00 14/09/2012 12:31

I testi biblici sopra esposti, che sembrano avvalorare la dottrina sulla reincarnazione, in realtà non lo dimostrano affatto considerando quanto segue:

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Gesù, non entra nel merito del pensiero dei contemporanei al riguardo delle loro credenze, ma si limita a porre l’accento sulla sua identità di Figlio di Dio, e che non ha nulla a che vedere con tali credenze popolari.

E’ interessante notare che in Gv.3,4 Nicodemo pone a Gesù la domanda: "perché dici che bisogna nascere di nuovo? Può forse un uomo entrare una seconda volta nel seno della madre e rinascere?"

Questa domanda fa intendere che i dottori della legge respingevano o ignoravano del tutto l’idea della reincarnazione. Nei testi rabbinici compreso il Talmud, non se ne trova traccia, così come pure nei rotoli di Qumran.

Gesù nella risposta precisa che bisogna rinascere di acqua e di Spirito e questo chiarifica che la nuova nascita deve avvenire in forza del battesimo nello Spirito, nella vita corrente, e non in una vita futura.

Gli apostoli possono aver riferito la domanda pensando a una possibile colpa del cieco nato contratto durante la gestazione; questa credenza trovava riscontro negli insegnamenti rabbinici del tempo. Ammesso tuttavia che essi pensassero realmente a una colpa contratta dal cieco in una vita precedente, non ottengono dalla risposta di Gesù la conferma alla loro domanda. Pertanto il Signore non dà affatto luogo a supporre che esista una vita precedente del cieco nato.

Tuttavia ci si chiede come può la condizione del cieco essere motivo della gloria di Dio?

Gesù nella sua risposta afferma che tale condizione non è determinata né da colpa del cieco né dei suoi diretti genitori. Quindi allora di chi è la colpa?

E’ senza dubbio da attribuirsi al peccato originale che ha stravolto l’intera creazione generando conseguenze di malattie, di disagi e di dolore in tutta la natura e chi più, chi meno ne facciamo tutti l’esperienza pur senza esserne sempre direttamente responsabili. Questa conclusione lo si può trarre anche da altri testi evangelici in cui Gesù afferma in Lc.13,1-5 che "i diciotto su cui cadde la torre di Siloe oppure "i Galilei il cui sangue Pilato mescolò con i suoi sacrifici, non erano più peccatori degli altri uomini" (come riteneva la credenza popolare ) .

Pertanto Dio viene glorificato nel momento in cui il danno (provocato a partire dal peccato originale, con tutte le implicazioni di peccato derivato da singoli e da collettività), trova la sua risoluzione e la restaurazione nell’intervento salvifico di Cristo. Il cieco nato porta la conseguenza del peccato dell’umanità di cui anche lui è parte. Inoltre impersona la cecità acquisita all’origine dall’umanità e che Cristo viene a sanare facendo così risplendere la Gloria di Dio che era stata ottenebrata non solo per il cieco ma per tutta l’umanità.



Elia non era morto ma era stato rapito al cielo in un carro di fuoco, pertanto non poteva essersi reincarnato in Giovanni Battista. Pertanto anche lo stesso Origene, nel suo commento al Vangelo di Luca afferma che Elia non poteva essersi incorporato nel Battista il quale quindi profetava "con lo spirito di Elia", cioè con la sua forza, con il vigore e l’autorità che era stato dato ad Elia come pure ad Eliseo, il suo discepolo che ricevette anch’egli una parte di questa forza spirituale.

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Uno dei primi Padri della Chiesa, S. Giustino, dice in proposito, nel suo "dialogo con Trifone": "è venuto Giovanni il Battista su cui si è posato lo Spirito di Dio, già presente in Elia".

Dunque non è assolutamente possibile attribuire a questo testo nessun appoggio per la dottrina reincarnazionista.

4) Dio non fa preferenze di persone, tuttavia sceglie chi vuole indipendentemente da particolari meriti, secondo un suo preciso disegno che è certamente dettato dall’amore che ha verso tutti indistintamente. Esaù impersona il primo di due popoli, Giacobbe il secondo. Nel disegno divino il primo popolo sarebbe stato posposto al secondo quando con l’ingresso del popolo dei Gentili (i pagani) nella chiesa costituita da Cristo, il popolo d’Israele è stato preceduto dal nuovo popolo.

Quindi in questa unificazione dei due popoli occorre vedere non una discriminazione da parte di Dio ma piuttosto la volontà di portare tutti alla salvezza, altrimenti si sarebbe salvato solo il popolo ebreo. Tale interpretazione trova molte conferme nelle lettere di S.Paolo.

5) Il testo di Sap.8,19-20 mette in discussione persino la tesi preesistenzialista di Origene il quale dice che il corpo rappresenta una condanna per le anime che peccarono. In questo testo troviamo invece che il corpo avuto dall’anima buona è un dono e pertanto è senza macchia. Questo brano in ogni caso non è detto che si richiami alla preesistenza dell’anima perché può essere che l’autore intenda dire che un corpo sano venga donato ad un’anima che il Signore, nella Sua prescienza vede che sarà buona.

Inoltre si potrebbe intendere questo testo in chiave messianica come riferita a Cristo, il quale da preesistente che era, si fece uomo venendo appunto in un corpo immacolato.

Pertanto nessuno di questi brani possono essere portati a sostegno della dottrina sulla reincarnazione.

Accertato quindi che nella Bibbia non vi è nessuna esplicitazione della dottrina sulla reincarnazione, al contrario, invece, proprio nella Bibbia troviamoun’esplicita esclusione di tale dottrina: Si tratta del testo di Ebrei 9,27-28 che dice:

"è stabilito per gli uomini che muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio".

Questo testo è determinante per la definizione del problema dal punto di vista biblico.

SOLUZIONE DELLA QUESTIONE SECONDO LA RAGIONE

Origene, a cui viene erroneamente attribuita la paternità della dottrina sulla reincarnazione in realtà non aveva mai parlato di reincarnazione ma di preesistenzadelle anime. Secondo una sua ipotesi, che per altro egli stesso dichiara discutibile nel suo lavoro "Dei Principi", Dio, avendo terminato ogni lavoro nei sei giorni della creazione, avrebbe anche terminato di creare le anime umane, che avendo successivamente peccato in maniera più o meno grave, sarebbero state inviate nei corpi a scontare la pena proporzionata al loro peccato.

Questa posizione di Origene fu ritenuta erronea nel Concilio Costantinopolitano II (553 d.C.) che con un anatematismo riteneva eretica la sua concezione sulla preesistenza delle anime.

Vi è da aggiungere che a prescindere dal concilio citato, Origene che era molto stimato in precedenza da S. Girolamo e da S. Gregorio di Nissa, fu attaccato da questi proprio per la sua tesi contraria alla fede cristiana tradizionale che non ammetteva l’ipotesi origenista.

Una confutazione organica della dottrina sulla preesistenza delle anime, della trasmigrazione delle anime da un corpo all’altro e della reincarnazione in genere, la possiamo trovare in S.Tommaso d’Aquino. Sintetizzando il suo pensiero espresso nella sua "Summa contra Gentiles" troviamo:

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Ogni cosa creata passa dalla potenza all’atto. Perciò prima ad esempio troviamo il seme che è la vita in potenza e poi l’anima che rappresenta l’atto della vita. Da ciò risulta che l’anima non preesiste al corpo.

Per l’anima è naturale essere prima unita al corpo e poi separata e non viceversa. Infatti è naturale per ogni forma unirsi alla propria materia altrimenti il composto di forma e di materia sarebbe estraneo alla natura.

L’anima è forma e parte della specie umana. Se esistesse per sé stessa senza il corpo sarebbe imperfetta mentre nell’ordine naturale ciò che è perfetto precede ciò che è imperfetto.

Se le anime furono create prima dei corpi, l’invio a questi ultimi sarebbe avvenuto per violenza e non secondo natura. Inoltre se fossero rimaste prive di corpi per un periodo più o meno lungo avrebbero anche subito la violenza di non potersi unire ad un corpo, cosa che invece costituisce la tendenza naturale dell’anima; anche ciò è inammissibile perché ciò che è violento è contro natura.

Per natura ogni cosa desidera la propria perfezione quindi è il corpo che desidera l’anima e non viceversa.

Le anime separate non si unirebbero ai corpi per spontanea volontà perché saprebbero di dover soffrire; mentre nessuno vuol diventare peggiorare la propria condizione.

L’anima non può essere stata creata prima dei corpi per disposizione divina in quanto la Genesi dice che "Dio vide che era una cosa buona" a proposito delle singole creature e "Dio vide tutte le cose che aveva fatto, ed erano molto buone" a proposito di tutto il creato. Ora Dio crea per promuovere ad uno stato superiore, non ad uno inferiore; Perciò non poteva aver creato anime separate dai corpi.

Non può rientrare nella sapienza di Dio nobilitare i corpi a scapito delle anime. Origene sapendo questo suppose che le anime avessero peccato e fossero inviate nei corpi a scontare la pena. Ma ciò è insostenibile per i seguenti motivi:

l’esistenza dell’uomo non sarebbe un bene secondo natura mentre la Genesi dice che " tutte le cose che Dio aveva fatto erano molto buone".

Dal male non può venire un bene se non indirettamente e quindi i corpi non potevano essere considerati "molto buoni" dall’unione con anime in peccato.

S. Paolo dice di Giacobbe ed Esaù: "non essendo ancora nati, e non avendo fatto niente di bene o di male fu detto: il maggiore servirà il minore". Quindi prima della loro nascita nessuno di loro due aveva peccato.

Per acquisire la conoscenza delle cose, le anime hanno bisogno dei corpi che permette ad esse di elaborare, attraverso i sensi, le cognizioni e i ricordi. Se l’anima avesse la cognizione delle cose a prescindere dal corpo, bisognerebbe concludere che il corpo le risulterebbe d’impaccio dal momento che nascendo una persona non sa nulla e deve imparare tutto. Ma la natura non aggiunge ciò che costituisce un impaccio bensì ciò che facilita. Perciò l’uomo non sarebbe una realtà naturale.

L’anima unendosi al corpo non perde la scienza ma l’acquista in quanto lo scopo per cui è creata è quella di giungere alla contemplazione della verità mediante gli atti di virtù.

Se si interroga un ignorante in modo da fargli rispondere attraverso una riflessione logica alle domande poste, questi acquisirà una conoscenza progressiva. Perciò egli non ricorda conoscenze avute in precedenza ma conosce solo i principi per natura.

Se la conoscenza delle conclusioni fosse naturale come quella dei principi ne seguirebbe che le conclusioni sarebbero uguali per tutti come lo è per i principi; mentre invece non è così come mostra l’evidenza. Perciò le anime non preesistono ai corpi.

Il nostro intelletto conosce per natura l’ente e le proprietà che appartengono all’ente; in questo si fonda la conoscenza dei primi principi, mentre le conclusioni si raggiungono a partire dai principi.

Anche la conoscenza dei primi principi si acquista mediante i sensi come per esempio non conosceremmo che il tutto è maggiore della parte se i sensi non avessero percepito un tutto; perciò nell’anima prima dell’unione col corpo non vi è neppure la conoscenza dei primi principi, tantomeno la conoscenza di altre cose.

Se preesistessero un numero infinito di anime bisognerebbe che il mondo non abbia mai fine perché queste si incarnino tutte: ma ciò non è secondo rivelazione che stabilisce un termine per il mondo. Se invece preesistesse un numero limitato di anime potrebbero essere eccedenti oppure insufficienti per animare i corpi che vengono all’esistenza in questo mondo.

Non è possibile ammettere che una stessa anima si unisca contemporaneamente a più corpi in quanto può esistere solo un’anima col proprio corpo, avendo essi tra loro il rapporto di atto e potenza.

La virtù del motore deve essere proporzionata al corpo che deve muovere e tale è l’anima per il corpo. Perciò il numero delle anime dev’essere uguale a quello dei corpi. Ciò esclude la trasmigrazione delle anime da un corpo all’altro.

L’unità come l’essere, derivando dalla forma, dove c’è unità di forma deve esserci anche unità numerica. Quindi non è possibile che una singola anima si unisca con diversi corpi. Da ciò consegue pure che le anime non sono preesistite ai loro corpi.

ULTERIORI OBBIEZIONI SECONDO LA RAGIONE.

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Ciò che sempre dovrà essere (l’anima) sempre dovrà essere esistita; perciò l’anima si presuppone preesistente al corpo.

Dalla incorruttibilità della verità intelligibile si può dimostrare che l’anima è incorruttibile. Perciò si può dedurre che anche l’anima è eterna.

Se ogni volta che viene formato un corpo inizia anche un’anima si potrebbe pensare che all’universo mancano molte parti principali che lo rendono imperfetto. Il che è inammissibile.

Se Dio si riposò il settimo giorno significa che aveva finito di creare ogni cosa compreso le anime umane; mentre questo non sarebbe vero se deve ancora creare anime per ogni corpo che nasce.

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Alle obbiezioni di cui sopra S. Tommaso risponde :

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Sebbene l’anima abbia la virtù di esistere sempre non si può concludere che sia esistita da sempre o anche solo in precedenza rispetto al corpo.

Dal fatto che la verità è eterna rispetto alle cose che si conoscono si deduce che sono eterni gli oggetti conosciuti e non il soggetto che conosce. Dall’eternità della verità intelligibile si può dimostrare l’immortalità dell’anima e non la sua eternità e/o la preesistenza.

La perfezione dell’universo va considerata in rapporto alla specie e non agli individui. Le anime umane sono diverse non secondo la specie ma secondo il numero.

Anche il riposo di Dio dopo la creazione va inteso nel senso della cessazione nel creare nuove specie e non nuovi individui.

 

Occorre esaminare attentamente anche la Tradizione della Chiesa, per poter capire la questione posta pur mantenendo i limiti imposti dalla sinteticità di questo lavoro:

L’insegnamento della Chiesa non ha mai ammesso in alcun modo l’idea della reincarnazione delle anime.

I Padri della Chiesa non hanno mai avallato tale dottrina ma al contrario vi si sono opposti.

Spesso i sostenitori della reincarnazione citano espressioni dei Padri, attribuendo loro l’avallo per tale dottrina. In realtà tali citazioni sono estrapolate ad arte, togliendo le parti che servono a concludere il loro pensiero sulla questione.

Un esempio tipico è la citazione di S.Gregorio di Nissa il quale trova un elemento positivo nella teoria della reincarnazione solo perché attribuisce all’anima il suo carattere di immortalità, (e i reincarnazionisti se ne fanno un loro portabandiera) ma passa poi a confutare sistematicamente tale dottrina dichiarandola dettagliatamente incompatibile con la fede cristiana (ma di questo i reincarnazionisti non fanno cenno). E’ il solito vecchio sistema di cui si sono serviti sempre i contrabbandieri dell’errore a scapito della verità.

S.Agostino nel "De Civitate Dei" dichiara inaccettabile la reincarnazione e inconciliabile con la fede cristiana: oltre ad altri motivi che gli fanno ritenere stravagante questa dottrina, egli dice che l’amore per Dio e per il prossimo risulterebbe paralizzato già solo dall’idea di doversi reincarnare ciclicamente nella prigione del proprio corpo.

Per concludere è opportuno ricordare che la fede cristiana pone al centro la certezza nella resurrezione dei corpi, non nella reincorporazione in altri corpi ma resurrezione proprio del corpo che abbiamo avuto dal nostro concepimento e per tutta la durata dell’unica vita vissuta.

Se si tiene conto che secondo la fede nella resurrezione della carne, ogni corpo vissuto sulla terra dovrà riavere la propria anima ne consegue che non è possibile accettare la fede della reincarnazione che ammette invece che una singola anima possa venire in più corpi.

Diverse persone riferiscono di ricordarsi di vite passate, o sotto ipnosi o sotto altre forme di coscienza; questa condizione non dimostra che si tratti di reincarnazione, in quanto può trattarsi di condizionamento psicologico o da parte dell’ipnotizzatore o addirittura da parte del "padre della menzogna" che è perfettamente capace di suscitare nell’immaginazione visioni, percezioni, ricordi, con parvenza di realtà.

Sorge allora legittima la domanda: in che modo verranno scontate tante colpe non eccessivamente gravi, che comunque ci rendono indegni della salvezza eterna? Non sarebbe necessario un ritorno in un nuovo corpo per scontarne la pena?

La risposta della fede a questa domanda è il PURGATORIO e non la reincarnazione ( cf. il relativo argomento trattato il questo sito sotto il titolo PURGATORIO).

Il presente lavoro non esaurisce l’argomento ma rappresenta una sintesi . Si spera di aver comunque fornito un quadro sufficientemente chiaro

Si risponde alla seguente obbiezione:

<Elia non poteva essersi incorporato nel Battista il quale quindi profetava "con lo spirito di Elia", cioè con la sua forza, con il vigore e l’autorità che era stato dato ad Elia >

Si può anche interpretare così, anche se però l'affermazione di Gesù mi sembra abbastanza precisa e categorica "Elia è già tornato, ma non è stato riconosciuto" Secondo l'interpretazione di cui sopra, l'affermazione dovrebbe essere così formulata: "Battista ha profetato con la forza, il vigore e l'autorità di Elia, ma voi non avete compreso"

Non mi sembra che le due frasi dicano la stessa cosa.

Mi sembra anche strano che Pietro abbia potuto fare una simile domanda se non fosse stato a sua volta convinto di ciò che la tradizione affermava. Eppure Gesù non lo corregge. Mah!

Risposta:

Mt 11,14. E, se lo volete accettare, Egli è l'Elia, che doveva venire.

Qui Gesù cita un  passo del profeta Malachia 4:5 : «Ecco io vi mando Elia il profeta prima che venga il giorno dell'Eterno, giorno grande e spaventevole». Tratti in errore dalla versione dei 70. che rendono questo versetto colle parole: «Ecco io vi mando Elia il Tisbita», gli Ebrei aspettavano letteralmente che Elia il Tisbita riapparisse (tornando dal cielo dove era stato assunto col proprio corpo) prima della venuta del Messia.

Ma Gesù dice loro implicitamente che ciò era un errore, poiché la profezia era già stata adempiuta, essendo il promesso precursore non altri che Giovanni (il quale aveva avuto una nascita regolare). È da osservare, che né la testimonianza di questo versetto, né quella simile recata da nostro Signore in Matteo 17:12sono in contraddizione con la negativa di Giovanni, non essere Egli Elia Giovanni 1:21 ; poiché la domanda fattagli si riferiva evidentemente alla riapparizione di Elia il Tisbita in persona.

Mat 17,10-12 Allora i discepoli gli domandarono: «Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?». Ed egli rispose: «Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa.

Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l'hanno riconosciuto; anzi, l'hanno trattato come hanno voluto. Così anche il Figlio dell'uomo dovrà soffrire per opera loro».

Mc 9,11. Poi gli domandarono, dicendo: Perché dicono gli Scribi, che prima deve venire Elia?

Sapendo, che una volta raggiunti gli altri discepoli, non sarà loro più lecito di parlare del notevole evento di quella notte, essi colgono l'occasione per chiedere spiegazioni intorno ad una difficoltà che la vista di Elia aveva fatta venire in mente loro . Gli Scribi, citando le Scritture, insegnavano che prima che fosse apparso "l'Angelo dei Patto" (il Messia), Elia doveva apparire. Or come potea ciò conciliarsi con l'avvenuta apparizione di Elia in quella notte stessa? Essi credevano che Gesù il Messia; ma perché dunque non l'aveva Elia preceduto? Era forse quella breve apparizione di Elia sulla scena della trasfigurazione l'adempimento della profezia e né devono essi tre soli, fra tutto il popolo, essere i testimoni? E perché Elia non era egli rimasto con loro? Ovvero doveva egli apparire ancora e, in tal caso, perché questa inversione nell'ordine degli eventi?

Vedendo che con tale divieto non ci sarebbe modo di chiedere spiegazioni in appresso, e con l'animo pieno della scena di cui erano stati testimoni, i discepoli colgono avidamente l'occasione di farsi sciogliere una difficoltà intorno alla vaticinata venuta di Elia quale precursore de Messia. Se Gesù era il Messia (e di ciò non poteva esserci più alcun dubbio dopo quello che avevano pure allora veduto e udito), come dunque Elia non era ancora apparso secondo le profezie? Ovvero questa breve apparizione, sulla cima di una montagna della Galilea, nel mezzo della notte, la presenza non d'altri testimoni che di essi tre discepoli, doveva considerarsi come l'adempimento della profezia di Malachia? Gesù spiega loro che di Giovanni Battista parlava il profeta, perché Giovanni doveva venire nello spirito e nella virtù d'Elia, onde porre mano alla riforma morale d'Israele e preparare la via del Signore. Tutti i discepoli conoscevano già la sua storia quale Precursore .

L'apparizione di Elia nella sua gloria riconduceva naturalmente i loro pensieri alla popolare credenza che, innanzi alla venuta del Messia, dovesse quel profeta apparire in persona sulla terra. La spiegazione data da Cristo Matteo 11:14 , che Giovanni Battista era venuto (da intendersi nello spirito e colla potenza di Elia), e come suo precursore in adempimento della profezia di Malachia, era stata o dimenticata o non mai compresa da loro. Se prima della trasfigurazione essi avevano conservato qualche dubbio, dopo di essa non potevano più dubitare che Gesù fosse il Messia. Essi avevano veduto coi loro propri occhi il vero Elia che era stato assunto in cielo, e certamente nessuno che avesse la minima rassomiglianza con esso aveva preceduto Cristo; quindi la domanda: "Come dunque dicono gli Scribi che conviene che prima venga Elia?". Con pazienza grandissima il Signor nostro spiegò loro di nuovo ciò che a loro stessi aveva già detto, intorno a Giovanni, e questa volta la verità rifulse ai loro intelletti, ed essi l'accolsero.

La maggior parte dei Padri primitivi, gli scrittori Cattolici in genere, e molti scrittori moderni, ritengono che questa venuta di Elia debba ancora avverarsiletteralmente e servire d'introduzione alla seconda venuta del Signore. Essi son d'avviso che la profezia di Malachia, non sia stata ancora adempiuta definitivamente, perché il Battista non andò davanti al Signore, se non "nello spirito e virtù d'Elia".

 

Gv 1,21. Ed essi gli domandarono: Che sei adunque? (letteralmente: che dunque?) Sei tu Elia? Ed egli (Giovanni) disse: Io non lo sono.

I Giudei aspettavano in quei tempi (e la aspettano ancora) Elia il Tisbita, che doveva scendere in persona dal cielo, prima della venuta del Messia, e da ciò ebbe origine questa domanda in quel senso personale Giovanni nega di essere Elia, ma non nega di essere l'Elia di cui Malachia profetizzò ( 4:5) poiché subito dopo dichiara di essere stato mandato per preparare la via del Signore. Mentre corregge le loro false nozioni sopra Elia, spiega il suo vero carattere e la sua missione in modo così chiaro che essi avrebbero potuto comprendere essere egli l'Elia annunziato dal profeta (Matteo 9:14 );; Marco 9:11 -13

Considerazione

Giovanni Battista nega di essere Elia, Gesù invece dice che lo era. Sono essi in contraddizione?

Se Giovanni era un vero profeta non avrebbe potuto affermare di sè una cosa falsa. Tutt'al più se non lo sapeva, avrebbe dovuto dirlo. Ma invece lo negò esplicitamente. Infatti non era Elia il Tesbita e diceva il vero.

Gesù allora perchè diceva che Battista era Elia? Perchè indicava così il messaggero che avrebbe preparato la sua missione e diceva ugualmente il vero.

Solo in tal modo si capisce sia l'affermazione dell'annunziatore che dell'Annunziato, circa l'identità del Battista.

Eb 9,27 E come è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio...

Questa espressione è vincolante per la nostra fede tanto più che non è diversamente interpretabile da come appare esplicitamente; infatti

Il Concilio ecumenico Vaticano II, parla - citando Eb 9,27- dell'«unico corso di questa vita terrestre»:

«Siccome poi non conosciamo il giorno ne l'ora, bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinchè, finito l'unico corso della nostra vita terrena (cfr. Eb 9,27), meritiamo di entrare con Lui nel banchetto nuziale ed essere annoverati fra i beati (cfr. Mt 25,31-46), ne ci si comandi, come a servi cattivi e pigri (cfr. Mt 25,26), di andare al fuoco eterno (Mt 25,41), nelle tenebre esteriori dove "ci sarà il pianto e lo stridore dei denti" (Mt 22,13 e 25,30) ».

Dagli atti del Concilio ricaviamo che l'inciso fu aggiunto al testo conciliare e approvato con una precisa intenzione anti-reincarnazionista.

Se guardiamo poi le cose con un pò di attenzione, dobbiamo constatare che la reincarnazione è esclusa dal magistero costante della Chiesa cattolica, anche solenne e definitorio, in modo implicito, perché risultano condannati punti di dottrina che sono assolutamente solidali con la teoria della reincarnazione, sotto qualunque forma la si voglia concepire.

Così non si può sostenere la reincarnazione senza sostenere anche la preesistenza delle anime, che è stata esplicitamente condannata dalla Chiesa durante il Sinodo di Costantinopoli del 553 e nel Concilio di Braga del 561.

Non si può sostenere la reincarnazione senza ammettere che il giudizio non segue sempre e immediatamente la morte. Ora, la Chiesa ha definito solennemente che alla morte segue sempre immediatamente il giudizio e le anime vanno subito (mox), a seconda delle colpe e dei meriti, in purgatorio, all'inferno o in paradiso.

Chi sostiene la reincarnazione deve necessariamente professare una antropologia in cui l' anima intrattiene con il corpo un legame accidentale, mentre la Chiesa ha definito che l'anima è la forma del corpo, cioè il legame dell'anima con il corpo è essenziale.

Chi sostiene la reincarnazione deve ritenere che la resurrezione dei corpi non avviene per riassunzione del proprio corpo, ma - nella migliore delle ipotesi ( II reincarnazionismo tende almeno a una concezione della salvezza di natura radicalmente spiritualista: il cammino della perfezione attraverso i corpi ha come meta definitiva uno stato non più corporeo La presenza nel corpo e infatti una pena e una punizione) -di un altro corpo, mentre il magistero insiste a parlare di «proprio» corpo, di identità reale fra il corpo terreno e il corpo glorioso.

Secondo il magistero della Chiesa infatti la resurrezione sarà «nei loro corpi» (Simbolo «Quicumque»), «con i loro corpi» (II concilio Ecumenico di lione, Professione di fede cit, DS 859; e Solenne professione di fede di paolo VI [1968], n° 28, bn-chindion Vaticanum, voi 3, n" 564), «in questa carne, in cui ora viviamo" (Formula detta «Fides Damasi», DS 72), «la risurrezione di questa stessa carne che abbiamo, e non di un'altra» (Professione di fede prescritta ai Valdesi [ 1208], DS 797), «tutti risorgeranno coi corpi di cui ora sono rivestiti» (concilio ecumenico Lateranensis IV [1215], Capitolo «Firrmter» contro gli Albigesi e i Catari, DS 801)

Di recente Giovanni Paolo II ha sintetizzato così questo insegnamento costante della Chiesa cattolica: «La speranza cristiana ci assicura inoltre che l "esilio dal corpo" non durerà e che la nostra felicità presso il Signore raggiungerà la sua pienezza con la risurrezione dei corpi alla fine del mondo. [...] una vera e propria risurrezione dei corpi, con la piena reintegrazione delle singole persone nella nuova vita del cielo, e non una reincarnazione intesa come ritorno alla vita sulla stessa terra, in altri corpi».**