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Fede e ragione nel pensiero di John Henry Newman
9 marzo 2011 alle ore 12:18
Newman vuole mostrare che è possibile dare un
assenso ragionevole alla religione cristiana la quale rivendica un’origine
soprannaturale e presenta delle verità che trascendono l’intelletto umano.
Newman analizza come spontaneamente e naturalmente l’intelletto opera dei
confronti, muovendosi da un punto ad un altro formando, in questo suo andamento,
uno dei caratteri più importanti della conoscenza.
Dato che Newman sostiene che sia possibile apprendere senza comprendere;
propone di distinguere i termini apprensione e comprensione con un esempio: è
possibile tradurre esattamente un testo di economia con una comprensione minima
delle nozioni contenute in esso e senza competenza scientifica.
Al fine del proprio ragionamento Newman sottolinea come nell’agire
quotidiano molto avvenga in virtù di una apprensione piuttosto che di una
comprensione e che l’apprensione rappresentata l’oggetto della sua riflessione.
Questa, secondo Newman, è caratterizzata da diversi gradi ed è quindi più o meno
forte a seconda che essa riguardi il campo reale o nozionale; questo perche il
concreto ha sulla mente una forza maggiore del nozionale.
L’apprensione, sia essa reale o nozionale, costituisce il presupposto
indispensabile all’assenso, perché senza conoscenza non si dà assenso. Newman
definisce l’assenso come l’atto mentale che esprime l’adesione incondizionata della
mente ad una proposizione ritenuta vera.
Come vi è un’apprensione reale e nozionale, prosegue Newman, così vi è un
assenso reale e nozionale. L’assenso reale è dato alle cose concrete: ad un fatto, ad
un individuo, ad un oggetto particolare. L’assenso nozionale invece è dato,
all’interno della mente, a nozioni astratte ed universali; tale è l’assenso, per lo più
debole e superficiale, che noi diamo alle opinioni, ai proverbi e ad alcuni dati
generali.
Mentre l’assenso nozionale rimane in un ambito puramente intellettuale ed
astratto, l’assenso reale, osserva Newman, nasce dall’incontro diretto ed immediato
dell’individuo con la realtà concreta. Dunque l’assenso reale interagisce con il
nostro quotidiano.
A questo punto egli articola il suo discorso in un primo momento applicativo
allo scopo di mostrare la differenza che riguarda l’assenso nozionale e quello reale
in materia religiosa. La conoscenza nozionale di Dio è conseguita mediante esercizi
intellettuali, sillogistici, inferenziali; in essa noi diamo un assenso a delle nozioni
cioè a delle verità astratte. Ora al dogma, centro del fatto cristiano, la nostra mente
può assentire, in quanto proposizione che esprime una nozione, o che esprime una
realtà. Secondo Newman “con l’assenso reale al dogma compiamo un atto religioso,
con l’assenso nozionale compiamo un atto teologico.”
Prendiamo l’esempio del dogma dell’Immacolata Concezione, sei io aderisco
all’idea dell’Immacolata Concezione in quanto “principio” sancito dalla Chiesa
compio un atto teologico se invece aderisco ad esso perché il mio assenso
immaginativo mi ha fatto aderire alla sua materialità compio un atto religioso.
Non a caso ho parlato in questo contesto di assenso immaginativo. Newman
nella prima parte della grammatica utilizzerà il termine immaginazione più di 200
volte mentre ometterà di utilizzarlo nella seconda. Il ruolo dell’immaginazione
nell’assenso di fede verrà riproposto nei Theological Papers (che contengono le
riflessioni del Newman Cattolico sulla certezza). In tale contesto egli riconoscerà di
avere volutamente omesso il concetto di immaginazione – trasformandola in
assenso reale – proprio perché riteneva i suoi interlocutori non pronti a intende
correttamente tale termine.
Nella prima parte della Grammatica, infatti, Newman assocerà
l’immaginazione alla apprensione parlando appunto di apprensione immaginativa,
l’assenso immaginativo ne sarebbe stata l’evoluzione scontata. Per Newman dare
un assenso nozionale alla proposizione “un unico Dio” è semplice, è sufficiente
argomentare, come fanno i teisti, che si tratta di un Dio numericamente uno,
personale e autore di tutte le cose. Però Newman non ritiene che da solo un
assenso nozionale possa vivificare una fede autentica ed è a questo punto che
ripropone la domanda che gli sta a cuore:“... raggiungerò mai un assenso
all’esistenza di Dio più vivido di quello che è accessibile all’intelligenza nozionale?
Entrerò con personale intendimento nella cerchia delle verità di cui è fatto questo
grande pensiero? Potrò raggiungerne l’apprensione immaginativa, come l’ho
chiamata? Credo così come se vedessi? Poiché un così alto assenso esige
l’esperienza attuale o il ricordo di un dato fatto, si direbbe che la risposta può
essere solo negativa: posso assentire come se vedessi, se non vedo né ho veduto?
E nessuno quaggiù vede Iddio. Eppure io ritengo possibile un assenso reale; e dirò
come.”
È quello che alcuni studiosi di Newman hanno anche definito come
coinvolgimento immaginativo del sé.
Preliminare a tale dimostrazione è, secondo Newman, riconoscere un primo
principio: l’uomo, per natura, ha una coscienza. E’ proprio dal riconoscimento della
coscienza come primo principio e fatto naturale (quanto la memoria, il raziocinio,
l’immaginazione e il senso del bello) che Newman fonda in modo originale il
discorso apologetico che, abbozzato alla fine della prima parte dell’opera, verrà
ripreso e ampliato nella seconda.
Ora se la coscienza attesta l’esistenza di Dio, giudice e autore di tutte le cose
e se attraverso l’immaginazione se ne ha una immagine, tale immagine è quella che
nella Grammatica fa dire ad Agar “tu Dio mi vedi”e in quanto tale è il segno di una
partecipazione personale e intensa, è insomma quel movimento in grado
coinvolgere il cuore dell’uomo. Agar è colei che pur non avendo visto il volto di Dio
ne ha ugualmente interiorizzato la presenza come fatto religioso e non come
nozione teologica. Questo è il risultato della presa immaginativa e non
dell’immaginario.
Dunque, se nella prima parte della Grammatica Newman si era ripromesso di
dimostrare che si può credere ciò che non si può capire, potremo azzardare e dire
che questo può avvenire perché si può immaginare in virtù di quella apprensione
immaginativa che, rafforzata dai sentimenti della coscienza, afferma in modo
incondizionato che l’esistenza assoluta è una funzione della personalità unica di Dio
come Padre, Giudice e Cercatore di cuori.
Possiamo dire che lo sforzo di Newman si palesa per una analisi
estremamente complessa per la sua stessa natura, degli elementi che compongono
l’atto di fede in quanto atto personale. Questo dimostra che il problema non è
nell’oggetto di fede quanto nel soggetto che tende all’oggetto. In altre parole il
problema non è la Rivelazione ma il singolo individuo che ad essa tende. Questo è
tanto più vero se consideriamo che è nella seconda parte della Grammatica
dell’Assenso che Newman si ripropone di dimostrare che si può credere ciò che non
si può provare.
Dal mio punto di vista questo va nel segno di significare che il problema
continua ad essere l’uomo e non Dio – per dirla da filosofi nel soggetto e non
nell’Oggetto. Infatti Newman punta a fare emergere che non sono gli elementi di
tipo storico che il cristianesimo può vantare quali prove, a costituire la fede dei
credenti. L’analisi di Newman investe infatti il tema della certezza personale e il
ragionamento sulle probabilità.
Ora secondo Newman ciò che va assolutamente bandita e scardinata è
l’affermazione secondo la quale non è possibile assentire a una proposizione con
forza maggiore di quanto non lo consentano le prove che la sostengono, questo
significherebbe che l’assenso, in quanto adesione della mente ad una realtà
riconosciuta come vera, dipende dal grado delle sue prove. Di fatto l’assenso
assoluto potrebbe darsi solo come ratifica di un atto di dimostrazione o di intuizione.
Questo è quello che la filosofia di Locke aveva lasciato intendere ma per
Newman è assolutamente discutibile perché il modo concreto del ragionare
dell’uomo dimostra che egli assente e agisce a prescindere dalla fissità di una prova
di tipo matematico scientifica propria della scienza positiva. Tutto questo si esprime
nella considerazione di Newman relativa alla certezza.
La certitude indica l’aspetto soggettivo – ovvero la percezione personale della
certezza – ben distinta dalla certainty che si riferisce all’aspetto oggettivo della
conoscenza. In tutte le questioni che riguardano l’agire gli uomini usano quello che
Newman chiama senso illativo, che ha avvicinato alla phronesis aristotelica, che,
come facoltà di giudizio pratico personale nella sfera morale, trascende ogni
sistema di legge esterno. Newman ne allarga il campo e lo estende al concreto e
alla conoscenza in generale. Il suo campo di azione è inquisitio veri.
Tornando alla Grammatica dobbiamo sottolineare come Newman ci tenga a
precisare che nel caso dell’assenso non si possa parlare di gradi. Cioè non si può
assentire soltanto in parte, l’assenso presuppone un’adesione totale. O c’è o non
c’è.
La domanda che può sorgere è sulla modalità con cui si raggiunge un assenso
reale di un fatto di cui non si può dare ragione e come può questo raggiungere la
stessa intensità, la stessa forza, di un assenso che basa sulla prova scientifica la
propria validità. Al riguardo Newman utilizza una immagine che mi pare molto
rappresentativa. La prova scientifica viene sostituita dalla forza della probabilità che
trova nel senso illativo – che abbiamo poc’anzi incontrato - la propria ragione
d’essere.
Il senso illativo determina ciò che la scienza nelle questioni concrete non può
determinare, quelle probabilità – appunto – che concorrono al vero in modo analogo
al tendere verso un limite nel caso di una ratio matematica, determina cioè
quell’insieme complesso di elementi che noi, basandoci sui nostri primi principi,
giudichiamo probabili, e che, nel loro parallelo convergere verso la verità,
costituiscono nella scienza Newtoniana quel limite massimo oltre al quale non ci è
dato andare, ma grazie al quale raggiungiamo un assenso reale.
E’ dunque evidente che ad un certo punto nella conoscenza si verifica un
“cambio di stato” in virtù del quale il soggetto fa suo l’oggetto da conoscere –
potremmo dire lo interiorizza. Tale passaggio segna un cambiamento.
A questo riguardo Newman, in una lettera ad un amico, fa un paragone
illuminante: “quello che intendo può essere illustrato nel modo migliore da una
fune, che è fatta da un certo numero di singoli fili, ciascuno dei quali in sé è debole,
ma insieme sono forti come una sbarra di ferro. La sbarra di ferro rappresenta la
dimostrazione matematica o stringente, la fune la dimostrazione morale, che
consiste in un cumulo di probabilità che singolarmente non sono sufficienti a dare
certezza, ma prese assieme sono irrefutabili.”
Ecco perché la fede è una forma di conoscenza; non è certo la conoscenza
delle scienze matematiche o fisiche ma quella delle certezze che ognuno costruisce
ogni giorno in virtù delle sue inclinazioni e dei suoi desideri. Della sua fede,
Newman dirà, un uomo è responsabile così come di tutti i suoi atti. E’ per questo
che una via di mezzo non esiste perché l’assenso o c’e o non c’e; per lo stesso
motivo per cui tra cristianesimo e ateismo non c’e via di mezzo.
“Ho una coscienza, dunque Dio esiste …” afferma Newman nei Philosophical
Notebook; dunque la coscienza è prova dell’esistenza di Dio. E cosa c’è più reale di
una Voce? Nulla !!! però questo sembra non bastare a chi afferma che si esiste solo
se si dà spiegazione del proprio esistere fino al punto di affermare che se a
generare la vita è il caso questo è razionale, se è Dio no! Così per i razionalisti il
caso diviene principio primo, Dio non può esserlo!
Di fatto ha ragione Newman quando, riflettendo sullo stato morale
dell’umanità come appare dalla storia dei popoli e delle religioni, osserva come
questo non rifletta l’immagine di ordine che si attribuisce al suo creatore: “per
tentare di spiegarmi ciò, vedo solo due alternative: o Dio non c’è, o Egli ha ripudiato
le sue creature. O i segni vaghi della sua presenza nella vita dell’umanità sono solo
una nostra fantasia, o egli ci ha nascosto il suo viso perché lo abbiamo disonorato. E
la mia informatrice che non mente, la mia coscienza, mi libera subito
dall’alternativa: mi dice chiaramente che Dio esiste e altrettanto chiaramente che
Io sono caduto in disgrazia presso di Lui.”

Estratto dall'articolo di Lina Callegari – Genova 28 febbraio 2011

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