00 24/02/2012 18:46
ABNEGAZIONE DI PAOLO

[11]Sono diventato pazzo; ma siete voi che mi ci avete costretto. Infatti avrei dovuto essere raccomandato io da voi, perché non sono per nulla inferiore a quei «superapostoli», anche se sono un nulla.
Paolo sta cercando di offrire ai cristiani di Corinto i veri segni del vero missionario, del vero araldo e ambasciatore di Cristo Gesù.
Nel fare questo qualcuno potrebbe giudicarlo o ritenerlo un pazzo. Paolo sa che il rischio è grande. Deve però farlo a causa del Vangelo che potrebbe venire compromesso dalla stoltezza e insipienza nella quale sono caduti i Corinzi. Lui sta compiendo un’opera da pazzi – secondo il giudizio di alcuni – ma a quest’opera sono stati proprio loro a condurvelo.
Invece sarebbero dovuti essere proprio loro a offrire agli altri le ragioni della verità che abita in lui, le ragioni della santità del Vangelo che lui annunzia, le ragioni della sua fedeltà a Cristo Gesù.
Questo non lo hanno fatto. È come se si fossero vergognati di lui, come se qualcosa ha fatto prendere loro le distanze da Paolo.
Paolo in questo versetto fa un ragionamento tipicamente impastato di logica e di sapienza umana. È quella sapienza che sa confrontare le cose della terra e valutarle per quello che valgono, come terra si intende e non come cielo.
Se si mette su uno stesso piano Paolo e i “superapostoli”, di cui loro vanno così fieri, da ascoltarli a tal punto da dimenticare lo stesso Paolo, o metterlo in secondo piano, facendo con ciò stesso regredire anche il Vangelo, i Corinzi devono essere in grado di fare la differenza, di cogliere le uguaglianze, di discernere le opere dell'uno e quelle degli altri.
Se avessero fatto questa piccola opera di discernimento, avrebbero dovuto, sempre al lume della loro saggezza, razionalità e intelligenza umana, comprendere che Paolo in fondo non è per nulla inferiore a quei “superapostoli”, o meglio, a coloro che si consideravano “superapostoli”, e che i Corinzi consideravano tali, al punto da lasciarsi frastornare e influenzare da loro non per il bene, ma per il male.
Perché non lo hanno fatto? Quando l’uomo non è nella grazia di Dio neanche la saggezza e la ragionevolezza umana, terrena lo aiuta.
C’è nel cuore la concupiscenza, il peccato che oscura la sua mente, annebbia la sua intelligenza, riduce a nulla la sua saggezza e lui vive nella storia come un cieco, un sordo e un muto per il bene, mentre vede, parla e sente per il male.
Questo ci deve far comprendere tutte quelle situazioni di illogicità, di stoltezza, di insipienza nella quale l’uomo vive, a tal punto che non è più capace di vedere il bene, di approvarlo, di ascoltarlo, di diffonderlo. Quando c’è una caduta nella grazia c’è anche una caduta in sapienza, mentre una crescita in grazia aumenta la crescita in sapienza e in intelligenza.
Lo Spirito Santo diviene la saggezza e la sapienza di colui che cresce in grazia. Con Lui nel cuore, si è in grado di operare un discernimento secondo verità.
Sempre il Signore ha rimproverato il suo popolo dicendo: “avete occhi e non vedete, orecchi e non sentite, bocca e non parlate”. I profeti sono questo richiamo forte da parte di Dio al suo popolo. Ma non potrebbe essere altrimenti, poiché l’intelligenza dell’uomo conduce verso la luce, la verità, la giustizia e ogni altra virtù, compresa quella del sano e opportuno, chiaro discernimento, solo se illuminata, sorretta e fortificata dallo Spirito del Signore.
Quando lo Spirito Santo non è in lui, perché la grazia di Dio non abita in lui, l’uomo cade nelle tenebre, nel buio, precipita in un baratro di morte nel quale tutto diviene confuso. Non sa più cosa è il bene e cosa il male, il vero e il falso. Non sa più discernere i buoni missionari dai cattivi, coloro che si lasciano condurre e muovere dall’amore per il Vangelo da quanti camminano solo per se stessi e per portare scompiglio nella Chiesa di Dio.
È facile allora sapere se siamo in grazia di Dio, è sufficiente che il nostro spirito sia posto dinanzi ad un discernimento circa la stessa verità di Dio. Se siamo incapaci di discernere la verità di Dio che avvolge la nostra storia, è il segno evidente e manifesto che Dio non è in noi con la sua grazia. La sua luce non dona vigore alla nostra luce affinché vediamo e discerniamo secondo la legge della verità e della giustizia perfetta.
[12]Certo, in mezzo a voi si sono compiuti i segni del vero apostolo, in una pazienza a tutta prova, con segni, prodigi e miracoli.
I Corinzi avrebbero potuto e dovuto riconoscere la verità che abita in Paolo, avrebbero dovuto e potuto raccomandarlo alle altre comunità; avrebbero dovuto farsi loro promotori della fedeltà di Paolo a Cristo e al suo Vangelo.
Invece sono stati muti, ciechi, sordi. Non hanno veduto, non hanno sentito, non hanno parlato. Si sono però lasciati ingannare dai falsi operai e dai superapostoli che sono stati fraudolenti nei loro riguardi, inculcando loro il male e la falsità.
La domanda da porre è questa: forse Paolo in Corinto ha agito in modo diverso da come agiva nelle altre comunità? Si è forse manifestato nella sola sua semplicità, senza rivelare la straordinaria potenza del Vangelo?
La testimonianza di Paolo merita fiducia. Egli a Corinto ha manifestato i segni del vero apostolo. Questi segni sono: una pazienza a tutta prova, con segni, prodigi e miracoli.
Paolo pone in questo versetto il segno autentico del vero apostolo del Signore, del suo araldo o ambasciatore della sua verità e del suo Vangelo.
Questo segno è una pazienza a tutta prova. Chi vuole vedere se uno è uomo di Dio oppure no, lo deve valutare sulla pazienza.
La pazienza è il primo segno della verità. Chi è paziente manifesta che Dio opera in lui e che la sua grazia agisce, poiché è solo per grazia di Dio che un uomo può essere paziente. Se non c’è la grazia di Dio la pazienza non può essere vissuta.
La pazienza in se stessa altro non è che il rinnegamento totale di noi stessi, l’annullamento della nostra umanità, la crocifissione sia spirituale che fisica del nostro corpo.
Questo non è possibile se non per grazia. Paolo in questo è forte, ma solo per grazia di Dio. Chi è senza pazienza, chi non vive una pazienza a tutta prova non è con Dio, non è di Dio, perché Dio non opera in lui la mortificazione, la crocifissione, l’annullamento della sua umanità.
La pazienza è il terreno nel quale Dio opera ed agisce. Dio agisce nel suo inviato con segni, prodigi e miracoli. Dio prima porta alla crocifissione l’umanità del suo inviato e poi attraverso di essa compie opere che vanno al di là della sua natura e di ogni altra natura creata. La natura è creazione, essa non è creatrice. Quando una natura diviene creatrice, dobbiamo confessare che in essa c’è Dio che opera. Solo Dio è il creatore del cielo e della terra e solo lui, oggi, nel mondo, continua l’opera della sua creazione, e la continua a beneficio e a favore dell’uomo.
I segni, i miracoli e i prodigi sono pura opera di creazione. Vanno al di là di ogni possibile capacità insita nella natura umana.
Per cui un uomo sa immediatamente se colui che gli sta dinanzi è uomo di Dio, o del mondo. È uomo di Dio se vive una pazienza a tutta prova, se a questa pazienza unisce segni, prodigi e miracoli che attestano una potenza superiore, quella divina che dimora ed agisce per mezzo di lui.
I Corinzi avrebbero dovuto sapere che Paolo era di Dio, è del Signore. Hanno potuto sperimentare la sua pazienza a tutta prova; hanno visto che in questa pazienza, che è distruzione della sua umanità, agiva una potenza che mentre distruggeva creava, mentre annullava edificava, mentre crocifiggeva risuscitava.
Si crocifigge, si annulla, si mortifica la propria umanità, si costruisce, si crea, si edifica lo spirito e l’anima dei fratelli, perché li si rigenera a vita nuova mediante la potenza dello Spirito che opera in loro.
[13]In che cosa infatti siete stati inferiori alle altre Chiese, se non in questo, che io non vi sono stato d'aggravio? Perdonatemi questa ingiustizia!
I Corinzi non sono stati privati proprio di nulla in segni, prodigi e miracoli. Essi sono stati arricchiti di questi doni al pari delle altre comunità.
Tra loro e le altre comunità quanto a doni di grazia non c’è proprio alcuna differenza. Eppure le altre comunità, specie quella della Macedonia, si sono comportati con lui con fedeltà e perseveranza nella verità; loro invece lo hanno rinnegato, tradito, venduto ai superapostoli.
C’è però una differenza con le altre comunità. Dalle altre comunità Paolo si è lasciato aiutare e sostenere anche materialmente, da loro invece no. Ha predicato loro il Vangelo gratuitamente senza avvalersi del diritto che gli conferiva il Vangelo di poter usufruire dei loro beni materiali.
Questo non lo ha fatto. Se è questo il motivo per cui i Corinzi lo hanno tradito e rinnegato, Paolo chiede scusa e perdono.
Se questa è una ingiustizia compiuta a loro danno e da questa ingiustizia loro hanno tratto il principio che Paolo si era comportato con loro diversamente, non con onestà, con fedeltà, con amore, con pazienza a tutta prova, non era stato con loro vero apostolo e per questo lo hanno abbandonato, Paolo per tutto questo chiede scusa, perdono.
Non leggiamo questa affermazione di Paolo in senso di ironia. Non c’è nulla di più errato che vedere l’ironia nella Parola di Dio, anche se qualcuno potrebbe prenderla o intenderla come una ironia santa. Non si tratta di ironia, ma di qualcosa di più grande, di più eccelso, di più elevato, che a volte noi neanche riusciamo a comprendere. Dobbiamo cercare oltre nell’interpretare questo versetto?
La Parola di Dio è sempre di salvezza. L’ironia non è salvezza. L’ironia è un modo umano di dire le cose e nelle cose di Dio i modi umani possono essere fraintesi. Anziché aprire al mistero, dal mistero possono anche allontanare.
Paolo in questo versetto vuole che i suoi prendano coscienza dell’errore che hanno commesso, non tanto per averlo sottovalutato, confrontandolo e paragonandolo ai superapostoli, ma perché quest’atto di sottovalutazione li ha spinti a rinnegare il Vangelo di Cristo Gesù.
Paolo esamina la sua coscienza e sa che in lui non vi è colpa alcuna. Ha agito sempre secondo la più alta rettitudine morale, sempre come mosso da Dio e dal suo Santo Spirito. Questo è l’attestato che gli dona la sua coscienza, questo gli manifesta il suo spirito, esaminato con serenità.
Forse i Corinzi avrebbero voluto essere trattati allo stesso modo delle altre comunità? Avrebbero voluto anche loro essere di aiuto materiale e di sostegno per le cose di questo mondo per Paolo? Questo solo Dio lo sa.
Paolo non lo sa. Però conoscendo il cuore dell’uomo e sapendo che questo agisce in una maniera davvero inconsulta e imprevedibile, può anche pensare che sia in ragione di questo motivo che lui sia stato giudicato e quindi rinnegato. Se è questo il vero motivo, Paolo chiede loro scusa, chiede perdono.
Il perdono però è chiesto non perché non si è lasciato aiutare da loro, ma perché non ha spiegato loro il motivo per cui agiva nei loro riguardi in un determinato modo, nel modo cioè della più assoluta gratuità.
Questo però non vuol dire in nessun caso che da oggi in avanti si lascerà aiutare dai Corinzi. Questo non dipende da lui, dipende dallo Spirito che abita in lui e che lo muove ad agire in un modo anziché in un altro, con alcuni lo spinge ad accettare, con altri lo spinge a rifiutare.
Il motivo non è in Paolo, le ragioni sono nella mente di Dio e nella volontà dello Spirito Santo ed è lì che i Corinzi devono cercarle, non in Paolo che è sempre mosso dallo Spirito nel suo pellegrinare per il mondo per annunziare e proclamare il Vangelo della salvezza.
[14]Ecco, è la terza volta che sto per venire da voi, e non vi sarò di peso, perché non cerco i vostri beni, ma voi. Infatti non spetta ai figli mettere da parte per i genitori, ma ai genitori per i figli.
Infatti ciò che è stato detto precedentemente trova conferma in questo versetto.
Paolo sta per recarsi di nuovo a Corinto. Cronologicamente è questa la terza volta.
Il rapporto, la relazione che intende vivere con loro è sempre e solo di assoluta gratuità. Dai Corinzi non vuole proprio niente.
A questa sua volontà, che è irremovibile, Paolo questa volta dona anche le motivazioni. La prima la trae dal suo cuore, la seconda dalla Scrittura (Dt 19,15).
Quella del cuore è il suo desiderio di avere i Corinzi come un dono, una primizia da offrire a Cristo Gesù. Dai Corinzi Paolo vuole fedeltà a Cristo e al suo Vangelo, non vuole i loro beni.
Questi non gli servono. Loro invece sì che gli servono e gli servono per farne un’offerta gradita a Cristo Gesù, o come ha già espresso in questa stessa lettera, per presentarli a Cristo come vergine casta.
Se i Corinzi vogliono amare Paolo come si conviene, se veramente lo amano secondo Dio, devono essere spose fedeli di Cristo Gesù, in modo che Paolo li possa tutti presentare a Cristo.
Questa immagine in qualche modo è anche del quarto Vangelo nel quale Giovanni Battista dice: “Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo” (Gv 3,29).
I beni dei Corinzi non servono a Paolo. Questi non si possono offrire, perché Cristo non cerca beni, ma anime. Egli vuole delle spose fedeli e caste che lo amino per tutta l’eternità.
A questa motivazione del suo cuore, che ha il suo fondamento biblico, ne aggiunge un’altra, quella del Deuteronomio. “Non spetta ai figli mettere da parte per i genitori, ma ai genitori per i figli.”
Paolo si considera padre dei Corinzi nella fede. Come vero padre è lui che deve preoccuparsi per loro, non sono loro che devono preoccuparsi per lui.
Teologicamente l’una e l’altra ragione sono valide, giustificano il suo comportamento nei confronti dei Corinzi.
Sappiamo però che in Paolo opera ed agisce lo Spirito Santo, è Lui che lo muove. Perché lo ha mosso ad avere un rapporto di assoluta gratuità con loro e non con le altre comunità questo non lo sappiamo.
In Dio c’è sempre il mistero. Voler abolire il mistero dal nostro Dio è rendere umano ciò che è divino e della terra ciò che è del cielo. Ora è proprio di Dio, del Cielo e del divino il mistero. Noi lo accogliamo per fede, per fede lo viviamo, per fede lo annunziamo. Ma non possiamo andare oltre, perché oltre questo c’è Dio e il suo mistero.
La nostra fede è mistero. Dal mistero si parte, nel mistero si entra, nel mistero si vive, nel mistero si conclude. Il mistero non sarà svelato neanche nell’eternità. Anche nel Cielo resterà l’abisso creaturale che ci separa dal nostro Dio e Signore.
[15]Per conto mio mi prodigherò volentieri, anzi consumerò me stesso per le vostre anime. Se io vi amo più intensamente, dovrei essere riamato di meno?
Paolo manifesta ora tutto il suo cuore. Se ha fatto distinzioni e differenze riguardo alle cose della terra, non le fa, non le ha fatte e non le farà per quanto invece riguarda il suo amore per ogni discepolo di Gesù.
È sufficiente che uno sia uomo perché Paolo si senta investito della grande missione di offrire la sua vita per la salvezza. Egli non si risparmia in niente, si consuma perché ognuno possa avere salva la sua anima.
Consumarsi è un termine sacrificale; la vittima offerta al Signore si consumava quando era interamente bruciata dal fuoco del sacrificio.
Questo termine è anche cristico. Gesù lo ha pronunziato dall’alto della croce, quando prima di emettere lo spirito, gridò: tutto è consumato.
Il suo sacrificio era stato perfetto. Egli era stato interamente bruciato dall’amore di Dio, consumato dall’amore per le anime.
Paolo vive con le anime la stessa relazione di Cristo. Il suo è pertanto un rapporto sacrificale, di perfetta consumazione, di lasciarsi bruciare e consumare totalmente dall’amore per la salvezza delle loro anime.
Prodigarsi significa non risparmiarsi in niente. Nulla che gli appartiene sarà da lui risparmiato. Tutto invece, ogni energia fisica, spirituale, dell’anima sarà offerta a Dio perché ogni anima possa essere salvata da Cristo Gesù, lavata nel suo sangue, unta della verità dello Spirito Santo, messa in cammino verso il regno dei cieli, sostenuta lungo il percorso con ogni dono di grazia e di verità di cui Paolo è stato arricchito da Dio.
Cosa chiede Paolo ai Corinzi? Che lo amino così intensamente come da lui sono stati amati e lo saranno sempre.
Da puntualizzare che l’amore che Paolo chiede non è un amore verso la sua persona, è invece un amore per quello che lui porta, e lui porta Cristo Gesù, il vero Cristo Gesù.
L’amore crea quella stima e quella fiducia vicendevole che consente che si accolga ciò che Paolo dona loro, senza dubitare, senza venire meno, senza esitare, senza ascoltare quanti dicono il contrario, anzi facendosi forti e respingendo quanti non fanno parte di questo amore.
Quando c’è l’amore vero, l’amore di Dio in un cuore e questo amore viene ricambiato, esso è un amore che non tollera di essere disturbato, sconvolto, trasformato.
Se Paolo e i Corinzi sono legati da un amore vicendevole, un amore santo, di verità e di grazia, un amore che ha come fine lo stesso Cristo Gesù, non è possibile che qualcun altro si introduca in questo amore e lo turbi, lo distragga, lo combatta, lo uccida.
Su questo dovremmo riflettere e rivedere tutte le nostre relazioni. Chi ama Dio, chi è legato a Cristo da un amore profondo, vero, santo, puro non può lasciarsi inquinare questo amore da persone che non amano Cristo.
Se questo avviene è il segno che l’amore verso Cristo non è vero, non è forte, non è sincero. È un amore di convenienza, un amore di opportunità, un amore di guadagno.
Chi distrugge nel nostro cuore l’amore per Cristo Gesù non è persona che ci ama; è persona che vuole la nostra morte; è persona ostile alla nostra vita. Noi dobbiamo amare queste persone in Cristo, offrire anche la vita per loro come l’ha offerta Cristo, ma non possiamo per nessuna ragione al mondo lasciarci trasformare dal loro “amore”, non possiamo permettere che un amore che non ama Cristo possa fare parte della nostra vita.
Chi ama Cristo deve amare ogni uomo. Chi ama Cristo non può però lasciarsi amare dall’uomo che non ama Cristo, perché non è un amore santo, puro, a meno che non voglia iniziare ad amare Cristo secondo le regole dell’amore evangelico.
Se uno ama chi ama Cristo e si lascia ingannare sul conto di costui che ama Cristo perché lui non lo ami più, non ami cioè la persona che ama Cristo, anche in questo caso bisogna temere. Lasciarsi allontanare da chi ama Cristo – e noi sappiamo che lo ama per davvero - significa allontanare noi dall’amore di Cristo.
Basterebbe applicare questa regola per operare sempre quei sani discernimenti che ci consentono di restare sempre nell’amore puro di Cristo Gesù.
È facile allontanare uno dall’amore di Cristo, basta allontanarlo dalla persona che ama Cristo, che lo ha introdotto nell’amore di Cristo e che quotidianamente lo aiuta a rimanere e a crescere in questo amore.
Quando viene allontanato dalla fonte del suo amore per Cristo, sappia costui che è da Cristo che lo si vuole allontanare. Chi allontana da Cristo, non ama Cristo e neanche coloro che vuole allontanare dall’amore di Cristo Gesù.
Chi allontana una persona dalla fonte del suo amore, cerca se stesso e coltiva solo il suo egoismo. Costui non ha nulla di cristiano, non ha nulla di umano, perché distrugge nel cuore dell’uomo la speranza per egoismo.
[16]Ma sia pure che io non vi sono stato di peso; però, scaltro come sono, vi ho preso con inganno.
Leggendo questa Lettera ci si accorge che veramente il cuore dell’uomo è un abisso di pensieri vani, inutili, oziosi, a volte anche malvagi e maligni. Tutto riesce a pensare quella mente che non ha fatto della verità di Dio il centro dei suoi pensieri. Tutto può sospettare un cuore nel quale non abita l’amore di Cristo Gesù.
Paolo è come se leggesse il loro cuore, vedesse la loro mente, ascoltasse il sussurrio delle loro labbra.
Non è stato di peso per noi, ci ha presi però con inganno; lui è scaltro e queste cose le sa fare molto bene.
Quando si arriva a un pensiero siffatto, c’è una sola conclusione che si impone. Chi pensa così non sa cosa è la verità di Cristo in un cuore, ignora cosa produce la grazia del Signore in un’anima.
Chi pensa così commette un altro misfatto. Pensa che il cristianesimo sia in fondo un concentrato di ipocrisia. Si predica una verità, si annunzia una grazia, ma poi il cuore resta come prima e l’anima conserva la sua morte spirituale.
Pensare che Paolo abbia potuto ingannare i Corinzi è la cosa più mostruosa che si possa dire di lui. La cosa è mostruosa perché si è convinti nel cuore che uno possa parlare bene di Gesù, possa predicare il Vangelo della salvezza, possa lasciarsi consumare dall’amore per gli altri e nel suo cuore rimanere meschino, povero, miserabile, tanto miserabile da ricorrere a degli espedienti per ingannare coloro ai quali ha portato il radioso Vangelo della salvezza.
Questo pensiero tradisce un male oscuro che c’è nell’animo dei Corinzi ed è quella falsità con la quale si pensa che il cristianesimo possa convivere; non solo il cristianesimo, soprattutto l’opera dell’evangelizzazione.
L’evangelizzazione è l’annunzio del Vangelo di Cristo Gesù che ci invita ad abbandonare il regno delle tenebre, per entrare in quello della luce; si lascia la menzogna e si abbraccia la verità; si lascia l’ipocrisia e ci si sposa con la sincerità del cuore.
Questo passaggio è l’essenza stessa dell’apostolato cristiano. Come si può pensare che un missionario che consuma la sua vita per portare Cristo nei cuori possa essere lui per primo rimasto nel regno delle tenebre, dal momento che usa l’inganno verso la comunità cristiana?
Poiché ognuno pensa dell’altro secondo i principi che albergano nel suo cuore, noi dobbiamo concludere che il cristianesimo che si viveva a Corinto era già inquinato da molti pensieri strani.
Questi pensieri non riguardano la persona su cui sono stati pronunciati, bensì riguardano coloro che li hanno pronunciati. Dal momento che i Corinzi hanno pensato questo di Paolo, dobbiamo concludere che in Corinto era già iniziata la trasformazione dello stesso Vangelo, ci si era già incamminati sulla via dell’ipocrisia e della falsità.
C’è una facciata che si mantiene pulita, ma l’interno è già macchiato dalla sporcizia dell’errore. A Corinto si è già convinti – e lo prova il fatto che essi lo pensano – che si possa convivere con l’inganno nel cuore e con l’ipocrisia sulle labbra.
[17]Vi ho forse sfruttato per mezzo di qualcuno di quelli che ho inviato tra voi?
Paolo può facilmente dimostrare falso il pensiero dei Corinzi.
La storia cade sotto la legge della prova e della testimonianza. Cade sotto la legge della concretezza.
Ognuno può pensare dell’altro quello che vuole. È peccato pensare il male e tuttavia si pensa.
Il fatto però che uno pensi male, non significa che l’altro abbia fatto il male che gli viene attribuito.
Il male è un evento storico, è un fatto che cade sotto gli occhi di molti o di pochi. C’è sempre qualcuno che lo può attestare, perché è testimone oculare. Paolo chiede alla storia che gli renda testimonianza.
Lui personalmente non ha ingannato i Corinzi. Non li ha ingannati neanche attraverso persone di sua fiducia.
Tutti coloro che da Paolo sono stati mandati a Corinto, sono stati sempre mandati per motivi spirituali e mai per motivi materiali. Sappiamo che motivo materiale fu la colletta in favore della Chiesa di Gerusalemme, ma questa è una colletta non a favore di Paolo, ma di altre comunità.
Nessuno tra quelli che Paolo ha inviato a Corinto hanno chiesto loro qualcosa in nome di Paolo, ma soprattutto a beneficio di Paolo.
Questa è verità storica ed è incontrovertibile. Tutti la possono verificare ed attestare. Dinanzi alla verità della storia dobbiamo solo inchinarci e accogliere il suo verdetto.
[18]Ho vivamente pregato Tito di venire da voi e ho mandato insieme con lui quell'altro fratello. Forse Tito vi ha sfruttato in qualche cosa? Non abbiamo forse noi due camminato con lo stesso spirito, sulle medesime tracce?
Paolo non ha inviato nessuno a Corinto se non Tito e un altro fratello. Solo questi due sono andati in quella comunità mandati da Paolo.
Paolo è certo che Tito si è comportato allo stesso modo. La conoscenza che lui ha di Tito gli attesta che in niente i Corinzi sono stati sfruttati.
Paolo è convinto che Tito si è comportato in tutto come lui, perché Tito è suo discepolo e al discepolo Paolo ha insegnato i suoi stessi modi di pensare e di agire.
Paolo dice qui che loro due hanno camminato con lo stesso spirito, sulle medesime tracce.
Lo stesso spirito è quello del Vangelo, è il pensiero di Cristo Gesù, è la sua verità, è l’amore per le anime, è la libertà e la rinunzia ad ogni cosa pur di guadagnare qualche anima a Cristo Gesù.
Le stesse tracce sono le vie spirituali che essi percorrono al fine di poter raggiungere un giorno il regno dei cieli.
Questa conoscenza perfetta dell’altro è vitale nelle relazioni tra due persone. Paolo conosce perfettamente Tito, conosce i suoi pensieri, sa il suo cuore, sa come si sarebbe comportato in ogni condizione.
Questa conoscenza perfetta dono stabilità all’amicizia, all’amore, al lavoro missionario nella vigna del Signore.
Questa conoscenza dona sicurezza all’altro, perché sa che mai sarà deluso. È come se ci fosse un altro se stesso.
È opera altamente missionaria formare qualcuno a camminare con lo stesso spirito, sulle medesime tracce.
Chi riesce a compiere questo cammino di formazione, ha raggiunto un traguardo così alto e sublime nella Chiesa, da poter dire da aver speso bene tutto il suo tempo, tutto il suo ministero, tutta la sua opera.
Purtroppo c’è da lamentarsi, specie oggi, che ognuno cammina per suo conto, per pensieri separati, per tracce divergenti.
Questo è uno degli scandali più forti che distruggono la credibilità della Chiesa. La Chiesa è unità, è unanimità nelle parole e nelle azioni; la Chiesa è quel mistero dell’unico corpo di Cristo, nel quale ognuno dovrebbe ricevere sia la linfa dello spirito, che la linfa dell’anima dall’unico e medesimo Signore.
La linfa dello spirito sono i pensieri di Cristo, la linfa dell’anima è la sua grazia.
Tutto il lavoro apostolico, missionario, qualsiasi altro insegnamento che si fa nella Chiesa dovrebbe condurre a far sì che tutti sappiamo come l’altro pensa ed agisce, perché sanno come pensa e agisce Cristo. Sanno che l’altro non penserà e non agirà se non secondo quanto ha fatto e ha pensato Cristo Gesù.
Paolo è certo che Tito altro non fa che pensare come lui e agire come lui e insieme pensano ed agiscono come ha pensato ed agito Cristo Gesù.
La comunione nei pensieri e nei cammini di salvezza, l’unità nella verità e nella grazia, è l’esempio che il mondo attende per credere nella verità e nella grazia di Cristo Gesù.
Dargli questo esempio è obbligo di chi ama il Signore e si dice suo discepolo.