00 11/01/2012 23:06
NUOVA ESORTAZIONE
[9]Quanto a voi però, carissimi, anche se parliamo così, siamo certi che sono in voi cose migliori e che portano alla salvezza.
Fin qui l’Autore ha annunziato un principio di ordine generale: chi cade dalla fede deve sapere che non può ritornare in essa senza una seconda grazia di Dio.
Non si ritorna nella fede per volontà dell’uomo, si ritorna per grazia del Signore.
Questo principio lui però non lo applica ai destinatari della Lettera. Perché?
Il motivo ce lo indica lui stesso: quanto a voi, però, anche se parliamo così = anche se vi abbiamo annunziato un principio di ordine generale, questo principio non si applica.
Da noi non viene applicato al vostro caso perché siamo certi che sono in voi cose migliori e che portano alla salvezza = ci sono in voi delle opere fatte che sono per voi come un memoriale di grazia e di misericordia presso Dio.
In altre parole: Dio non dimentica il bene fatto da voi e se voi non perseverate nell’errore, nella falsità, nell’inganno, se voi avete il desiderio di ritornare nella retta fede, Lui vi concede la grazia della conversione e del vostro ritorno nella verità piena.
La verità che l’Autore rivela è questa: c’è la tentazione, la fragilità, la miseria dell’uomo che lo conducono ad abbandonare la retta fede professata.
L’amore di un tempo, la misericordia e la carità vissute, le opere buone compiute, il Vangelo annunziato con purezza di intenzione, non vanno mai perduti dinanzi al Signore.
Sono come un memoriale alla Sua presenza. Lui vede le opere di bene compiute e si ricorda di noi. Il ricordo di Dio è sempre di bontà e di compassione.
Se l’uomo non si ostina nella cattiva fede e nella falsità, se con umiltà riconosce il suo errore e l’abbandono della retta fede, il Signore lo ricolma di grazia e lo salva.
Non è forse questo l’insegnamento che Cristo stesso ci ha donato attraverso la Parabola del Figliol prodigo?
Il Padre non accoglie forse il figlio perduto e morto perché nella sua grande umiltà e pentimento decise di far ritorno nella casa del Padre? Ma non è stato forse il Padre ad aiutarlo con la sua grazia in questo cammino di conversione?
L’umiltà di un uomo è la sua vera grandezza. L’opera buona è vero memoriale dinanzi a Dio, nel Cielo. È questo il motivo per cui dobbiamo riempire i nostri giorni di queste opere. Esse mai vanno perdute dinanzi al Signore.
Le cose migliori sono le opere buone compiute e queste opere buone conducono alla salvezza, sempre però che nel cuore dell’uomo vi sia l’umiltà di ritornare al Signore.
La Lettera che l’Autore sta scrivendo loro con tanto amore e dedizione non è forse una seconda grazia di Dio?
[10]Dio infatti non è ingiusto da dimenticare il vostro lavoro e la carità che avete dimostrato verso il suo nome, con i servizi che avete reso e rendete tuttora ai santi.
Qui viene messo in luce il rapporto che esiste tra grazia di Dio e opere buone.
Questo rapporto è di giustizia.
Di giustizia però non per rapporto alla prima grazia: quella è solo pura misericordia e carità, purissimo amore gratuito.
La grazia della giustificazione e della partecipazione della divina natura è per merito di Cristo, non nostro. Noi eravamo morti a causa dei nostri peccati.
Risorti a vita nuova in Cristo, se nello Spirito Santo, abbiamo iniziato a portare a compimento la verità di cui il Signore ci ha fatto dono, producendo ogni opera di giustizia, di carità, nella santità del corpo e dell’anima, noi abbiamo fruttificato un merito dinanzi a Dio.
Su questo merito si fonda la nostra giustizia di essere nuovamente aiutati da Dio, sempre per grazia, a rientrare nella verità, rientrando nella Parola di Suo Figlio Gesù, per viverla in ogni sua parte.
Altra verità che l’Autore rivela in questo versetto è questa: uno cade dalla fede, per tentazione, per fragilità, per debolezza.
Può succedere e di fatto succede spesso. Una cosa però cui deve fare molta attenzione è questa: non cadere mai dalla carità, mai dall’amore. Non si cade dall’amore e dalla carità se si continua a perseverare nel compimento delle opere buone.
Queste opere buone rendono gloria al Signore e il Signore non può dimenticarle. Non le dimentica aggiungendo grazia su grazia perché presto possa compiersi il miracolo del ritorno pieno nella fede e nella verità di Cristo Gesù.
In tal senso Dio non è ingiusto: al bene risponde con il bene e il suo bene è una più grande elargizione di grazia perché colui che è caduto dalla fede possa ritornare in essa.
Uno sa ora come costruirsi un ponte perenne per raggiungere l’altra riva della retta fede: rimanere seÿÿÿÿÿÿÿÿÿÿ opere buone, da compiere ogni gÿÿrno verso tutti.
È questo l’insegnamento della Scrittura (At e NT), che ci dice che la carità copre una moltitudine di peccati.
La carità ha un grande valore presso Dio. Essa è via sicura di salvezza. Dio è carità e chi ama veramente otterrà sempre misericordia da parte di Dio.
D’altronde Gesù non ha proclamato la beatitudine della misericordia? “Beati i misericordiosi perché otterranno misericordia”.
L’uomo è misericordioso con i suoi fratelli; Dio al momento opportuno sarà misericordioso con lui. È questa la grande giustizia di Dio: concedere misericordia a chi vive di misericordia; essere pietoso verso chi ha pietà dei suoi fratelli. Questo è il Vangelo.
Dio è giusto perché non dimentica “il vostro lavoro e la carità che avete dimostrato verso il suo nome, con i servizi che avete reso e rendete tuttora ai santi”.
[11]Soltanto desideriamo che ciascuno di voi dimostri il medesimo zelo perché la sua speranza abbia compimento sino alla fine,
Il pericolo della perdizione, quando si cade dalla fede, rimane ed è questo: non avere la forza spirituale e morale di ritornare nella verità di un tempo.
Invece la forza di andare ogni giorno avanti aumenta e si ingrandisce se il credente vive con zelo sempre più crescente la sua appartenenza a Cristo e, perseverando sino alla fine, raggiunga la meta della sua speranza, che si compie solo nel cielo.
Lo zelo è virtù dell’anima che incendia e consuma tutte le energie spirituali di un uomo, fino al perseguimento della vita eterna in Paradiso.
Il primo zelo deve essere per tutti un desiderio ardente di crescere nella fede e nella verità in modo da poter amare il Signore sempre in perfetta obbedienza alla sua volontà.
Il secondo zelo è quello di trasformare la fede in carità, in amore verso Dio, in ascolto di ogni sua Parola e in messa in pratica di tutta la sua volontà.
Il terzo zelo, ma solo per ordine, è quello di avere un fuoco dentro che ci spinge verso il raggiungimento di Cristo, per essere trasformati in Lui nella Sua risurrezione gloriosa.
Questo zelo deve essere visibile. Tutti devono poterlo percepire. Tutti devono accorgersi che noi crediamo nella Parola di Gesù, la trasformiamo in opere di amore e di carità, siamo liberi dalla terra e dalle sue preoccupazioni perché il nostro pensiero, assieme al nostro spirito, è nel Cielo, con Cristo, in Dio.
Vivendo così la tentazione difficilmente potrà avere presa nel nostro cuore. La vita secondo la fede è infatti il primo e il più potente baluardo contro il male.
L’Autore dice questo perché c’è in lui una seria preoccupazione: vede in loro un lassismo veritativo, o addirittura una caduta dalla verità, che non fa presagire nulla di buono.
Quando si cade dalla verità, ben presto si abbandona la retta fede, si vive secondo i propri pensieri, viene meno la legge dell’obbedienza e quindi del vero amore e ci si inabissa in una immoralità grande. Sempre si diventa immorali, quando la verità e la fede non sono forti in noi. Sempre c’è un rilassamento morale quando c’è un rilassamento nella fede e nella verità.
La cosa più strana, cui è dato di assistere nel mondo cristiano, è questa: si pretende abolire il lassismo morale, o il suo rilassamento, annunziando solo una morale.
La morale cristiana nasce dalla Parola. Alla Parola si crede o non si crede. La Parola creduta fa la nostra morale. La Parola non creduta ci fa immorali, perché ci priva di ogni punto vero di riferimento per tutti i nostri comportamenti.
La forza morale del cristiano è la sua fede. Se questa è forte, lui è forte anche nella morale. Se è debole, lui è moralmente debole, se non immorale del tutto.
Oggi che nel mondo cristiano non c’è fede, non c’è neanche morale. Alcuni vorrebbero partire da una morale minima per giungere alla fede. È questo di sicuro un processo sbagliato, erroneo.
Bisogna sempre partire dalla fede per giungere alla morale. La fede dice riferimento esclusivo alla Parola di Dio rivelata oggi in Cristo Gesù.
La Chiesa è obbligata a predicare la sua morale fondandola sulla fede. La fede deve essere fondata sulla Parola. La Parola va predicata a tutti, perché si convertano. La conversione è a Cristo nella Sua Parola.
[12]e perché non diventiate pigri, ma piuttosto imitatori di coloro che con la fede e la perseveranza divengono eredi delle promesse.
La pigrizia è un vizio brutto. Attraverso di essa ci si abbandona all’ignavia e questa sovente finisce nell’accidia spirituale.
La pigrizia è prima di tutto della mente, poi del cuore. Cuore e mente impigriscono la volontà. Volontà, cuore e mente intorpidiscono tutto il corpo che si abbandona al vizio, ad ogni vizio.
La pigrizia, quando prende radice in un uomo, ne priva la vita di ogni vera finalità.
L’Autore invece vuole, o desidera, che quanti hanno abbracciato la fede nella Parola di Gesù Signore, poiché sono di origine Ebraica, diventino imitatori di coloro che con la fede e la perseveranza divengono eredi delle promesse.
Costoro sono i santi, i giusti, gli uomini di Dio non solo del Nuovo Testamento, quanto piuttosto dell’Antico.
Lo attesta il suo elogio sugli uomini di fede che possiamo leggere sempre in questa Lettera a partire dal capitolo 11.
L’imitazione è nella fede e nella perseveranza. Fede e perseveranza ci costituiscono eredi delle promesse.
La fede è nella Parola di Cristo. La perseveranza è il cammino nella Parola di Gesù. La Parola accolta e vissuta ci dona la vita eterna oggi sulla terra e domani nella sua forma compiuta nel Paradiso.
Si chiede di essere imitatori di chi? Di Noè, di Abramo, di Giacobbe, di Mosè, dei Giudici, di Samuele, di Davide, dei Profeti, di tutti i giusti dell’Antico Testamento, ma anche di quanti ogni giorno sotto i loro occhi venivano esposti al martirio e loro si lasciavano uccidere per mantenere ferma la professione della loro fede in Gesù Signore.
Di tutto questo si parlerà a suo tempo, quando saranno commentate le parole dello stesso Autore.
Ora preme affermare una importante verità: l’esemplarità nella fede non solo è cosa buona, è anche necessaria.
Un solo esempio di retta fede vissuta può trascinare molte persone non solo a perseverare nella fede, quanto anche ad abbracciarla.
La perseveranza di uno può divenire forza per un altro. Questa scienza e questa convinzione deve farsi largo nel nostro cuore.
Vale anche il discorso contrario: la pigrizia nella fede e la caduta da essa producono spesso disastri incalcolabili, ma anche irreparabili.
L’esemplarità nella perseveranza ci dice che è possibile andare fino in fondo e dona coraggio, speranza, consistenza veritativa al nostro cammino.
Con la fede e la perseveranza si diviene eredi delle promesse. Le promesse sono quelle di Dio nell’Antico Testamento e che hanno per oggetto “la benedizione nella discendenza di Abramo”.
Sono anche quelle di Cristo nel Vangelo e che possiamo trovare tutte nelle Beatitudini.
L’Autore in questo contesto, però, non sembra interessarsi alle promesse di Gesù secondo il Nuovo Testamento.
Il fine e lo scopo di ogni suo interessamento, attualmente è uno solo: convincere i destinatati della sua Lettera che le promesse di Dio, la sua vera ed unica eredità è Cristo Signore, è la benedizione in Cristo, è la salvezza in Cristo.
È giusto che lo si segua nel suo ragionamento, o argomentazione.
[13]Quando infatti Dio fece la promessa ad Abramo, non potendo giurare per uno superiore a sé, giurò per se stesso, [14]dicendo: Ti benedirò e ti moltiplicherò molto.
Leggiamo prima le esatte parole della promessa e poi si azzarderà qualche parola di commento, per una più perfetta comprensione:
La prima parola della promessa la troviamo in Gn c. 17: “Quando Abram ebbe novantanove anni, il Signore gli apparve e gli disse: Io sono Dio onnipotente: cammina davanti a me e sii integro. Porrò la mia alleanza tra me e te e ti renderò numeroso molto, molto. Subito Abram si prostrò con il viso a terra e Dio parlò con lui: Eccomi: la mia alleanza è con te e sarai padre di una moltitudine di popoli. Non ti chiamerai più Abram ma ti chiamerai Abraham perché padre di una moltitudine di popoli ti renderò. E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te nasceranno dei re. Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te. Darò a te e alla tua discendenza dopo di te il paese dove sei straniero, tutto il paese di Canaan in possesso perenne; sarò il vostro Dio.
Disse Dio ad Abramo: Da parte tua devi osservare la mia alleanza, tu e la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione. Questa è la mia alleanza che dovete osservare, alleanza tra me e voi e la tua discendenza dopo di te: sia circonciso tra di voi ogni maschio. Vi lascerete circoncidere la carne del vostro membro e ciò sarà il segno dell'alleanza tra me e voi. Quando avrà otto giorni, sarà circonciso tra di voi ogni maschio di generazione in generazione, tanto quello nato in casa come quello comperato con denaro da qualunque straniero che non sia della tua stirpe. Deve essere circonciso chi è nato in casa e chi viene comperato con denaro; così la mia alleanza sussisterà nella vostra carne come alleanza perenne. Il maschio non circonciso, di cui cioè non sarà stata circoncisa la carne del membro, sia eliminato dal suo popolo: ha violato la mia alleanza.
Dio aggiunse ad Abramo: Quanto a Sarai tua moglie, non la chiamerai più Sarai, ma Sara. Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni e re di popoli nasceranno da lei.
Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: Ad uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all'età di novanta anni potrà partorire? Abramo disse a Dio: Se almeno Ismaele potesse vivere davanti a te! E Dio disse: No, Sara, tua moglie, ti partorirà un figlio e lo chiamerai Isacco. Io stabilirò la mia alleanza con lui come alleanza perenne, per essere il Dio suo e della sua discendenza dopo di lui. Anche riguardo a Ismaele io ti ho esaudito: ecco, io lo benedico e lo renderò fecondo e molto, molto numeroso: dodici principi egli genererà e di lui farò una grande nazione. Ma stabilirò la mia alleanza con Isacco, che Sara ti partorirà a questa data l'anno venturo. Dio terminò così di parlare con lui e, salendo in alto, lasciò Abramo.
Allora Abramo prese Ismaele suo figlio e tutti i nati nella sua casa e tutti quelli comperati con il suo denaro, tutti i maschi appartenenti al personale della casa di Abramo, e circoncise la carne del loro membro in quello stesso giorno, come Dio gli aveva detto. Ora Abramo aveva novantanove anni, quando si fece circoncidere la carne del membro. Ismaele suo figlio aveva tredici anni quando gli fu circoncisa la carne del membro. In quello stesso giorno furono circoncisi Abramo e Ismaele suo figlio. E tutti gli uomini della sua casa, i nati in casa e i comperati con denaro dagli stranieri, furono circoncisi con lui.
Questa parola della promessa è stata proferita quando l’Alleanza con Abramo era già stata stipulata (cfr. Gen. 15,1-21):
“Dopo tali fatti, questa parola del Signore fu rivolta ad Abram in visione: Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande. Rispose Abram: Mio Signore Dio, che mi darai? Io me ne vado senza figli e l'erede della mia casa è Eliezer di Damasco. Soggiunse Abram: Ecco a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede.
Ed ecco gli fu rivolta questa parola dal Signore: Non costui sarà il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede. Poi lo condusse fuori e gli disse: Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle e soggiunse: Tale sarà la tua discendenza. Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.
E gli disse: Io sono il Signore che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questo paese. Rispose: Signore mio Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso? Gli disse: Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un piccione. Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all'altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calavano su quei cadaveri, ma Abram li scacciava.
Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco un oscuro terrore lo assalì. Allora il Signore disse ad Abram: Sappi che i tuoi discendenti saranno forestieri in un paese non loro; saranno fatti schiavi e saranno oppressi per quattrocento anni. Ma la nazione che essi avranno servito, la giudicherò io: dopo, essi usciranno con grandi ricchezze. Quanto a te, andrai in pace presso i tuoi padri; sarai sepolto dopo una vecchiaia felice. Alla quarta generazione torneranno qui, perché l'iniquità degli Amorrei non ha ancora raggiunto il colmo. Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un forno fumante e una fiaccola ardente passarono in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse questa alleanza con Abram: Alla tua discendenza io do questo paese dal fiume d'Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate; il paese dove abitano i Keniti, i Kenizziti, i Kadmoniti, gli Hittiti, i Perizziti, i Refaim, gli Amorrei, i Cananei, i Gergesei, gli Evei e i Gebusei”.
Del giuramento si parla in Gn c. 22: “Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: Abramo, Abramo! Rispose: Eccomi! Riprese: Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va’ nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò.
Abramo si alzò di buon mattino, sellò l'asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l'olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato. Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo. Allora Abramo disse ai suoi servi: Fermatevi qui con l'asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi. Abramo prese la legna dell'olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutt'e due insieme. Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: Padre mio! Rispose: Eccomi, figlio mio. Riprese: Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello per l'olocausto? Abramo rispose: Dio stesso provvederà l'agnello per l'olocausto, figlio mio! Proseguirono tutt'e due insieme; così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l'altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull'altare, sopra la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l'angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: Abramo, Abramo! Rispose: Eccomi! L'angelo disse: Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio.
Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l'ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. Abramo chiamò quel luogo: Il Signore provvede, perciò oggi si dice: Sul monte il Signore provvede. Poi l'angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse: Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio, io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce. Poi Abramo tornò dai suoi servi; insieme si misero in cammino verso Bersabea e Abramo abitò a Bersabea.
Cosa dobbiamo desumere da queste Parole della Scrittura in ordine al pensiero che l’Autore è impegnato a dimostrare?
La prima verità è questa: Dio giura per se stesso. Giurando per se stesso, giura sulla sua verità, sulla sua natura, sulla sua essenza divina.
La verità di Dio è eterna come eterna è la sua Persona. Il suo giuramento è eterno. Se è eterno, è anche incancellabile, irrevocabile.
L’oggetto del giuramento non è direttamente Abramo, è la sua discendenza.
La discendenza di Abramo è Cristo. Cristo è il vero contenuto della promessa di Dio.
È Cristo l’eredità vera di Abramo. Cristo bisogna conseguire, verso Cristo camminare, Cristo accogliere, Cristo ascoltare, Cristo ereditare.
Se è Cristo il contenuto della promessa di Dio, o l’eredità di Abramo, Egli è il “contenuto” di tutta la Rivelazione. Tutta la Rivelazione di Dio parla di Lui, o direttamente, o indirettamente.
La Verità della Scrittura diviene così la Verità di Cristo e la Verità di Cristo è la Verità della Scrittura.
Se la lettura e la comprensione della Scrittura non porta a Cristo, essa è una lettura e una comprensione erronea, falsa, menzognera.
È falsa perché letta e compresa da un cuore che è nella falsità. Non solo è nella falsità, non vuole neanche venire nella verità. È un cuore che rifiuta la verità.
Solo chi rifiuta la verità non proviene a Cristo attraverso la lettura, lo studio, la meditazione, la riflessione della Scrittura.
Chi giura per se steso è Dio. Dio non può né ingannarsi, né ingannare. Dio è verità eterna, assoluta, piena.
Poiché la benedizione di Dio è nella discendenza di Abramo e Cristo è questa discendenza, l’unica, la sola, chi vuole la benedizione deve accogliere Cristo, ascoltare Cristo, adorare Cristo, “inginocchiarsi dinanzi a Cristo”, oggi. Ci si inginocchia dinanzi a Lui, accogliendo nel cuore la Sua Persona, il Suo Mistero, la Sua Missione, comprendendola secondo intelligenza di Spirito Santo e vivendola in ogni suo più piccolo significato di salvezza per noi.
È questa unità di Verità, di Cristo e di Scrittura che consente all’Autore di pervenire al vero insegnamento su Cristo, in modo che i destinatari della sua Lettera si svuotino di ogni dubbio e accolgano Cristo in pienezza di fede, di amore, di verità, di ascolto.
[15]Così, avendo perseverato, Abramo conseguì la promessa.
Quale fu la perseveranza di Abramo? Quella di ascoltare ogni “nuova” Parola di Dio.
Abramo è il Padre nella fede di tutti i credenti, perché lui ci insegna attraverso la sua vita che Dio non si ascolta una volta per tutte. Si ascolta in ogni sua Parola, si ascolta nella Parola che Lui oggi rivolge alle nostre orecchie, o al nostro cuore, o al nostro spirito.
Dio si ascolta in ogni sua rivelazione, diretta o indiretta, fatta a noi per noi e per gli altri, o fatta agli altri per gli altri e per noi.
Se usciamo da questa visione di fede, blocchiamo il cammino di Dio con noi.
Che Dio sarebbe mai il nostro che cammina con noi, se poi non ha più facoltà di parlarci, perché ci ha parlato una volta per tutte?
Può Dio parlare una volta per tutte e poi lasciare alla mente dell’uomo la libertà di interpretare e di comprendere la sua Parola, che partecipa del suo mistero eterno, nel quale mai mente umana ha potuto fissare solamente lo sguardo?
Chi legge la storia di Abramo sa che essa è tutta ed interamente mossa dalla Parola di Dio.
È mossa da Dio la sua uscita dalla terra di Ur dei Caldei. Soprattutto è mossa da Dio l’alleanza che lo costituisce Padre di una moltitudine. È mossa da Dio anche nelle più piccole questioni del quotidiano, specie nella “faccenda” con Ismaele ed Agar. Soprattutto è mossa da Dio quando si trattò di offrire Isacco in sacrificio a Lui sul monte.
Dio parla ed Abramo ascolta, obbedisce, esegue. Dio vuole ed Abramo fa. Dio decide e Abramo realizza, spera, aspetta, attende il compimento della Parola che Dio gli aveva proferito oggi.
Una cosa Abramo ci insegna e dovrà insegnarla ad ogni uomo che viene su questa terra: Non c’è contraddizione nella Parola di Dio. Mai una Parola di Dio nega l’altra, anche se nell’apparenza potrebbe sembrare che sia così.
In questa verità eterna ed assoluta della Parola di Dio e in questa non contraddizione, o non negazione, o abolizione è il fondamento dell’obbedienza di Abramo.
Così Abramo è un esempio per tutti noi della verità di tutta la Parola di Dio e di ogni singola sua Parola. Ma anche è esempio di come si obbedisce sempre all’ultima Parola che Dio ha pronunciato su di noi, sapendo che nessuna delle altre è falsa, o decaduta, o non più realizzabile da parte di Dio. Chi arriva a questa fede è perfetto, perché nell’ultima Parola di Dio è la verità di ogni altra Parola ed è l’ultima Parola che ci dona il vero significato di tutte le altre Parole che Dio ha pronunziato per noi.
Non è facile entrare in questa visione di fede e di verità. Ma bisogna pur impegnarsi ad entrarvi, perché è in questa verità la vita della Parola e la vita della nostra fede nella Parola.
Questo principio vale anche per la Lettura nello Spirito Santo di ogni Parola di Cristo Gesù e di Dio Padre (At e NT).
L’ultima ispirazione dello Spirito, che è sempre in ordine ai tempi e ai luoghi, dona l’ultima pienezza di verità, che non contraddice le altre ispirazioni, ma dona loro compimento più grande, più vero, più autenticamente celeste e divino.
Questo cammino dell’Ispirazione – che è cammino verso la verità tutta intera – dura fino a che l’ultimo uomo sulla terra non avrà reso lo spirito a Dio.
Dall’ispirazione passeremo allora alla visione, ma neanche la visione sarà mai completa, piena. Dio è infinito per ogni creatura e tale resterà per tutta l’eternità. Mai mente creata, neanche per visione, potrà comprendere l’infinità di Dio.
Per tutta l’eternità ci si inabisserà nel suo mistero e sarà sempre nuovo per noi. Questa è la verità di Dio nel tempo e nell’eternità.
Applicando a noi questo principio, si perviene a due verità:
Ogni Parola antica di Dio (VT) parla di Cristo.
Ogni Parola traccia una visione di Lui.
Messe tutte insieme ci danno già un bellissimo quadro della sua Persona e della sua Missione.
Questo quadro però è senza vita. Bisogna aggiungervi tutto il Nuovo Testamento, cioè bisogna guardare quel quadro secondo il “quadro vivente” che è Cristo Gesù e allora anche quel “quadro” comincerà a vivere, perché è Cristo la verità di quel “quadro”, non quel “quadro” la verità di Cristo.
È ciò che fa l’Autore in questa Lettera: possiede il “quadro” di Cristo secondo l’Antico testamento, lo legge secondo “il quadro vivente” che è Cristo della storia e del Nuovo Testamento e quel “quadro” dell’Antica Storia si riempie di vita, diviene anche lui vivente.
La stessa cosa deve operare sempre la Chiesa con l’altro quadro di Cristo che è dalla Sua Tradizione. Essa deve sempre aggiornare il quadro dell’Antico Testamento e del Nuovo, aggiungendo la lettura e la comprensione di ogni tratto che ci dona lo Spirito Santo, oggi, nell’ora attuale dell’uomo.
Così Cristo è vero per ieri, secondo la lettura dello Spirito di Dio; deve essere però anche vero per oggi. Oggi bisogna aggiungervi la lettura e la comprensione secondo lo Spirito di oggi, se vogliamo rimanere nella piena verità di Cristo Gesù.
Fermare la comprensione di Cristo a “ieri” è già non possedere il vero Cristo di oggi, perché oggi lo Spirito di Dio parla, oggi conduce verso la verità tutta intera, oggi bisogna mettersi alla sua scuola, oggi bisogna invocarlo perché ci dia la pienezza della verità su Cristo, perché è in essa la nostra vera vita, la nostra benedizione, la nostra salvezza.
Abramo camminava oggi con Dio. Questo è il suo più grande insegnamento. Questa verità avrebbe voluto Dio insegnare ai suoi figli, sempre rivolti verso il passato a pensare alle cipolle e ai porri dell’Egitto.
È questo l’ammonimento che egli fa giungere loro per mezzo del Profeta Isaia, assieme all’altra verità che annunzia che Dio è con il suo popolo e cammina con esso:
“Ora così dice il Signore che ti ha creato, o Giacobbe, che ti ha plasmato, o Israele: Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare; poiché io sono il Signore tuo Dio, il Santo di Israele, il tuo salvatore. Io do l'Egitto come prezzo per il tuo riscatto, l'Etiopia e Seba al tuo posto.
Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo, do uomini al tuo posto e nazioni in cambio della tua vita. Non temere, perché io sono con te; dall'oriente farò venire la tua stirpe, dall'occidente io ti radunerò. Dirò al settentrione: Restituisci, e al mezzogiorno: Non trattenere; fa’ tornare i miei figli da lontano e le mie figlie dall'estremità della terra, quelli che portano il mio nome e che per la mia gloria ho creato e formato e anche compiuto. Fa’ uscire il popolo cieco, che pure ha occhi, i sordi, che pure hanno orecchi. Si radunino insieme tutti i popoli e si raccolgano le nazioni. Chi può annunziare questo tra di loro e farci udire le cose passate? Presentino i loro testimoni e avranno ragione, ce li facciano udire e avranno detto la verità.
Voi siete i miei testimoni oracolo del Signore miei servi, che io mi sono scelto perché mi conosciate e crediate in me e comprendiate che sono io. Prima di me non fu formato alcun dio né dopo ce ne sarà. Io, io sono il Signore, fuori di me non v'è salvatore. Io ho predetto e ho salvato, mi son fatto sentire e non c'era tra voi alcun dio straniero. Voi siete miei testimoni oracolo del Signore e io sono Dio, sempre il medesimo dall'eternità. Nessuno può sottrarre nulla al mio potere; chi può cambiare quanto io faccio? Così dice il Signore vostro redentore, il Santo di Israele: Per amor vostro l'ho mandato contro Babilonia e farò scendere tutte le loro spranghe, e quanto ai Caldei muterò i loro clamori in lutto. Io sono il Signore, il vostro Santo, il creatore di Israele, il vostro re.
Così dice il Signore che offrì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti che fece uscire carri e cavalli, esercito ed eroi insieme; essi giacciono morti: mai più si rialzeranno; si spensero come un lucignolo, sono estinti. Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi. Invece tu non mi hai invocato, o Giacobbe; anzi ti sei stancato di me, o Israele. Non mi hai portato neppure un agnello per l'olocausto, non mi hai onorato con i tuoi sacrifici. Io non ti ho molestato con richieste di offerte, né ti ho stancato esigendo incenso. Non mi hai acquistato con denaro la cannella, né mi hai saziato con il grasso dei tuoi sacrifici. Ma tu mi hai dato molestia con i peccati, mi hai stancato con le tue iniquità. Io, io cancello i tuoi misfatti, per riguardo a me non ricordo più i tuoi peccati. Fammi ricordare, discutiamo insieme; parla tu per giustificarti. Il tuo primo padre peccò, i tuoi intermediari mi furono ribelli. I tuoi principi hanno profanato il mio santuario; per questo ho votato Giacobbe alla esecrazione, Israele alle ingiurie. (cfr. Is 43,1-28).
È questo il mistero del nostro Dio: Lui è oggi il creatore della nostra vita nella verità, nella grazia, in Cristo, per opera dello Spirito Santo.
[16]Gli uomini infatti giurano per qualcuno maggiore di loro e per loro il giuramento è una garanzia che pone fine ad ogni controversia.
Viene ora precisato cosa è un giuramento. È una garanzia di credibilità fondata non su se stessi, ma su di un altro che è credibile per se stesso.
Giurare su se stessi non ha senso. Basterebbe in questo caso la loro sola parola.
Si giura per chiamare a testimone della verità che si dice una persona che faccia da vero garante, alla quale non si può mentire, perché essa non è ingannabile.
Quando si chiama Dio a testimone, egli non solo è garante della verità, ma è anche vindice della falsità.
In fondo il giuramento è una ricerca di garanzia di verità sulla parola che uno pronuncia. Non essendo l’uomo degno di fiducia per se stesso, perché sovente è un mentitore, si ha bisogno che qualcun altro garantisca per noi, altrimenti non siamo creduti e siamo rifiutati nella parola che proferiamo.
Gesù nel Vangelo vuole che il cristiano non giuri. Perché? Perché vuole che lui sia degno di fiducia per ogni parola che esce dalla sua bocca.
La ragione, o il motivo di questa garanzia che è lui stesso, non si trova in lui, bensì in Dio.
Con il battesimo il cristiano è divenuto partecipe della natura divina. Ora la natura divina è verità. Il cristiano partecipa della verità di Dio per nuova natura generata in lui.
Che partecipazione di natura divina sarebbe la sua se la sua bocca proferisse parole di falsità, di inganno, di menzogna, di errore e di quanto nuoce al fratello?
Se questo avvenisse, sarebbe il suo un vero ritorno nella sua vecchia natura, che è partecipazione della natura di Adamo e non più di quella di Dio.
“Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti; ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (cfr. Mt 5,33-37).
Tuttavia è giusto fare osservare che la “verità” che il cristiano è divenuto, grazie alla sua partecipazione della natura divina, si vive rimanendo nella “verità” che Cristo Gesù ci ha lasciato nella sua Parola.
La verità ontica diviene verità operativa attraverso il compimento di ogni Parola che è uscita dalla bocca di Dio.
La tentazione è proprio questa: far uscire l’uomo dal compimento della Parola perché esca dalla sua verità e ritorni nella falsità di un tempo.
È questo il motivo per cui il cristiano deve garantire sulla sua parola, che è manifestazione, attestazione della verità che è in Lui verità ontica e verità di Parola.
[17]Perciò Dio, volendo mostrare più chiaramente agli eredi della promessa l'irrevocabilità della sua decisione, intervenne con un giuramento [18]perché grazie a due atti irrevocabili, nei quali è impossibile che Dio mentisca, noi che abbiamo cercato rifugio in lui avessimo un grande incoraggiamento nell'afferrarci saldamente alla speranza che ci è posta davanti.
Viene ora puntualizzato perché il Signore intervenne con un giuramento. Dio giurò per se stesso per mostrare più chiaramente agli eredi della promessa l’irrevocabilità della sua decisione.
Qual è questa sua decisione? Quella di benedire in Abramo tutte le genti.
Nell’eredità di Abramo è la benedizione di Dio per ogni uomo e questa promessa è irrevocabile.
Della promessa di Dio e delle forme storiche attraverso le quali essa è stata fatta si è già abbondantemente parlato in precedenza, adducendo anche le testimonianze della Scrittura.
Ora è giusto che ci fermiamo alla verità che l’Autore vuole annunziare ai destinatari della sua Lettera.
La verità è questa:
Dio non mentisce.
La Parola di Dio è vera.
La Parola di Dio è irrevocabile.
Se la Parola di Dio è vera ed è irrevocabile, noi possiamo fondare la nostra speranza su di essa.
L’Autore annunzia una verità che penso sia necessario esplicitare un po’, perché è su di essa che si fonda tutta l’argomentazione della Lettera. Anche di questa verità si è già in qualche modo parlato in precedenza.
Non dobbiamo dimenticare che l’Autore della promessa irrevocabile è Dio.
È lo stesso Dio che ha accreditato Cristo Gesù, il compimento della promessa.
Non c’è un Dio che accredita la promessa e poi Cristo Gesù che annunzia una sua salvezza, o che si proclama come il Salvatore di Israele e del mondo. Chi annunzia la promessa con giuramento irrevocabile e chi garantisce accreditando Cristo Gesù è il solo ed unico Dio.
Chi accredita Cristo è lo stesso Dio che ha parlato ad Abramo, a Giacobbe, a Mosè, a Davide, ai Profeti, a tutti i giusti dell’Antico Testamento.
La fede in Cristo non è fede in Cristo, ma è fede in Dio. Non è fede nel Dio che Cristo ci annunzia, è fede nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. È fede nel Dio di tutto l’Antico Testamento.
La questione cristologica diviene questione teologica in ordine alla fede in Cristo Gesù. In ordine invece alla verità di Dio la questione teologica si fa questione cristologica, perché è da Cristo che si conosce secondo verità il Padre.
Viene così spiegato perché l’Autore dice: “[Perché] noi che abbiamo cercato rifugio in lui avessimo un grande incoraggiamento nell'afferrarci saldamente alla speranza che ci è posta davanti”.
Si parla chiaramente di rifugio in Dio. Dio giura in nostro favore e questo giuramento ci dona un grande incoraggiamento nell’affermarci saldamente alla speranza che ci è posta davanti.
Qual è la speranza che ci è posta davanti? Essa è una sola: la promessa della benedizione nella discendenza di Abramo, che poi diverrà discendenza di Davide, Gesù Cristo nostro Signore. Non per nulla lo stesso Matteo che scrive il suo Vangelo per gli Ebrei inizia la narrazione partendo dalla genealogia che risale, o meglio comincia proprio da Abramo:
“Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esròm, Esròm generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmòn, Salmòn generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide. Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asàf, Asàf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, Ozia generò Ioatam, Ioatam generò Acaz, Acaz generò Ezechia, Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel, Salatiel generò Zorobabèle, Zorobabèle generò Abiùd, Abiùd generò Elìacim, Elìacim generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo. La somma di tutte le generazioni, da Abramo a Davide, è così di quattordici; da Davide fino alla deportazione in Babilonia è ancora di quattordici; dalla deportazione in Babilonia a Cristo è, infine, di quattordici. (cfr. Mt 1,1-17).
La conclusione non può essere che una sola: Cristo è la nostra speranza. Cristo è posto dinanzi ai nostri occhi. A Cristo dobbiamo ora rivolgere ogni nostra attenzione, perché è Lui la benedizione, la promessa, la speranza, la salvezza. È in Lui che ogni Parola di Dio trova compimento, realizzazione.
Chi non fa questo passaggio rimane fuori, totalmente fuori, della vera fede nel Dio di Abramo, perché il Dio di Abramo è il Dio di Gesù Cristo, non perché Gesù Cristo abbia scelto di essere del Dio di Abramo, ma perché il Dio di Abramo ha chiamato Gesù Cristo eleggendolo a suo Messia, a sua Benedizione in mezzo agli uomini.
[19]In essa infatti noi abbiamo come un’ancora della nostra vita, sicura e salda, la quale penetra fin nell'interno del velo del santuario,
La promessa di Dio fatta ad Abramo è l’ancora della nostra vita. È questa un’ancora sicura e salda.
Chi si aggrappa ad essa, supererà ogni tempesta e condurrà la sua nave nel porto del cielo.
Penetra fin nel porto del cielo, perché quest’ancora è già penetrata nel santuario, è già nel cielo.
Per questo la promessa è salda ed è sicura, perché Cristo, che è l’oggetto e il contenuto della promessa, che è la promessa di Dio per ogni uomo, è già nel cielo.
L’immagine dell’ancora sicura e salda che penetra fin nell’interno del velo del santuario è tratta da una delle funzioni del sommo sacerdote, il quale poteva, lui solo, entrare nel santo dei santi, dove si riteneva abitasse Dio sulla terra e proprio nel tempio di Gerusalemme, per compiere il grande rito dell’espiazione.
Perché ognuno possa avere un’idea molto chiara a riguardo, citiamo un breve passaggio, partendo proprio dal grande giorno dell’espiazione, che avveniva una volta l’anno:
“Il Signore parlò a Mosè dopo che i due figli di Aronne erano morti mentre presentavano un'offerta davanti al Signore. Il Signore disse a Mosè: Parla ad Aronne, tuo fratello, e digli di non entrare in qualunque tempo nel santuario, oltre il velo, davanti al coperchio che è sull'arca; altrimenti potrebbe morire, quando io apparirò nella nuvola sul coperchio.
Aronne entrerà nel santuario in questo modo: prenderà un giovenco per il sacrificio espiatorio e un ariete per l'olocausto. Si metterà la tunica sacra di lino, indosserà sul corpo i calzoni di lino, si cingerà della cintura di lino e si metterà in capo il turbante di lino. Sono queste le vesti sacre che indosserà dopo essersi lavato la persona con l'acqua. Aronne offrirà dunque il proprio giovenco in sacrificio espiatorio per sé e, fatta l'espiazione per sé e per la sua casa, immolerà il giovenco del sacrificio espiatorio per sé. Poi prenderà l'incensiere pieno di brace tolta dall'altare davanti al Signore e due manciate di incenso odoroso polverizzato; porterà ogni cosa oltre il velo. Metterà l'incenso sul fuoco davanti al Signore, perché la nube dell'incenso copra il coperchio che è sull'arca e così non muoia. Poi prenderà un po’ di sangue del giovenco e ne aspergerà con il dito il coperchio dal lato d'oriente e farà sette volte l'aspersione del sangue con il dito, davanti al coperchio. Poi immolerà il capro del sacrificio espiatorio, quello per il popolo, e ne porterà il sangue oltre il velo; farà con questo sangue quello che ha fatto con il sangue del giovenco: lo aspergerà sul coperchio e davanti al coperchio.
Così farà l'espiazione sul santuario per l'impurità degli Israeliti, per le loro trasgressioni e per tutti i loro peccati. Lo stesso farà per la tenda del convegno che si trova fra di loro, in mezzo alle loro impurità.
Nella tenda del convegno non dovrà esserci alcuno, da quando egli entrerà nel santuario per farvi il rito espiatorio, finché egli non sia uscito e non abbia compiuto il rito espiatorio per sé, per la sua casa e per tutta la comunità d'Israele. Uscito dunque verso l'altare, che è davanti al Signore, compirà il rito espiatorio per esso, prendendo il sangue del giovenco e il sangue del capro e bagnandone intorno i corni dell'altare. Farà per sette volte l'aspersione del sangue con il dito sopra l'altare; così lo purificherà e lo santificherà dalle impurità degli Israeliti” (cfr Lev 16, 1-3.11-19).
Gesù non entrò nel santuario della terra, anche se luogo santissimo della presenza di Dio.
Egli entrò nel santuario del Cielo, si presentò personalmente presso il Padre suo.
Questa è la differenza tra Aronne e Cristo Signore. È differenza sostanziale perché sostanzialmente differente è già il “luogo” nel quale entra Cristo da quello in cui entrano Aronne e tutti i suoi discendenti.
È questo il motivo per cui bisogna ancorarsi alla promessa ed è anche questo il motivo per cui essa è ben salda, sicura.
Questa promessa ci ancora al Cielo, perché nel Cielo ci introduce in Cristo. Se Cristo è nel cielo e se solo la fede in Lui ci conduce nel cielo, se noi ci distacchiamo da Cristo Gesù, chi ci introdurrà nel Cielo?
Nessuno. Il sacerdozio alla maniera di Aronne non ha questa missione: quella cioè di ancorare ciascuno di noi in Cielo, presso Dio.
Il sacerdozio di Aronne era solo per l’espiazione dei peccati, ma l’uomo rimaneva sempre sulla terra, nella sua vecchia e antica natura, quella ereditata da Adamo.
[20]dove Gesù è entrato per noi come precursore, essendo divenuto sommo sacerdote per sempre alla maniera di Melchìsedek.
In questo versetto viene annunziata una verità di fede, mentre un’altra verità è ricordata a suo fondamento e giustificazione.
La verità è questa, anzi sono due:
Cristo è entrato per noi nel cielo.
È entrato come precursore.
Anche in questo c’è una differenza con il sacerdozio alla maniera di Aronne. Aronne entrava anche per sé, per l’espiazione dei propri peccati, per la purificazione di ogni sua colpa. Entrando per sé, entrava anche per il popolo, per compiere il rito dell’espiazione, per implorare da Dio il perdono delle colpe commesse dai figli di Israele.
Altra differenza è questa: Aronne entrava ed usciva. Entrava secondo la Legge e secondo la Legge usciva.
Cristo Gesù e vi rimane in eterno, per sempre. Entra e non esce. Entra per esercitare il suo sacerdozio eterno presso il Padre.
Entra però come nostro precursore, per attrarre presso Dio, o per condurre presso il Padre ciascuno di noi.
Anche questa è differenza sostanziale con il sacerdozio secondo Aronne.
È questo anche il motivo per cui è citato il Salmo 109.
È citato non solo per dire che Gesù è vero sacerdote, perché tale lo ha costituito, lo ha voluto il Signore.
In più è citato per dirci che Gesù non è sacerdote alla maniera di Aronne.
Infine è soprattutto citato per ricordarci che Gesù da Dio è stato fatto sacerdote per sempre.
È questa eternità di Cristo e del suo sacerdozio che dona valore nuovo alla promessa e alla speranza riposta nella promessa.
Si manifesta ancora una volta – ove ce ne fosse bisogno – che la fonte di Cristo è Dio.
È Dio che lo ha costituito sacerdote. È Dio che lo ha valuto alla maniera di Melchisedek. È Dio che lo ha rivestito di un sacerdozio eterno.
È questo il vero motivo per cui senza questa teologia non può esistere vera cristologia.
La prima verità su Cristo è questa: Egli è dal Padre nel Cielo e sulla terra, nel tempo e nell’eternità, nella missione e nelle opere.
Chi crede nel Padre necessariamente deve credere in Cristo, perché Cristo è dal Padre.
La prima, o le prime due verità (entrato nel cielo – come precursore) sono annunzio, Vangelo, testimonianza.
Egli si prefigge ora di “dimostrare” attraverso la Scrittura che queste due verità non sono contro la Scrittura Antica. Sono invece il suo “naturale” frutto, o compimento.
Dimostrata questa intima e vitale connessione, in tutto simile a quella che esiste tra l’albero e il suo frutto, è senza alcuna scusa chi non crede in Cristo, pur continuando a credere nella verità dell’Antico Testamento. È sufficiente lasciarsi condurre dalla “verità dell’Antico Testamento” per approdare alla verità di tutto il Nuovo. La verità di tutto il Nuovo è Cristo Signore.
È all’accoglienza di questa fede che l’Autore vuole condurre i destinatari della Lettera, adoperandosi con ogni argomentazione e deduzione.
La conclusione di questo capitolo non può essere se non questa: chi è caduto dalla fede in Cristo che ritorni in essa.
È Cristo la promessa e la benedizione di Dio.
È Cristo colui che deve introdurci nel Cielo, perché Lui ora è nel Cielo, vi è entrato come Sacerdote Eterno per noi, come precursore, per attrarre ognuno di noi presso il Padre suo.