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6) La teologa Uta Ranke-Heinemann da parte sua, in un suo saggio assai citato su siti anticlericali scrive: «Già Agostino aveva scritto che ogni disgrazia dell’umanità ha avuto inizio in certo qual modo con la donna, cioè con Eva, per colpa della quale ebbe luogo la cacciata dal paradiso [...]. “Perché il demonio non si è rivolto ad Adamo, ma ad Eva?” Si domanda. Cosi suona la risposta di Agostino: egli si rivolse dapprima alla “parte inferiore della prima coppia umana”, pensando: “L’uomo non è così credulone e potrebbe più facilmente essere ingannato cedendo all’errore di un altro [l'errore di Eva] piuttosto che cadere in un errore proprio”. Agostino riconosce ad Adamo circostanze attenuanti: “L’uomo ha ceduto alla sua donna [...] costrettovi da uno stretto legame, senza tener per vere le sue parole [...]. Mentre la donna accetta come verità le parole del serpente, egli voleva restate legato alla sua compagna, anche nella comunanza del peccato” (De Civitate Dei 14,11). L’amore per la donna trascina l’uomo alla rovina».

Facciamo notare che questa teologa prima era protestante, poi si è convertita al cattolicesimo, e di questo poi ha finito per contestare tutti i dogmi, fino al punto di essere scomunicata. Si tratta quindi chiaramente di una persona dalle idee confuse, e il suo utilizzo dei testi non è da meno. La Ranke-Heinemann, infatti, citando solo degli spezzoni del “De Civitate Dei” XIV, 11.2 sostiene che Agostino avrebbe accusato del primo peccato la sola donna, ma basta leggere il testo completo per vedere che non è così. Infatti, benché la disobbedienza all’ordine di Dio di non mangiare del frutto dell’albero proibito sia avvenuta in circostante diverse, la donna ingannata dal serpente e l’uomo convinto dalla donna, Agostino spiega comunque che il peccato è stato commesso volontariamente da entrambi e con la stessa gravità:

«Egli (l’angelo superbo) con la furberia del cattivo consigliere propose di insinuarsi nella coscienza dell’uomo che invidiava perché era rimasto in piedi mentre egli era caduto. Quindi nel paradiso del corpo, ove con i due individui umani, maschio e femmina, soggiornavano altri animali terrestri sottomessi e innocui, scelse il serpente, animale viscido che si muove con spire tortuose, perché adatto al suo intento di comunicare con l’uomo. Avendolo sottomesso mediante la presenza angelica e la superiorità della natura, con la perversità propria di un essere spirituale e giovandosene come di uno strumento, con inganno rivolse la parola alla donna, cominciando cioè dalla parte più debole della coppia umana per giungere gradualmente all’intero. Riteneva infatti che l’uomo non credesse facilmente e che non potesse essere tratto in inganno con un proprio errore ma soltanto nel consentire all’altrui errore. Egualmente Aronne non accondiscese al popolo in errore costruendo l’idolo perché convinto ma si adattò perché costretto, né si deve credere che Salomone ritenne per errore di dover prestare culto agli idoli ma fu spinto a quelle profanazioni dalle moine delle donne. Così si deve ammettere che nel trasgredire il comando di Dio, il primo uomo, per lo stretto legame del rapporto, accondiscese alla sua donna, uno solo a una sola, una creatura umana a una creatura umana, il marito alla moglie, e non perché ingannato credette che lei dicesse il vero. Opportunamente ha detto l’Apostolo: “Adamo non fu ingannato, ma la donna”. Essa infatti ritenne vere le parole del serpente, egli invece non volle anche nella partecipazione al peccato disgiungersi dall’unico legame che aveva, però non è meno colpevole se ha peccato con consapevolezza e discernimento. L’Apostolo non ha detto: “Non ha peccato”, ma:“Non fu ingannato”. Esprime il medesimo concetto con le parole: “Per colpa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo”, e poco dopo più palesemente: “Con una trasgressione simile a quella di Adamo”. Ha voluto far capire che possono ingannarsi quelli i quali non ritengono peccato le loro azioni, ma egli lo sapeva. Altrimenti non avrebbe senso la frase: “Adamo non fu ingannato”. Ma non avendo sperimentato la severità divina poté ingannarsi nel ritenere passibile di perdono la colpa commessa. Quindi non è stato ingannato nel senso in cui fu ingannata la donna, ma s’illuse sul modo con cui sarebbe stata giudicata la sua discolpa: “Me ne ha dato la donna che mi hai posto vicino, proprio essa, e ne ho mangiato”. Non c’è altro da aggiungere. Sebbene non siano stati ingannati tutti e due nel prestar fede, nondimeno col peccare tutti e due sono stati abbindolati e accalappiati nei tranelli del diavolo». (De Civitate Dei 11.2)

La disonestà intellettuale della Ranke-Heinemann diventa poi evidente quando sostiene che «Agostino riconosce ad Adamo circostanze attenuanti», quando in realtà, leggendo il testo precedente si vede che è esattamente il contrario. La donna infatti, dice Agostino, fu ingannata, mentre Adamo sembra abbia peccato in piena consapevolezza. Riportiamo ancora, per chiarezza, la parte specifica:

«Essa infatti ritenne vere le parole del serpente, egli invece non volle anche nella partecipazione al peccato disgiungersi dall’unico legame che aveva, però non è meno colpevole se ha peccato con consapevolezza e discernimento».

 Francesco Santoni