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OMELIA 5

Chi è nato da Dio...

Chi è nato da Dio non offende la carità. E' perfetta se dispone a donare la propria vita; è agli inizi, se spinge a soccorrere i propri fratelli. E' il segno distintivo del vero cristiano.

[Apparente contraddizione.]

1. Vi prego di ascoltarmi attentamente, perché dobbiamo trattare un problema di non poca importanza. Dato che ieri vi siete mostrati attenti, non dubito che siate venuti anche oggi intenzionati a prestare la massima attenzione. Questo è il nostro problema non piccolo: come conciliare due dichiarazioni contenute nella nostra Epistola. La prima è: Chi è nato da Dio, non pecca (1 Gv 3, 9); la seconda, precedente a quella: Se diremo di non aver peccato, ci inganniamo e la verità non è in noi (1 Gv 1, 8). Che farà colui che si troverà impigliato in testi così opposti della stessa Epistola? Se uno si confesserà peccatore, deve temere che gli si dica: E' segno che non sei nato da Dio, perché sta scritto: Chi è nato da Dio, non pecca. Se uno si dichiara giusto e senza peccato, viene colpito da un'altra parte della stessa Epistola: Se diremo di non aver peccato, ci inganniamo e la verità non è in noi. L'uomo è dunque messo in mezzo a due realtà contrarie per cui non sa che dire, né che cosa dichiararsi, né come definirsi. E' cosa pericolosa ed anche menzognera dichiararsi senza peccato. Inganniamo noi stessi - dice l'Epistola - e la verità non è in noi, se diremo che non abbiamo peccato. Volesse il cielo che di peccati non ne avessi, e che potessi confessarlo! Saresti nella verità, e, dicendo ciò che è vero, non commetteresti la più piccola iniquità! Ma appunto fai male a dire che non hai peccati, perché dici una menzogna: Se diremo di non aver peccato, la verità non è in noi. Non dice il testo: non abbiamo avuto peccati, per non farci credere che parli solo della nostra vita passata. Si potrebbe infatti pensare che questa persona abbia commesso peccati, ma da quando è nata da Dio, non ne ha più commessi. Se le cose stessero così, sarebbe eliminato ogni problema. Potremmo dire: siamo stati peccatori, ma ora siamo stati giustificati; abbiamo avuto il peccato, ma ora non più. Giovanni non si è espresso in questi termini. Che cosa ha detto? Se diremo che non abbiamo peccato, ci inganniamo e la verità non è in noi. Un poco più oltre afferma: Chi è nato da Dio, non pecca. Giovanni stesso, non si può dubitarlo, era nato da Dio. Se si dicesse che non era nato da Dio colui che posò il suo capo sul petto del Signore, chi mai potrà attendersi quel rinnovamento interiore di se stesso, che neppure riuscì a meritare chi posò il suo capo sul petto del Signore? E' mai possibile che il Signore non aveva rigenerato, per mezzo dello Spirito Santo, solo colui che più degli altri amava (cf. Gv 13, 23)?

[Chi è da Dio non offende la carità.]

2. Prestate ora attenzione a queste parole; vi ripeto ancora le mie difficoltà, perché il Signore per merito appunto della vostra attenzione, che è preghiera per noi e per voi, voglia allargarci la via e condurci all'uscita. Questo anche perché non capiti che qualcuno prenda occasione di perdersi proprio da quella parola di Dio, che viene predicata e scritta per la nostra guarigione e salvezza. Dice dunque Giovanni: Chiunque fa il peccato, commette una iniquità (1 Gv 3, 4). Non devi separare: l'iniquità è peccato. Non devi dire: io sono peccatore ma non sono iniquo. Il peccato è una iniquità. Voi sapete che egli si è manifestato per togliere il peccato e che in lui non c'è peccato (1 Gv 3, 5). Che egli sia venuto senza aver peccati sopra di sé è un vantaggio per noi? Ecco: Chi non pecca, rimane in lui; chiunque pecca, non lo vede né lo conosce. Figlioli, nessuno vi inganni. Chi fa la giustizia è giusto, al pari di lui (1 Gv 3, 6-7). Son cose che già abbiamo detto ed abbiamo anche spiegato che questo come non implica uguaglianza ma solo una certa similitudine. Chi fa il peccato, viene dal demonio; perché il demonio pecca fin dall'inizio (1 Gv 3, 8). Abbiamo anche detto che il diavolo non ha creato, né generato nessuno. Ma i suoi imitatori sono come figli che nascono da lui. Per questo si è manifestato il Figlio di Dio, per distruggere le opere del diavolo (1 Gv 3, 8). Colui che non ha peccato è venuto a distruggere i peccati. Giovanni, proseguendo, dice: Chiunque è nato da Dio, non commette peccato, perché in lui rimane il suo seme ed egli non può peccare, perché viene da Dio (1 Gv 3, 9). Queste parole non pecca, ci legano strettamente e ci fanno sorgere il dubbio che egli abbia voluto riferirsi ad un peccato particolare e non al peccato in genere. Quando egli disse: Chi è nato da Dio, non pecca, volle forse significare un determinato e preciso peccato, che l'uomo nato da Dio non può commettere: un peccato di tale natura che, commettendolo, riconferma anche tutti gli altri; non commettendolo, vengono distrutti ed eliminati anche tutti gli altri. Quale peccato dunque? Quello di agire contro il comandamento? Io vi do un comandamento nuovo: che vi amiate l'un l'altro (Gv 13, 34). Comprendetemi: questo comandamento di Cristo si chiama amore ed in virtù di questo amore vengono eliminati i peccati. Non attuare questo amore è grave peccato e costituisce la radice di tutti gli altri peccati.

3. Comprendetemi, o fratelli; vi abbiamo proposto, se vi sforzate di capirla, la soluzione del nostro problema iniziale. Ma vogliamo forse percorrere la via soltanto con i più veloci? Non vogliamo abbandonare neppure quelli di voi che vanno più lenti. Perciò mi soffermerò su questo problema meglio che potrò, perché la sua soluzione sia intesa da tutti. Sono certo, fratelli, che ogni uomo pensa agli interessi della sua anima e, quando si aggrega alla Chiesa, lo fa per uno scopo ben preciso: non per ricercare le cose temporali e neppure perché vuole dedicarsi agli affari di questo mondo ma perché possa trovare la strada per giungere a possedere quel bene eterno, che gli è stato promesso. Bisogna che ognuno osservi come cammina sulla via, se si arresta, se torna indietro, se sbaglia strada, se corre il rischio di non arrivare a causa del suo passo claudicante. L'uomo sollecito del proprio bene, sia che procede lentamente, sia che corra, badi a non abbandonare la giusta via. Ho detto dunque che le parole: Chi è nato da Dio, non pecca, vanno riferite ad un determinato peccato, perché diversamente sarebbe in contraddizione con questa altra dichiarazione: Se diremo di non aver peccato, ci inganniamo e la verità non è in noi. La soluzione del problema può essere questa. C'è un peccato che non può essere commesso da chi è nato da Dio; astenendosene, sono tolti anche tutti gli altri peccati; ma quando lo si commette, anche tutti gli altri peccati vengono confermati. Quale peccato? Agire contro il comandamento di Cristo, contro il testamento nuovo. Ma qual è questo comandamento nuovo? Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate vicendevolmente. Non osi gloriarsi e neppure dirsi nato da Dio, chi agisce contro la carità e l'amore fraterno: chi invece è costante nell'amore fraterno, certi peccati non li può commettere e particolarmente non commetterà il peccato di odiare il proprio fratello. Che ne sarà allora degli altri peccati, dei quali fu detto: Se diremo che non abbiamo peccato ci inganniamo ed in noi non c'è verità? Ebbene c'è una rassicurazione al riguardo, contenuta in un altro passo della Scrittura: La carità copre molti peccati (1 Pt 4, 8).

[La carità perfetta.]

4. Vi raccomandiamo dunque la carità; essa costituisce la raccomandazione fondamentale di questa Epistola. Che cosa chiese il Signore, dopo la sua resurrezione, a Pietro, se non: mi ami tu? Né si limitò a chiederglielo una sola volta; ripeté l'identica richiesta una seconda e una terza volta. Anche se Pietro alla terza identica domanda si mostrò rattristato, quasi incredulo che il Signore ignorasse i suoi sentimenti, egli non pensò di mutare la sua richiesta, dopo la prima e la seconda volta. La paura aveva spinto Pietro a rinnegare tre volte, e tre volte il suo amore doveva dare testimonianza a Gesù (cf. Gv 21, 15-17). Pietro dunque ama il Signore. Che cosa dovrà dare al Signore? Non avrà anch'egli sentito il suo animo in pena, leggendo queste parole del salmo: Che cosa renderò al Signore per tutto quello che mi ha dato? (Sal 115, 12). L'autore di queste parole del salmo sentiva quanto fossero grandi i doni ricevuti da Dio; cercava che cosa restituire a Dio e non lo trovava. Qualunque cosa si scelga per ripagarlo, lo si è ricevuto da lui. Che cosa trovò il salmista per ripagare il Signore? L'abbiamo già detto: proprio ciò che aveva ricevuto da Dio stesso e perciò disse: Io prenderò il calice della salvezza ed invocherò il nome del Signore (Sal 115, 13). E chi gli aveva dato questo calice della salvezza se non lo stesso Signore a cui voleva restituirlo? Prendere il calice della salvezza ed invocare il nome del Signore significa essere ricolmi di carità in tale pienezza che si sia pronti non solo a non odiare il fratello ma a morire per lui. Sta qui la perfezione della carità: essere pronti a morire per il fratello. Il Signore ha dato l'esempio di questa carità, morendo per tutti e pregando per quelli che lo crocifiggevano col dire: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Lc 23, 34). Se lui solo avesse agito così, senza avere dei discepoli che lo imitassero, non sarebbe stato un vero maestro. I suoi discepoli invece, seguendo il suo esempio, fecero appunto la stessa cosa. Quando Stefano veniva lapidato, stando in ginocchio, disse: O Signore, non imputare a loro questo peccato (At 7, 60). Egli esercitava l'amore verso quelli che lo uccidevano, e per essi moriva. Hai l'esempio anche dell'apostolo Paolo, che dice: Io mi sacrificherò interamente per le vostre anime (2 Cor 12, 15). Egli era tra coloro per i quali Stefano pregava, nel momento in cui essi lo facevano morire. Questa dunque è la carità perfetta. Chi avesse una carità tanto grande da essere pronto a morire per i fratelli avrebbe raggiunto la carità perfetta. Questa carità è forse già perfetta al momento stesso in cui nasce? Essa incomincia ad esistere ma le occorre un perfezionamento; viene perciò nutrita, irrobustita e dopo di ciò raggiunge la sua perfezione. E' allora che essa esclama: Per me vivere è Cristo e la morte è un guadagno. Desideravo morire per essere con Cristo: è di gran lunga la cosa migliore: tuttavia è necessario per vostro bene che io rimanga nella carne (Fil 1, 21-24). Egli voleva vivere per quelli in favore dei quali era pronto a morire.

[Imitare la carità di Cristo.]

5. Per far sapere che questa è la perfetta carità che l'uomo nato da Dio non viola e contro la quale non pecca, il Signore disse a Pietro: Pietro, mi ami tu? Rispose: Ti amo (Gv 21, 17). Egli non gli disse: Se mi ami, obbediscimi. Il Signore, quando era in questa nostra carne mortale, sentiva la fame e la sete e in quel tempo egli accettò l'ospitalità: quelli che ne avevano la possibilità gli offrirono le loro cose, come leggiamo nel Vangelo (cf. Lc 8, 3). Zaccheo lo ricevette in casa e fu dal medico, che aveva accolto, guarito dalla malattia. Quale malattia? Quella dell'avarizia. Era una persona ricchissima, un capo dei pubblicani. Ma vedetelo risanato dalla malattia dell'avarizia. Disse: Io do ai poveri la metà dei miei beni; e se a qualcuno rubai qualcosa, gli restituisco il quadruplo (Lc 19, 8). Conservò per sé l'altra metà, non per godersela ma per pagarsi i debiti. Egli accolse il medico in casa: infatti anche il Signore era soggetto alla fragile condizione carnale, cosicché gli uomini potessero prestargli tale ossequio; e questo perché voleva il Signore ricambiare coloro che lo ossequiavano: fu lui, infatti, a giovare loro, e non loro a lui. Non è egli il Signore al quale gli Angeli prestano servizio? Aveva forse bisogno di essere assistito dagli uomini? Elia stesso, che era suo servitore, poté a volte fare a meno di una assistenza del genere, poiché Dio gli mandava pane e carne attraverso un corvo. Ma in altra occasione, per portare a una pia vedova la divina benedizione, questo servo di Dio viene mandato da lei e si fa rifocillare, lui che era nutrito segretamente dal Signore stesso (cf. 1 Sam 17, 4-9). E' vero che i soccorritori dei servi di Dio che prendono a cuore i loro bisogni, fanno il proprio interesse, perché hanno in mente il premio che il Signore promette loro nel Vangelo con chiarissime parole: Chi accoglie un giusto, perché tale, riceverà la ricompensa del giusto; e chi riceve un profeta, perché profeta, riceverà la ricompensa di un profeta; e chi darà un bicchiere di acqua fresca ad uno di questi piccoli, perché sono miei discepoli, vi assicuro, non perderà la ricompensa (Mt 10, 41-42). E' vero dunque che si diportano in questo modo per il proprio interesse, ma, se il Signore doveva ascendere in cielo, essi non potevano più rendergli neppure questi servizi. Pietro che lo amava che cosa poteva rendergli in cambio? Questo: Pasci le mie pecore (Gv 21, 15); cerca cioè di fare per i fratelli ciò che io feci per te. Io li ho redenti tutti col mio sangue; non esitate allora a morire per confessare la verità, e gli altri vi imiteranno.

[La carità è il distintivo del cristiano.]

6. Questa, o fratelli, come abbiamo detto, è la carità perfetta; la possiede chi è nato da Dio. Cerchi la vostra carità di capire il mio pensiero. Il battezzato ha ricevuto il sacramento della sua nascita spirituale; egli riceve un sacramento, e grande, divino, santo, ineffabile. Esso è tanto grande che fa sorgere un uomo nuovo, condonandogli tutti i peccati. Ma il battezzato deve esaminare se il rito del suo battesimo eseguito sul suo corpo sia perfetto anche nella sua anima; esamini se possiede la carità e allora dica: Io sono nato da Dio. Se non la possiede, egli porta soltanto il carattere di cristiano, ma è un disertore che scappa. Gli occorre la carità perché diversamente non può definirsi nato da Dio. Il battezzato obietta: ho o non ho ricevuto il sacramento? Ascolta l'Apostolo: Se io sapessi tutti i misteri, se avessi tutta la fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, sono nulla (1 Cor 13, 2).

[La carità criterio di distinzione.]

7. Se ricordate, noi già abbiamo affermato, proprio all'inizio della lettura di questa Epistola, che nulla vi è tanto raccomandato quanto la carità. Anche se Giovanni tratta ora questo, ora quest'altro argomento, sempre poi ritorna su questo punto, volendo ricondurre al dovere della carità tutto quello che ha esposto. Vediamo se, anche qui, fa così. Fa attenzione a queste parole: Chi è nato da Dio, non pecca. Ci domandiamo di quale peccato si tratta; non certo di qualunque peccato, perché saremmo in contraddizione con l'altro passo che dice: Se diremo di non aver peccato, ci inganniamo e la verità non è in noi. Voglia allora dirci quale peccato intende, ci istruisca, perché io non venga giudicato temerario nell'asserire che esso è la violazione della carità, come si può ricavare dalle sue stesse parole precedenti: Chi odia suo fratello, è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre accecano i suoi occhi (1 Gv 2, 11). Forse ha dato ulteriori spiegazioni affermando esplicitamente che si tratta della carità. Vedete che tutti questi diversi modi di esprimersi portano alla medesima conclusione. Chiunque è nato da Dio, non pecca, perché in lui rimane il seme di Dio. Il seme di Dio è la parola di Dio, per cui l'Apostolo può dire: Io vi ho generato per mezzo del Vangelo (1 Cor 4, 15). Quest'uomo non può peccare, perché nato da Dio. Ma ci dica l'Apostolo in che senso non può peccare. A questo segno sono riconoscibili i figli di Dio ed i figli del diavolo. Chi non è giusto, non viene da Dio ed altrettanto chi non ama il proprio fratello (1 Gv 3, 10). E' ormai certo chiaro perché dice: Chi non ama il proprio fratello. Solo l'amore dunque distingue i figli di Dio dai figli del diavolo. Se tutti si segnassero con la croce, se rispondessero amen e cantassero tutti l'Alleluja; se tutti ricevessero il battesimo ed entrassero nelle chiese, se facessero costruire i muri delle basiliche, resta il fatto che soltanto la carità fa distinguere i figli di Dio dai figli del diavolo. Quelli che hanno la carità sono nati da Dio, quelli che non l'hanno non sono nati da Dio. E' questo il grande criterio di discernimento. Se tu avessi tutto, ma ti mancasse quest'unica cosa, a nulla ti gioverebbe ciò che hai; se non hai le altre cose, ma possiedi questa, tu hai adempiuto la legge. Chi infatti ama il prossimo - dice l'Apostolo -, ha adempiuto la Legge; e il compimento della Legge è la carità (Rm 13, 8 10). La carità è, a mio parere, la pietra preziosa, scoperta e comperata da quel mercante del Vangelo, il quale per far questo, vendette tutto ciò che aveva (cf. Mt 13, 46). La carità è quella pietra preziosa, non avendo la quale nessun giovamento verrà da qualunque cosa tu possegga; se invece possiedi soltanto la carità, ti basterebbe essa sola. Adesso vedi nella fede ma un giorno vedrai direttamente. Se noi amiamo fin da adesso il Signore che non vediamo, come l'ameremo quando lo vedremo direttamente? Ma in quale campo dobbiamo esercitare questo amore? In quello della carità fraterna. Potresti dirmi che non hai mai visto Dio; non potrai mai dirmi che non hai visto gli uomini. Ama dunque il tuo fratello. Se amerai il fratello che tu vedi, potrai contemporaneamente vedere Dio, poiché vedrai la carità stessa, e Dio abita nella carità.

[La carità non è invidiosa.]

8. Chi non è giusto, non viene da Dio, così chi non ama il fratello: perché questo è il messaggio. Vedi come insiste: questo è il messaggio che abbiamo udito fin dall'inizio: di amarci scambievolmente (1 Gv 3, 11). Ci viene qui indicata la fonte di questo suo insegnamento: chi agisce contro questo mandato, si rende colpevole di un gravissimo peccato, in cui cadono quelli che non sono nati da Dio. Non come Caino che veniva dal maligno ed uccise il proprio fratello. Perché l'uccise? Perché le sue opere erano malvagie, giuste invece quelle del fratello (1 Gv 3, 12). Se c'è invidia, non può esserci amore fraterno. Comprenda la vostra Carità. Chi è dominato dall'invidia, non è uno che ama. C'è in lui il peccato del diavolo, che fece cadere l'uomo, perché ne aveva invidia. Egli era caduto ed aveva invidia di quelli che rimanevano in piedi. Non fece cadere per potersi lui rialzare, ma per non cadere lui solo. Tenete bene in mente, conforme alle precisazioni dell'Apostolo, che nella carità non può esserci invidia. Egli te lo dice chiaramente quando fa l'elogio della carità: La carità non vive di emulazione (1 Cor 13, 4). Caino non aveva carità, e, se Abele non l'avesse avuta, Dio non avrebbe gradito il suo sacrificio. Ambedue offersero un sacrificio: il primo coi frutti della terra, il secondo coi capi del gregge; ma non dovete pensare che Dio non abbia tenuto in nessun conto i frutti della terra per preferire i capi di bestiame. Dio non badò alle mani che offrivano, ma vide nel cuore e guardò benevolo colui che volle offrirgli il sacrificio con un cuore pieno di amore; distolse invece gli occhi da chi vide offrirgli sacrifici con cuore invidioso. Dunque le opere buone di Abele non sono altro, secondo Giovanni, che la sua carità; le opere cattive di Caino altro non sono che il suo odio contro il fratello. Non è sufficiente dire che egli odiò il fratello ed ebbe invidia delle sue opere: non volle imitarlo e per questo lo uccise. Da qui apparve figlio del diavolo, mentre l'altro apparve in quella occasione il giusto di Dio. Dalla carità, o fratelli, deriva la distinzione tra gli uomini. Nessuno si soffermi sulle parole, ma badi ai fatti ed ai sentimenti del cuore. Se non si diporta bene verso i suoi fratelli, egli fa vedere che cosa porta dentro di sé. Gli uomini sono messi alla prova dalla tentazione.

[Amatori del mondo e i fedeli.]

9. Non vogliate meravigliarvi, o fratelli, se il mondo ci odia (1 Gv 3, 13). Bisogna forse ripetervi di continuo che cosa è il mondo? Non è il cielo, né la terra, né le opere fatte da Dio; sono invece gli amatori del mondo. A qualcuno sembrerò pesante nel ripetere queste cose di continuo; ma finora sono così poco inutili che se domandassi ad alcuni ciò che ho già detto, non saprebbero rispondermi. Dunque voglio che qualcosa resti, a furia di ripeterlo, nel cuore degli ascoltatori. Che cosa è il mondo? Il mondo, preso nel suo significato cattivo, sono gli amatori del mondo; nel suo significato buono esso è il cielo e la terra, sono le opere che vi si trovano; perciò si dice: Il mondo è stato fatto per mezzo di lui (Gv 1, 10). Così il mondo è tutta la terra, come lo stesso Giovanni ebbe a dire: Egli non solo è propiziatore dei nostri peccati, ma di quelli di tutto il mondo (1 Gv 2, 2), cioè, di tutti i fedeli sparsi sulla terra. Ma il mondo, nel suo significato cattivo sono gli amatori del mondo. Coloro che amano il mondo, non possono amare i fratelli.

[Chi ha la carità passa dalla morte alla vita.]

10. Se il mondo ci odia: lo sappiamo. Che cosa sappiamo? Che siamo passati dalla morte alla vita. Da che cosa lo sappiamo? Perché amiamo i fratelli (1 Gv 3, 14). Nessuno interroghi l'altro; ciascuno invece rientri in se stesso: se vi troverà la carità fraterna, stia sicuro: non badi se per il momento la sua gloria è ancora nascosta; quando verrà il Signore, allora apparirà nella gloria. Egli vive e cresce ma ancora nell'inverno; viva è la radice ma i rami sembrano aridi; dentro c'è il midollo vivo, dentro sono le foglie degli alberi, dentro ancora i frutti; essi attendono l'estate. Dunque noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama, rimane nella morte. Perché non pensiate, o fratelli, che sia cosa lieve odiare o non amare, ascoltate ciò che segue: Chiunque odia suo fratello, è omicida. Se uno già non dava peso all'odio fraterno, potrà ora dar poco peso nella sua coscienza ad un omicidio? Chi ancora non ha mosso le mani per uccidere, è già dal Signore considerato un omicida; la sua vittima vive ancora ed egli ne è già considerato l'uccisore. Chiunque odia suo fratello è omicida. E voi sapete che ogni omicida non ha in se stesso la vita eterna (1 Gv 3, 15).

11. Noi conosciamo il suo amore a questo segno. Qui vuole intendere la perfezione dell'amore, quella perfezione che vi abbiamo raccomandato. Noi conosciamo il suo amore a questo segno, che cioè egli ha dato la sua vita per noi: anche noi dobbiamo dar la vita per i nostri fratelli (1 Gv 3, 16). Ecco da dove veniva quella domanda: Pietro, mi ami? pasci le mie pecore (Gv 21, 15). Perché sappiate che egli voleva che Pietro pascesse le sue pecore fino a dare per esse la vita, subito gli disse: Quando eri giovane, ti cingevi e andavi dove volevi; quando invece sarai vecchio, un altro ti cingerà e ti porterà dove non vorrai. Questo disse - aggiunge l'evangelista - per indicare la morte con cui avrebbe glorificato il Signore Dio (Gv 21, 18-19); così egli insegnava a dare la vita per le pecore a colui al quale aveva detto: Pasci le mie pecore.

[Soccorrere il fratello è l'inizio della carità.]

12. Come inizia la carità, o fratelli? Prestate un poco di attenzione: voi avete sentito come si raggiunge la sua perfezione; il Signore nel Vangelo ci ha presentato il suo fine ed i suoi modi: Nessuno ha una carità maggiore di colui che dà la vita per i suoi amici (Gv 15, 13). Egli dunque mostrò nel Vangelo la sua perfezione ed anche qui ci viene richiamata la sua perfezione; ma interrogate voi stessi e ditevi: Quando possiamo avere questa carità? Non voler disperare troppo presto di te stesso: la carità in te forse è appena nata, non ancora perfezionata; nutrila, perché non abbia a venir meno. Forse potrai dirmi: da dove traggo la conoscenza di ciò? Abbiamo sentito con quali mezzi essa giunge alla perfezione; sentiamo da dove trae inizio. Giovanni prosegue e dice: Chi avrà beni di questo mondo e vedesse suo fratello affamato e gli negasse la sua compassione, come l'amore di Dio potrebbe essere in lui? (1 Gv 3, 17). Ecco da dove prende avvio la carità. Se ancora non sei disposto a morire per il fratello, [sii disposto] a dare al fratello un poco dei tuoi beni. La carità scuota il tuo cuore così che tu non rechi il soccorso con iattanza d'animo ma con interiore abbondanza di misericordia; allora la tua attenzione si volgerà sopra chi si trova nel bisogno. Se non riesci infatti a dare il superfluo al fratello, come potrai dare per lui la tua vita? Hai addosso del denaro che i ladri ti possono sottrarre e, se non te lo toglieranno i ladri, lo lascerai alla tua morte, quand'anche non sia lui ad abbandonarti, quando sei ancora in vita. Che ne farai poi? Tuo fratello ha fame, vive nel bisogno, forse attende con ansietà, forse è assalito da un creditore; lui non ha nulla, tu hai: è tuo fratello, insieme redenti, unico il prezzo del vostro riscatto, ambedue redenti dal sangue di Cristo: vedi dunque di aver misericordia di lui, se possiedi beni di questo mondo. Ma forse dirai: che me ne importa? Dovrei io dare il mio denaro perché quello non soffra molestie? Se la tua coscienza ti suggerisce queste domande, l'amore del Padre non abita in te. Ma se non abita in te l'amore del Padre, tu non sei nato da Dio. Come potrai gloriarti di essere cristiano? Ne porti il nome, ma non ne possiedi i fatti. Se invece le opere avranno fatto seguito al nome, ti chiamino pure pagano: da parte tua dimostra di essere cristiano coi fatti. Se non ti mostri cristiano coi fatti, ti chiamino pure tutti cristiano; che giovamento ti reca un nome, quando ad esso non corrisponde nulla? Chi pertanto possiede beni di questo mondo, e vede suo fratello nell'indigenza ma chiude il cuore alla compassione, come manterrà in sé l'amore di Dio? E segue: Figlioli, non amiamo con le parole soltanto e con la lingua, ma con le opere e la verità (1 Gv 3, 18).

13. Credo che sia stato manifestato a voi, o miei fratelli, un grande e indispensabile e misterioso sacramento. Ogni passo della Scrittura insegna quanto vale la carità; ma non so se vi è al riguardo un insegnamento più ampio di quello che ci dà qui l'Epistola. Vi preghiamo e vi scongiuriamo nel Signore, affinché conserviate nella memoria le cose che avete udito; vi preghiamo di ritornare con volontà attenta per udire ciò che ancora resta da dire a commento di tutta l'Epistola. Aprite il vostro cuore alla buona semente: estirpate le spine, affinché quanto viene seminato non abbia ad essere soffocato, ma cresca piuttosto in messe buona; ne goda l'agricoltore e vi prepari il granaio, come si fa per il frumento, non il fuoco come si fa per la paglia.