00 13/12/2011 13:20

LA CADUTA DI BABILONIA
(17,1 – 18,24)

LA GRANDE PROSTITUTA

1 Allora uno dei sette angeli che hanno le sette coppe mi si avvicinò e parlò con me: «Vieni, ti farò vedere la condanna della grande prostituta che siede presso le grandi acque. 2 Con lei si sono prostituiti i re della terra e gli abitanti della terra si sono inebriati del vino della sua prostituzione». 3 L'angelo mi trasportò in spirito nel deserto. Là vidi una donna seduta sopra una bestia scarlatta, coperta di nomi blasfemi, con sette teste e dieci corna. 4 La donna era ammantata di porpora e di scarlatto, adorna d'oro, di pietre preziose e di perle, teneva in mano una coppa d'oro, colma degli abomini e delle immondezze della sua prostituzione. 5 Sulla fronte aveva scritto un nome misterioso: «Babilonia la grande, la madre delle prostitute e degli abomini della terra».
6 E vidi che quella donna era ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù. Al vederla, fui preso da grande stupore. 7 Ma l'angelo mi disse: «Perché ti meravigli? Io ti spiegherò il mistero della donna e della bestia che la porta, con sette teste e dieci corna.
8 La bestia che hai visto era ma non è più, salirà dall'Abisso, ma per andare in perdizione. E gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto nel libro della vita fin dalla fondazione del mondo, stupiranno al vedere che la bestia era e non è più, ma riapparirà. 9 Qui ci vuole una mente che abbia saggezza. Le sette teste sono i sette colli sui quali è seduta la donna; e sono anche sette re. 10 I primi cinque sono caduti, ne resta uno ancora in vita, l'altro non è ancora venuto e quando sarà venuto, dovrà rimanere per poco. 11 Quanto alla bestia che era e non è più, è ad un tempo l'ottavo re e uno dei sette, ma va in perdizione. 12 Le dieci corna che hai viste sono dieci re, i quali non hanno ancora ricevuto un regno, ma riceveranno potere regale, per un'ora soltanto insieme con la bestia. 13 Questi hanno un unico intento: consegnare la loro forza e il loro potere alla bestia. 14 Essi combatteranno contro l'Agnello, ma l'Agnello li vincerà, perché è il Signore dei signori e il Re dei re e quelli con lui sono i chiamati, gli eletti e i fedeli».
15 Poi l'angelo mi disse: «Le acque che hai viste, presso le quali siede la prostituta, simboleggiano popoli, moltitudini, genti e lingue. 16 Le dieci corna che hai viste e la bestia odieranno la prostituta, la spoglieranno e la lasceranno nuda, ne mangeranno le carni e la bruceranno col fuoco. 17 Dio infatti ha messo loro in cuore di realizzare il suo disegno e di accordarsi per affidare il loro regno alla bestia, finché si realizzino le parole di Dio. 18 La donna che hai vista simboleggia la città grande, che regna su tutti i re della terra».

La condanna delle forze ostili segue l’ordine inverso rispetto alla loro comparsa in scena. L’ordine di comparsa: il drago (cap. 12), la bestia e il suo profeta (cap. 13), Babilonia (cap. 14). L’ordine della condanna: Babilonia (cap. 17-18), la bestia e il suo profeta (cap. 19), il drago (cap. 20).

Nel leggere questo capitolo il lettore deve fare molta attenzione e dare prova di agilità mentale: "Qui occorre una mente che abbia sapienza" (17,9).

I tre simboli più importanti da comprendere sono la donna, la bestia e i re.

La donna è Babilonia (17,5) "la grande città che regna su tutti i re della terra" (v. 18), cioè la città di Roma, "che si adagia sui sette colli" (v. 9).

L’Apocalisse descrive tre donne: la donna vestita di sole del cap. 12, la sposa dell’Agnello del cap. 21 e la prostituta di questo brano: quest’ultima è l’antitesi delle altre due, la donna di segno negativo.

Il termine prostituta è la designazione più frequente di Roma nel cap. 17. Le prostitute romane venivano obbligate a portare sulla fronte una fascia con scritto il loro nome, e, allo stesso modo, la donna porta il suo nome scritto sulla fronte. La città di Roma era esaltata e venerata nell’impero con il titolo di "dea madre": Giovanni la chiama "la madre di tutte le prostituzioni". Il giudizio non poteva essere più duro e l’ironia più demolitrice: il mito di Roma viene visto nella sua vera realtà, che è il contrario dell’apparenza e della propaganda. Ed è appunto su questo che la descrizione sembra insistere: un netto contrasto fra l’apparenza (la preziosità delle vesti e dei gioielli) e la meschinità della realtà (prostituzione e oscenità). L’apparenza è della signora, ma la realtà è della prostituta. All’esterno il lusso e l’opulenza, all’interno il vuoto e la violenza. È d’obbligo notare qui che, secondo l’Apocalisse, le incarnazioni dell’idolatria e di satana usano tutte la medesima tecnica: il mascheramento. I profeti hanno usato l’immagine della "prostituta" per descrivere e giudicare diverse città idolatre, e per idolatria intendevano l’autosufficienza, la ridicola pretesa di atteggiarsi a Dio, la volontà di dominio, il lusso sfacciato (Is 23,16ss; Na 3; ecc.).

Un particolare che ha molta importanza è che la prostituta "siede sulla bestia" (17,3). È la stessa bestia che abbiamo incontrato nel cap. 13. Roma in superficie appare come lusso, volontà di dominio e di violenza; in profondità appare come strumento della bestia, che a sua volta è l’incarnazione di satana. L’idolatria di Roma affonda le sue radici nel diavolo.

Giovanni giudica e valuta la potenza di Roma, e cioè quel sistema di valori che essa incarna e propaganda, esattamente alla rovescia di quanto le apparenze inducevano a pensare.

Dietro le apparenze sgargianti Giovanni vede la falsità, dietro l’ostentata sicurezza il crollo imminente. Le ragioni che lo inducono a predire il giudizio di Dio incombente sono quelle di sempre: l’esaltazione di valori inconsistenti (vesti preziose, gioielli, perle), l’intolleranza ("ubriaca del sangue del popolo di Dio e dei martiri"), il dominio ("esercita la sua regalità su tutti i re della terra").

Il simbolo della bestia compare quasi ad ogni riga. Da essa dipendono la donna e i re. Essa è il punto di riferimento degli altri due simboli. Si tratta della medesima bestia descritta nel cap. 13, da noi interpretata come il simbolo dell’impero romano: un simbolo che però andava al di là dell’impero romano, per adattarsi a tutte le forze che nella storia incarnano l’idolatria politica. Qui nel contesto immediato, la bestia è il sistema imperiale, lo Stato che si fa adorare, mentre la prostituta è la città di Roma.

Le maggiori oscurità si incontrano a proposito del simbolo delle sette teste e delle dieci corna. Le sette teste sono sette re, dei quali cinque sono passati, uno regna e l’altro non è ancora venuto (17,10). Le dieci corna sono dieci re che non hanno ancora ricevuto il regno.

I sette re sono senz’altro degli imperatori che si sono succeduti sul trono di Roma. All’Apocalisse non interessa offrire una lista esatta degli imperatori, ma attirare l’attenzione sull’ottavo re, che è anche uno dei sette.

Il punto dunque è l’ottavo re. Generalmente si pensa all’imperatore Domiziano, al tempo del quale Giovanni scrive l’Apocalisse, considerato il più terribile di tutti e fuori dalla serie dei sette (Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone, Vespasiano, Tito) e quindi "ottavo", che una leggenda considerava come la reincarnazione di Nerone (e in questo senso "uno dei sette").

I dieci re (17,12), simboleggiati dalle dieci corna (Dan 7,24), sono senza dubbio re satelliti, che alleandosi con la bestia ottengono un successo momentaneo ("per un’ora sola"). Essi dipendono in tutto e per tutto dalla bestia (17,13.17), e insieme ad essa, e da essa manovrati, muovono guerra all’Agnello, che li sconfiggerà (17,16). Prima però hanno un’importante funzione storica da compiere nel piano di Dio: rivoltarsi contro Roma e distruggerla (17,16).

Con questo possiamo considerare completa l’analisi del simbolismo della donna, della bestia e dei re. La prospettiva essenziale e globale è questa: Giovanni concentra l’attenzione sull’impero romano, Roma, i suoi imperatori e i loro alleati; cioè l’intero apparato, il sistema, le forze che lo sostengono e personaggi che lo rappresentano. La bestia attira i re nella propria orbita e offre loro un regno, per poco tempo: in realtà li sottomette e li trascina in una sconfitta irrimediabile. La bestia sorregge la città idolatrica, ma poi l’abbandona, le si rivolta contro e la distrugge: così Roma cade per mano di quelle stesse forze che l’hanno sostenuta. Il sistema divora se stesso, gli idoli si rivoltano contro i loro adoratori.

Il tema della visione e della spiegazione è dunque un fatto storico: il crollo di Roma. Ma questo non è tutto. Il brano non si presenta come un racconto della caduta di Roma o come una sua predizione, ma come una rivelazione di un mistero (17,5.7), parola che allude al "progetto di Dio", un progetto nascosto allo sguardo dell’uomo, ma che si manifesta allo sguardo della fede. Il susseguirsi dei simboli e delle spiegazioni non si accontenta di annunciare la fine della prostituta, ma ne svela le ragioni, i meccanismi profondi che conducono Roma a quella distruzione.

Lo sguardo di Giovanni offre una serie di elementi che travalicano quel singolo fatto e assurgono a schema di lettura applicabile a molte situazioni analoghe.

Alla comunità cristiana è richiesta un’attenzione particolare e una capacità di discernimento ("Qui accorre una mente che abbia sapienza"). È la capacità di osservare il simbolo, scorgerne il significato e applicarlo alle situazioni storiche in cui l’umanità si trova a vivere. In altre parole: avere la lucidità (che viene dalla fede e dalla conoscenza in Cristo delle leggi fondamentali con cui Dio guida la storia e realizza il suo progetto) di scorgere dietro i fatti l’azione di Dio che li determina.

*****

vv. 1–6. Uno dei sette angeli che avevano rovesciato le coppe dice a Giovanni di contemplare la grande Babilonia sulla quale sta per abbattersi la condanna. L’Antico Testamento usa chiamare prostituta una città empia e ostile a Dio (Is 1,21; 23,16-17; Na 3,4; Os 4,12; 5,3; ecc.). L’antica Babilonia era costruita vicino a molte acque, ossia ai canali, in cui si ramificava l’Eufrate (Ger 51,13). L’empietà di Babilonia si è estesa a tutta la terra (14,8).

Nell’antico Oriente le dee erano spesso rappresentate a cavallo di qualche animale, e anche qui la donna siede su una bestia scarlatta (12,3) che è piena di nomi blasfemi e ha sette teste e dieci coma (13,1). È la stessa bestia che abbiamo incontrato al cap. 13, la cui sovranità si estende a tutta la terra. La donna è carica di ricchi gioielli. Ha in mano un calice pieno fino all’orlo della sua lussuria, ossia della sua empietà. Roma è una grandissima prostituta che con la sua immoralità ha sparso il terrore su tutta la terra. Si è macchiata del grandissimo peccato di versare il sangue dei santi, ossia dei cristiani, e dei testimoni di Gesù, ossia dei servitori della Parola (18,20.24). Essa riceverà la retribuzione che si merita per questa sua condotta ostile a Dio (6,10; 19,2).

vv. 7–11. L’angelo spiega a Giovanni chi è la bestia (v. 8), poi dà l’interpretazione delle sette teste (vv. 9-11) e delle dieci coma (vv. 12-14), e solo alla fine parla della donna e del suo destino (vv. 15-18). Questa spiegazione dedica dunque maggiore attenzione alla bestia che alla donna. La bestia era, non è, e riapparirà: è quindi l’antitesi di Dio che era, che è e che viene (1,4). Ma mentre di Dio si dice che "è" sempre, della bestia si dice che "non è". La sua fine sarà la perdizione (19,20), ma prima dovrà avvenire il suo ritorno dall’abisso: la sua "parusìa" produrrà uno stupore reverenziale (13,8.14) in tutti gli abitanti della terra, ossia in tutti i non credenti (3,10). La bestia, la cui apparizione è delineata con i tratti del "Nerone redivivo" (13,3.12), si affaccia con una sua forza irresistibile. Le sette teste della bestia sono interpretate in primo luogo come sette monti. Questo primo chiarimento serve soltanto a mostrare che l’immagine si riferisce a Roma, la città dei sette colli. Questo riferimento a Roma determina anche la seconda spiegazione, che segue immediatamente: le sette teste sono sette re, sette imperatori: infatti in Oriente gli imperatori romani erano di solito chiamati re (1Pt 2,13.17; 1Tm 2,2). Cinque re sono già morti, uno regna attualmente (Vespasiano), l’ultimo deve ancora venire, ma regnerà solo poco tempo (Tito infatti regnò solo due anni). Ma l’interesse di Giovanni si concentra totalmente sull’ottavo re, che ci sarà tra breve e che passerà tutti i limiti. Si presenterà come un antagonista di Dio e di Cristo, che vuole schernire la morte e la risurrezione dell’Agnello per impossessarsi di tutto il potere.

vv.12–18. Le dieci corna della bestia (Dan 7,24) sono dieci re che hanno fatto alleanza con Roma. Essi eserciteranno il potere solo per poco tempo, poi si sottometteranno alla bestia. Secondo le aspettative popolari i satrapi parti avrebbero fatto alleanza con il "Nerone redivivo" avanzando insieme con lui dall’Oriente. I re dell’Oriente sono un pericolo minaccioso (16,12.14). Dopo aver fatto un’alleanza con loro, la bestia muoverà guerra all’Agnello. Ma l’Agnello e i suoi eletti li vinceranno; infatti alla fine Cristo avrà la vittoria (19,11-12) come Signore di tutti i signori e Re di tutti i re (19,16). Prima però questo esercito deve adempiere un’importante funzione nel piano storico di Dio: deve eseguire la condanna contro Babilonia, la grande prostituta. Le molte acque presso cui è situata Babilonia (v. 1) vengono interpretate qui come i molti uomini e popoli che si trovano a Roma (Is 8,7; Ger 47,2). Si riprende poi ancora una volta la leggenda del "Nerone redivivo" che avanza su Roma al comando di un esercito di cavalieri Parti per distruggere la città; questa leggenda ha qui lo scopo di descrivere il giudizio apocalittico su Babilonia. La bestia e il suo seguito devasteranno la prostituta, la spoglieranno e la distruggeranno (Ez 23,25-29). Dio stesso dunque si serve delle forze sataniche per punire l’empia Babilonia. La capitale del mondo splende ancora nella sua enorme potenza, ma la sua fine spaventosa si avvicina inarrestabile.

 

 

LA CONDANNA DI BABILONIA

1 Dopo ciò, vidi un altro angelo discendere dal cielo con grande potere e la terra fu illuminata dal suo splendore.
2 Gridò a gran voce:
«E' caduta, è caduta
Babilonia la grande
ed è diventata covo di demòni,
carcere di ogni spirito immondo,
carcere d'ogni uccello impuro e aborrito
e carcere di ogni bestia immonda e aborrita.
3 Perché tutte le nazioni hanno bevuto del vino
della sua sfrenata prostituzione,
i re della terra si sono prostituiti con essa
e i mercanti della terra si sono arricchiti
del suo lusso sfrenato».
4 Poi udii un'altra voce dal cielo:
«Uscite, popolo mio, da Babilonia
per non associarvi ai suoi peccati
e non ricevere parte dei suoi flagelli.
5 Perché i suoi peccati si sono accumulati fino al cielo
e Dio si è ricordato delle sue iniquità.
6 Pagatela con la sua stessa moneta,
retribuitele il doppio dei suoi misfatti.
Versatele doppia misura nella coppa con cui mesceva.
7 Tutto ciò che ha speso per la sua gloria e il suo
lusso,
restituiteglielo in tanto tormento e afflizione.
Poiché diceva in cuor suo:
Io seggo regina,
vedova non sono e lutto non vedrò;
8 per questo, in un solo giorno,
verranno su di lei questi flagelli:
morte, lutto e fame;
sarà bruciata dal fuoco,
poiché potente Signore è Dio
che l'ha condannata».
9 I re della terra che si sono prostituiti e han vissuto nel fasto con essa piangeranno e si lamenteranno a causa di lei, quando vedranno il fumo del suo incendio, 10 tenendosi a distanza per paura dei suoi tormenti e diranno:
«Guai, guai, immensa città,
Babilonia, possente città;
in un'ora sola è giunta la tua condanna!».
11 Anche i mercanti della terra piangono e gemono su di lei, perché nessuno compera più le loro merci: 12 carichi d'oro, d'argento e di pietre preziose, di perle, di lino, di porpora, di seta e di scarlatto; legni profumati di ogni specie, oggetti d'avorio, di legno, di bronzo, di ferro, di marmo; 13 cinnamòmo, amòmo, profumi, unguento, incenso, vino, olio, fior di farina, frumento, bestiame, greggi, cavalli, cocchi, schiavi e vite umane.
14 «I frutti che ti piacevano tanto,
tutto quel lusso e quello splendore
sono perduti per te,
mai più potranno trovarli».
15 I mercanti divenuti ricchi per essa, si terranno a distanza per timore dei suoi tormenti; piangendo e gemendo, diranno:
16 «Guai, guai, immensa città,
tutta ammantata di bisso,
di porpora e di scarlatto,
adorna d'oro,
di pietre preziose e di perle!
17 In un'ora sola
è andata dispersa sì grande ricchezza!».
Tutti i comandanti di navi e l'intera ciurma, i naviganti e quanti commerciano per mare se ne stanno a distanza, 18 e gridano guardando il fumo del suo incendio: «Quale città fu mai somigliante all'immensa città?». 19 Gettandosi sul capo la polvere gridano, piangono e gemono:
«Guai, guai, immensa città,
del cui lusso arricchirono
quanti avevano navi sul mare!
In un'ora sola fu ridotta a un deserto!
20 Esulta, o cielo, su di essa,
e voi, santi, apostoli, profeti,
perché condannando Babilonia
Dio vi ha reso giustizia!».
21 Un angelo possente prese allora una pietra grande come una mola, e la gettò nel mare esclamando:
«Con la stessa violenza sarà precipitata
Babilonia, la grande città
e più non riapparirà.
22 La voce degli arpisti e dei musici,
dei flautisti e dei suonatori di tromba,
non si udrà più in te;
ed ogni artigiano di qualsiasi mestiere
non si troverà più in te;
e la voce della mola
non si udrà più in te;
23 e la luce della lampada
non brillerà più in te;
e voce di sposo e di sposa
non si udrà più in te.
Perché i tuoi mercanti erano i grandi della terra;
perché tutte le nazioni dalle tue malìe furon sedotte.
24 In essa fu trovato il sangue dei profeti e dei santi
e di tutti coloro che furono uccisi sulla terra».

Abbiamo già osservato che il giudizio di Dio segue l’ordine inverso all’ordine di comparsa dei personaggi.

L’ordine di comparsa: il drago, la bestia e il suo profeta, Babilonia. L’ordine del giudizio: Babilonia, la bestia, il drago.

La potenza romana che perseguita i cristiani, incarnazione storica della bestia e del drago, se ne va per prima in perdizione.

Giovanni sa che la caduta di Roma non è ancora la fine della storia: restano la bestia e il drago, che nessuno sa quante volte torneranno a incarnarsi nel seguito della storia dell’umanità. Ciò che importa non è il numero delle loro incarnazioni storiche, ma la certezza che il loro destino è segnato. Scompariranno come scompare Babilonia. È già la terza volta che l’Apocalisse ci parla della caduta di Babilonia: la prima volta al cap. 14,8 (Un angelo grida: "È caduta, è caduta, Babilonia la grande"), una seconda volta al cap. 16 ("La grande città si ruppe in tre parti e le città delle nazioni crollarono"), e la terza in questo capitolo. È dunque un tema che l’Apocalisse considera centrale, da meditare con molta cura. Al cap. 14 addirittura era presentato come il contenuto del "lieto annuncio" (vangelo).

La caduta di Babilonia non è raccontata in se stessa, ma attraverso le reazioni e i commenti dei diversi spettatori. Intervengono personaggi diversi, celesti e terrestri, e le loro reazioni sono, ovviamente, differenti.

Il primo personaggio è un angelo e annuncia la caduta della città: pone il fatto attorno a cui si sviluppano le reazioni. Il secondo personaggio è ancora un angelo e lancia un avvertimento al popolo di Dio: occorre uscire dalla città con la quale il credente non ha più nulla in comune. A questo punto intervengono i re della terra, i mercanti e i naviganti, tutti personaggi che hanno legato la loro fortuna alla città idolatra: le loro voci esprimono stupore, paura e lamento. Infine di nuovo un angelo che con gesto simbolico sigilla per sempre il destino della città.

Come sempre, e anche più del solito, Giovanni qui si è ispirato ai modelli dell’Antico Testamento. Si notano sullo sfondo le lamentazioni profetiche sulla caduta di Tiro (Ez 26-27), dove pure intervengono i principi, i mercanti e i marinai. Comune ai testi profetici è l’avvertimento al popolo di Dio di uscire dall’empia città per non essere coinvolti nella condanna imminente (Is 48,20; 52,11; Ger 51,6.45).

Più in generale possiamo dire che l’intero capitolo è un’antologia di canti con cui i profeti hanno accompagnato la caduta di Ninive (Na 3,4), di Tiro (Is 23; Ez 26-28), di Edom (Is 34,8-14), della stessa Gerusalemme (Ger 7,34; 16,9) e soprattutto di Babilonia (Is 13,20-22; 21,9; 47-48; Ger 25,27; 50,51). Tutto il testo è una condanna puntuale dell’idolatria, intesa non solo come rifiuto di Dio, ma anche come esaltazione arrogante del benessere, del consumismo e della potenza in tutte quelle manifestazioni storiche che man mano ha assunto, da Ninive a Gerusalemme, da Babilonia a Roma. Il fatto poi che i giudizi dei profeti si siano puntualmente realizzati in passato deve confermare i lettori dell’Apocalisse che anche questa volta si compiranno su Roma.

I diversi aspetti della colpa di Roma sono: l’arrogante presunzione della propria forza e invincibilità (18,7), il lusso (18,16), l’organizzazione commerciale a servizio del consumismo e dell’accumulo della ricchezza (18,19), l’esclusione dal proprio orizzonte di ogni autentico riferimento a Dio, il disprezzo della vita umana, la violenza e la persecuzione (18,24).

A commentare la caduta di Babilonia intervengono il cielo e la terra, i credenti e i non credenti. Siamo di fronte a due letture dello stesso fatto: la valutazione del credente e del non credente, di chi valuta alla luce della parola di Dio e di chi invece valuta secondo i criteri umani. Per i primi la caduta di Babilonia è una liberazione, per i secondi una catastrofe. Una voce improvvisa invita i santi, gli apostoli e i profeti a cantare un inno di gloria: "Condannandola, Dio vi ha reso giustizia". Il crollo di Babilonia è giustizia, la prova che la menzogna, l’idolatria e la violenza non concludono. E di qui un avvertimento: uscire dalla città idolatra. non lasciarsi affascinare dai suoi apparenti successi.

*****

v. 1–8. L’angelo che discende dal cielo illumina la terra col suo splendore. Ma il messaggio che egli deve proclamare è triste. La distruzione colpirà Babilonia in modo così totale che i suoi ruderi potranno servire solo come rifugio ai demoni e agli uccelli impuri. Babilonia perisce per la sua immoralità, per la sua idolatria. Come gli antichi profeti dell’Antico Testamento esortavano a fuggire da Babilonia (Is 48,20; 52,11: Ger 51,6.45), così ora il popolo di Dio è invitato a uscire dalla città empia per non essere coinvolto nell’imminente condanna. Il significato di questo versetto è stato espresso molto bene da sant’Agostino nel "De civitate Dei" 18,18: "Il comandamento profetico va inteso spiritualmente: dobbiamo fuggire dalla città di questo mondo e, camminando con la fede operante nell’amore, cercare rifugio nel Dio vivente". Gli angeli che devono eseguire la condanna di Babilonia ricevono l’ordine di remunerare con una doppia misura la città empia che continua a vantarsi nella sua vana e orgogliosa superbia.

vv. 9–20. I re della terra, i mercanti e i marinai elevano terrorizzati il loro lamento sulla città. Tutti coloro che hanno preso parte alla vita e ai traffici di Babilonia saranno paralizzati dallo spavento e si copriranno il capo di cenere in segno di lutto. In cielo, però, si dà una valutazione molto diversa sulla condanna di Babilonia. Tutti coloro che furono vittime della violenza di Babilonia sono invitati a cantare un inno di gloria a Dio perché ha finalmente esaudito la preghiera dei martiri (6,9-11) e ha giudicato l’empia città.

vv. 21–24. La visione del giudizio contro Babilonia si conclude con il gesto simbolico di un angelo. Egli lancia una grossa pietra che si sprofonda nel mare, segno della fine irreversibile per Babilonia e per Roma (Ger 51,63-64). Ogni segno di vita scomparirà dalla città, non vi si udrà più nessuna voce umana, tutto sarà annientato.

In questo modo la città sarà punita perché ha sparso il sangue dei profeti e dei santi e di tutti coloro che sono stati uccisi sulla terra (v. 20).

 

 

IL TRIONFO DI CRISTO E IL GIUDIZIO
(19,1 – 20,15)

IL TRIONFO NEL CIELO

1 Dopo ciò, udii come una voce potente di una folla immensa nel cielo che diceva:
«Alleluia!
Salvezza, gloria e potenza
sono del nostro Dio;
2 perché veri e giusti sono i suoi giudizi,
egli ha condannato la grande meretrice
che corrompeva la terra con la sua prostituzione,
vendicando su di lei
il sangue dei suoi servi!».
3 E per la seconda volta dissero:
«Alleluia!
Il suo fumo sale nei secoli dei secoli!».
4 Allora i ventiquattro vegliardi e i quattro esseri viventi si prostrarono e adorarono Dio, seduto sul trono, dicendo:
«Amen, alleluia».
5 Partì dal trono una voce che diceva:
«Lodate il nostro Dio,
voi tutti, suoi servi,
voi che lo temete,
piccoli e grandi!».
6 Udii poi come una voce di una immensa folla simile a fragore di grandi acque e a rombo di tuoni possenti, che gridavano:
«Alleluia.
Ha preso possesso del suo regno il Signore,
il nostro Dio, l'Onnipotente.
7 Rallegriamoci ed esultiamo,
rendiamo a lui gloria,
perché son giunte le nozze dell'Agnello;
la sua sposa è pronta,
8 le hanno dato una veste
di lino puro splendente».
La veste di lino sono le opere giuste dei santi.
9 Allora l'angelo mi disse: «Scrivi: Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell'Agnello!». Poi aggiunse: «Queste sono parole veraci di Dio». 10 Allora mi prostrai ai suoi piedi per adorarlo, ma egli mi disse: «Non farlo! Io sono servo come te e i tuoi fratelli, che custodiscono la testimonianza di Gesù. E' Dio che devi adorare». La testimonianza di Gesù è lo spirito di profezia.

Questa visione è strettamente legata e contrapposta alla precedente: lì la costernata reazione del mondo (re, mercanti e marinai) di fronte alla caduta di Babilonia, qui la reazione del cielo. La reazione del cielo esprime il punto di vista della fede, che la comunità cristiana deve fare proprio in netta antitesi con le valutazioni del mondo: secondo la prospettiva mondana la caduta di Babilonia è un disastro, secondo la prospettiva della fede è una liberazione operata da Dio. Ma la reazione celeste ha anche un altro significato: gli abitanti del cielo partecipano con passione alle vicende terrene e reagiscono di fronte a tutto ciò che succede. La comunità cristiana non deve sentirsi sola.

La struttura dell’inno è quella tipica del canto liturgico: l’invito dell’a solo (v. 5) e la risposta corale dell’assemblea. L’Alleluja, espressione ebraica che significa "Lodate Iahvé", ritorna quattro volte in questo passo e mai altrove nel Nuovo Testamento: è un grido di entusiasmo, di gioia e di trionfo. L’Amen, altra espressione ebraica ("È vero, è proprio così"), riassume tutto il complesso atteggiamento del credente nei riguardi delle decisioni di Dio. Esprime l’accoglienza senza condizioni del disegno di Dio, fiducia e approvazione. Dicendo Amen il credente non soltanto afferma di ritenere il disegno di Dio "vero e degno di fiducia", ma afferma anche di rendersi disponibile ad accoglierlo e ad attuarlo. Ecco perché Gesù è definito l’Amen per eccellenza (3,14): ha detto Amen al disegno di Dio, l’ha accolto e attuato. L’assemblea dell’Apocalisse è invitata ripetutamente a dire "Amen" (dunque, ad assumere un atteggiamento di approvazione e di disponibilità, come Cristo): in apertura del libro, quale reazione di fronte alla memoria della croce di Gesù (1,6) e all’annuncio del suo vittorioso ritorno (1,7) e, a conclusione del libro, quale espressione di certezza e di attesa impaziente di fronte a tutto ciò che le visioni hanno rivelato (22,20-21).

All’inizio e alla fine dell’Apocalisse, dunque, c’è un Amen, un assenso alla croce e alla sua vittoria: un assenso fiducioso, disponibile, gioioso, grato e trionfante. La collocazione dell’Amen anche nei tre brani intermedi (5,14; 7,12; 19,4) non sembra casuale. Si tratta infatti dei tre punti nodali sui quali si regge tutta la meditazione dell’Apocalisse: il Cristo morto e risorto chiave di lettura della storia, la certezza del trionfo dei martiri, il crollo dell’idolatria.

La comunità che nel momento della prova ha imparato faticosamente a fidarsi di Dio, ora constata con gioia di non essersi sbagliata. Il castigo per l’idolatria c’è davvero e la giustizia divina è un dato di fatto. Il canto esprime la gioia della verifica e del momento finalmente arrivato. E tuttavia l’attesa non è ancora finita perché non è ancora giunto il castigo sulla bestia e sul drago che sono gli oscuri mandanti di Babilonia. Ma soprattutto l’attesa non è finita perché il castigo è solo una parte dell’attesa, la parte meno importante. Alla sconfitta del male deve seguire la nascita del mondo nuovo.

Giovanni sente il bisogno di aggiungere al canto una conclusione: "Il lino rappresenta le opere giuste dei santi". Fuori metafora, la veste di lino bianco sono "le opere di giustizia": ecco la condizione concreta per scampare al giudizio ed essere accolti tra gli invitati. Sia pure con sobrietà e discrezione, Giovanni sembra particolarmente insistere sulle opere (1,3; 14,13; 22,11). Non basta conoscere e dire; occorre praticare. Il giudizio avviene sui fatti.

Tutta la scena si conclude con un breve dialogo (vv. 9-10) tra l’angelo accompagnatore e Giovanni: è un dialogo sostanzialmente ripetuto anche alla fine del libro (22,6-9). Il suo scopo è di assicurare che le visioni raccontate sono realtà, sono promessa di Dio, non sogno dell’uomo: "Queste parole sono veritiere, perché vengono da Dio" (21,5–22,6). L’ordine di "scrivere" è presente con una certa insistenza nell’Apocalisse, all’inizio (1, 11.19) e alla conclusione (21,5), e in alcuni brani particolarmente importanti (2,1ss; 10,4; 19,9). È un modo per sottolineare l’autorevolezza del libro e l’origine divina delle cose che racconta: è un libro da leggere senza nulla aggiungere e nulla togliere (22,18-19). Giovanni cade ai piedi dell’angelo in segno di adorazione, ma la reazione dell’angelo, vivace e polemica, ricorda all’uomo che solo Dio è da adorare. Forse è una presa di posizione contro alcune tendenze che serpeggiavano nella comunità e che finivano per prestare agli angeli un’eccessiva attenzione.

"La testimonianza di Gesù è lo spirito della profezia" (v. 10): significa che angeli e uomini sono accomunati nel "possedere la testimonianza di Gesù". Il loro compito è di essere a servizio di Gesù e della sua rivelazione, cioè prendere posizione in suo favore (testimoniare), vivere la storia come lui l’ha vissuta (una storia in cui il bene è combattuto e crocifisso), leggere e valutare gli avvenimenti che accadono con gli occhi di Dio, come appunto l’Apocalisse ci va insegnando: tutto questo è lo "spirito di profezia".

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vv. 1–5. I cori celesti intonano gli inni trionfali in cui vengono riassunti tutti gli inni di lode che punteggiano l’intera Apocalisse (4,11; 5,9-14; 7,9-17; 11,15-19; 12,10-12; 14,1-5; 15,3-4); Babilonia è caduta, il giudizio è già avvenuto, il sangue dei servi di Dio che era stato versato è vendicato, l’empietà della prostituta è stata punita. Dal luogo dove è stata eseguita la condanna, il fumo si innalzerà per tutta l’eternità. Per tre volte i cori celesti intonano l’inno di lode con il grido tratto dalla liturgia ebraica: Alleluja ossia: "Lodate il Signore!". Una voce dal cielo estende lo stesso invito a tutti credenti, e così l’inno risuona anche sulla terra.

vv. 6–8. La moltitudine infinita, di cui Giovanni ode il canto, inizia anch’essa il suo inno con il grido "Alleluja". Ora Dio ha assunto il comando (11,17), ora il potere è interamente nelle sue mani, ora il Regno è presente. E ciò significa che è cominciata l’ora della redenzione e che viene il momento delle nozze dell’Agnello. La comunità è la sposa di Cristo (2Cor 11,2; Ef 5,25ss; Mc 2,19; Mt 22,2; 25,1ss; Gv 3,29): essa viene condotta in sposa al suo Signore. (cap. 12). Mentre la prostituta Babilonia si era pomposamente adornata (17,4-5; 18,16), la sposa dell’Agnello è vestita di semplice lino bianco. La prostituta è condannata, la sposa va a nozze. Babilonia è distrutta, la nuova Gerusalemme sarà la città santa (cap. 21).

L’autore aggiunge una spiegazione supplementare: la veste di lino sono le opere giuste dei santi, in contrapposizione alle opere vergognose dell’empia Babilonia (18,5).

vv. 9–10. A Giovanni è comunicata una beatitudine affinché la scriva e la faccia conoscere alle comunità (14,13). La beatitudine vale per tutti coloro che sono invitati alle nozze dell’Agnello e che parteciperanno al banchetto di gioia alla fine dei giorni (3,20). Questa promessa è fatta da Dio: perciò è vera e assolutamente degna di fiducia. Giovanni cade in adorazione ai piedi dell’angelo, ma questo si rifiuta: l’adorazione spetta soltanto a Dio. L’angelo è un servo come Giovanni (22,8) ed è fratello dei profeti che sono servi di Dio (10,7; 11,18) e hanno la testimonianza di Gesù (12,17). Ma Giovanni riceve conferma che le sue parole hanno autorità profetica e la sua testimonianza è convalidata. La testimonianza di Gesù, infatti, è lo spirito della profezia. Ciò significa che la parola di Cristo è proclamata alla comunità mediante lo Spirito di verità (Gv 14,26; 16,13-14), che parla per bocca dei profeti. Il compito di Giovanni è quello di rivolgere il messaggio di Gesù alla sua comunità parlando come testimone che trasmette esclusivamente la testimonianza (1,1-2).

 

 

LA VITTORIA DI CRISTO SULLA BESTIA E IL SUO ESERCITO

11 Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava «Fedele» e «Verace»: egli giudica e combatte con giustizia.
12 I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi; porta scritto un nome che nessuno conosce all'infuori di lui. 13 E' avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è Verbo di Dio. 14 Gli eserciti del cielo lo seguono su cavalli bianchi, vestiti di lino bianco e puro. 15 Dalla bocca gli esce una spada affilata per colpire con essa le genti. Egli le governerà con scettro di ferro e pigerà nel tino il vino dell'ira furiosa del Dio onnipotente. 16 Un nome porta scritto sul mantello e sul femore: Re dei re e Signore dei signori.
17 Vidi poi un angelo, ritto sul sole, che gridava a gran voce a tutti gli uccelli che volano in mezzo al cielo: 18 «Venite, radunatevi al grande banchetto di Dio. Mangiate le carni dei re, le carni dei capitani, le carni degli eroi, le carni dei cavalli e dei cavalieri e le carni di tutti gli uomini, liberi e schiavi, piccoli e grandi».
19 Vidi allora la bestia e i re della terra con i loro eserciti radunati per muover guerra contro colui che era seduto sul cavallo e contro il suo esercito. 20 Ma la bestia fu catturata e con essa il falso profeta che alla sua presenza aveva operato quei portenti con i quali aveva sedotto quanti avevan ricevuto il marchio della bestia e ne avevano adorato la statua. Ambedue furono gettati vivi nello stagno di fuoco, ardente di zolfo. 21 Tutti gli altri furono uccisi dalla spada che usciva di bocca al Cavaliere; e tutti gli uccelli si saziarono delle loro carni.

Mentre il dramma della caduta di Babilonia era presentato come una sinfonia da ascoltare, con voci e cori, la sconfitta della bestia e del drago è presentata come un filmato da vedere.

La sconfitta della bestia e del falso profeta è raccontata in un rapido succedersi di quadri, delimitati dalla triplice annotazione introduttiva "lo vidi" (vv. 11.17.19). Prima di tutto si vede Cristo vincitore, che è il tratto più importante di tutta la scena; poi il radunarsi degli uccelli, pronti a divorare i cadaveri degli sconfitti; e infine la battaglia. A dire il vero non si racconta in alcun modo la battaglia, ma solo la vittoria del Cristo. Di fronte al Signore, infatti, non c’è posto per la battaglia, ma solo per la sconfitta.

Le immagini con cui è descritto il Cristo vincitore evocano lo splendore, la potenza irresistibile e la serenità. Le immagini del castigo evocano l’orrore e il tormento.

La descrizione del banchetto è volutamente macabra e repellente (soprattutto per la ripetizione del termine "carne") e si modella su un’analoga visione di Ezechiele (cap. 39). Anche l’immagine del "lago di fuoco" ritorna con notevole insistenza in questi ultimi capitoli del libro: in esso vengono gettati la bestia e il suo profeta (19,20), il diavolo (20,10), la morte e l’Ade (20,14), chiunque non abbia il suo nome scritto nel libro della vita (20,15), gli idolatri e i menzogneri (21,8).

La visione che stiamo esaminando, seguita poi dalla sconfitta del drago, mostra che il giudizio scende in profondità: dopo il castigo di Babilonia vediamo la sconfitta della bestia e del suo profeta, che hanno sostenuto e istigato la città idolatra. E mostra che il giudizio si allarga, coinvolgendo insieme a Babilonia il mondo intero: "Vidi la bestia insieme ai re della terra e i loro eserciti" (19,19).

Veniamo dunque al punto più importante, cioè il Cristo vincitore. Egli giunge con la potenza di Dio, a cui nessuno può opporre resistenza. Le tre immagini della "spada affilata", della "verga di ferro" e del "tino dell’ira di Dio" indicano che egli viene per giudicare. Non è più il bambino che deve fuggire davanti al drago (12,5), ma il cavaliere che affronta il drago e lo abbatte. Nella sua prima venuta ha percorso la via della croce, nella sua seconda venuta percorrerà la via della vittoria. Non sono però due vie contrapposte. La seconda venuta mostrerà ciò che la prima nascondeva. Si tratta sempre, infatti, di una vittoria legata alla croce, come sembra indicare l’immagine del "mantello intriso di sangue": nella visione di Isaia (63,1) era il sangue dei nemici, ma nella visione dell’Apocalisse è probabilmente il sangue della croce. Giovanni intende attirare l’attenzione sull’identità del cavaliere vincitore e per questo costruisce attorno al suo nome una specie di contrasto. Per un verso il suo nome rimane nascosto, per un altro è svelato. Il mistero del Cristo rimane insondabile come il mistero di Dio, irraggiungibile nella sua profondità: tuttavia ci è dato di conoscere qualcosa su di lui. Egli è la "garanzia vivente" che Dio è fedele alle sue promesse ("si chiama Fedele e Verace"). Dio può differire la sua promessa, e certo la mantiene a modo suo, ma i suoi disegni si realizzano sempre: di questo il Cristo (con la sua morte e risurrezione) è la garanzia. Egli è la "Parola di Dio", cioè la somma di tutto ciò che Dio ha rivelato agli uomini, la rivelazione piena e definitiva di Dio. "Parola di Dio" è un titolo che solo Giovanni applica al Cristo e, per comprenderne appieno il significato, occorre leggere il prologo del quarto vangelo (1,1-18). Egli è "il Re dei re e il Signore dei signori": il vero Signore non è l’imperatore di Roma, ma Gesù di Nazaret. Davanti a Pilato Gesù affermò di essere re (Gv 18,37) e fece ridere: lo considerarono un re da burla e lo rivestirono di ridicole insegne regali (Gv 19,1-3). Ma ora Gesù appare re con tutto lo splendore che gli compete. La regalità di Cristo passa attraverso la croce, a differenza della regalità mondana che invece preferisce percorrere altre strade. La regalità di Cristo e quella del drago si contrappongono totalmente. Per questo il drago combatte il Cristo e la sua comunità.

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vv. 11–16. Il cielo si apre e Cristo appare per trionfare sui suoi nemici. Sebbene non si dica chi sia il cavaliere vittorioso che cavalca il cavallo bianco (6,1-2), risulta subito evidente che la scena descrive il ritorno di Cristo. Un tempo il Signore che andava incontro alla sua passione era entrato in Gerusalemme su un asino (Mc 11,1-11), ma ora il Re ha deposto i segni dell’umiliazione e siede sul cavallo come un vincitore. Egli è chiamato Fedele e Veritiero (1,5; 3,14). Egli giudica con giustizia, e ciò significa che, in adempimento alla promessa di Is 11,4, regna da giusto sovrano.

Cristo è accompagnato dalle schiere celesti, da legioni di angeli che lo seguono come il suo esercito (Mc 8,38; 13,27; Mt 25,31; 2Ts 1,7-8; ecc.). Se i diademi del drago (12,3) e della bestia (13,1) erano espressione della loro sovranità usurpata, le numerose corone che cingono il capo del Cristo sono invece il segno che Dio gli ha dato il regno. In forza del nome che gli è stato conferito, egli esercita il potere sul cielo e sulla terra (2,17). In un primo momento si dice che porta scritto un nome che nessuno conosce all’infuori di lui stesso, e nel versetto successivo si trova l’indicazione del nome: la Parola di Dio. Questo ci richiama alla mente Sap 18,15-16, dove è detto che la parola onnipotente di Dio è venuta dal cielo per eseguire la condanna sull’Egitto, scendendo dal trono regale come un guerriero selvaggio in mezzo al paese votato alla distruzione. Egli era la spada di Dio, di cui eseguiva l’ordine irrevocabile uccidendo i primogeniti degli egiziani. Analogamente l’unica arma del Cristo è la parola con cui egli combatte e giudica. anzi egli è la stessa Parola di Dio (Gv 1,1). Mentre la bestia su cui cavalca la prostituta Babilonia era coperta di nomi blasfemi (17,3), Cristo invece reca sul vestito e sui fianchi il titolo della dignità conferitagli da Dio: Re dei re e Signore dei signori.

vv. 17–21. Ora Cristo combatterà la battaglia decisiva contro i suoi nemici. Ma come nel cap. 18 l’esecuzione della condanna di Babilonia non è stata descritta, così qui non c’è alcuna descrizione della battaglia. L’esito della lotta è talmente scontato che, già prima dell’inizio, gli uccelli che si nutrono di carogne sono invitati all’orrendo banchetto di cadaveri. Questo pasto costituisce l’orrenda contraffazione e contrapposizione alla festa di nozze alla quale sono chiamati i beati (19,9).

L’esercito condotto da tutti i re della terra è schierato in battaglia, ma è subito annientato. La bestia e il falso profeta sono gettati vivi nello stagno di fuoco. I seguaci della bestia e del falso profeta sono uccisi sul posto con la spada che esce dalla bocca di Cristo. Nessuno è risparmiato. Rimane soltanto satana, che aveva radunato quell’esercito: su di lui dev’essere ancora pronunciato il giudizio.