VITA di s.Teresa D'Avila

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00venerdì 9 agosto 2013 17:46
3. Su fece tutto in gran segreto, perché altrimenti non si sarebbe potuto far nulla, tenuto conto dell’ostilità della gente, come si vide in seguito. Intanto, il Signore permise che si ammalasse un mio cognato; poiché sua moglie era assente, aveva un così gran bisogno di assistenza che mi permisero di andare da lui. Questa circostanza servì a non far trapelare nulla, nonostante che qualcuno continuasse a nutrire sospetti. Tuttavia, nessuno ancora ci credeva. Fu davvero una cosa sorprendente che la sua malattia non durasse più del tempo che occorreva per la conclusione dell’affare; dopo, essendo necessario che egli stesse bene perché io restassi libera ed egli lasciasse sgombra la casa, il Signore gli diede così buona salute da riempirlo di meraviglia.
4. Ebbi molto da fare, oltre che per assistere il malato, per sbrigare, ora con l’uno, ora con l’altro, le pratiche dei permessi e sorvegliare gli operai affinché si sbrigassero ad adattare a monastero la casa, i cui lavori erano molto indietro. La mia compagna non era con me, perché ci parve più opportuno che se ne stesse lontana per meglio dissimulare la cosa. Io vedevo che tutto dipendeva dal far presto, per molte ragioni, una delle quali era il timore, che continuamente avevo, di sentirmi ordinare d’andarmene. Furono tante le mie tribolazioni da farmi pensare se non fosse questa la croce, benché, in fondo, mi sembrasse leggera di fronte a quella cui, come avevo udito dal Signore, dovevo sobbarcarmi.
5. Sistemata, infine, ogni cosa, piacque al Signore che il giorno di san Bartolomeo prendessero l’abito alcune religiose e si collocasse nella cappella il santissimo Sacramento, e così, con tutte le autorizzazioni e con piena validità, fu fondato il monastero del gloriosissimo nostro padre san Giuseppe, nell’anno 1562. Alla vestizione fui presente io con altre due monache della casa dell’Incarnazione, che per caso si trovavano fuori di lì. Poiché la casa ove fu eretto il monastero era quella in cui stava mio cognato, il quale, come ho detto, l’aveva comprata a nome suo, per dissimulare meglio la cosa, io vi stavo col dovuto permesso e non facevo nulla senza chiedere il parere dei dotti, per non allontanarmi di un punto dall’obbedienza. Essi, vedendo che la fondazione, per più motivi, sarebbe stata di gran vantaggio per tutto l’Ordine, anche se procedevo con grande segretezza e all’insaputa dei miei superiori, mi dicevano che potevo farlo; qualora, invece, mi avessero detto che in ciò era anche una minima imperfezione, avrei abbandonato, credo, non uno, ma mille monasteri. Su questo non c’è dubbio perché, sebbene desiderassi quella fondazione per meglio separarmi da tutto il resto e conformarmi alla mia vocazione religiosa con maggiore perfezione e in più stretta clausura, il mio desiderio era tale che, se avessi saputo che era a maggior servizio di Dio rinunziarvi, lo avrei fatto – come l’avevo già fatto la volta precedente – in tutta pace e tranquillità.
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00venerdì 9 agosto 2013 17:47
6. Mi parve, dunque, d’essere in paradiso, quando vidi che si collocava il santissimo Sacramento, che si erano trovate quattro orfane povere – giacché con dote non si prendevano – e gran serve di Dio (fin da principio, infatti, si cercò di ammettere nel monastero persone sul cui esempio si potesse fare assegnamento per realizzare il nostro intento di condurre una vita di grande perfezione e orazione), e che si era portata a termine un’opera che sapevo a servizio del Signore e di onore all’abito della sua gloriosa Madre: perché questi erano i miei desideri. Mi fu anche di grande consolazione aver fatto ciò che il Signore mi aveva tanto raccomandato e di aver creato in questa città una chiesa in più, intitolata al mio glorioso padre san Giuseppe che non ne aveva. Non già che credessi di averne alcun merito io; non l’ho mai creduto, né lo credo, convinta che ha fatto tutto il Signore. Quello che ci misi da parte mia era così pieno di imperfezioni che, piuttosto, ritengo si dovesse farmene una colpa, non un merito; tuttavia, mi rendeva felice costatare che Sua Maestà, pur essendo io tanto misera cosa, avesse voluto scegliermi come strumento per compiere un’opera così grande e ne ero tanto soddisfatta da sentirmi come fuori di me e immersa in una profonda orazione.
7. Finito tutto da circa tre o quattro ore, il demonio mi sconvolse con una battaglia spirituale che ora racconterò. Mi fece sorgere il dubbio che quanto avevo fatto potesse essere mal fatto, di aver mancato all’obbedienza nell’agire senza l’autorizzazione del provinciale (mi sembra che a quest’ultimo dovesse alquanto dispiacere il fatto che io avessi posto il monastero sotto la giurisdizione dell’Ordinario, senza avergliene prima parlato, benché d’altro canto, siccome non aveva voluto riconoscerlo e io rimanevo sottoposta a lui, non mi pareva che dovesse importargliene molto). Inoltre, il demonio mi faceva sorgere il dubbio che le monache potessero non essere contente di vivere in tanta austerità, che potesse mancar loro da mangiare, che potesse essere stato tutto una follia e m’induceva a chiedermi perché avevo voluto imbarcarmi in questa impresa, visto che avevo già un monastero in cui vivere. Tutti gli ordini del Signore, i molti consigli e le tante preghiere che duravano da più di due anni, tutto era cancellato dalla mia memoria, come se non fosse mai stato. Mi ricordavo solo delle mie opinioni; la fede e ogni altra virtù erano in me come sospese, fino a mancarmi la forza di farle operare e difendermi dagli assalti.
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00venerdì 9 agosto 2013 17:47
8. Il demonio mi insinuava, inoltre, che non potevo rinchiudermi in una casa così rigorosa, perché molto inferma. Come avrei potuto sopportare così dure penitenze, venendo da una casa così spaziosa e piacevole, dove mi ero trovata sempre tanto bene e avevo tante amiche? Chissà se avrei poi trovate simpatiche le nuove consorelle! Insomma, mi ero assunta obblighi gravosi che forse mi potevano essere causa di disperazione ed era probabilmente questo ciò a cui aspirava il demonio: farmi perdere la pace e la tranquillità, in modo che in tanto turbamento non avrei potuto darmi all’orazione e avrei perduto la mia anima. Cose di tal fatta mi faceva tutte insieme presenti il demonio, tanto che non mi era possibile pensare ad altro con l’aggiunta di tali angosce, tenebre e oscurità nell’anima, che non riesco a descriverle. Vedendomi in questo stato, andai a visitare il santissimo Sacramento, benché non riuscissi a raccomandarmi a Dio. Mi sembrava d’aver l’affanno, come chi sta in agonia. Né potevo osare di parlarne con qualcuno, perché non avevo ancora un confessore designato.
9. Oh, Dio mio, quanto è miserabile questa vita! Non vi è in essa gioia sicura, né cosa alcuna esente da mutamento. Era passato così poco tempo da quando mi sembrava che non avrei cambiato la mia gioia con alcun’altra della terra e ora la stessa causa di quella gioia mi tormentava a tal punto da non saper che fare di me. Oh, se considerassimo attentamente gli avvenimenti della nostra vita, ognuno vedrebbe per esperienza in quanto poco conto si debbano tenere i piaceri e i dispiaceri che essa procura! Questo, mi pare, fu certamente uno dei momenti più duri della mia vita. Sembrava che lo spirito presagisse quanto avrebbe sofferto, benché nessuna sofferenza sarebbe stata pari a questa, se fosse durata. Ma il Signore non permise che la sua povera serva soffrisse troppo e, avendomi sempre aiutato nelle tribolazioni, non mi abbandonò nemmeno in questa: mi diede un po’ di luce tanto da farmi scoprire la verità di vedere che tutto era opera del demonio, il quale voleva spaventarmi con menzogne. Allora cominciai a ricordarmi dei miei generosi propositi di servire il Signore e dei miei desideri di soffrire per lui. Pensai che se volevo realizzarli non dovevo andare in cerca di riposo e che, se avevo difficoltà, con esse mi procuravo meriti e se avevo contrarietà, accettandole per amor di Dio, mi sarebbero servite per purificarmi. Di che temevo, dunque? Poiché desideravo le sofferenze, quelle erano proprio buone, in quanto nelle più grandi contrarietà stava il maggior profitto. Perché, dunque, devo perdermi d’animo nel servizio di colui a cui tanto dovevo? Con queste ed altre considerazioni, facendomi una grande forza, promisi davanti al santissimo Sacramento di far quanto potevo per ottenere il permesso di venire in questa casa e d’impegnarmi ad osservarvi la clausura, non appena l’avessi potuto fare in buona coscienza.
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00venerdì 9 agosto 2013 17:47
10. Nell’istante stesso in cui feci questa promessa, il demonio fuggì e mi lasciò tranquilla e contenta, e tale sono sempre rimasta. Tutto ciò che in questa casa si osserva circa clausura, penitenza e il resto, mi è estremamente dolce e leggero. La gioia è così grande che, a volte, mi chiedo che cosa potrei scegliere di più piacevole in questo mondo. Non so se ciò influisca a farmi avere molto maggior salute di quanta ne abbia mai avuta, o se – essendo necessario e giusto ch’io faccia tutto quello che le altre fanno – il Signore voglia darmi la consolazione di poterlo fare, anche se con fatica; certo che tutte le persone che conoscono le mie infermità si meravigliano del fatto che io possa sopportare questa vita. Sia benedetto colui che concede ogni bene e per la cui potenza si può fare ogni cosa.
11. Uscii da quella lotta molto stanca, ma ridendomi del demonio che vidi chiaramente esserne l’autore. Credo che il Signore l’abbia permesso perché, non avendo io mai saputo che cosa fosse sentirsi scontenta d’essere monaca, nemmeno per un attimo, in più dio ventotto anni che lo sono, potessi conoscere la grande grazia che mi aveva fatto con la vocazione religiosa e il tormento da cui mi aveva liberato, e anche perché, se vedessi qualcuna stare in quell’angustia, non me ne meravigliassi, ma ne avessi pietà e potessi consolarla. Passata dunque questa burrasca, volevo prendermi dopo pranzo un po’ di riposo perché tutta quella notte non avevo quasi potuto chiudere occhio e molte altre ne avevo passate fra continue sofferenze e preoccupazioni, oltre alla grande stanchezza di tutti i giorni. Ma, essendosi saputo nel mio monastero e in città quanto si era fatto, si fece un gran parlare per i motivi che ho già detto e che sembravano ragionevoli. Subito la priora m’inviò l’ordine di ritornare là immediatamente. Io, ricevuto l’ordine, lasciai le mie monache in grande afflizione e partii subito. Sapevo bene di andare incontro a molte tribolazioni, ma siccome la fondazione era un fatto compiuto, me ne importava ben poco. Mi misi a pregare, supplicando il Signore di aiutarmi, e il mio padre san Giuseppe di ricondurmi nella sua casa. Offrii a Dio quello che avrei dovuto soffrire e partii assai contenta che mi si presentasse l’occasione di patire per lui e di poterlo servire. E così me ne andai, sicura che subito mi avrebbero gettata in prigione, il che mi avrebbe fatto molto piacere perché avrei potuto non parlare con nessuno e riposare un po’ in quella solitudine di cui avevo tanto bisogno: ero, infatti, molto stanca per aver trattato continuamente con la gente.
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:48
12. Quando, appena arrivata, esposi le mie ragioni alla priora, si calmò un poco; la comunità, poi, avvertì il provinciale rimettendo la causa nelle sue mani. Quando giunse, mi presentai a lui con vera, grande gioia di soffrire qualcosa per amore del Signore, perché nella presente circostanza sapevo di non aver offeso in nulla né Sua Maestà né l’Ordine. Anzi, quanto all’Ordine, avevo cercato con tutte le mie forze di favorirne lo sviluppo e per questo ero pronta a sacrificare anche la vita, perché il mio desiderio era quello di osservare la Regola con assoluta perfezione. Mi ricordai del giudizio di Cristo, di fronte al quale il mio mi parve una cosa da nulla. Mi accusai come se fossi molto colpevole e tale dovevo sembrare a chi non conosceva i motivi delle mie azioni. Dopo il severo rimprovero del provinciale, quantunque non fosse fatto con tutto quel rigore che avrebbe meritato la colpa e le accuse che molti gli presentavano a mio riguardo, io, decisa a non discolparmi, lo pregai, invece, di perdonarmi e di punirmi e di non essere irritato con me.
13. In alcune cose, certo, io vedevo che mi condannavano a torto, come, ad esempio, accusandomi di aver agito per esser tenuta in una certa considerazione, per farmi un nome e cose simili; ma in altre vedevo chiaramente che dicevano la verità: che ero, cioè, la peggiore di tutte, che, non avendo osservato le molte pratiche religiose di quella casa, non si capiva come pensassi di osservarle in un’altra dov’erano più rigorose, che scandalizzavo la gente e che volevo introdurre novità. Questo, però, non mi turbava né mi affliggeva minimamente, anche se dimostravo di soffrirne, affinché non sembrasse che tenevo in poco conto quanto mi dicevano. Infine il provinciale mi comandò di rendere conto del mio operato davanti a tutte, e dovetti farlo.
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:48
14. Siccome avevo la coscienza tranquilla e il Signore mi aiutava, lo feci in modo tale che né il provinciale né le monache lì presenti trovarono di che ammonirmi. Parlai poi da sola più chiaramente con il provinciale, che rimase molto soddisfatto e mi promise, non appena – affermatasi la fondazione – la città fosse ritornata tranquilla, di darmi il permesso di ritornare in quel monastero. Infatti, come ora dirò, la città era in gran subbuglio.
15. Dopo due o tre giorni si riunirono il governatore, alcuni consiglieri comunali e membri del capitolo. Tutti unanimemente dissero che in nessun modo si doveva permettere la fondazione di un monastero che era di evidente danno al bene pubblico, che bisognava togliere il santissimo Sacramento e che a nessun patto avrebbero tollerato che la cosa continuasse. Convocarono tutti gli Ordini affinché due teologi di ciascun Ordine dessero il loro parere. Alcuni tacquero, altri ci condannarono e infine conclusero che il monastero si dovesse subito sopprimere. Solo un Presentato dell’Ordine di san Domenico, sebbene fosse contrario non alla fondazione del monastero, ma alla povertà cui si conformava, disse che non era cosa da poter far sparire così, su due piedi, che bisognava rifletterci bene, perché tempo per questo ce n’era, che era un caso di competenza del vescovo, ed altre cose del genere che ottennero effetti molto positivi. Con la furia che avevano, fu una vera fortuna che non attuassero subito il loro disegno. Infine, così doveva essere, perché così voleva il Signore e ben poco potevano tutti contro la sua volontà. Adducevano le loro ragioni ed erano animati da giusto zelo; peraltro, pur senza offendere Dio, facevano soffrire me e le poche persone che favorivano il mio intento, le quali dovettero sostenere un’aspra persecuzione.
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:49
16. Era così grande il subbuglio della gente che in città non si parlava d’altro: tutti mi condannavano e ricorrevano chi al provinciale e chi al mio monastero. Di tutto quello che dicevano contro di me non avevo alcuna pena, come se non dicessero nulla; solo temevo che potesse essere soppresso il monastero. Questa preoccupazione mi affliggeva molto, come anche vedere che perdevano credito e soffrivano grandi tribolazioni le persone che mi aiutavano; per quanto dicevano di me mi pareva piuttosto di provarne gioia. E se la mia fede fosse stata un po’ più viva, non avrei avuto nessuna apprensione, ma il fatto è che l’essere alquanto scarsi in una virtù è sufficiente ad assopirle tutte. Pertanto fui in gran pena nei due giorni che in città si ebbero le adunanze che ho detto, e mentre ero così afflitta, il Signore mi disse: «Non sai che io sono onnipotente? Di che temi?», assicurandomi che il monastero non sarebbe stato soppresso. Queste parole mi confortarono molto. L’assemblea cittadina inviò una denuncia ufficiale al consiglio reale: venne ordine di aprire un’inchiesta per sapere com’era andata la cosa.
17. Ed ecco iniziarsi un lungo processo: la città mandò alcuni delegati alla Corte e dovevano andarci anche quelli da parte del monastero, ma non vi erano denari e io non sapevo come fare. Vi provvide il Signore perché il padre provinciale non mi impedì mai di occuparmene; essendo tanto amante di tutto ciò che mira alla perfezione morale, anche se non mi aiutava, non voleva ostacolarmi. Però, non mi permise di tornare al mio monastero, se non dopo aver visto come andava a finire la cosa. Quelle serve di Dio, intanto, se ne stavano sole, ma facevano più loro con le loro preghiere che non io con quanto andavo negoziando, benché fosse necessario occuparsi attivamente anche di questo. A volte, sembrava che tutto fosse finito, come, in particolare, il giorno prima della venuta del provinciale, in cui la priora mi ordinò di non occuparmene più: era la fine di tutto. Allora andai dal Signore e gli dissi: «Signore, questa casa non è mia, è stata fatta per voi. Ora che non vi è più nessuno ad occuparsene, ci pensi Vostra Maestà». Rimasi così fiduciosa e serena, come se tutti facessero trattative per me, e subito ebbi la sensazione che la cosa si sarebbe realizzata.
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:49
18. Un sacerdote, gran servo di Dio, che sempre mi aveva aiutato, amante di ogni perfezione, si recò alla Corte per occuparsi di questa faccenda e s’impegnò molto in essa. Anche quel santo gentiluomo di cui ho già parlato fece moltissimo nella presente circostanza, per favorirci in tutti i modi, e per questo motivo ebbe a soffrire molte tribolazioni e persecuzioni: io lo consideravo e lo considero ancora come un padre. Il Signore animava di tanto zelo quelli che ci aiutavano, che ognuno di essi si adoperava per noi come per una propria causa da cui dipendessero il proprio onore e la propria vita; non pensavano ad altro se non che si trattava di una cosa in cui sembrava loro di servire il Signore. Sua Maestà mostrò chiaramente di aiutare quell’ecclesiastico, maestro di teologia, di cui ho parlato, che era anch’egli fra coloro che mi aiutavano, mandato dal vescovo a rappresentarlo in una grande adunanza tenutasi a questo riguardo, in cui egli era solo contro tutti. Alla fine riuscì a calmare gli animi con il suggerire alcuni espedienti che contribuirono molto a tirarla per le lunghe; ma nessuno era in grado di evitare che di lì a poco non tornassero a giocarsi la vita, come si dice, pur di sopprimere il monastero. Questo servo di Dio di cui parlo, fu quello che aveva dato l’abito alle nuove religiose e collocato il santissimo Sacramento nella cappella: per questo si era visto oggetto di una grande persecuzione. La lotta durò quasi mezzo anno, ma raccontare minutamente le grandi sofferenze che si patirono sarebbe troppo lungo.
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