00 10/12/2012 15:56

Che cosa significa, nel quotidiano, seguire la via tracciata dal Maestro, per portare, con Lui “molto frutto”?

Ha condiviso tutto di noi. Si è addossato le nostre sofferenze. Si è fatto con noi tenebra, malinconia, stanchezza, contrasto... Ha provato il tradimento, la solitudine, l’essere orfano… In una parola si è fatto “uno con noi”, facendosi carico di quanto ci era di peso. Così noi. Innamorati di questo Dio che si fa nostro “prossimo”, abbiamo un modo per dirgli che gli siamo immensamente grati per il suo infinito amore: vivere come ha vissuto Lui. Ed eccoci a nostra volta “prossimi” di quanti ci passano accanto nella vita, volendo esser pronti a “farci uno” con loro, ad assumere una disunità, a condividere un dolore, a risolvere un problema, con un amore concreto fatto servizio. Gesù nell’abbandono s’è tutto dato; nella spiritualità che s’incentra in Lui, Gesù risorto deve risplendere pienamente e la gioia deve darne testimonianza».

 

Tsunami: le parole di Giovanni Paolo II

 

Nella prima domenica del 2005, Giovanni Paolo II ha parlato della speranza del Natale, più forte, a suo dire, delle difficoltà in cui è immersa la vita di ogni uomo. Sono giorni tristi in tutto il mondo, scosso dalla violenza della natura che ha spazzato via la vita di migliaia di uomini nel sud-est asiatico. Sono giorni di dolore anche per il Papa che, nonostante la tragedia e la morte, riesce a guardare più in là e, con poche parole, andare al nocciolo della questione.

Dov’era Dio quando migliaia di persone venivano spazzate via dalla violenza distruttrice dello Tsunami? Questa è la domanda che sta dietro le parole pronunciate da Giovanni Paolo II nel discorso letto prima della recita dell’Angelus. Una domanda che tutti gli uomini, credenti o no, si sono posti in quei terribili giorni di dolore, una domanda a cui la Chiesa non può sottrarsi di rispondere. Il Papa ha voluto prendere di petto l’interrogativo e, già pronunciando le sue prime parole, ha provato a dare una sua risposta al quesito. Innanzitutto, ha detto il Papa, «in questa prima domenica del nuovo anno risuona nuovamente nella liturgia il Vangelo del giorno di Natale: il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». Ecco, allora, da dove cominciare a guardare i terribili fatti di quei giorni: dalla presenza fatta di carne e sangue di Dio che un giorno di duemila anni fa è venuto ad abitare vicino all’uomo. Vicino, come può essere un amico che abita nel portone accanto o nel condominio attiguo a quello in cui abitiamo noi.

«Il Verbo di Dio - ha continuato il Papa - è la Sapienza eterna, che opera nel cosmo e nella storia; Sapienza che nel mistero dell’Incarnazione si è rivelata pienamente, per instaurare un regno di vita, di amore e di pace». Ecco allora perché il Figlio di Dio è venuto ad abitare vicino all’uomo: per instaurare, lui che è Sapienza eterna, un regno di vita, amore e pace. Ma dove sono questa vita, questo amore e questa pace? Come può Dio dire di volere il bene se centinaia di bambini vengono trucidati in un asilo di Beslan, se migliaia di innocenti muoiono per la violenza di un’onda distruttrice? «La fede - ribadisce il Papa - ci insegna che anche nelle prove più difficili e dolorose, come nelle calamità che hanno colpito nei giorni scorsi il sud-est asiatico, Dio non ci abbandona mai: nel mistero del Natale è venuto a condividere la nostra esistenza». Una risposta che soltanto apparentemente sembra eludere la domanda ma che, in verità, ne dà la risposta più piena e profonda perché ribadisce la vicinanza di Dio all’uomo, una vicinanza resa evidente dall’incarnazione di Cristo, una vicinanza che non ha preteso di togliere il dolore e la sofferenza dal mondo, ma ha voluto assumerla su di sé, fino in fondo, fino al calice tremendo della croce bevuto a piene sorsate da Cristo per amore di ogni uomo.

Lo stesso Papa, con la sofferenza fisica della sua malattia, per anni ha parlato della presenza di Cristo dentro ogni sofferenza, una presenza che è compagna dell’uomo nelle circostanze più avverse e terribili. Certo, è la fede che insegna all’uomo questa verità ed è soltanto con lo sguardo della fede che questa verità può essere scoperta in tutta la sua forza e potenza.

Gesù è colui che morendo ha lasciato agli uomini il comandamento di amarsi gli uni gli altri come Lui ci ha amato. «È nell’attuazione concreta di questo suo comandamento che Egli fa sentire la sua presenza» ha detto ancora il Papa. «Questo messaggio evangelico dà fondamento alla speranza di un mondo migliore a condizione che camminiamo nel suo amore. All’inizio di un nuovo anno, ci aiuti la Madre del Signore a fare nostro questo programma di vita».

Tommaso Onori: la riflessione dell’Azione Cattolica

 

Nei giorni successivi al ritrovamento senza vita del corpo del piccolo Tommaso Onofri, l’Azione Cattolica coraggiosamente decide di parlare dell’accaduto e riporta le parole di Benedetto XVI il quale, di fronte al sangue versato da un piccolo innocente, ha chiesto di pregare per tutti coloro che sono caduti e cadono quotidianamente vittime della violenza. Di fronte allo spargimento del sangue innocente, insomma, il Cristianesimo presenta il suo Dio, anch’egli caduto vittima innocente, al quale rivolgersi con fiducia pur dentro la disperazione. «In questo amaro fine settimana - spiegano i responsabili dell’AC - , dopo circa un mese di angoscia e di trepidazione, abbiamo appreso con profonda tristezza la tragica conclusione del sequestro del piccolo Tommaso Onofri. Fin dal primo giorno della sua misteriosa scomparsa ci siamo più volte interrogati sulle ragioni ed il movente di un simile rapimento. Sicuramente ci siamo anche chiesti, mentre la cronaca ci riportava gli indizi e le ipotesi degli inquirenti, quali motivazioni avrebbero potuto mai spingere qualcuno a strappare un bambino così piccolo ed ammalato, come “Tommy”, all’affetto dei suoi genitori e del suo fratellino. Intanto il tempo è trascorso inesorabile, mescolando in ciascuno di noi sentimenti talvolta contrastanti: paura, preoccupazione, sdegno, ma anche speranza, preghiera, fiducia. Alla fine è arrivata la notizia che non avremmo mai voluto sentire: Tommaso, nonostante fosse così piccolo e così indifeso, è stato comunque ucciso.

Le modalità e le ragioni che hanno provocato questo folle omicidio rendono ancor più difficile riuscire ad accettare una simile verità. È qui che ci domandiamo che senso possa avere questo e perché tutto ciò è accaduto. Come laici cristiani che vivono la propria fede, attraverso l’esperienza dell’Azione Cattolica, sappiamo che il Signore ci chiama ad affrontare con coraggio il male che spesso tormenta il mondo e la nostra stessa esistenza. Il male, anche quello più duro da accettare, non può certo spegnere quella speranza che, invece, ci spinge a non disperare mai dell’infinita misericordia di Dio verso le nostre povertà e i nostri limiti.

In questo momento gran parte del nostro Paese è rimasto profondamente turbato da questa terribile vicenda che ci sconvolge e ci invita a riflettere tutti. Durante questi trenta giorni “Tommy” è stato il figlio, il fratellino, il piccolo nipote di ciascuno di noi. In queste ore di comprensibile sconforto, il Santo Padre ha invitato ogni credente alla preghiera per Tommaso e per tutte le piccole vittime della violenza e della cattiveria umana. Ci uniamo anche noi a questo appello di Benedetto XVI e crediamo sia giusto non lasciare che la storia di Tommaso passi senza aver consegnato alle nostre coscienze un insegnamento importante: la vita, soprattutto quella dei più piccoli, è un dono prezioso che viene da Dio e và difeso sempre. Ci auguriamo che la morte di “Tommy”, a soli diciotto mesi dalla sua nascita, abbia avuto un senso e che la nostra umanità non si macchi più di simili atrocità».

 

 

Don Andrea Santoro: “Voleva solo ripercorrere le vie di Cristo”

 

Don Andrea Santoro, sacerdote romano in missione in Turchia, è stato assassinato il 5 febbraio scorso mentre pregava nella sua chiesa a Trebisonda. Era andato in Turchia per portare l’annuncio del Vangelo di Cristo a tutte le popolazioni del paese, consapevole delle diverse religioni, culture, tradizioni lì presenti. Non voleva imporre il proprio credo a gli altri ma semplicemente mostrare come la signoria del Dio in cui lui credeva - il Dio di Gesù Cristo - fosse una signoria d’amore, che si piega di fronte all’uomo e lo ama così come egli è. «Don Andrea - ha spiegato Maddalena Santoro, sua sorella, giovedì 6 aprile in piazza San Pietro durante un incontro del Papa con i giovani della diocesi di Roma in vista della Giornata Mondiale della Gioventù che si sarebbe svolta a livello diocesano la domenica successiva - ha amato la Parola di Dio più di qualunque altra cosa al mondo, ha cercato di conformare la sua vita a Cristo e di ripercorrere le sue vie». «Io mi sento prete per tutti - ha raccontato Maddalena ripetendo parole di don Andrea -. Dio ama i musulmani, gli ebrei, i cristiani. Questo amore guida i nostri occhi. E sappiamo che questo amore ha guidato anche i suoi passi verso il Medio Oriente, una terra verso cui siamo debitori». «Il perdono per coloro che hanno ucciso don Andrea che è sgorgato dal cuore di nostra madre e di tutti noi - ha aggiunto la sorella del sacerdote - nasce anch’esso dalla meditazione e dall’assimilazione della Parola di Dio. Che questo perdono, unito al suo sacrificio, contribuisca all’unità delle confessioni cristiane e alla crescita del dialogo tra le diverse religioni del Medio Oriente». Ecco la signoria di Cristo. Ecco Cristo che nella persona di un sacerdote si lascia uccidere per amore e nel momento della morte salva, con l’amore, il mondo e il suo male.