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Umanesimo plenario e rispetto dell’ordine stabilito da Dio: le proposte di Paolo VI e Giovanni XXIII per lo sviluppo dei popoli

 

Per Papa Paolo VI l’uomo, in ogni tempo, può svilupparsi, può compiersi, può portare frutto soltanto se si apre a Dio. «Senza dubbio - scrisse Papa Paolo VI nell’enciclica Populorum progressio -, l’uomo può organizzare la terra senza Dio, ma senza Dio egli non può alla fine che organizzarla contro l’uomo. L’umanesimo esclusivo è un umanesimo inumano». Per Paolo VI, dunque, non vi è umanesimo vero se non aperto verso l’Assoluto, nel riconoscimento d’una vocazione, che offre l’idea vera della vita umana. «Lungi dall'essere la norma ultima dei valori - scrive ancora il Santo Padre -, l'uomo non realizza se stesso che trascendendosi. Secondo l'espressione così giusta di Pascal: “L'uomo supera infinitamente l'uomo”».

Le disuguaglianze economiche, sociali e culturali troppo grandi tra popolo e popolo provocano tensioni e discordie, e mettono in pericolo la pace. Ma la pace, ammonisce Paolo VI, non si riduce a un'assenza di guerra, frutto dell'equilibrio sempre precario delle forze. Essa si costruisce giorno per giorno, nel perseguimento di un ordine voluto da Dio, che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini. E allora, ecco che per Paolo VI, Cristo riconosciuto e predicato nella vita di tutti i giorni, diviene il vero artefice del compimento dell’uomo. È soltanto Cristo posto al centro della vita che può dare senso alla storia. Egli, viene a soccorrere gli ultimi, i poveri, non togliendo loro la fatica della vita, ma dandone ad essa un senso, un significato.

Anche Papa Giovanni XXIII, nell’indimenticabile enciclica Pacem in terris, si adoperò per descrivere la possibilità che nel mondo regni la pace, quella vera, e cioè quella di Cristo. Essa, lungi dall’essere una mera assenza di problematiche e difficoltà, nasce innanzitutto all’interno del cuore dell’uomo, chiamato a riconoscere in ogni cosa quell’«ordine stabilito da Dio»: «La convivenza fra gli esseri umani - scrive Papa Giovanni XXIII nella Pacem in terris - , non può essere ordinata e feconda se in essa non è presente un’autorità che assicuri l’ordine e contribuisca all’attuazione del bene comune in grado sufficiente. Tale autorità, come insegna San Paolo, deriva da Dio: "Non vi è infatti autorità se non da Dio" (Rm 13,1-6). Il testo dell’Apostolo viene commentato nei seguenti termini da San Giovanni Crisostomo: "Che dici? Forse ogni singolo governante è costituito da Dio? No, non dico questo: qui non si tratta infatti di singoli governanti, ma del governare in se stesso. Ora il fatto che esista l’autorità e che vi sia chi comanda e chi obbedisce, non proviene dal caso, ma da una disposizione della Provvidenza divina" (In Epist. ad Rom., c. 13, vv. 1-2, homil XXIII). Iddio, infatti, ha creato gli esseri umani sociali per natura; e poiché non vi può essere "società che si sostenga, se non c’è chi sovrasti gli altri, muovendo ognuno con efficacia ed unità di mezzi verso un fine comune, ne segue che alla convivenza civile è indispensabile l’autorità che regga; la quale, non altrimenti che la società, è da natura, e perciò stesso viene da Dio" (Enc. Immortale Dei di Leone XIII)».

 

 

Se la retta via è stata smarrita, è necessario far ritorno al Signore sia nella vita pubblica sia in quella privata: l’esortazione di Pio XII contenuta nella Optatissima pax

 

Papa Pio XII fu il Papa che raccolse il testimone della Chiesa durante il dramma della Seconda Guerra mondiale. Ripetuti i suoi interventi per la pace, per quella pace che si fonda solo ed esclusivamente sulla croce di Cristo, sulla sua signoria mostrata in croce. «La pace desideratissima - scrisse il 18 dicembre del 1947 nella Optatissima Pax -, che deve essere la tranquillità dell’ordine e la tranquilla libertà, dopo le cruente vicende di una lunga guerra ancora oscilla incerta, come tutti notano con tristezza e trepidazione, e tiene come sospesi in un’ansia angosciosa gli animi dei popoli; mentre invece in non poche Nazioni - già devastate dal conflitto mondiale e dalle rovine e dalle miserie che ne sono state la conseguenza dolorosa - le classi sociali vicendevolmente agitate da un acre odio, con innumerevoli tumulti e turbolenze, minacciano, come tutti vedono, di scalzare e sovvertire gli stessi fondamenti degli stati». Che fare, si domanda Pio XII? Come rispondere alle paure che la fine di una guerra tremenda ancora portava con sé? «Ricordino tutti - spiegò il Santo Padre - che quella congerie di mali, che negli anni trascorsi abbiamo dovuto sopportare, si è abbattuta sull'umanità principalmente perché la divina religione di Gesù Cristo, che è fautrice di mutua carità tra i cittadini, i popoli e le genti, non regolava, come sarebbe stato necessario, la vita privata, domestica e pubblica. Se dunque, per questo allontanamento da Cristo, la retta via è stata smarrita, è necessario far ritorno a Lui sia nella vita pubblica sia in quella privata; se l'errore ha ottenebrato le menti, è necessario ritornare a quella verità, che essendo stata divinamente rivelata, indica il cammino che conduce al cielo; se finalmente l'odio ha apportato frutti mortiferi, occorre riaccendere quell'amore cristiano che può da solo sanare tante piaghe mortali, superare tanti paurosi pericoli, addolcire tante angosciose sofferenze».

Per il Papa, dunque, il male dell’uomo esiste per un suo libero allontanamento da Dio, per un non riconoscimento di Dio quale vero Signore del mondo e della storia. «Egli - continuò Pio XII parlando di Cristo - illumini con la sua luce celeste le menti di quelli che spesso, piuttosto che mossi da ostinata malizia, sono tratti in inganno da errori ammantati dalle piacevoli apparenze della verità; egli reprima e plachi negli animi l'odio, componga le discordie, faccia rivivere e crescere la carità cristiana. A coloro che godono di molti beni, egli insegni una provvida generosità verso i poveri; a coloro poi che tribolano per le loro condizioni povere e disagiate, egli, con il suo esempio e con il suo aiuto, apporti le spirituali consolazioni e li conduca a desiderare soprattutto quei beni celesti, che sono i beni migliori e che non verranno mai meno. Nelle presenti angustie,

Noi confidiamo molto nelle preghiere dei bambini innocenti, che il divin Redentore in mode particolare accoglie e predilige. Innalzino dunque essi verso di lui, durante le solennità natalizie, le loro candide voci e le loro esili manine, simbolo dell'interiore innocenza, implorando pace, concordia, mutua carità. E oltre alle fervide preghiere uniscano quegli esercizi di pietà cristiana e quelle offerte generose, con le quali la divina giustizia, offesa da tante colpe, possa essere placata, e in pari tempo gli indigenti possano ricevere - nella misura che le disponibilità di ciascuno permette - gli opportuni aiuti.

Abbiamo piena fiducia, venerabili fratelli, che con solerte impegno e diligenza, di cui abbiamo tante prove, voi farete sì che queste Nostre paterne esortazioni siano attuate e ottengano felici frutti e che tutti, in modo speciale i fanciulli, corrispondano, con volenteroso trasporto, a questi Nostri inviti che voi farete vostri. Confortati da questa soave speranza, sia a voi singolarmente e universalmente venerabili fratelli, sia ai greggi affidati alle vostre cure, impartiamo con effusione d'animo l'apostolica benedizione, quale attestato della Nostra paterna benevolenza e auspicio delle grazie celesti».

 

 

La Chiesa ha il diritto ed anche il dovere di indirizzare con le proprie opinioni la vita sociale, politica ed economica di un Paese affermò Pio XI

 

Papa Pio XI, al secolo Achille Ratti, governò la Chiesa dal 1922 al 1939. Sono anni in cui in varie parti del pianeta le dittature di stampo socialista hanno preso piede. Il Pontefice, in molti suoi interventi, risponde a quanto sta accadendo ammonendo le Nazioni e i loro governati a che si lasci entrare Dio nella politica e nella società perché una politica ed una società senza Dio risultano per forza di cose a-morali. Nell’enclica Quadragesimo Anno, del 15 maggio 1931, egli parla di una problematica ancora presente ai giorni nostri e cioè del «diritto» e del «dovere» che la Chiesa ha «di giudicare con suprema autorità» le questioni sociali ed economiche» delle Nazioni. Certo - spiegò Pio XI - «non vuole nè deve la Chiesa senza giusta causa ingerirsi nella direzione delle cose puramente umane. In nessun modo però può rinunziare all’ufficio da Dio assegnatole, d’intervenire con la sua autorità, non nelle cose tecniche, per le quali non ha né i mezzi adatti né la missione di trattare, ma in tutto ciò che ha attinenza con la morale. Infatti in questa materia, il deposito della verità a Noi commesso da Dio e il dovere gravissimo impostoCi di divulgare e di interpretare tutta la legge morale ed anche di esigerne opportunamente ed importunamente l’osservanza, sottopongono ed assoggettano al supremo Nostro giudizio tanto l’ordine sociale, quanto l’economico.  Sebbene l’economia e la disciplina morale, ciascuna nel suo ambito, si appoggino sui principi propri, sarebbe errore affermare che l’ordine economico e l’ordine morale siano così disparati ed estranei l’uno all'altro, che il primo in nessun modo dipenda dal secondo. Certo, le leggi, che si dicono economiche, tratte dalla natura stessa delle cose e dall'indole dell'anima e del corpo umano, stabiliscono quali limiti nel campo economico il potere dell'uomo non possa e quali possa raggiungere, e con quali mezzi; e la stessa ragione, dalla natura delle cose e da quella individuale e sociale dell'uomo, chiaramente deduce quale sia il fine da Dio Creatore proposto a tutto l’ordine economico».

Per Pio XI, insomma, le verità delle fede cristiana devono entrare a giudicare la vita di una società, perché una morale che non venga riferita a Dio, non è vera morale. «E ove a tal legge da noi fedelmente si obbedisca - spiegò ancora il Pontefice riferendosi alla legge divina che per sua natura è superiore alla legge degli uomini -, avverrà che tutti i fini particolari, tanto individuali quanto sociali, in materia economica perseguiti, si inseriranno convenientemente nell'ordine universale dei fini, e salendo per quelli come per altrettanti gradini, raggiungeremo il fine ultimo di tutte le cose, che è Dio, bene supremo e inesauribile per se stesso e per noi».