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Capitolo sesto: LA FEDE CRISTIANA E LE SUE RAGIONI (pagg. 95-104)

“Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15)

Ragioni della fede e motivo della fede

Il fondamento della fede è Dio che si rivela, non il ragionare dell’uomo, tuttavia vi è una ragionevolezza umana nell’atto di fede, una autentica onestà intellettuale.

La fede è un’adesione a Dio conforme a ragione

“Nessuno può venire a me –dice Gesù- se non gli è dato dal Padre” (Gv 6,65) perciò le ragioni della fede non possono produrre la fede, ma solo giustificarla, la fede non è dimostrabile, ma non è un fatto irrazionale, perché non sarebbe umana, essa è, invece, un atto autenticamente umano.
Anche per questo essa non è un fatto soggettivistico, non è razionalismo, né fideismo, una fede degna dell’uomo è una fede ragionevole.
Il tema della ragionevolezza della fede si trova trattato nella Dei Filius del Vaticano I.
· La fede non si basa sui contenuti, ma sull’autorità di Dio che si rivela (DS 3008).
· Non è frutto della ragione, ma non è irrazionale, dunque non ex ratione, ma neppure sine ratione (DS 3009).
· La credibilità della fede e i preambula fidei che riguardano il sapere, non il credere e che pure giustificano (non provano) la fede.
· Tema dei segni esterni di credibilità come i miracoli e le profezie avveratesi.
· Sul rapporto fede ragione si dice che attraverso la ragione si può arrivare a credere nell’esistenza di Dio, anche se non si può parlare di dimostrazione in senso stretto (commenta Ardusso pag. 100), di certezza morale.
· Però l’uomo che ricerca con la ragione non è l’uomo naturale (che non esiste), bensì sempre l’uomo creatura di Dio, al quale Dio offre aiuto nella ricerca (DS 3009).
Così il no al fideismo e al razionalismo si ottiene combinando le due esigenze, l’uso di ragione, la libertà di credere, la grazia, si tratta del rapporto fede/ragione che ancora è dibattuto in teologia fondamentale.

Le ragioni della fede nel cattolicesimo e nel protestantesimo

La teologia protestante non si interessa particolarmente del ruolo della ragione nell’atto di fede, data la sua visione dell’uomo e del tema della grazia, e sconfina a tratti nel fideismo.
Il cattolicesimo ha invece fatta propria una apologetica della fede di fronte all’uomo moderno, al non cattolico, al non cristiano, al non credente.

Capitolo settimo: LE RAGIONI DELLA FEDE (I) (pagg. 105-132)

Una via negativa di approccio alla fede cristiana

Anche l’incredulità è qualcosa di incerto, più la scienza ci dice di sapere, più noi ci accorgiamo di non sapere.
Così la stessa scienza potrebbe aprirsi alla religione per trovare le risposte ultime, la consapevolezza delle non risposte porta alla scoperta di colui che è la risposta.

Il modello del testimone autorevole

È la via classica dell’apologetica, si parte dal fatto della rivelazione, Dio si è storicamente rivelato in Gesù Cristo!
I suoi miracoli, la sua resurrezione ci sono raccontati dai testimoni e sono la prova della potenza di Cristo, della sua divinità.
Le profezie avevano parlato del messia e si sono puntualmente avverate in Gesù, perciò Gesù è il testimone autorevole di Dio, ci si può fidare.
I miracoli vengono qui trattati semplicemente come prova della divinità di Cristo, sono staccati dal loro contesto e perdono i significati contenutistici presenti nel testo sacro (annuncio del Regno…).
La Dei filius risente di questa impostazione (DS 3009), ha un impianto “dimostrativo” a causa della sua opposizione al razionalismo, ma riduce il cristianesimo a verità e dottrine cui credere in quanto si dimostra la credibilità del testimone (Gesù Cristo).
Si tratta di una impostazione giuridica.
È modello positivo perché mette al centro Gesù Cristo e si interessa della sua storia, pecca di dottrinalismo.
La centralità di Cristo è poi ribadita nel Vaticano II alla DV 4.
Eppure c’è solo Gesù Cristo, a partire dal testimone si giustifica il tutto della fede, si tratta allora di una apologetica estrinsecistica che cioè non si cura del contenuto, ma si limita a segnalare la credibilità dell’annunciatore.
Contro questo estrinsecismo il tentativo di Blondel (1861-1948) fu quello di studiare la dinamica umana del vivere come un continuo trascendere e quindi giustificare così la dimensione religiosa dell’essere (apologetica dell’immanenza, che parte dall’uomo e non è estrinsecista rispetto ad esso può essere detta anche apologetica integrale), il soprannaturale richiesto dal naturale e tuttavia non conquistato, bensì donato.
Blondel recupera così il lato soggettivo dell’atto credente evitando il rischio razionalistico-oggettivo, spazio importante viene qui lasciato alla psicologia.

Modello antropologico

Si parte dall’uomo per giungere a giustificare il cristianesimo come la possibilità del compimento e della realizzazione della persona, cristianesimo come datore di senso autentico all’esistenza, come risposta.
Esponente chiave è stato Karl Rahner che coglie nell’uomo la struttura esistenziale che lo fa aperto alla rivelazione, alla fede.
Rahner elabora così una antropologia trascendentale che ponga il soprannaturale come sbocco necessario.
Il cristianesimo si esplicita qui come la categorizzazione di tale soprannaturalità.
L’uomo e aperto, è tutto un trascendere, nella conoscenza, nei desideri, nelle possibilità, ciò nasconde l’apertura fondamentale che sta alla base che è l’apertura all’infinito.
Così l’uomo aspetta la rivelazione, la sente come necessaria, è un uditore della parola.
Che l’uomo sia destinato alla grazia deriva dalla presenza in lui dell’esistenziale soprannaturale, ad esso l’uomo risponde attraverso l’espressione religiosa (dimensione categoriale della trascendentalità), la cui forma più alta, l’unica autentica e vera, è il cristianesimo perché Gesù Cristo è la parola da udire.
Se allora Cristo completa l’uomo ne deriva che l’antropologia è una cristologia incompleta e la cristologia una antropologia portata alle ultime conseguenze.

Anche Bernhard Welte trova nell’uomo una struttura di accoglienza della fede, una fiducia originaria che rende possibile il farsi della vita.
Prima ancora della rivelazione vi è una fede originaria nella vita, nella felicità, nella verità etc.
La fede cristiana tutto riassume e racchiude.

L’impianto antropologico per motivare le ragioni della fede è quello della Gaudium et Spes del Vaticano II, scia connessa è quella del senso ultimo della vita, il rilevare il fallimento dei sistemi solo umani e delle ideologie e false illusioni.
Per Kasper oggi il luogo della fede è la questione del senso, proprio perché l’uomo è uomo che si interroga, che cerca.
È un modello che va recepito criticamente, in esso è affrettato il rapporto domande dell’uomo e risposte della fede.
Eppure la risposta religiosa alla domanda del senso è ancora l’unica percorribile, da qui il ritorno alla religione dopo i fallimenti delle filosofie razionali.
Ma autenticamente percorribile sarà la proposta cristiana perché essa ha origine da un intervento di Dio che si è rivelato piuttosto che da un ricercare solo umano.

Capitolo ottavo: LE RAGIONI DELLA FEDE (II) (pagg. 133-156)

Crisi del modello antropologico

Sembra essere riduttivo pensare alla fede semplicemente come risposta alle domande dell’uomo, la fede è sempre un qualcosa di più, di inaspettato (si pensi alla croce! Alla debolezza di Dio).
Il Dio che dà risposte alle esigenze umane rischia di ridursi ad un idolo.
Contro il modello antropologico si è battuto von Balthasar: l’antropologia non può essere il punto di partenza nella trattazione della fede perché si deve assolutamente preservare l’assoluta trascendenza e l’assoluta gratuità del fatto cristiano.
Per Balthasar la fede nasce da una reazione estetica a Dio che manifesta la sua gloria, il suo amore in Cristo crocifisso, Gesù Cristo attira e affascina nel suo mistero di amore e di donazione.
Balthasar è in polemica con l’esegesi contemporanea che ha sezionato la figura di Cristo in tutti i modi finendo per farne perdere il fascino e la bellezza al punto che ora egli non attrae più.
Ma è in polemica anche con la teologia (Rahner) che non prende in considerazione il caso serio di Gesù Cristo e si affida all’uomo, alle scienze umane.

In effetti si è spesso perseguita un’apologetica del senso dove Dio garantisce contro l’assurdità del vivere e si fa garante di un ordine e di una logica, di una società oppure, più soggettivamente, come colui che garantisce l’autorealizzazione del singolo.
Qui, nel secondo caso, la religione è però ridotta a benessere e salute, evita le nevrosi perché dà un senso (movimenti religiosi nuovi), qui la fede è ridotta alla risposta ai bisogni umani e ad essa si può obiettare ancora oggi con Feuerbach, Marx e Freud (Dio è la proiezione di un desiderio umano).
Naturalmente la fede è anche questo, ma solo secondariamente, non è questo il punto principale, Dio non si lascia strumentalizzare, non ci si accosta a Dio, non si cerca Dio per soddisfare i bisogni umani, ma per amore, per godere della sua gratuità.
Non un Dio che risponde ad un bisogno (con una soluzione immediata come il mangiare per la fame), bensì un Dio che risponde al desiderio (mi abbandono e mi fido).
Dio risponde anche al bisogno, certo, ma secondariamente, e non lo si deve ridurre a colui che soddisfa i bisogni (sarebbe idolo).

Inoltre l’uomo post-moderno vive una situazione di degrado, di sfiducia, di frantumazione, di dubbio, di narcisismo, di chiusura individuale, senza valori ed ideali, nonb c’è più la visione della totalità, ma del frammento.
Nietzsche aveva affermato la morte di Dio e con essa la morte di tutti i valori e di tutte le certezze.
In questo contesto l’interesse per Dio è crollato, non voi è ateismo, ma indifferenza alla questione religiosa, oppure è rinato nella forma utilitaristica, salutare dei movimenti religiosi senza storia o tradizione.
È l’epoca del pensiero debole, qui non si può calare la fede, la fede come risposta, proprio perché ormai manca la domanda.
Su questo uomo non è possibile, questa antropologia non sbocca nella fede, siamo alla crisi del modello antropologico.
Il problema è attuale anche perché nella pastorale la chiesa offre una risposta senza che ci sia stata la domanda!

Ricerca di alternative al modello antropologico

Un’alternativa è quella del modello kerigmatico che si basa semplicemente sull’annuncio della Parola di Dio senza curarsi del destinatario e di sue eventuali strutture di accoglienza.
La Parola di Dio ha infatti una sua forza travolgente, si deve annunciare con coraggio e fiducia l’essenza del cristianesimo.
Per I. Mancini si deve recuperare la categoria del senso oltre il pensiero negativo.
Ancor oggi il senso può essere rilanciato come luogo della fede (Ardusso pag. 147) perché esso riemerge continuamente nelle vicende chiave della vita come notano gli psicologi.
Per Antiseri la crisi della ragione apre invece le strade della fede, sulla linea della riflessione kantiana, la ragione ammette che il senso ultimo da lei esigito lo può dare solo la fede.
Tuttavia vale qui sempre il richiamo di Barth a non impostare una apologetica che fondi la fede al di fuori della rivelazione, non si parte dalle attese, ma dal fatto Gesù Cristo che si scopre poi essere l’unica risposta possibile alle effettive attese dell’uomo.
La prospettiva dell’atto di fede dovrà allora essere discendente, non ascendente.