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Gesù non usa mai il nome Geova nei Vangeli.

La wts sa che gli ebrei dell’epoca di Cristo non pronunciavano mai il nome di Dio, e asserisce quanto segue:

«Gesù avrebbe seguito una simile tradizione non scritturale? Difficilmente! Egli non si trattenne certo dal compiere opere di guarigione di sabato, anche se questo significava infrangere le regole di origine umana istituite dagli ebrei e mettere addirittura a repentaglio la propria vita. (Matteo, 12:9-14) In effetti Gesù definì ipocriti i farisei perché le loro tradizioni andavano oltre l’ispirata Parola di Dio. (Matteo 15:1-9) E’ quindi improbabile che si astenesse dal pronunciare il nome di Dio, soprattutto se si considera che il suo stesso nome, Gesù, significa, “Geova è salvezza”.

Una volta, mentre si trovava in una sinagoga, Gesù si alzò e lesse un brano del rotolo di Isaia. Quel brano corrispondeva all’attuale Isaia 61:1,2, dove il nome di Dio ricorre più di una volta. (Luca 4:16-21) Si sarebbe egli rifiutato di pronunciare il nome divino che aveva sotto gli occhi sostituendolo con “Signore” o “Dio”? Ovviamente no».

Ora, tralasciando la questione che pronunciando Ieshua, o YAH-SHUA, la forma ebraica più attendibile con cui veniva chiamato Gesù, non si pronuncia il nome di Dio (ma, semplicemente, si “rimanda” ad esso per tramite di una sua contrazione), gli autori della nostra pubblicazione accennano al fatto che ogni volta in cui Cristo fece qualcosa di contrario alla Legge, così come la interpretavano gli ebrei suoi contemporanei, Egli andò incontro all’ostilità di almeno parte dei presenti, fino a mettere in pericolo la propria vita. Quindi, se nel leggere il passo scritturale in oggetto, Gesù avesse pronunciato il nome di Dio, probabilmente tra gli astanti si sarebbe levato perlomeno un brusio di disapprovazione e di sdegno (si tenga presente che l’episodio si svolge a Nazaret, la città natale di Cristo, città che sappiamo essergli ostile). Quale fu, invece, la reazione degli ascoltatori? Leggiamola così come ce la descrive Luca stesso:

“Poi arrotolò il volume, lo consegnò all'inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui”. (Luca 4,20).

Ecco, tutti lo fissano: sono in attesa di quello che il Salvatore dirà a commento di quanto ha letto; nessun segno di ostilità traspare, per il momento, dall’atteggiamento degli astanti. L’ostilità verrà subito dopo, quando Gesù dichiarerà che la profezia di Isaia si riferisce proprio a Lui.
Nel passo letto da Gesù, nel testo ebraico, il Tetragramma appare due volte, se Egli lo avesse pronunciato, invece che sostituirlo con “Signore”, di certo la folla degli astanti non sarebbe rimasta in silenzio. Possiamo pertanto dedurre che anche in questo caso, in cui la TNM mette in bocca a Gesù il nome di Dio (anche se, bisogna sottolinearlo, non sono parole Sue, ma si tratta di una citazione veterotestamentaria), Egli si astenne dal pronunciarlo.
Non sono di questa opinione, come abbiamo visto, i TdG, i quali a pagina 16 scrivono:

«Sarebbe quindi davvero irragionevole pensare che Gesù si astenesse dall’usare il nome di Dio, specialmente quando citava brani delle Scritture Ebraiche che lo contenevano».
E poco sotto, continuano:

«I seguaci di Gesù nel primo secolo usavano il nome di Dio? Gesù aveva comandato loro di fare discepoli persone di tutte le nazioni (Matteo 28:19,20) Molti di quelli a cui dovevano predicare non avevano la minima idea di chi fosse l’Iddio che si era rivelato agli ebrei col nome di Geova. Come avrebbero potuto i cristiani far capire loro chi era il vero Dio?».

Noi, ingenuamente, a questa domanda potremmo rispondere che, visto che gli apostoli parlavano di un Dio che era anche l’unico Dio, non c’era possibilità di far grosse confusioni, lo dimostra il fatto che quando i missionari “apostati” nei secoli successivi si trovarono a dover evangelizzare le popolazioni non cristiane dell’Europa e del mondo, riuscirono comunque a farsi capire, pur non facendo uso del “vero” nome di Dio.

Agli autori del presente scritto, invece, sfugge questa facile constatazione, e vanno avanti con le loro argomentazioni:

«Come potevano i cristiani fare una netta distinzione tra il vero Dio e i falsi? Solo usando il nome del vero Dio».
Quindi, per i TdG è evidente che i cristiani, prima della grande apostasia (che già si preparava), facevano uso del vero nome di Dio, anche se non si sa come lo pronunciassero, in quanto nel Nuovo Testamento in greco questo nome non compare mai.

Dopo la grande apostasia, però, il vero nome di Dio cadde in disuso, perfino nel Nuovo Testamento, dove in principio (sempre secondo i TdG) c’era, ma poi fu abilmente rimosso ad opera di Satana.

«Col tempo, però, il nome di Dio cominciò ad essere nuovamente usato».
Ci informa il nostro scritto a pagina 17. E continua:

«Nel 1278 esso apparve in latino nell’opera Pugio fidei (Il pugnale della fede), di Raimondo Martini, un domenicano spagnolo».
Ma come, Satana aveva fatto tanta fatica per far dimenticare ai suoi il vero nome di Dio ed ecco che proprio uno dei suoi ministri, un domenicano (!), lo ritira fuori? Anche qui, la logica dei TdG fa evidentemente leva su leggi ignote a noi tutti che non siamo nella “verità”.

L’opuscolo procede per diverse pagine mostrando come il vero nome di Dio, comunque, non fu utilizzato molto di frequente nelle chiese “apostate”, le quali, con alcune eccezioni, non lo usarono nelle loro traduzioni della Bibbia nelle varie lingue moderne.

Alla fine di questo excursus storico, apprendiamo che al nome di Dio è stata però restituita tutta la sua gloria grazie alla TNM. In questa, i traduttori geovisti, non solo lo hanno inserito circa 7000 volte nell’Antico Testamento (lì dove nel testo originale compare il Tetragramma), ma lo hanno “ripristinato” per ben 237 volte anche nel Nuovo Testamento.

Saltando a piè pari gli argomenti pseudo-filologici che i TdG adducono onde giustificare tale “ripristino” (i quali sono stati già ampiamente smontati da altri), giungiamo a pagina 26, dove troviamo scritto:

«[…] traduttori e studiosi della Bibbia compresero che, senza il nome di Dio, è molto difficile capire correttamente certe parti delle scritture Greche Cristiane. Il ripristino del nome di Dio è di grande aiuto per rendere più chiara e comprensibile questa parte della Bibbia ispirata».
Subito sotto, nella stessa pagina, per esemplificare come la “logica” del discorso di alcuni passaggi del Nuovo Testamento divenga più chiara grazie alla “reintroduzione” del vero nome di Dio, viene citato il caso di Romani 10,13.

Vediamo quindi come il brano a cui appartiene il versetto in oggetto viene tradotto nella versione CEI:

“Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo.
Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza.
Dice infatti la Scrittura: Chiunque crede in lui non sarà deluso.
Poiché non c'è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che l'invocano.
Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato”. [Rm 10,9-13]
Possiamo riassumere (riducendolo all'osso) il “ragionamento” che soggiace a questo brano di Paolo nel modo che segue:

Chi invoca il Signore si salva.
Il Signore è Gesù.
Chi invoca Gesù (avendolo riconosciuto Signore) si salva.
Mi sembra che, oltre ai seguaci di Gesù, qui si salvi anche la “logica”.

Ecco, invece, come la TNM rende il medesimo brano:

«Poiché se pubblicamente dichiari quella ‘parola della tua bocca’, che Gesù è Signore, ed eserciti fede nel tuo cuore che Dio lo ha destato dai morti, sarai salvato. Poiché col cuore si esercita fede per la giustizia, ma con la bocca si fa pubblica dichiarazione per la salvezza.
Poiché la Scrittura dice: “Chiunque ripone fede in lui non sarà deluso”. Poiché non c’è distinzione fra giudeo e greco, poiché sopra tutti è lo stesso Signore, che è ricco verso tutti quelli che lo invocano. Poiché “chiunque invoca il nome di Geova sarà salvato”».
Per i TdG, il “ragionamento” soggiacente a questo testo è quindi questo:

Chi invoca Geova si salva.
Il Signore è Gesù.
Chi invoca Gesù (avendolo riconosciuto Signore) si salva.
Che fine ha fatto qui la logica?
Ecco che il brano di Paolo diventa una semplice giustapposizione di periodi senza alcuna consequenzialità logica e perde ogni senso quel “poiché” (causale) che introduce l'ultima proposizione.
Ora, visto che Romani 10,13 è una citazione di Gioele 3,5 e che nel testo ebraico qui appare il Tetragramma, a rigor di “logica”, ciò che deriva dal brano in oggetto come lo rende la CEI è che Cristo è Dio, mentre così come questo passo viene reso dai TdG la divinità di Cristo svanisce. La fregatura, però, sta nel fatto che nella traduzione geovista non salta solo la divinità di Gesù, ma anche la logica del discorso paolino. Quindi, l'inserimento di "Geova" in questo passo non ha affatto migliorato la comprensibilità del medesimo, ma la ha annullata.
[Modificato da Credente 28/03/2016 22:41]