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LA CONFESSIONE

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    00 06/08/2012 23:50
    Nozione di Confessione

    1 - Per Confessione, nel linguaggio cattolico, si intende comunemente
    l'accusa dei propri peccati fatta al sacerdote per averne
    l'assoluzione, cioè il perdono da parte di Dio. In modo più
    appropriato è detta Sacramento della Penitenza. La confessione,
    strettamente parlando, è solo parte o componente del Sacramento della
    Penitenza, è cioè la manifestazione o accusa dei propri peccati al
    confessore.
    Nel Sacramento della Penitenza bisogna valorizzare anche la
    dimensione della Riconciliazione, che ne è un effetto o conseguenza
    nel senso che "quelli che si accostano al Sacramento della Penitenza
    ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a
    Lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno
    inflitto una ferita col peccato e che coopera alla loro conversione
    con la carità, l'esempio e la preghiera".
    Anche per questo il sacramento' della confessione si può chiamare
    pure Sacramento della Riconciliazione.
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    00 06/08/2012 23:51
    Dalla Confessione sacramentale o Sacramento della Penitenza va
    distinta la confessione della fede. Questa consiste nella professione
    o dichiarazione pubblica della propria fede, cioè nella
    manifestazione pubblica di ciò che uno crede. E' bene tener presente
    questa distinzione per evitare confusioni ed equivoci, cosa che piace
    ai testimoni di Geova (tdG).
    2 - Qui noi trattiamo soprattutto, se non unicamente, della
    Confessione sacramentale o Sacramento della Penitenza. E prima di
    ogni altra cosa vogliamo accertarci se il sacerdote cattolico ha il
    potere di rimettere i peccati davanti a Dio.
    E' chiaro che noi cerchiamo la risposta nella Bibbia, cioè nella
    Parola di Dio. Ma aggiungiamo subito che qui per Bibbia intendiamo
    soprattutto l'insegnamento di Gesù, il Figlio di Dio, che è Sapienza
    e Potenza divina (cf. Giovanni 1, 1.14-18; 1 Corinzi 1, 24). Dice
    infatti la Bibbia:
    "Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in
    diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi
    giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio" (Ebrei 1, 1-2).


    PARTE PRIMA
    GIUSTIFICAZIONE BIBLICA
    Un testo biblico significativo
    A quanto diremo in questa prima parte può servire d'introduzione un
    testo biblico molto significativo. E' il racconto della guarigione
    miracolosa del paralitico. Lo riportiamo dal vangelo di Matteo.
    "Ed ecco, gli (a Gesù) portarono un paralitico steso su un letto.
    Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: "Coraggio, figliolo,
    ti sono rimessi i tuoi peccati". Allora alcuni scribi cominciarono a
    pensare: " Costui bestemmia". Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri,
    disse: "Perché mai pensate cose malvagie nel vostro cuore? Che cosa
    dunque è più facile, dire: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati
    e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere
    in terra di rimettere i peccati: Alzati, disse allora al paralitico,
    prendi il tuo letto e va' a casa tua". Ed egli si alzò e andò a casa
    sua. A quella vista, la folla fu presa da timore e rese gloria a Dio
    che aveva dato tale potere agli, uomini" (Matteo 9, 218; cf. Marco 2,
    1-12; Luca 5, 17-26).
    Osservazioni:
    Una Bibbia interconfessionale, opera comune di cattolici, ortodossi e
    protestanti, fa notare che la conclusione del testo di Matteo qui
    riportato è sorprendente. Abbiamo il plurale invece del singolare:
    resero gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini". Poi
    spiega:
    Questa sorprendente conclusione (agli uomini anziché a un uomo)
    richiama forse l'ambiente ecclesiale in cui Matteo è stato composto:
    il potere di rimettere i peccati (nella Chiesa) viene in questo modo
    collegato alla stessa autorità di Gesù" (cf. Matteo 16, 19; 18, 18).
    In altre parole, il modo di esprimersi di Matteo vuol fare intendere
    che nelle comunità o chiese dei primissimi tempi del Cristianesimo
    c'era la convinzione, accompagnata dalla prassi, che degli uomini
    potevano rimettere i peccati perché Dio aveva dato loro questo potere.
    Un altro biblista commenta:
    "In Matteo, che sembra aver trasportato la scena del paralitico in
    seno ad un'assemblea della comunità cristiana, la "folla", che
    glorifica Dio, ha ceduto il posto alla folla dei fedeli che
    sperimentano in sé il beneficio della remissione dei peccati quale,
    frutto dello stesso potere dato da Dio "agli uomini", cioè ai
    continuatori dell'opera salvifica di Gesù, messa in risalto in modo
    del tutto particolare anche da Matteo, col conferimento a Pietro e
    gli Apostoli dello stesso potere divino di sciogliere e legare "sulla
    terra" (cf. Matteo 16, 19; 18, 18, infra), cioè "di rimettere" agli
    uomini i loro peccati o "di ritenerli"" (cf. Giovanni 20, 23).
    E un altro osserva:
    "Matteo (9, 8) dice che la folla "rese gloria a Dio che aveva dato
    agli uomini un tale potere". Questa formula sembra sia stata
    aggiunta da Matteo (infatti manca sia in Marco 2, 12 sia in Luca 5,
    26) con l'evidente preoccupazione ecclesiale di rimarcare elle Gesù
    aveva concesso il suo potere di perdonare alla comunità ecclesiale,
    la quale è invitata dall'evangelista a lodare Dio per averle concesso
    un tale dono. Di questa concessione parlerà lo stesso Matteo un po'
    più avanti nei capitoli 16 e 18".
    Quando dunque Matteo scrisse il suo vangelo, mise cioè per iscritto
    gli insegnamenti di Gesù tra- smessi dagli Apostoli, verso l'anno 70
    d.C., vi erano degli uomini nelle comunità cristiane, che rimettevano
    i peccati e i fedeli lodavano Dio per aver concesso questo dono alla
    sua Chiesa.
    Significato di "legare" e "sciogliere"
    Prendiamo ora in esame i due testi di Matteo, ai quali rimandano gli
    studiosi citati: Matteo 16, 19 e 18, 18.
    In Matteo 16, 19 Gesù dice a Pietro (Kefa): "Tutto ciò che legherai
    sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla
    terra sarà sciolto nei cieli".
    In Matteo 18, 18 è ancora Gesù che parla ed usa un identico
    linguaggio:
    "In verità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà
    legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra
    sarà sciolto anche in cielo".
    La prima cosa da precisare è il significato di legare e sciogliere.
    1 - Nel Nuovo Testamento il verbo legare (greco dèo) può avere un
    significato materiale oppure traslato.
    Nel senso materiale significa incatenare o fermare qualcuno o
    qualcosa. In Matteo 22, 13 il re ordina di legare mani e piedi al
    commensale, che non ha l'abito nuziale. In Marco 5, 3-4 l'uomo
    posseduto dallo spirito immondo è legato con ceppi e catene.
    In senso traslato lo stesso verbo può indicare un vincolo o legame
    morale, giuridico, disciplinare e simili. Indica, per esempio, il
    vincolo che lega gli sposi (cf. Romani 7, 2; 1 Corinzi 7, 27; ecc.).
    Ed anche in senso traslato "legare" è detto di satana che lega
    (Cf .Luca 13, 16) o è legato (Cf. Apocalisse 20, 2).
    In modo analogo il verbo "sciogliere" (greco luo) è usato nel N.T.
    in senso materiale e in senso traslato. Nel primo significato vuol
    dire liberare qualcuno o qualcosa da un legame materiale, ad esempio
    da una corda, da una catena e simili (Cf. Matteo 1, 2; Marco 11, 2-4;
    Luca 13, 15; Atti 22,30).
    In senso traslato indica l'opposto di legare come, per esempio,
    liberare dal vincolo matrimoniale (Cf. 1 (corinzi 7, 27), da satana
    (Cf. Luca 13, 16).
    2 - In Matteo 16, 19 e 18, 18 i due verbi non possono avere un
    significato materiale. Nell'uno e nell'altro testo Gesù parla dei
    legami che devono, regolare la vita dei suoi discepoli sia in
    rapporto a Dio sia tra di loro, in quanto membri d'una comunità di
    fede, che è la Chiesa (cf. Matteo 16, 18; 18, 17).
    Tali legami non possono essere che di ordine spirituale o morale o
    anche magisteriale, giuridico, disciplinare.
    Per precisare ora quale o quali di questi significati hanno i verbi
    legare e sciogliere bisogna tener presente che presso gli Ebrei con
    tali parole era indicato il potere o autorità riconosciuta ai rabbini
    o maestri della Legge di dichiarare proibito (= legare) oppure lecito
    (= sciogliere) un comportamento religioso, morale o disciplinare ". I
    verbi quindi legare e sciogliere hanno primariamente un significato
    magisteriale, indicano cioè l'autorità d'insegnare una dottrina
    oppure condannarla.
    Tuttavia come conseguenza pratica o disciplinare, il legare o
    sciogliere indicava pure il potere di dichiarare esclusi dalla
    comunità i disubbidienti o colpevoli (= legare), oppure di
    riammetterli nuovamente in essa se avessero ritrattato il loro errore
    sciogliere).
    3 - Tenendo presenti queste spiegazioni, come pure il contesto di
    Matteo 16, 19 e 18, 18, cerchiamo di cogliere il vero significato di
    legare e sciogliere nei due testi che stiamo analizzando. Cominciamo
    da Matteo 18, 18.
    Gesù dà alcuni precetti o norme da tenere riguardo al fratello
    che "commette una colpa" (Matteo 18, 15). E' un cammino da fare, una
    via da seguire. Anzitutto il fratello colpevole o peccatore deve
    essere corretto in privato (cf. Matteo 18, 15). Se questo primo passo
    o tentativo fallisce, bisogna che "ogni cosa sia risolta sulla parola
    di due o tre testimoni" (Matteo 18, 16). E se anche questo secondo
    passo risulta infruttuoso, il peccatore deve essere deferito alla
    comunità (Ekklesìa) (cf. Matteo 18, 17). E se non ascoltasse neppure
    la Ekklesìa, va considerato come un escluso dalla comunità e dai
    rapporti con gli altri: come un pagano o pubblicano, come un pubblico
    peccatore (cf. Matteo 18, 17). E' implicito che qualora il fratello
    colpevole desse prova di ravvedimento, sarà riammesso nella piena
    comunione con gli altri.
    Non si tratta solo di dichiarare vera o falsa una dottrina, ma di
    prendere una decisione, emettere un giudizio sul comportamento morale
    di un membro della comunità: escluderlo dalla o riammetterlo nella
    comunità dei salvati. Certo alla base di questo giudizio c'è una
    scelta o convinzione o insegnamento dottrinale. Ma qui siamo in
    presenza di qualcosa di più: dell'esercizio di un potere salvifico
    nei riguardi di chi dà segni di pentimento. Dio dà la salvezza a chi
    si pente del suo peccato e la dà mediante il ministero o servizio di
    altri membri della stessa comunità, cioè di uomini. Le parole: "sarà
    sciolto anche in cielo (Matteo 18, 18b) fanno pensare a un effetto
    al di là del visibile o terreno.
    4 - Alquanto diverso è il contesto di Matteo 16, 19. Qui non si parla
    direttamente di escludere o riammettere un peccatore nella comunità
    dei salvati. Le parole legare e sciogliere sono rivolte, a Pietro
    (Kefa), che ha professato la sua fede in Gesù, il Cristo "il Figlio
    del Dio vivente" (Matteo 16, 16). In virtù di questa sua
    testimonianza Pietro (Kefa) è costituito fondamento (pietra o roccia)
    visibile della Ekklesìa, ossia dell'intera comunità dei discepoli di
    Cristo. Ora ciò che lega alla Ekklesìa o esclude da essa (scioglie) è
    in primo luogo la sana dottrina, il riconoscere o meno in Gesù il
    Cristo, il Figlio del Dio vivente. Pietro, che ha fatto questa
    professione di fede, è costituito garante sulla terra della stessa
    fede. La sua testimonianza e insegnamento è norma di appartenenza o
    meno alla vera Chiesa di Cristo ". Il potere qui indicato è
    soprattutto un potere magistrale.
    Tuttavia non va escluso quello salvifico-penitenziale. Pietro
    infatti, quale garante della vera fede in Cristo, può e deve decidere
    anche sul comportamento morale dei membri della comunità ecclesiale.
    A lui quindi spetta pure il potere di ammettere o escludere da tale
    comunità in base all'accettazione o al rifiuto dell'autentica norma
    di vita morale di quanti si professano e vogliono essere veri
    discepoli di Cristo.
    A chi il potere di "legare" e "sciogliere"?
    E' l'altro interrogativo che pongono i testi di Matteo 16, 19 e 18,
    18 e a cui bisogna dare una risposta mediante l'analisi accurata
    degli stessi testi.
    a) Per Matteo 16, 19 la risposta non crea problemi perché è chiara e
    sicura. Le parole "legare e sciogliere" sono rivolte a Pietro: "A te
    darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che (tu) legherai... e
    tutto ciò che (tu) scioglierai" (Matteo 16, 18). A principio del
    verso Gesù dice "E io ti dico". A Pietro (Kefa) dunque Gesù
    conferisce il potere magisteriale e indirettamente quello salvifico-
    penitenziale. Non vi può essere dubbio a questo riguardo.
    b) Non così chiaro appare chi sia il soggetto del potere di legare e
    sciogliere, di cui in Matteo 18, 18. A prima vista sembrerebbe che il
    soggetto di tale potere sia qualunque membro della comunità: "Se il
    tuo fratello commette una colpa, va' e ammoniscilo fra te e lui solo;
    se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello" (Matteo 18, 15).
    Tuttavia va notato che l'effetto dell'ammonizione solo a solo è
    quello di "guadagnare il fratello", cioè adoperarsi che egli si
    ravveda e non lasci la comunità né venga escluso ". Qui non c'entra
    nessun esercizio di potere, di legare o di sciogliere. E' un
    approccio, un tentativo privato, personale, fraterno.
    c) Lo stesso significato può essere attribuito al secondo tentativo,
    che è di risolvere la questione. Sulla parola o davanti a due
    testimoni (Matteo 18, 16). Il tentativo è ancora privato, anche se
    con la partecipazione di più persone, ed ha pure lo scopo di indurre
    il peccatore a un ripensamento prima di. ricorrere alla Ekklesìa.
    Solo a questa spetta la decisione finale. "E se non ascolterà neanche
    l'assemblea (Ekklesìa), sia per te come un pagano e un pubblicano -
    (Matteo 18, 17). Come per dire: tu non sei più responsabile. Spetta
    ai responsabili della comunità (Ekklesìa) risolvere il caso in modo
    definitivo.
    A questo punto sono inserite le parole: "In verità vi dico: tutto
    quello che legherete sopra la terra sarà legato anche nei cieli e
    tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in
    cielo" (Matteo 18, 18). Sono come il punto di arrivo di un cammino,
    che si conclude con una dichiarazione autorevole e ufficiale circa la
    riammissione nella o la esclusione dalla comunità dei salvati del
    fratello peccatore.
    d) In questo contesto è logico, anzi d'obbligo, pensare che Gesù
    avesse in mente la Ekklesìa, cioè la comunità dei suoi discepoli, che
    gode di una struttura voluta da lui stesso. In questa comunità vi
    sono delle guide o ministri qualificati, posti dallo Spirito Santo "a
    pascere la Chiesa di Dio" (Atti 20, 28). Le parole di Gesù: "tutto
    quello che legherete ecc.", contengono un chiaro riferimento ai
    pastori della Ekklesìa, al quali spetta il potere decisionale nei
    riguardi del fratello peccatore. Quelle parole non sono dirette alla
    massa indeterminata - a tutti e a nessuno - ma a coloro che, certo
    col contributo della comunità, hanno il dovere e il potere di legare
    e di sciogliere, riammettere o escludere i peccatori dalla comunità
    ecclesiale.
    e) Gli studiosi della Bibbia concordano nell'affermare che le parole
    di Gesù in Matteo 18, 18 sono parallele a quelle che il Risorto dirà
    ai Dodici, nella sua apparizione la sera di quello stesso giorno, in
    cui risuscitò da morte (cf. infra, p. 16). A loro avviso, Matteo 18,
    18 presenta la vita della comunità ecclesiale dopo la Pentecoste e
    appare chiaro che fin d'allora le guide costituite dal divin
    Fondatore della Chiesa vigilavano sul comportamento dei membri della
    comunità ed esercitavano il potere di legare e di sciogliere.
    Concludendo possiamo dire o ripetere che al fratello peccatore era ed
    è, offerto nella Chiesa un cammino penitenziale. Anzitutto egli deve
    essere corretto in privato (cf. Matteo 18, 15); poi alla presenza di
    testimoni (cf. Matteo 18, 16), affinché si ravveda. Ma il giudizio
    definitivo e salvifico spetta alla comunità strutturata, dove le
    guide poste dallo Spirito Santo diranno la parola autorevole, valida
    davanti alla comunità e davanti a Dio, "sopra la terra e in cielo". A
    queste guide Dio ha affidato il potere di legare e di sciogliere.
    La consegna del Risorto (Giovanni 20, 21-23)
    Nel vangelo di Giovanni il conferimento del potere di rimettere i
    peccati è collegato con l'apparizione del Risorto agli Apostoli la
    sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, che oggi è la
    domenica di Pasqua. Racconta Giovanni:
    "La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre
    erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per
    timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e
    disse: "Pace a voi!". Detto questo, mostrò loro le mani ed il
    costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro
    di nuovo: "Pace a: voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando
    voi!". Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: "Ricevete lo
    Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi
    non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Giovanni 20, 19-23).
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    00 06/08/2012 23:52
    Spiegazione:
    a) Al numero ristretto dei Dodici e senza dubbio a quanti nel tempo
    prima della fine avrebbero continuato il loro specifico ministero (ai
    loro successori) il Risorto affida una missione che continua quella
    che Egli ha ricevuto dal Padre: "Come il Padre ha mandato me, così io
    mando voi" (Giovanni 20, 21). Gli Apostoli, in qualità di mandati
    (apostolo vuol dire mandato) devono raccogliere i frutti della
    redenzione operata dal Figlio di Dio. Egli è venuto a redimere dal
    peccato, a salvare tutti (cf. Giovanni 12, 32), non a condannare (cf.
    Giovanni 3, 17).
    La missione affidata agli Apostoli è un dono dello Spirito
    Santo: "Ricevete lo Spirito Santo" (Giovanni 20, 22). Certo, i doni
    dello Spirito Santo sono dati a tutti i discepoli di Cristo (cf. Atti
    2, 4.17-21; 10, 44). Ma vi è diversità di doni o carismi, benché uno
    sia lo Spirito che li dà (cf. I Corinzi 12, 4-11). Tra questi doni vi
    è quello del governo (cf. Corinzi 12, 28; Atti 20, 28) ossia di
    guidare la comunità dei fedeli lungo la via della salvezza come
    maestri e giudici (cf. 1 Corinzi 5, 4). Nel caso presente il dono
    dello Spirito Santo è la sua virtù o potenza salvifica, che abilita
    gli Apostoli (e i loro successori) a rimettere, cioè a perdonare i
    peccati davanti a Dio.
    b) Per un'esatta comprensione del dono dello Spirito Santo, di cui in
    Giovanni 20, 21-23, bisogna ,precisare il significato delle parole
    rimettere e ritenere, come è stato fatto per legare e sciogliere.
    Questa precisazione è necessaria perché alcuni non cattolici sono del
    parere che il Risorto, in quella apparizione, abbia conferito il
    mandato di predicare il Vangelo e di battezzare, senza riferimento al
    perdono dei peccati commessi dopo il battesimo. Vedremo che non è
    così .
    Circa il significato di rimettere (greco a-fiemi) va notato che in
    non pochi testi biblici del Nuovo Testamento questo verbo indica la
    remissione o perdono dei peccati personali senza riferimento al
    battesimo. Così, per esempio, in Matteo 9, 2-6 le parole di Gesù: "ti
    sono rimessi i peccati" (greco a-lientai sou ai amartiai) sono intese
    dagli scribi e farisei come l'esercizio (o usurpazione) di un potere
    proprio di Dio, cioè, cancellare i peccati personali o attuali. Gesù
    non corregge questa interpretazione. Lo stesso linguaggio in Marco 2,
    8 e Luca 5, 21-26. Dicendo "ti sono rimessi i peccati" o "le sono
    perdonati i suoi peccati" (Luca 7, 47) Gesù intende perdonare i
    peccati personali del paralitico e della donna adultera
    indipendentemente di qualsiasi battesimo.
    Il dono dunque o carisma concesso agli Apostoli dal Risorto comporta
    il potere o autorità di perdonare i peccati senza riferimento al rito
    battesimale. Questo potere deve essere esercitato in seno alla
    comunità dei battezzati come risulta da Matteo 18, 18, a favore del
    fratello, cioè di un battezzato caduto in peccato (cf. 1 Corinzi 5,
    4). La conclusione è che con la parola "rimettere" è detto
    chiaramente che il Risorto ha dato agli Apostoli, cioè alle guide
    della sua comunità di ogni tempo, il potere di perdonare i peccati
    commessi dopo il battesimo.
    c) Alla stessa conclusione fa arrivare l'analisi del verbo ritenere
    (greco kratèo). Etimologicamente kratèo (= ritenere) vuol
    dire "esercitare un potere" oppure "obbligare a fare qualcosa (come
    il legare in Matteo 18, 18). Un esempio si ha in Marco 12, 12. Le
    autorità religiose di Gerusalemme vogliono "catturare" (kratèsai)
    Gesù, cioè esercitare su di lui la loro autorità. Gesù apparteneva
    alla loro comunità religiosa, era giuridicamente un loro suddito.
    Alla luce di questa precisazione, in Giovanni 20, 23 ritenere
    (kratèo) non significa semplicemente "non rimettere" i peccati,
    o "non assolvere", ma anche esercitare un potere sul peccatore non
    ancora pentito, e che quindi non si trova nelle disposizioni adatte
    per essere perdonato. In questo caso l'esercizio del potere serve a
    spingerlo a fare qualcosa che lo renda degno dell'assoluzione.
    A questo livello, quindi, ritenere equivale a "vincolare", "legare"
    il peccatore, "obbligarlo" ad adempiere certe condizioni che lo
    portino alla conversione e al perdono. Non si tratta quindi di "non
    voler perdonare", dal momento che il Signore vuole salvare tutti e
    invita a perdonare "settanta volte sette" (Matteo 18, 22), cioè
    sempre. Ma si rinvia il perdono fino a quando il fratello non
    riconosce di aver sbagliato, si pente, ed è pronto a cambiare vita.
    Se non fa nessuna di queste cose, i suoi peccati vengono "ritenuti",
    cioè non vengono perdonati.
    Tutto questo indica che gli Apostoli, cioè le guide della comunità
    cristiana, possono esercitare un'autorità, hanno cioè un certo potere
    sul fratello che ha peccato. Questi è un membro della comunità dei
    santi ricaduto in peccato. Ciò non sarebbe possibile se si trattasse
    di uno non ancora battezzato, ossia non ancora incorporato alla
    Ekklesìa.Su i non battezzati le guide della Chiesa non hanno alcun
    potere (cf. 1 Corinzi 5, 12), non possono imporre obblighi come a
    coloro che, col battesimo, hanno accettato una determinata forma di
    vita.
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    00 06/08/2012 23:53
    A chi il potere di "rimettere" o "ritenere"?
    1 - Dal contesto di Giovanni 20, 19-23 appare ,abbastanza chiaro che
    i "discepoli", ai quali il Risorto affida il potere di rimettere o
    ritenere i peccati, sono il numero limitato e qualificato dei
    Dodici ". Infatti nella apparizione successiva, in circostanze
    analoghe, Giovanni richiama la precedente apparizione e
    dice: "Tommaso, uno dei Dodici, non era con loro quando venne Gesù.
    Gli dissero allora gli altri discepoli: "Abbiamo visto il Signore"
    (Giovanni 20, 24-25).
    A stretto rigor di termini, Giovanni avrebbe dovuto dire: "Tommaso,
    uno degli Undici", perché Giuda, il traditore, non era certamente con
    loro. Dicendo "uno dei Dodici", fa chiaramente capire che la
    precedente apparizione col mandato di rimettere i peccati era stata
    fatta al gruppo qualificato degli Apostoli, detto comunemente "I
    Dodici".
    D'altra parte, se il mandato fosse stato conferito a tutti
    indistintamente i seguaci di Gesù, Giovanni avrebbe dovuto
    dire: "Tommaso, uno dei discepoli", e non già "uno dei Dodici".
    Inoltre, quando precisa: "gli dissero allora gli altri discepoli", è
    implicito che Tommaso fosse uno del gruppo ristretto, ai quali era
    apparso il Risorto. Gli altri qui non suppone tutti gli altri, ma il
    gruppo qualificato di cui faceva parte Tommaso. Ecco ciò che scrive
    Giovanni:
    "Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando
    venne Gesù.Gli dissero allora gli altri discepoli: "Abbiamo visto il
    Signore! "" (Giovanni 20, 24-25).
    2 - Ancora. Sembra del tutto inverosimile che tutti i discepoli
    fossero in quel luogo a porte chiuse, dove apparve il Risorto (cf.
    Giovanni 20, 19). L'autore degli Atti degli Apostoli, riferendosi
    agli avvenimenti di quei giorni, c'informa che tutti i discepoli,
    uomini e donne, erano circa 120 (cf. Atti 1, 15), ed erano tutti a
    Gerusalemme. Considerando come erano le abitazioni al tempo di Gesù,
    non sembra possibile che 120 persone fossero riunite "a piano
    superiore" (cf. Atti 1, 13) e stessero lì fino a tarda sera, ora in
    cui Gesù apparve ai "discepoli", assente Tommaso (cf. Giovanni 20,
    19).
    Sempre con riferimento ai quei giorni e a quei fatti Luca precisa
    che "al piano superiore" c'erano solo undici persone, e cioè gli
    Apostoli, di cui dà i nomi (cf Atti 1, 13).Non vi può essere dubbio
    che si tratta dello stesso luogo dove il Risorto era apparso "ai
    discepoli", la sera del giorno dopo il sabato, cioè del giorno della
    Risurrezione. Era certamente quella stessa sala messa a disposizione
    da un amico del Maestro per celebrare la Cena pasquale coi suoi
    discepoli, cioè coi Dodici (cf. Luca 22, 12), e per alloggiarvi
    durante la loro permanenza a Gerusalemme. Sala spaziosa quanto si
    voglia, ma sempre inadeguata per una folla di 120 persone.
    3 - Ancora più inverosimile è che in quella sala, al piano superiore,
    vi fossero donne e per di più fino a tarda sera a porte chiuse. Non
    ve ne erano state durante la Cena pasquale (cf. Luca 22, 10-11) e non
    ve ne furono certamente nei giorni che seguirono.
    Non vi era neppure Maria, la Madre di Gesù, perché la stessa sera del
    venerdì, che noi ora diciamo santo, dopo che Gesù dalla croce
    l'affidò a Giovanni, questi precisa: "Da quel momento il discepolo la
    prese a casa sua" (Giovanni 19, 27). Non si può escludere che
    Giovanni avesse a Gerusalemme delle conoscenze (cf. Giovanni 18, 15-
    16), dove poteva alloggiare come a casa sua quando si recava a
    Gerusalemme, specie in occasione della Pasqua ebraica.
    4 - Per quanto riguarda le altre donne, tutti e quattro gli
    evangelisti sono pienamente d'accordo nel riferire che i loro
    movimenti, agitati e frettolosi, ebbero luogo durante le ore
    antimeridiane. La sera le donne non compaiono sulla scena. all'ora
    della preghiera. Voler dedurre da questi testi che anche le donne
    abbiano avuto il potere di rimettere i peccati è semplicemente
    ridicolo ".
    Il racconto di Luca
    1 - Per sostenere il loro punto di vista che Gesù avrebbe dato il
    potere di rimettere i peccati a tutti i suoi discepoli, donne
    comprese, alcuni sfruttano il racconto di Luca e precisamente Luca
    24, 33-36. Luca racconta come i due discepoli di Emmaus, dopo che
    riconobbero il Risorto, partirono precipitosamente e fecero ritorno a
    Gerusalemme dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano
    con loro. "Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona
    apparve in mezzo a loro e disse: "Pace a voi" (Luca 24, 36)". A loro
    avviso, Luca qui riferisce l'apparizione, di cui in Giovanni 20, 19-
    23, e poiché erano presenti altri discepoli, oltre agli Undici, il
    conferimento del potere di rimettere i peccati sarebbe stato dato
    anche ad altri I. Dov'è la verità?
    2 - Bisogna notare prima di tutto che Luca, nel racconto o racconti
    delle apparizioni del Risorto, fa solo un cenno implicito al
    conferimento del potere di rimettere i peccati. A leggere la Bibbia
    superficialmente la logica conseguenza sarebbe che Gesù non conferì a
    nessuno tale potere. Ma non è così. A parere dei biblisti, Luca ha
    una sua presentazione di alcune apparizioni del Risorto, avente come
    scopo di far sapere ai lettori che Gesù ha dato segni concreti e
    convincenti della sua risurrezione tanto da trionfare sulla
    incredulità dei discepoli, dei Dodici in particolare".
    Questo appare chiaramente nel racconto dei due discepoli dubbiosi "in
    cammino per un villaggio distante circa sette 'miglia da Gerusalemme"
    (Luca 24, 13) Il Risorto trionfa sulla loro incredulità:
    "Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì
    dalla loro vista... E partirono senza indugio e fecero ritorno a
    Gerusalemme, dove trovarono gli Undici, e gli altri che erano con
    loro, i quali dicevano: "Davvero il Signore è risorto ed è apparso a
    Simone"" (Luca 24, 31.33-34).
    Identica finalità nel racconto che segue:
    "Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma... Gesù mostrò
    loro le mani e i piedi... Gli offrirono una porzione di pesce
    arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro" (Luca 24, 40-43).
    3 - E' evidente che lo scopo di Luca nel riportare i racconti delle
    apparizioni del Risorto è quello di dimostrare come Gesù trionfa
    sulla incredulità de- gli Undici dando loro i segni della realtà
    della sua risurrezione.
    Stando cosi le cose, il racconto di Luca non autorizza affatto a dire
    che il potere di rimettere i Peccati o di ritenerli sia stato
    conferito a tutti i discepoli indistintamente.
    Una conferma
    Sia Marco (16, 14) sia Paolo (1 Corinzi 15, 5) accennano a
    un'importante apparizione agli Undici. Paolo dice di averla appresa
    dalla tradizione, cioè dalla viva voce dei testimoni oculari, e la
    considera una prova convincente della sua fede. E' dunque fuor di
    dubbio che l'apparizione ai Dodici occupava un posto di primaria
    importanza nella predicazione degli Apostoli.
    Ora di questa apparizione ne parla solo Giovanni in modo chiaro ed
    esplicito, connettendola col conferimento del potere di rimettere i
    peccati (cf. Giovanni 20, 19-23). Ciò che racconta Giovanni riguarda
    solo il gruppo dei Dodici, e non tutti i discepoli indistintamente.
    Infatti proprio perché "Tommaso, uno dei Dodici" non era presente,
    Gesù appare di nuovo otto giorni dopo, cosi che tutti gli
    appartenenti al gruppo dei Dodici possono essere testimoni della
    Risurrezione e avere il potere dal Risorto.
    Non bisogna dimenticare che Giovanni scrisse parecchi anni dopo
    Marco, Luca e Paolo. Col suo racconto particolareggiato
    dell'apparizione ai Dodici la sera del giorno della Risurrezione e il
    conferimento del potere di rimettere i peccati ha voluto forse
    chiarire qualche dubbio specie sul racconto di Luca ed esplicitare
    ciò che Marco e Paolo avevano detto succintamente.
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    00 06/08/2012 23:53
    In sintesi
    1 - I testi biblici più significativi comprovanti il conferimento del
    potere di rimettere o ritenere i peccati dato dal Signore Gesù alla
    sua Chiesa si trovano in Matteo 16, 19 e 18, 18 e in Giovanni 20, 22-
    23. L'analisi accurata e oggettiva dei verbi usati dagli scrittori
    ispirati (legare - sciogliere; rimettere - ritenere) porta alla
    conclusione che il Signore Gesù ha dato alla sua Chiesa un effettivo
    potere di perdonare i peccati commessi dopo il battesimo.
    2 - Soggetto di questo potere non è qualunque discepolo di Gesù, ma
    le guide qualificate della Chiesa, cioè gli Apostoli e i loro
    successori. A questa conclusione si arriva analizzando accuratamente
    e oggettivamente il contesto sia di Matteo 18, 18 che di Giovanni 20,
    19-23. In Matteo la riconciliazione del fratello peccatore con Dio e
    la comunità deve ,avere il sigillo delle guide qualificate della
    Ekklesìa, ossia della comunità strutturata. In Giovanni 20, 19-23
    l'apparizione del Risorto e il conferimento del potere di rimettere i
    peccati hanno come termine il gruppo degli Apostoli: i Dodici.
    3 - Per quanto riguarda Giovanni 20, 19-23 e la sua retta
    comprensione è nel ricordare che nessuno degli evangelisti intende
    dirci tutto sulla Risurrezione del Signore (Cf. Giovanni 20, 30; 21,
    25). I loro racconti sono selezionati secondo vari punti di vista.
    Luca insiste sulla oggettività o realtà della Risurrezione e la
    missione della Chiesa nascente, mentre Giovanni mette più in evidenza
    il conferimento del potere ai Dodici.
    4 - Su quest'ultimo punto, mentre Marco non dice nulla, Luca ne parla
    in modo implicito (Cf. 24, 44-47), Giovanni è più particolareggiato.
    Egli racconta minuziosamente l'apparizione dei Risorto
    ai "discepoli", che poi specifica essere il gruppo degli Apostoli, e
    ricorda il conferimento del potere penitenziale, di rimettere cioè i
    peccati commessi dopo il battesimo.
    5 - Nei racconti della Risurrezione del Signore le donne hanno un
    ruolo certamente non secondario: sono le prime messaggere del
    glorioso evento. Ma tutto quello che esse fanno è collocato nelle ore
    antimeridiane del primo giorno dopo il sabato, ossia del giorno della
    Risurrezione. Poi di esse si parla solo in riferimento alla vita
    comunitaria dei discepoli del Signore (cf. Atti 1, 14) e alla discesa
    dello Spirito Santo (cf. Atti 2, 1.17-18).
    La fede della Chiesa Cattolica
    La Chiesa Cattolica ha ribadito e precisato la sua dottrina sul
    Sacramento della Penitenza soprattutto al Concilio di Trento (1545-
    1563) in contrapposizione agli errori di Lutero e di Calvino.
    Circa l'istituzione di questo sacramento il Tridentino ha definito:
    "Il Signore (Gesù) ha istituito il sacramento della penitenza
    soprattutto quando, dopo la risurrezione, alitò sui suoi discepoli,
    dicendo: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati
    saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi"
    (Giovanni 20, 22-23). Con questo gesto così significativo e parole
    così chiare fu conferito agli Apostoli e ai loro legittimi successori
    il potere di rimettere e di ritenere i peccati per riconciliare i
    fedeli caduti in peccato dopo il battesimo... Condanna le artificiose
    interpretazioni di quelli che distorcono falsamente quelle parole
    contro la istituzione di questo sacramento come se si trattasse del
    potere di predicare la parola di Dio e di annunciare il Vangelo di
    Cristo".
    "Per quanto riguarda il ministro di questo sacramento il Santo Sinodo
    dichiara essere false e per nulla conformi alla verità del Vangelo
    tutti quegli insegnamenti, che con grave pericolo estendono a
    qualsiasi uomo oltre ai vescovi e ai sacerdoti il ministero delle
    chiavi, insegnando che quelle parole del Signore: "Tutto quello che
    legherete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo" (Matteo 18, 18)
    e: "A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li
    rimetterete resteranno non rimessi" (Giovanni 20, 23) siano rivolte
    indifferentemente e promiscuamente a tutti i discepoli di Cristo, di
    modo che chiunque abbia il potere di rimettere i peccati".

    Riportiamo ora alcune affermazioni del Catechismo della Chiesa
    Cattolica:
    "1441. "Dio solo perdona i peccati" (cf. Marco 2, 7). Poiché Gesù è
    il Figlio di Dio, egli dice di se stesso: "Il Figlio dell'uomo ha il
    potere sulla terra di rimettere i peccati" (Marco 2, 10) ed esercita
    questo potere divino: "Ti sono rimessi i tuoi peccati !" (Marco 2, 5;
    Luca 7, 48). Ancor più: "In virtù della sua autorità divina dona tale
    potere agli uomini" (cf. Giovanni 20, 21-23) affinché lo esercitino
    nel suo nome".
    "1442. risto ha voluto che la sua Chiesa sia tutta intera, nella sua
    preghiera, nella sua vita e nelle sue attività, il segno e lo
    strumento del perdono e della riconciliazione che egli ha acquistato
    per mezzo del suo sangue. Ha tuttavia affidato l'esercizio del potere
    di assolvere i peccati al ministero apostolico. A questo ha affidato
    il "ministero della riconciliazione" (2 Corinzi 5, 18). L'apostolo è
    inviato "nel nome di Cristo", ed è Dio stesso che, per mezzo di lui,
    esorta e supplica: "Lasciatevi riconciliare con Dio"" (2 Corinzi 5,
    20).
    "1445. Le parole legare e sciogliere significano: colui che voi
    escluderete dalla vostra comunione, sarà escluso dalla comunione con
    Dio; colui che voi accoglierete di nuovo nella vostra comunione, Dio
    lo accoglierà anche nella sua. La riconciliazione con la Chiesa è
    inseparabile dalla riconciliazione con Dio".
    "1461. Poiché Cristo ha affidato ai suoi Apostoli il ministero della
    riconciliazione (cf. Giovanni 20, 23; 2 Corinzi 5, 18), i vescovi,
    loro successori, e i presbiteri, collaboratori dei vescovi,
    continuano ad esercitare questo ministero. Infatti sono i vescovi e i
    presbiteri che hanno, in virtù del sacramento dell'Ordine, il potere
    di perdonare tutti i peccati "nel nome del Padre e del Figlio e dello
    Spirito Santo"".
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    00 06/08/2012 23:54
    PARTE SECONDA
    LA FORMA DEL SACRAMENTO DELLA PENITENZA
    Una legittima domanda
    A questo punto del nostro discorso qualcuno dei lettori e forse più
    di uno potrebbe domandare: Dove erano e come erano i confessionali al
    tempo degli Apostoli? La domanda è legittima. E la risposta è pronta
    e molto semplice: al tempo degli Apostoli non vi erano confessionali
    come noi li conosciamo, e non ve ne furono per vari secoli anche dopo.
    E allora non vi era la Confessione! Questa illazione non è logica, e
    perciò è illegittima. Non ha né senso né valore come non ne hanno
    tante altre domande e soprattutto risposte che si leggono nei libri e
    nelle riviste dei tdG. E si leggono pure negli scritti e nella
    propaganda di gruppi più o meno settari sempre accaniti contro la
    Chiesa Cattolica.
    Ma - ripetiamo - la domanda è legittima, anzi opportuna. E merita una
    risposta, che non mancheremo di dare in questa seconda parte del
    nostro opuscolo, trattando della forma del sacramento della Penitenza
    o Confessione.
    Ripetiamo prima in che cosa consiste la sostanza di questo
    sacramento. Consiste nell'esercizio del potere spirituale o dono o
    carisma dello Spirito Santo di rimettere i peccati commessi dopo il
    battesimo. Il Signore Gesù ha conferito questo potere alla sua Chiesa
    nella persona degli Apostoli e dei loro successori, cioè i vescovi e
    i presbiteri, loro collaboratori. La Bibbia, spiegata senza
    preconcetti e ben capita, dà prove abbondanti e convincenti di questa
    verità. L'abbiamo esaminato nella Prima Parte.
    La forma della Confessione o Sacramento della Penitenza è il modo in
    cui è stato ed è esercitato il potere di rimettere i peccati. Vi sono
    stati vari cambiamenti nella storia della Chiesa e forse ve ne
    saranno ancora a motivo di diverse circostanze sociali, ambientali,
    culturali. Ma questi cambiamenti non hanno intaccato né possono
    intaccare mai la sostanza.
    Il caso dell'incestuoso (cf. 1 Corinzi 5, 1-5)
    Anche se nella Bibbia non si parla di confessionali, non mancano
    indicazioni del modo tenuto dagli Apostoli nell'esercitare il potere
    di rimettere i peccati. Seguivano una forma per così dire
    comunitaria. Viene subito in mente il caso dell'incestuoso, ossia del
    cristiano (o fratello) della chiesa di Corinto, "che teneva con sé la
    moglie del proprio padre" (1 Corinzi 5, 1). Si tratta evidentemente
    di uno che ha già ricevuto il battesimo, ma è caduto in un peccato
    grave. Da tutto il contesto si deduce che egli non vuole abbandonare
    la comunità. Vuol riconciliarsi, essere perdonato, sottomettendosi
    anche a una penitenza in vista del perdono e della salvezza.
    Paolo, fondatore e padre di quella chiesa (cf. Atti 18, 1-17; 2
    Corinzi 6, 13; 12, 14) è messo al corrente dello scandalo ed
    interviene con uno scritto. Pur essendo lontano col corpo, si sente
    presente con lo spirito tra quei cristiani ed esercita il potere di
    salvare il peccatore.
    Alla sua azione di giudizio e di riconciliazione l'apostolo associa
    la comunità di Corinto, che dobbiamo pensare strutturata, cioè
    guidata dagli anziani o presbiteri (cf. Atti 14, 23). I responsabili
    della chiesa di Corinto devono radunarsi e pronunciare la sentenza
    accompagnati da Paolo presente in spirito.
    Nota un biblista:
    "L'adunanza riguardava evidentemente i capi, più che i fedeli,
    essendo impossibile riunire in un sol luogo o in una sola piazza,
    dinanzi ai pagani, tutti i fedeli".
    Al colpevole, certamente pentito del suo peccato, viene inflitta una
    grave pena. Ma la pena ha un carattere medicinale e
    salvifico "affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel
    giorno del Signore" (verso 5).
    A noi interessa soprattutto il verso 4: "nel nome del Signore nostro
    Gesù, essendo radunati insieme voi e il mio spirito, con il potere
    del Signore Gesù...". Segue la sentenza.
    Due cose appaiono abbastanza chiare. La prima è la forma o modo di
    esercitare il potere dato dal Signore Gesù per la salvezza del
    peccatore.La forma - come si è detto - è comunitaria, Le guide di
    quella chiesa esercitano il potere di rimettere il peccato radunati
    quasi certamente in una sala, che era forse qualche stanza messa a
    disposizione da qualche famiglia della comunità per l'esercizio del
    culto come le riunioni di preghiera, lo studio della Bibbia, la
    celebrazione della Santa Cena ecc.
    La seconda è la natura o effetto della sentenza. E' evidente che
    Paolo con gli anziani o presbiteri sono convinti di aver ricevuto dal
    Signore il potere di giudicare un fratello peccatore. Nel nome del
    Signore Gesù essi rimettono il peccato e riammettono il peccatore
    nella comunità dei "santi", pur infliggendogli la dovuta penitenza.
    Notiamo ancora che, pur essendo una forma pubblica, anche se limitata
    alle guide della comunità, il peccatore non è obbligato a confessare
    in pubblico il suo peccato. Pubblica vuol dire che il rito o
    celebrazione del Sacramento della Penitenza non era fatta al
    confessionale, a tu per tu col presbitero, come è poi invalso nei
    secoli seguenti. Ma quel rito pubblico comportava sempre l'esercizio
    del potere di perdonare i peccati commessi dopo il battesimo in virtù
    del dono speciale dato dal Risorto ai suoi Apostoli e ai loro
    successori.
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    00 06/08/2012 23:55
    La forma pubblica della Confessione
    1 - Il caso del peccatore di Corinto e il modo com'è stato risolto ci
    danno un'idea di come era esercitato il potere di rimettere i peccati
    fin dai primi anni della Chiesa, ossia della forma del Sacramento
    della Penitenza. Non vi erano confessionali. Per diversi secoli
    rimase in uso la forma detta pubblica. Ma questa parola non deve
    trarre in inganno. L'abbiamo già accennato, ma vogliamo ancora
    precisare che cosa si intendeva per forma pubblica.
    In effetti, l'aggettivo pubblica potrebbe far pensare che il
    peccatore fosse obbligato a dire in pubblico i suoi peccati davanti
    alla comunità al fine di ricevere il perdono. Non fu mai così. Mai il
    peccatore fu obbligato a fare pubblica accusa dei suoi peccati. E'
    vero che alcune volte i peccati erano noti. E' vero. che alcune volte
    erano resi pubblici spontaneamente. Ma mai il fratello peccatore era
    obbligato ad accusarsi pubblicamente dei propri peccati. Alcune volte
    ci furono degli abusi in questo senso. Ma le guide o pastori della
    Chiesa intervennero per correggerli.
    2 - La forma pubblica della Confessione era un cammino penitenziale,
    che comprendeva varie tappe.
    a) Il fratello peccatore generalmente si riconosceva tale davanti al
    vescovo o anche davanti ai presbiteri. Altre volte, specie quando i
    peccati erano noti, il vescovo invitava il peccatore a intraprendere
    il cammino penitenziale. In caso di rifiuto, veniva escluso dalla
    comunità, cioè era scomunicato.
    b) I peccatori, sia quelli che si dichiaravano tali spontaneamente
    sia quelli invitati o richiamati dal vescovo o dai presbiteri,
    formavano un gruppo a parte in seno alla comunità: il gruppo
    dell'ordine penitenziale. All'ordine penitenziale si era ammessi
    mediante un rito o gesto, che poteva essere l'imposizione delle mani
    da (parte dei vescovo. Alcune volte e in alcune chiese ufficiali era
    d'obbligo qualcosa di più grave come portare il cilicio, radersi i
    capelli; oppure, in alcuni luoghi, proprio il contrario come lasciar
    crescere disordinatamente barba e capelli.
    Ma vi erano penitenze ancora più dure come digiunare, pregare lungo
    tempo in ginocchio, seppellire i morti, astenersi da cariche
    pubbliche, da attività commerciali, dai rapporti coniugali ed altre
    ancora.
    c) Anche la durata del cammino penitenziale poteva variare da luogo a
    luogo. Si andava da alcune settimane fino a tre e anche sette anni. A
    stabilire la durata era il vescovo secondo la gravità o meno dei
    peccati. Il vescovo tuttavia non poteva agire di testa propria.
    Doveva attenersi a delle norme stabilite dai Concili.
    d) Alla fine del cammino penitenziale il cristiano peccatore veniva
    ammesso all'assoluzione dei peccati mediante un rito pubblico o meno
    solenne. Il vescovo imponeva le mani sul capo del peccatore
    accompagnando questo gesto con una preghiera. La cerimonia si
    svolgeva generalmente in chiesa con la partecipazione di tutta la
    comunità. In caso di necessità (malattia per esempio) e in pericolo
    di morte questa cerimonia poteva essere presieduta anche dal
    presbitero. Il cristiano riconciliato, dopo l'assoluzione, veniva
    ammesso alla comunione eucaristica e alla piena partecipazione della
    vita comunitaria.
    Una forma nuova di Confessione
    A partire dal sesto secolo una nuova forma di Confessione entra in
    vigore e si diffonde con una certa rapidità. Sembra che abbia avuto
    origine e sviluppo nei monasteri delle isole del Nord Europa, in Gran
    Bretagna e in Irlanda, dove non era conosciuto il sistema o forma
    penitenziale pubblica. In un primo tempo fu praticata solo dai monaci
    e dai chierici. Poi fu estesa anche ai laici.
    Dalle isole del Nord Europa questa forma di Confessione fu esportata
    nel continente quando san Colombano (543-615) con altri monaci
    dall'Irlanda si trasferì nella Francia. La nuova forma si diffuse con
    una certa rapidità perché più semplice di quella pubblica. Non vi
    erano ancora confessionali. Ma neppure il cammino più o meno lungo
    della penitenza pubblica sopra descritto.
    Il peccatore si presentava spontaneamente al sacerdote e accusava i
    propri peccati. Il sacerdote gli imponeva le opere di penitenza
    secondo la gravità dei peccati. Compiuta la penitenza il peccatore
    tornava dal sacerdote per avere l'assoluzione. Questa avveniva
    mediante l'imposizione delle mani del sacerdote accompagnata da una
    preghiera.
    Normalmente non avveniva alla presenza del popolo eccetto in alcune
    solennità come, per esempio, il Giovedì Santo. Il ministro era quasi
    sempre il presbitero. Il vescovo si riservava la riconciliazione
    solenne a più penitenti in casi particolari, come nella forma
    pubblica.
    In effetti, anche la forma pubblica di penitenza continuò a
    praticarsi ancora per parecchio tempo specie in ambienti più
    tradizionali o legati al passato. In pratica, fino al tardo Medioevo
    si ebbero due forme di Confessione: quella pubblica per i peccati più
    gravi pubblici e quella privata per i peccati occulti o meno gravi.
    Appare il confessionale
    Con l'introduzione della forma privata della Confessione anche la
    sede o luogo della celebrazione subì delle mutazioni. All'inizio, i
    due momenti o tempi della Confessione - l'accusa dei peccati e spesso
    anche l'assoluzione dopo fatta la penitenza - avvenivano
    nell'abitazione del sacerdote. Di solito era il monastero. Ma già
    dagli inizi del secolo XI, tutto il rito si svolgeva abitualmente in
    chiesa davanti all'altare, col ministro seduto su una semplice sedia.
    Verso la fine del Medioevo fu prescritta una sede chiusa, che divenne
    col tempo l'attuale confessionale. Questo era ed è quasi sempre
    costruito in legno, ma alcune volte anche in marmo o pietra, ricavato
    dall'interno delle mura dell'edificio.
    Al tempo del Concilio Tridentino (1545 - 1563) la forma- privata col
    confessionale era quasi universalmente praticata. Il Concilio la
    suppone e si sofferma soprattutto sulla sostanza del Sacramento della
    Penitenza: istituzione, opera del peccatore, ministro ecc., in un
    contesto di errori che negavano la sostanza del Sacramento.
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    Credente
    00 06/08/2012 23:56
    Circa la forma della Confessione il Tridentino ha fatto le seguenti
    precisazioni:
    "Per quanto riguarda il modo di confessarsi è quello segreto al solo
    sacerdote, benché Cristo non abbia proibito che qualcuno possa
    confessare pubblicamente i propri peccati per suo castigo e
    umiliazione, come un esempio agli altri e ad edificazione della
    Chiesa che ha ricevuto l'offesa".
    Oggi questa forma è la più usata. I confessionali sono situati in
    chiesa oppure in qualche sala adiacente alla chiesa. Ma è pure in uso
    il solo inginocchiatele davanti al sacerdote seduto.
    "Il luogo proprio per ricevere le confessioni sacramentali è la
    chiesa o l'oratorio. I vescovi d'una determinata regione (Conferenza
    Episcopale) garantiscano che si trovino in un luogo aperto i
    confessionali, provvisti di una grata fissa tra il penitente e il
    confessore, cosicché i fedeli che lo desiderano possano liberamente
    servirsene. Non si ricevano le confessioni fuori del confessionale,
    se non per una giusta causa".
    Il Nuovo Rito della Penitenza
    In questi ultimi anni, dopo il Concilio Vaticano li, c'è stata una
    revisione per quanto riguarda la forma del Sacramento della
    Penitenza, ferma restando la sostanza. Questa è - ripetiamo - il
    potere dato da Cristo alla sua Chiesa di rimettere i peccati - tutti
    i peccati - commessi dal cristiano dopo il battesimo, se il peccatore
    è sinceramente pentito.
    Questa revisione è contenuta nel Rito della Penitenza promulgato in
    latino il 2 dicembre 1973. La versione italiana del testo originale
    fu approvata il 7 marzo 1974 e il Nuovo Rito divenne normativo dal 21
    aprile dello stesso anno 1974.
    Sono prese in esame ed approvate tre forme del Sacramento della
    Penitenza.
    La prima è la forma privata invalsa durante il Medioevo e divenuta la
    più comune dopo il Concilio Tridentino. E' il rito di riconciliazione
    dei penitenti singolarmente. Il penitente confessa i suoi peccati al
    sacerdote dopo accurato esame di coscienza.
    Quindi il confessore impone al penitente la soddisfazione, preghiere
    od opere buone soddisfattorie. Il rito si conclude con l'assoluzione.
    Tutto avviene in perfetto segreto.
    La seconda è il rito di riconciliazione per più penitenti. Questa
    forma o rito si celebra quando più penitenti si riuniscono per
    celebrare la penitenza sacramentale. Si può chiamare la forma
    comunitaria. Ha vari momenti o tempi: lettura della Parola di Dio,
    omelia o spiegazione della Parola incentrata sulla misericordia di
    Dio e l'impegno del peccatore per una sincera conversione.
    Dopo una pausa di riflessione, un accurato esame di coscienza e dopo
    opportune preghiere (il Confiteor, l'Atto di dolore, il Padre Nostro,
    che non si deve mai omettere), i singoli penitenti si recano dal
    sacerdote, confessano in segreto i loro peccati, accettano la
    penitenza o soddisfazione e ricevono l'assoluzione. Tutto avviene
    durante un'unica celebrazione.
    Oggi è il rito o forma più raccomandata perché con la sua struttura
    induce meglio il peccatore a suscitare nel suo cuore sentimenti di
    pentimento e a fare propositi di vita rinnovata. L'ambiente
    comunitario aiuta a questo rinnovamento.
    La terza forma presenta le caratteristiche della seconda, vale a dire
    di una celebrazione comunitaria, ma con l'assoluzione generale. E'
    permesso usarla solo in casi determinati quando interviene una grave
    necessità. In qualche modo è un'eccezione alla regola. La regola
    consiste nel dire i peccati al sacerdote in vista dell'assoluzione
    individuale.
    Coloro che usufruiscono di questa terza forma hanno l'obbligo di
    accostarsi alla confessione auricolare e confessare privatamente al
    sacerdote i peccati gravi, prima di ricevere nuovamente la comunione
    eucaristica. In ogni caso entro un anno.
    Tuttavia "la confessione individuale e completa, con la relativa
    assoluzione, resta l'unico modo ordinario grazie al quale i fedeli si
    riconciliano con Dio e con la Chiesa a meno che un'impossibilità
    fisica o morale non li dispensi da una tale confessione. Ciò non è
    senza motivazioni profonde. Cristo agisce in ogni sacramento. Si
    rivolge personalmente a ciascun peccatore "Figliolo, ti sono rimessi
    i tuoi peccati" (Mc. 2, 5); è il medico che si china su ogni singolo
    ammalate che ha bisogno di lui (cf. Me. 2, 17) per guarirlo; lo
    rialza e lo reintegra nella comunione fraterna. La confessione
    personale è quindi la forma più significativa della riconciliazione
    con Dio e con la Chiesa".
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    00 06/08/2012 23:59
    ERRORI E VERITA
    1 , L'errore:
    I tdG sono del parere che la Chiesa Cattolica va contro la Bibbia
    quando insegna che "non c'è colpa per quanto grave ed empia, che non
    si cancelli grazie alla Penitenza; e non una sola volta, ma molte e
    molte volte". Come prova citano Ebrei 10: 26, CEI: "Se pecchiamo
    volontariamente dopo aver ricevuto la piena conoscenza della verità,
    non rimane più alcun sacrificio per i peccati". E ancora Mar. 3: 29,
    CEI: "Chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non avrà perdono
    in eterno".
    La verità:
    a) Ricordiamo anzitutto che è sempre Dio che perdona i peccati. La
    Chiesa, tramite i suoi vescovi e presbiteri, esercita un potere
    datole da Dio. Sì, la Chiesa Cattolica insegna che non c'è colpa per
    quanto grave che non si cancelli con la Penitenza, e non una sola
    volta, ma molte e molte volte. Ciò dicendo e facendo la Chiesa
    Cattolica segue fedelmente la Bibbia dov'è detto: "Egli (Dio)
    perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie" (Salmo
    103 (102), 2). E altrove: "Anche se i vostri peccati fossero come
    scarlatto, diventeranno bianchi come neve" (Isaia 1, 18). E a Pietro
    che domandava., "Signore, quante volte dovrò perdonare al mio
    fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?". Gesù
    rispose: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette"
    cioè sempre (Matteo 18, 22). E Dio sarà meno misericordioso
    dell'uomo? (cf. 2 Pietro 3, 9).
    b) Questo dice la Bibbia. Questo insegna la Chiesa Cattolica. Ma sia
    la Bibbia sia la Chiesa Cattolica aggiungono: "Purché il peccatore si
    converta e condanni i suoi peccati" (cf. Ezechiele 18, 23; 33, 11;
    Luca 15, 7.11 ecc.). Da parte sua la Chiesa Cattolica insegna: "Tra
    gli atti del penitente, la contrizione occupa il primo posto. Essa
    è "il dolore dell'animo e la riprovazione del peccato commesso,
    accompagnato dal proposito di non peccare più in avvenire" -. E
    altrove: "Il penitente non creda di essere stato assolto per la sola
    fede, senza nessuna contrizione".
    c) Contro queste verità nulla provano i testi citati dai tdG. In
    quanto a Ebrei 10, 26 va notato che il testo dice: "Se pecchiamo
    volontariamente". Questo indica chiaramente che qui si tratta di
    persone che persistono nella volontà di peccare. Non c'è in esse vera
    conversione, non c'è pentimento. In effetti, l'autore di Ebrei 10, 26
    parla del peccato di apostasia, che è ribellione deliberata contro
    Dio (cf. Ebrei 6, 6). L'apostata rifiuta la Parola di Dio ed è sordo
    ad ogni richiamo di ripensamento. La stessa Lettera (cf. Ebrei 6, 6-
    8) dice che tali cristiani rinnegati crocifiggono di nuovo Gesù il
    Cristo e sono come la terra che, benché imbevuta da pioggia
    abbondante, produce pruni e spine. Certo, per costoro non vi può
    essere perdono di peccati perché non hanno la volontà di essere
    perdonati. La Chiesa Cattolica non assolve in tali situazioni.
    d) Neppure Marco 3, 29 invalida la dottrina cattolica della
    Confessione. Dal contesto appare chiaro perché la bestemmia contro lo
    Spirito Santo non può essere perdonata. Gli scribi avevano accusato
    Gesù di scacciare i demoni per mezzo del principe dei demoni (cf.
    Marco 3, 22). Gesù fa notare che è impossibile che uno spirito
    maligno si metta contro altri spiriti maligni. Questo equivaleva a
    chiudere gli occhi davanti all'evidenza.
    Gli scribi conoscevano la verità, ma non volevano metterla, e la
    negavano consapevolmente, sapendo quindi di dire una menzogna in modo
    esplicito e cosciente, per calunniare Gesù e allontanare il popolo
    dal suo insegnamento. Ed è appunto, questa la bestemmia contro lo
    Spirito Santo:
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    00 07/08/2012 00:00
    "In base al contesto immediato, questo peccato consiste nel rifiuto
    di riconoscere il potere che agisce tramite Gesù, attribuendo a
    satana le opere che egli compie mediante lo Spirito Santo. Un simile
    rifiuto di conversione si oppone al perdono (cf. Matteo 12, 23)".
    e) Il peccato di cui in Marco 3, 29 si rinnova anche dopo Cristo, e
    non mancano casi ai nostri giorni. La Chiesa Cattolica, anzi tutta la
    Cristianità, nella maggior parte dei loro membri, sono impegnate
    nella lotta contro il male, dovunque si annidi: nella vita pubblica e
    privata, nel mondo degli affari, nella famiglia ecc. Eppure i tdG,
    chiudendo gli occhi davanti a tanta luce, qualificano la Chiesa
    Cattolica, anzi tutta la Cristianità, come agenti di satana. Non è
    questa una bestemmia contro lo Spirito Santo.
    2 - L'errore:
    "Nella Bibbia non è riportato un solo caso in cui un apostolo abbia
    ascoltato una confessione segreta e concessa l'assoluzione. Comunque,
    i requisiti per essere perdonati da Dio sono esposti nella Bibbia.
    Gli apostoli, sotto la guida dello spirito santo, potevano
    discernere se le persone soddisfacevano tali requisiti e, su questa
    base, potevano dichiarare se Dio le aveva perdonate o no. Come
    esempi, vedi Atti 5, 1-11, e anche 1 Corinzi 5: 1-5 e 2 Corinzi 2: 6-
    8".
    La verità:
    a) Come spesso avviene i tdG usano due pesi e due misure secondo che
    loro conviene, per ingannare persone ingenue e ignoranti. Nel caso
    presente, da una parte contestano alla Chiesa Cattolica il potere di
    rimettere i peccati; dall'altra affermano che nella Bibbia sono
    esposti i requisiti per essere perdonati da Dio. E aggiungono che
    nella Chiesa Apostolica le guide autorizzate (gli Apostoli) potevano
    dichiarare se Dio aveva perdonato o no. Questo equivale a dire che
    Dio ha dato alla sua Chiesa il potere di rimettere i peccati a chi è
    disposto a essere perdonato da Dio. E' sempre Dio che perdona.
    Nessuno ha mai detto il contrario, anche se la propaganda maligna dei
    tdG vorrebbe far credere che è il prete che perdona. Ma questa è solo
    calunnia, che convince gli ignoranti. Il confessore discerne se vi
    sono i requisiti secondo la Parola di Dio e concede il perdono in
    nome di Dio. Questo ha fatto Paolo e gli anziani di Corinto (cf. 1
    Corinzi 5, 1-5, supra pp. 35-36). La forma di esercitare questo
    potere era pubblica, ma la sostanza era la stessa: ieri, oggi, sempre.
    b) I tdG negano alla Chiesa Cattolica il potere di rimettere i
    peccati, ma essi se lo appropriano. Due pesi e due misure
    ipocritamente! Si sa che gli anziani delle loro congregazioni locali
    sono, spesso costituiti giudici e assolvono o condannano per la morte
    eterna quei loro seguaci che si fossero macchiati di qualche colpa,
    soprattutto del peccato di apostasia. Nel gergo geovista apostasia
    equivale a non voler pensare ed agire come impone il cervello della
    setta, anche se si è convinti, e si hanno ottime ragioni, che la
    Bibbia dice il contrario. In nome di chi assolvono e condannano?
    c) Nulla prova dire che nella Bibbia non vi è un ,solo caso di
    Apostolo che abbia ascoltato la confessione segreta e concessa
    l'assoluzione. Infatti la Bibbia non dice tutto quello che hanno
    fatto Gesù e gli Apostoli (cf. Giovanni 21, 25). Comunque, la Bibbia
    dice chiaramente che il Risorto ha dato agli Apostoli il potere di
    rimettere i peccati. Questo è l'essenziale. Dice pure che in diversi
    casi gli Apostoli hanno esercitato questo potere. La forma in cui
    l'hanno esercitato non cambia la sostanza. Quella può cambiare ed è
    cambiata, questa - la sostanza - rimane sempre. (Cf. 1 Corinzi 5, 1-
    5; 2 Corinzi 5, 19-20).
    3 - L'errore:
    San Giacomo ha scritto ai cristiani del suo tempo: "Confessate i
    vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per
    essere guariti" (Giacomo 5, 16). L'insegnamento è chiaro: io per il
    mio fratello peccatore non posso fare altro che pregare, mai
    assolvere.
    La verità:
    a) Sì, l'insegnamento è chiaro. Qui san Giacomo non tratta della
    Confessione sacramentale e perciò non concede a tutti i discepoli di
    Gesù il potere di rimettere i peccati. Qui san Giacomo richiama e
    raccomanda una pia pratica in uso presso gli Ebrei e anche presso i
    primi cristiani (cf. Atti 19, 18) di confessare in pubblico i propri
    peccati. Era una dimostrazione pubblica di pentimento.
    b) Parimenti era una pia pratica, e lo è anche adesso, il pregare gli
    uni per gli altri, specie quando si ha peccato e sì ha bisogno del
    perdono di Dio. E' sempre Dio che perdona. Ma la preghiera, specie
    del giusto, vale molto per ricondurre "un peccatore dalla sua via di
    errore" (Giacomo 5, 20). Ma queste pie pratiche - quella di
    confessare in pubblico i propri peccati e pregare per gli altri,
    specie per i peccatori - non distrugge ciò che la Bibbia dice altrove
    molto chiaramente, vale a dire che Dio ha dato a degli uomini il
    potere di rimettere i peccati (cf . Matteo 9, 8).
    4 - L'errore:
    Quando si pecca contro Dio, bisogna chiedere perdono solo a Lui. Solo
    Dio perdona (cf. Matteo: 6, 12; Salmo 32, 5; 1 Giovanni 2, 1).
    La verità:
    a) Nessun cattolico ha mai detto che è il papa o il vescovo o il
    presbitero che perdona i peccati, tutti i peccati, sia quelli contro
    Dio sia quelli contro il prossimo. E' solo e sempre Dio che perdona
    sia i peccati direttamente contro di Lui sia quelli contro il
    prossimo, che sono anche contro di Lui. Ma Dio ha dato il potere agli
    uomini di perdonare i peccati in suo Nome, mediante l'assoluzione,
    perché voleva continuare la mediazione visibile di Cristo, attraverso
    la Chiesa. E così, attraverso le parole del sacerdote, il penitente
    può essere certo e sicuro che Dio lo ha veramente perdonato.
    b) Nei testi citati di Matteo 6, 12; Salmo 32, 5; 1 Giovanni 2, 1 è
    affermata una sola verità. che solo Dio perdona. Ma nulla è detto
    contro quanto lo stesso Dio. ha voluto fare per assicurarci del suo
    perdono. A tale scopo egli ha istituito il sacramento della penitenza.
    Aggiungiamo infine o ripetiamo che, se il perdono di Dio deve
    avvenire nel segreto, nella camera privata, a porte chiuse (cf.
    Matteo 6, 6-12) e se la confessione delle proprie colpe si fa
    direttamente a Dio (a Geova) (cf. Salmo 32, 5), perché gli anziani
    delle "sale del regno" costringono i fratelli della setta geovista a
    confessare i loro peccati (o supposti tali) davanti a tribunali di
    uomini costituiti da uomini? Non sarebbe più logico lasciare a Geova
    il processo e la sentenza? Ma è un'illusione trovare Iogica nei
    comportamenti della società Torre di Guardia!
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    00 07/08/2012 00:01
    5 - L'errore:
    "Quando si fa un torto al prossimo, o lo si riceve, la
    riconciliazione, o perdono, avviene tra offensore ed offeso (cf.
    Matteo 5: 23, 24; 18, 15; Luca 17: 3; Efes. 4: 32)".
    La verità:
    a) In tutti i testi citati dai tdG si parla solo della
    riconciliazione tra due o più cristiani tra loro: si raccomanda di
    riconoscere il proprio torto, di chiedere perdono al fratello offeso,
    di perdonare, di essere benevoli ecc. Ma non è detto nulla contro il
    potere di rimettere i peccati dato da Dio alla sua Chiesa.
    b) La strumentalizzazione, che ne fanno i tdG per negare la dottrina
    biblica del Sacramento della Penitenza, contiene un grosso errore di
    fondo, vale a dire che l'offesa fatta al fratello non riguarda Dio.
    Dio non c'entrerebbe. Sarebbe una cosa da aggiustarsi tra offeso e
    offensore. Ma questa è una eresia! Infatti l'offesa fatta al prossimo
    è sempre offesa fatta a Dio: è sempre peccato contro Dio. Dei dieci
    comandamenti dati da Dio a Mosè (cf. Esodo 20, 2-17) ben sette
    riguardano offese fatte al prossimo. Sarebbe assurdo dire che in
    tutti questi casi basta una riconciliazione tra offensore ed offeso
    per avere il perdono di Dio. I tdG scrivono questi grossolani errori
    pur di negare alla Chiesa Cattolica il potere di rimettere i peccati.
    6 - L'errore:
    "Simon Mago, di cui in Atti 8, 22, non è assolto da Pietro, ma da
    Dio".
    La verità:
    a) Il mago non aveva né voleva avere le condizioni necessarie per
    essere assolto da Pietro. Questi infatti gli dice: "Ti vedo chiuso in
    fiele amaro e in lacci di iniquità" (Atti 8, 23). Scosso dal
    rimprovero di Pietro il mago ha solo paura di essere colpito dai
    castighi divini. Perciò dice a Pietro: "Pregate voi per me il Signore
    perché non mi accada nulla di ciò che avete detto" (Atti 8,1 24).
    b) In tutto questo testo di Atti 8, 20-24 non è detto che Dio abbia
    assolto il mago. E tanto meno è detto che Pietro non l'abbia potuto
    assolvere in nome di Gesù, se avesse mostrato i segni di un vero
    pentimento.
    7 - L'errore:
    "Nelle Lettere a Timoteo e a Tito non troviamo tra le mansioni dei
    vescovi e dei presbiteri quella di confessare. Non c'è una sola
    parola di Paolo che mostri che egli considerasse l'assolvere dai
    peccati come un ufficio del ministero cristiano".
    La verità:
    a) Timoteo fu discepolo e compagno di Paolo nei suoi viaggi
    missionari (cf. Atti 17, 14ss.; 18, 5; 19, 22; 20, 4). Fu incaricato
    d'una speciale missione a Tessalonica (cf. 1 Tessalonicesi 3, 2-6) e
    Corinto (cf. 1 Corinzi 4, 17; 16, 10; 2 Corinzi 1, 9). Prima di
    ricevere questi incarichi era stato approvato da Paolo e dai
    presbiteri (cf. 1 Timoteo 1, 18; 4, 14; 2 Timoteo, 1, 6). Fu
    richiesto da Paolo di dirigere la chiesa di Efeso (cf. 1 Timoteo 1,
    3). Questi particolari sono sufficienti per essere certi che Timoteo
    conosceva assai bene come guidare una comunità e non c'era bisogno
    che Paolo gli ripetesse tutta la dottrina cristiana in uno o due
    scritti aventi uno scopo piuttosto pastorale che dottrinale.
    Anche Tito, benché in modo alquanto diverso, è discepolo e compagno
    di Paolo nel lavoro apostolico. Ebbe anche lui incarichi di
    responsabilità a Corinto (cf. 2 Corinzi 2, 13; 7, 6). Fu lasciato a
    Creta, dov'è indirizzata appunto la Lettera a Tito, con l'incarico di
    regolare ciò che rimaneva da fare (cf. Tito 1, 5). Possiamo affermare
    con certezza che anche Tito conosceva bene tutto l'insegnamento di
    Paolo, compreso quello riguardante la riconciliazione con Dio (cf. 2
    Corinzi 5, 18-20), anche se Paolo nel breve scritto che è la Lettera
    a Tito, non parla di questo ministero>.
    b) Notiamo pure che la difficoltà mossa dai negatori della
    Confessione poggia su un principio assai labile: a loro avviso in
    ogni scritto della Bibbia dovremmo avere tutta la dottrina predicata
    da Cristo e dagli Apostoli. Questo principio è falso. Se fosse vero,
    dovremmo negare tante verità che si trovano nei vangeli e non in san
    Paolo e viceversa. Oppure tante verità di cui Paolo parla in una
    Lettera, ma non ne parla in un'altra. Un esempio. Nelle Lettere a
    Timoteo e Tito, Paolo non parla della Cena del Signore e del comando
    di rinnovarla (cf. 1 Corinzi 11, 17-27). Dunque Gesù non celebrò la
    Cena Pasquale né diede ordine di fare lo stesso in sua memoria! Gli
    esempi sono molti. Questo dimostra come i contestatori della dottrina
    della Chiesa Cattolica sono spesso molto superficiali nelle loro
    affermazioni. "Accertatevi d'ogni cosa" ammonisce san Paolo (1
    Tessalonicesi 5, 21).
    c) Anche se nelle Lettere Pastorali non vi è esplicita menzione del
    potere di rimettere i peccati, non mancano tuttavia vive esortazioni
    a convertire, ossia riconciliare i peccatori con Dio (cf. 1 Timoteo
    1, 15-16). Timoteo, in armonia con le profezie che sono state fatte a
    suo riguardo, fondato su di esse, deve combattere la buona battaglia,
    a fine di ricuperare i traviati (cf. 1 Timoteo 1, 18-19). Il modo
    Paolo non lo dice esplicitamente, ma si può supporre che Timoteo
    sapeva come comportarsi in simili casi, ricordando come si era
    comportato Paolo a Corinto (cf. 1 Corinzi 5, 1-5).
    d) In 1 Timoteo 5, 20 Paolo scrive: "Quelli poi che risultino
    colpevoli riprendili alla presenza di tutti". Anche se non si parla
    esplicitamente di "peccati perdonati", si tratta pur sempre di
    mancanze, "colpe", che devono essere riparate, e Timoteo non deve
    restare passivo, ma deve intervenire per ristabilire il giusto modo
    di agire cristianamente. Naturalmente si suppone che i "colpevoli",
    si pentano, chiedano perdono, siano riconciliati e cambino vita,
    adottando un comportamento coerente con il Vangelo. E certamente
    Timoteo esercita un potere su coloro che si comportano male nella
    comunità.
    8) L'errore:
    Con riferimento a Matteo 18, 15-17 i tdG hanno scritto:
    "In questioni che implicano gravi violazioni della legge, uomini
    responsabili nella congregazione avrebbero dovuto emettere un
    giudizio e decidere se un trasgressore doveva essere "legato"
    (considerato colpevole) oppure "sciolto" (assolto). Significa questo
    che il cielo avrebbe seguito le decisioni di esseri umani? No (...).
    In effetti, è irragionevole pensare che le decisioni di un essere
    umano imperfetto possano essere vincolanti per coloro che sono nei
    tribunali celesti. E' molto più ragionevole dire che i rappresentanti
    nominati da Cristo avrebbero seguito le sue istruzioni per mantenere
    pura la sua congregazione. Avrebbero fatto questo prendendo decisioni
    basate su principi già stabiliti in cielo".
    La verità:
    a) Prendiamo atto anzitutto che i tdG ammettono, con riferimento a
    Matteo 18, 15-17, che nella congregazione vi sono uomini responsabili
    che possono e devono emettere un giudizio e decidere se un
    trasgressore deve essere "legato" (considerato colpevole)
    oppure "sciolto". Questo è appunto quello che fanno gli uomini
    responsabili nella Chiesa Cattolica (vescovi, sacerdoti) applicando
    il comando del Signore di "legare" (considerare colpevoli) oppure
    di "sciogliere" (assolvere). Dunque Dio ha dato a degli uomini il
    potere di rimettere o di ritenere i peccati (cf. Matteo 9, 8; 18, 18;
    Giovanni 20, 22-23).
    b) Fin qui nulla da dire in contrario. Ma quel che segue è solo un
    cumulo di stupidità. In effetti, mai nessun cattolico ha detto o
    pensato che gli uomini responsabili nelle congregazioni o
    rappresentanti nominati da Cristo emettono decisioni vincolanti per
    coloro che sono nei tribunali celesti. La Chiesa Cattolica ha sempre
    insegnato e insegna che i ministri della confessione seguono
    fedelmente e coscienziosamente le istruzioni ricevute da Cristo per
    mantenere pura la sua Chiesa. Dire il contrario, è solo ignoranza
    (nella base) e malafede (nei capi).
    c) A conferma basta ricordare che la Chiesa Cattolica, prima di
    concedere a un suo ministro la facoltà di confessare (= emettere cioè
    un giudizio sul comportamento morale di un fratello), si assicura che
    il ministro abbia seguito i regolari corsi di studio delle varie
    discipline religiose per conoscere bene le istruzioni date da Cristo
    per la guida della sua Chiesa. Tali corsi durano quattro o cinque
    anni. Inoltre tali ministri sono obbligati ad aggiornarsi
    continuamente soprattutto nella scienza morale per conoscere sempre
    meglio, con fedeltà alla Bibbia, le istruzioni date da Cristo circa
    il rimettere o ritenere i peccati.
    d) In virtù della loro preparazione scientifica i confessori
    interpretano nei singoli casi una decisione già presa nel cieli, vale
    a dire decidono caso per caso se è conforme alle istruzioni date da
    Cristo ritenere "legato" o "sciolto" un peccatore. Il giudizio o
    decisione emessa dal confessore - essere umano imperfetto - segue,
    non precede il giudizio emesso nei cieli; è vincolata, non
    vincolante, dai tribunali celesti, cioè da Dio, che ha parlato
    mediante il suo unico Figlio, Gesù Cristo, Dio-con-noi (cf. Matteo 1,
    23), Potenza e Sapienza di Dio (1 Corinzi 1, 24).
    Ripetiamo: gli uomini responsabili nella vera Chiesa di Gesù Cristo,
    che è la Chiesa Cattolica, seguono nel ministero del Sacramento della
    Penitenza la direttiva proveniente dal cielo. Dire che essi impongono
    al cielo le loro decisioni equivale a dire e ripetere un'infame
    calunnia.
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    Credente
    00 07/08/2012 00:02
    9) L'errore:
    "La confessione non produce alcuna tendenza a cercare di evitare il
    peccato nel futuro", dice Ramona, che come cattolica si è confessata
    da quando aveva sette anni".
    La verità:
    a) E' lecito domandare: Chi è questa Ramona? Potrebbe dirci l'anonimo
    scrittore della Torre di Guardia dove, quando, come si confessava?
    Potrebbe dirci ancora se la testimonianza d'una persona ignota,
    sconosciuta, forse mai esistita, può servire di norma generale,
    valere per tutti i casi? E se è una pura invenzione a scopo di
    propaganda settaria ! ! !
    b) L'autore di questo opuscolo amministra il Sacramento della
    Confessione da circa 30 anni in uno dei Santuari Mariani più
    frequentati d'Italia.
    Viene gente da ogni parte del mondo appunto per fare una buona
    confessione. Posso dire che tra migliaia di casi non ho trovato
    nessuna Ramona. Ho ascoltato ed ascolto centinaia, migliaia di
    confessioni con la gioia di aver visto e di vedere tanti, tantissimi
    uomini e donne, giovani d'ambo i sessi tornare gioiosi alla Casa del
    Padre, a perseverare e crescere in essa. Tra questi anche non pochi
    reduci dall'amara esperienza fatta tra gli schiavi della società
    torre di Guardia.
    Lode a Dio nel più alto dei cieli
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    Coordin.
    00 06/01/2013 15:04
    dal commento alla prima lettera di Giovanni 1,9 (omelia 1)

    6. Fa' dunque attenzione a ciò che Giovanni dice: Se diremo che in noi non c'è peccato, ci inganniamo ed in noi non c'è verità. Se dunque ti confesserai peccatore, la verità è in te, poiché la verità è luce. Non ancora pienamente splende la tua vita, perché vi sono dei peccati; ma ecco, cominci ormai ad illuminarti, poiché riconosci i tuoi peccati. Considera le parole che seguono: Se confesseremo i nostri delitti, egli è fedele e giusto per condonarceli e purificarci da ogni iniquità (1 Gv 1, 8-9). Qui Giovanni non si riferisce soltanto ai peccati del passato, ma anche a quelli eventualmente commessi al presente; l'uomo non può non avere almeno peccati lievi, fin quando resta nel corpo. Tuttavia non devi dar poco peso a questi peccati, che si definiscono lievi. Tu li tieni in poco conto quando li soppesi, ma che spavento quando li numeri! Molte cose leggere, messe insieme, ne formano una pesante: molte gocce empiono un fiume e così molti granelli fanno un mucchio. Quale speranza resta allora? Si faccia anzitutto la confessione dei peccati: perché nessuno si reputi giusto, e l'uomo che prima non era ed ora è, innalzi la cresta davanti a quel Dio che vede ciò che è. Prima di tutto ci sia dunque la confessione, poi l'amore: che cosa fu detto della carità? La carità copre la moltitudine dei peccati (1 Pt 4, 8). Vediamo se appunto Giovanni non esorti proprio alla carità, in considerazione dei delitti che stanno nascosti dentro le anime. Soltanto la carità elimina i delitti. La superbia invece distrugge la carità, mentre questa toglie i delitti. L'umiltà è collegata alla confessione, per mezzo della quale ci dichiariamo peccatori; ma l'umiltà non è quella per cui ci dichiariamo peccatori soltanto con la lingua; come se, dichiarandoci giusti, non dispiacessimo agli uomini, a causa della nostra arroganza. Questo lo fanno gli empi e i dissennati. Dicono: io so di essere giusto, ma mi conviene dichiararlo davanti agli uomini? Se mi dichiarerò giusto, chi sopporterà questo, chi lo tollererà? Sia nota davanti a Dio la mia giustizia, io tuttavia mi dichiarerò peccatore; non già perché lo sono, ma perché l'arroganza non mi renda odioso. Di' agli uomini ciò che tu sei e dillo a Dio. Se non dirai a Dio ciò che sei, Dio condannerà ciò che troverà in te. Vuoi che egli non pronunci condanne? Accusati da te stesso. Vuoi che perdoni? Vedi in te stesso, sì da poter dire a Dio: Distogli il tuo sguardo dai miei peccati. Ripeti a lui anche le altre parole di quel salmo: Poiché io riconosco le mie iniquità (Sal 50, 11 5). Che se confesseremo i nostri delitti, egli fedele e giusto, può da essi scioglierci e purificarci da ogni iniquità. Ma se diremo che non abbiamo peccato, lo trattiamo da ingannatore e la sua parola non è in noi (1 Gv 1, 9-10). Se dirai: non ho peccato, tratti lui da menzognero, proprio quando vuoi presentare te come veritiero. Come è possibile che Dio sia menzognero e l'uomo veritiero, dal momento che la Scrittura si oppone a questa conclusione? Ogni uomo è menzognero, Dio solo è veritiero (Rm 3, 4). Dio dunque è veritiero per se stesso, tu sei veritiero per mezzo di Dio; da te stesso invece sei menzognero.

    7. Ma perché non sembri che Giovanni ha lasciato via libera ai peccati, dicendo: Egli, fedele e giusto, può purificarci da ogni iniquità; perché poi gli uomini non concludessero: dunque pecchiamo pure, facciamo con tranquillità ciò che vogliamo, poiché Cristo ci purifica, Egli, fedele e giusto, ci purifica da ogni iniquità; ecco qui toglierti ogni falsa sicurezza e destarti un opportuno timore. Vai in cerca di una pericolosa tranquillità: sii piuttosto preoccupato. Egli, fedele e giusto, può scioglierci dai nostri delitti, se sempre sarai dispiaciuto di te stesso e cambierai condotta, migliorandoti. Che cosa aggiunge poi Giovanni? Figliuoli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate. Ma il peccato potrebbe insinuarsi nella vita di un uomo; che cosa farà costui? Ditelo! S'abbandonerà alla disperazione? Ecco, ascolta: Se uno - dice Giovanni - peccherà, abbiamo presso il Padre un avvocato, Gesù Cristo, il giusto, e lui stesso è il propiziatore dei nostri peccati (1 Gv 2. 1-2). Lui dunque è l'avvocato; tu bada di non peccare: ma se il peccato verrà fuori ugualmente, data la debolezza della natura, subito fa di sentirne dispiacere, subito condannalo; se lo condannerai, potrai presentarti al giudizio con animo tranquillo. Vi troverai l'avvocato: non temere di perdere la causa, una volta che avrai confessato il tuo peccato. Se può capitare in questa vita che uno faccia affidamento su chi ha scioltezza di lingua e riesca a cavarsela, tu che fai affidamento sul Verbo, potrai forse correre il rischio di perderti? Grida più forte: Abbiamo un avvocato presso il Padre.

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    Coordin.
    00 06/01/2013 18:50
    di Gianpaolo Barra

    1- Affrontiamo un tema importante per la fede cattolica, anche se, dobbiamo dire, molti credenti fanno fatica a comprenderlo bene e altri, purtroppo, lo mettono addirittura in discussione. Parleremo del Sacramento dellaConfessione

    2. Molti si domandano per quale motivo dobbiamo confessare i nostri peccati a un sacerdote. Molti si chiedono se non sarebbe meglio, come fanno i protestanti, chiedere direttamente perdono a Dio delle proprie colpe senza il bisogno della mediazione della Chiesa e del sacerdote.

    3- Alcuni vivono la Confessione con disagio, perche trovano qualche difficoltà a mettere a nudo le proprie misene spirituali e accusarsene davanti ad un sacerdote

    4. I cristiani del mondo protestante ritengono che Gesù non abbia istituito questo Sacramento e che la Chiesa lo abbia inventato

    5» Come rispondere a queste osservazioni? Certamente è indispensabile conoscere la dottrina cattolica, e quindi invito a studiare quegli articoli del Catechismo che trattano della Confessione

    6. Ma noi vogliamo interrogare la storia della Chiesa, e alla storia chiederemo di farci sapere come si comportavano i primi cristiani

    7- Credevano anch'essi che la Confessione è un sacramento istituito da Gesù, oppure - come pensano i Protestanti e i Testimoni di Geova -questa è una invenzione della Chiesa cattolica?

    8- Come si comportavano i primi cristiani per ottenere da Dio il perdono dei loro peccati? Ricorrevano alla mediazione della Chiesa, oppure la Chiesa è intervenuta dopo, nel corso della sua storia, quando ha pensato che fosse necessario tenere sotto controllo i comportamenti e addirittura i pensieri dei suoi fedeli?

    La dottrina cattolica

    9- Secondo la dottrina cattolica, soltanto Dio ha il potere di perdonare i peccati Si legge nel Vangelo "// Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati" (Me 2,10) e Gesù esercita questo potere divino "Ti sono rimessi i tuoi peccati",dice Gesù al paralitico (Mc2,5) e alla peccatrice (Lc 7,48)

    10. Dio ha affidato l'esercizio di questo potere alla Chiesa e la Chiesa lo esercita nel Sacramento della Confessione. A Simon Pietro, Gesù ha detto "A te darò le chiavi del Regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli" (Mt

    16,19). II potere di "legare e sciogliere" è stato conferito da Gesù anche agli Apostoli, dunque alla Chiesa (Mt 18,18)

    11. Spiega il Catechismo "Le parole "legare e sciogliere" significano: colui che voi escluderete dalla vostra comunione, sarà escluso dalla comunione con Dio, colui che voi accoglierete di nuovo nella vostra comunione, Dio lo accoglierà anche nella sua. La riconciliazione con la Chiesa è inseparabile dalla riconciliazione con Dio" (n 1445)

    12. Quindi, "legando" o "sciogliendo", la Chiesa riconcilia il peccatore a Dio e a se stessa, secondo la chiarissima volontà espressa da Gesù.

    13. In un altro passo del Vangelo si legge che Gesù ha dato esplicitamente agli Apostoli il potere di "rimettere" o di "non rimettere" i peccati " Gesù disse loro di nuovo: Pace a voi ! Come il Padre ha mandato me, cosi anch'io mando voi. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi" (Gv 20, 21-23) 14. Il verbo "rimettere", nel testo originale greco, vuoi dire "liberare (da qualche cosa), mandar fuori, scacciare, prosciogliere, assolvere" Ricordate quando Gesù dice al paralitico "Abbi fede, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati" e gli scribi pensavano che avesse bestemmiato perchè solo Dio poteva rimettere i peccati.

    15- E qui gli scribi avevano ragione a pensare che solo Dio può rimettere i peccati, ma essi non credevano che Gesù fosse Dio. Ora, questo stesso potere, come abbiamo sentito dal passo biblico, e stato affidato da Gesù agli Apostoli.

    16- Facciamo un passo avanti. Necessariamente, chi esercita questo potere, che è un "potere giudiziario" - cioè deve portare ad un giudizio di condanna o di assoluzione - deve prima conoscere i peccati, deve conoscere le disposizioni, le eventuali attenuanti, le circostanze, altrimenti non si capirebbe il senso delle parole di Gesù

    17- Da qui nasce la necessità di confessare il proprio peccato alla Chiesa, a chi nella Chiesa ha ricevuto questo potere da Gesù, prima che il peccato venga rimesso

    18- Per il Vangelo la "confessione a un prete" non è il semplice confessarsi a un uomo. Il potere del sacerdote si applica sì in terra, ma le conseguenze si verificheranno in cielo, e questo vuoi dire che i giudizi del sacerdote sono approvati e confermati da Dio "saranno rimessi o saranno ritenuti "

    19, E questo potere di rimettere i peccati non finisce con la morte degli Apostoli, ma deve durare fino alla fine dei tempi. Ecco perchè questo potere viene esercitato dai successori degli apostoli, il Papa e i vescovi, e dai sacerdoti

    20. Mi pare che due questioni, più di altre, siano messe in discussione oggi.

    La prima: è vero che tocca alla Chiesa, al vescovo e ai sacerdoti, il compito di amministrare il sacramento della confessione?

    La seconda: è giusto confessare, cioè dire al vescovo, o ai sacerdoti, almeno i nostri peccati gravi'?

    21- La storia risponde alle nostre domande

    La storia: intervento della Chiesa nella remissione del peccato

    22. Affrontiamo la prima questione

    Molti documenti dei primi secoli attestano l'intervento della Chiesa nella remissione dei peccati.

    23. Era compito dei vescovi e dei sacerdoti, dopo aver fatto un esame accurato, ammettere i peccatori alla penitenza, stabilire quanto tempo questa doveva durare e quando concedere la "pace", come si diceva allora, mediante l'imposizione delle mani.

    24. Veniamo ad una prima traccia, antichissima, che ci svela una regola in uso nella Chiesa primitiva. Si trova nella Didachè (Didache vuoi dire insegnamento, dottrina), un'opera che sembra essere stata redatta addirittura nel 1° secolo, tra il 50 e il 70 dopo Cristo.

    25. Vi troviamo una serie di insegnamenti che vengono attribuiti agli Apostoli e vi si legge "Nella Chiesa confesserai i tuoi peccati, nè andrai alla preghiera con una coscienza malvagia" (e 14, 14)

    26. Ecco un primo indizio antichissimo i peccati vanno confessati "nella Chiesa" È un indizio, ma rivela che nel I secolo era opinione dei cristiani che il perdono dei peccati non fosse una questione privata, ma che c'entrasse la Chiesa

    27. Veniamo a una seconda traccia, anch'essa molto antica. A metà del terzo secolo scoppia una dura persecuzione nei confronti dei cristiani, scatenata dall'imperatore romano Decio (249-251) Molti sono i martiri che testimoniano la loro fede fino al dono della vita, ma molti sono anche i cristiani che cedono, tradiscono, abiurano. Essi si macchiano di un peccato gravissimo

    28. Prima ancora che terminasse la persecuzione, la massa degli apostati (i Lapsi) cerca di ottenere il perdono del loro peccato e quindi la riconciliazione con Dio e con la Chiesa

    29. Bene questi cristiani ricorrono alla gerarchla della Chiesa perchè vedono nei vescovi e nei sacerdoti i ministri della misericordia divina e perchè sanno che essi hanno il potere di rimettere i peccati

    30. Dopo avere dato istruzioni ai sacerdoti ("procedere con calma, esigere penitenze", etc ), cosi san Cipriano (ca 205-258), vescovo di Cartagine, che morirà martire durante la persecuzione di Valeriano, esorta i lapsi: "Vi prego, o fratelli, di confessare ciascuno il proprio delitto, mentre chi ha peccato è ancora su questa terra, mentre è ancora possibile confessarsi, mentre la soddisfazione, come pure la remissione fatta per mezzo dei sacerdoti, è gradita al Signore" (De Lapsis, e 29, PL 4, 503).

    31- Questa testimonianza preziosa e antica merita attenzione. Siamo nel III secolo San Cipnano dichiara che "bisogna confessare i peccati" e dichiara che il perdono si ottiene da Dio, per "mezzo dei sacerdoti".

    32. Non solo nella stessa opera egli afferma che ai peccatori "viene purgata la coscienza con la mano del sacerdote (De Lapsis. e 16 PL 4,493)

    33- Come possiamo vedere, fin dai primi tempi i cristiani sapevano che era necessario l'interevento della Chiesa per ottenere da Dio il perdono dei peccati.

    34. La storia ci ha lasciato un'altra traccia molto antica, che conosciamo con il nome di Didascalia Apostolorum. Si tratta di un'opera composta probabilmente in una diocesi della Siria, nella seconda metà del III secolo. Quindi molto antica .

    35- Vi leggiamo un'importante indicazione rivolta al vescovo, che riguarda la riconciliazione del peccatore "Come battezzi il pagano e poi lo ricevi [nella Chiesa], cosi imporrai le mani a costui [il peccatore pentito], mentre tutto il popolo prega per lui, quindi lo introdurrai, facendolo partecipe della Chiesa. L'imposizione della mano sarà come un secondo Battesimo: infatti, tanto con l'imposizione delta mano quanto col battesimo si riceve la partecipazione dello Spirito Santo" (Lib II, e 41, 1-2)

    36. Come si vede, l'autore della Didascalia Apostolorum attribuiva al vescovo il potere di reintrodurre, con l'imposizione delle mani, i peccatori pentiti. Qui non si parla esattamente di confessione, anche se la si deve presupporre, ma resta il fatto che la riconciliazione con Dio avviene per mezzo della Chiesa. È la Chiesa che toglie il reato di colpa, riconcilia con Dio e conferisce la Grazia, indicata come un dono o una partecipazione dello Spirito Santo.

    37. La Chiesa interveniva fin dai primissimi tempi nell'opera di riconciliazione del peccatore, riconciliazione con Dio e con la Chiesa stessa. E la Chiesa interveniva nella figura del vescovo e del sacerdote

    38. Che è esattamente quanto accade oggi, a distanza di molti secoli, nella nostra Chiesa cattolica

    39. Affrontiamo la seconda questione: dobbiamo dire al confessore i nostri peccati, almeno quelli gravi, mortali?

    40. Vediamo come si comportavano i primi cristiani

    La storia. Confessione al sacerdote.

    41- Risaliamo nel tempo, e fermiamoci tra il II e III secolo, quando incontriamo Origene (185-253/4) . Commentando la risurrezione di Lazzaro, Origene osserva che "anche ora ci sono dei Lazzari i quali, dopo aver contratto l'amicizia con Gesù, caddero inermi e perirono". ma poi chiamati dal Signore furono vivificati, poiché chiunque ascolta la sua voce risorge, "ma resta ancora legato e stretto dalle catene dei suoi peccati" ed è incapace di compiere qualsiasi opera soprannaturale "fino a quando non lo scioglieranno, per volere di Gesù, quelli che ne hanno la facoltà"

    42. Dunque secondo Origene, vi sono nella Chiesa persone che hanno la facoltà, il potere di "sciogliere" dai peccati. Qui è chiaramente affermata la necessità dell'intervento sacerdotale.

    43- Ma non si tratta di un intervento generico. È necessaria la confessione, l'accusa dei propri peccati Anzi, Ongene considera la confessione come atto proprio, specifico, del rito penitenziale, e in una sua omelia si legge che "// peccatore non arrossisce di indicare al sacerdote del Signore il suo peccato e richiederne la medicina" (In Leviticum hom. I!, 4 PG 12, 418)

    44. Sentiamo ancora Origene in un'altra omelia "Se riveleremo i nostri peccati non solo a Dio, ma anche a coloro che hanno il potere di curare le nostre infermità e le colpe, saranno tolti i nostri peccati da Colui che disse - Ecco io spazzerò via le tue iniquità come una nube, i tuoi peccati come la caligine" (In Luc Hom XVII PG 13,1846)

    45. Vedete come si è conservata nella storia la verità cattolica sul Sacramento della Confessione. E' Dio che perdona, ma per ottenere il perdono di Dio è necessario l'intervento della Chiesa ed è necessario confessare i peccati dinanzi al sacerdote.

    46. Chiediamo alla storia un'altra testimonianza.

    47- II III secolo ci ha consegnato un'operetta di un Anonimo che noi conosciamo con il titolo di " Contra Novatianum", scritta contro l'eretico Novaziano, vissuto nel IIl secolo, che si oppose al Papa Cornelio

    48. Vi si legge "Come l'uomo battezzato dall'uomo sacerdote viene illuminato dalla grazia dello Spirito Santo, cosi parimenti chi fa l'essomologesi in penitenza, ottiene per mezzo del sacerdote la remissione in grazia di Cristo"

    49. Che cosa e l'essomologesi? E' l'atto con cui il penitente, dopo aver eseguito la penitenza, richiedeva e otteneva la "pace". A noi interessa però un dato: nel lII secolo i cristiani erano convinti che si tornava in grazia di Dio "per mezzo del sacerdote"

    50. Andiamo avanti. Un grande santo delia Chiesa, San Basilio (morto nel 379), vescovo di Cesarea di Cappadocia, parla espressamente dei prepositi della Chiesa che ricevono dai colpevoli la confessione dei loro segreti di cui non è stato testimonio alcuno tranne Dio" e quindi li riconciliano dopo congrua penitenza (In Isaiam, X, 19 PG 30, 548)

    51. Veniamo a S Metodio, vescovo di Olimpo nella Licia (morto nel 311), il quale scrive "Al vescovo, sacerdote figlio del vero arcisacerdote, manifesti ognuno la sua propria piaga, a lui deve ricorrere per essere sanato chiunque ha un'anima ferita o lebbrosa" (Frammenti esegetici circa le prescrizioni del Levitico relative alla lebbra - rintracciati in un codice slavo)"

    52. Il segretario di s Ambrogio, san Paolino, racconta che il vescovo di Milano con grande compunzione riceveva le confessioni dei peccatori prima di imporre loro la penitenza, e ne parlava nei suoi colloqui con Dio

    53. Scrive san Paolino "delle colpe che a lui [Ambrogio] venivano confessate non parlava ad alcuno se non a Dio solo presso cui intercedeva, dando cosi ai sacerdoti futuri il buon esempio di farsi intercessori presso Dio piuttosto che accusatori presso gli uomini" (Vita di S Am-brogio, n 39 PL 14,43)

    54. San Giovanni Crisostomo (344/7-407) insiste perchè la confessione sia fatta in Chiesa, con la voce, perche i colpevoli non arrossiscano di svelare a Dio le proprie iniquità.

    55. Sentiamolo "Come mai ti vergogni ed arrossisci di dire i tuoi peccati? A Colui che è il Signore, che è pieno di sollecitudine per te, che è umano, che è medico mostri le ferite! Nè l' ignora anche se non gliele dirai".

    E ancora "Ti vergogni di confessare i peccat?7 Vergognati piuttosto di commetterli Invece quando li facciamo, li affrontiamo audacemente e senza vergogna, quando poi dobbiamo confessarli, allora ce ne vergognamo e differiamo la cosa, mentre dovremmo agire con animo premuroso, non è infatti un'ignomia accusare i peccati, ma un atto di giustizia e di virtù; ti vergognerai dunque di quell'opera con cui diverrai giusto? (De Labaro, Hom. IV, 4 PG 48, 1012)

    Conclusione

    56. Credo che gli esempi fin qui portati possano bastare in questa conversazione non abbiamo parlato della misericordia di Dio, della grandezza e bellezza del dono che Dio ci ha fatto istituendo il Sacramento della Riconciliazione

    57. Non è il nostro compito, anche se e la cosa più importante

    58. Mi viene in mente la parabola del "Figliol prodigo". Qui si trovano tutte le condizioni necessarie per fare una buona confessione "l'esame di coscienza", il "pentimento per il peccato commesso", la "confessione delle proprie colpe", il "proposito di non commettere più quel peccato" e la decisione di sottoporsi alla "penitenza", alla soddisfazione della colpa commessa

    59- Quella parabola ci svela come si comporta Dio quando vede un figlio peccatore che decide di confessare il suo peccato e di non commetterlo più.

    60. E tenendo presente che Dio si comporta in questo modo, che Dio è pieno di misericordia, e consapevoli del dono che Dio ha fatto alla Chiesa istituendo il Sacramento della Riconciliazione, io credo che noi possiamo trovare quella determinazione, possiamo vincere quel disagio, quelle paure e fare qui il proposito di confessarci frequentemente.

     

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    Credente
    00 23/11/2013 11:11

    Papa Francesco: «non ci si confessa da soli,
    serve un sacerdote»

    Anche i sacerdoti «devono confessarsi, anche i Vescovi: tutti siamo peccatori. Anche il Papa si confessa ogni quindici giorni, perché anche il Papa è un peccatore. E il confessore sente le cose che io gli dico, mi consiglia e mi perdona, perché tutti abbiamo bisogno di questo perdono». Non esiste l’assoluzione fai-da-te, il cristianesimo non si vive mai da solinon è un misticismo personale, ma sempre all’interno di una comunità, di un rapporto con un altro, attraverso il quale un Altro si manifesta: «Dio ti ascolta sempre, ma nel sacramento della Riconciliazione manda un fratello a portarti il perdono, la sicurezza del perdono, a nome della Chiesa».

    «Tante persone forse», ha riflettuto il Pontefice, «non capiscono la dimensione ecclesiale del perdono, perché domina sempre l’individualismo, il soggettivismo, e anche noi cristiani ne risentiamo. Certo, Dio perdona ogni peccatore pentito, personalmente, ma il cristiano è legato a Cristo, e Cristo è unito alla Chiesa. Questo dobbiamo valorizzarlo; è un dono, una cura, una protezione e anche è la sicurezza che Dio mi ha perdonato. E questo è bello, questo è avere la sicurezza che Dio ci perdona sempre, non si stanca di perdonare. E non dobbiamo stancarci di andare a chiedere perdono. Si può provare vergogna a dire i peccati, ma le nostre mamme e le nostre nonne dicevano che è meglio diventare rosso una volta che non giallo mille volte. Si diventa rossi una volta, ma ci vengono perdonati i peccati e si va avanti».

    Non manca un’indicazione anche ai sacerdoti«Il servizio che il sacerdote presta come ministro, da parte di Dio, per perdonare i peccati è molto delicato ed esige che il suo cuore sia in pace, che non maltratti i fedeli, ma che sia mite, benevolo e misericordioso; che sappia seminare speranza nei cuori e, soprattutto, sia consapevole che il fratello o la sorella che si accosta al sacramento della Riconciliazione cerca il perdono e lo fa come si accostavano tante persone a Gesù perché le guarisse. Il sacerdote che non abbia questa disposizione di spirito è meglio che, finché non si corregga, non amministri questo Sacramento. I fedeli penitenti hanno il diritto di trovare nei sacerdoti dei servitori del perdono di Dio».

    E’ Gesù stesso che ha istituito la Confessione comandando ai suoi apostoli: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20,22-23). Ma noi «siamo consapevoli della bellezza di questo dono che ci offre Dio stesso? Sentiamo la gioia di questa cura, di questa attenzione materna che la Chiesa ha verso di noi? Sappiamo valorizzarla con semplicità e assiduità?», si è domandato Francesco

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    Credente
    00 01/02/2017 15:50

    PERCHÉ DIO HA VOLUTO CHE CI CONFESSASSIMO
    CON UN SACERDOTE E NON DIRETTAMENTE CON LUI?

    Perché Dio ha voluto che ci confessassimo con un sacerdote e non direttamente con lui?

    di Julio De La Vega-Hazas

     

    La risposta a questa domanda deve necessariamente dividersi in due parti. Dio ha voluto davvero così? E se sì, perché?

    Circa la volontà divina al riguardo, c’è un testo chiave nel Vangelo di San Giovanni: “‘Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi’. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: ‘Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi’”. La missione – l’invio – di Gesù Cristo dura fino alla fine dei tempi. Si tratta, quindi, di una potestà conferita alla Chiesa perché la eserciti attraverso i suoi ministri. Ovviamente, quello che viene conferito non è un potere arbitrario: si deve perdonare in nome di Dio chi ha il pentimento necessario per i propri peccati, e non perdonare chi non lo ha. Ma per questo i peccati vanno manifestati. È il tribunale della misericordia divina, ed è quindi necessario conoscere la causa che si giudica, in questo caso i peccati del penitente.

    Ciò non vuol dire che il perdono divino si circoscriva unicamente alla celebrazione del sacramento della Penitenza, ma che il cristiano deve ricorrervi ogni volta che sia possibile (e se non è possibile al momento, quando si possa). Rifiutare questo presuppone il fatto di voler porre le condizioni del perdono divino, e allora la ricerca di questo perdono diventa viziata. Le condizioni le pone l’offeso, non l’offensore. E non si deve dimenticare che alla Penitenza si va fondamentalmente per ottenere il perdono da parte di Dio, non semplicemente a tranquillizzare la propria coscienza.

    Perché Dio ha voluto così? Ci sono una ragione teologica e dei motivi che potremmo definire umani. La prima ha molto a che vedere con la natura della Chiesa, che è la continuità di Cristo nel mondo, che trasforma il popolo di Dio in Corpo di Cristo, di modo che Gesù agisce attraverso di lei per donarci i mezzi di salvezza, soprattutto la dottrina e la grazia, quest’ultima principalmente con i sacramenti. La grazia del perdono non è un’eccezione, e si distribuisce ai fedeli attraverso il mezzo più adeguato e allo stesso tempo voluto da Dio: il tribunale di misericordia istituito da Gesù e configurato come sacramento (non si deve dimenticare che il sacerdote perdona non da parte di Cristo, ma “trasformandosi” nella persona stessa di Cristo: “Io ti assolvo…”).

    Le ragioni umane sono più facili da comprendere. La prima è che garantisce l’obiettività. Questo è molto importante quando ci si rende conto della facilità con cui si possono scusare i propri errori, pensare che il proprio caso debba rappresentare un’eccezione, togliere importanza a ciò che è oggettivamente grave. Ne abbiamo esperienza tutti, ma in genere è esperienza altrui, non propria. La confessione, insomma, ci obbliga a dire pane al pane e vino al vino.

    La seconda è collegata alla precedente. La confessione rappresenta un magnifico modo per formare la propria coscienza. Ci sono persone dalla coscienza lassa, che tendono a non dare importanza a ciò che ne ha, e persone dalla coscienza scrupolosa, a volte perfino immerse nel patologico, che esagerano qualsiasi cosa. Ci sono coscienze lasse per alcune cose e scrupolose per altre. Altre volte ci sono problemi complessi che suscitano dubbi, o situazioni in cui non si sa molto bene come procedere. A volte i dubbi possono derivare dalla difficoltà di valutare fino a che punto si era coscienti di ciò che si faceva o si pensava, o di separare un peccato da quella che è solo una tentazione, a volte forse ossessiva, o semplicemente uno stato d’animo. Per tutto questo, la confessione è guida e luce. È facile comprendere che la tranquillità di coscienza che si genera è un bene impagabile.

    La terza ragione riguarda quanto sia conveniente esprimere a voce alta (che evidentemente deve sentire solo il confessore) il dolore interiore che si prova per via dei propri peccati. A volte questa convenienza si apprezza quando vediamo che, per mancanza di un canale idoneo, ci sono persone che si sfogano nel modo più inopportuno, raccontando ciò che pesa loro nel momento e alle persone non adatti (a volte si sente dire “Bisogna pur dirlo a qualcuno”), o anche su mezzi di comunicazione pubblici come radio o televisione. È facile capire che questo sacramento presuppone un aiuto psicologico non trascurabile.

    La quarta ragione è una cosa che al giorno d’oggi viene sottolineata molto. Siamo in un’epoca in cui fiorisce ogni tipo di consulenza personale, alcune anche sulle questioni più intime. Proliferano psicologi, consuenti matrimoniali e qualsiasi tipo di coaching. Nel sacramento della Penitenza, il sacerdote è chiamato ad essere giudice – di misericordia, si intende –, ma anche medico di anime, pastore e consigliere spirituale, offrendo così un grande servizio a chi si accosta a questo sacramento.

    Si potrebbero trovare anche altre ragioni, ma queste sono le principali. Esprimono chiaramente la saggezza di Dio – che si adatta all’essere umano, con i suoi nobili desideri ma anche con le sue limitazioni e le sue miserie – e anche la sua misericordia, perché non si limita a concedere il perdono, ma dà anche pace alle coscienze e un aiuto inestimabile per procedere con rettitudine e guadagnarsi la vita eterna.


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    00 13/09/2018 14:23
     


    La confessione e la psicoterapia



    «I primordi di ogni trattamento analitico della psiche vanno ricercati nella confessione religiosa». Sono parole di Carl Gustav Jung, psichiatra e psicoterapeuta fondatore della psicologia analitica, vissuto nella prima metà del Novecento. Del resto, se l’etimologia della parola «psicoterapia» significa appunto «cura dell’anima», questa pratica affonda le sue radici nella civiltà greca, secoli prima dell’affermarsi del Cristianesimo. 










     

    “La scuola di Atene” (Raffaello)  


     


    Pitagora e la tragedia greca  


    «Sull’esame di sé e la “confessione” delle proprie mancanze – spiega Claudio Risé, scrittore e psicoterapeuta autore del recente “La scoperta di sé” (San Paolo ed.) - nasce la filosofia e la psicologia occidentale, con Pitagora, filosofo e scienziato greco. Nel pitagorismo, tuttavia, la “confessione”, veniva fatta a sé stessi per riconoscere le proprie debolezze e gradualmente trasformarle. Questo era l’equivalente dell’”esame di coscienza” che il cristiano deve fare prima della confessione, ed ogni volta che può, per rimanere in contatto con la propria coscienza e mantenerla integra”. 


     


    Le intuizioni di Pitagora costituiscono il primo barlume di consapevolezza nella storia umana per sviluppare pratiche volte a organizzare la vita quotidiana, la personalità e la responsabilità delle persone. Per quanto la mentalità attuale spesso e volentieri conduca ad andare “dove ci porta il cuore” (cosa che spesso può coincidere con la soddisfazione immediata di ogni capriccio) già gli antichi Greci mettevano in guardia dal cedere a quelle che, con lessico freudiano, si possono definire pulsioni.  


     


    “Ma tu non essere impulsivo” raccomandava Eschilo nel coro de “I Sette contro Tebe”: nella tragedia greca, il disastro avveniva sempre a causa del cedimento a un impulso. Questo poteva provenire indifferentemente da un dio o da un demone; ecco perché, già secondo gli antichi, esso doveva essere sempre meditato e filtrato dall’uomo in un modo che conducesse a un’azione perfettamente libera».  


     


    Un sentimento umano  


    Se l’insegnamento pitagorico giunse fino ai Romani («La confessione dei nostri peccati è il primo passo verso l’innocenza», scriveva il drammaturgo Publilio Siro nel I sec. a.C.) anche nel resto del mondo si è costantemente rivelata l’esigenza tipicamente umana di sgravarsi la coscienza parlando con qualcuno.  


     





     

    Sacerdoti Maya, dal film “Apocalypto”  


     


    Nel Messico antico, i peccatori andavano a confessarsi dai sacerdoti della dea Tlaçolteotl (la «dea delle sozzure», cioè dei peccati specialmente carnali), i quali imponevano la penitenza. Nell’antico Perù, il penitente si confessava dall’ichuri, lo sciamano. Per espirare le proprie colpe ci si doveva sottoporre a lavacri o a salassi. 


     


    «Il senso di colpa – spiega il neuropsichiatra e scrittore Giuseppe Magnarapa – esiste da sempre ed è legato al principio di autorità il quale serve, a propria volta, a garantire la pace sociale. In assenza di un qualunque sistema di regole, infatti, non esiste la società. Se si infrange la regola, la psiche esprime l’esigenza di espiare, di produrre a se stessi lo stesso lutto o danneggiamento che si è procurato all’esterno per “pareggiare i conti” e ritrovare un nuovo adattamento. L’esigenza di confessare anche pubblicamente la propria colpa esprime esattamente questa necessità. Una forma ancestrale di questo bisogno si avverte, ad esempio nella cosiddetta “televisione verità” con persone che spettacolarizzano senza vergogna la propria intimità anche confessando azioni non esattamente edificanti». 


     


    Le prime confessioni cristiane  


    Pubbliche erano, non a caso, le confessioni dei peccatori nei primi secoli del Cristianesimo: la preghiera, le buone azioni, il digiuno e l’elemosina erano le azioni grazie alle quali si otteneva il perdono del peccato. Questo viene definito dal Catechismo «una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all’amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni». 


     





     

    San Pietro predica nella catacombe  


     


    All’inizio, lo stato di penitente era molto gravoso e comportava forme di temporanea emarginazione. Nei secoli, la confessione dei peccati si è sempre più sistematizzata, ha iniziato a svolgersi privatamente, prima col vescovo e poi col semplice sacerdote, il quale è tenuto ancor oggi a osservare il più totale segreto «professionale» su quanto ascoltato durante il sacramento.  


     





     

    Carl Gustav Jung nel suo studio  


     


    Sovrapposizioni  


    Secondo Jung il processo psicoterapico si articola in quattro fasi. Durante quella che lui definisce Confessione, il paziente svuota i propri segreti, estrinsecando la propria condizione e sofferenza. Nella Chiarificazione, egli diventa consapevole dei propri sentimenti, intuisce i motivi che lo hanno condotto al dolore. Nell’Educazione, si propone di assumere nuovi comportamenti e atteggiamenti e infine, nella Trasformazione, il paziente assiste ai risultati dell’effettivo cambiamento nella sua vita.  


     


    Il parallelo col sacramento cattolico è abbastanza evidente, tanto che anche questo si articola in quattro fasi: la Contrizione, in cui il fedele si pente del male commesso, l’Esame di coscienza, in cui riflette su come e dove ha sbagliato; la Confessione, nella quale esprime al sacerdote tutti i peccati che in sincerità ricorda; infine la Soddisfazione, che implica un cambiamento nella propria vita e l’espiazione per il male compiuto con azioni risarcitorie, o con la preghiera.  


     


    Vi è infine da ricordare che alla base di tutto vi è il principio della Misericordia divina, che consente all’uomo di rialzarsi dopo i cedimenti e di proseguire sulla strada del perfezionamento spirituale. Negli ultimi anni, in ambito cattolico, si è parlato molto di Misericordia, meno spesso si è ricordato come questa non possa essere svincolata dal pentimento e dal riconoscimento dei propri peccati.  


     





     

    “Confessionale”. Tempera su carta (Mario Sironi)  


     


    L’anonimato  


    Fu il cardinale santo Carlo Borromeo, alla metà del ‘500, a regolare e a diffondere il confessionale nella sua classica struttura che, poi, si diffuse in tutto il mondo. Si tratta, come noto, di una cabina di legno dotata di inginocchiatoi; fitte grate metalliche celano il viso del penitente il quale non è tenuto a rivelare la propria identità al prete. Con il Concilio Vaticano II, la Chiesa ha aperto anche alla confessione vis à vis. 


     


    Tuttavia, sarebbe interessante indagare quali benefici possa produrre l’atto rituale di liberare la propria coscienza in un soffio di parole, «spifferando» il male compiuto all’orecchio del sacerdote, ieratico e invisibile intermediario fra Dio e l’uomo, senza vederlo e senza farsi da lui vedere. Il diaframma costituito dalla grata era pensato in modo utile anche per il prete, per metterlo al riparo da contatti troppo ravvicinati e forieri di tentazioni. Probabilmente San Carlo aveva intuito, già cinque secoli fa, quello di cui da pochi decenni si occupa la Programmazione Neuro Linguistica, ovvero il linguaggio più o meno volontario che esprimono gli occhi e la posizione del corpo.  


     


    Per quanto, infatti, un pastore debba ascoltare con neutra benevolenza la confessione di un penitente, non è detto che egli riesca a controllare le sottili reazioni della sua postura e del suo sguardo che possono veicolare una quantità di messaggi involontari.  


     


    Non sappiamo se, nel mondo della psicoterapia, si sia mai sperimentata una soluzione tecnica come quella della grata del confessionale tradizionale, magari nell’ottica di assicurare maggiore libertà e comfort emotivo al paziente attraverso il completo anonimato.  


     





     

    Il peccato originale (Tintoretto)  


     


    Un terreno ricco di spunti  


    Il grande scrittore cattolico Gilbert Keith Chesterton riassumeva: «La psicoanalisi è una confessione senza assoluzione». In effetti, l’ approccio laico non prevede generalmente un sistema morale, né la credenza in un’entità trascendente. Mentre il sacerdote, con un segno di croce, riporta il fedele nella pace con se stesso, lo psicoterapeuta conduce il paziente a sciogliere dai solo i propri nodi attraverso un percorso che può essere lungo e difficile.  


     


    Ciò che emerge è che i contatti fra tradizione religiosa, (cattolica, ma non solo) e il mondo della psicoterapia-psichiatria offrono un fertile terreno di scambio. Ad esempio, oggi si parla spesso di narcisismo, di depressione; di disturbi alimentari come anoressia e bulimia; di sex addiction o ipersessualità. Non ci si trova dunque di fronte a versioni più o meno patologiche degli antichi vizi come superbia, accidia, gola e lussuria? 


     


    Margriet Sitskoorn, docente di Neuropsicologia clinica all’Università di Tilburg (Olanda), in un capitolo del suo libro «I sette peccati capitali del cervello» mostra, attraverso vari studi neuroscientifici, come il soddisfacimento dei bisogni più elementari, privi di riflessione etica e di controllo, conduca al rilascio di sostanze come dopamina e oppioidi, che producono piacere immediato anche se questo comporterà conseguenze negative per se stessi e per gli altri. E’ stata scoperta, dunque, la radice biochimica della seduzione del Male?  


     


    Tra religione e scienza «c’è piuttosto antipatia sentimentale che opposizione logica», sentenziava il colombiano Nicolás Gómez Dávila. Tuttavia, considerando che l’esperienza religiosa si è applicata allo studio dell’uomo per alcuni millenni, si potrebbe dare ragione ad Albert Einstein quando aprì al confronto fra i due mondi con una frase rimasta celebre: «La religione senza la scienza è cieca, la scienza senza la religione è zoppa». 



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    00 13/12/2022 12:03