00 28/11/2014 15:23

La delusione ci spinge lontani da Dio, non la ragione



RabbiaUna recente serie di studi, pubblicati sul “Journal of Personality and Social Psychology”ha scoperto che la principale causa per l’abbandono della fede religiosanon è basata su giustificazioni razionali, come qualche associazione di razionalisti sostiene, ma è in prevalenza la “rabbia verso Dio”. E’ un ateismo emozionale quello vissuto da milioni di persone, più sulla bocca che nel cuore.


A prima vista può essere paradossale: come possono le persone essere arrabbiate con Dio, se non credono in Dio? In realtà la loro posizione, nella maggioranza dei casi, è dettata da un sentimento negativo, da una perdita di fiducia piuttosto che da una consapevolezza matura e razionale. La rabbia verso Dio nasce come conseguenza di situazioni spiacevoli che accadono nella vita o, nei casi estremi, da disastri naturali e malattie. Oppure da delusioni percepite rispetto a attese immaginate, un po’ come si sentì Giuda nei confronti di Gesù, deluso perché il Regno dei cieli ancora non veniva. In altre parole, la rabbia verso Dio può non solo portare le persone lontane da Dio, ma dare loro anche un motivo per aggrapparsi alla loro incredulità.


«Quando invece le persone percepiscono che Dio si prende cura di loro e ha intenzioni positive, anche se non riescono a capire quali siano tali intenzioni, le persone tendono a risolvere la rabbia», ha affermato lo psicologo Julie Exline, della Case Western Reserve University. Infatti, la vita di molti non credenti o agnostici è caratterizzata spesso da numerose mutazioni di giudizio, proprio a seconda dei sentimenti in cui si trovano a vivere in quel preciso istante.


Come aiutare i nostri amici non credenti, dunque? Più volte abbiamo parlato del rapporto tra l’esistenza di Dio e l’esistenza del male. Non solo è possibile non scandalizzarsi di fronte al male e non perdere la fede, ma, anzi, l’esistenza del male è un punto di partenza per comprendere comesoltanto il cristianesimo, possa dare una risposta adeguata a quanto vive e domanda l’uomo. Ma il nostro lavoro maggiore è curare le feritedegli uomini, come ha spiegato spesso Papa Francesco, perché è a questo che si riferisce quando parla dell'”umanità ferita”. Attraverso la nostra presenza, «la cosa più importante è il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ha salvato!”», ha detto nella famosa intervista a “La Civiltà Cattolica”«I ministri del Vangelo devono essere persone capaci di riscaldare il cuoredelle persone, di camminare nella notte con loro, di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi». Solo così saremo degni testimoni del nostro incontro con Dio.