00 10/12/2012 16:00

Benedetto XV, il Papa della pace in un mondo in guerra

 

Papa Benedetto XV fu il Pontefice che si dovette misurare con lo scoppio, drammatico, della prima guerra mondiale. Il dramma della guerra - né poteva essere diversamente - è la costante angoscia che assilla Benedetto XV durante l’intiero conflitto. Fin dalla prima Enciclica - Ad beatissimi Apostolorum del 1 novembre 1914 - quale «Padre di tutti gli uomini» egli denuncia che «ogni giorno la terra ridonda di nuovo sangue e si ricopre di morti e feriti». E scongiura Prìncipi e Governanti a considerare lo straziante spettacolo presentato dall’Europa: «il più tetro, forse, e il più luttuoso nella storia dei tempi». Purtroppo, la sua reiterata invocazione alla pace, recuperata dal Vangelo di Luca - «Pace in terra agli uomini di buona volontà» - resta inascoltata. Quali i motivi? Egli stesso ne identifica i principali: la mancanza di mutuo amore fra gli uomini, il disprezzo dell’autorità, l’ingiustizia dei rapporti fra le varie classi sociali, il bene materiale divenuto unico obiettivo dell’attività dell’uomo.

È a guerra finita, nell’enciclica Pacem Dei munus del 23 maggio 1920, che Benedetto XV chiede espressamente che tutti gli uomini nel nome di Cristo si riconoscano fratelli. Purtroppo, anche se le armi internazionali per lo più tacciono, gli odi di partito e di classe si esprimono con drammatica violenza in Russia, in Germania, in Ungheria, in Irlanda e in altri paesi. La sventurata Polonia rischia di essere travolta dagli eserciti bolscevichi; l’Austria «si dibatte tra gli orrori della miseria e della disperazione» scrive il Pontefice il 24 gennaio 1921, implorando l’intervento dei Governi che si ispirano ai princìpi di umanità e di giustizia; il popolo russo, colpito dalla fame e dalle epidemie, sta vivendo una delle più spaventose catastrofi della storia, al punto che - come annota Benedetto XV in un’Epistola del 5 agosto 1921 - «dal bacino del Volga molti milioni di uomini invocano, dinanzi alla morte più terribile, il soccorso dell’umanità»

Solo una fede autentica ed illimitata può guidare l’azione del Papa Della Chiesa, chiamato ad operare in uno dei periodi più difficili e drammatici della storia umana. Ebbe pochissime soddisfazioni. Prima di morire constata con legittimo compiacimento che gli Stati accreditati presso la Santa Sede - quattordici al momento della sua elezione - sono saliti a ventisette. Ed apprende altresì che l’11 dicembre 1921 è stata inaugurata in una pubblica piazza di Costantinopoli una statua a lui dedicata, ai piedi della quale è scritto: «Al grande Pontefice della tragedia mondiale - Benedetto XV - Benefattore dei popoli senza distinzione di nazionalità - o di religione - in segno di riconoscenza - l’Oriente».

 

 

GESÙ SIGNORE DELLA STORIA, PROCLAMATO A TUTTI I POPOLI

 

 

Nel corso degli ultimi cento anni, tante sono state le occasioni che i Pontefici hanno avuto per proclamare “Gesù, Signore della storia” a tutti i popoli, anche a quelli per storia e tradizione apparentemente più lontani dalla fede cattolica. In tante situazioni, anche di fronti a drammi sconvolgenti l’umanità, sempre le parole dei vari Pontefici non hanno voluto mancare di ricordare che Gesù Cristo, in qualunque situazione, è e rimane Signore di tutti, perché tutto e tutti vuole investire con il suo amore. Ricordiamo qui tre situazioni particolari nelle quali i Pontefici, senza paura, testimoniarono in situazione difficili la regalità del Signore sul mondo, una regalità di verità e di amore.

 

 

Roma brucia, Pio XII a braccia aperte tra i romani a San Lorenzo. Dentro il conflitto mondiale, l’esempio di grandi santi martiri, tra cui padre Massimiliano Kolbe

 

Gesù Signore della storia sotto i bombardamenti. La testimonianza più impressionante in questo senso, la diede Papa Pio XII nel corso della Seconda Guerra mondiale. Era il 19 luglio 1943 e al quartiere San Lorenzo, caddero le bombe. Pio XII uscì dal Vaticano subito, prima ancora che venisse dato il segnale del cessato allarme, e si recò tra la gente colpita nel quartiere Tiburtino. I testimoni oculari di questa visita del Pontefice, raccontano di un Pio XII commosso che in mezzo a una folla di povera gente che piangeva e pregava voleva testimoniare come anche nei momenti tristi e bui della storia, Cristo stia accanto all’uomo e soffra insieme a lui. Pio XII stringeva le mani delle persone che gli stavano più vicine e sembrava non riuscisse a staccarsi da loro.

Il mondo era sconvolto dal secondo conflitto mondiale. Migliaia e migliaia i morti. La ferocia del nazismo che si scagliava contro popolazioni inermi, incolpevoli. Dov’era Dio in tutto questo? Era Dio, in questa situazione, davvero il Signore della storia? Dove? Come? Anche qui, l’esempio del Papa che arriva al Verano dopo i bombardamenti e apre le braccia al cielo e agli uomini, fa comprendere molto. Il Signore non è il padrone del mondo. Egli semmai è colui che dà senso al mondo. Egli è presente nel mondo, dentro le guerre, le miserie, le infamie, le ingiustizie più atroci e si fa compagno di ogni situazione. Pio XII non volle fare altro che questo. Essere vicino, presente, dentro le sofferenza della gente. Cristo Signore del mondo soffre con l’uomo e vince il male perché lo trasforma in bene. In che senso? Nel senso che il male, la sofferenza e la fatica rimangono, ma queste possono essere vissute come offerta al Padre perché dai cieli usi di questa sofferenza offerta per redimere, salvare il mondo.

Il Signore della storia è dentro le sofferenze nel senso che realmente soffre anche Lui con l’uomo e usa di questa sofferenza per la conversone, la salvezza, di altri uomini. Beninteso, le tragedie della Seconda Guerra mondiale rimangono tali, nessuno può eliminarle, ma dentro queste tragedie vi sono stati uomini che hanno comunque vissuto alla luce di Cristo, loro vero Signore dentro la storia, presenza a cui offrire ogni cosa.

Ne è esempio lampante il santo martire padre Massimiliano Kolbe il quale, trovatosi in un campo di concentramento durante la Seconda Guerra mondiale, con lo stupore di tutti i prigionieri e degli stessi nazisti, uscì dalle file dei detenuti e si offrì in sostituzione di uno dei condannati a morte, il giovane sergente polacco Francesco Gajowniezek. In questa maniera inaspettata ed eroica padre Massimiliano scese con i condannati nel sotterraneo della morte, dove, uno dopo l’altro, i prigionieri morirono, consolati, assistiti e benedetti da un santo. Fu la sua morte la sconfitta di Cristo o piuttosto la dimostrazione che Cristo regna laddove vi è morte e disperazione? Il 14 agosto 1941, Padre Kolbe terminò la sua vita con un’iniezione di acido fenico. Il giorno seguente il suo corpo venne bruciato nel forno crematorio e le sue ceneri sparse al vento. Il 10 ottobre 1982, in piazza San Pietro, Giovanni Paolo II dichiarò “Santo” Padre Kolbe, proclamando che “San Massimiliano non morì, ma diede la vita….”. Ecco il segreto della signoria di Cristo: Re è chi dà la vita per gli altri, dentro le incredibili ingiustizie del mondo.