00 16/02/2012 14:30
IL VERO VANTO

[12]Certo noi non abbiamo l'audacia di uguagliarci o paragonarci ad alcuni di quelli che si raccomandano da sé; ma mentre si misurano su di sé e si paragonano con se stessi, mancano di intelligenza.
In questo versetto viene manifestato un sano principio di progresso spirituale.
Chi vuole progredire spiritualmente, avanzare con speditezza sui sentieri della verità e dell’amore, chi vuole crescere nella verità e nel compimento della volontà di Dio deve evitare di guardare se stesso, di giudicare se stesso, valutando le sue azioni a partire dai suoi pensieri, dalle sue idee, dalle realizzazioni che potrebbe anche compiere.
Questa è una via impraticabile, è una via di regresso e non di progresso, è una via di stagnazione dell’uomo nella non verità. Questa non è una via di crescita santa in sapienza e grazia.
Perché non ci si può raccomandare da sé, o non ci si può paragonare con se stessi?
Nessuno può prendere se stesso come principio e come metro di verità, di santità, di amore, di saggezza, di intelligenza, di fede. Nessuno può paragonarsi con se stesso, con ciò che lui attualmente è, o non è, a motivo dell’inganno del cuore e della coscienza, a motivo della falsità dei sentimenti, in ragione della poca lungimiranza e soprattutto a causa della pigrizia della sua carne e di quella superbia e concupiscenza che fanno sì che anche se uno è nel peccato, il peccato giustifica e in qualche modo lo fa assurgere a principio di vita spirituale, definendolo via per camminare verso Dio.
È questo in fondo l’errore di molta teologia e di pastorale dei nostri giorni. Non avendo più un principio esterno a noi, trascendente, si è fatto del principio immanente, del cuore, dei sentimenti, la regola per discernere il nostro stato di verità o di falsità. Dove si è arrivato? A giudicare e a valutare il peccato come mezzo e via per andare a Dio; a dire che l’esperienza del peccato è cosa necessaria per capire noi stessi e gli altri; a far sì che il peccato non si combatta più perché non è cosa deleteria per l’uomo, anzi, è qualcosa che aiuta l’uomo a camminare verso Dio e verso i fratelli.
Qui si manca di intelligenza, non solo di intelligenza di fede, quanto soprattutto di intelligenza anche umana.
Come si fa a dichiarare il peccato via per andare a Dio, esperienza necessaria con la quale convivere al fine di comprendere i nostri fratelli?
Non è il peccato che ci deve far comprendere i nostri fratelli, è bensì l’amore per loro, ma l’amore senza l’annunzio della verità è ben misera cosa. Con l’amore solamente non li si aiuta a ritrovare Dio, con l’amore li si aiuta a rimanere lontano da Dio.
È la verità la via che aiuta ogni uomo a potersi incamminare verso Dio e chi tace la verità ad un uomo, non lo ama, perché lo lascia abbandonato nel suo peccato.
L’amore e la verità sono principi trascendenti, non immanenti; sono doni che vengono da Dio, non nascono dal nostro cuore. La verità e l’amore essendo valori assoluti, divini, eterni, immutabili, non possono essere visti secondo la misura che sono in noi, essendo questa imperfetta, piccola, debole, scarsa, falsa.
Gesù quando si trattò di insegnare ai discepoli la misura dell’amore diede loro quella del Padre suo che è nei cieli. È una misura che va oltre un uomo e al di là di tutti gli uomini messi assieme. È una misura oltre il tempo e oltre lo spazio, è una misura che supera sempre la nostra, perché ci rivela che il nostro modo di amare è sempre poco per rapporto a quello di Dio.
Il cristiano ha come misura del suo amore e della sua verità Cristo crocifisso. Se uno guarda se stesso dirà che la misura è colma, che non si può andare oltre nell’amore e quindi si cade nello scoraggiamento o nella rassegnazione, o nella non volontà di andare oltre.
Se invece si guarda Cristo crocifisso allora ci si accorge che la nostra misura è ben misera, meschina. Di fronte a Cristo veramente non abbiamo ancora fatto niente, abbiamo fatto troppo poco. Dinanzi a Cristo nasce nel cuore la volontà di andare oltre, di superarci, di iniziare nuovamente ad amare dopo il piccolo scoraggiamento che può sempre inocularsi nel cuore a motivo della sofferenza e delle mortificazioni che vengono sparse sul nostro cammino.
[13]Noi invece non ci vanteremo oltre misura, ma secondo la norma della misura che Dio ci ha assegnato, sì da poter arrivare fino a voi;
Qual è allora la giusta misura per valutare se stessi? È la stessa che fu di Cristo, il quale visse il sommo dell’amore, lo visse sino alla fine, con una morte di croce, nella più grande sofferenza.
Perché lo visse? Per se stesso, o per noi? Lo visse per noi. Quale fu la forza di questo amore? Una sola: quella di chiedere al Padre perdono per i suoi crocifissori. “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”.
La misura dell’amore in Cristo non è quella che è attualmente nel suo cuore; è invece la misura che è nel cuore del Padre. Qual è la misura che è nel cuore del Padre? Quella di mandare suo Figlio sulla terra per salvare il mondo.
L’amore del Padre è di salvezza, di redenzione, di perdono. Qual è la misura dell’amore di Cristo? La stessa: amore di redenzione, di giustificazione, di perdono, di salvezza.
L’amore è vero quando esso ci consente di arrivare fino al più grande peccatore e rivelargli tutto l’amore che il Padre ha messo nel suo cuore per lui.
Il cristiano deve vivere alla stessa maniera di Cristo Gesù. Gesù ricevette nel suo cuore tutto l’amore del Padre, lo trasformò in un frutto di grazia e di salvezza, di verità e di saggezza, lo fece amore crocifisso e con esso si presentò al Padre perché concedesse il perdono al mondo intero.
Chiese al Padre che compisse la sua volontà di salvezza per ogni uomo e la compisse attraverso il suo amore crocifisso.
La misura dell’amore è duplice: quella che Dio ha riversato nei nostri cuori, e questa è personalissima. Ognuno ha una misura personale di amore. L’altra misura è la quantità di frutti prodotti da quest’amore. Anche questa misura è personale. Ognuno produce e fruttifica in modo assai dissimile dagli altri.
Tuttavia l’una e l’altra misura hanno un solo fine: l’amore ricevuto deve essere trasformato in frutto di salvezza ed offerto a Dio perché conceda il perdono e la misericordia a tutti coloro che ne hanno bisogno.
L’amore ricevuto e l’amore fruttificato devono prima farci arrivare fino a Dio e da Dio farci giungere fino ad ogni uomo, perché è per ogni uomo che noi dobbiamo far fruttificare l’amore di Dio, per la sua salvezza e redenzione.
Chi invece prende se stesso come misura dell’amore, entra in un circolo vizioso che lo allontana da Dio e dai fratelli e fa del proprio amore un motivo di superbia e di vanagloria, invece che di perdono, di salvezza, di redenzione.
Paolo, che è illuminato dalla saggezza dello Spirito Santo, conosce i pericoli della vita spirituale e li rivela a noi, perché mettiamo ogni attenzione ad evitarli, a scansarli, a fare di tutto perché ogni cosa si svolga con sguardo sempre fisso in Dio e nel suo amore di salvezza e di redenzione, e non in noi che siamo ammalati di concupiscenza e di superbia.
[14]né ci innalziamo in maniera indebita, come se non fossimo arrivati fino a voi, perché fino a voi siamo giunti col Vangelo di Cristo.
Sotto altra forma viene ribadito il principio spirituale dell’amore di Dio e di Cristo che deve essere tutto vissuto dal cristiano, se vuole operare frutti di vita eterna.
Innalzarsi in maniera indebita è capovolgere la natura dell’amore cristiano. È farne uno strumento di esaltazione personale, di superbia e di vanagloria, anziché uno strumento di misericordia, di giustificazione e di salvezza.
Chi ama veramente, sa che il suo amore, paragonato con quello di Dio e di Cristo Gesù, è sempre poco. Chi ama secondo Dio e Cristo, vive avvolto dalla più grande umiltà.
Sa quanto Dio ha fatto per lui, sa quanto Cristo ha speso per lui, sa quanto amore è stato riversato nel suo cuore, conosce la pochezza dei frutti maturati se si paragonano a quelli che ha fatto maturare Cristo Gesù.
Chi si vede in Cristo, vive umile, mite, mansueto, si fa operatore di pace, cerca la verità e l’amore con tutti, come un fratello, come Cristo, che si fece il servo di tutti al fine di poter condurre tutti nel suo amore.
Paolo non pone il suo cuore, le sue realizzazioni, i suoi frutti e i suoi successi per presentarsi ai Corinzi. Questa sarebbe stata una via oltremodo errata, avrebbe portato scompiglio nei cuori e nelle menti.
Nessuno deve fare di se stesso una regola per gli altri, una norma di vita infallibile sulla quale gli altri devono camminare, o alla quale assoggettarsi.
Paolo separa la sua forma di incarnare il Vangelo e il Vangelo stesso.
Dinanzi al mondo bisogna sempre presentarsi con il Vangelo di Dio, il Vangelo annunziare, predicare, proclamare, insegnare, spiegare.
Al Vangelo sempre bisogna fare riferimento. Il Vangelo deve essere l’unico punto di confronto, l’unico principio di giustificazione e di discernimento, l’unica verità valevole per tutti i luoghi, tutti i tempi, tutti gli uomini.
Il Vangelo deve essere la via unica che tutti dobbiamo percorrere. L’unica verità da mettere nel cuore, l’unica da imprimere nella mente, l’unica da scrivere nei nostri sentimenti, affinché mente, cuore e sentimenti possano conformarsi ad esso e da esso trarre sempre i principi di retta azione e di sano comportamento.
Giungere presso gli altri con il Vangelo di Dio significa mettere da parte la propria persona, la propria via, le proprie realizzazioni, i propri frutti.
È questa una via che non sempre si osserva. La tentazione è potente. Spesso si rovinano anni e anni di pastorale perché si è voluta incarnare questa o quell’altra esperienza, questa o quell’altra via.
Non sono le nostre vie, le nostre esperienze, i nostri metodi o le nostre riuscite o insuccessi che ci devono fare andare agli altri, ma solo il Vangelo della salvezza, sola la Parola del Verbo Incarnato. Gesù è venuto in mezzo a noi con la Parola del Padre. La Parola del Padre visse ed annunziò. La Parola del Padre ci lasciò come una via di vita eterna.
Ciò che ha fatto Cristo dobbiamo farlo anche noi. Tutti noi dobbiamo vivere la Parola di Cristo, ma non dobbiamo dare agli altri la nostra forma di vivere la Parola, dobbiamo dare invece agli altri la sola Parola, perché ognuno la viva secondo la misura della fede, dell’amore e della speranza che Dio ha effuso nel suo cuore.
Che lo Spirito Santo di Dio ci illumini con la sua luce e ci renda saggi con la sua saggezza eterna a vivere questo principio di fede per amore, per la salvezza di ogni uomo, per la redenzione del mondo, per la glorificazione del Padre.
[15]Né ci vantiamo indebitamente di fatiche altrui, ma abbiamo la speranza, col crescere della vostra fede, di crescere ancora nella vostra considerazione, secondo la nostra misura,
Paolo manifesta ora un lato assai negativo che a volte regna nelle comunità. Ci sono alcuni che non solo non lavorano per il regno di cieli, quanto si gloriano attribuendosi ciò che gli altri fanno con grande sudore e grande impegno.
Questo è sicuramente un grave peccato. La superbia unita alla invidia può fare questo ed altre cose.
Questo però non è tutto. Al fine di esaltare se stessi denigrano quelli che lavorano con sollecitudine ed amore, facendoli passare per uomini da nulla, per stolti, o peggio, distruggendoli nella loro verità e santità di vita.
Ci sono alcuni che per giustificare le loro false dottrine accusano coloro che annunziano la verità di essere dei trasformatori del Vangelo, di coloro che falsificano la Rivelazione esagerando alcuni aspetti per creare scompiglio nei cuori.
Questo rivela bassezza di cuore, manifesta pochezza di spirito, ma soprattutto mette in evidenza tutta la potenza del peccato, quando questo entra con tutta la sua forza distruttrice in un’anima.
Basta uno solo di questi operai per distruggere anni e anni di buon lavoro, onesto, vero, serio, impegnato, in tutto conforme alla volontà di Dio e di Cristo Gesù, quale il lavoro di Paolo.
Paolo veniva distrutto nella sua verità, era dichiarato un non meritevole di fiducia nelle sue parole, che erano parole sante, di Dio, sagge, dello Spirito Santo, parole di verità e di sana dottrina a motivo dei tortuosi ragionamenti di cuori che si erano lasciati fuorviare dalla superbia e dall’invidia contro Paolo.
Non c’è cosa più efficace per chi vuole distruggere il Vangelo di Dio che gettare fango sulla persona che lo porta. Quando questo accade, l’altro perde di fiducia, di considerazione, di stima e tutto ciò che fa non penetra nei cuori perché questi già lo hanno giudicato non degno di fiducia.
La superbia unita all’invidia trova però il suo terreno fertile nell’ignoranza della gente. L’ignoranza fa sì che non si operi nessun discernimento e quindi ogni parola è buona per loro. Basta che qualcuno si accattivi la fiducia e il seminatore del Vangelo è distrutto.
Se Dio non fosse con il suo apostolo, questi non avrebbe più possibilità alcuna di proclamare il Vangelo della salvezza. Per grazia di Dio c’è come una tenda di luce sui ministri veri del Vangelo, sugli onesti collaboratori di Dio e questi nonostante tutto, riescono sempre a predicare il bÿÿn Vangelo ÿÿÿÿ buon ÿÿngelo ÿÿÿÿce sempre,ÿÿÿÿÿÿtaÿÿe le molteplici difficoltà, ad attecchire nei cuori.
Poiché i Corinzi in qualche modo erano un poco scemati nella considerazione verso Paolo – i dubbi gettati su di lui avevano avuto questo effetto disastroso – Paolo nutre la speranza che questa tendenza possa invertirsi e che verso di lui ritornerà a fiorire quella fiducia e quella considerazione delle origini, anzi una fiducia e una considerazione ancora più grande.
La misura è la fede di Paolo. Paolo parla dal profondo della sua fede. Essendo le sue parole di fede, non possono essere comprese se non si possiede una fede grande come la sua.
Paolo spera che i Corinzi un giorno abbiano la sua stessa misura di fede e così possono comprendersi vicendevolmente. Paolo parla e loro comprendono. Se invece la misura della fede resta povera, piccola, Paolo avrà un bel da fare per parlare loro di Cristo e della sua verità, ci sarà sempre una qualche incomprensione, perché le parole che nascono dalla fede dalla stessa fede possono essere comprese e attuate.
Così anche le parole che nascono da una misura di fede non possono essere comprese se non da coloro che possiedono la stessa misura di fede.
Questo spiega perché tra il Santo e il non santo c’è molta difficoltà a comprendersi. La misura della fede del Santo è molto più grande di quella del non santo.
Le parole del Santo promanano da una misura di fede grande; la comprensione del non santo promana da una misura di fede piccola, a volte assai piccola. Come può una misura piccola di fede comprendere ciò che nasce da una misura grande di fede? Impossibile.
Non è il Santo che deve diminuire la misura; è il non santo che deve aumentare la sua e per questo occorre che anche lui si faccia santo, cresca cioè nella misura della fede, della speranza, della carità.
[16]per evangelizzare le regioni più lontane della vostra, senza vantarci alla maniera degli altri delle cose già fatte da altri.
Paolo ha scelto un modo di lavorare per la diffusione del Vangelo assai originale. Egli vuole impiantare il Vangelo dove nessuno mai vi è andato. Per questo egli cerca sempre le regioni lontane, aspre, dure, difficili, dove gli altri facilmente si possono anche scoraggiare, o possono abbandonare già fin all’inizio.
Egli non vuole che altri lo possano accusare di essere uno sfruttatore del lavoro altrui; neanche vuole vantarsi di ciò che gli altri hanno fatto, perché lui è subentrato nel loro lavoro.
Il suo vanto è uno solo: aver lavorato onestamente, aver fatto tutto da solo, umanamente parlando, perché divinamente, il Signore è stato sempre con lui. Aver cercato regioni impervie al fine di portare il glorioso Vangelo del Figlio di Dio e annunziare loro la salvezza acquisita da Cristo Gesù sul legno della croce.
Su questo possiamo dire che ha sempre mantenuto fede ai suoi propositi, anche perché era il Signore che lo spingeva di luogo in luogo, avendo già stabilito alla sua chiamata che egli avrebbe dovuto portare il Vangelo nel mondo intero, tra i pagani.
Dove c’era un pagano, lì era per lui terra di evangelizzazione. E poiché tutto il mondo allora era pagano, tutto il mondo era luogo dove predicare il Vangelo della salvezza.
C’è però da precisare che di volta in volta era il Signore a tracciare la strada per lui. Lui però la seguiva fedelmente, con scrupolosa obbedienza, sapendo che è il Signore che dona la salvezza ed è lui che stabilisce presso quali regioni inviare i suoi apostoli e chi inviare in quelle regioni.
La storia attesta questa testimonianza di Paolo. Veramente egli ha percorso regioni mai da altri praticate e sempre dove lui è andato è stato l’inizio della predicazione del Vangelo.
Solo a Roma il Vangelo era già pervenuto. Ma in Roma non tutti erano credenti in Cristo Gesù. Lui andò a Roma non per predicare ai cristiani, ma ai pagani e anche di questo egli se ne fa un vanto.
[17]Pertanto chi si vanta, si vanti nel Signore;
Questo versetto ha un significato teologico ben preciso. Vantarsi nel Signore significa una cosa sola: compimento esclusivo e pieno della sua volontà.
Vantarsi nel Signore equivale a dire che Paolo ha ascoltato la voce del Signore e l’ha compiuta fin nei minimi dettagli, in ogni sua piccola parte.
Tutto egli ha fatto per comando del Signore. Ma il comando del Signore spesso non è compreso dagli uomini.
Chi si vuole vantare degli uomini, cosa fa? Mette da parte la volontà di Dio. Mentre chi si vuole vantare del Signore deve dimenticare la volontà degli uomini per compiere solo quella di Dio.
Non è facile potersi vantare nel Signore, ricercare la gloria che viene da lui.
Gesù per potersi vantare nel Padre suo con la risurrezione gloriosa andò incontro alla morte e alla morte di croce. Così hanno fatto i martiri e tutti i santi del cielo.
Paolo per potersi vantare nel Signore deve ogni giorno esporre se stesso non solo all’incomprensione dei Corinzi e delle altre comunità, quanto consegnare la sua vita alla morte, perché solo così si è sempre disposti a compiere la volontà di Dio.
Chi invece vuole vantarsi negli uomini altro non deve fare che mettere da parte la volontà di Dio, abbracciare quella degli uomini e compierla scrupolosamente.
Quando è che un uomo ti loda, ti esalta, è con te? Quando fai la sua volontà. Dal momento che fai la volontà di Dio, o non ti comprende, o ti rinnega, o ti tradisce, oppure ti vende al tuo nemico, perché non hai fatto la sua volontà.
Paolo cerca sempre la gloria che viene da Dio. Sa che questa per lui passa attraverso l’annunzio fedele del glorioso Vangelo di Cristo Gesù. Non si cura dei pensieri degli uomini, non cerca di accattivarsi la loro stima o la loro fiducia, non brama i loro onori e le loro riverenze che hanno un prezzo: la rinunzia a predicare il Vangelo secondo verità.
Per questo motivo egli può predicare il Vangelo con semplicità, purezza di dottrina, fermezza, autorevolezza, decisionalità.
Gli altri invece devono necessariamente manometterlo, annullarlo, addomesticarlo, imbrattarlo di pensieri umani, di volontà terrene.
È facile sapere se un uomo predica secondo verità il Vangelo, oppure se è costretto ad alterarlo. Basta osservare se ha conquistato la virtù dell’umiltà, oppure è governato dalla vanagloria e dalla superbia.
Chi è governato dalla vanagloria, non ha una buona relazione con la verità del Vangelo. Costui prima o poi se lo venderà, e così dicasi di tutti coloro che hanno un qualche vizio, o non hanno maturato una buona crescita nelle virtù. Anche costoro prima o poi si venderanno il Vangelo alle loro passioni e la verità della Rivelazione se la scambieranno per una manciata di vanagloria o di considerazione umana.
D’altronde Cristo Gesù non ha detto forse che i Giudei del suo tempo avevano venduto la verità per un briciolo di considerazione umana. Essi avevano anteposto la gloria degli uomini alla gloria di Dio. La considerazione degli uomini era più importante per loro della considerazione di Dio.
Essi non si vantavano nel Signore, si vantavano negli uomini. Questo vanto ha un prezzo altissimo da pagare ed è il prezzo della vendita alla falsità del Vangelo di Dio e della sua verità.
[18]perché non colui che si raccomanda da sé viene approvato, ma colui che il Signore raccomanda.
Si raccomanda da sé colui che cerca la gloria degli uomini. È raccomandato da Dio chi invece cerca la gloria di Dio.
La gloria degli uomini si può ottenere solo con la falsità, l’inganno, il travisamento della verità e del Vangelo.
La gloria invece che viene da Dio si ottiene attraverso il compimento fedele dei comandamenti, attraverso il permanere nella verità, per mezzo della predicazione di questa verità al mondo intero.
Solo così uno può essere raccomandato da Dio. Raccomandato equivale anche ad essere riconosciuto come vero, giusto, santo, degno di lode e di fiducia, meritevole di un premio eterno.
Gesù ci dice nel Vangelo che lui non raccomanderà nessuno presso il Padre suo tra coloro che non lo hanno raccomandato secondo verità presso gli uomini. Se uno non ha testimoniato Cristo sulla terra, neanche lui lo testimonierà nel cielo, nel giorno del giudizio finale.
D’altronde il principio che Paolo qui enuncia, merita di essere considerato sotto tutt’altro aspetto, cioè da un punto di vista meramente umano.
Raccomandarsi da sé è vera opera di stoltezza. Solo il superbo e il millantatore, il vanaglorioso e il borioso possono raccomandarsi da sé, farsi la pubblicità personale.
Costoro non avranno successo, perché al momento della prova saranno trovati mancanti in ogni cosa.
Farsi raccomandare da altri, equivale a ricevere una bella testimonianza dalla storia. La storia ha visto quanto valiamo, ci giudica per quel che realmente siamo e secondo questo metro di valutazione oggettiva essa ci raccomanda alla stessa storia, perché si possa servire di noi per tutto ciò che noi abbiamo dimostrato di saper e poter fare.
Così dicasi anche nel campo religioso. Offrire se stessi e presentarsi come coloro che valgono è la più grande stoltezza. Nessuno può raccomandarsi da sé agli altri, è ben giusto che sia il Signore a raccomandarci e il Signore ci raccomanda se ci trova fedeli in ogni opera che lui ci ha comandato di fare.
Su questo dovremmo tutti riflettere un po’. Si assiste a volte a scene di pura ipocrisia. Ognuno raccomanda l’altro per avere a sua volta una raccomandazione. Fa tutto questo adulando, per essere a sua volta adulato.
Ma questo non è comportamento evangelico; è quell’agire umano attraverso il quale ognuno desidera la gloria dagli altri e per questo è anche obbligato a darla. Ma facendo questo si manifesta e si rivela quella superbia che è in noi e che altro non desidera che venire soffocata dalla gloria degli altri.
Che il Signore ci liberi da tanta stoltezza e ci dia la saggezza del cuore che è ricerca della vera gloria che viene da Lui e che si ottiene attraverso il compimento della sua sola volontà per tutti i giorni della nostra vita.
Che il Signore ci approvi per l’eternità e ci introduca nel suo regno dal primo istante della nostra morte. È questa l’approvazione verso cui tendere ininterrottamente, anche a costo di versare il nostro sangue pur di rimanere fedeli alla Parola di Dio, che è Parola di Cristo, che è Parola della Chiesa, Parola che deve brillare nella nostra mente e nel nostro cuore fino agli ultimi istanti della nostra vita.