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LAVORI E PATIMENTI

[16]Lo dico di nuovo: nessuno mi consideri come un pazzo, o se no ritenetemi pure come un pazzo, perché possa anch'io vantarmi un poco.
L’uomo si lascia attrarre dai fenomeni che in qualche modo lo turbano e lo sconvolgono.
Basta che in qualche posto ci sia solo la parvenza del miracolo, o qualcuno che dice di aver avuto sentore di una qualche grazia speciale, perché ci si mobiliti in massa. Si va, si corre, si viene, si riferisce, ma senza alcun fondamento nella realtà. Basta l’illusione, basta il pensiero, basta solo l’immaginazione.
Paolo però ha deciso in cuor suo di operare secondo un modo ben preciso, e il modo è quello evangelico.
Lui porta la verità, la verità genera la fede nei cuori, la fede opera miracoli e grazie; la fede cambia il mondo attorno e lo cambia veramente.
Perché lui ha scelto questa via difficile? Il motivo è sempre lo stesso. Chi viene a Cristo deve venire a Lui perché lo ha scelto e come si potrà scegliere solo Lui se si viene per una qualche grazia o per un qualche miracolo?
Paolo vuole evitare l’equivoco fin dall’inizio. Egli dona al mondo solo il Vangelo. Il resto lo tiene nascosto, del resto tace, non parla.
Tace le cose straordinarie che avvolgono la sua persona; fa silenzio anche sulle difficoltà che lo hanno accompagnato nel suo lungo e difficile cammino per l’evangelizzazione del mondo a lui contemporaneo.
Perché tace? Perché non vuole che qualcuno vada a lui perché lo vede coronato di gloria, lo consideri un valoroso combattente del Vangelo, un servitore di Cristo Gesù a prova di sofferenze e di umiliazioni.
Vuole che si vada a Cristo per se stesso e non per i meriti dei suoi operai. Per questo egli tace le grazie soprannaturali che lo avvolgono, ma tace anche le sofferenze che lo hanno accompagnato e che lo accompagnano ogni giorno nella sua peregrinazione per diffondere il Vangelo nel mondo.
Poiché i Corinzi vanno in cerca di cose portentose, credono non in Cristo Gesù e nella sua verità, ma nei contorni che accompagnano questa verità e pur di avere i contorni, anche se falsi, corrono anche dietro la falsità, è giunto il momento che dica qualcosa di sé ai Corinzi perché si convincano che non sono le apparenze che contano, ma solo la verità di Cristo Gesù.
Se Paolo volesse le apparenze, le avrebbe. E che apparenze! Le sue sarebbero verità del cielo, sarebbero meriti acquisiti sul campo di battaglia, sarebbero vere glorie e vere mortificazioni. La sua vita è verità come è verità il Vangelo che egli annunzia. Mentre la vita dei suoi detrattori è falsità come falsa è la parola che essi proclamano e con la quale ingannano e seducono molti che vanno dietro le apparenze.
Per parlare di sé Paolo deve vincere se stesso. È giusto che si vinca e che parli per amore del Vangelo, per la verità di Cristo che abita in lui.
E come se per un poco passasse dalla saggezza alla pazzia. Ma è giusto, anche per il più saggio, divenire per qualche momento pazzo per amore del Vangelo, perché Cristo sia creduto e i falsi operai svergognati nelle loro imposture e falsità.
La sua però non è pazzia; è estrema saggezza, somma saggezza. La somma saggezza non è forse follia per gli uomini. Ma che importa ciò che pensano gli uomini. Importante è che Cristo sia creduto, amato, onorato, difeso, predicato, acclamato, dato ad ogni uomo, il Cristo Vero, il Cristo della Parola storica, il Cristo del Vangelo di Dio, Lui stesso fattosi Vangelo e Parola per la nostra vita eterna.
[17]Quello che dico, però, non lo dico secondo il Signore, ma come da stolto, nella fiducia che ho di potermi vantare.
Paolo vuole rassicurare i Corinzi che quanto sta dicendo promana solo dalla sua volontà, nasce dal suo cuore. Non è comando del Signore.
Il motivo è quello di potersi vantare dinanzi ai Corinzi, così essi, se vogliono, possono aprirsi ad una più grande considerazione di lui.
Si aprirebbero così le porte del Vangelo per i loro cuori; si chiuderebbero invece le vie di accesso ad ogni falso apostolo dal quale loro si lasciano facilmente attrarre a motivo di ciò che sanno inventare a loro favore in modo da rendersi estremamente credibili.
Paolo vuole essere considerato lui uno stolto, non vuole in alcun modo che i Corinzi pensino che sia stato il Signore a comandargli di presentarsi secondo tutti i meriti che ha conquistato sul campo di battaglia.
C’è tuttavia da osservare che Paolo per amore verso il Vangelo vuole essere considerato lui pazzo e per amore del Signore si attribuisce ciò che sta dicendo, o rivelando, ai Corinzi.
Da un punto di vista teologico, dobbiamo cogliere una verità. Quando l’ascoltatore non è capace di comprendere le meraviglie che il Signore ha operato in noi, quando non è in grado di percepire il perché noi siamo quasi costretti a parlare di ciò che il Signore ha operato in noi e attraverso di noi, quando per la credibilità del Vangelo è giusto che noi parliamo di certe verità, naturali e soprannaturali, allora si rivela necessario esporre solo noi all’insipienza e alla stoltezza e non il Signore.
La gloria di Dio, il suo nome, la sua santità devono essere sempre protetti dal nostro dire, anche se questo dire è in ragione del suo nome, della sua santità, della sua verità.
È questo il motivo per cui Paolo dice, ma non dice secondo il Signore; dice come da stolto, come da pazzo. I Corinzi sapranno ora che ciò che dice viene esclusivamente da lui, e si riterranno appagati.
Ma ancora una volta essi mostrano un poco di insipienza e di stoltezza, dimostrano di non essere sufficientemente cresciuti nella conoscenza di Dio e di Paolo.
Può un apostolo del Signore ammaestrare gli altri secondo verità, se lo Spirito di verità non è in lui? Può dire qualcosa che serva loro come via di salvezza, senza la sapienza dello Spirito che è in lui?
Se è lo Spirito Santo che muove Paolo a parlare, a dire, egli dirà le cose sempre secondo il Signore, ma è giusto che i Corinzi non lo pensino, perché il loro cuore ancora è troppo debole e troppo misero per poter comprendere il mistero che avvolge Paolo e che lo accompagna in ogni sua manifestazione.
È giusto escludere il Signore e parlare in nome proprio? È giusto dire la verità nello Spirito di verità e di saggezza e far intendere che il Signore deve essere lasciato fuori?
Sì, che è giusto. È sempre giusto quando l’altro potrebbe farne uno strumento nelle mani dell’uomo, a suo uso e consumo. È giusto quando chi ascolta è talmente piccolo nella fede, nella speranza e nella carità, che potrebbe scandalizzarsi se sapesse che questo viene dal Signore. È giusto quando lo Spirito che conosce i cuori nella sua eterna saggezza ispira il profeta a parlare in suo nome, anche se è nel nome del Signore, perché colui che gli sta dinanzi potrebbe percepire male, capire male, operare male, attribuendo a Dio ciò che è solo della sua stoltezza.
È giusto infine ogni qualvolta bisogna dare un insegnamento che serva la causa del Vangelo, senza portare alcun danno al Vangelo.
Il Vangelo è il fine della vita di Paolo. Per il Vangelo attribuisce a Dio ciò che è di Dio e sempre per il Vangelo esclude Dio, ogni qualvolta c’è qualcuno che potrebbe fraintendere, facendone un uso assai improprio del nome di Dio e della sua rivelazione.
Questa è la più alta prudenza, il sommo. Quando si arriva a questa prudenza, dobbiamo concludere che si è anche al sommo e al vertice della santità.
[18]Dal momento che molti si vantano da un punto di vista umano, mi vanterò anch'io.
Il filo conduttore di questi versetti è sempre la sottile polemica con i falsi apostoli, con gli operai fraudolenti che tanto male hanno fatto alla Chiesa di Dio che è in Corinto.
Costoro erano dei millantatori, si vantavano di ciò che non possedevano, si attribuivano ciò che non avevano. Questo per avere credibilità presso i Corinzi.
Paolo non è un millantatore, non si attribuisce ciò che non ha. Egli è umile, mite, è servo fedele del Signore.
Se ha taciuto è per amore del Vangelo. Vuole che solo il Vangelo sia creduto, amato, servito, ascoltato.
Se ora parla lo fa solo per il Vangelo, perché sia creduto di più e ascoltato secondo la pienezza della verità che esso contiene.
Il suo però non è un vanto, è l’esposizione chiara della verità, è il racconto netto della sua storia con Dio.
Ma questa storia non è il frutto delle sue azioni, è bensì l’opera della grazia in lui.
Dal primo istante del suo incontro con Dio, Paolo è un afferrato dalla grazia; è uno che è spinto dalla grazia; è uno che lavora solo con la grazia.
La grazia è per lui campo, aratro, buoi, seme, raccolto, pane, sostentamento, vita. Questa è la relazione di Paolo con la grazia.
Sarebbe il suo un vanto se attribuisse a se stesso quanto è avvenuto in lui; invece egli nulla si è mai attribuito; tutto invece ha attribuito alla grazia di Dio che opera, ha operato, opererà in lui per la conversione dei pagani e per aprire la porta della fede a tutte le genti.
Anche se tutto è attribuito alla grazia e tutto è scritto in lui dalla forza divina, da Dio stesso, egli avrebbe voluto tacere ciò che riguarda la sua persona. C’è la Persona di Cristo Gesù che deve avere il sopravvento. Poiché ora la persona di Cristo è come sbiadita dalla figura dei superapostoli, è giusto che Paolo la rimetta sul suo piedistallo, partendo proprio da ciò che Cristo ha operato veramente in lui.
[19]Infatti voi, che pur siete saggi, sopportate facilmente gli stolti.
Quella dei Corinzi non è una saggezza spirituale, è invece una sapienza umana.
La sapienza umana ha dei canoni umani di valutazione, di discernimento che non sempre corrispondono a verità.
Poi, lo si sa, la sapienza umana è ingannevole, fragile, misera, capace di poche cose. Soprattutto è incapace di operare quel sano discernimento che separa il bene secondo Dio e il male.
Dal momento che la loro sapienza non riesce a discernere chi è millantatore, falso e bugiardo, chi si presenta per accreditare se stesso da chi invece viene nel nome di Cristo Gesù, per accreditare la sua verità e il suo Vangelo, essa si rivela poco affidabile.
Paolo vuole però che usino verso di lui lo stesso metro che hanno usato verso coloro che li hanno ingannati con la loro falsità e invenzione.
Vuole cioè che lo credano con la stessa intensità e come si sono lasciati fuorviare da loro, così per un poco si lasciano attrarre anche da lui avvicinandosi così al vero Vangelo, alla purissima verità di Cristo, alla santità dello Spirito Santo, al vero amore che Paolo nutre per loro, disposto come è a dare anche la vita perché rimangano nella verità di un tempo e nel Vangelo che lui ha predicato loro e dal quale ben presto si sono allontanati.
Ciò che Paolo chiede non potrà mai essere realizzato e il motivo è semplice. Paolo può pure tentare, ma nel suo cuore lo sa che è assai difficile.
È difficile perché è proprio della sapienza umana lasciarsi ingannare dalla falsità umana, a causa del cuore che non è puro e retto dinanzi a Dio. Mentre è difficile che la sapienza umana si accosti alla sapienza divina e si lasci attrarre da essa.
Per questo la sapienza non c’entra più. Occorre una grazia grande di conversione e questa è solo frutto dello Spirito Santo.
Tuttavia è possibile, sempre per grazia di Dio, che attraverso il discorso di Paolo, schietto e sincero, i cuori ritornino al vero Vangelo e si convertano al Cristo della Parola.
Sapendo Paolo la forza della sua Parola e la potenza dello Spirito Santo che sempre l’accompagna, non esita neanche per un istante a far ricorso a tutto ciò che Dio ha operato in lui, sia sulla terra che nel cielo.
Quando si parla a beneficio del Vangelo è giusto riporre la fiducia in ciò che diciamo, a condizione che invochiamo lo Spirito del Signore perché illumini il nostro spirito a dire cosa sagge e sante, in modo anche retto, illumini lo spirito dei destinatari della nostra parola perché accolgano la verità in essa contenuta e da questa verità sempre per opera dello Spirito Santo si lascino convertire al Vangelo della salvezza, iniziando un vero cammino di fede.
Qui però entriamo nel mistero della grazia e della conversione. Nel mistero della fiducia che dobbiamo accordare alla nostra parola, nel mistero dello Spirito Santo che è in noi e da noi deve passare negli altri per convincerli della verità che lui ha messo nel nostro cuore per darla agli altri.
[20]In realtà sopportate chi vi riduce in servitù, chi vi divora, chi vi sfrutta, chi è arrogante, chi vi colpisce in faccia.
Paolo mostra in questo versetto tutti i limiti della sapienza umana.
La sapienza che viene da Dio è liberatrice. Ci fa passare dalla schiavitù alla vera libertà, dalla menzogna alla verità, dal vizio alla virtù, dal servilismo e asservimento degli uomini al vero servizio di Dio.
La sapienza che viene dall’alto è una sapienza operatrice sempre di discernimento. Con essa nel cuore sappiamo chi ama Dio da chi non lo ama, chi lo serve secondo verità da chi si serve del nome di Dio per i propri interessi.
La sapienza umana dei Corinzi non li aiuta per niente a discernere chi sono coloro che li amano e chi invece li riduce in servitù, chi li divora, chi li sfrutta, chi è arrogante con loro e chi li colpisce in faccia.
Se una sapienza non è capace di discernere chi fa il bene da chi fa il male, se allontana chi fa il bene e si avvicina a chi fa il male, che sapienza è mai questa?
Essa non serve per la vita, ma per la morte; è una sapienza insipiente, una saggezza stolta, una intelligenza cieca.
Questa sapienza non è frutto dello Spirito Santo, ma del peccato che è nell’uomo.
Questo rivela quanto poco cammino spirituale i Corinzi abbiano fatto finora e qual è la distanza che li separa da Paolo e quindi da Cristo; manifesta qual sia l’abisso che li allontana dalla verità del Vangelo.
Urge allora chiedersi: perché dopo anni di cammino nella verità del Vangelo si è in possesso di una sapienza insipiente?
La risposta è una sola: perché non si è operato il cammino nella grazia. Sapienza e grazia camminano insieme, crescono insieme. Quando un discepolo di Gesù non cammina nella grazia, anzi cade dalla grazia, cade anche dalla sapienza.
Cadendo dalla grazia e dalla sapienza di Dio, si ritorna nella sapienza umana, ma questa non serve per salvare un uomo. Questa sapienza non è luce in lui dello Spirito Santo, è solo frutto del suo peccato e il peccato non può essere mai via di luce, di salvezza, di redenzione.
Coloro che sono preposti alla guida delle comunità, devono necessariamente unire le due crescite: quella in sapienza e quella in grazia; la crescita in sapienza aiuta la crescita in grazia e la crescita in grazia sostiene il cammino dell’uomo perché proceda di sapienza in sapienza e di verità in verità, fino alla completa conoscenza spirituale di Cristo Signore, lui che è la Sapienza e la Saggezza di Dio fattasi carne, fattasi Parola umana per noi.
[21]Lo dico con vergogna; come siamo stati deboli! Però in quello in cui qualcuno osa vantarsi, lo dico da stolto, oso vantarmi anch'io.
Conoscendo l’insipienza dei Corinzi è come se Paolo provasse un senso di rimorso. Se avesse fatto prima ciò che sta per fare adesso, avrebbe in qualche modo impedito che i Corinzi cadessero così in basso?
Umanamente parlando uno deve sempre mettere in discussione le sue azioni. C’è però un principio spirituale che mai dobbiamo ignorare. Il principio è questo: quando noi agiamo in un tempo, agiamo secondo la misura della fede e della grazia che è in noi.
Lo Spirito che è dietro di noi ed è in noi non può agire oltre la misura di questa grazia e di questa verità che è fruttificata e maturata nel nostro cuore e nel nostro spirito.
Quando noi aumentiamo in grazia e in verità, leggiamo la nostra vita di ieri secondo la misura della fede e della carità di oggi. Se ieri avessimo avuto la stessa fede e la stessa grazia di oggi certamente avremmo agito differentemente.
La soluzione è data da un altro principio spirituale, anche esso necessario da tenere sempre dinanzi ai nostri occhi, perché solo esso può dare alla nostra coscienza una luce di pace nella più grande verità.
Il principio è questo: la grazia ha i suoi tempi di crescita in noi e così la verità e la sapienza; così anche lo Spirito Santo.
Questi tempi sono per così dire naturali, nessuno li può abolire, accorciare. Sono tempi dell’uomo, perché l’uomo è tempo e storia. Chi volesse abolire la storia in un uomo ne farebbe un Angelo. Neanche in Cristo i tempi della crescita furono aboliti, accorciati, abbreviati.
L’uomo tuttavia è responsabile dell’arresto della crescita, o degli impedimenti che lui stesso ha posto sul cammino della crescita della sapienza e dalla grazia. Questo impedimento, o intralcio, o arresto, è il peccato. Il peccato è puntuale, è azione specifica, è trasgressione e violazione della legge santa di Dio.
Di ogni peccato bisogna pentirsi, fare penitenza ed espiazione, chiedere al Signore che voglia in qualche modo porre lui dei rimedi alla nostra stoltezza di un tempo, attraverso una crescita più veloce e più santa della grazia e della sapienza dentro di noi.
Altro rallentamento della crescita della sapienza e della grazia sono i molteplici peccati veniali e quei vizi che non vogliamo espellere dal nostro cuore. Anche questi dobbiamo togliere. Dobbiamo pulire il nostro cuore da tutte queste erbe cattive che soffocano e rallentano la crescita bene ordinata in noi della sapienza e della grazia.
Quando noi abbiamo fatto tutto ciò che è in noi, favorendo in tutti i modi la crescita della sapienza e della grazia, allora il nostro cuore può stare in pace. Ciò non toglie tuttavia che rimanga in noi quel desiderio di vittoria completa sul male, che Dio aveva anche messo nelle nostre mani, ma che non è avvenuto.
Ogni uomo è posto dinanzi allo strapotere del male, del peccato, del vizio, della tentazione. Una nostra vita tutta consacrata a vincere il male non è sufficiente. Altro non resta ad ogni uomo di Dio che affidarsi totalmente a Cristo Gesù e chiedere che per il suo mistero di morte e di risurrezione sconvolga il mondo con l’invio sempre nuovo del suo Santo Spirito, poiché solo Lui e nessun altro, pur facendo tutto quanto ci è stato chiesto di fare, potrà in qualche modo aiutare un’anima a convertirsi e a ritornare a Dio.
La debolezza di Paolo è una sola: quella di non aver fatto prima ciò che si sta accingendo a fare ora. Prima però non era ora; ora è il momento in cui deve prendere la penna e rivelare le grandi cose che il Signore ha fatto in lui e per mezzo di lui.
[22]Sono Ebrei? Anch'io! Sono Israeliti? Anch'io! Sono stirpe di Abramo? Anch'io!
Si comincia dalle origini. Chi sono questi falsi apostoli e operai fraudolenti che hanno ingannato i Corinzi? Di che cosa si vantano? Di essere figli di Abramo.
Ebbene Paolo è Ebreo per nascita. Israelita per stirpe. Figlio di Abramo al pari di tutti loro.
Se i Corinzi si sono lasciati confondere dall’origine umana di questi uomini, possono benissimo lasciarsi anche confondere dall’origine umana di Paolo. Tra i falsi apostoli e Paolo quanto ad origine non c’è nessuna differenza.
Perché a loro si crede e a Paolo non si crede? Non è l’origine che muove il cuore, ma ciò che è nel cuore.
Il cuore dei falsi apostoli e il cuore dei Corinzi è mosso da una sola cosa: il non amore verso Cristo Gesù.
La credibilità viene dal cuore, non dalla razza, o dalla stirpe, o dalla famiglia di origine.
Questo i Corinzi lo devono sapere. Se vogliono trovare le motivazioni per cui hanno creduto ai falsi apostoli e si sono allontanati da Paolo non è certo per ciò di cui quelli si vantavano, ma perché si sono trovati in sintonia con il loro cuore, o perché il loro cuore povero di grazia e di saggezza, si è lasciato facilmente confondere non dalle origini, ma dalla parole che loro dicevano.
La ragione o il motivo dell’allontanamento da Cristo non è mai negli altri, è da ricercare sempre in noi stessi. Esso è sempre nella nostra poca crescita in sapienza e grazia.
[23]Sono ministri di Cristo? Sto per dire una pazzia, io lo sono più di loro: molto di più nelle fatiche, molto di più nelle prigionie, infinitamente di più nelle percosse, spesso in pericolo di morte.
Se non è per motivo umano, lo è forse per motivo soprannaturale? Lo è perché loro sono ministri di Cristo?
Per questa ragione i Corinzi si sono lasciati sedurre, tentare, allontanare dalla verità? Hanno abbandonato il Vangelo della salvezza per la menzogna che conduce alla perdizione?
Non è certamente per questo motivo. Paolo è ministro di Cristo più di tutti loro, non perché Cristo lo abbia chiamato lui direttamente sulla via di Damasco, ma perché ha meritato sul campo di battaglia di essere suo vero ministro.
Ha faticato più di tutti loro messi insieme. Con una differenza sostanziale. Loro faticano per il male, contro Cristo. Lui invece si affatica per Cristo.
Per Cristo Paolo è stato in prigione più volte, più volte è stato percosso, più volte si è trovato in pericolo di morte.
Quella di Paolo è veramente una vita votata interamente a Cristo e secondo la via del martirio, sia spirituale che fisico. Tutto di lui Paolo ha consegnato a Cristo Gesù.
Se Paolo è ministro di Cristo per la verità e per il Vangelo e non per la falsità e per la menzogna, perché i Corinzi non lo hanno ascoltato?
Non è allora questione di vanto umano, non è neanche questione di meriti conquistati in battaglia.
La questione è una sola: il cuore dell’uomo rifiuta la verità, rifiuta il Vangelo. Chi parla del Vangelo sarà sempre rifiutato, scacciato, allontanato; chi invece parla all’uomo da uomo che lascia l’uomo nella sua umanità fatta di peccato e di fragilità, costui è ascoltato.
Come si può constatare: la ragione in fondo è sempre la stessa. Non sono motivi umani che hanno spinto i Corinzi a rinnegare Paolo e ad accogliere i falsi operai. Sono invece motivi soprannaturali, motivi di verità eterna.
Il cuore dell’uomo è contro la verità soprannaturale; accoglie facilmente le verità umane. Le astuzie di satana gettano fumo negli occhi e l’uomo si trova ingannato, ma è ingannato non dal fumo di satana, ma dai pensieri malvagi che sono nel suo cuore e vi sono per nascita.
[24]Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i trentanove colpi;
Sono queste le famose quaranta battiture con le verghe. Leggiamo nel Deuteronomio (25,1-3):
“Quando sorgerà una lite fra alcuni uomini e verranno in giudizio, i giudici che sentenzieranno, assolveranno l'innocente e condanneranno il colpevole. Se il colpevole avrà meritato di essere fustigato, il giudice lo farà stendere per terra e fustigare in sua presenza, con un numero di colpi proporzionati alla gravità della sua colpa. Gli farà dare non più di quaranta colpi, perché, aggiungendo altre battiture a queste, la punizione non risulti troppo grave e il tuo fratello resti infamato ai tuoi occhi”.
I colpi di legge erano quaranta. Se ne davano trentanove, perché se per caso si fosse sbagliato il conto durante la fustigazione e l’altro fosse morto in seguito alle ferite riportare, colui che aveva dato i colpi era responsabile di quella morte.
Per evitare un tale rischio, sempre per antica usanza se ne davano trentanove. Tant’è che nelle antiche versioni della Bibbia si diceva: “Ho ricevuto i quaranta colpi meno uno”.
Questo versetto serve a rivelarci con quale odio inveterato i Giudei trattavano Paolo. Ad ogni costo volevano la sua morte e non mancava occasione propizia per loro per manifestarlo.
[25]tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balìa delle onde.
Queste versetto ci rivela le sofferenze cui Paolo ha dovuto sottomettere il suo corpo: verghe, lapidazione, naufragi, in balia delle onde.
Nulla, ma veramente nulla gli è stato risparmiato. Tutto ha dovuto subire per amore di Cristo e della sua verità.
Da quanto Paolo ci sta rivelando dovremmo concludere una sola verità ed è quella che Gesù disse ai suoi apostoli nel Vangelo: “hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; hanno odiato me, odieranno anche voi”.
Questo all’interno e all’esterno della Chiesa. La persecuzione, l’odio viene indistintamente da ogni uomo, che sia cristiano, o pagano ha poca importanza.
L’odio e la persecuzione hanno una sola radice: l’opposizione a Cristo e alla verità. Chiunque non è nella verità, chiunque non ama Cristo con cuore sincero, puro e semplice, chi non si è convertito a Lui e né si vuole convertire, si schiererà contro coloro che portano Cristo e il suo Vangelo.
La persecuzione e l’odio del mondo è il sigillo della nostra appartenenza a Cristo e alla verità del Vangelo.
È facile sapere se siamo di Cristo, se lavoriamo per il suo regno, se combattiamo la buona battaglia del Vangelo: è sufficiente osservare quante persecuzioni sono sul nostro capo, quante sofferenze fisiche e spirituali ci colpiscono.
Quando non ci sono sofferenze fisiche e spirituali per il Vangelo, quello che noi diamo non è sicuramente il Vangelo di Dio. Quando gli uomini ci acclamano noi non diamo il Vangelo di Dio. Quando tutti dicono bene di noi, noi non diamo il Vangelo di Dio. Quando il mondo ci innalza e ci costruisce monumenti, è il tempo in cui noi non diamo il Vangelo di Dio.
Perché i santi in vita sono odiati e in morte acclamati? Perché in vita hanno dato il Vangelo di Dio e il mondo li ha rifiutati. In morte non danno più il Vangelo e per questo il mondo li acclama, li esalta. Essi non lo disturbano più. Anzi in qualche modo anche lo aiutano, perché i cristiani si accostano a loro per rimanere nel mondo, ma non per uscire dal mondo.
[26]Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli;
Continua ancora la rivelazione di tutte le fatiche che Paolo ha dovuto sopportare per Cristo Gesù e per il dono del suo Vangelo alle genti. Come si può constatare non c’è luogo dove si vive la vita dell’uomo che non si trasformi per Paolo in un pericolo di morte, in una sofferenza grande, o del corpo o dello spirito.
Ogni persona, ogni luogo, ogni elemento della natura, ogni condizione religiosa, ogni mentalità, ogni vizio e ogni peccato si trasformano per Paolo in un pericolo mortale.
Neanche i cristiani sono qui risparmiati, a causa della loro gelosia, della loro invidia, della facilità attraverso la quale passavano dal Vangelo di Cristo ad un altro Vangelo, rinnegando Paolo e trasformandosi a volte, anzi spesso, in suoi denigratori, in spietati oppositori, in distruttori della sua opera e del suo ministero.
Possiamo dire che il mondo intero è contro Paolo, perché il mondo intero è contro Cristo Signore e la sua verità.
[27]fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità.
Oltre al mondo intero, c’è la condizione stessa del lavoro apostolico che mette a dura prova la resistenza dell’apostolo.
Paolo ci mostra in questo versetto come sia vero quanto Gesù dice nel Vangelo: “Il regno dei cieli subisce violenza e solo i violenti se ne impadroniscono”.
Questa violenza è necessaria sia per portare altri nel regno che per rimanere noi stessi in esso. La violenza è forza dello Spirito Santo, è la virtù della fortezza che ci fa superare ogni ostacolo, ogni difficoltà, dall’esterno e dall’interno, dal mondo e dallo stesso nostro corpo, spirito, mente, volontà e tutto quanto è in noi.
Il corpo ha bisogno di cibo, di acqua, di sonno, di riposo, di coprirsi. Ebbene Paolo lo ha abituato ad ogni cosa, veramente a tutto, come egli dirà nella lettera ai Filippesi (4, 10-13):
“Ho provato grande gioia nel Signore, perché finalmente avete fatto rifiorire i vostri sentimenti nei miei riguardi: in realtà li avevate anche prima, ma non ne avete avuta l'occasione. Non dico questo per bisogno, poiché ho imparato a bastare a me stesso in ogni occasione; ho imparato ad essere povero e ho imparato ad essere ricco; sono iniziato a tutto, in ogni maniera: alla sazietà e alla fame, all'abbondanza e all'indigenza. Tutto posso in colui che mi dá la forza”.
Solo sottoponendo il corpo al governo della fortezza che viene dallo Spirito Santo è possibile essere veri missionari del Vangelo. Chi invece si lascia schiavizzare dai vizi e dalle cattive abitudini, dalle mollezze e delicatezze della vita non può fare l’apostolo del Signore.
Dinanzi a questa rivelazione di Paolo appare assai evidente come sia poco il nostro spirito di fortezza, quasi nullo, specie oggi, in questo tempo, in cui non si abitua più nessuno al sacrificio, alla rinunzia, alla sopportazione, ad una vita moderata in ogni cosa.
Se Paolo è riuscito in tutto questo anche noi possiamo riuscirci; se lui ha avuto il pieno dominio del suo corpo anche noi possiamo averlo. Occorre però impegno, determinazione, forza di volontà, certezza di fede che sarà proprio in ragione del nostro impegno che il Vangelo di Dio potrà diffondersi nel mondo e la verità conquistare i cuori.
[28]E oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese.
Le sofferenze di Paolo, o le sue fatiche non sono solo fisiche, del corpo. Sono soprattutto spirituali.
Quello che lo divora dentro, che non lo fa stare tranquillo, ciò che lo pone sempre in un continuo movimento dell’anima è il suo amore per le chiese. Questo amore da lui è chiamato assillo quotidiano, preoccupazione.
Questo assillo e questa preoccupazione Gesù la chiama zelo e lo zelo in Gesù era un fuoco che lo divorava dentro.
Conosciamo il fuoco che è in lui e con il quale vuole incendiare tutto i cuori. Questo fuoco sappiamo che è lo Spirito Santo di Dio, che deve intervenire nella nostra storia, incendiare l’uomo vecchio, far nascere l’uomo nuovo che renda a Dio il culto in spirito e verità.
Tutto questo lo conosciamo. Paolo ora ce lo rivela per quanto riguarda la sua persona. C’è in lui lo stesso fuoco d’amore che era in Cristo Gesù e questo fuoco si chiama desiderio di portare ogni uomo a Cristo, ma anche desiderio di aiutare ogni discepolo di Gesù a conservarsi nella verità e nella grazia che vengono da Dio.
In un contesto di tentazioni, di seduzioni, di persecuzioni, di inganni, di fraudolenza, in un clima agguerrito contro Cristo e il suo Vangelo come si fa a non sentire la preoccupazione e l’assillo per tutte le Chiesa? Come si fa a non temere, a non vigilare, a non mettere in atto ogni stratagemma perché la verità sia conservata nei cuori e la Parola di Dio sia mantenuta inalterata nei suoi contenuti di salvezza e di redenzione?
Tutto questo però causa dolore, sofferenza, consuma lo spirito. Questo assillo e questa preoccupazione la possiamo chiamare un lento martirio spirituale, una lenta e quotidiana offerta a Dio della vita, anche se in modo incruento, per la redenzione dei cuori. Questa offerta si traduce in opera, in lavoro, in interventi, in chiarificazioni, anche in Lettere appassionate aventi un unico scopo quello di fare ritornare le comunità nella retta fede e nella sana dottrina di Gesù Cristo.
Mentre ai falsi apostoli non interessa niente delle chiesa di Cristo Gesù e possono dormire sonni tranquilli, Paolo invece veglia su di loro, vigila attentamente, come un buon pastore, che avendo sempre timore che i lupi rapaci possano depredare il suo gregge, rimane sveglio perché il nemico non lo sorprenda nel sonno e distrugga tutto il suo lavoro apostolico.
Questa è la sofferenza di Paolo, sofferenza d’amore, di verità, di santità, sofferenza tutta spirituale, la quale, se aggiunta a quella fisica, del suo corpo, ci dona l’ampiezza del suo amore per Cristo Gesù.
[29]Chi è debole, che anch'io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema?
Paolo ci rivela in questo versetto una verità che merita di essere considerata, perché da essa si possono trarre alcuni principi operativi anche per il nostro apostolato.
Paolo non è un superuomo, non è uno che è stato privato della sua umanità, neanche è un uomo corredato di doti particolari; il Signore non gli ha dato un corpo insensibile e un’anima temprata come di acciaio.
Lui è uomo come tutti gli altri e sente la fragilità e la debolezza della sua natura. Sente tutto ciò che sentono gli altri corpi, avverte ogni cosa che avvertono gli altri spiriti.
La debolezza è compagna della sua vita, è l’abito del suo corpo e l’essenza del suo spirito.
Egli però sa come vincere la debolezza, la fragilità. La vince e la supera attraverso un grande allenamento, un esercizio perenne del suo corpo e del suo spirito e questo ce lo ha rivelato già nella prima Lettera ai Corinzi, dove espressamente dichiarava che lui trattava duramente il suo corpo per non essere alla fine squalificato.
Non è neanche uno spirito insensibile dinanzi al male che altri possano ricevere. Se un discepolo del Signore viene scandalizzato, lui freme nel suo cuore, ha timore che quell’anima possa perdersi, smarrire la retta via, abbandonare il sentiero della verità, lasciare l’ovile di Gesù Cristo, percorrere strade impraticabili che conducono alla perdizione.
Lui è sempre nel timore del suo spirito che qualcuno possa strappargli le pecore conquistate a Cristo.
Ciò che Cristo ha detto di sé Paolo vuole poterlo dire anche lui. Ma non è così facile. Cristo Gesù disse al Padre che tra tutti quelli che Lui gli aveva dato nessuno è andato perduto se non il figlio della perdizione. Tutti gli altri erano stati conservati nella verità del suo amore.
Paolo vorrebbe poter dire altrettanto. La storia tuttavia gli dimostra il contrario. Spesso quelli che lui conduceva al Vangelo si lasciavano tentare, smarrendosi, abbracciando altri pensieri e altre idee che li portavano lontano da Gesù Cristo.
È questo il motivo per cui freme quando un discepolo del Signore subisce scandalo. È in pericolo la sua anima e lui vorrebbe che questo non avvenisse.
Ma l’apostolo non può governare la fede dei discepoli del Signore. Egli può presentarsi dinanzi a loro come un maestro, un formatore, uno che interviene, corregge, ammonisce, chiarifica, senza interruzione alcuna, spendendo tutte le sue energie e le sue forze fisiche e spirituale.
Però alla fine deve anche lui constatare che la salvezza di un’anima non dipende solo da lui; dipende da lui e dall’anima e se l’anima non vuole mettere alcun impegno per crescere in grazia e verità, dinanzi alla prima tentazione di certo cadrà e abbandonerà la via della giustizia e della santità.
[30]Se è necessario vantarsi, mi vanterò di quanto si riferisce alla mia debolezza.
Perché Paolo si vanta della sua debolezza? L’uomo deve vantarsi di ciò che è suo, veramente suo.
Suo, dell’uomo, è solo il peccato, la debolezza, i vizi, le concupiscenze, ogni genere di superbia e di vanagloria.
Paolo non ha peccato nel cuore. Ma del peccato neanche ci si può vantare perché il peccato offende gravissimamente il Signore.
La debolezza, la fragilità naturale non è un peccato. Di essa dobbiamo gloriarci, non però perché siamo deboli, ma perché nella nostra debolezza risplende tutta la grazia, la forza, la verità, ogni altro dono di Dio, datoci perché la nostra natura diventi forte, resistente, robusta, sia capace di compiere tutta e solo la volontà di Dio.
Come si può constatare sino alla fine Paolo conserva il principio unico alla luce del quale bisogna leggere tutta intera la sua vita.
Questo principio ci insegna che per il Vangelo bisogna sacrificare tutta intera la vita e solo chi sacrifica la vita per il Vangelo è degno di fede. Tutti gli altri che non sacrificano la vita sono falsi operai, o apostoli fraudolenti che ingannano e seducono le pecorelle del Signore.
Tuttavia il dono della propria vita al Vangelo e a Cristo Gesù non produce frutti perché la nostra natura sia capace di tanto, li produce invece perché la grazia di Dio e il suo Santo Spirito operano efficacemente in noi, operano però se noi lo vogliamo e se gli diamo tutto lo spazio necessario.
Siamo tutti impastati di umanità, l’umanità è una ed unica per tutti. Se però in essa facciamo entrare la grazia e lo Spirito del Signore, questa diventa strumento idoneo per compiere l’opera di Dio; se invece neghiamo alla grazia e allo Spirito la possibilità di abitare in noi, noi sperimenteremo tutta la nostra fragilità che si trasformerà in vizio e in peccato che contraddice vistosamente il nostro proclamarci operai di Cristo Gesù.
Della nostra debolezza bisogna vantarsi, ma per insegnare agli altri che tutto è possibile a colui che crede nella grazia di Dio e nel suo Santo Spirito.
[31]Dio e Padre del Signore Gesù, lui che è benedetto nei secoli, sa che non mentisco.
Paolo ora chiama Dio a testimone della sua sincerità e della sua verità. Paolo non è un superuomo, è un uomo comune, come tutti gli altri.
Perché allora può presentarsi dinanzi ai Corinzi con tutta questa ricchezza spirituale, perché può manifestarsi a loro come un martire vivente, come uno che si è lasciato consumare per amore di Cristo e della sua Chiesa?
La ricchezza spirituale, questo “medagliere” che sbalordisce solo a leggerlo in ogni sua parte, questa sua tenacia nella proclamazione del Vangelo e i frutti che essa ha prodotto, non vengono dalla sua natura, promanano invece dallo Spirito Santo di Dio.
È lui l’artefice di tutto. Perché allora Paolo sì e noi no? Perché lui ha dato allo Spirito “carta libera”, gli ha consegnato se stesso, si è messo interamente nella sua volontà, nella sua mozione, nella sua spirazione?
Se noi facciamo altrettanto, anche attraverso di noi il Signore opererà i prodigi del suo amore, compirà segni evidenti della sua grazia per la salvezza del mondo intero.
Da notare anche il modo delicato, la forma di fede con la quale parla di Dio.
Dio è Padre del Signore nostro Gesù Cristo. Non è solamente Padre; è Dio e Padre. Conosciamo il significato della paternità di Dio per rapporto a Cristo Gesù, si tratta di una paternità di generazione.
Di questo abbiamo già sufficientemente parlato.
A Dio che è Padre del Signore nostro Gesù Cristo deve elevarsi dal nostro cuore un inno di benedizione. Dio deve essere proclamato benedetto nei secoli.
Dio non è benedetto per un momento, per un istante, o per un periodo della nostra vita. Dio è sempre da benedire, sempre da esaltare, da celebrare, da magnificare, da ringraziare.
Volendo leggere questa affermazione alla luce di quanto viene detto in questo capitolo dobbiamo concludere che Dio è da benedire nella fame, nella sete, nella nudità, nelle persecuzioni, nelle veglie e nei digiuni, nelle sentenze di morte e nelle lapidazioni.
La forza di santità del cristiano consiste proprio in questo: nell’essere forte sempre in modo che dalle sue labbra possa sempre elevarsi questo inno di benedizione e di ringraziamento per il Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo. Il motivo di tanta e perenne benedizione è uno solo: siamo dal suo amore sia per creazione che per redenzione; siamo dalla sua bontà anche per il cammino della speranza che abbiamo già intrapreso. Egli ci attende per essere sempre con lui nel Paradiso e quanto ci capita nella nostra vita mortale è solo un gradino che deve portarci sempre di più vicino a Lui, nella santità oggi, nella gloria del cielo domani.
[32]A Damasco, il governatore del re Areta montava la guardia alla città dei Damasceni per catturarmi,
È, questa, una delle prime sofferenze che Paolo ha dovuto subire per il nome di Cristo Gesù.
Lui a Damasco era andato come persecutore dei cristiani. Subito, dopo che il Signore lo aveva folgorato sulla via che conduceva alla città, dovette anche lui sperimentare la persecuzione.
I Giudei lo volevano morto. I cristiani lo hanno nascosto, protetto, aspettavano il momento propizio per farlo uscire dalla città e metterlo così in salvo.
Era però difficile fuggire a causa delle guardie che il re Areta aveva messo intorno alla città per custodire ogni possibile via di fuga.
Cosa fare per non cadere nelle mani dei suoi nemici? Il Signore che lo aveva scelto per portare il Vangelo al mondo intero, lo avvolge con il suo mantello di luce e lo protegge; con la sua sapienza ispira ai suoi amici come fare perché Paolo non cada nelle mani dei Giudei.
[33]ma da una finestra fui calato per il muro in una cesta e così sfuggii dalle sue mani.
Paolo, come si sa, era piccolo di statura. I cristiani di Damasco pensarono di metterlo in una cesta, calarlo dalle mura e così una volta fuori della città per lui era facile potersi salvare.
Così fecero e lui ebbe, per questa volta, salva la vita, come la riebbe sempre salva in tutte le altre volte, finché non giunse a Roma la sua ora.
Perché Paolo racconta anche questo episodio? Per dire ai Corinzi che la sua non fu per nulla una vita fatta di privilegi e di assenza di ogni persecuzione.
Anzi, fin dal primo istante della sua folgorazione sulla via di Damasco dovette duramente scontrarsi con l’odio violento e crudele dei suoi nemici.
Vigila però sulla sua testa una mano invisibile, quella del Padre dei cieli. È Lui che lo libera e lo salva. È lui che lo protegge e lo conduce. È lui che gli dona la forza di superare ogni avversità, ogni ostacolo, ogni sofferenza. È lui che quasi in Asia lo risuscita dopo aver ricevuto su di sé la sentenza di morte ed essere stato lapidato.
Lui non è un privilegiato, è un chiamato come tutti gli altri. A differenza degli altri ha dato spazio nel suo cuore allo Spirito di Dio e alla sua grazia. Per questo dove gli altri hanno naufragato, lui ha mietuto copiosi frutti di Vangelo e di fede. Se noi lo imitiamo nella sua fede, anche la nostra terra diventerà fertile e il seme di Dio produrrà ove il trenta, ove il sessanta, ove il cento per uno.
Ora i Corinzi sanno chi è Paolo, sanno quanto gli costa l’annunzio della verità; poiché sanno, se vogliono possono fare sempre la differenza tra lui che li ama e gli altri che li vogliono solamente sfruttare ingannandoli.
Ora la decisione è tutta nelle loro mani. Se vogliono si possono salvare, altrimenti anche per loro la fine sarà la perdita di Cristo per tutta l’eternità.