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Modalità nella successione
Gli Apostoli dunque ebbero dei collaboratori, ai quali trasmisero il
ministero o servizio qualificato e autorevole di maestri e guide
delle comunità. I collaboratori divennero successori. Ma quale fu la
forma concreta di questa successione? Chi ne fu il soggetto?
1 - Dai documenti in nostro possesso, soprattutto dagli Atti degli
Apostoli e dalle Lettere di san Paolo, appare chiaro che la
trasmissione dei poteri dell'Apostolo è personale e individuale, non
collettiva e anonima. A Gerusalemme abbiamo il caso di Giacomo. Fin
dai primissimi tempi appare come il Vescovo di quella chiesa,
attorniato da anziani o presbiteri (cfr. Atti Il, 30; 15, 6-13; 21,
8). Simile corso ebbe luogo nelle chiese di Efeso con la presenza e
l'opera di Timoteo (cfr. 1 Timoteo 1, 3), e di Creta con Tito (cfr.
Tito 1, 5). Ben a ragione i due collaboratori dell'Apostolo vanno
considerati come i primi successori in quelle comunità col potere
d'insegnare e di guidare.
La stessa cosa sembra potersi dire della chiesa di Antiochia di
Siria. Con ogni probabilità fu Pietro a guidare quella chiesa per un
certo tempo (cfr. Galati 2, 11). A lui successe Evodio, a cui tenne
dietro come Vescovo Ignazio, che finì la vita col martirio a Roma nel
107 d.C. Il martire Ignazio è il testimone più esplicito della forma
monarchico-episcopale delle chiese fin dai suoi tempi, vale a dire
fin dalla seconda metà del primo secolo (cfr. infra).
Infine è molto probabile che "gli angeli" delle sette chiese, di cui
parla l'Apocalisse nei capitoli 2 e 3 (cfr. anche 1, 20),
rappresentino i singoli Vescovi di quelle chiese. E Giovanni scrisse
verso la fine del primo secolo.
2 - Tuttavia, almeno in alcune chiese di origine paolina, sembra che
la successione si sia attuata in un primo tempo in una forma
collegale, sfociata a breve scadenza in quella monarchica, a
imitazione delle altre chiese. Le cose si sarebbero svolte nel modo
seguente in sintonia con quanto aveva fatto lo stesso Paolo.
Finché visse l'apostolo era lui il responsabile. Ma la cura immediata
delle singole comunità era affidata a un consiglio di anziani (cfr.
Atti 14, 23; 1 Tessalonicesi 5, 12-13). Tra gli anziani era eletto
uno chiamato "episcopo" con funzioni direttive particolari (cfr. Tito
I# 5). La figura dell'episcopo è di qualcuno che debba avere qualità
non comuni (cfr. 1 Timoteo 3, 1 ss; Tito 1, 7-9). E' significativo il
fatto che Paolo, nella Lettera a Tito (1, 7), parli dell'episcopo al
singolare.
Dopo la morte dell'Apostolo, assai di buon'ora, prevalse la forma
monarchica di successione. L'episcopo divenne Vescovo, imitando il
comportamento avuto da Paolo nei riguardi di Timoteo e Tito.
3 - Testimone autorevole di questo sviluppo è certamente il martire
Ignazio di Antiochia, già ricordato. Egli visse nella seconda metà
del primo secolo e fu quindi contemporaneo dell'autore
dell'Apocalisse. Di lui rimangono numerose e chiare testimonianze
sulla struttura delle singole chiese, che si accentra nella figura
del Vescovo.
"Procurate di fare ogni cosa (...) sotto la guida del Vescovo, che
tiene il luogo di Dio": "Nessuno faccia senza il Vescovo alcuna di
quelle cose, che riguardano la Chiesa (...). Dove appare (il
Vescovo), ivi sia la comunità, come dov'è Gesù Cristo, ivi è la
Chiesa cattolica Quello che il Vescovo fa è approvato da Dio".
In tutte le lettere di Ignazio, anche in quelle indirizzate alle
chiese di origine paolina, la figura del Vescovo appare in modo
chiaro ed inequivocabile.
"Dato che prima della fine del 1 secolo si trovano chiese sotto un
unico Vescovo, si può presumere che uno dei membri del collegio fosse
eletto a succedere all'apostolo, dopo la morte di lui, come capo
monarchico della chiesa".