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I SETTE SIGILLI
(4,1–8,1)

LA SALA DEL TRONO CELESTE

1 Dopo ciò ebbi una visione: una porta era aperta nel cielo. La voce che prima avevo udito parlarmi come una tromba diceva: Sali quassù, ti mostrerò le cose che devono accadere in seguito. 2 Subito fui rapito in estasi. Ed ecco, c'era un trono nel cielo, e sul trono uno stava seduto. 3 Colui che stava seduto era simile nell'aspetto a diaspro e cornalina. Un arcobaleno simile a smeraldo avvolgeva il trono. 4 Attorno al trono, poi, c'erano ventiquattro seggi e sui seggi stavano seduti ventiquattro vegliardi avvolti in candide vesti con corone d'oro sul capo. 5 Dal trono uscivano lampi, voci e tuoni; sette lampade accese ardevano davanti al trono, simbolo dei sette spiriti di Dio. 6 Davanti al trono vi era come un mare trasparente simile a cristallo. In mezzo al trono e intorno al trono vi erano quattro esseri viventi pieni d'occhi davanti e di dietro. 7 Il primo vivente era simile a un leone, il secondo essere vivente aveva l'aspetto di un vitello, il terzo vivente aveva l'aspetto d'uomo, il quarto vivente era simile a un'aquila mentre vola. 8 I quattro esseri viventi hanno ciascuno sei ali, intorno e dentro sono costellati di occhi; giorno e notte non cessano di ripetere:
Santo, santo, santo
il Signore Dio, l'Onnipotente,
Colui che era, che è e che viene!
9 E ogni volta che questi esseri viventi rendevano gloria, onore e grazie a Colui che è seduto sul trono e che vive nei secoli dei secoli, 10 i ventiquattro vegliardi si prostravano davanti a Colui che siede sul trono e adoravano Colui che vive nei secoli dei secoli e gettavano le loro corone davanti al trono, dicendo:
11 «Tu sei degno, o Signore e Dio nostro,
di ricevere la gloria, l'onore e la potenza,
perché tu hai creato tutte le cose,
e per la tua volontà furono create e sussistono».

Nella visione di investitura (1,9-20) Giovanni si era sentito ordinare: "Metti in iscritto le cose che vedrai, sia quelle riguardanti il presente sia quelle riguardanti il futuro" (1,9). Nelle lettere alle chiese (cap. 2-3) Giovanni ha parlato di ciò che è. Ora inizia a parlare di ciò che avverrà: "Sali quassù e ti mostrerò ciò che deve accadere più avanti" (4,1).

Ambedue gli oggetti dell’Apocalisse (ciò che è e ciò che sarà) richiedono una rivelazione di Dio. Non solo il futuro, ma anche il senso profondo del presente sfugge all’occhio dell’uomo: per comprenderli è necessaria la rivelazione di Dio (il confronto con la sua Parola). Le singole immagini che compongono la visione della sala del trono (4,1-11) hanno diverse origini, in gran parte però derivano dalla tradizione profetica dell’Antico Testamento. Per comprendere questa visione occorre analizzare con pazienza le immagini una ad una, cercandone l’origine e il senso.

Giovanni vide "un trono innalzato nel cielo". Il trono è un’immagine importante dell’Apocalisse (la troviamo più di quaranta volte) e ricorre spesso nei contesti che sono polemici nei confronti dei molti troni che gli uomini innalzano ai potenti e ai falsi dei. In cielo c’è il trono di Dio e dell’Agnello, ma sulla terra c’è il trono di satana. Il trono è dunque un’immagine che allude alle due sovranità che si contendono il dominio della storia e del cuore dell’uomo.

Giovanni non descrive Dio, ma solo il suo trono e lo splendore che lo circonda: uno splendore paragonabile alle pietre preziose. Il trono di Dio è avvolto dall’arcobaleno, che non è soltanto espressione di luminosità ("Dio è luce": 1Gv 1,5), ma anche di pace e di alleanza (così l’arcobaleno dopo il diluvio: Gen 9,13).

Ventiquattro anziani – seduti su piccoli troni – fanno corona al trono di Dio. Loro compito è rendere omaggio a Colui che è seduto sul trono(4,10), intonare gli inni di lode (4,11;5,9-10; 11,17-18; 19,4), porgere le coppe dei profumi (5,8). Sono i sacerdoti della liturgia celeste. Chi rappresentano? Secondo alcuni esegeti sono ventiquattro esseri celesti (angeli) che secondo la mitologia babilonese e persiana costituiscono la corte celeste. Secondo altri sono i giusti dell’Antico Testamento, in numero di ventiquattro perché secondo il libro delle Cronache tale è appunto il numero dell’organizzazione del culto (le 24 classi dei sacerdoti e le 24 classi dei cantori: 1Cr 24,3-10; 25,6-31). Per altri ancora sarebbero i dodici apostoli e i dodici patriarchi: attorno al trono di Dio c’è l’antico e il nuovo Israele.

Dal trono escono lampi, voci e tuoni (4,5; 8,5; 11,19; 16,18). Sono i segni classici che accompagnano la manifestazione di Dio. Così, per es., è descritta nel libro dell’Esodo (19,6) la grande teofania del Sinai: "Sul far del mattino incominciarono tuoni e lampi: una densa nube copriva il monte e si udì un suono di tromba fortissimo" (cf. Ez 1,13; Sal 77,18ss; Gb 37,4).

"In mezzo al trono e attorno al trono quattro viventi" (4,6), pieni di occhi davanti e di dietro, in sembianze di leone, di vitello, di uomo e di aquila che vola. Questi quattro viventi Giovanni li desume dalla visione di Ezechiele 1,10ss.

Per alcuni esegeti si tratterebbe dei cherubini alati della mitologia babilonese, per altri si tratterebbe degli angeli, per altri infine sarebbero il simbolo di tutta la creazione. Per i padri della chiesa sono diventati il simbolo dei quattro evangelisti. Come i ventiquattro anziani, così anche i quattro viventi intonano l’inno di lode e di ringraziamento: "Santo, santo, santo il Signore Dio, l’Onnipotente che era, che è e che viene" (4,8). Ripetono le parole dei serafini della visione di Isaia 6. Giovanni ha desunto le sue immagini dalla tradizione biblica, in particolare dalle tre più famose visioni profetiche (Is 6; Ez 1; Dan 7).

La descrizione di Giovanni è quanto mai indicativa: "Vidi un trono e sul trono Qualcuno". Di Dio non si può dire di più. E tuttavia si può capire un po’ chi è Dio per noi se osserviamo ciò che lo circonda: la luce, i suoni, i personaggi della sua corte e la liturgia che essi celebrano. In altre parole, noi possiamo comprendere un po’ Dio se osserviamo la creazione, la storia e la liturgia della comunità (descrivendo la liturgia celeste, Giovanni pensa alla liturgia della comunità cristiana).

Sulla precisa portata simbolica di alcuni elementi rimangono delle incertezze, ma c’è una costante che si impone: tutti i personaggi di questa visione, chiunque essi siano, sono in atteggiamento di adorazione davanti al trono, pronti all’ascolto e all’obbedienza. Tutta la creazione e i giusti dell’Antico e del Nuovo Testamento riconoscono l’unica e assoluta sovranità di Dio. L’orgoglio dell’uomo e delle sue idolatrie è vittorioso soltanto in apparenza. Chi domina la storia è soltanto la sovranità di Dio. Una sovranità che procede non secondo l’orgogliosa pretesa di salire verso l’alto (Babilonia: Is 14,13-15; Tiro: Ez 28,2-8; Roma: vedi il seguito dell’Apocalisse), ma un movimento che scende verso il basso (dal cielo verso il cuore della nostra storia). Per questo l’Apocalisse si chiuderà con la visione della Gerusalemme celeste che "discende" dal cielo (21,2).

Al tentativo idolatra dell’uomo che vuole sostituirsi a Dio si contrappone la via di Dio che scende fra gli uomini e in essi pone la sua dimora.

La liturgia celeste celebra la sovranità di Dio creatore: "Tu sei degno, Signore Dio nostro, di ricevere la gloria, l’onore e la potenza, perché hai fatto tutte le cose" (4,11). Ma questa insistenza sulla creazione (come in tutta la Bibbia) è in funzione della storia. Il trono del sovrano dell’intera creazione è circondato dall’arcobaleno, che è il segno della pace: "Sarà il segno dell’alleanza che io stabilisco tra me e voi e tutti gli esseri viventi, presenti e futuri... le acque non diventeranno più un diluvio per distruggere ogni carne" (Gen 9,12ss). Utilizzando l’immagine dell’arcobaleno, Giovanni vuol dirci che la parola di Dio, che sostiene il mondo e gli dà una direzione, è una parola fedele e alleata. Il diluvio e le forze della distruzione non avranno mai più l’ultima parola. Di fronte al male dilagante non dobbiamo avere nessuna paura: la potenza di Dio creatore è dalla nostra parte.

A questo punto possiamo anche capire perché Giovanni, prima di iniziare il racconto di ciò che "sta per avvenire", ha voluto mostrarci la visione celeste della corte di Dio. Prima di mostrarci il tumulto e le contraddizioni della storia, ecco la visione di Dio seduto sul trono in una calma sublime: egli regge imperturbabile i destini del mondo e della sua comunità. Gli uomini si agitano, ma Dio no. Il racconto degli eventi tumultuosi della storia si apre (cap. 4) e si chiude (cap. 21) con una visione di pace, simboleggiata appunto dal trono di Dio. La storia va da pace a pace: il peccato e l’idolatria degli uomini non possono infrangere questo disegno.

*****

vv. 1–3. Giovanni vede davanti a sé una porta aperta nel cielo, che schiude l’accesso al mondo superiore (Ez 1,1), alla sala del trono di Dio. Se questo accesso è aperto vuol dire che è stato rimosso il velo opaco che divide il cielo dalla terra, Dio dagli uomini (Mc 1,10; At7,55; ecc.). La voce dell’angelo, che aveva già parlato una volta a Giovanni con una voce di tromba (1,10), lo invita a salire per mostrargli ciò che accadrà in seguito (1,1.19), ciò che avverrà negli ultimi tempi. Giovanni cade nuovamente in un rapimento estatico e, liberato da ogni pesantezza terrena, è trasportato nel mondo celeste (cf. 2Cor 12,2). Il suo sguardo cade in primo luogo sul trono del sovrano, che si eleva nel mezzo della sala, e su Colui che vi siede sopra. I re e i giudici esercitano le loro funzioni seduti; Colui che siede sul trono è il re dei re, che comanda e giudica il mondo intero. La religiosità giudaica non pronuncia il nome di Dio, ma ne parla solo per allusioni; similmente Giovanni evita di descrivere il personaggio o di fare il nome di Colui che è seduto sul trono. Dice soltanto che colui che siede sul trono è circondato di un fulgore indicibile, che si può descrivere solo in modo approssimativo e insufficiente paragonandolo allo scintillio delle pietre preziose. Probabilmente il diaspro era una pietra senza colore e trasparente, e la corniola, chiamata anche sardonica (perché proveniente da giacimenti vicino a Sardi), brillava di un colore rossiccio. La corona luminosa che circonda il trono è paragonabile al verde smeraldo. Questi tratti, che riecheggiano la descrizione dell’apparizione di Dio in Ez 1,26-28, indicano che Dio è luce (1Gv 1,5) e che regna in una gloria inaccessibile.

vv. 4–8. Dopo aver visto il trono di Dio al centro della sala, Giovanni volge il suo sguardo all’intorno. Su ventiquattro troni più piccoli seggono in cerchio altrettanti anziani, i quali rendono omaggio a Dio (4,10), intonano inni di lode (4,11), suonano la cetra e porgono, in atteggiamento sacerdotale, delle coppe d’oro piene di profumi (5,8).

Essi adorano Dio e presentano all’Altissimo le preghiere degli uomini (5,8). Dal trono escono lampi, tuoni e boati (8,5; 11,19; 16,18): questi sono i fenomeni che accompagnano la rivelazione di Dio fin dall’antichità (Es 19,16; ecc.).

vv. 9–11. La grande schiera di coloro che sono radunati per il culto celeste riprende l’inno di lode dei quattro esseri, ai quali si unisce nell’adorazione. Nei momenti culminanti del canto di lode gli anziani si alzano dai loro troni, depongono le loro corone davanti a Colui che è seduto sul trono e gli rendono omaggio come a Colui che vive in eterno. Egli è Colui nel quale soltanto è vita e non morte (Sal 42,3; Os 2,1; 1Ts 1,9; ecc.).

Tacito racconta che il re persiano Tiridate si sarebbe avvicinato all’immagine di Nerone togliendosi dal capo il diadema regale e deponendolo ai piedi dell’immagine stessa (Ann. 15,29). Come nel culto imperiale si doveva rendere omaggio a Cesare, così gli anziani, dinanzi al trono di Dio, rendono onore a Colui che solo è degno di essere adorato. L’imperatore Domiziano si faceva chiamare "Signore e Dio" (Svetonio, Domiziano 13). Ma l’unico Signore a cui competono lode, onore e potenza è Dio, e non Cesare. Egli infatti ha creato l’universo ed esso deve l’esistenza soltanto alla sua volontà. E in quanto creatore egli tiene nelle sue mani il corso della storia, qualunque cosa accada.

 

 

IL LIBRO DEI SETTE SIGILLI E L’AGNELLO

1 E vidi nella mano destra di Colui che era assiso sul trono un libro a forma di rotolo, scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli. 2 Vidi un angelo forte che proclamava a gran voce: «Chi è degno di aprire il libro e scioglierne i sigilli?». 3 Ma nessuno né in cielo, né in terra, né sotto terra era in grado di aprire il libro e di leggerlo. 4 Io piangevo molto perché non si trovava nessuno degno di aprire il libro e di leggerlo. 5 Uno dei vegliardi mi disse: «Non piangere più; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli».
6 Poi vidi ritto in mezzo al trono circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi un Agnello, come immolato. Egli aveva sette corna e sette occhi, simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra. 7 E l'Agnello giunse e prese il libro dalla destra di Colui che era seduto sul trono. 8 E quando l'ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro vegliardi si prostrarono davanti all'Agnello, avendo ciascuno un'arpa e coppe d'oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi. 9 Cantavano un canto nuovo:
«Tu sei degno di prendere il libro
e di aprirne i sigilli,
perché sei stato immolato
e hai riscattato per Dio con il tuo sangue
uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione
10 e li hai costituiti per il nostro Dio
un regno di sacerdoti
e regneranno sopra la terra».
11 Durante la visione poi intesi voci di molti angeli intorno al trono e agli esseri viventi e ai vegliardi. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia 12 e dicevano a gran voce:
«L'Agnello che fu immolato
è degno di ricevere potenza e ricchezza,
sapienza e forza,
onore, gloria e benedizione».
13 Tutte le creature del cielo e della terra, sotto la terra e nel mare e tutte le cose ivi contenute, udii che dicevano:
«A Colui che siede sul trono e all'Agnello
lode, onore, gloria e potenza,
nei secoli dei secoli».
14 E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E i vegliardi si prostrarono in adorazione.

Dopo la grandiosa visione del trono di Dio (4,1-11), ecco la visione (5,1-14) dell’Agnello morto e risorto, una pagina escatologica tra le più importanti dell’intero Nuovo Testamento.

Le due visioni sono strettamente collegate e complementari. Giovanni vede un Agnello come ucciso (il Crocifisso) e nello stesso tempo ritto in piedi (il Risorto), con sette corna che significano la pienezza della forza, e con sette occhi che si identificano con i sette spiriti di Dio e significano l’onniscienza divina.

In 4,11 si è celebrata la creazione, opera di Dio. In 5,9 si celebra la redenzione, opera dell’Agnello: "Hai acquistato col tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione". I quattro viventi e i ventiquattro anziani si prostrano davanti a lui come a Dio (cf. 7,4-10; 5,8). La corte celeste ripete per lui l’inno di gloria già cantato in onore di Dio. E nel cantico liturgico finale, che conclude e unisce le due visioni, Dio e l’Agnello sono accomunati: "A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode e onore". Qui ci troviamo di fronte a una delle più esplicite affermazioni della divinità di Gesù e della sua sovranità universale e vittoriosa: il mondo è ancora in balìa del male, ma la vittoria è già nelle mani del Cristo morto e risorto. Ma la confessione della divinità e della sovranità del Cristo morto e risorto, pur essendo in grande rilievo, non è il vero e proprio motivo della visione. Il motivo della visione è la presentazione di un libro chiuso con sette sigilli, la constatazione che nessuno è in grado di aprirlo e di leggerlo, il pianto del profeta, l’affermazione che solo il Cristo morto e risorto è in grado di aprire il libro e leggerlo.

Il segreto di questa pagina (ma anche, in un certo senso, il segreto dell’intera Apocalisse) è tutto racchiuso in questa semplice successione di gesti. Nessuno è in grado di aprire il libro, cioè di cogliere la storia della salvezza nella confusione delle vicende umane. Da qui l’angoscia e lo smarrimento. Ma ora non è più così: la morte e la risurrezione di Cristo hanno rotto i sigilli e il libro si è aperto.

Il pensiero non è nuovo nella letteratura di Giovanni. Il prologo del vangelo secondo Giovanni termina con un’affermazione, di cui questa scena sembra la drammatizzazione: "Nessuno ha mai visto Dio: l’unigenito Figlio, che è nel seno del Padre, ce l’ha rivelato" (Gv 1,18).

Lo sforzo dell’uomo, le sue ricerche filosofiche e religiose non sono in grado di penetrare il mistero di Dio. L’uomo abbandonato a se stesso si smarrisce. Solo il Figlio, proprio perché viene da Dio, è capace di sollevare il velo, di dissipare le tenebre e di indicarci la strada.

Fra l’affermazione del prologo del vangelo secondo Giovanni e la visione dell’Apocalisse c’è però qualche differenza: per l’Apocalisse il libro che solo Cristo può aprire non è direttamente il mistero di Dio, ma il mistero della storia. E la ragione per cui Cristo può rompere i sigilli del libro non è precisamente la sua filiazione divina, ma la sua vicenda storica di morte e risurrezione.

Questi due passi del Nuovo Testamento si presentano come consolazione e come avvertimento polemico. Consolazione: ora l’uomo non è più abbandonato a se stesso, e gli è offerta la possibilità di comprendere Dio e il senso della storia. Ammonimento polemico: di fronte ai molti movimenti religiosi del tempo di Giovanni che promettevano conoscenza e salvezza, e di fronte alle correnti apocalittiche giudaiche, secondo le quali gli angeli e alcuni grandi uomini del passato erano ammessi alla conoscenza dei segreti di Dio, ed erano perciò in grado di rivelarli, Giovanni afferma che nessuno, né in cielo né in terra, è capace di aprire il libro. Soltanto dalla morte e risurrezione del Cristo viene la possibilità di comprendere pienamente il senso della storia.

Per valutare tutta l’importanza di questa pagina occorre allargare il nostro orizzonte.

Secondo la concezione apocalittica ebraica e cristiana la storia si svolge come su due piani: la cronaca, comprensibile all’uomo, e il disegno di Dio che sta nel profondo, nascosto nella cronaca e tuttavia rivelato da essa. L’apocalittica vede negli avvenimenti dei "segni" di una realtà che sta oltre. Essa è convinta che per capire la storia "vera" occorre una rivelazione. Per comprendere la storia bisogna guardarla dall’alto: il vero storico è il profeta.

La visione dell’Apocalisse afferma che Gesù è al centro della storia. La rivelazione che occorre per leggere la storia e prevederne il corso è la vicenda storica che egli ha vissuto. È osservando la sua vicenda di morte e risurrezione che possiamo comprendere come vanno le cose in profondità. Non occorre dunque una rivelazione nuova, ma una "memoria".

Se ricordiamo la vicenda di Gesù, comprendiamo che il disegno di Dio è sempre combattuto; che addirittura c’è un tempo in cui le forze del male sembrano prevalere (la Croce), ma comprendiamo anche che l’ultima parola è la risurrezione. La via dell’amore, della non violenza coraggiosa e del martirio è crocifissa, non vinta. Da qui una grande consolazione. Ma, prima ancora, un criterio di valutazione. Contrariamente alle apparenze sono i martiri che costruiscono la vera storia, non i potenti e gli oppressori. Per un cristiano questo è l’unico criterio di lettura. Ma se è così, dobbiamo riscrivere tutti i libri di storia. L’Apocalisse ci dà anche un avvertimento: se vuoi fare storia, mettiti alla sequela di Cristo. Mettiti dalla sua parte, non altrove.

Il tema centrale dell’Apocalisse è l’affermazione della presenza del regno di Dio nelle vicende umane. Essa intende rispondere a una domanda cruciale: come valutare la storia e come porsi in essa. La risposta è semplicissima: il criterio di valutazione della storia è Cristo, e il modo di porsi in essa è indicato, una volta per tutte, dalla "via" che egli ha percorso.

*****

vv. 1–5. Giovanni osserva che colui che sta sul trono ha in mano il rotolo di un libro che è scritto sulle due facciate: esso è descritto con le parole profetiche di Ez 2,10. Questo rotolo è chiuso con sette sigilli. I sette sigilli indicano che il libro è un documento. In Oriente anticamente si redigevano i documenti su tavolette di argilla, che poi venivano coperte con un involucro di argilla sul quale si ripetevano le stesse parole scritte all’interno. In questo modo si potevano controllare in qualsiasi momento il contenuto del documento e, in caso di dubbio, lo si paragonava con l’originale contenuto nell’involucro. Questa doppia scrittura, che costituiva una garanzia contro le falsificazioni, rimase in uso anche in tempi posteriori, quando i documenti si scrivevano su fogli di papiro.

Nominando i sette sigilli, Giovanni dà l’avvio alla serie successiva di racconti e di immagini. Il numero sette indica la grandezza del mistero, perché significa la pienezza totale.

Un angelo domanda a gran voce chi sia degno di aprire questo rotolo: questo è il tema centrale di tutta la visione. Nessuno, in tutto l’universo, ne è degno. Nel momento in cui Giovanni dà sfogo nel pianto alla sua afflizione, gli si avvicina uno dei ventiquattro anziani per consolarlo. C’è uno che può aprire il libro e i suoi sette sigilli: è il Cristo, il leone della tribù di Giuda (Gen 49,9), la radice di Davide (Is 11,10). Queste parole applicate a Cristo, lo designano come colui nel quale si sono adempiute le profezie dell’Antico Testamento. Egli è dunque l’unico degno di svelare il piano di Dio sulla storia della fine dei tempi. Giovanni si è indubbiamente richiamato ai modelli dell’Antico Testamento per descrivere l’investitura dell’Agnello nell’assemblea celeste (Is 6; 1Re 22,19-22): nell’ampia cerchia dei servi intorno al trono di Dio non c’è nessuno che possa eseguire il difficile compito affidato da Dio finché non si trova colui che è l’unico degno di assumersi tale incarico: il leone della tribù di Giuda, la radice di Davide, nel quale si sono adempiute meravigliosamente le promesse della Scrittura.

v. 6. Giovanni scorge ora al centro di tutta la scena l’Agnello. Il titolo di Agnello, che l’Apocalisse attribuisce a Cristo, riassume in sé due aspetti: ha sette corna come segno della sua dignità sovrana (Dt 33,17; Sal 22,22; ecc.) e ha sette occhi, che sono i sette spiriti di Dio, cioè la pienezza dello Spirito di Dio che è stato conferito a tutta la terra. Perciò l’Agnello, ossia il Cristo morto e risorto, partecipa al regno di Dio. In questo titolo di Agnello sono fusi due concetti: morte sacrificale di Cristo e sovranità conferita al Signore glorificato.

v. 7. L’Agnello avanza solennemente verso colui che siede sul trono e riceve dalle sue mani il rotolo del libro. Quest’atto, descritto con la massima concisione, equivale all’intronizzazione di un sovrano. Cristo è già stato innalzato alla gloria celeste come Signore, al quale è stata data la sovranità su tutto il mondo (Fil 2,9-11; Mt 28,18-20; 1Tm 3,16). Però questa sua sovranità, che egli deve esercitare su tutto il mondo, è ancora nascosta agli occhi degli uomini. Ma la chiesa, che confessa nella fede questo Signore di tutti i signori, attende che egli si manifesti come Re di tutti i re. La chiesa sofferente sulla terra trae forza da questa speranza, perché si sente unita alle schiere giubilanti nel cielo. L’inno di lode, intonato a molte voci dall’assemblea celeste, costituisce una risposta e un’eco del fatto che è stata data a Cristo la sovranità, ed egli sta per aprire i sigilli del libro del destino.

vv. 8–14. I quatto viventi e i ventiquattro anziani si prostrano in adorazione davanti all’Agnello. Gli anziani hanno in mano cetre e coppe piene di profumi. Essi offrono a Dio e all’Agnello l’inno di lode e, presentando le coppe dei profumi, fanno salire a Dio le preghiere dei santi, ossia dei cristiani. I cristiani sono chiamati santi perché costituiscono il popolo che appartiene a Dio. Viene poi intonato un nuovo cantico, il canto di lode della fine dei tempi, nel quale si esalta la dignità particolare dell’Agnello, che con la sua morte sacrificale ha riscattato tra tutti i popoli la sua comunità, facendone re e sacerdoti che parteciperanno al regno universale di Dio. Gli innumerevoli angeli radunati intorno al trono di Dio uniscono le loro voci al canto riprendendo la parola "degno" ed enumerando in una serie di sette gli elementi che formano la pienezza della potenza che appartiene all’Agnello (11,17).

Nei primi quattro elementi della serie si menzionano il potere e il dominio che l’Agnello ha ricevuto: potenza, ricchezza, sapienza e forza; negli altri tre elementi si esprime l’adorazione che gli viene tributata: onore, gloria e lode. Tutta la creazione si unisce ai cori: il cielo, la terra, i luoghi sotterranei e il mare. L’universo intero intona l’inno di lode. Ogni onore e adorazione spettano a colui che siede sul trono e all’Agnello. Dio infatti non è soltanto il creatore (cap. 4), ma anche il redentore (cap. 5) che regna sull’universo e ha chiamato a sé il suo popolo da tutto il mondo. Soltanto lui è il Signore, non i grandi della terra, non Cesare a Roma.

I quattro viventi si associano all’inno pronunciando l’Amen. Gli anziani si gettano nuovamente a terra in adorazione. E ora tutti aspettano ciò che accadrà quando l’Agnello romperà i sigilli aprendo la strada agli eventi finali. Nelle sue mani è posto il piano divino della storia. Tutto il futuro sta sotto il segno della sua sovranità.