00 13/03/2012 23:52

Francesco Agnoli qualche tempo fa diceva che c’è un chiaro progetto antiteista che«non si rassegna a negare Dio», ma vuole «ridurre l’uomo ad un elemento della natura, equivalente ad un sasso o un albero; ridurlo via via a frutto del Caso, a un “esito inatteso”, a una “eccezionale fatalità”, a un aggregato di materia senz’anima, a un meccanismo geneticamente determinato». Negare Dio ha sempre significato negare l’uomo e la sua unicità: ecco che i neodarwinisti, strumentalizzando il darwinismo, lo hanno quindi tentato di livellare alla scimmia, informando che il nostro patrimonio genetico è condiviso al 99% con lo scimpanzé, ma evitando di dire che per l’80% è  in comune con un verme di 1 mm (Caenorhabditis elegans), il 50% è condiviso invece con il dna della banana, e abbiamo lo stesso numero di geni della gallina. Secondo i riduzionisti, dunque, saremmo per l’80% dei vermi e per il 50% delle banane.

Vale la pena comunque notare i risultati di studi in cui gli scimpanzé vengono confrontati con i bambini, come ad esempio quello appena pubblicato circa la cultura cumulativa: i ricercatori hanno addestrato scimpanzé a risolvere dei puzzle e poi a dimostrare le tecniche ad altri scimpanzé. Ma essi non hanno imparato, al contrario di un gruppo di bambini della scuola materna. Affermano: «Gli scimpanzé possono imparare gli uni dagli altri, ma la loro conoscenza non sembra accumularsi e diventare più complessa nel corso del tempo», e questa è una «caratteristica degli esseri umani, che ha dato luogo a realizzazioni come i computer e la medicina moderna». Concludono basiti gli studiosi: «Le differenze tra gli esseri umani e le altre specie sono in realtà più forti di quanto avessimo immaginato prima di avviare questo test».