a tutte le creature del cielo e della terra. Adesso tutto l'universo è chiamato alla venerazione. E si tratta di una bellissima lode cosmica espressa con una liturgia sia celeste che terrena.

L'Apocalisse non ci proietta solo nel "dopo" o nel "sopra", ma anche nel presente, perché qui e adesso si deve compiere l'atto di adorazione. Tutto il cosmo entra nel progetto di Dio e i quattro esseri viventi che "dicevano:Amen" diventano allora l'emblema di tutta la creazione. Sono quattro (l'universalità) a dire "amen", "così è", concludendo in tal modo tutta la grande lode con una professione di fede.

Se vogliamo essere apocalittici, dobbiamo essere portatori della speranza, della salvezza, del rispetto per tutti, perché ogni uomo è stato redento a prezzo del sangue di Cristo. Sentiamoci chiamati alla conversione, alla salvezza assieme a tutti gli altri uomini e scopriamo che i nostri non saranno più occhi di giudizio ma di accoglienza.