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 IL NOME DIVINO 


In questo documento si vuole cercare di fornire delle risposte in merito al nome che i tdg usano per propagandare la loro letteratura: "Geova" il nome divino.

CONTRADDIZIONI DELLA WTS 

I testimoni di geova sostengono che , per distinguersi dai molti falsi dii, il vero Dio si è dato un nome personale. 
Il nome personale di Dio ci viene fatto conoscere per mezzo della sua Parola, la Bibbia, e questo nome è GEOVA (p. 17).
Siamo di fronte a un'affermazione precisa e categorica, che non corrisponde tuttavia alla
realtà biblica. Perciò da semplici cristiani desiderosi di praticare solo l’insegnamento
divino, non possiamo esimerci dal confutare una inesattezza così grave.

Anzitutto va notato che sono gli stessi Testimoni a scrivere quanto segue:
Il problema è che oggi non abbiamo perciò nessun modo di sapere con esattezza quali
vocali gli Ebrei usassero con le consonanti YHWH 
(La verità che conduce alla vita eterna, p. 18).
E ancora, nel libro Il nome divino che durerà in eterno si leggono queste parole: «A dir la
verità nessuno sa con certezza come si pronunciasse in origine il nome di Dio» (p. 7).
Appare perciò paradossale la contraddizione tra l'affermazione categorica che: -Geova è il
solo vero nome di Dio, - e queste altre affermazioni secondo cui nessuno conosce la
pronuncia esatta dello stesso nome. Il problema principale e che i Testimoni di Geova semplificano al massimo le problematiche legate allo studio delle sacre scritture che semplici non sono e non possono essere. Lo fanno per avere facile presa e creare immediatamente delle convinzioni nei loro sostenitori, facilmente riconducibili ad argomentazioni studiate più per convincere che per dimostrare quanto si afferma e se non sarebbe che si contraddicono da soli gli potremmo definire pure bravi. 

L ‘IMPORTANZA DEL NOME NELLA BIBBIA

[19]Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome.[20]Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l'uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile.

"Dare un nome", nella cultura biblica, è molto più che un arbitrario esercizio estetico e poetico. I nostri pregiudizi e la cultura moderna, lontana dalle prospettive bibliche, ci rendono ciechi al fatto che anche questo elemento del racconto della Genesi ha precise connotazioni antropologiche. Esso ci parla delle capacità uniche nel loro genere che Dio ha concesso alla creatura umana. vale a dire, quella di dominare sul creato e di elaborare il linguaggio formando ed identificando dei concetti. Questo "semplice" riferimento biblico, ci parla così delle capacità e delle responsabilità umane rivelandosi fondante persino della stessa razionalità umana.

FACOLTÀ DI DOMINIO E IL SIGNIFICATO DI UN NOME 

In Genesi 2, dove troviamo questo episodio, si pone in parallelo funzionale al racconto che troviamo in Genesi 1. 
[28]Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente,che striscia sulla terra».
Quelli che chiamiamo "i due racconti della creazione" non sono due racconti giustapposti di origine diversa, ma rispondono ad un'unica struttura letteraria: il primo si prefigge di dare un'immagine complessiva, "cosmica" della creazione, il secondo un'immagine più dettagliata. Di fatto i due racconti procedono in parallelo. L'episodio del "dare un nome" in Genesi 2 corrisponde a quello, in Genesi 1, 
Di fatto, "dare un nome", nella cultura biblica, designa la facoltà di dominare, di gestire, quella propria di chi, in quanto superiore, esercita una responsabilità. Nel comando di "dare un nome", Dio assegna alla creatura umana una podestà, una responsabilità delegata. Potrebbe farlo Lui stesso, ma Dio delega alla creatura umana di "dare un nome". Rispetto a Genesi 1, Genesi 2 spiega come Adamo riceva dominio su "ogni animale che si muove sulla terra". Dando personalmente nomi a ciascun animale, Adamo riceve dominio personale su di loro, come Dio aveva inteso.
Nella cultura biblica il nome identifica tutto un programma di vita oppure tiene conto della situazione creatasi, ecc. Esaminiamo alcuni esempi tratti dalla Bibbia:
Genesi 2:7.. Uomo, dall'ebraico adham (da cui Adamo), da adhamah.. (terra, suolo, terreno). Genesi 4:25.. Set...dall'ebraico sheth.. sostituito.. messo in luogo.. al posto (sostituì Abele ucciso). Genesi 16:11.. Ismaele.. Dio ascolta.... (Dio ascoltò l'afflizione di Sara). Genesi 17:19...Isacco....ride.. (Sara rise alla notizia dell'annuncio della nascita). Esodo 2:10.. Mosè.. dall'ebraico mashah.. trarre fuori (tratto fuori dall'acqua). Isaia ..servo di IAH Daniele.. Dio è il mio giudice 
Stesso discorso viene fatto per i luoghi Biblici: Genesi 11:9.. Babel....da un verbo che significa confondere Genesi 12:8.. Betel...casa di Dio.

Dal nome di una persona si può rilevare la personalità, il carattere, il proposito, ecc.
Vi sono nella Bibbia anche dei casi in cui a seconda della missione o del ruolo della persona, il suo nome viene cambiato: - Genesi 17:4.. Abramo (padre eccelso)..cambia in Abraamo (padre di una moltitudine) Numeri 13:8... Hoscea...(salvezza)..cambia in Giosuè.. (Yahu è salvezza).. Numeri 14:30

IL NOME DI DIO PER GLI EBREI

Nella sua forma consonantica יהוה il tetragramma è simile alla forma verbale יִהְיֶה (yhyèh), terza persona singolare imperfetto del verbo essere הוה =)היה), che può essere reso con "è, era, sarà" (diversamente dall'italiano dove ha un valore temporale passato, il tempo imperfetto ebraico indica un'azione non ultimata, indipendentemente dall'effettivo contesto temporale passato, presente o futuro). Presso gli Ebrei il nome di Dio (indicato appunto con il tetragramma YHWH) non veniva
pronunciato mai o molto raramente, e ciò per ragioni in seguito alle riflessioni in merito al comandamento in esodo 20:7 e di rispetto religioso.
Esodo - Capitolo 20 
[7]Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano.

Era sostituito dall'appellativo Adonai (Signore). Questa continua mancata utilizzazione del tetragramma YHWH fece sì che col tempo la pronuncia esatta della parola andò perduta. Infatti, già qualche secolo prima della venuta del Cristo essa era ignota ai più o conosciuta forse solo da pochissimi, proprio perché il tetragramma non veniva praticamente mai pronunciato. Come è noto, l'alfabeto della lingua ebraica antica era costituito di sole consonanti. Anche questo fatto favorì indubbiamente la perdita dell'esatta pronuncia di quel nome. Furono i Masoreti, filologi ebrei, che intorno ai secoli VII-IX d.C. inserirono nel testo biblico alcuni puntini e trattini vocalici per fissare l'esatta pronuncia dei termini. Alla parola YHWH però non apposero i segni vocalici propri, ormai sconosciuti, bensì quelli corrispondenti alle vocali della parola che da secoli veniva pronunciata al suo posto, cioè Adonai (Signore). Così il lettore del testo biblico leggeva il tetragramma YHWH con le vocali del nome Adonai. La vocalizzazione apposta dai Masoreti mette il traduttore moderno di
fronte a tre possibili soluzioni:
a) lasciare inalterato il tetragramma YHWH;
b) sostituire il tetragramma con l'appellativo Signore;
c) traslitterare il nome, utilizzando le vocali di Adonai, oppure Eloha( Dio) singolare di Elohim.
Optando per La soluzione c) si ottiene una forma ibrida, divulgata poi in italiano secondo modalità linguistiche locali, che diedero come esito finale il termine
Geova: Y e H o W a H. Motivo per cui si trova anche in alcune chiese .

IL TERMINI "GEOVA" NELLE CHIESE  

743 anni fa Il primo uso documentato di questa forma. Infatti risale al XIII secolo dopo Cristo. Raymundus Martini, un monaco spagnolo dell'Ordine Domenicano, usò "Geova" nel suo libro Pugio Fidei dell'anno -1270 che combinando le vocali di Eloha e le consonanti di Elohim con le 4 consonanti del tetragramma si ricavava le pronunce yehovah e yehovih le prime di queste fornirono la base della forma nativizata di Geova. L’errore si protrasse fino a quando si è capito che è un errore colossale in quanto l’ibrido ricavato non ha nessun significato in Ebraico  a differenza del ben più accreditato Yahweh
Per fare un esempio possiamo prendere le consonanti di un nome come DoMeNiCo,
e le vocali dell’attributo sIgnOrE che otterremmo DIMONEC che ovviamente non significa nulla 
almeno che non lo si vuole usare come nome di una nuova ditta aziendale coem ha fatto la WTS.

Questa , non considera affatto che nella sua forma consonantica יהוה il tetragramma è simile alla forma verbale יִהְיֶה (yhyèh), terza persona singolare imperfetto e vi è un vero significato , dove ha un valore temporale passato, il tempo imperfetto ebraico indica un'azione non ultimata, indipendentemente dall'effettivo contesto temporale passato, presente o futuro).

"HO FATTO CONOSCERE IL TUO NOME"

Il CD ammette : " La parola greca tradotta 'conoscere' ha un significato molto più profondo della parola italiana 'conoscere' (...) significa 'venire a conoscenza, imparare a conoscere, comprendere'. In Giovanni 17:3 indica una relazione basata sulla fiducia. (...) Quindi conoscere Geova Dio significa avere un'intelligente amicizia con lui. Poiché ci vuole conoscere dal cuore, non semplice conoscenza mentale, per conoscere Dio il cristiano dovrà essere in armonia o in sintonia con Dio e con le sue vie" (t.d. guardia 1/5/1977 pag. 274 e segg.).
Quindi l'espressione "conoscere il nome di Dio" ha un significato più profondo della semplice conoscenza del tetragramma. Essa significa conoscere la reale personalità di Dio ed implica l'ubbidienza alle norme sancite da quell'Iddio. "Per i discepoli, apprendere il nome di Dio aveva relazione con l'imparare a conoscere personalmente l'amore di Dio" (Il Nome Divino.. pag. 30).
D'altronde, ripetiamo, non era giustificato pretendere di far conoscere il letterale nome divino agli Ebrei, poiché questi lo conoscevano bene benché non lo pronunciassero perché impediti dalla tradizione. Quindi, è semplicemente irragionevole pretendere di giungere a conclusioni dogmatiche sulle modalità d'uso del Nome al tempo di Gesù e delle prime comunità cristiane, come fa il CD (affermando nella t.d. guardia del 15/7/1980 che Gesù ed i suoi discepoli usavano liberamente il nome di Dio). 
Lo stesso Paolo, nel discorso all'Areòpago (Atti 17:22÷34), dimostra che si può dare un'eccellente testimonianza del cristianesimo senza dover necessariamente includervi la menzione del Nome. In quella circostanza, Paolo non ritenne necessario usare il tetragramma per fare una netta distinzione tra il vero Dio ed i falsi dei, se lo scopo primario dei primi cristiani fosse stato quello di diffondere il tetragramma, quale occasione migliore avrebbe avuto Paolo per farlo? Eppure, egli tacque sull'argomento, aveva un messaggio più importante e vitale da trasmettere che non il Nome, peraltro già noto nell'antichità come si è visto.

Inoltre se prendiamo alla lettera proprio l’affermazione di Gesù "ho fatto conoscere il tuo nome" chiediamoci: come mai non risulta che Gesù abbia insegnato il nome proprio corretto di suo Padre agli apostoli né tanto meno è scritto nei vangeli che abbia raccomandato loro di usarlo ed insegnarlo ad altri? Gesù, in un esempio di preghiera (quello della parabola del fariseo e del pubblicano), riportata in LUCA 18:9-14 ha messo sulla bocca di entrambi la parola "Dio = theos", eppure uno dei due torna a casa giustificato grazie al suo atteggiamento umile, anche se né lui né l’altro avevano usato il nome proprio di Dio! Per quanto riguarda i veri Cristiani la Bibbia dice che "non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale possiamo essere salvati" (ATTI 4:10-12) ed è quello di Gesù Cristo (v.10): quello di Gesù è quindi l’unico Nome a cui i Cristiani devono fare riferimento, in quanto Egli è l’unico Salvatore, attributo questo che nelle scritture 
Un altro grosso problema per il Corpo Direttivo è quello di spiegare come mai se il conoscere e l’usare il nome di Dio è così importante per i Cristiani, questo Nome cioè il tetragramma (le consonanti del Nome di Dio) non è presente in nessuno degli antichi manoscritti delle scritture greche-cristiane come sono costretti ad ammettere anche i TdG ad esempio nell’opuscolo "Nome divino...". La spiegazione del Corpo Direttivo è che i manoscritti che abbiamo sarebbero stati manipolati dalla "chiesa apostata" allo scopo di eliminare il Nome di Dio (come spiega anche La Torre di Guardia del 1/10/97 la quale ci informa che dietro l’eliminazione del Nome di Dio dalle scritture c’è "lo zampino di Satana"!) Ma se questa spiegazione fosse accettabile allora i Cristiani dovrebbero chiedersi: quale fiducia possiamo riporre in un testo alterato? Chi ci dice infatti che gli scribi o Satana non abbiano alterato la Bibbia anche in altri punti importanti?
«I manoscritti del libro di Rivelazione (o "Apocalisse", l'ultimo libro della Bibbia) contengono il nome di Dio nella sua forma abbreviata, "Iah" (nella parola "Alleluia"). Ma a parte ciò, nessun antico manoscritto greco oggi in nostro possesso dei libri da Matteo a Rivelazione contiene il nome di Dio per esteso» (pag. 23).

NELLE SCRITTURE GRECHE

Quindi, per sua stessa ammissione, la Società Torre di Guardia riconosce che il nome Geova non si trova nei manoscritti del Nuovo Testamento. Inoltre e bene tener presente che loro si riferiscono al tetragramma e questo come visto non certamente geova o Yehowah che come detto non hanno nessun significato per gli Ebrei. 
Ma allora perché lo hanno inserito per ben 237 volte nella TNM? Secondo i Testimoni di Geova «i cristiani apostati del II e del III secolo [tolsero il nome] nel ricopiare i manoscritti greci della Bibbia e non lo adoperarono quando tradussero la Bibbia in altre lingue» (pag. 27). Con tali parole il Corpo Direttivo rivolge ai cristiani del II° e III° l'accusa di apostasia. Ma è credibile che degli uomini timorati di Dio prima abbiano alterato la Sua Parola, commettendo un grave peccato, e poi abbiano sofferto e siano morti per essa? Tutto ciò sarebbe davvero illogico e paradossale. Si tratta chiaramente di accuse insostenibili, sia dal punto di vista biblico che storico.
pur di giustificare la presenza del nome Geova nel Nuovo Testamento non si sono risparmiati nemmeno coloro che con fede e devozione hanno fatto pervenire a noi le Sacre Scritture.
ebraiche viene sempre riferito a Dio (vedi ad esempio ISAIA 43:11, 45:21, GIOELE 2:32, ecc.) e che nelle scritture cristiane viene sempre applicato a Gesù (vedi ad esempio TITO 3:4-5, ROMANI 10:13, ecc.). Dio dice che chi segue Gesù deve essere chiamato "Cristiano" (ATTI 11:26) e diventa un "testimone di Gesù" (ATTI 1:8) e non di "Geova". Inoltre è anche scritto che ha la vita eterna chi ha fede "nel nome del Figlio di Dio" (I Giov.5:13).
Tutto questo crea non poche difficoltà agli schemi dottrinali del Corpo Direttivo che cerca di risolvere il problema manipolando la traduzione e cercando comunque di evitare quei confronti paralleli tra Antico e Nuovo Testamento da cui emerge chiaramente che attributi esclusivi di Dio vengono regolarmente applicati a Gesù.
Quindi, non potendo disporre dell'autorità degli antichi manoscritti, la Società si è appoggiata a delle traduzioni ebraiche del NT, la più antica delle quali risale solo al 1555! Ma, come dicevamo, nessun antico manoscritto greco del Nuovo Testamento riporta il "nome divino" nella forma Geova o in qualche suo equivalente.

La Società si dimostra poi incoerente nell'applicare la regola di citare traduzioni ebraiche. Quando, infatti, queste traduzioni sono in contrasto con la sua "teologia", le note in calce rimangono stranamente mute. Per esempio, in Ebrei 1:10-12 si legge nella TNM :
10 E: "Tu in principio, Signore, ponesti le fondamenta della terra e i cieli sono [le] opere delle tue mani. 11 Essi periranno, ma tu rimarrai continuamente; e tutti invecchieranno come un abito, 12 e tu li avvolgerai come un mantello, come un abito; e saranno mutati, ma tu sei lo stesso e i tuoi anni non finiranno mai".

Perché non vi è alcuna nota in calce che rimanda alle traduzioni ebraiche di questo passo? Non vi è alcun dubbio che qui si stia parlando di JHWH, il Creatore del mondo. Il silenzio della nota e la mancanza del "ripristino" del nome Geova in questo versetto dipende semplicemente dal fatto che qui lo scrittore ispirato si sta riferendo al Figlio di Dio: sarebbe molto contrastante con le dottrine dei TdG chiamare il Figlio di Dio Geova... e di questi esempio se ne possono fare tantissimi altri. 
GESÙ HA PRONUNCIATO IL NOME DI DIO LUCA 4:17-21
Nessun ebreo come Gesù si sarebbe sognato di pronunciare il nome divino, e Gesù in quell'occasione ha fatto come da traduzione/ tradizione. Infatti non notiamo nessuna reazione da parte gli uditori posti davanti a Gesù, nel passo citato, e come qualsiasi altro ebreo trovandosi di fronte il tetragramma l'ho ha tradotto Adonay. Altrimenti sarebbe stato accusato di aver profanato il nome di Dio. all'epoca di Gesù la pronuncia del tetragramma era consentita probabilmente solo al sommo sacerdote e nel tempio. Infatti lo stesso C.D. (Corpo Direttivo dei t.d.Geova) ha ammesso che: quando Gesù era sulla terra, se ne conosceva la pronuncia, anche se forse non era estesamente usata. (Il Nome Divino.. pag. 14) Quindi, alla luce dei fatti presentati, nulla vieta di pensare che Gesù e gli Apostoli si adeguarono alla tradizione ebraica, come fecero in altre circostanze (Atti 3:1; Luca 4:16) e leggendo o citando le scritture seguivano l'usanza di pronunciare, invece del tetragramma, le parole corrispondenti a "Signore" o "Dio". Avrebbe Gesù potuto impressionare favorevolmente gli ascoltatori ebrei (Luca 4:22), se li avesse turbati nel loro tradizionale rispetto per il Nome? Le folle gli avrebbero riconosciuto "autorità" (Matteo 7:29), se egli avesse offeso il loro senso della tradizione pronunciando il tetragramma? Ovviamente Gesù usò empatia soprattutto perché la sua missione terrena non consisteva nel ripristino e nella propaganda di un nome, che peraltro tutti gli Ebrei rispettavano rigorosamente. Piuttosto, egli era stato mandato per "glorificare" il nome di Dio (Matteo 6:9; Giov. 12:28, 17:26; Atti 2:21). Che significa questo? 
Come il CD sa bene (Il Nome Divino.. pag. 4, 28÷30), "uno studio della parola 'nome' nell'A.T. rivela il profondo significato che essa ha in ebraico. Il nome non è una semplice etichetta, ma rappresenta la vera personalità di colui al quale appartiene" ( The Illustrated Bible Dictionary, vol 1, pag. 72), (cfr. 1° Samuele 25:25). Inoltre, i t.d.Geova dovrebbero sapere che "conoscere il nome di Dio significa più che avere una semplice cognizione del termine (2° Cronache 6:33). Vuol dire in realtà conoscere la Persona, i suoi obiettivi, le sue attività e qualità, come sono rivelati nella sua Parola" (Ausiliario...pag. 887 sub voce "Nome"). 
E geova (YEHOWAH) non significa assolutissimamente nulla.

Il nome Gesù – YHWH salva
Come già detto precedentemente nella cultura biblica il nome identifica anche la persona e le sue caratteristiche. Il nome del Signore Gesù a differenza del tetragramma è un nome comune della tradizione ebraica e tutt'ora utilizzato.
Come sono conosciuti tutti i nome che compaiono nella bibbia. Nonostante nel corso del tempo lingua e scritture subiscono delle evoluzioni. Gesù corrisponde infatti al nome del personaggio comunemente conosciuto come Giosuè, il successore di Mosè che guidò Israele alla conquista della terra promessa. Vediamo un brano dell’Antico Testamento:
Deuteronomio 34:9, dove leggiamo: “Giosuè, figlio di Nun, fu pieno dello Spirito di sapienza … ” (Nuova Riveduta).
La parola ebraica tradotta qui Giosuè è יהושע, che possiamo traslitterare nel nostro alfabeto come Iehosciua. Di solito però, per vari motivi, grazie all’ampliamento del nostro alfabeto classico e alla fonetica della “sh” ormai ampiamente equiparata alla nostra “sc” italiana, questo nome viene di solito traslitterato Yehoshua.

La prima traduzione in altra lingua dell’Antico Testamento fu in greco, la cosiddetta LXX o Septuaginta. In questa versione i traduttori, non avendo un corrispettivo del nome biblico in greco cui far riferimento, provarono a rappresentare il suono originale come meglio potevano. La LXX legge così in Deuteronomio 34:9 il nome del condottiero ebraico: ἰησοῦς. L’alfabeto greco non permetteva la riproduzione del suono ebraico. Aggiunge le vocali dove il testo ebraico aveva solo consonanti, ma abbandona il suono “sh” perché non trova un corrispettivo in greco e quindi non vi era modo di rappresentarlo. Tolsero inoltre la “a” finale, che, logicamente, sostituirono con la terminazione della parola maschile greca.
In sostanza il greco non poteva non alterare i suoni tipici dell’ebraico, lingua semitica, a favore di una semplificazione che rendesse i vocaboli pronunciabili in lingua greca. Infatti, quando il nome ebraico venne semplificato, dopo l’esilio babilonese, nella forma ישׁוע (vedi il testo originale di Neemia 8:17), il greco non aveva modo di far percepire il semplice cambiamento consistente nell’omissione di “ho” e così Yehoshua diveniva Yeshua, senza che però il greco mutasse ed anche qui la LXX traduce il nome ἰησοῦς.
In latino il termine greco divenne Iesus; abbiamo quindi un diverso alfabeto, ma una medesima pronuncia. Dal latino e dal greco viene l’italiano Iesu, forma originale del nome di Gesù nella nostra lingua, come ci testimonia la prima edizione della Diodati del 1641: “Hor la natiuità di Iesu Christo … ”
Come vediamo non solo il modo di scrivere il nome “Gesù” era diverso. “Ora” veniva scritto “hor”, “Cristo” ha una consonante andata perduta nell’italiano moderno e si scriveva “Christo” e Gesù era “Iesu”, senza accento. La “s” di quel periodo, poi, come è visibile nelle riproduzioni dei libri dell’epoca, ricorda più la nostra odierna “f”, mentre la “v” è proprio uguale ad una odierna “u”.

Nessuna origine strana per il nome italiano di Gesù, ma una semplice evoluzione linguistica del termine greco che altro non è se non la fedele traslitterazione del nome ebraico originale.

UNA CURIOSA ISCRIZIONE 

Nella lettera di Giovanni capitolo 19 versetti 16-22 è riportato una curiosa reazione dei capi sacerdoti all’iscrizione 
Che fece scrivere Pilato sula croce. “Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: «Il re dei Giudei», ma: «Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei»». Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».”

Nonostante il brano in questione sia famosissimo, la scena che si è svolta davanti a Gesù crocifisso dev’essere stata un po’ diversa da come ce la siamo sempre immaginata. Giovanni, forse, ha provato a sottolinearlo ma il lettore, non conoscendo la lingua ebraica, è impossibilitato a comprendere.

In esodo Esodo 20,2 Dio rivela il suo nome a Mosè:
“Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto”
La parola tradotta con “il Signore” è il famoso Tetragramma che gli ebrei non possono neanche pronunciare: “YHWH“, è vocalizzato nella forma più accreditata “Yahweh“. 
Le quattro lettere ebraiche che lo compongono sono queste: “יהוה“, yod-he-waw-he. 
Ora l’iscrizione di cui parla Giovanni è la famosa sigla “INRI“, raffigurata ancora oggi sopra Gesù crocifisso. L’acronimo, che sta per il latino “Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum“, significa appunto “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei“.
Ma Giovanni specifica che l’iscrizione era anche in ebraico. Non solo: in un momento così importante l’evangelista sembra soffermarsi su dei particolari apparentemente di poco conto: il fatto che molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città,
i capi dei sacerdoti che si rivolgono a Pilato per far modificare l’iscrizione, Pilato che si rifiuta di cambiarla.
Ponzio Pilato, che era romano, probabilmente non capiva che, senza volerlo, aveva creato un po’ d’imbarazzo – se vogliamo definirlo così – agli ebrei che osservavano Gesù crocifisso con quell’iscrizione sopra la testa.

Henri Tisot, esperto di ebraico, si è rivolto a diversi rabbini per chiedere quale fosse l’esatta traduzione ebraica dell’iscrizione fatta compilare da Pilato. Ne parla nel suo libro “Eva, la donna” nelle pagine da 216 a 220.

Ha scoperto che è grammaticalmente obbligatorio, in ebraico, scrivere “Gesù il Nazareno e re dei Giudei“. Con le lettere ebraiche otteniamo “ישוע הנוצרי ומלך היהודים“. Ricordiamo la lettura da destra verso sinistra.

Queste lettere equivalgono alle nostre “Yshu Hnotsri Wmlk Hyhudim” vocalizzate “Yeshua Hanotsari Wemelek Hayehudim“.

Quindi, come per il latino si ottiene l’acronimo “INRI“, per l’ebraico si ottiene “יהוה“, “YHWH“. Ecco spiegata l’attenzione che Giovanni riserva per la situazione che si svolge sotto Gesù crocifisso. In quel momento gli ebrei vedevano l’uomo che avevano messo a morte, che aveva affermato di essere il Figlio di Dio, con il nome di Dio, il Tetragramma impronunciabile, inciso sopra la testa.

Non poteva andar bene che YHWH fosse scritto lì, visibile a tutti, e provarono a convincere Pilato a cambiare l’incisione. Ecco che la frase del procuratore romano “Quel che ho scritto, ho scritto” acquista un senso molto più profondo.

Sembra incredibile? Pensate che Gesù aveva profetizzato esattamente questo momento. In Giovanni 8,28 troviamo scritto: “Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono Per “innalzare” Gesù intende la crocifissione. “Io Sono” allude proprio al nome che Dio ha rivelato a Mosè in Esodo 3,14.


[Modificato da Credente 08/10/2016 20:09]