00 16/11/2012 20:42

Capitolo 17

 

vv. 1-18

Lettura di uno dei brani più intricati dell'Apocalisse. Saranno utili alcune annotazioni introduttive tenendo già presente il successivo capitolo 18.

I capitoli 17 e 18 introducono alla conoscenza delle differenze fra le due note città, Gerusalemme e Roma. Una è la sposa dell'Agnello e l'altra è colei che combatte l'Agnello e i suoi santi. I nostri due capitoli hanno molti elementi comuni ma si differenziano per il genere letterario. Infatti il primo parla di una visione mentre il secondo costituisce quasi un canto funebre.

 

Ci accorgiamo facilmente della presenza di un crescendo che va in senso contrario all'ordine di apparizione di alcuni personaggi (il dragone; comparso per primo, poi le due bestie e, infine, la prostituta). Infatti vengono eliminati, uno alla volta, in senso inverso alla loro presentazione, prima la prostituta, poi le due bestie e per ultimo il dragone.

 

Il tema centrale di questo e dei successivi capitoli (almeno fino al cap. 20) sarà il giudizio di Dio che adesso si sta realizzando e che costituisce lo sviluppo di quanto letto sulla settima coppa.

 

La visione pone al centro la donna, mentre la spiegazione si sofferma soprattutto sulla bestia e sulle sue corna per poi riprendere alla fine del capitolo, quasi in un versetto sintetico,: "La donna che hai vista simboleggia la città grande che regna su tutti i re della terra" (v. 18).

Notiamo anche la rapidità dei passaggi e la sovrapposizione delle immagini (come, ad esempio, nel v. 11).

 

Cominciamo ad analizzare il primo simbolo: la prostituta.

Abbiamo già incontrato nella lettura dell'Apocalisse personaggi femminili come la donna con la luna sotto i piedi che dava alla luce un bambino poi sottratto al drago. Ebbene, questa donna è esattamente l'antitesi della prostituta potente che rappresenta Roma con i sette colli. Però gli occhi della fede ci aiutano a vedere la realtà nella giusta dimensione. La dea madre Roma, venerata e temuta, simbolo dell'unità dell'impero, in realtà - se guardata con gli occhi della fede - non è altro che una prostituta, madre sì ma di tutte le prostitute. Lo afferma già il titolo del cap. 17.

Come cristiani dobbiamo preoccuparci di leggere tutte le realtà autenticamente, tenendo presente che quanto non promuove Dio e l'uomo è da condannare. Nella prostituta, ad esempio, l'apparenza nasconde una realtà immorale. E questo è proprio il quadro di Roma a quell'epoca, con tutti i segni della decadenza che poi arriveranno a maturazione. E' un'immagine biblica quella della città corrotta per eccellenza e riguarda varie città, come ad esempio Tiro, di cui si parla in Isaia 23, e Ninive della quale scrive il profeta Naum in 3, 1-7 (lettura). In quest'ultimo brano è presente il paragone fra Ninive e la prostituta. Nello stesso capitolo si parla di Tebe, città che rappresenta l'Egitto, nemico storico di Israele.

La realtà della prostituta è applicata alla stessa Gerusalemme in Geremia 3 e in Ezechiele 23.

 

La prostituta, Roma, siede "sopra una bestia scarlatta" (17,3) ma non per dominarla bensì per essere usata come suo strumento. La città, infatti, è strumento della bestia; è al suo servizio.

Un secondo simbolo è costituito evidentemente dalla bestia che nei capitoli 17 e 18 dà unità a tutti gli altri simboli. Infatti è nominata ben otto volte. E notiamo che da lei dipendono sia la donna sia i re.

La bestia ci è presentata in una sorta di "parodia". Al v. 8 è scritto: "...era ma non è più, salirà dall'Abisso ma per andare in perdizione.". E ritroviamo quasi le medesime parole nello stesso versetto 8 e nel successivo v. 11. Si tratta esattamente del cammino opposto a quello percorso dall'Agnello, che sembrava sconfitto ed è vittorioso, che è morto ma è risorto. Infatti la bestia non risorgerà ma andrà in perdizione.

 

Alcune ipotesi sull'identità dei re.

I dieci re dovrebbero essere i sovrani alleati di Roma, i quali alla fine, secondo il disegno divino, si ribelleranno e faranno scempio della prostituta (vv. 16-17).

In particolare,

1) per alcuni studiosi vale un'interpretazione in senso storico, secondo la quale si tratterebbe dei primi imperatori fino a Vespasiano; sarebbero esclusi dal numero i tre sovrani che sono durati pochi mesi. L'ottavo imperatore sarebbe Tito, che ha regnato soltanto per due anni. Per sostenere questa ipotesi dovremmo ammettere che Giovanni, anche se ha scritto l'Apocalisse al tempo di Domiziano, fingesse di scrivere durante l'impero di Vespasiano;

2) per altri i sette re non dovrebbero essere intesi come tali, ma sarebbero i famosi sette tempi dei quali parlava la letteratura orientale dell'epoca, legati ognuno a un pianeta. Alla conclusione di questi tempi sarebbe iniziato l'ottavo, il tempo finale, quello dell'età dell'oro. Sarebbe come sostenere che con lo scontro finale sia iniziato l'ottavo tempo;

3) per altri interpreti ancora si pone il problema di conciliare l'ottavo re, che è anche uno dei sette, con la bestia. L'ottavo re sarebbe allora Diocleziano, talmente feroce da essere considerato, secondo l'opinione comune del popolo di Roma, reincarnazione di Nerone che era uno dei sette.

 

A questo punto dobbiamo convenire che stiamo leggendo uno dei passi più oscuri dell'Apocalissi. Aggiungo solo che la prostituta, che sembrava così potente e venerata, in realtà è un semplice strumento dei disegno di Dio. E gli altri strumenti, cioè i re e la bestia, alla fine "...la spoglieranno e la lasceranno nuda, ne mangeranno le carni e la bruceranno col fuoco" (17,16b). Qui si legge proprio la storia di Roma imperiale e di tanti altri imperi. Potremmo dire con una frase ad effetto: il sistema divora se stesso.

Teniamo comunque presente che questa pagina è la rivelazione del mistero, cioè del piano di Dio che si compie. Inoltre ricordiamoci che non esiste una esaltazione di Dio separata dall'esaltazione dell'uomo. Quando l'esaltazione del Signore è fine a se stessa e opprime l'uomo siamo di fronte a un altro caso di bestia, anche se ammantato di belle parole. Stiamo quindi attenti a giudicare anche i fatti di Chiesa con gli occhi della fede, come ci suggerisce l'Apocalisse. E il Papa ce lo sta insegnando anche con il recente documento sulla Shoah..

XXIII LEZIONE

 

Capitolo 17 (continuazione)

 

Ricordiamo che i capitoli 17 e 18 sono da leggere di seguito in quanto descrivono la vittoria dell'Agnello, del Cristo, sulla prostituta (Babilonia-Roma), sulle due bestie (impero romano e la sua forma propagandistico-religiosa) e, per ultimo, sul dragone.

Abbiamo già evidenziato che questa vittoria avviene nei confronti di personaggi che nel corso del racconto erano comparsi in modo inverso (prima il dragone, poi le due bestie e, infine, la prostituta), quasi a dire che l'azione salvifica inizia da ciò che appare per scendere sempre più in profondità.

 

Capitolo 18

 

vv. 1-24 - lettura

E' un capitolo lungo, composito, ma abbastanza semplice nella sua struttura.

Siamo di fronte a una serie di giudizi non più parziali, ma definitivi: è la resa dei conti.

Rammentiamo che nel cap. 14 abbiamo incontrato al v. 6 la parola "vangelo" (che in greco significa "buona novella") e che al v. 8 si parla della caduta di Babilonia. Ecco, nel cap. 18 "la buona novella", cioè il vangelo, è realizzata.

Nel nostro capitolo la caduta di Babilonia viene descritta attraverso le reazioni all'avvenimento. Infatti sono diverse le voci che ci danno un'immagine, un'opinione sulla distruzione della grande città. Si tratta di personaggi celesti e di personaggi terreni. Ciò significa che l'avvenimento non coinvolge solo la terra - e non ha, quindi, soltanto una dimensione superficiale - e perciò esige una lettura diversa e più profonda: la lettura celeste.

 

Notiamo come siano mischiati i tempi dei verbi (presente, passato, futuro), resi abbastanza correttamente nella versione italiana. Fatti che sembrano già avvenuti, perché definiti al passato ("E' caduta, è caduta Babilonia la grande..." v. 2), li troviamo poi in una prospettiva futura. Ciò è tipico della letteratura profetica che entra nella profondità di Dio per il quale non esiste il tempo. Dio è eterno e, quindi, al di fuori del tempo. Dio è l'eterno presente, passato e futuro. Ecco spiegati tutti i cambiamenti dei tempi verbali; un avvenimento è già passato e succederà.

Quale esperienza noi viviamo che esige la collocazione in questa mentalità? L'esperienza della Messa, dell'Eucarestia. Infatti il "memoriale" riunisce in sè tre caratteristiche, il passato, il presente e il futuro, che non si distinguono più in quanto si fondono in un'unica celebrazione.

 

Il cap. 18, come tutti gli altri dell'Apocalisse, ha un notevole sfondo vetero-testamentario. In particolare rieccheggiano qui i capp. 26 e 27 di Ezechiele, nei quali si parla della maledizione e della distruzione di Tiro, e il cap. 51 ("Il Signore contro Babilonia") di Geremia con una sottolineatura per i vv. 6 e 45.

Ritengo utile anche considerare Isaia 48, vv. 20-22 ("La fine dell'esilio"). In questo brano è molto evidente una rilettura dell'esodo. La situazione dell'esilio e di Babilonia viene illuminata da quella dell'esodo e dell'Egitto che gli ebrei avevano vissuto alcuni secoli prima.

Ecco, questo è il "memoriale": un passato che diventa presente e sarà futuro. E questo è il continuo cammino del popolo di Dio.

I profeti erano uomini di Dio che sapevano scrutare la realtà leggendola alla luce dell'esperienza che il Signore aveva imposto al popolo e, quindi, alla luce della sua fedeltà amorosa (vedere i Salmi). Anche noi dovremmo essere, come i profeti, uomini di conversione e di speranza in quanto testimoni della grandezza che Dio ha operato.

Anche nell'episodio della distruzione di Sodoma e Gomorra narrato in Genesi 19, vv. 1-26 (lettura) è presente il tema del fuoco e dei giusti che se ne devono andare dalla città non solo in senso fisico, ma anche in senso morale.

 

In fondo il nostro capitolo appare come una raccolta di testi profetici su diverse città (Tiro, Sidone;, Babilonia, ecc.); testi che condannano l'idolatria come rifiuto di Dio e come esaltazione, invece, di tutto ciò che è materiale e che induce alla presunzione. Le ricchezze materiali, infatti, portano alla presunzione di potersi salvare senza Dio. Allora l'idolatria non è semplicemente credere in altre divinità, ma è anche il fare assurgere a divinità delle cose materiali. Inoltre Roma, in questo caso, non è solo vista come città idolatra, ma addirittura come centro di irradiazione dell'idolatria stessa.

"...tutte le nazioni dalle tue malie furon sedotte." (18,23). L'idolatria non è solo un peccato personale, ma un peccato che contagia. Ciò appare vero anche oggi. Constatiamo quanto il consumismo e la ricchezza materiale attraggano i paesi poveri. Viene allora da chiedersi: che valori proponiamo noi a questi paesi?

 

Notiamo la terribile frase del v. 13 in cui si parla di tutti i "beni" che arrivano a Babilonia. Com'è attuale l'ultima parte di questo versetto "...schiavi e vite umane"!

Sono le migliaia di prostitute straniere che vivono in Italia, le migliaia di persone che, sempre nel nostro Paese, svolgono lavoro in nero, le migliaia di donne italiane ancora sfruttate anche nel lavoro.

Noi cristiani non possiamo restare indifferenti di fronte a queste situazioni.

 

Per chi la valuta in termini materialistici e mercantili, la caduta di Babilonia rappresenta una grande perdita. I mercanti, i naviganti, i re della terra hanno perso tutto e, non avendo più benefici, "...se ne stanno a distanza..." (v. 17)

 

Questo capitolo ci insegna che non dobbiamo fondare i rapporti umani sull'interesse. E' bene valutare ciò che ci circonda con gli occhi della fede. Dobbiamo evitare uno sviluppo fondato solo sull'economia e sul profitto.

 

Per coloro che hanno fede la sciagura che colpisce Babilonia diventa un fatto molto importante, perché è morta non una città che procurava profitto ai mercanti, bensì una città che condannava i santi e i profeti e li uccideva, e che commerciava in schiavi e in vite umane. Ricordiamo che a quell'epoca gli schiavi erano ancora considerati delle "cose" (anche per Giovanni). Vi invito a rileggere la breve "Lettera a Filemone" di Paolo sul trattamento da riservare allo schiavo Onesimo.

 

"Uscite, popolo mio, da Babilonia

per non associarvi ai suoi peccati

e non ricevere parte dei suoi flagelli" (v. 4)

L'appello pressante rivolto al popolo non riguarda unicamente un'uscita fisica dalla città, ma rappresenta anche un invito a non associarsi ai peccati, a non lasciarsi contaminare. Significa essere "nel" mondo e non "del" mondo. I cristiani, cioè, devono distinguersi per il loro modo di essere e di agire. A questo punto riscopriamo il nostro essere profeti di denuncia del peccato, di quelle che il Papa chiama le "strutture del peccato". E l'uscita morale dal mondo del peccato costituisce l'inizio del commino di salvezza per il popolo che diventa nel mondo il centro di irradiazione della salvezza. Ecco la funzione della Chiesa: portare nel mondo la salvezza cercando di non contaminarsi.

 

Nel brano che stiamo considerando viene applicata alla lettera la giustizia giudaica:

"Pagatela con la sua stessa moneta,

retribuitele il doppio dei suoi misfatti" (v. 6).

Nel cap. 18 ci troviamo di fronte ad una concezione veramente vetero-testamentaria della giustizia. E' interessante rileggere in proposito Esodo 22, ed in particolare i vv. 6-8, per vedere come fosse normale per la legislazione giudaica l'obbligo della restituzione del doppio di quanto sottratto con un furto.

Un superamento di tale norma si ha con Zaccheo (Lc. 19) il quale è disposto a restituire il quadruplo di quanto frodato al prossimo. Con l'entrata in scena di Gesù il dovere viene superato dall'amore.

Allora, possiamo concludere affermando che Babilonia si è autogiudicata. Con il suo comportamento, con la sua idolatria, ha espresso il giudizio su di sé: è condannata. Ma anche noi non abbiamo bisogno di essere condannati dal Signore; siamo noi stessi che ci condanniamo perché Dio ci ha offerto quanto è necessario per arrivare in paradiso.

vv. 21-24 - lettura.

Sono versetti che contengono la rivelazione di un "angelo possente", il quale prende una mola e la getta nel mare. E' un gesto simbolico che richiama Geremia 51, 60-64 (lettura). Si tratta di un segno di morte. Infatti sappiamo che il Deuteronomio proibiva di sottrarre al debitore la mola con cui veniva macinato il grano perché da quella pietra dipendeva la vita di una famiglia. Gettare la mola significava, quindi, dichiarare di voler morire.

 

Cominciamo, poi, a notare sullo sfondo un argomento che sarà sviluppato nei capitoli successivi e al quale si era già accennato nel cap. 14, là dove si parla delle musiche che si udivano a Gerusalemme. Ebbene, in questa città

"La voce degli arpisti e dei musici,

dei flautisti e dei suonatori di tromba,

non si udrà più in te..." (v. 22)

sono immagini della desolazione.

Vedremo come tale situazione contrasterà con la grande gioia di Gerusalemme.

 

Capitolo 19

 

vv. 1-10 - lettura

I capitoli 17 e 18 trattano della caduta di Babilonia; i capitoli 19 e 20 riguardano la vittoria totale di Cristo e i capitoli 21 e 22 l'esaltazione di Gerusalemme.

L'inno iniziale del nostro capitolo viene ripreso in parte dalla "Liturgia delle Ore", nei vespri della domenica sera. E' bello ricordare la salvezza che ci aspetta!

Il cap.19 è l'unico brano del Nuovo Testamento in cui compare la parola "alleluia", che viene tratta dall'ultima sezione dei Salmi. Precisamente nei salmi dal 107 al 150 è diffuso il termine "alleluia" che significa "Lodate Jahwe". E' qui evidente, comunque, uno sfondo vetero-testamentario perché Giovanni utilizza la lode tipica dell'ebraismo (salmi alleluiatici) applicandola alla vittoria di Cristo.

 

Questa lode viene affidata a tre voci diverse.

La prima voce è quella di una "folla immensa nel cielo" (che ha due aspetti in quanto prima dice una cosa e poi un'altra); la seconda è quella dei ventiquattro vegliardi e dei quattro esseri viventi i quali semplicemente pongono un sigillo ("Amen, Alleluia"); infine la terza è la voce che esce dal trono. Quindi, abbiamo tre momenti e tre protagonisti diversi della nostre lode. Potremmo affermare che qui appare un insieme di celeste e di terreno:

"Lodate il nostro Dio,

voi tutti, suoi servi,

voi che lo temete,

piccoli e grandi!" (v. 5).

Concludiamo la lezione osservando che è presente in questo brano la "comunione dei Santi", ossia sono presenti la Chiesa militante e la Chiesta trionfante, che sono due facce della stessa medaglia, potremmo dire due momenti della medesima esistenza: la vita terrena e la vita dell'aldilà.

 

 

Capitolo 19 (continuazione)

 

 

Ricapitoliamo quanto detto verso la fine della lezione precedente: motivo della lode sono il regno del Signore, le nozze dell'Agnello e le opere buone dei santi. Nel nostro brano appare quindi secondario il tema della distruzione di Babilonia.

Ricordiamo che a un certo punto della storia biblica si inizia a rappresentare come sponsale il rapporto tra il Signore e il suo popolo. Dio sposa il suo popolo e il suo popolo sposa Dio.

A questo riguardo teniamo presenti innanzi tutto:

1) Osea 1, 2, 3;

2) Isaia 62, 1-5;

3) Cantico dei Cantici;

4) Giovanni 2 ("Le nozze di Cana") nel quale è presente il tema tipicamente giovanneo della "sponsalità" con quel Dio che sposa il suo popolo. Nell'episodio specifico delle nozze di Cana la sposa mancante è rappresentata da Maria, immagine della Chiesa;

5) Paolo "Lettera agli Efesini" 5, 21-34.

 

v. 9 - rilettura

Ecco la quarta beatitudine dell'Apocalisse: "Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell'Agnello!" che riprende il tema della convivialità sponsale (vedere Ap. 3,20). Osserviamo qui una notazione già eucaristica.

 

Leggiamo ora in Matteo 22,1-14 "La parabola del banchetto nuziale" che si inserisce, come del resto la beatitudine dell'Apocalisse appena citata, in quel contesto di convivialità che i profeti presentavano come la migliore raffigurazione del paradiso. Se riandiamo all'episodio corrispondente del Vangelo di Luca, notiamo come gli evangelisti, presentando il tema del banchetto messianico, insistano molto sull'esclusione dal banchetto stesso. E ciò che sembra contare maggiormente in tale contesto è l'abito nuziale.

Dagli evangelisti, quindi, viene sottolineato il rischio dell'esclusione dal convito e la possibilità di finire come coloro che per primi avevano rifiutato di parteciparvi.

 

Nella quarta beatitudine compare un certo universalismo; però dal contesto del libro sappiamo che gli invitati al banchetto sono coloro che hanno saputo essere fedeli. Questa è la logica del paradiso e dell'inferno. Allora, secondo la conclusione della parabola richiamata (Mt. 22,14) "...molti sono i chiamati ma pochi gli eletti".

Noi potremmo aggiungere che l'umanità intera è chiamata al banchetto messianico, ma spetterà ai singoli la decisione di accogliere o meno l'invito. Se la partecipazione a tale banchetto appare segno di gioia e di comunione con Dio, viene spontaneo pensare che la situazione contraria sia invece indice di infelicità e di lontananza dal Signore. E chi è lontano dal convito si troverà dove "è pianto e stridor di denti" (Mt. 22,13).

 

vv. 11-21 - lettura

(L'ultimo versetto ci richiama lo scenario successivo a una battaglia dell'antichità).

Prima avevano incontrato "una porta del cielo"; adesso il cielo è "aperto" perché siamo nell'imminenza della manifestazione gloriosa di Cristo.

 

Nei versetti ora letti troviamo una grande concentrazione di titoli cristologici che possono aiutarci per la così detta "Preghiera del nome": Gesù, sei il fedele; Gesù, sei il verace...

 

Risulta molto importante il versetto 12b:"...porta scritto un nome che nessuno conosce all'infuori di lui.". Giovanni ci dice che il mistero di Cristo non è mai completamente percepito e che neppure la S. Scrittura può esaurirlo. Si tratta di un mistero che certamente nemmeno noi riusciamo a penetrare in profondità. Solo nell'aldilà potremo fare dei progressi seri in questo senso. Però, sulla terra, noi possiamo comunque avere diversi gradi di conoscenza del mistero di Cristo legati allo studio, che risulterebbe sterile (e rimarrebbe un fatto puramente culturale) se non alimentasse la preghiera e se non fosse a sua volta alimentato dalla stessa preghiera vissuta intensamente.

 

Nel nostro brano Cristo ha una bella caratteristica costituita dalla "spada che usciva dalla bocca" (v. 15). Nei precedenti capitoli abbiamo già esaminato questo simbolo: la parola di Dio è come una spada a doppio taglio e con essa sono colpite le genti. Però la vittoria riportata da Cristo sulla bestia e sul falso profeta (v. 20) non ha natura militare perché il cristianesimo non si impone con la forza ma testimonia il trionfo della parola di Dio.

Vediamo che Giovanni si sofferma soprattutto sull'esito del combattimento (vv. 19-20) e non prende in grande considerazione le scene dell'Apocalisse giudaica del tempo.

Soffermiamoci sul versetto finale (v. 21): "Tutti gli altri furono uccisi dalla spada che usciva dalla bocca del Cavaliere...". Capiamo facilmente che si tratta di una morte morale. Allora questo Cristo con il mantello "intriso di sangue" (v. 13) è morto ma "ha sul suo capo numerosi diademi" (v. 12) e uno "scettro di ferro" (salmo 2,9). Il Cristo glorioso e risorto che governa il mondo combatte con la sua Parola è il Verbo di Dio (ripresa del Prologo del Vangelo di Giovanni).

 

Ritengo utile ora riflettere sull'importanza dell'annuncio: Gesù si propone al mondo attraverso le nostre parole. Infatti tutti noi battezzati e cresimati dovremmo essere profeti-missionari ed annunciare il Vangelo ogni volta che possiamo. Di conseguenza dobbiamo impegnarci a migliorare la qualità della nostra presenza missionaria nel mondo.

A proposito del banchetto con carni umane (v. 21) dobbiamo tener presente Ezechiele 39, 17-20.