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Giovanni Paolo II a Cuba, nella terra di Fidel Castro: «Sono venuto come messaggero della verità e della speranza»

 

Nel gennaio 1998 Giovanni Paolo II riesce ad arrivare nell’isola di Cuba, governata da Fidel Castro. Lì il Pontefice parlò di Gesù Cristo, vero redentore del cuore dell’uomo ed auspicò che la sua visita potesse aiutare il popolo cubano a restaurare «l’uomo come persona nei suoi valori umani, etici, civici e religiosi» e a renderlo capace «compiere la sua missione nella Chiesa e nella società».

Nel suo discorso di congedo all’aeroporto di La Habana (25 gennaio 1998) egli spiegò di essere arrivato a Cuba come successore dell’Apostolo Pietro e seguendo il mandato del Signore: «Sono venuto come messaggero della verità e della speranza - disse Giovanni Paolo II -, a confermarvi nella fede e a lasciarvi un messaggio di pace e di riconciliazione in Cristo. Per questo vi incoraggio a continuare a lavorare insieme, animati dai principi morali più alti, affinché il noto dinamismo che contraddistingue questo nobile popolo produca abbondanti frutti di benessere e di prosperità spirituale e materiale a beneficio di tutti». E ancora: «A quanti abitano nelle città e nelle campagne, ai bambini, ai giovani e agli anziani, alle famiglie e a ogni persona, fiducioso che continueranno a conservare e a promuovere i valori più autentici dell’anima cubana che, fedele all’eredità dei propri avi, deve saper mostrare, anche nelle difficoltà, la sua fiducia in Dio, la sua fede cristiana, il suo legame con la Chiesa, il suo amore per la cultura e le patrie tradizioni, la sua vocazione alla giustizia e alla libertà. In tale processo, tutti i cubani sono chiamati a contribuire al bene comune, in un clima di rispetto reciproco e con un profondo senso di solidarietà».

A Cuba il Santo Padre non ebbe paura di parlare dei «sistemi ideologici ed economici succedutisi negli ultimi secoli», i quali - disse - «hanno spesso enfatizzato lo scontro come metodo, poiché contenevano nei propri programmi i germi dell’opposizione e della disunione. Questo ha condizionato profondamente la concezione dell’uomo e i rapporti con gli altri. Alcuni di questi sistemi hanno preteso anche di ridurre la religione alla sfera meramente individuale, spogliandola di ogni influsso o rilevanza sociale». In tal senso, Giovanni Paolo II ricordò come uno Stato moderno non possa fare dell’ateismo o della religione uno dei propri ordinamenti politici. Lo Stato, lontano da ogni fanatismo o secolarismo estremo, deve per Papa Wojtyla promuovere un clima sociale sereno e una legislazione adeguata, «che permetta ad ogni persona e ad ogni confessione religiosa di vivere liberamente la propria fede, esprimerla negli ambiti della vita pubblica e poter contare su mezzi e spazi sufficienti per offrire alla vita della Nazione le proprie ricchezze spirituali, morali e civiche». «D’altro canto - disse ancora il Santo Padre -, in vari luoghi si sviluppa una forma di neoliberalismo capitalista che subordina la persona umana e condiziona lo sviluppo dei popoli alle forze cieche del mercato, gravando dai propri centri di potere sui popoli meno favoriti con pesi insopportabili. Avviene così che, spesso, vengono imposti alle Nazioni, come condizione per ricevere nuovi aiuti, programmi economici insostenibili. In tal modo si assiste, nel concerto delle Nazioni, all’arricchimento esagerato di pochi al prezzo dell’impoverimento crescente di molti, cosicché i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri».

 

 

Le due visite di Giovanni Paolo II in Nicaragua: il Vangelo di Cristo annunciato senza stancarsi delle incomprensioni

 

Nel 1983 Giovanni Paolo II decise di recarsi in Centro America. Qui fece tappa in Nicaragua. Fu uno dei viaggi più drammatici del Pontefice che non ebbe paura di portare la parola di Dio in un Paese governato da un regime sandinista. Durante la celebrazione della Messa, nella piazza 19 de Julio, a Managua, accadde un fatto incredibile. Al Papa, di fatto, venne impedito di parlare. L’impianto dei microfoni, infatti, venne manipolato. Il rito eucaristico profanato. La gente tenuta lontana, cancellata nelle dirette televisive. Il regime sandinista era già qualche anno che aveva avuto il sopravvento nel Paese. Esso sosteneva la nascita di una Iglesia popular, ispirata alla «teologia della liberazione», che propugnava una rilettura del Vangelo in chiave marxista per andare incontro alle ansie di giustizia di milioni di poveri. Il Santo Padre andò in Nicaragua proprio in quella difficile congiuntura politica ed ecclesiale. Il Centro America, inoltre, e in particolar modo il Nicaragua, era un’area ad alto rischio, caldissima, essendo diventato uno dei maggiori scenari del confronto ideologico tra capitalismo e comunismo. E il Nicaragua era appunto l’epicentro dello scontro egemonico fra Stati Uniti e Unione Sovietica.

E così, nell'attimo stesso in cui il Pontefice arrivò in quel Paese, si mise in moto la Grande Strumentalizzazione. Esisteva un vero e proprio «piano» per ostacolare la visita, e per screditare il Papa agli occhi della popolazione, facendolo apparire come filoamericano e contro invece il sandinismo e suoi eroi. Più tardi, raccontò tutto un ex dirigente di una sezione della Sicurezza, Miguel Bolanos: «Davanti al palco c’erano soltanto 400 “addomesticati”. La grande folla si trovava molto più indietro... Al momento convenuto, il comandante Calderon fece un segnale. E allora la sei “madri di martiri”, insieme con le “turbas” (miliziani addestrati per le azioni di disturbo), recitarono il copione, salirono sul palco...». Il Papa dovette difendersi da solo, urlando «Silenzio! Silenzio!», e replicando agli slogan degli attivisti.

Ma Giovanni Paolo II non si diede per vinto. Sicuro di dover portare anche in quel Paese il messaggio che solo Cristo salva l’uomo e lo rende definitivamente libero, più di dieci anni dopo tornò in Nicaragua. Era il febbraio del 1996. Il sandinismo non solo era stato sconfitto alle elezioni, ma aveva perduto il favore popolare essendo venuti a galla gli intrallazzi economici di molti dei suoi dirigenti. E il Papa ricordò la precedente visita con poche parole, ma estremamente significative: «Non riuscii ad incontrare realmente la gente». E nell’incontro avuto con i giovani del Paese disse: «Dinanzi a un mondo di apparenze, di ingiustizie e di materialismo che ci circonda, vi esorto tutti, ragazzi e ragazze del Venezuela, a operare, con responsabilità e gioia, una scelta fondamentale per Cristo nella vostra vita: Giovani, aprite le porte del vostro cuore a Cristo! Egli non delude mai. Egli è la Via della pace, la Verità che ci rende liberi e la Vita che ci riempie di gioia». (P.L.R.) (Agenzia Fides 29/4/2006)