00 11/01/2012 12:50
CRISTO È IL SALVATORE
[5]Non certo a degli angeli egli ha assoggettato il mondo futuro, del quale parliamo.
Il mondo futuro è la vita eterna. Cristo è l’erede della vita eterna. Non solo è erede, Lui stesso è la nostra vita eterna, perché Lui è la vita.
Lui è la vita. La vita è in Lui. È data per mezzo di Lui. Si vive oggi e nell’eternità in Lui, con Lui, per Lui, nel suo corpo glorioso e immortale, incorruttibile e spirituale. Anche la nostra risurrezione è nella sua, per la sua, ad immagine perfetta di essa.
Gli Angeli di tutto questo mistero che si compie in Cristo sono dei fruitori, ma non attori. Anche loro fruiscono nella gioia la gloria che si espande nel Cielo dalla risurrezione di Cristo Gesù e dalla Sua Signoria. Non sono attori, perché loro non sono eredi, non sono né la vita eterna, né la fonte di questa vita.
Anche loro sono creature e come ogni altra creatura, ricevono la vita da Cristo, perché anche per loro Cristo è la vita e la luce della loro eternità.
Tutto è stato fatto per mezzo di Cristo, ma anche per Cristo, per Lui. Gli Angeli sono parte di questo tutto, assieme agli uomini.
Gli Angeli quindi non sono gli eredi di Dio, il mondo futuro non è stato loro assoggettato. Questa verità serve all’Autore per mettere ancora una volta in risalto la differenza sostanziale che esiste tra Cristo e gli Angeli.
Cristo è fonte, sorgente, autore, erede della vita eterna. Gli Angeli godono di questa vita perché la ricevono in dono. Tutto in loro è per dono. Tutto in Cristo è per sorgente eterna.
[6]Anzi, qualcuno in un passo ha testimoniato: Che cos'è l'uomo perché ti ricordi di lui o il figlio dell'uomo perché tu te ne curi? [7]Di poco l'hai fatto inferiore agli angeli, di gloria e di onore l'hai coronato [8]e hai posto ogni cosa sotto i suoi piedi. Avendogli assoggettato ogni cosa, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso. Tuttavia al presente non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa.
È questo il Salmo 8, che così recita per intero: “Al maestro di coro. Sul canto: I Torchi.... Salmo. Di Davide. O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra: sopra i cieli si innalza la tua magnificenza. Con la bocca dei bimbi e dei lattanti affermi la tua potenza contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli. Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi; tutti i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna; Gli uccelli del cielo e i pesci del mare, che percorrono le vie del mare. O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra”.
Il Salmista osserva la creazione e vede che essa è stata posta sotto la signoria dell’uomo.
Questa è la grandezza, la vera grandezza dell’uomo. Tuttavia quest’uomo elevato in una così eccelsa dignità, è visto fatto poco meno degli Angeli. Questi sono superiori agli uomini.
L’Autore cita questo salmo non tanto per magnificare la grandezza dell’uomo, quanto per affermare che tutti gli uomini sono inferiori agli Angeli, mentre il solo Cristo è superiore a loro.
Cristo è sopra gli Angeli non solo in ragione della sua divinità, per la quale Egli è il loro Creatore, Signore, Dio. Ma anche in ragione della sua umanità, elevata sopra i cori degli Angeli e fatta sedere alla destra della Maestà divina.
[8]Avendogli assoggettato ogni cosa, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso. Tuttavia al presente non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa.
Tutto è di Cristo. Ogni cosa che esiste è stata sottomessa a Cristo, assoggetta a Lui. Questa sottomissione a Cristo vale anche per gli Angeli.
Il ragionamento dell’Autore è sottile. Non dobbiamo mai dimenticare qual è il suo intento: quello di affermare la superiorità della Parola di Cristo rispetto a quella degli Angeli; o se si preferisce: della superiorità della Sua rivelazione per rapporto ad ogni rivelazione precedente.
Con la conseguente deduzione: se gli Ebrei hanno accolto la rivelazione che Dio ha fatto loro per mezzo degli Angeli, quanto più essi non dovranno accogliere la Parola della salvezza, Parola di Dio ultima e definitiva dataci per mezzo di Cristo Signore?
La presente economia della salvezza non si è ancora conclusa nella sua definitività escatologica. Viviamo nel tempo, siamo in cammino verso la pienezza e ancora siamo con gli occhi della carne e non vediamo ancora come ogni cosa è già stata sottomessa a Cristo Signore.
La presente economia si vive nella fede e la fede è nella Parola, in tutto ciò che la Parola ci dice. La fede non è visione di una realtà che si compie. La fede è invece accoglienza di una Parola che deve compiersi tutta in noi e per mezzo nostro nel mondo intero.
Quando saremo nel mondo della realtà celeste, solo allora vedremo la verità di ogni parola del Vangelo, scopriremo che realmente ogni cosa è stata sottomessa a Cristo Signore.
La fede è tutta riposta in Dio che parla, non nell’uomo che vede. La fede è data a Dio. La Parola è di Dio, alla Parola si concede la fede. La visione è dell’uomo, alla visione non si concede fede, perché ciò che è visto non è più oggetto di fede.
Pietro non crede in Gesù, lo vede. Crede nella Parola di Gesù che ascolta, ma che non vede ancora realizzata. Crede perché sa che solo nella Parola di Gesù è la vita eterna per ogni uomo. “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”. È questa la fede.
[9]Però quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo ora coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti.
Questo versetto ci annunzia due verità:
- Quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo ora coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto,
perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti.
È questa l’esaltazione della sua umanità, conformemente a quanto ci insegna San Paolo nella Lettera ai Filippesi (cfr. 2,5-11): “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre”.
Cristo, nella morte dona tutto se stesso al Padre. Nella risurrezione il Padre dona a Cristo tutta la sua gloria eterna. Lo riveste di sé.
Questo innalzamento pone Cristo Gesù, come vero uomo, oltre che vero ed eterno Dio, al di sopra di tutto l’universo creato. Angeli e demoni, peccatori e giusti, salvati e dannati piegano le ginocchia dinanzi alla sua gloria e lo proclamano loro Signore, Dio, Giudice.
Fino a questo momento si è parlato solo di rivelazione – in questi ultimi tempi Dio ha parlato per mezzo del Figlio Suo – ora viene introdotto il tema centrale della Lettera: la redenzione operata sulla croce e tutto ciò che con essa è connesso.
La prima verità è questa: la morte di Cristo è per noi tutti. L’Autore dice: “Perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti”.
Con queste parole l’Autore legge la morte di Cristo secondo il mistero della espiazione vicaria, manifestata in modo mirabile dal profeta Isaia (cfr. 52,13-53,12):
“Ecco, il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e molto innalzato. Come molti si stupirono di lui tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell'uomo così si meraviglieranno di lui molte genti; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un fatto mai ad essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito.
Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? E` cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.
Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà  salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti.
Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua sorte? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per l'iniquità del mio popolo fu percosso a morte. Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca. Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori”.
L’Autore ci dice anche che tutto questo è stato possibile per grazia e la grazia è di Dio.
Quest’ultima verità ci deve convincere che non solo la missione è grazia, è grazia la vocazione e anche il compimento di essa secondo pienezza di perfezione e di attuazione.
Se è grazia, a Dio bisogna chiederla, da Lui impetrarla con preghiera costante, assidua, ininterrotta.
È Dio che deve operare in noi il volere e l’agire, i pensieri e la volontà devono essere perennemente affidati a Lui.
Ora ci interessa sapere che la morte di Gesù è stata vissuta per noi assieme all’altra verità che tutto ciò è stato possibile solo per grazia di Dio. Sarà l’Autore a dirci ogni altra cosa a suo tempo, seguendo la forza del suo ragionamento.

Perché Cristo ha sofferto
[10]Ed era ben giusto che colui, per il quale e del quale sono tutte le cose, volendo portare molti figli alla gloria, rendesse perfetto mediante la sofferenza il capo che li ha guidati alla salvezza.
Questo versetto merita alcune puntualizzazioni.
Tutto ciò che avviene in Cristo è per noi ed è dato solo per grazia. Niente ci è dovuto da Lui per giustizia, per merito, per acquisizione.
Perché allora l’Autore parla di cosa giusta, o semplicemente: perché dalla legge della carità passa a quella della giustizia?
Il soggetto di questo verso è Dio Padre.
Dio Padre è colui per il quale e dal quale sono tutte le cose. Ogni cosa che esiste Dio l’ha fatta per se, perché manifestasse nel creato la sua gloria.
Ogni cosa creata viene da Lui. Lui è il solo Signore, il solo Creatore, il solo ed unico Dio di tutto ciò che esiste.
Così inizia il nostro credo: “Credo in un solo Dio, Padre Onnipotente, Creatore di tutte le cose visibili e invisibili”.
L’Autore continua, dicendo che era ben giusto che Dio “volendo portare molti figli alla gloria, rendesse perfetto mediante la sofferenza il capo che li ha guidati alla salvezza”.
Era giusto cosa? Perché?
La risposta a questa domanda ci aiuta a comprendere secondo verità il mistero di Cristo e ad amarlo con vero amore.
Il Figlio del Padre incarnandosi si è fatto Figlio dell’uomo, vero uomo, in tutto a noi simile, tranne che nel peccato.
Ogni uomo deve a Dio il dono della sua obbedienza, del suo amore, del suo rispetto. Ogni uomo deve compiere tutta e solo la volontà di Dio.
La prima verità è questa: Dio vuole portare i suoi figli alla gloria, li vuole cioè portare nella sua eternità, nella sua vita, nella sua santità. Questa è la gloria che Dio vuole donare alla creatura fatta a sua immagine e somiglianza.
La seconda verità dice che: Cristo Gesù, il Figlio di Dio fattosi Figlio dell’uomo, di questa salvezza è il capo.
Capo è da intendere qui in un duplice senso: di mediatore, e anche di testa. Lui, Gesù, del corpo che è la Chiesa è il capo dal quale fluisce ogni vita; Lui della Chiesa è anche il Salvatore, il Redentore. In tal senso è Colui che non solo procura la salvezza per il suo sacrificio, ma anche la dona.
Tutto è per Cristo, tutto è in Cristo, tutto è con Cristo, ma anche tutto da Cristo, come origine, fonte. Cristo è capo dell’umanità nuova, perché è la fonte, la sorgente della nuova umanità.
È capo dei figli di Dio, quindi loro fratello. È il fratello tra i molti fratelli. È il fratello Capo, ma anche il fratello Mediatore, il Fratello fonte e sorgente, il Fratello dal cui sacrificio la salvezza ha origine.
Ancora però non si è data risposta alla domanda: “era ben giusto che rendesse perfetto mediante la sofferenza il capo che li ha guidati alla salvezza”.
La perfezione è nell’obbedienza, non nella sofferenza. La perfezione è nell’amore, non nel dolore.
La sofferenza, il dolore, la passione, la croce di Cristo si interpongono tra Lui e il Padre come ostacolo, impedimento, tentazione all’obbedienza e all’amore.
Fino a che punto il Figlio dell’uomo è capace di amare il Suo Dio e Signore, il Padre Suo? Qual è il grado di obbedienza che Egli potrà raggiungere?
La risposta è una sola: ogni obbedienza, ogni amore, sino alla fine, sino alla morte di croce.
Questa è la perfezione di Cristo: l’obbedienza sino alla morte di croce, fino all’annientamento di sé. Lui si è annientato nell’obbedienza.
In questa obbedienza è divenuto modello, esempio per il mondo intero. Lui, vero uomo, ha amato il Padre sino alla morte di croce. Questa perfezione di obbedienza e di amore Egli chiede ad ogni altro uomo.
Chi vuole amare il Padre suo lo deve amare secondo questa intensità di obbedienza. Se questa obbedienza non è sino alla fine, non è neanche perfetta, o semplicemente non è più obbedienza. Manca ad essa la perfezione e quando l’obbedienza manca nella perfezione, non è più obbedienza, perché è sottrazione della nostra volontà al Padre celeste. Questa è la verità di Cristo, alla cui perfezione anche noi siamo chiamati. Chi non raggiunge questa verità, non è perfetto nell’amore, semplicemente non ama il Signore con l’intensità e la perfezione di obbedienza di Cristo. Il suo è un amore incapace di donare salvezza.
[11]Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli,
Chi santifica è Cristo. Santifica perché è Capo, Fonte, Origine, Mediatore dell’unica salvezza del Padre.
I santificati sono tutti coloro che dopo aver accolto la Parola di vita, si sono lasciati immergere nelle acque del battesimo e sono nati da acqua e da Spirito Santo.
Con una puntualizzazione: la santità iniziale, quella battesimale, deve trasformarsi in santità di fede, di obbedienza, di amore, deve divenire offerta della nostra vita al Padre, in una obbedienza perfetta alla Sua volontà.
A questa santificazione per mezzo della fede, dell’ascolto, delle opere ogni battezzato è chiamato.
Senza la santificazione per mezzo della fede, che è ascolto ed obbedienza, la santità battesimale non conduce alla gloria del cielo, nel Paradiso, perché viene perduta con il primo peccato mortale, con ogni altra grave disobbedienza alla Legge del Signore.
Chi santifica e chi è santificato proviene dalla stessa origine. L’origine è duplice: da Dio e dall’uomo.
Ogni uomo è creatura di Dio. Ogni uomo è figlio di Adamo. Anche Cristo Gesù è figlio di Adamo, divenuto figlio di Abramo, figlio di Davide, ma prima che figlio di Davide e di Abramo, è figlio di Adamo.
In quanto figlio di Adamo è il Salvatore di ogni altro figlio di Adamo, cioè di ogni suo fratello, perché ogni uomo è figlio di Adamo.
Questa verità è mirabilmente espressa nel Vangelo secondo Luca, che fa risalire la genealogia di Cristo Gesù fino a Dio, anche in quanto uomo (cfr. Lc 3,23-38):
“Gesù quando incominciò il suo ministero aveva circa trent'anni ed era figlio, come si credeva, di Giuseppe, figlio di Eli, figlio di Mattàt, figlio di Levi, figlio di Melchi, figlio di Innài, figlio di Giuseppe, figlio di Mattatìa, figlio di Amos, figlio di Naum, figlio di Esli, figlio di Naggài, figlio di Maat, figlio di Mattatìa, figlio di Semèin, figlio di Iosek, figlio di Ioda, figlio di Ioanan, figlio di Resa, figlio di Zorobabèle, figlio di Salatiel, figlio di Neri, figlio di Melchi, figlio di Addi, figlio di Cosam, figlio di Elmadàm, figlio di Er, figlio di Gesù, figlio di Elièzer, figlio di Iorim, figlio di Mattàt, figlio di Levi, figlio di Simeone, figlio di Giuda, figlio di Giuseppe, figlio di Ionam, figlio di Eliacim, figlio di Melèa, figlio di Menna, figlio di Mattatà, figlio di Natàm, figlio di Davide, figlio di Iesse, figlio di Obed, figlio di Booz, figlio di Sala, figlio di Naàsson, figlio di Aminadàb, figlio di Admin, figlio di Arni, figlio di Esrom, figlio di Fares, figlio di Giuda, figlio di Giacobbe, figlio di Isacco, figlio di Abramo, figlio di Tare, figlio di Nacor, figlio di Seruk, figlio di Ragau, figlio di Falek, figlio di Eber, figlio di Sala, figlio di Cainam, figlio di Arfàcsad, figlio di Sem, figlio di Noè, figlio di Lamech, figlio di Matusalemme, figlio di Enoch, figlio di Iaret, figlio di Malleèl, figlio di Cainam, figlio di Enos, figlio di Set, figlio di Adamo, figlio di Dio”.
È la vera figliolanza e discendenza da Adamo che fa sì che Cristo Gesù sia nostro vero fratello.
È questa figliolanza che lo costituisce nostro vero Salvatore. Cristo, vero uomo, è vero Salvatore di ogni altro uomo e solo Lui, perché solo Lui è Capo, solo Lui è anche Dio e nessun altro.
[12]dicendo: Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo all'assemblea canterò le tue lodi;
Questo versetto è tratto dal Salmo 21. È il Salmo della sofferenza del giusto. Ma è anche il Salmo dell’Evangelizzazione della salvezza e dell’opera che Dio compie proprio in virtù della sofferenza del giusto.
Il giusto sofferente loda il Signore perché lo ha “glorificato” e “liberato” dalla sofferenza, facendolo però passare attraverso di essa.
Ma anche annunzia ai fratelli il grande mistero dell’amore di Dio che libera e che salva. La sofferenza non è morte per l’uomo, bensì inizio della vera vita.
“Al maestro del coro. Sull'aria: Cerva dell'aurora. Salmo. Di Davide. Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Tu sei lontano dalla mia salvezza: sono le parole del mio lamento. Dio mio, invoco di giorno e non rispondi, grido di notte e non trovo riposo. Eppure tu abiti la santa dimora, tu, lode di Israele. In te hanno sperato i nostri padri, hanno sperato e tu li hai liberati; a te gridarono e furono salvati, sperando in te non rimasero delusi.
Ma io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo. Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo: Si è affidato al Signore, lui lo scampi; lo liberi, se è suo amico. Sei tu che mi hai tratto dal grembo, mi hai fatto riposare sul petto di mia madre. Al mio nascere tu mi hai raccolto, dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio. Da me non stare lontano, poiché l'angoscia è vicina e nessuno mi aiuta.
Mi circondano tori numerosi, mi assediano tori di Basan. Spalancano contro di me la loro bocca come leone che sbrana e ruggisce. Come acqua sono versato, sono slogate tutte le mie ossa. Il mio cuore è come cera, si fonde in mezzo alle mie viscere. E` arido come un coccio il mio palato, la mia lingua si è incollata alla gola, su polvere di morte mi hai deposto. Un branco di cani mi circonda, mi assedia una banda di malvagi; hanno forato le mie mani e i miei piedi, posso contare tutte le mie ossa. Essi mi guardano, mi osservano: si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la sorte. Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, accorri in mio aiuto. Scampami dalla spada, dalle unghie del cane la mia vita. Salvami dalla bocca del leone e dalle corna dei bufali. Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'assemblea. Lodate il Signore, voi che lo temete, gli dia gloria la stirpe di Giacobbe, lo tema tutta la stirpe di Israele; perché egli non ha disprezzato né sdegnato l'afflizione del misero, non gli ha nascosto il suo volto, ma, al suo grido d'aiuto, lo ha esaudito.
Sei tu la mia lode nella grande assemblea, scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli. I poveri mangeranno e saranno saziati, loderanno il Signore quanti lo cercano: Viva il loro cuore per sempre. Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra, si prostreranno davanti a lui tutte le famiglie dei popoli. Poiché il regno è del Signore, egli domina su tutte le nazioni. A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra, davanti a lui si curveranno quanti discendono nella polvere. E io vivrò per lui, lo servirà la mia discendenza. Si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunzieranno la sua giustizia; al popolo che nascerà diranno: Ecco l'opera del Signore!”.
Ciò che è importante per la trattazione in oggetto è proprio il tema dell’evangelizzazione della grazia di Dio e della sua opera ai fratelli.
Chi sono evangelizzati sono i fratelli. Cristo Gesù non è un estraneo. È il fratello. È il fratello che ci annuncia la salvezza del Padre.
Ce l’annunzia passando Lui attraverso la sofferenza e venendo liberato dal Padre. Ora ogni fratello di Cristo lo sa: Dio, il Padre, è Colui che libera dalla sofferenza facendo passare attraverso la sofferenza.
Verità importante è anche questa: fratello di Cristo è ogni uomo, anche i discendenti di Abramo sono fratelli di Cristo, non sono estranei a Lui, né loro devono considerarlo un estraneo.
È il loro fratello, il Capo, che deve guidare alla salvezza e che ora annunzia loro la via della salvezza che Dio ha compiuto nella sua sofferenza.
[13]e ancora: Io metterò la mia fiducia in lui; e inoltre: Eccoci, io e i figli che Dio mi ha dato.
Questo versetto è tratto da Isaia (cfr. 8,1-23):
“Il Signore mi disse: Prenditi una grande tavoletta e scrivici con caratteri ordinari: A Mahèr-salàl-cash-baz. Io mi presi testimoni fidati, il sacerdote Uria e Zaccaria figlio di Iebarachìa. Poi mi unii alla profetessa, la quale concepì e partorì un figlio. Il Signore mi disse: Chiamalo Mahèr-salàl-cash-baz, poiché, prima che il bambino sappia dire babbo e mamma, le ricchezze di Damasco e le spoglie di Samaria saranno portate davanti al re di Assiria.
Il Signore mi disse di nuovo: Poiché questo popolo ha rigettato le acque di Siloe, che scorrono piano, e trema per Rezìn e per il figlio di Romelia, per questo, ecco, il Signore gonfierà contro di loro le acque del fiume, impetuose e abbondanti: cioè il re assiro con tutto il suo splendore, irromperà in tutti i suoi canali e strariperà da tutte le sue sponde.
Penetrerà in Giuda, lo inonderà e lo attraverserà fino a giungere al collo. Le sue ali distese copriranno tutta l'estensione del tuo paese, Emmanuele. Sappiatelo, popoli: sarete frantumati; ascoltate voi tutte, nazioni lontane, cingete le armi e sarete frantumate. Preparate un piano, sarà senza effetti; fate un proclama, non si realizzerà, perché Dio è con noi.
Poiché così il Signore mi disse, quando mi aveva preso per mano e mi aveva proibito di incamminarmi nella via di questo popolo: Non chiamate congiura ciò che questo popolo chiama congiura, non temete ciò che esso teme e non abbiate paura.
Il Signore degli eserciti, lui solo ritenete santo. Egli sia l'oggetto del vostro timore, della vostra paura. Egli sarà laccio e pietra d'inciampo e scoglio che fa cadere per le due case di Israele, laccio e trabocchetto per chi abita in Gerusalemme. Tra di loro molti inciamperanno, cadranno e si sfracelleranno, saranno presi e catturati. Si chiuda questa testimonianza, si sigilli questa rivelazione nel cuore dei miei discepoli.
Io ho fiducia nel Signore, che ha nascosto il volto alla casa di Giacobbe, e spero in lui. Ecco, io e i figli che il Signore mi ha dato, siamo segni e presagi per Israele da parte del Signore degli eserciti, che abita sul monte Sion. Quando vi diranno: Interrogate gli spiriti e gli indovini che bisbigliano e mormorano formule. Forse un popolo non deve consultare i suoi dei? Per i vivi consultare i morti?, attenetevi alla rivelazione, alla testimonianza. Certo, faranno questo discorso che non offre speranza d'aurora. Egli si aggirerà nel paese oppresso e affamato, e, quando sarà affamato e preso dall'ira, maledirà il suo re e il suo dio. Guarderà in alto e rivolgerà lo sguardo sulla terra ed ecco angustia e tenebre e oscurità desolante. Ma la caligine sarà dissipata, poiché non ci sarà più oscurità dove ora è angoscia. In passato umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano e la curva di Goim”.
Dinanzi alla non fede generale, che trova soluzioni di salvezza non in Dio, Isaia annunzia la grande verità: la fiducia è solo nel Signore. Di questa fiducia di salvezza lui e i suoi figli sono un segno.
In ordine al tema che l’Autore sta trattando, la citazione di questo capitolo di Isaia ha un solo importante significato: affermare che non ci sono altre salvezze, perché l’unica salvezza è quella evangelizzata da Cristo Signore, compiuta da Lui.
In questa salvezza tutti i figli di Abramo devono porre lo loro fiducia. Non si devono comportare come i loro padri, che posero la fiducia fuori di Dio e della sua santissima volontà.
Ancora una volta è ribadita la vera figliolanza di Cristo da Adamo, oltre che da Dio.
[14]Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch'egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo,
La comune figliolanza è anche comunione di carne e di sangue.
Cristo con l’umanità intera partecipa il sangue e la carne. La carne e il sangue di Cristo sono carne e sangue della natura umana.
Essendo in tutto partecipe della nostra carne e del nostro sangue, tranne che nel peccato, ed essendo anche Egli in grado di portare alla perfezione la sua carne e il suo sangue, quelli propri della sua natura, egli può ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo.
È detto espressamente che il Figlio di Dio può ridurre all’impotenza il diavolo che ha il potere sulla morte proprio in ragione del suo essere figlio dell’uomo, perché degli uomini partecipa la carne e il sangue che sono soggetti alla morte, il cui potere è ora nelle mani del diavolo.
Portando, mediante la morte sofferta, la sua carne e il suo sangue nell’obbedienza al Padre, il peccato non ha potere su di Cristo. Non avendo potere il peccato, neanche il diavolo ha il potere e se non ha potere il diavolo neanche la morte.
L’obbedienza di Cristo, o la morte di Cristo vissuta nella perfezione di obbedienza al Padre, ha liberato la sua carne e il suo sangue dal potere del diavolo e nella sua carne e nel suo sangue ogni altra carne e ogni altro sangue vengono liberati.
Vengono liberati dal potere del diavolo, che è il peccato. Liberi dal peccato, sono anche liberi dalla vera morte che è quella eterna. Dalla morte nel tempo non siamo liberati, perché quella bisogna viverla alla maniera di Cristo Gesù, cioè nella perfetta obbedienza al Padre, per essere eternamente liberati dal potere del diavolo e dalla morte eterna che è sotto il potere del diavolo.
È quanto viene affermato con chiarezza nel versetto seguente:
[15]e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita.
Ora è giusto che ci chiediamo come avviene questa liberazione e cosa comporta.
Prima di tutto è giusto precisare che sotto il dominio della schiavitù del peccato e della morte è ogni uomo. Ogni uomo è figlio di Adamo. Ogni uomo ha ereditato la morte.
Da questa schiavitù e da questo timore nessuno si può liberare da sé. La liberazione è per dono, per grazia, per misericordia di Dio.
Tutti devono essere liberati da Cristo. Tutti si devono lasciare liberare da Lui. Tutti devono accogliere la liberazione che Cristo ha loro procurato.
L’universalità della morte e della grazia è la verità della nostra fede. Senza questa verità la nostra fede non sarebbe assoluta, non sarebbe neanche fede.
La fede è fede perché è universale, è per tutti, per ogni uomo, indistintamente, di ogni razza e tribù. È universale perché riguarda l’uomo e non un uomo, riguarda tutti gli uomini e non degli uomini particolari.
La liberazione avviene per grazia, cioè per dono di Dio. Questo dono lo ha meritato Cristo Gesù per noi. Dio, generandoci a suoi figli adottivi in Cristo, ci dona il merito e il frutto dell’obbedienza di Cristo.
Come la prima nascita, quella secondo la carne, conferisce ad ogni uomo il demerito e la disubbidienza di Adamo, lo fa cioè erede della sua morte e della sua disobbedienza, per cui ogni uomo nasce nel peccato, con le conseguenze del peccato che sono la concupiscenza e l’inclinazione al male, così la seconda nascita, quella da acqua e da Spirito Santo, in Cristo, per mezzo di Cristo, conferisce l’obbedienza di Cristo e la vittoria sul peccato di Cristo, assieme alla forza di Cristo perché anche noi come Lui possiamo vincere la concupiscenza e debellare il peccato nella nostra carne.
Debellando il peccato, vinciamo anche la morte. Quella del corpo non è più morte, ma un addormentarsi nel Signore in attesa di essere in Lui risuscitati nell’ultimo giorno ed entrare in corpo ed anima nella gloria del Cielo.
Così l’uomo passa dall’eredità di Adamo all’eredità di Cristo, deve passare però attraverso la nascita e senza nascita non c’è il dono dell’eredità di Cristo e l’uomo vive solo la prima eredità, quella del peccato e della morte.
Questa verità ci conduce ad un’altra verità. La nascita da acqua e da Spirito Santo non è facoltativa, è obbligatoria per ricevere l’eredità di Cristo. Nessuna eredità è possibile senza questa nascita spirituale, o rigenerazione per mezzo della fede.
Questa seconda nascita è finalizzata a vivere secondo l’eredità di Cristo, perché questa è la vera salvezza. L’eredità di Cristo è una sola: la vittoria sul peccato e sulla morte.
Un cristiano che non vive di vittoria sul peccato, non vive neanche di vittoria sulla morte. È un cristiano non cristiano. È uno che ha ricevuto l’eredità di Cristo, ma non vive secondo questa eredità.
Chi non vive secondo l’eredità di Cristo, di sicuro vive secondo l’eredità di Adamo; vive nel peccato e nella sua concupiscenza di un tempo, per consumare i suoi giorni nell’idolatria, nella fragilità, nella non vittoria sul peccato e sulla morte.
È questa la più grave tra tutte le eresie che sono nate nel lungo corso della storia della Chiesa. È una eresia così subdola, così sottile, così perniciosa che non solo ha invaso la coscienza dei semplici e di coloro che hanno una conoscenza assai povera della nostra fede, quanto si è fatta strada nella mente dei sapienti e degli intelligenti, anche nei maestri del sapere teologico e questi la insegnano con disinvoltura, rinnegando così la verità sull’eredità secondo Cristo.
È necessario affermare questa verità con fermezza, con decisione. Non c’è fede se non si crede che l’eredità di Cristo è data per vincere l’eredità secondo Adamo, per distruggere l’uomo vecchio che si corrompe dietro le passioni ingannatrici in modo che solo l’uomo nuovo viva in noi, l’uomo nato secondo Cristo e la sua eredità, che è eredità di obbedienza sino alla morte e alla morte di croce, per il compimento pieno e perfetto della volontà del Padre.
Questa eredità Cristo l’ha guadagnata per se stesso con la sua obbedienza sulla croce. È infatti sulla croce che egli ha sconfitto il peccato in modo definitivo, per sempre, nel suo corpo e nella sua vita.
A tutti coloro che credono nel suo nome e accolgono la sua Parola, egli ne fa dono, introducendoli nel mistero della sua stessa vita. Un uomo è libero quando vive la vita di Cristo, se non vive questa vita in nessun modo potrà dirsi libero. Egli è nella schiavitù del peccato e della morte. La redenzione per Lui è stata data vanamente, per nulla.
Il versetto parla di quelli che “per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita”. Costoro libera Gesù. Costoro sono tutti gli uomini. Lo si è già detto: la liberazione è per ogni uomo, per tutti gli uomini indistintamente.
È giusto chiedersi: perché proprio per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita?
La spiegazione non può essere che una sola: la morte è il frutto del peccato. Questa morte non è solamente la separazione dell’anima dal corpo, cioè la morte fisica, è anche la separazione che avviene all’interno dell’uomo tra le sue facoltà spirituali con il conseguente loro indebolimento e fragilità.
Questo indebolimento ha portato l’uomo a non pensare secondo verità; addirittura lo ha portato al non pensiero, alla non razionalità, alla non intelligenza.
Lo ha portato fino all’idolatria che è la negazione assoluta della verità dell’uomo stesso e non soltanto di Dio.
Il versetto si potrebbe così spiegare: volendo l’uomo vincere ad ogni costo la morte (per timore della morte) si è consegnato ad ogni genere di idolatria e di peccato e questo altro non ha fatto se non aumentare la propria morte spirituale. Ciò che lui pensava via per liberarsi dalla morte diveniva strada per immergersi sempre più profondamente in essa, senza alcuna possibilità di poterne uscire.
È impossibile uscire da se stessi dalla morte ereditata da Adamo. Questa impossibilità si moltiplica nel momento in cui un uomo commette un peccato personale. Si passa in questo caso dall’eredità di Adamo all’eredità personale. Si cammina di morte in morte e dal peccato originale si passa al peccato attuale, che comporta la personale responsabilità dinanzi a Dio.
Il timore della morte che porta l’uomo di peccato in peccato lo rende ancora più fortemente schiavo del peccato e della morte.
Da tutto questo ci libera il Signore, donandoci la sua eredità, facendoci nascere secondo la fede, generandoci in Lui alla grazia e alla verità.
[16]Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura.
Viene affermato in questo versetto che la redenzione di Cristo è solo per la stirpe di Abramo, non per gli Angeli.
Dicendo che Gesù si prende cura della stirpe di Abramo non si vuole delimitare il campo di azione della redenzione, ma semplicemente operare una distinzione netta tra gli angeli e l’uomo.
Cristo è venuto per l’uomo, non per gli angeli; è venuto per ogni uomo in particolare, indistintamente per tutti, nessuno escluso. Egli è il Salvatore dell’uomo. Questa è la verità su Cristo Gesù e sulla sua missione di liberazione e di salvezza.
L’angelo non può essere redento, per due motivi: perché non ha discendenza, essendo ognuno creato direttamente da Dio – negli angeli non c’è generazione – e anche perché loro non hanno storia, non hanno divenire. Il loro peccato fu eterno, come eterno fu il loro superamento della prova.
Cristo può essere nostro Salvatore proprio in virtù della carne che ha assunto. La sua carne è la nostra carne. La carne che ha peccato è la carne che supera ora la tentazione e vive un’obbedienza a Dio fino al dono totale di sé.
Ma qui entriamo nel mistero più profondo della salvezza, il cui fondamento supremo ultimo è la giustizia.
Non c’è salvezza senza giustizia. La carne di Cristo rende giustizia a Dio e può cancellare l’altra ingiustizia, commessa dalla stessa carne in Adamo.
Man mano che la trattazione si fa più chiara, puntuale ed esplicita saranno offerti altri elementi di riflessione per una comprensione più grande possibile ad una mente umana del mistero della redenzione, perché di vero mistero si tratta.
Quanti hanno perso il senso del mistero della redenzione altro non fanno che dire una moltitudine di parole vane che non danno né verità, né salvezza e lasciano l’uomo nella morte della disobbedienza e del peccato.
Se invece si ha una idea chiara del mistero, si comprende anche perché non c’è redenzione senza pentimento e non c’è giustificazione senza obbedienza, come anche non c’è liberazione dalla morte se non nella conversione e nella fede.
Queste molteplici verità sono come scomparse dalla mente credente, da qui la grande confusione e soprattutto l’impossibilità che la redenzione di Cristo possa divenire vera redenzione dell’uomo.
[17]Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo.
La similitudine di Cristo a noi in tutto è necessaria per l’espiazione dei peccati dell’umanità intera.
L’espiazione non è per un popolo, ma del popolo, cioè di ogni uomo. Questa è la prima verità.
Questa espiazione non può essere fatta se non dalla carne che ha peccato. La carne pecca, la carne espia.
Ma la carne che ha peccato non può espiare, perché è nella morte, nel peccato, nella disobbedienza.
Chi è nella disobbedienza, nel peccato, nella morte non può espiare. Lui stesso ha bisogno di espiazione, di liberazione dal peccato.
Questa è verità fondamentale. Chi è nella morte non può espiare né per sé né per gli altri.
Da qui la “nuova creazione” di Dio, o l’Incarnazione del Figlio dell’Altissimo. Per l’espiazione di Cristo, Dio fa sì che la Vergine Maria sia concepita senza peccato, Immacolata, purissima.
Dalla carne purissima di Maria nasce nella carne purissima il Figlio dell’Altissimo, nasce senza peccato, senza macchia, senza colpa. Nasce con una carne capace di espiazione, di liberare il mondo dal peccato.
In questo versetto è detto che è per la carne che il Figlio di Dio può diventare sommo sacerdote.
Il sommo sacerdote aveva come mansione, ministero, proprio quello di espiare i peccati del suo popolo.
Cristo nasce con il ministero di espiare i peccati del mondo. Questa è già una prima differenza.
La seconda differenza è nel modo attraverso cui l’espiazione si compie: non attraverso il sangue dei tori e dei vitelli, ma per mezzo del proprio sangue.
Ora ci interessa solo annunziare questa seconda differenza. Nei capitoli che seguiranno essa sarà oggetto di una trattazione lunga e particolareggiata.
Vengono annunziate due caratteristiche di Cristo sommo sacerdote: egli è misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio.
Per la sua misericordia, il suo amore egli si sostituisce a noi, a ciascuno di noi in particolare. Cristo Gesù ha preso il posto di ciascuno di noi. È come se in Lui ognuno di noi si fosse offerto nella sua carne al Padre per la propria redenzione.
È questa la misericordia di Gesù Signore. La seconda caratteristica, o qualità di Cristo è la sua fedeltà nelle cose che riguardano Dio.
Riguarda Dio una cosa sola: la conoscenza e l’insegnamento della sua volontà assieme al compimento perfetto di essa.
Gesù fedelmente insegna la volontà di Dio, fedelmente la conosce, fedelmente la vive. In ogni sua parte la conosce, in ogni sua parte la insegna, in ogni sua parte la vive.
Da sempre l’uomo in questa fedeltà si trova in difetto. È un difetto tanto grande che arriva al punto o dell’annullamento della volontà di Dio, o della sostituzione totale, completa, tutta intera.
È verità: nessuno può portare salvezza in questo mondo se manca della fedeltà nelle cose che riguardano Dio.
È verità: nessuno può portare salvezza se non si veste di misericordia, di carità. È misericordioso e caritatevole chi è capace di prendere il posto dell’altro ed espiare per lui ogni sua colpa e ogni suo peccato.
La conclusione non può essere che una sola: la salvezza in questo mondo la può compiere chi conosce, dona e vive tutta la Parola di Dio e in questo dono totale prende il posto dell’altro ed espia il suo peccato in una carne santa.
Nessuna salvezza sarà mai possibile da una carne che non è santa, pienamente santa, libera anche dai più piccoli peccati, anche quelli invisibili ad occhio umano, ma che la coscienza sa che sono in noi e dai quali urge liberarsi, proprio a motivo dell’alto ministero che ci è stato affidato di portare salvezza in questo mondo in Cristo, con Cristo, per Cristo, alla maniera di Gesù Signore, il solo ed unico Salvatore e Redentore dell’umanità.
[18]Infatti proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.
In questo versetto ancora siamo nei preliminari. Non si è entrati nella trattazione vera e propria del tema dell’espiazione vicaria, o della purificazione dei peccati attraverso l’offerta sacrificale della propria vita al Padre.
La salvezza viene vista ora in senso morale, o di carità. Precisamente: il Figlio di Dio è vero uomo. La verità della sua umanità è dato essenziale nella confessione della sua identità.
Se Cristo non fosse vero uomo, in nessun modo avrebbe potuto aiutarci e così ci sarebbe stato inutile se non fosse vero Dio. La salvezza è dal vero Dio che si fa vero uomo, ma anche dal vero uomo che vive da vero uomo.
Chi vive da vero uomo? Chi stabilisce un rapporto di vera obbedienza con Dio.
L’umanità è vera nell’atto della confessione della sua origine da Dio e del suo essere da Dio sempre. Si è da Dio se si è dalla sua Parola, oggi, in ogni istante, in ogni tempo.
Chi non è dalla Parola di Dio, non è neanche dalla vita di Dio, dalla sua verità e quindi rimane nella falsità della sua umanità. È una umanità falsa, bugiarda, erronea, non veritiera quella che non è oggi, in questo istante, dalla Parola di Dio.
Non solo bisogna pensarsi dalla volontà di Dio, il pensiero deve divenire atto, realizzazione, compimento della volontà di Dio. Nel compimento di sé da Dio, si è in Dio, si è per il Signore.
Gesù, vero uomo, rimane nella verità della sua umanità. Vi rimane perché è sempre dal compimento della volontà del Padre. Lui vive nella volontà del Padre per il compimento della volontà del Padre.
Avendo sperimentato su di sé la grande sofferenza della croce al fine di rimanere nella volontà del Padre, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.
Gesù sa quanto è dura la prova della fedeltà. Per Lui è stata dura una morte di croce, tra supplizi e ogni genere di sofferenza sia fisica che morale.
Sapendo questo, viene in aiuto alla “sua carne”, ai “suoi fratelli”, donando loro la sua forza, il suo aiuto, il suo Santo Spirito, la sua grazia.
Tutto dona di sé ai suoi fratelli: la sua morte per l’espiazione dei loro peccati; la sua vita per la loro vittoria sul peccato e sulla morte.
Fa tutto questo per il suo grande amore, la sua misericordia, la sua compassione.
Fa tutto questo perché è in grado di poterlo fare. Lo può fare a motivo del frutto di grazia e di verità che Lui ha maturato per noi sulla croce. Lo si è già detto: la carne che ha sofferto sulla croce è la nostra carne. Nella sua carne santissima la nostra è stata già redenta e santificata.
Si tratta ora di fare propria ognuno, attraverso la conversione e la fede, questa redenzione e santificazione e produrre anche noi frutti di verità e di grazia nella santità della vita.
In questo versetto preme cogliere una sola verità: Cristo può venire in nostro aiuto a motivo della sofferenza.
Da puntualizzare però che non è la sofferenza in sé che salva. Salva quella sofferenza che è generata nella sua carne dalla più pura e più perfetta obbedienza al Padre.
Tutta la sofferenza di Cristo nasce da questa obbedienza. Senza obbedienza non c’è sofferenza redentrice.
Prova di obbedienza, obbedienza alla volontà di Dio, sofferenza per il compimento della volontà di Dio nella fedeltà assoluta, compimento della volontà di Dio attraverso e nella nostra carne santa: sono questi gli elementi che permettono che si possa parlare di redenzione.
Se uno solo di questi elementi manca, nessuna redenzione sarà mai possibile.