VITA di s.Teresa D'Avila

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00venerdì 9 agosto 2013 16:56
6. Mi parlarono di un dotto ecclesiastico di questa città, di cui il Signore cominciava a far conoscere alla gente la bontà e la vita edificante. Cercai di mettermi in contatto con lui per mezzo di un santo cavaliere di questa stessa città. È sposato, ma di vita così esemplare e virtuosa e di così grande orazione e carità che da tutto il suo essere emanano bontà e perfezione. E lo dico con molta ragione, perché gran bene è venuto a molte anime per mezzo suo, possedendo egli talenti tali che, sebbene il suo stato non gli sia di aiuto, non può fare a meno di operare con essi: è molto intelligente e affabile con tutti; la sua conversazione, per nulla pesante, è così dolce e garbata e insieme così retta e santa, che dà gran piacere a chi tratta con lui; parlando, mira unicamente al maggior bene delle anime con le quali conversa e non sembra preoccuparsi d’altro che adoperarsi per chi vede soffrire e accontentare tutti.
7. Ebbene, questo benedetto e santo uomo, con la sua avvedutezza mi sembra sia stato il principio della salvezza per la mia anima. La sua umiltà mi sbigottisce perché, praticando l’orazione, per quel che credo, da poco meno di quarant’anni (non so se due o tre anni di meno), tutta la sua vita è improntata alla perfezione che il suo stato sembra permettergli. Sua moglie, infatti, è così gran serva di Dio e così piena di carità che egli certo non si perderà mai per causa di lei; in conclusione, scelta da Dio proprio per colui che sapeva doveva essere un suo grande servo. Alcuni suoi congiunti erano imparentati con i miei ed egli aveva anche frequenti rapporti con un altro gran servo di Dio, sposato con una mia cugina.
8. Per questa via procurai d’incontrare quell’ecclesiastico di cui ho parlato, gran servo di Dio e suo grande amico, dal quale pensai di confessarmi, scegliendolo per mio direttore spirituale. E allorché mi fu presentato perché mi parlasse, io, profondamente turbata nel vedermi alla presenza di un uomo così santo, lo misi a parte della mia anima e del mio modo di fare orazione, ma egli non volle confessarmi, dicendo di essere molto occupato, ed era vero. Cominciò con santa risolutezza a trattarmi da anima forte, come dovevo ragionevolmente essere per il grado di orazione in cui vide che mi trovavo, esigendo che non offendessi più Dio in alcun modo. Io, quando vidi la sua determinazione a trarmi subito fuori da quei difettucci dai quali, come ho detto, non avevo forza di liberarmi con tanta perfezione, me ne afflissi, rendendomi conto che considerava la questione della mia anima come cosa che dovesse essere risolta all’istante, mentre io ritenevo che ci fosse bisogno di molto maggior cautela.
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00venerdì 9 agosto 2013 16:56
9. Infine, capii che non con quei mezzi che egli mi suggeriva avrei trovato la strada per emendarmi, essendo adatti ad anime più perfette, mentre io, benché fossi già avanti nelle grazie di Dio, ero solo al primo principio in virtù e mortificazione. Certamente, se avessi dovuto trattare unicamente con lui, credo che la mia anima non avrebbe mai progredito, perché il dispiacere che provavo nel vedere che non facevo – né mi sembrava che potessi farlo – quanto egli mi diceva, bastava per farmi perdere ogni speranza e abbandonare tutto. A volte mi meraviglio che, essendo egli una persona dotata di grazie particolari per avviare le anime all’unione con Dio, non abbia saputo intendere la mia né assumerne la direzione, ma vedo che fu tutto per mio maggior bene, affinché conoscessi e trattassi con persone così sante come quelle della Compagnia di Gesù.
10. Da allora rimasi d’accordo con quel santo cavaliere che mi venisse a trovare qualche volta. Qui si vide la sua grande umiltà nell’acconsentire a trattare con una persona così miserabile come me. Cominciò a visitarmi e a incoraggiarmi, dicendomi che non pensassi di dovermi staccare da tutto in un sol giorno, perché a poco a poco lo avrebbe fatto Dio, e che anch’egli era stato alcuni anni senza riuscire a spuntarla in cose di assai scarsa importanza. Oh, umiltà, che gran bene fai a coloro nei quali alberghi e che si legano a chi ti coltiva! Ai fini del mio emendamento, mi parlava questo santo (cui mi sembra di poter con ragione dar questo nome) di alcune debolezze – tali almeno parevano alla sua umiltà – che, in rapporto al suo stato, non erano né mancanze, né imperfezioni, mentre in rapporto al mio sarebbero state gravissime. Non dico questo senza motivo; sembra, infatti, che mi dilunghi in minuzie, ma sono così importanti perché un’anima cominci a trarre profitto e sia tratta a volare – anche se, come si dice, è ancora sprovvista di penne – che non può crederlo se non chi ne ha fatto esperienza. E siccome spero in Dio che la signoria vostra possa aiutare molte anime, dico qui che tutta la mia salvezza fu data dal fatto che egli mi sapesse curare, avesse l’umiltà e la carità di intrattenersi con me e la pazienza di sopportarmi, pur vedendo che non mi correggevo mai del tutto. procedeva con tatto, a poco a poco, per darmi modo di vincere il demonio. Cominciai a nutrire per lui così grande amore che non c’era per me maggior conforto di quello offertomi dai giorni in cui lo vedevo, benché fossero pochi. Quando tardava, subito mi affliggevo molto, sembrandomi che non venisse a farmi visita per la mia enorme cattiveria.
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00venerdì 9 agosto 2013 16:57
11. Quando egli, man mano, si rese conto delle mie grandi imperfezioni (e saranno stati anche peccati, benché quando trattavo con lui mi fossi molto migliorata), e quando gli esposi le grazie che Dio mi faceva per esserne illuminata, mi disse che una cosa non si accordava con l’altra, che quelli erano doni di persone già molto avanti nella virtù e nella mortificazione, e che non si poteva fare a meno di temere molto, perché in alcune cose gli sembrava di scorgere il senno dello spirito cattivo. Comunque, non si pronunziò in modo definitivo, ma mi raccomandò di riflettere su tutto ciò che potevo capire della mia orazione e di riferirglielo. E la difficoltà era proprio che io non sapevo dire né poco né molto in che cosa consistesse la mia orazione, perché questa grazia di saper capire che cosa sia e di saperne parlare, Dio me l’ha data da poco tempo.
12. Quando mi disse questo, con la paura che già avevo, grande fu la mia afflizione, e molte le mie lacrime, poiché certamente desideravo accontentare Dio e non potevo persuadermi che lì c’entrasse il demonio, ma temevo che, a causa dei miei peccati, Dio mi rendesse cieca perché non lo intendessi. Leggendo alcuni libri, per vedere se riuscivo, col loro aiuto, a dire quale orazione praticassi, ne trovai uno dal titolo La salita del monte dove si parla dell’unione dell’anima con Dio; ivi era indicato tutto quello che io provavo in me in quel non pensare a nulla, che era appunto quanto più spesso dicevo: che, cioè, in quell’orazione non potevo pensare a nulla. segnai con alcune linee le parti che facevano al mio caso e gli diedi il libro affinché sia lui, sia l’altro ecclesiastico di cui ho parlato, santo servo di Dio, lo esaminassero e mi dicessero che cosa dovevo fare. Se fosse loro sembrato opportuno, avrei lasciato del tutto l’orazione. Infatti, che ragione c’era per cui dovessi espormi a tali pericoli? Se dopo quasi vent’anni che la praticavo non ne avevo tratto alcun guadagno, ma solo inganni del demonio, era meglio non praticarla, nonostante che anche questo mi riuscisse duro, perché io avevo già provato quale fosse lo stato della mia anima senza orazione. Così vedevo tutto irto di difficoltà, come chi, trovandosi nel gorgo di un fiume, dovunque si diriga, teme maggior pericolo e sta quasi per affogare. È questo un tormento assai grande e di tal genere ne ho provati molti, come dirò più avanti; benché non sembri cosa molto importante, forse gioverà sapere attraverso quali prove debba passare lo spirito.
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00venerdì 9 agosto 2013 16:58
13. È certamente grande la pena che si soffre e bisogna aver tatto, specialmente con le donne perché, a causa della loro debolezza, potrebbe riuscire molto dannoso il dir loro apertamente che in esse opera il demonio. Bisogna considerare bene tutto, allontanarle dai pericoli in cui possono incorrere e raccomandar loro di fare attenzione a mantenere il segreto e mantenerlo noi stessi come si conviene. Dico questo perché mi è costata gran sofferenza che non l’abbiano mantenuto alcune persone con cui avevo parlato della mia orazione. Esse, parlandone e chiedendo l’una all’altra, a fin di bene, mi hanno fatto un gran danno, perché si sono divulgate cose che, non essendo adatte a tutti, sarebbe stato bene restassero segrete, e sembrava, inoltre, che a divulgarle fossi io. Credo però che non ne abbiano colpa, avendolo permesso il Signore perché io avessi a soffrire. Non dico che parlassero di ciò che tratto con loro in confessione, ma poiché erano persone che io mettevo a parte dei miei timori, affinché mi illuminassero, mi sembra che avrebbero dovuto tacere; ciò nonostante, non ho mai osato nascondere loro nulla. ripeto, dunque, che si usi molta discrezione, incoraggiando le anime e dando tempo al tempo, perché il Signore verrà loro in aiuto, come ha fatto con me. In caso diverso, piena di paura e di timori com’ero, ne avrei avuto grandissimo danno. Mi meraviglio, con il forte mal di cuore che avevo, di non esserne rimasta pregiudicata nella salute.
14. Quando gli ebbi dato il libro e fatto all’incirca una relazione della mia vita e dei miei peccati come meglio potei (non era una confessione, essendo egli un secolare, piuttosto una spiegazione di quanto fossi colpevole), i due servi di dio si preoccuparono con grande carità e amore di vedere ciò che mi conveniva fare. Giunse la risposta che aspettavo con viva trepidazione, dopo aver supplicato molte persone che mi raccomandassero a Dio ed essermi dedicata in quei giorni maggiormente all’orazione. Il cavaliere venne da me molto afflitto e mi disse che, secondo l’assoluto parere d’entrambi, ero vittima del demonio; che quanto occorreva fare era parlare con un padre della Compagnia di Gesù il quale, non appena io lo chiamassi, dicendo di averne bisogno, sarebbe venuto; che l’informassi di tutta la mia vita e del mio stato con una confessione generale, con assoluta chiarezza; aggiungendo che, in virtù del sacramento della confessione, Dio lo avrebbe maggiormente illuminato, tanto più che nelle cose dello spirito quei padri hanno grande esperienza, e raccomandandomi di non discostarmi in nulla da ciò che mi avrebbe detto, perché correvo un gran pericolo se non trovavo chi mi guidasse.
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00venerdì 9 agosto 2013 16:58
15. Ciò mi procurò tanto timore e tanta pena che non sapevo cosa fare, tranne piangere in continuazione. Un giorno, mentre stavo in oratorio piena d’angoscia, ignara di quel che sarebbe stato di me, lessi in un libro – che forse il Signore mi pose tra le mani – come san Paolo dicesse che Dio era molto fedele e mai permetteva che fosse ingannato dal demonio chi lo amava. Questo mi consolò moltissimo. Cominciai ad occuparmi della mia confessione generale e a mettere per iscritto in una relazione, quanto più chiaramente seppi e potei fare, tutto il male e il bene della mia vita, senza tralasciare di dire nulla. ricordo che, vedendo, dopo aver scritto, tanto male e quasi nulla di bene, ne provai un’angoscia e un’afflizione grandissime. Mi dava anche angustia che in casa mi vedessero trattare con persone così sante come i padri della Compagnia di Gesù; temevo per la mia cattiveria, perché mi sembrava di sentirmi maggiormente obbligata, trattando con loro, a non essere più una miserabile creatura e a rinunciare ai miei passatempi; se non l’avessi fatto, sarebbe stato peggio per me. Così mi accordai con la sagrestana e la portinaia affinché non lo dicessero a nessuno. Mi giovò a poco, perché si trovò in portineria, quando mi chiamarono, chi lo disse a tutto il convento. Quanti ostacoli e paure frappone il demonio a chi vuol giungere a Dio!
16. Aperta tutta la mia anima a quel servo di Dio – era molto devoto, e anche molto perspicace – egli, come chi ben conosceva questo linguaggio, mi spiegò che cos’era e m’incoraggiò molto. Disse che evidentemente si trattava dello spirito di Dio e che dovevo riprendere l’orazione, perché non ero ben fondata, né avevo ancora ben cominciato a intendere che cosa fosse la mortificazione (ed era così, perché mi sembra che non ne sapessi neanche il nome). Non solo non dovevo in nessun modo lasciare l’orazione, ma attendervi con tutte le mie forze, visto che Dio mi faceva grazie così particolari. Che sapevo io se per mezzo mio il Signore voleva avvantaggiare molte persone? E aggiunse altre cose con cui sembra che profetizzasse quello che poi Dio ha fatto con me, per concludere che sarei stata molto colpevole se non avessi corrisposto alle sue grazie. In tutto quanto diceva mi sembrava che in lui parlasse lo Spirito santo per risanare la mia anima, tanto profondamente s’imprimevano in essa le sue parole.
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00venerdì 9 agosto 2013 16:58
17. Si verificò in me una completa rivoluzione; mi diresse in tal modo che mi parve d’essere del tutto trasformata. Che gran cosa è intendere un’anima! Mi disse di concentrare ogni giorno l’orazione su un punto della passione, di cercare di trarne profitto non pensando ad altro che all’umanità di Cristo e di resistere, per quanto potevo, a quei miei raccoglimenti e a quelle dolcezze interiori, in modo da non dare adito ad essi fino a che egli non mi desse ordini diversi.
18. Mi lasciò consolata e rinvigorita, e il Signore che aiutò me, aiutò anche lui perché comprendesse la mia condizione e il modo con cui doveva guidarmi. Restai fermamente decisa a non allontanarmi in nulla da ciò che avrebbe comandato, e così ho fatto fino ad oggi. Sia lodato il Signore che mi ha dato la grazia di obbedire ai miei confessori, sia pure imperfettamente! Essi sono stati quasi sempre questi benedetti padri della Compagnia di Gesù e sebbene – ripeto – li abbia seguiti imperfettamente, la mia anima cominciò ad averne un evidente miglioramento, come ora dirò.
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00venerdì 9 agosto 2013 16:59
CAPITOLO 24
Prosegue nell’argomento iniziato e dice come la sua anima andò avvantaggiandosi da quando cominciò ad obbedire, e quanto poco le giovasse resistere ai favori di Dio, che egli le dava in un modo sempre più perfetto.
1. Dopo questa confessione la mia anima restò così docile da sembrarmi che non vi sarebbe stato nulla a cui non fosse disposta. Cominciai così a cambiare in molte cose, anche se il confessore non mi faceva alcuna pressione, anzi pareva che badasse poco a tutto, e questo mi animava di più, perché mi conduceva per la via dell’amore di Dio e mi lasciava libera, senza altri obblighi, eccetto quelli che io mi imponessi per amore. Rimasi così quasi due mesi, facendo quanto potevo per resistere ai doni e alle grazie di Dio. Nelle forme esteriori era evidente il cambiamento, poiché il Signore ormai cominciava a darmi la forza di fare certe cose che, a giudizio di persone che mi conoscevano, anche della stessa casa, sembravano eccessive. E, rispetto a quel che facevo prima, avevano ragione di ritenerle eccessive, ma rispetto agli obblighi che l’abito e la professione m’imponevano, restavo sempre in debito.
2. Dall’opporre resistenza alle gioie spirituali e ai doni di Dio guadagnai che Sua Maestà mi desse un insegnamento. Prima, infatti, mi sembrava che per ricevere doni nell’orazione occorresse stare in grande raccoglimento e quasi non osavo muovermi. Dopo mi accorsi che ciò aveva ben poca importanza, perché quanto più cercavo di distrarmi, tanto più il Signore mi avvolgeva di soavità e di beatitudine tale che mi sembrava di esserne completamente circondata e di non poterne uscire da nessuna parte, come infatti era. Mi adoperavo a resistere con tanto impegno da provarne angustia; più grande era, però, l’impegno del Signore nel concedermi grazie e nel farsi conoscere molto più del solito in questi due mesi, affinché capissi meglio che resistergli non dipendeva più da me. Cominciai a innamorarmi nuovamente della sacratissima umanità di Gesù Cristo. L’orazione prese a consolidarsi come un edificio posto su salde fondamenta e mi affezionai di più alla penitenza che avevo trascurato a causa delle mie gravi infermità. Quel santo uomo che mi confessò mi disse che un po’ di penitenza non mi poteva fare alcun danno, e che forse Dio mi mandava tanti mali proprio perché, non facendola io, me la voleva imporre lui stesso. Mi ordinò di adempiere alcune mortificazioni non molto piacevoli per me. Io facevo tutto, perché mi sembrava che me lo ordinasse il Signore, dandogli la grazia di ordinarmelo in modo che io gli obbedissi. La mia anima cominciava già a sentir dolore di ogni offesa a Dio, per quanto piccola potesse essere, tanto che se avevo qualcosa di superfluo, non potevo ritirarmi in raccoglimento fin quando non me ne fossi spogliata. Pregavo molto il Signore di tenermi con la sua mano e di non permettere – trattando io con i suoi servi – che tornassi indietro, poiché mi sembrava che sarebbe stato un grave delitto e che essi avrebbero perduto credito per causa mia.
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 16:59
3. In questo tempo, arrivò in città il padre Francesco, già duca di Gandia, che da alcuni anni, dopo aver abbandonato tutto, era entrato nella Compagnia di Gesù. Il mio confessore e il cavaliere che, come ho detto, era venuto anch’egli da me, procurarono che gli parlassi e lo informassi della mia orazione, sapendo che era molto avanti nel ricevere favori e grazie da Dio il quale, tenuto conto del molto che aveva lasciato per lui, lo compensava fin da questa vita. Orbene egli, dopo avermi ascoltata, mi disse che si trattava dello spirito di Dio e che gli sembrava non fosse ormai il caso di resistergli oltre, anche se fino allora avessi agito bene, aggiungendo di cominciare sempre l’orazione con un brano della passione e di non opporre resistenza se, in seguito, il Signore mi rapisse lo spirito, lasciando fare a Sua Maestà, senza procurare io tale elevazione. Essendo già molto avanti in questa via, mi diede medicina e consiglio adatti, perché a tale riguardo è molto importante l’esperienza. Disse che sarebbe stato un errore continuare a resistere. Ne rimasi assai consolata e così anche il cavaliere, il quale si rallegrò molto di sentirgli dire che si trattava dello spirito di Dio, e continuò a darmi aiuto e consigli in tutto quel che poteva, e poteva molto.
4. In quel tempo trasferirono il mio confessore altrove e io ne soffrii moltissimo, temendo di ritornare ad essere una miserabile e sembrandomi impossibile trovarne un altro come lui. La mia anima rimase come in un deserto, piena di sconforto e di paura; non sapevo più che fare di me. Una mia parente ottenne di condurmi a casa sua e io mi adoperai subito a cercarmi un altro confessore tra i padri della Compagnia. Piacque al Signore che stringessi amicizia con una vedova, signora di nobili natali, molto dedita all’orazione, che aveva consuetudine di trattare con loro. Mi fece confessare dal suo confessore e rimasi in casa sua molti giorni. Abitava vicino ai padri e io ne ero assai lieta, perché potevo frequentarli più spesso, essendo grande il vantaggio che la mia anima traeva anche solo dal conoscere la santità dei loro costumi.
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 16:59
5. Questo padre cominciò ad avviarmi a maggior perfezione. Mi diceva che non dovevo tralasciare nulla per soddisfare completamente Dio. E lo faceva con molta abilità e dolcezza perché la mia anima, lungi ancora dall’essere forte, era assai fiacca, specialmente in fatto di rinuncia a certe amicizie che avevo. Anche se per causa loro non offendevo Dio, vi ero molto attaccata, tanto che mi sembrava un’ingratitudine lasciarle. E così dicevo al mio confessore che, poiché con esse non offendevo Dio, non v’era motivo di essere ingrata. Egli mi rispose di raccomandare la cosa al Signore, recitando per alcuni giorni il Veni Creator, affinché m’illuminasse su quel che era meglio fare. Un giorno, dopo essere stata a lungo in orazione e aver supplicato il Signore di aiutarmi a contentarlo in tutto, cominciai a dire l’inno e, mentre lo stavo recitando, mi colse un rapimento così improvviso che mi fece quasi uscire fuori di me, né potei mai dubitarne, essendo stato ben evidente. Fu la prima volta che il Signore mi fece la grazia di un rapimento. Udii queste parole: «Non voglio più che tu abbia conversazione con gli uomini, ma con gli angeli». Mi spaventai molto, perché il trasporto dell’anima fu grande e queste parole mi furono dette nella parte più intima dello spirito. Pertanto mi produssero sgomento anche se, d’altro canto, mi causarono grande conforto, che mi rimase, una volta passato lo spavento dovuto – credo – alla novità del caso.
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:00
6. Tutto ciò si è adempiuto perfettamente, perché da allora in poi non ho mai più potuto concepire amicizia, né aver consolazione, né amore speciale se non per coloro che so che amano Dio e procurano di servirlo, senza poter fare altrimenti, né m’importa che siano parenti o amici. Se non è una persona che ama Dio e che pratica l’orazione, mi è una croce assai penosa trattare con chiunque. È proprio così, mi pare, senza alcuna eccezione.
7. Da quel giorno mi sentii così animata a lasciare ogni cosa per amore di quel Dio che in un solo momento – mi sembra, infatti, che non fosse più di un momento – aveva voluto trasformare del tutto la sua serva, che non fu più necessario alcun comando. Il confessore, d’altronde, vedendomi così attaccata a quelle pratiche, non aveva osato impormene risolutamente la rinuncia. Forse aspettava che il Signore operasse il mio cambiamento, come infatti fece; io stessa disperavo di uscirne fuori perché lo avevo tentato altre volte, soffrendone a tal punto che avevo finito col lasciar perdere ogni tentativo, tanto più che mi sembrava che non fosse cosa sconveniente. Con questo rapimento, invece, il Signore mi diede la libertà e la forza di attuare tale rinuncia. Lo dissi al confessore e abbandonai tutto, secondo il suo comando. Fu di grande profitto anche alle persone con cui trattavo vedermi animata da questa risoluzione.
8. Sia eternamente benedetto Dio, per avermi dato in un solo istante la libertà che io non ero mai riuscita a conquistare, nonostante tutte le diligenze usate in molti anni e pur ricorrendo molte volte a tali sforzi che ne restava pregiudicata la mia salute. Ora, invece, trattandosi dell’opera di chi può tutto ed è il vero padrone del mondo, non mi procurò alcuna fatica.
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:00
CAPITOLO 25
In cui spiega come si debbano intendere quelle parole che Dio rivolge all’anima, senza che l’orecchio le oda; quali inganni possano esservi e come riconoscerli. È molto utile per coloro che saranno in questo grado di orazione, perché contiene molta dottrina, che è spiegata molto chiaramente.
1. Mi sembra opportuno spiegare che cosa sia questo parlare di Dio all’anima, e ciò che questa sente, affinché la signoria vostra se ne renda conto, accadendomi molto frequentemente dal giorno in cui ho detto che il Signore mi fece tale grazia come si vedrà da quanto sto per dire. Sono parole ben distinte, che non si odono con il senso dell’udito, ma si intendono ben più chiaramente che se si udissero, e fare a meno di sentirle, per molto che si resista, è inutile. Se tra noi, infatti, quando non vogliamo udire una cosa, possiamo tapparci le orecchie o attendere ad altro in modo che, pur udendo, non s’intende ciò che si ode, qui è impossibile. Bisogna ascoltarlo anche se non si vuole e l’intelletto è obbligato a essere ben desto, per intendere ciò che Dio gli vuol far capire. Non c’è volere o non volere che tenga, perché colui che può tutto, vuole che ci rendiamo conto di dover fare la sua volontà, mostrandosi così veramente padrone di noi. Ho fatto di questo lunga esperienza, perché la mia resistenza durò quasi due anni, a causa del gran timore che avevo, e anche ora qualche volta ci provo, ma poco mi giova.
2. Vorrei spiegare gli inganni che qui possono esserci, anche se mi sembra che, per chi ha molta esperienza, si tratterà di poco o niente (ma dev’essere grande l’esperienza), e la differenza che c’è quando parla lo spirito buono e quando invece lo spirito cattivo, e avvertire che può anche trattarsi di parole prodotte dallo stesso intelletto – cosa assai probabile – o di frasi che il nostro spirito rivolge a se stesso. Non so se questo sia possibile, ma fino ad oggi mi è sembrato di sì. Quando è spirito di Dio, sono parole veritiere, come ho visto e comprovato in molte cose che mi furono dette due o tre anni fa, e che si sono tutte avverate in pieno, né alcuna, finora, è risultata falsa; ma c’è altro da cui si vede chiaramente che opera lo spirito di Dio, come poi si dirà.
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:01
3. A me sembra che, quando una persona sta raccomandando una cosa a Dio vivamente, potrebbe credere molto facilmente di sentire una qualche risposta circa l’esaudimento o no della sua richiesta, ma chi ha sentito le parole di Dio nel modo anzidetto, vedrà chiaramente di che cosa si tratta, perché la differenza è grande. Se, poi, è un discorso fabbricato dall’intelletto, per quanto ingegnoso sia il suo intervento, si capisce che è lui a comporlo e a parlare, non diversamente da quando si va svolgendo un discorso per altri o si ascolta ciò che altri dice. L’intelletto vedrà subito che in quel momento non ascolta, poiché opera, e le parole che egli fabbrica sono come cosa sorda, frutto della fantasia, prive della chiarezza che hanno le altre; qui, inoltre, è in nostro potere distrarci come tacere, se parliamo; là, invece, è impossibile farlo. Altro segno, poi, ancor più caratteristico, è che le parole dell’intelletto non operano, mentre quelle del Signore sono parole ed opere, e anche se non sono parole di devozione, ma di rimprovero, subito dispongono l’anima come conviene; le infondono capacità, tenerezza; le danno luce, gioia e quiete, e se era in uno stato di aridità, d’inquietudine o di turbamento, ciò le viene portato via come può farlo materialmente una mano, e anche meglio, poiché sembra che il Signore voglia far capire ch’egli è potente e che le sue parole sono opere.
4. Mi sembra che ci sia la stessa differenza che c’è tra parlare e ascoltare, né più né meno. Quando parlo, come ho detto, vado indirizzando il mio discorso con l’intelletto, ma se mi parlano, non faccio altro che ascoltare, senza alcuna fatica. Nel primo caso, è un qualcosa che non sappiamo ben precisare, essendo come mezzo addormentati; nell’altro, invece, è una voce così chiara che non si perde una sillaba di ciò che dice. E ciò accade, talvolta, quando l’intelletto e l’anima sono così sconvolti e distratti, che non riuscirebbero a mettere insieme un discorso sensato. Ecco, invece, che trovano bell’e pronte e ascoltano così sublimi sentenze quali, pur stando in gran raccoglimento, non riuscirebbero mai a concepire, e fin dalla prima parola – come ho detto – l’anima è tutta trasformata. Specialmente durante il rapimento, in cui le potenze sono sospese, come si potrebbero intendere cose che prima non erano mai venute in mente? In che modo verranno in mente allora, mentre l’intelletto è quasi inattivo e l’immaginazione è come trasognata?
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:02
5. Si tenga presente che, quando si hanno visioni o si sentono queste parole, ciò non è mai, a mio parere, nel momento in cui l’anima è proprio unita a Dio nel rapimento, perché allora – come ho già spiegato, credo parlando della seconda acqua – si perdono completamente tutte le potenze e, a mio parere, in tale stato non si può né vedere, né intendere, né udire. L’anima è tutta in potere altrui e, in questo tempo che è assai breve, non mi pare che il Signore le lasci alcuna libertà. Passato questo breve tempo, quando l’anima si trova ancora nel rapimento, avviene ciò che dico, perché le potenze sono ridotte a tali che, benché non si perdano del tutto, sono quasi inoperanti, come assorte e incapaci di metter insieme un ragionamento. Sono, quindi, tanti i segni per capire la differenza di cui si parla, che ci si può ingannare una volta, non molte.
6. Aggiungo inoltre che, se un’anima è dotata d’esperienza e sta attenta, lo costaterà molto chiaramente perché, prescindendo dagli altri segni dai quali si vede ciò che ho detto, se le parole provengono da noi, non producono alcun effetto, né l’anima le accetta, mentre se vengono da Dio (anche se non vuole e sulle prime non vi dà credito), ritenendole vaneggiamenti dell’intelletto, quasi al modo stesso in cui non si farebbe caso di una persona di cui si sa che delira, è come se udisse una persona di gran santità e dottrina, di cui si sa che non ci può mentire. Ma il mio è un paragone grossolano perché queste parole, a volte, hanno in sé tale maestà che, pur non tenendo presente chi le dice, se sono di rimprovero, ci fanno tremare, e se sono di amore, ci fanno struggere di tenerezza. Per di più, come ho detto, sono cose che erano ben lontane dalla nostra mente, rivelatrici, in un solo istante, di così profonde verità che sarebbe stato necessario molto tempo per poterle concepire, e in nessun modo mi sembra che si possa pertanto ignorare che sono cose non provenienti da noi. Non c’è, quindi, motivo di dilungarmi di più, poiché mi sembrerebbe strano che una persona di esperienza possa ingannarsi, se essa stessa non si vuole deliberatamente ingannare.
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:03
7. Mi è accaduto molte volte, avendo qualche dubbio, di non credere a ciò che mi veniva detto e di pensare di essere vittima di qualche illusione (questo, dopo che tutto era finito, perché nel momento della grazia il dubbio è impossibile), e di veder poi adempiuta ogni cosa, passato molto tempo, in quanto le parole del Signore s’imprimono nella mente in modo tale che non si possono dimenticare, mentre quelle dell’intelletto sono come un lampo del pensiero, che passa e si dimentica. Avviene delle parole divine come di un fatto reale di cui, anche se col passare del tempo si dimentica qualcosa, non si perde del tutto la memoria: si ricorderà almeno che ci sono state dette, tranne che non sia passato molto tempo o siano parole di favore e di dottrina, ma le profezie mi pare non si possano dimenticare; almeno è così per me, benché abbia poca memoria.
8. Torno a dire che mi sembra impossibile, tranne che un’anima sia tanto priva di coscienza da voler fingere (il che sarebbe un gran male), affermando di udire rivolgersi parole, mentre non è così, che non veda chiaramente d’esser lei a mettere insieme e a pronunziare discorsi dentro di sé, se ha compreso lo spirito di Dio, altrimenti potrebbe rimanere tutta la vita in questo inganno, credendo di udire parlare, cosa del tutto inconcepibile. O quest’anima vuole intendere o no: se è così disfatta per quanto intende che, ad evitare mille timori e molte altre ragioni di turbamento, vorrebbe assolutamente non intendere nulla, desiderando starsene quieta nella sua orazione senza queste grazie, come potrebbe dar tanto agio all’intelletto di mettere insieme discorsi? Per far questo ci vuole tempo; qui, invece, senza alcun indugio, ci troviamo di colpo istruiti e intendiamo cose per concepire le quali credo sarebbe stato necessario un mese. Lo stesso intelletto e la stessa anima restano meravigliati nell’intendere alcune verità.
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:03
9. Così stanno le cose, e chi ne ha esperienza vedrà che tutto quanto ho detto risponde esattamente al vero. Ringrazio Dio di averlo saputo esporre in questo modo e termino col dire che, a mio giudizio, se queste parole sono dell’intelletto, quando lo vogliamo, possiamo udirle: ad esempio, ogni volta che stiamo in orazione potremmo immaginarci di udirle; invece non è così se sono parole di Dio, anzi si possono passare molti giorni in cui, benché si voglia sentire qualcosa, riesce impossibile, mentre altre volte, pur non volendolo, come ho detto, si è obbligati a udirle. Mi sembra che a chi volesse ingannare gli altri, dicendo di udire da Dio ciò che proviene da sé, costerebbe poco aggiungere che ha udito la voce di Dio con le orecchie del corpo. Proprio così, perché io non avevo mai pensato che ci fosse un altro modo di udire e d’intendere fino a che non l’ho costatato per esperienza, e l’esperienza, come ho detto, mi è costata molto cara.
10. Quando opera il demonio, non solo non lasciano buoni effetti, ma ne lasciano di cattivi. Questo mi è accaduto non più di due o tre volte e subito sono stata avvisata dal Signore che si trattava del demonio. Tralasciando la grande aridità che resta, l’anima prova un’inquietudine al modo stesso di quella che io ho provato molte altre volte in cui il Signore ha permesso che subissi grandi tentazioni e sofferenze di diversa natura, e benché mi tormenti ancora spesso, come più avanti dirò, è un’inquietudine che non si riesce a capire da dove venga. Sembra che l’anima resista, si agiti e si affligga, senza sapere di che, non essendo cattivo ciò che il demonio dice, ma buono. Forse dipende dal fatto che uno spirito sente la presenza dell’altro. Il piacere e la gioia che il demonio produce sono, a mio parere, molto diversi; egli potrebbe ingannare chi non ne abbia o non ne abbia mai avuti da Dio.
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:03
11. Chiamo propriamente piacevole una ricreazione soave, forte, penetrante, gioiosa e tranquilla, mentre certe devozioncelle fatte di lacrime e di piccoli sentimenti – fiorellini che appassiscono al primo venticello di persecuzione – non le chiamo devozioni. Anche se ispirate da buoni principi e santi sentimenti, non sono però tali che bastino a distinguere gli effetti dello Spirito buono da quelli dello spirito cattivo. È bene, pertanto, procedere sempre con grande cautela, perché le persone che non sono andate più avanti di questo stadio nell’orazione potrebbero facilmente cadere in inganno se avessero visioni o rivelazioni… Io non ebbi mai alcuna di queste ultime grazie fino a che Dio, per sua bontà, non mi concesse l’orazione di unione, eccetto quella prima volta che ho detto, in cui molti anni fa vidi Cristo. E, se fosse piaciuto a Sua Maestà che avessi capito allora, come ho capito dopo, che quella era una vera visione, m’avrebbe giovato non poco. Nessuna dolcezza resta nell’anima per le parole del demonio, ma una specie di spavento e un gran disgusto.
12. Sono perfettamente sicura che Dio non permetterà mai al demonio d’ingannare un’anima che in nessuna cosa si fida di sé ed è così forte nella fede da sentirsi disposta, per un punto di essa, a subire mille morti. E con questo amore per la fede che Dio infonde subito e che è fede viva e incrollabile, l’anima cerca sempre di procedere in conformità della dottrina della Chiesa, interrogando ora gli uni, ora gli altri, come chi ha già così salda base in queste verità che tutte le rivelazioni che si possono immaginare non la smuoverebbero d’un punto da ciò che insegna la Chiesa, neanche se vedesse aperto il cielo. Se qualche volta, invece, il suo pensiero sembrasse vacillare e si soffermasse in cuor suo a dire: «Infine, se Dio mi dice questo, può anche essere vero, come lo era quello che rivelava ai santi» (non dico che ella ci creda, ma che il demonio comincia a tentarla con un primo impulso di dubbio e che fermarsi in esso sarebbe evidentemente un gravissimo male; però anche questi impulsi molte volte nella presente circostanza non ci saranno, se l’anima mantiene quella forza che il Signore dà a colui al quale elargisce queste grazie, anzi le sembrerà di essere capace di stritolare i demoni in difesa anche della più piccola tra le verità insegnate dalla Chiesa). [13.] Se, dunque, non sentisse in sé questa risoluta fermezza e la devozione o le visioni non l’aiutassero a ritrovarla, non si ritenga sicura, perché il danno, pur non avvertendosi subito, a poco a poco potrebbe diventare grande. Per quel che vedo e so per esperienza, la convinzione che si tratti di un favore di Dio è data dalla sua conformità alla sacra Scrittura; e non appena abbia a discostarsene, credo che lo riterrei come opera del demonio con una certezza incomparabilmente maggiore di quella con cui ritengo che è opera di Dio, per quanto grande sia questa certezza. In tal caso, non è necessario andare in cerca di prove né investigare di quale spirito si tratti, poiché è così chiaro questo segno per credere che si tratta del demonio, che se allora tutto il mondo mi assicurasse che si tratta di Dio, non lo crederei. Sta di fatto che, quando è il demonio, sembra che tutti i beni si nascondano e fuggano dall’anima, a giudicare da come essa resta disgustata, agitata, priva di ogni buon effetto, perché anche se par che il demonio le ispiri desideri, non sono forti; l’umiltà che lascia in essa è falsa, inquieta e senza dolcezza. Credo che chi abbia esperienza dello spirito buono lo capirà.
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:04
14. Ciò nonostante, il demonio può sempre tramare molti inganni; pertanto, a questo riguardo non vi sarà mai nulla tanto sicuro quanto temere continuamente, procedere sempre con cautela, avere un maestro che sia dotto e non nascondergli nulla; così facendo, non ci potrà venire alcun danno, anche se a me ne sono venuti molti per certi timori esagerati che nutrono alcune persone. Mi accadde specialmente una volta in cui si erano riuniti molti servi di Dio che stimavo molto – e con ragione – giacché, sebbene io ormai non trattassi se non con uno, e solo quando egli me lo comandava parlassi ad altri, essi, amandomi molto e temendo che potessi essere ingannata, discutevano di frequente tra di loro circa il modo di venirmi in aiuto. Io stessa avevo un grandissimo timore, quando non stavo in orazione, mentre quando vi stavo e il Signore mi faceva qualche grazia, subito mi rassicuravo. Credo che fossero cinque o sei, tutti gran servi di Dio e il mio confessore mi disse che dichiaravano concordemente trattarsi del demonio. Non dovevo, quindi, comunicarmi tanto spesso e dovevo cercare di distrarmi in modo da evitare la solitudine. Io, come ho detto, ero estremamente timorosa e vi contribuiva anche il mal di cuore, tanto che non osavo molte volte star sola in una stanza neppure di giorno. Quando vidi che tante persone affermavano quello che io non riuscivo a credere, fui presa da grandissimo scrupolo, sembrandomi segno di poca umiltà da parte mia, perché tutti erano di una vita senza confronto più santa della mia, ed erano persone dotte, alle quali non v’era ragione di non credere. Mi sforzavo quanto potevo di convincermi di quanto dicevano pensando che, in base alla mia misera vita, essi dovevano certo dire la verità.
15. Uscita dalla chiesa con questa afflizione, entrai in un oratorio, dopo che da più giorni mi avevano tolto la comunione e proibito la solitudine, che erano il mio unico conforto, e non avevo una persona con cui trattare, perché tutti mi erano contrari. Mi sembrava che alcuni si burlassero di me quando parlavo di questo, come se vaneggiassi; altri consigliavano il confessore di guardarsi da me, altri dicevano chiaramente che ero vittima del demonio. Soltanto il confessore, pur condividendo il loro pensiero, per mettermi alla prova, come venni a sapere in seguito, cercava sempre di consolarmi e mi diceva che anche se fossi vittima del demonio, non recando io offesa a Dio non mi avrebbe potuto far nulla; tutto sarebbe finito, e che di ciò pregassi molto Dio, come facevano anche lui, tutte le persone che egli confessava e molte altre. Io m’impegnavo con tutte le mie forze nella preghiera e mi raccomandavo a quanti sapevo essere servi di Dio, affinché Sua Maestà mi conducesse per un altro cammino. E in queste continue suppliche al Signore rimasi per circa due anni.
16. Al pensiero che il demonio potesse venirmi a parlare tanto spesso, non c’era per me alcun conforto possibile. Ora che non mi ritiravo mai in solitudine neppure per pregare, il Signore mi faceva entrare in raccoglimento anche in mezzo alle conversazioni e, senza ch’io potessi evitarlo, mi diceva tutto quello che gli piaceva, e dovevo ascoltarlo, mio malgrado.
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:04
17. Me ne stavo dunque sola, senza avere una persona con cui consolarmi, incapace di pregare e di leggere, come sgomenta da tanta tribolazione e dal timore di poter essere ingannata dal demonio, tutta sconvolta e spossata, senza sapere cosa fare di me. Mi sono vista in questa afflizione altre volte, anzi molte volte, anche se non mi sembra d’essere mai giunta a questo estremo. Rimasi così quattro o cinque ore, senza che per me ci fosse alcun conforto né dal cielo né dalla terra, lasciata dal Signore a patire nel timore di mille pericoli. Oh, mio Signore, quale vero amico voi siete, e quanto potente, poiché potete ciò che volete, e non smettete mai di amare chi vi ama! Vi lodino tutte le creature, Signore dell’universo! Oh, poter gridare al mondo intero quanto voi siete fedele ai vostri amici! Tutte le cose mancano, ma voi, Signore di tutte, non mancate mai! È poco ciò che lasciate patire a chi vi ama. Oh, mio Signore, con quanta delicata cura, con quanta dolcezza li sapete trattare! Oh, felice chi non ha mai esitato ad amare altri che voi! Sembra, o Signore, che voi mettiate rigorosamente alla prova chi vi ama, affinché nell’eccesso del patimento si intenda l’eccesso ancor più grande del vostro amore. Oh, Dio mio, potessi avere ingegno, dottrina, e disporre di parole nuove per esaltare le vostre opere come lo sente l’anima mia! Mi manca tutto, mio Signore, ma se voi non mi lasciate senza la vostra protezione, io non mancherò a voi. Si levino pure contro di me tutti i dotti, mi perseguitino tutte le creature, mi tormentino tutti i demoni, ma non mancatemi voi, Signore, perché ho già fatto esperienza del guadagno che si ricava dal confidare solo in voi.
18. Mentre, dunque, ero in così grande angoscia (fino allora non avevo cominciato ad avere nessuna visione), bastarono queste sole parole per dissiparla e acquietarmi del tutto: «Non aver paura, figlia mia, sono io e non ti abbandonerò, non temere». Mi sembra, tenuto conto dello stato in cui ero, che sarebbero state necessarie molte ore per indurmi a calmarmi e che nessuno vi sarebbe potuto riuscire. Ed eccomi, grazie a queste sole parole, così tranquilla, piena di forza, di coraggio, di sicurezza, di pace e di luce, che in un istante sentii la mia anima trasformata, e credo che avrei potuto sostenere contro tutti che quelle grazie erano opera di Dio. Oh, com’è buono Dio! Oh, com’è potente e misericordioso il Signore! Non solo ci dà il coraggio, ma ci porge anche il rimedio. Le sue parole sono opere. Oh, Dio mio, come si rafforza la fede e cresce l’amore!
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:05
19. Per questo, certamente molte volte ricordavo quando il Signore comandò ai venti di acquietarsi allorché in mare infuriava la tempesta e dicevo: «Chi è questi a cui obbediscono tutte le mie potenze, che in un momento fa luce in una così grande oscurità, rende tenero un cuore che sembrava di pietra e fa piovere un’acqua di dolci lacrime dove sembrava che dovesse esserci a lungo siccità? E perché? Io desidero servire questo Signore; non pretendo altro se non contentarlo; non voglio gioia né riposo né alcun bene se non fare la sua volontà» (giacché ben certa di questo, a mio parere, lo potevo affermare). Se, dunque, questo Signore è così potente, come io vedo e so, se i demoni sono suoi schiavi – e di ciò non si può dubitare, perché è verità di fede – essendo io serva di questo Re e Signore, che male possono essi farmi? Perché io non debbo aver forza di combattere contro tutto l’inferno? Prendevo in mano una croce e mi sembrava davvero che Dio me ne desse il coraggio; in breve spazio di tempo, infatti, mi vidi così trasformata che non avrei temuto di lottare con essi a corpo a corpo, sembrandomi facile, con quella croce, poterli sgominare tutti. Pertanto, gridavo loro: «Venite ora avanti tutti, poiché, essendo io serva del Signore, voglio vedere che cosa mi potete fare».
20. E davvero mi parve ch’essi mi temessero, perché io rimasi tranquilla e talmente priva di timore nei loro riguardi che scomparvero totalmente le paure che mi solevano tormentare, e anche se alcune volte li vedevo come dirò in seguito, non solo quasi non ne avevo più paura, ma mi sembrava che i demoni l’avessero di me. Mi rimase un tale dominio su di essi, dono certamente del Signore di noi tutti, da non dar loro ormai più importanza che se fossero mosche. Mi sembra che siano così codardi che, vedendosi disprezzati, restano senza forza. Tali nemici non sanno attaccare di fronte se non coloro che vedono pronti ad arrendersi, o quando Dio permette che tentino e tormentino i suoi servi per il maggior bene di questi. Piacesse a Sua Maestà che temessimo ciò che dobbiamo temere e capissimo che può venirci maggior danno da un peccato veniale che da tutto l’inferno messo assieme, perché è proprio così.
21. Questi demoni ci incutono tanto spavento, in quanto siamo noi a volerci spaventare con il nostro attaccamento agli onori, alle ricchezze e ai piaceri, perché allora essi, trovando i loro alleati in noi che siamo nemici di noi stessi, amando e desiderando ciò che dovremmo aborrire, ci causano un gran danno, in quanto con le nostre stesse armi li facciamo combattere contro di noi, ponendole nelle loro mani, mentre dovremmo difenderci con esse. E questo è davvero un peccato. Se, invece, noi disprezziamo tutto per amor di Dio, ci stringiamo alla croce e cerchiamo di servirlo veramente, il demonio fugge da queste pratiche nel cammino della verità come dalla peste. È amico della menzogna e menzogna lui stesso; non verrà mai a patti con chi cammina nella verità. Ma, quando vede che l’intelletto è offuscato, si adopera come meglio può per accecarlo del tutto; perché, accorgendosi che uno è tanto cieco da riporre il suo appagamento in cose vane, come lo sono le cose di questo mondo che sembrano un gioco da bambini, si convince che costui è un bambino, lo tratta quindi come tale e osa lottare con lui una e più volte.
22. Piaccia al Signore che io non sia di costoro, ma che Sua Maestà mi doni la grazia d’intendere per riposo ciò che è riposo, per onore ciò che è onore, per diletto ciò che è diletto e non tutto il contrario. Un gesto di disprezzo verso tutti i demoni e avranno paura di me. Non capisco le paure di chi grida: Demonio! demonio! mentre potremmo dire: Dio! Dio! e far tremare tutti gli spiriti maligni. Sì, perché sappiamo ormai che non possono muoversi se il Signore non lo permette. Perché, dunque, nutrire questi timori? È fuor di dubbio che io ormai ho più paura di chi ne ha tanta del demonio, che del demonio stesso, perché lui non mi può far nulla, mentre costoro, specialmente se sono confessori, possono arrecarmi gran turbamento. Infatti ho trascorso alcuni anni in così grande sofferenza che ora mi meraviglio di come l’abbia potuto sopportare. Sia benedetto il Signore che mi ha prestato il suo valido aiuto!
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:06
CAPITOLO 26
Prosegue nel medesimo argomento. Racconta e spiega cose che le sono accadute e che, facendole deporre ogni timore, l’hanno convinta che era lo spirito buono a parlarle.
1. Ritengo come una delle maggiori grazie che il Signore m’abbia fatto, questo coraggio che mi ha dato contro i demoni, essendo un grandissimo inconveniente che l’anima proceda smarrita, nel timore di qualcosa d’altro che non sia l’offendere Dio, quando abbiamo un re onnipotente, un così grande Signore che tutto può e tutti assoggetta a sé. E non c’è da temere nulla se – come ho detto – si cammina davanti a Sua Maestà con verità e coscienza pura. A questo scopo, ripeto, vorrei avere tutti i timori di questo mondo: per non offendere per un solo attimo colui che in quello stesso attimo ci può annientare, mentre se Sua Maestà è contento di noi, non v’è alcuno che ci possa osteggiare senza uscirne sconfitto. Si potrà dire che questo è vero, ma quale anima sarà così retta da contentare in tutto Dio e perciò da non dover temere? Non la mia, certamente, che è assai spregevole, inutile e piena di infinte miserie. Ma Dio non si comporta come gli uomini, perché comprende le nostre debolezze; l’anima, poi, da grandi indizi sente se lo ama davvero. L’amore di chi giunge a questo stato, infatti, non resta nascosto come agli inizi, ma erompe, con grande impeto e desiderio di vedere Dio, come dirò in seguito o come è già stato detto: tutto la stanca, tutto l’annoia, tutto la tormenta, tranne ciò che fa con Dio o per Dio. Non v’è riposo che la riposi, perché si vede priva del suo vero riposo; ed è cosa tanto chiara che, come dico, non le può passare inosservata.
2. Altre volte mi è accaduto di trovarmi in grandissime tribolazioni, essendo oggetto di gravi mormorazioni – per un certo affare di cui parlerò – da parte di quasi tutta la città in cui vivo e del mio Ordine, e afflitta da molte ragioni di inquietudine, e di udire il Signore dirmi «Di che temi? Non sai che io sono onnipotente? Io adempio quello che ho promesso» (e infatti poi tutto si è adempiuto perfettamente), rimanendo subito piena di una tale forza che mi sembrava d’essere nuovamente disposta a intraprendere altre opere, per servirlo, anche a prezzo di maggiori fatiche e di nuove sofferenze. Questo mi è accaduto tante volte che non potrei contarle; speso mi faceva rimproveri, come me ne fa ora quando commetto mancanze, e tali che bastano ad annientare un’anima, ma almeno comportano un emendamento, perché Sua Maestà – come ho detto – dà il consiglio e il rimedio. Altre volte mi ricordava i miei peccati di un tempo, specialmente quando voleva farmi qualche grazia particolare, e allora sembrava alla mia anima di trovarsi già al giudizio finale, venendole presentata la verità con così chiara rivelazione da non saper dove nascondersi. C’erano volte in cui mi avvisava di alcuni pericoli nei riguardi miei e di altre persone, cose che, spesso, dovevano avvenire tre o quattro anni dopo, e tutte si sono avverate. Potrà darsi che ne riferisca alcune. Perciò, sono tanti i segni per capire se c’è l’intervento di Dio che, a mio parere, è impossibile non accorgersene.CAPITOLO 26
Prosegue nel medesimo argomento. Racconta e spiega cose che le sono accadute e che, facendole deporre ogni timore, l’hanno convinta che era lo spirito buono a parlarle.
1. Ritengo come una delle maggiori grazie che il Signore m’abbia fatto, questo coraggio che mi ha dato contro i demoni, essendo un grandissimo inconveniente che l’anima proceda smarrita, nel timore di qualcosa d’altro che non sia l’offendere Dio, quando abbiamo un re onnipotente, un così grande Signore che tutto può e tutti assoggetta a sé. E non c’è da temere nulla se – come ho detto – si cammina davanti a Sua Maestà con verità e coscienza pura. A questo scopo, ripeto, vorrei avere tutti i timori di questo mondo: per non offendere per un solo attimo colui che in quello stesso attimo ci può annientare, mentre se Sua Maestà è contento di noi, non v’è alcuno che ci possa osteggiare senza uscirne sconfitto. Si potrà dire che questo è vero, ma quale anima sarà così retta da contentare in tutto Dio e perciò da non dover temere? Non la mia, certamente, che è assai spregevole, inutile e piena di infinte miserie. Ma Dio non si comporta come gli uomini, perché comprende le nostre debolezze; l’anima, poi, da grandi indizi sente se lo ama davvero. L’amore di chi giunge a questo stato, infatti, non resta nascosto come agli inizi, ma erompe, con grande impeto e desiderio di vedere Dio, come dirò in seguito o come è già stato detto: tutto la stanca, tutto l’annoia, tutto la tormenta, tranne ciò che fa con Dio o per Dio. Non v’è riposo che la riposi, perché si vede priva del suo vero riposo; ed è cosa tanto chiara che, come dico, non le può passare inosservata.
2. Altre volte mi è accaduto di trovarmi in grandissime tribolazioni, essendo oggetto di gravi mormorazioni – per un certo affare di cui parlerò – da parte di quasi tutta la città in cui vivo e del mio Ordine, e afflitta da molte ragioni di inquietudine, e di udire il Signore dirmi «Di che temi? Non sai che io sono onnipotente? Io adempio quello che ho promesso» (e infatti poi tutto si è adempiuto perfettamente), rimanendo subito piena di una tale forza che mi sembrava d’essere nuovamente disposta a intraprendere altre opere, per servirlo, anche a prezzo di maggiori fatiche e di nuove sofferenze. Questo mi è accaduto tante volte che non potrei contarle; speso mi faceva rimproveri, come me ne fa ora quando commetto mancanze, e tali che bastano ad annientare un’anima, ma almeno comportano un emendamento, perché Sua Maestà – come ho detto – dà il consiglio e il rimedio. Altre volte mi ricordava i miei peccati di un tempo, specialmente quando voleva farmi qualche grazia particolare, e allora sembrava alla mia anima di trovarsi già al giudizio finale, venendole presentata la verità con così chiara rivelazione da non saper dove nascondersi. C’erano volte in cui mi avvisava di alcuni pericoli nei riguardi miei e di altre persone, cose che, spesso, dovevano avvenire tre o quattro anni dopo, e tutte si sono avverate. Potrà darsi che ne riferisca alcune. Perciò, sono tanti i segni per capire se c’è l’intervento di Dio che, a mio parere, è impossibile non accorgersene.
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:08
3. La via più sicura è quella (che seguo, senza la quale non avrei pace, com’è per tutte noi donne che non abbiamo istruzione), poiché in essa non può esservi alcun danno, bensì molto vantaggio, come mi ha detto più volte il Signore, e consiste nel non tralasciare di aprire tutta la mia anima e comunicare tutte le grazie che egli mi fa a un confessore che sia dotto, e poi obbedirgli ciecamente. Avevo un confessore che mi mortificava molto e alcune volte mi affliggeva e mi procurava grande sofferenza, per la viva inquietudine che destava in me; eppure fu quello, mi pare, che più mi giovò. Benché l’amassi molto, a volte ero tentata di lasciarlo, sembrandomi un impedimento all’orazione quelle pene ch’egli mi cagionava. Ma ogni volta che mi decidevo a far questo, udivo subito una voce che mi diceva di non farlo, con un rimprovero così acerbo che mi abbatteva più di quanto non facesse il confessore. Alcune volte ne ero stremata: tormenti da una parte e rimproveri dall’altra, e di tutto avevo bisogno, perché la mia volontà non era ancora domata. Una volta il Signore mi disse che non sarei riuscita ad obbedire se non ero disposta a patire, che guardassi a ciò che egli aveva patito e tutto mi sarebbe stato più facile.
4. Una volta un confessore, dal quale mi ero confessata in principio, mi consigliò, visto che si trattava dello spirito buono, di tacere e non farne parola con nessuno, essendo ormai meglio tacere. A me il consiglio non dispiacque, perché soffrivo tanto nel dire tali cose al confessore e ne provavo tale vergogna che a volte mi costava molto più che confessare peccati gravi, specialmente quando le grazie erano grandi e mi sembrava che non sarei stata creduta e sarei diventata oggetto di burla. Soffrivo tanto a questo pensiero, temendo fosse una mancanza di rispetto alle meravigliose grazie di Dio, che per questo volevo tacere. Ma poi capii che ero stata mal consigliata da quel confessore, che in nessun modo dovevo tacere nulla a chi mi confessava, essendo questa la via più sicura mentre, facendo il contrario, poteva darsi che a volte mi ingannassi.
5. Sempre, quando il Signore mi ordinava qualche cosa nell’orazione, se il confessore me ne imponeva un’altra, lo stesso Signore tornava a dirmi di ubbidire al confessore, poi Sua Maestà gli faceva cambiare parere, così che ci tornasse su, uniformando il comando al suo volere. Quando si proibì la lettura di molti libri in lingua volgare, io ne soffrii molto, perché la lettura di alcuni mi procurava gioia, e non potendo ormai più leggere perché quelli permessi erano in latino, il Signore mi disse: «Non darti pena, perché io ti darò un libro vivente». Io non riuscivo a capire che cosa quelle parole potessero significare, non avendo ancora avuto visioni; in seguito, di lì a pochissimi giorni, lo capii molto bene, perché ebbi tanto da pensare e da raccogliermi in quello che vedevo, e il Signore mi ha dimostrato tanto amore nell’istruirmi in varie maniere, che ho avuto ben poca, anzi quasi nessuna necessità di libri. Sua Maestà è stato il solo libro dove ho letto le supreme verità. Benedetto sia tale libro che lascia impresso quello che si deve leggere e praticare, in modo che non si può dimenticare! Chi, vedendo il Signore coperto di piaghe e afflitto da persecuzioni, non abbraccia le sue pene, non le ama e non le desidera? Chi, vedendo qualcosa della gloria che dà a coloro che lo servono, non riconosce che tutto quanto possiamo fare e patire è nulla, in attesa di tale premio? Chi, vedendo i tormenti che soffrono i dannati, non considera gioia, al loro confronto, i tormenti di questa terra e non riconosce il molto che deve al Signore per essere stato liberato tante volte da quella situazione?3. La via più sicura è quella (che seguo, senza la quale non avrei pace, com’è per tutte noi donne che non abbiamo istruzione), poiché in essa non può esservi alcun danno, bensì molto vantaggio, come mi ha detto più volte il Signore, e consiste nel non tralasciare di aprire tutta la mia anima e comunicare tutte le grazie che egli mi fa a un confessore che sia dotto, e poi obbedirgli ciecamente. Avevo un confessore che mi mortificava molto e alcune volte mi affliggeva e mi procurava grande sofferenza, per la viva inquietudine che destava in me; eppure fu quello, mi pare, che più mi giovò. Benché l’amassi molto, a volte ero tentata di lasciarlo, sembrandomi un impedimento all’orazione quelle pene ch’egli mi cagionava. Ma ogni volta che mi decidevo a far questo, udivo subito una voce che mi diceva di non farlo, con un rimprovero così acerbo che mi abbatteva più di quanto non facesse il confessore. Alcune volte ne ero stremata: tormenti da una parte e rimproveri dall’altra, e di tutto avevo bisogno, perché la mia volontà non era ancora domata. Una volta il Signore mi disse che non sarei riuscita ad obbedire se non ero disposta a patire, che guardassi a ciò che egli aveva patito e tutto mi sarebbe stato più facile.
4. Una volta un confessore, dal quale mi ero confessata in principio, mi consigliò, visto che si trattava dello spirito buono, di tacere e non farne parola con nessuno, essendo ormai meglio tacere. A me il consiglio non dispiacque, perché soffrivo tanto nel dire tali cose al confessore e ne provavo tale vergogna che a volte mi costava molto più che confessare peccati gravi, specialmente quando le grazie erano grandi e mi sembrava che non sarei stata creduta e sarei diventata oggetto di burla. Soffrivo tanto a questo pensiero, temendo fosse una mancanza di rispetto alle meravigliose grazie di Dio, che per questo volevo tacere. Ma poi capii che ero stata mal consigliata da quel confessore, che in nessun modo dovevo tacere nulla a chi mi confessava, essendo questa la via più sicura mentre, facendo il contrario, poteva darsi che a volte mi ingannassi.
5. Sempre, quando il Signore mi ordinava qualche cosa nell’orazione, se il confessore me ne imponeva un’altra, lo stesso Signore tornava a dirmi di ubbidire al confessore, poi Sua Maestà gli faceva cambiare parere, così che ci tornasse su, uniformando il comando al suo volere. Quando si proibì la lettura di molti libri in lingua volgare, io ne soffrii molto, perché la lettura di alcuni mi procurava gioia, e non potendo ormai più leggere perché quelli permessi erano in latino, il Signore mi disse: «Non darti pena, perché io ti darò un libro vivente». Io non riuscivo a capire che cosa quelle parole potessero significare, non avendo ancora avuto visioni; in seguito, di lì a pochissimi giorni, lo capii molto bene, perché ebbi tanto da pensare e da raccogliermi in quello che vedevo, e il Signore mi ha dimostrato tanto amore nell’istruirmi in varie maniere, che ho avuto ben poca, anzi quasi nessuna necessità di libri. Sua Maestà è stato il solo libro dove ho letto le supreme verità. Benedetto sia tale libro che lascia impresso quello che si deve leggere e praticare, in modo che non si può dimenticare! Chi, vedendo il Signore coperto di piaghe e afflitto da persecuzioni, non abbraccia le sue pene, non le ama e non le desidera? Chi, vedendo qualcosa della gloria che dà a coloro che lo servono, non riconosce che tutto quanto possiamo fare e patire è nulla, in attesa di tale premio? Chi, vedendo i tormenti che soffrono i dannati, non considera gioia, al loro confronto, i tormenti di questa terra e non riconosce il molto che deve al Signore per essere stato liberato tante volte da quella situazione?3. La via più sicura è quella (che seguo, senza la quale non avrei pace, com’è per tutte noi donne che non abbiamo istruzione), poiché in essa non può esservi alcun danno, bensì molto vantaggio, come mi ha detto più volte il Signore, e consiste nel non tralasciare di aprire tutta la mia anima e comunicare tutte le grazie che egli mi fa a un confessore che sia dotto, e poi obbedirgli ciecamente. Avevo un confessore che mi mortificava molto e alcune volte mi affliggeva e mi procurava grande sofferenza, per la viva inquietudine che destava in me; eppure fu quello, mi pare, che più mi giovò. Benché l’amassi molto, a volte ero tentata di lasciarlo, sembrandomi un impedimento all’orazione quelle pene ch’egli mi cagionava. Ma ogni volta che mi decidevo a far questo, udivo subito una voce che mi diceva di non farlo, con un rimprovero così acerbo che mi abbatteva più di quanto non facesse il confessore. Alcune volte ne ero stremata: tormenti da una parte e rimproveri dall’altra, e di tutto avevo bisogno, perché la mia volontà non era ancora domata. Una volta il Signore mi disse che non sarei riuscita ad obbedire se non ero disposta a patire, che guardassi a ciò che egli aveva patito e tutto mi sarebbe stato più facile.
4. Una volta un confessore, dal quale mi ero confessata in principio, mi consigliò, visto che si trattava dello spirito buono, di tacere e non farne parola con nessuno, essendo ormai meglio tacere. A me il consiglio non dispiacque, perché soffrivo tanto nel dire tali cose al confessore e ne provavo tale vergogna che a volte mi costava molto più che confessare peccati gravi, specialmente quando le grazie erano grandi e mi sembrava che non sarei stata creduta e sarei diventata oggetto di burla. Soffrivo tanto a questo pensiero, temendo fosse una mancanza di rispetto alle meravigliose grazie di Dio, che per questo volevo tacere. Ma poi capii che ero stata mal consigliata da quel confessore, che in nessun modo dovevo tacere nulla a chi mi confessava, essendo questa la via più sicura mentre, facendo il contrario, poteva darsi che a volte mi ingannassi.
5. Sempre, quando il Signore mi ordinava qualche cosa nell’orazione, se il confessore me ne imponeva un’altra, lo stesso Signore tornava a dirmi di ubbidire al confessore, poi Sua Maestà gli faceva cambiare parere, così che ci tornasse su, uniformando il comando al suo volere. Quando si proibì la lettura di molti libri in lingua volgare, io ne soffrii molto, perché la lettura di alcuni mi procurava gioia, e non potendo ormai più leggere perché quelli permessi erano in latino, il Signore mi disse: «Non darti pena, perché io ti darò un libro vivente». Io non riuscivo a capire che cosa quelle parole potessero significare, non avendo ancora avuto visioni; in seguito, di lì a pochissimi giorni, lo capii molto bene, perché ebbi tanto da pensare e da raccogliermi in quello che vedevo, e il Signore mi ha dimostrato tanto amore nell’istruirmi in varie maniere, che ho avuto ben poca, anzi quasi nessuna necessità di libri. Sua Maestà è stato il solo libro dove ho letto le supreme verità. Benedetto sia tale libro che lascia impresso quello che si deve leggere e praticare, in modo che non si può dimenticare! Chi, vedendo il Signore coperto di piaghe e afflitto da persecuzioni, non abbraccia le sue pene, non le ama e non le desidera? Chi, vedendo qualcosa della gloria che dà a coloro che lo servono, non riconosce che tutto quanto possiamo fare e patire è nulla, in attesa di tale premio? Chi, vedendo i tormenti che soffrono i dannati, non considera gioia, al loro confronto, i tormenti di questa terra e non riconosce il molto che deve al Signore per essere stato liberato tante volte da quella situazione?
6. Poiché, con la grazia di Dio, si parlerà più a lungo di queste cose, voglio andare avanti col racconto della mia vita. Piaccia al Signore che io abbia saputo spiegarmi in quello che ho detto! Sono certa che chi ne ha esperienza mi capirà e vedrà che in qualche cosa ho colto nel segno; a chi non l’ha, non mi meraviglio se tutto possa sembrare una pazzia; basta che l’abbia detto io perché ne resti scusato, né farò mai di questo colpa a nessuno. Il Signore mi consenta di riuscire a compiere la sua volontà! Amen.
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:08
Libro della vita
Sezione 4
CAPITOLO 31
Tratta di alcune tentazioni esteriori con le apparizioni del demonio e dei tormenti che questi le dava. Tratta anche di alcune cose molto utili ad ammonimento delle anime che seguono il cammino della perfezione.
1. Avendo già parlato di alcune tentazioni e agitazioni interiori e segrete che il demonio mi causava, voglio ora parlare di quelle quasi pubbliche di cui mi faceva oggetto, nelle quali non si poteva ignorare che si trattava di lui.
2. Una volta, mentre stavo in un oratorio, mi apparve al lato sinistro con un aspetto abominevole; siccome mi parlò, gli guardai soprattutto la bocca, che era spaventosa. Da suo corpo sembrava sprigionarsi una gran fiamma molto chiara, senza ombre. Mi disse con voce terribile che se ero riuscita a liberarmi dalle sue mani, egli avrebbe saputo riagguantarmi. Ne ebbi terrore e mi feci, come potei, il segno della croce; egli allora sparì, ma ritornò subito. Ciò mi accadde due volte. Non sapevo che cosa fare; avevo lì l’acqua benedetta e la gettai da quella parte: non comparve mai più.
3. Un’altra volta mi tormentò per cinque ore, in cui soffrii tali terribili dolori e tale turbamento fisico e morale che mi pareva di non poterne più. Le persone che si trovavano con me erano spaventate e non sapevano che fare, e io non sapevo come difendermi. Ho l’abitudine, quando i dolori e il male fisico sono proprio intollerabili, di fare, come posso, in cuore atti di rassegnazione, supplicando il Signore di servirsi ai suoi fini delle mie sofferenze, di darmi pazienza e di lasciarmi in quello stato sino alla fine del mondo. E allorché questa volta vidi che soffrivo tanto duramente, cercavo di aiutarmi con questi atti e con queste determinazioni, per poterlo sopportare. Il Signore volle infine farmi capire che si trattava del demonio perché vidi presso di me un piccolo negro, orribile, che digrignava i denti come disperato di perdere dove sperava di guadagnare. Appena lo vidi ne risi in cuor mio, e non ebbi alcuna paura, essendoci lì con me alcune suore le quali, però, non sapevano come aiutarmi né che rimedio opporre a tanto tormento, perché il demonio mi faceva dare grandi colpi, senza che io potessi resistergli, col corpo, con la testa, con le braccia; ma la cosa peggiore era l’interiore turbamento, tale che in nessun modo potevo trovare pace. Non osavo chiedere acqua benedetta per non impaurirle e perché non capissero di che si trattava.
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:09
4. So, per ormai vecchia esperienza, che non c’è mezzo migliore dell’acqua benedetta per mettere in fuga il demonio e impedirgli di tornare. Fugge anche dinanzi alla croce, ma poi torna. Dev’essere ben grande la virtù dell’acqua benedetta; io, per lo meno, quando me ne servo, provo una particolare e ben percepibile consolazione. Proprio così: nella maggior parte dei casi sento un sollievo che non saprei spiegare, come un diletto interiore che mi conforta tutta l’anima. Questa non è una fantasia, né una cosa che mi sia accaduta una sola volta, ma moltissime volte, e che ho osservato con grande attenzione. Diciamo che è come il refrigerio che si sente in tutta la persona quando, avendo molto caldo e molta sete, si beva una brocca d’acqua fresca. Penso quanto sia grande tutto ciò che è nell’ordine liturgico, e m’inonda di gioia vedere come le parole rituali abbiano la virtù di trasmettere tanta forza all’acqua da renderla così diversa da quella che non è benedetta.
5. Poiché, dunque, il tormento non cessava, dissi: «Se non vi facessi ridere, chiederei un po’ d’acqua benedetta». Me la portarono e me la gettarono addosso, ma senza alcun risultato. Allora io la gettai lì dove stava il demonio, che fuggì all’istante, e sparirono, insieme, tutti i miei mali, quasi mi fossero tolti con la mano; solo che io rimasi così sfinita, come se mi avessero dato molte bastonate. Fu per me molto utile vedere che il demonio può fare tanto male, permettendoglielo il Signore, anche in un corpo e in un’anima che non gli appartengono; che cosa farà mai quando ne sia il padrone? Ciò rinsaldò il mio desiderio di liberarmi da così malvagia compagnia.
6. Un’altra volta, poco tempo fa, mi accadde la stessa cosa, anche se non durò molto, e io ero sola. Chiesi un po’ d’acqua benedetta. Le consorelle che entrarono dopo che i demoni già se n’erano andati (le quali erano due monache molto degne di fede, che per nulla al mondo avrebbero detto bugie), sentirono un pessimo odore, come di zolfo; io non lo sentii, ma durò tanto che fu ancora possibile avvertirlo. Un’altra volta, stando in coro, fui presa da un grande impeto di raccoglimento; me ne uscii perché le altre non se ne accorgessero, anche se udirono tutte, lì presso, dalla parte dove ero andata, grandi colpi, mentre io sentivo vicino a me un parlottio, come di persone che complottassero qualche cosa. Parlavano anche forte, ma ero così immersa nell’orazione da non capire nulla e da non avere alcun timore. Questo accadeva tutte le volte in cui il Signore mi concedeva la grazia di esser utile a qualche anima con la mia opera di persuasione. Mi avvenne, in proposito, un fatto che ora racconterò e di cui vi sono molti testimoni, in particolare il mio attuale confessore, il quale lo vide comprovato per iscritto da una lettera, e benché io non gli dicessi chi ne era l’autore, egli sapeva benissimo chi fosse.
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:09
7. Venne da me un sacerdote che da due anni e mezzo si trovava in peccato mortale, uno dei più abominevoli che io abbia mai udito, e in tutto questo tempo né l’aveva confessato, né aveva cercato di emendarsi, pur continuando a celebrare la Messa. Gli altri peccati, sì, li confessava, ma questo diceva che gli era impossibile confessarlo, essendo troppo brutto. E desiderava ardentemente liberarsene, ma da solo non ci riusciva. Ebbi di lui molta compassione, e gran dolore mi procurò veder offendere Dio in quel modo. Gli promisi di pregare vivamente il Signore di aiutarlo, e far sì che gli altri, migliori di me, lo pregassero. Scrissi subito a una certa persona alla quale mi disse che potevo mandare le lettere. E così, nella sua prima confessione, si accusò di quel peccato, poiché Dio volle, per le suppliche delle molte sante persone alle quali l’avevo raccomandato, usare verso quest’anima la sua misericordia; anch’io, quantunque così miserabile, avevo fatto per lui con molta diligenza tutto quello che avevo potuto. Mi scrisse di esser già tanto migliorato che da più giorni non cadeva in quel peccato, ma che il tormento procuratogli dalla tentazione era così grande che gli sembrava di essere all’inferno, stando a quanto pativa, e perciò lo raccomandassi a Dio. Io tornai a raccomandarlo alle mie consorelle, che presero molto a cuore la cosa, e per le cui preghiere il Signore mi avrebbe fatto questa grazia. Si trattava di una persona che nessuno avrebbe potuto indovinare chi fosse. Da parte mia supplicai Sua Maestà di far sì che avessero tregua quei tormenti dati dalle tentazioni e che quei demoni venissero a tormentare me, purché non avessi da offendere in nulla il Signore. Fu così che passai un mese di grandissimi tormenti; i due fatti che le ho raccontato mi accaddero allora.
8. Piacque, infatti, al Signore che egli fosse lasciato in pace come mi fu scritto, dopo che io gli ebbi fatto sapere ciò che avevo sofferto in quel mese. La sua anima, così, prese forza e restò completamente libera, tanto che egli non cessava di ringraziare il Signore e me, come se io avessi fatto qualche cosa, mentre era la convinzione da lui raggiunta che il Signore mi favorisse di grazie, a giovargli. Diceva che quando si sentiva fortemente turbato, leggeva le mie lettere e la tentazione spariva; era molto stupito di quello che io avevo sofferto e di come egli fosse rimasto libero da ogni tormento. Altrettanto stupita ne ero io, ma avrei sopportato quella sofferenza per molti anni ancora, pur di vedere libera quell’anima. Di tutto sia lodato il Signore perché molto può l’orazione di coloro che lo servono, come credo che facciano le sorelle di questa casa. Se non che, essendo io quella che le inducevo a pregare, i demoni si adiravano, credo, soprattutto con me, e il Signore lo permetteva a causa dei miei peccati.
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:10
9. In quel periodo, una notte pensai anche che mi strangolassero; dopo che fu gettata molta acqua benedetta, vidi fuggire una gran turba di essi, come chi corre a precipizio. Sono tante le volte in cui questi spiriti maledetti mi tormentano, ed è ormai così poca la paura che m’incutono, poiché vedo che se il Signore non lo consente, non possono muoversi, che se volessi raccontare tutto, stancherei la signoria vostra e mi stancherei io stessa.
10. Quanto ho detto serva di aiuto per i veri servi di Dio a non preoccuparsi degli spauracchi messi lì dai demoni per incutere timore; sappiano che ogni qualvolta si riesca a disprezzarli, essi perdono forza e l’anima acquista molto maggior padronanza di sé. Dai loro assalti si ricava sempre qualche vantaggio di cui non parlo, per non dilungarmi; voglio solo narrare un fatto che mi accadde la sera del giorno dei Morti. Mentre stavo in un oratorio, dopo aver recitato un notturno, dicendo alcune orazioni molto devote poste in fondo al nostro breviario, il demonio venne a mettersi sopra il libro per impedirmi di finire l’orazione; io mi feci il segno della croce ed egli fuggì. Ricominciata la preghiera, tornò; credo siano state tre le volte che dovetti ricominciarla senza riuscire a finirla, finché non gli ebbi gettato addosso acqua benedetta. Vidi allora uscire subito dal purgatorio alcune anime a cui doveva restare poco tempo per liberarsi dalla pena e pensai che il demonio aveva forse voluto ritardarne la liberazione. Poche volte l’ho visto assumere una figura; molte, invece, senza alcuna figura, al modo di quelle visioni in cui, come ho detto, si vede chiaramente la presenza di qualcuno, pur mancando la figura.
11. Voglio raccontare anche quest’altro fatto che mi stupì moltissimo. Il giorno della SS.ma Trinità, mentre ero in estasi nel coro di un certo monastero, vidi una gran lotta tra angeli e demoni e non riuscivo a capire il significato di quella visione. Prima che fossero trascorsi quindici giorni, lo si capì bene per una certa contesa sorta tra persone di orazione e altre che non lo erano, da cui venne un gran danno alla casa in cui era sorta; fu una lotta che durò lungo tempo e causò molta sofferenza. Altre volte mi vedevo intorno una gran turba di essi, e mi sembrava di essere circonfusa di una luce chiarissima che non permetteva loro di avvicinarsi. Capivo allora che Dio vegliava su di me perché non si accostassero in modo da farmi recare offesa a lui. Da quello che poi ho costatato in me più volte, mi sono resa conto che la visione era vera. Il fatto è che io sono così convinta del loro scarso potere – se non agisco contro Dio – che non ne ho quasi affatto paura; infatti, la loro forza è nulla se non trovano anime vili e pronte alla resa, contro le quali danno prova del loro potere. A volte, nelle tentazioni di cui ho già parlato, mi sembrava che mi si risvegliassero tutte le vanità e le debolezze del passato e dovevo raccomandarmi molto a Dio. Poi subentrava il tormento di credere, visto che mi venivano quei pensieri, che tutto doveva essere opera del demonio, finché il confessore non mi metteva in pace. Mi sembrava, infatti, che neanche un primo moto di pensieri cattivi dovesse avere chi riceveva tante grazie dal Signore.
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:12
12. Altre volte mi era causa di grande tormento, e lo è tuttora, il vedere che si fa molta stima e si dice molto bene di me, specialmente se si tratta di persone autorevoli. Di questo ho sofferto e soffro molto, perché rivolgo subito lo sguardo alla vita di Cristo e dei santi e, vedendo che essi non conoscevano altra via se non quella del disprezzo e delle ingiurie, mi sembra di camminare alla rovescia. E ne provo tale smarrimento che non oso alzare la testa e non vorrei farmi vedere, cosa che invece non mi accade quando sono oggetto di persecuzioni, in cui, anche se il corpo ne soffre e da una parte io ne sia afflitta, l’anima è tanto padrona di sé che io non so come questo possa essere, ma è così: l’anima sembra allora che stia proprio nel suo regno e tenga tutto sotto i suoi piedi. La pena di cui parlo m’assaliva e mi durava a volte molti giorni; credevo che fosse virtù e, in un certo senso, umiltà, ma ora vedo chiaramente che era una tentazione. Me lo spiegò bene un padre domenicano, dottissimo. Al pensiero che queste grazie elargitemi dal Signore si sarebbero venute a sapere pubblicamente, il tormento era così grande da sconvolgermi l’anima. Giunsi a tali estremi che, ripensandoci, credo che sarei stata disposta, anziché sopportarlo, a essere seppellita viva. E così, quando cominciarono quei grandi raccoglimenti e rapimenti ai quali nemmeno in pubblico potevo resistere, rimanevo in seguito talmente piena di vergogna che non avrei voluto farmi più vedere da nessuno.
13. Trovandomi, una volta, in una grande pena per questo motivo, il Signore mi domandò di che temessi, visto che gli effetti non potevano essere che due: o che mormorassero di me o che lodassero lui, facendomi così intendere che quanti avessero creduto al suo intervento l’avrebbero glorificato, e quanti non vi credevano mi avrebbero condannato senza colpa; essendo entrambe le cose di vantaggio per me, non dovevo angustiarmi. La tentazione giunse a tal punto che volevo andarmene da questa città e portare la mia dote in un altro monastero in cui la clausura era molto più stretta che in quello dove mi trovavo in quel momento. Avevo sentito parlare del grande rigore a cui s’informava; apparteneva anche esso al mio Ordine ed era molto lontano, e proprio questo mi avrebbe dato serenità: stare dove nessuno mi conoscesse, ma il mio confessore non me lo permise mai.12. Altre volte mi era causa di grande tormento, e lo è tuttora, il vedere che si fa molta stima e si dice molto bene di me, specialmente se si tratta di persone autorevoli. Di questo ho sofferto e soffro molto, perché rivolgo subito lo sguardo alla vita di Cristo e dei santi e, vedendo che essi non conoscevano altra via se non quella del disprezzo e delle ingiurie, mi sembra di camminare alla rovescia. E ne provo tale smarrimento che non oso alzare la testa e non vorrei farmi vedere, cosa che invece non mi accade quando sono oggetto di persecuzioni, in cui, anche se il corpo ne soffre e da una parte io ne sia afflitta, l’anima è tanto padrona di sé che io non so come questo possa essere, ma è così: l’anima sembra allora che stia proprio nel suo regno e tenga tutto sotto i suoi piedi. La pena di cui parlo m’assaliva e mi durava a volte molti giorni; credevo che fosse virtù e, in un certo senso, umiltà, ma ora vedo chiaramente che era una tentazione. Me lo spiegò bene un padre domenicano, dottissimo. Al pensiero che queste grazie elargitemi dal Signore si sarebbero venute a sapere pubblicamente, il tormento era così grande da sconvolgermi l’anima. Giunsi a tali estremi che, ripensandoci, credo che sarei stata disposta, anziché sopportarlo, a essere seppellita viva. E così, quando cominciarono quei grandi raccoglimenti e rapimenti ai quali nemmeno in pubblico potevo resistere, rimanevo in seguito talmente piena di vergogna che non avrei voluto farmi più vedere da nessuno.
13. Trovandomi, una volta, in una grande pena per questo motivo, il Signore mi domandò di che temessi, visto che gli effetti non potevano essere che due: o che mormorassero di me o che lodassero lui, facendomi così intendere che quanti avessero creduto al suo intervento l’avrebbero glorificato, e quanti non vi credevano mi avrebbero condannato senza colpa; essendo entrambe le cose di vantaggio per me, non dovevo angustiarmi. La tentazione giunse a tal punto che volevo andarmene da questa città e portare la mia dote in un altro monastero in cui la clausura era molto più stretta che in quello dove mi trovavo in quel momento. Avevo sentito parlare del grande rigore a cui s’informava; apparteneva anche esso al mio Ordine ed era molto lontano, e proprio questo mi avrebbe dato serenità: stare dove nessuno mi conoscesse, ma il mio confessore non me lo permise mai.12. Altre volte mi era causa di grande tormento, e lo è tuttora, il vedere che si fa molta stima e si dice molto bene di me, specialmente se si tratta di persone autorevoli. Di questo ho sofferto e soffro molto, perché rivolgo subito lo sguardo alla vita di Cristo e dei santi e, vedendo che essi non conoscevano altra via se non quella del disprezzo e delle ingiurie, mi sembra di camminare alla rovescia. E ne provo tale smarrimento che non oso alzare la testa e non vorrei farmi vedere, cosa che invece non mi accade quando sono oggetto di persecuzioni, in cui, anche se il corpo ne soffre e da una parte io ne sia afflitta, l’anima è tanto padrona di sé che io non so come questo possa essere, ma è così: l’anima sembra allora che stia proprio nel suo regno e tenga tutto sotto i suoi piedi. La pena di cui parlo m’assaliva e mi durava a volte molti giorni; credevo che fosse virtù e, in un certo senso, umiltà, ma ora vedo chiaramente che era una tentazione. Me lo spiegò bene un padre domenicano, dottissimo. Al pensiero che queste grazie elargitemi dal Signore si sarebbero venute a sapere pubblicamente, il tormento era così grande da sconvolgermi l’anima. Giunsi a tali estremi che, ripensandoci, credo che sarei stata disposta, anziché sopportarlo, a essere seppellita viva. E così, quando cominciarono quei grandi raccoglimenti e rapimenti ai quali nemmeno in pubblico potevo resistere, rimanevo in seguito talmente piena di vergogna che non avrei voluto farmi più vedere da nessuno.
13. Trovandomi, una volta, in una grande pena per questo motivo, il Signore mi domandò di che temessi, visto che gli effetti non potevano essere che due: o che mormorassero di me o che lodassero lui, facendomi così intendere che quanti avessero creduto al suo intervento l’avrebbero glorificato, e quanti non vi credevano mi avrebbero condannato senza colpa; essendo entrambe le cose di vantaggio per me, non dovevo angustiarmi. La tentazione giunse a tal punto che volevo andarmene da questa città e portare la mia dote in un altro monastero in cui la clausura era molto più stretta che in quello dove mi trovavo in quel momento. Avevo sentito parlare del grande rigore a cui s’informava; apparteneva anche esso al mio Ordine ed era molto lontano, e proprio questo mi avrebbe dato serenità: stare dove nessuno mi conoscesse, ma il mio confessore non me lo permise mai.12. Altre volte mi era causa di grande tormento, e lo è tuttora, il vedere che si fa molta stima e si dice molto bene di me, specialmente se si tratta di persone autorevoli. Di questo ho sofferto e soffro molto, perché rivolgo subito lo sguardo alla vita di Cristo e dei santi e, vedendo che essi non conoscevano altra via se non quella del disprezzo e delle ingiurie, mi sembra di camminare alla rovescia. E ne provo tale smarrimento che non oso alzare la testa e non vorrei farmi vedere, cosa che invece non mi accade quando sono oggetto di persecuzioni, in cui, anche se il corpo ne soffre e da una parte io ne sia afflitta, l’anima è tanto padrona di sé che io non so come questo possa essere, ma è così: l’anima sembra allora che stia proprio nel suo regno e tenga tutto sotto i suoi piedi. La pena di cui parlo m’assaliva e mi durava a volte molti giorni; credevo che fosse virtù e, in un certo senso, umiltà, ma ora vedo chiaramente che era una tentazione. Me lo spiegò bene un padre domenicano, dottissimo. Al pensiero che queste grazie elargitemi dal Signore si sarebbero venute a sapere pubblicamente, il tormento era così grande da sconvolgermi l’anima. Giunsi a tali estremi che, ripensandoci, credo che sarei stata disposta, anziché sopportarlo, a essere seppellita viva. E così, quando cominciarono quei grandi raccoglimenti e rapimenti ai quali nemmeno in pubblico potevo resistere, rimanevo in seguito talmente piena di vergogna che non avrei voluto farmi più vedere da nessuno.
13. Trovandomi, una volta, in una grande pena per questo motivo, il Signore mi domandò di che temessi, visto che gli effetti non potevano essere che due: o che mormorassero di me o che lodassero lui, facendomi così intendere che quanti avessero creduto al suo intervento l’avrebbero glorificato, e quanti non vi credevano mi avrebbero condannato senza colpa; essendo entrambe le cose di vantaggio per me, non dovevo angustiarmi. La tentazione giunse a tal punto che volevo andarmene da questa città e portare la mia dote in un altro monastero in cui la clausura era molto più stretta che in quello dove mi trovavo in quel momento. Avevo sentito parlare del grande rigore a cui s’informava; apparteneva anche esso al mio Ordine ed era molto lontano, e proprio questo mi avrebbe dato serenità: stare dove nessuno mi conoscesse, ma il mio confessore non me lo permise mai.12. Altre volte mi era causa di grande tormento, e lo è tuttora, il vedere che si fa molta stima e si dice molto bene di me, specialmente se si tratta di persone autorevoli. Di questo ho sofferto e soffro molto, perché rivolgo subito lo sguardo alla vita di Cristo e dei santi e, vedendo che essi non conoscevano altra via se non quella del disprezzo e delle ingiurie, mi sembra di camminare alla rovescia. E ne provo tale smarrimento che non oso alzare la testa e non vorrei farmi vedere, cosa che invece non mi accade quando sono oggetto di persecuzioni, in cui, anche se il corpo ne soffre e da una parte io ne sia afflitta, l’anima è tanto padrona di sé che io non so come questo possa essere, ma è così: l’anima sembra allora che stia proprio nel suo regno e tenga tutto sotto i suoi piedi. La pena di cui parlo m’assaliva e mi durava a volte molti giorni; credevo che fosse virtù e, in un certo senso, umiltà, ma ora vedo chiaramente che era una tentazione. Me lo spiegò bene un padre domenicano, dottissimo. Al pensiero che queste grazie elargitemi dal Signore si sarebbero venute a sapere pubblicamente, il tormento era così grande da sconvolgermi l’anima. Giunsi a tali estremi che, ripensandoci, credo che sarei stata disposta, anziché sopportarlo, a essere seppellita viva. E così, quando cominciarono quei grandi raccoglimenti e rapimenti ai quali nemmeno in pubblico potevo resistere, rimanevo in seguito talmente piena di vergogna che non avrei voluto farmi più vedere da nessuno.
13. Trovandomi, una volta, in una grande pena per questo motivo, il Signore mi domandò di che temessi, visto che gli effetti non potevano essere che due: o che mormorassero di me o che lodassero lui, facendomi così intendere che quanti avessero creduto al suo intervento l’avrebbero glorificato, e quanti non vi credevano mi avrebbero condannato senza colpa; essendo entrambe le cose di vantaggio per me, non dovevo angustiarmi. La tentazione giunse a tal punto che volevo andarmene da questa città e portare la mia dote in un altro monastero in cui la clausura era molto più stretta che in quello dove mi trovavo in quel momento. Avevo sentito parlare del grande rigore a cui s’informava; apparteneva anche esso al mio Ordine ed era molto lontano, e proprio questo mi avrebbe dato serenità: stare dove nessuno mi conoscesse, ma il mio confessore non me lo permise mai.12. Altre volte mi era causa di grande tormento, e lo è tuttora, il vedere che si fa molta stima e si dice molto bene di me, specialmente se si tratta di persone autorevoli. Di questo ho sofferto e soffro molto, perché rivolgo subito lo sguardo alla vita di Cristo e dei santi e, vedendo che essi non conoscevano altra via se non quella del disprezzo e delle ingiurie, mi sembra di camminare alla rovescia. E ne provo tale smarrimento che non oso alzare la testa e non vorrei farmi vedere, cosa che invece non mi accade quando sono oggetto di persecuzioni, in cui, anche se il corpo ne soffre e da una parte io ne sia afflitta, l’anima è tanto padrona di sé che io non so come questo possa essere, ma è così: l’anima sembra allora che stia proprio nel suo regno e tenga tutto sotto i suoi piedi. La pena di cui parlo m’assaliva e mi durava a volte molti giorni; credevo che fosse virtù e, in un certo senso, umiltà, ma ora vedo chiaramente che era una tentazione. Me lo spiegò bene un padre domenicano, dottissimo. Al pensiero che queste grazie elargitemi dal Signore si sarebbero venute a sapere pubblicamente, il tormento era così grande da sconvolgermi l’anima. Giunsi a tali estremi che, ripensandoci, credo che sarei stata disposta, anziché sopportarlo, a essere seppellita viva. E così, quando cominciarono quei grandi raccoglimenti e rapimenti ai quali nemmeno in pubblico potevo resistere, rimanevo in seguito talmente piena di vergogna che non avrei voluto farmi più vedere da nessuno.
13. Trovandomi, una volta, in una grande pena per questo motivo, il Signore mi domandò di che temessi, visto che gli effetti non potevano essere che due: o che mormorassero di me o che lodassero lui, facendomi così intendere che quanti avessero creduto al suo intervento l’avrebbero glorificato, e quanti non vi credevano mi avrebbero condannato senza colpa; essendo entrambe le cose di vantaggio per me, non dovevo angustiarmi. La tentazione giunse a tal punto che volevo andarmene da questa città e portare la mia dote in un altro monastero in cui la clausura era molto più stretta che in quello dove mi trovavo in quel momento. Avevo sentito parlare del grande rigore a cui s’informava; apparteneva anche esso al mio Ordine ed era molto lontano, e proprio questo mi avrebbe dato serenità: stare dove nessuno mi conoscesse, ma il mio confessore non me lo permise mai.12. Altre volte mi era causa di grande tormento, e lo è tuttora, il vedere che si fa molta stima e si dice molto bene di me, specialmente se si tratta di persone autorevoli. Di questo ho sofferto e soffro molto, perché rivolgo subito lo sguardo alla vita di Cristo e dei santi e, vedendo che essi non conoscevano altra via se non quella del disprezzo e delle ingiurie, mi sembra di camminare alla rovescia. E ne provo tale smarrimento che non oso alzare la testa e non vorrei farmi vedere, cosa che invece non mi accade quando sono oggetto di persecuzioni, in cui, anche se il corpo ne soffre e da una parte io ne sia afflitta, l’anima è tanto padrona di sé che io non so come questo possa essere, ma è così: l’anima sembra allora che stia proprio nel suo regno e tenga tutto sotto i suoi piedi. La pena di cui parlo m’assaliva e mi durava a volte molti giorni; credevo che fosse virtù e, in un certo senso, umiltà, ma ora vedo chiaramente che era una tentazione. Me lo spiegò bene un padre domenicano, dottissimo. Al pensiero che queste grazie elargitemi dal Signore si sarebbero venute a sapere pubblicamente, il tormento era così grande da sconvolgermi l’anima. Giunsi a tali estremi che, ripensandoci, credo che sarei stata disposta, anziché sopportarlo, a essere seppellita viva. E così, quando cominciarono quei grandi raccoglimenti e rapimenti ai quali nemmeno in pubblico potevo resistere, rimanevo in seguito talmente piena di vergogna che non avrei voluto farmi più vedere da nessuno.
13. Trovandomi, una volta, in una grande pena per questo motivo, il Signore mi domandò di che temessi, visto che gli effetti non potevano essere che due: o che mormorassero di me o che lodassero lui, facendomi così intendere che quanti avessero creduto al suo intervento l’avrebbero glorificato, e quanti non vi credevano mi avrebbero condannato senza colpa; essendo entrambe le cose di vantaggio per me, non dovevo angustiarmi. La tentazione giunse a tal punto che volevo andarmene da questa città e portare la mia dote in un altro monastero in cui la clausura era molto più stretta che in quello dove mi trovavo in quel momento. Avevo sentito parlare del grande rigore a cui s’informava; apparteneva anche esso al mio Ordine ed era molto lontano, e proprio questo mi avrebbe dato serenità: stare dove nessuno mi conoscesse, ma il mio confessore non me lo permise mai.vvvvvvvvv
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:19
14. Questi timori m’inceppavano molto la libertà dello spirito, tanto che finii col capire che non erano dovuti a una vera umiltà, se mi causavano una così grande inquietudine. Il Signore m’insegnò questa verità: essere fermamente convinta che in me non v’era nulla di buono che non venisse da lui e che come non mi dispiaceva sentir lodare altre persone, anzi mi rallegrava e confortava molto il vedere in esse la manifestazione di Dio, così non doveva neppure dispiacermi che mostrasse in me le sue opere.
15. Caddi pure in un’altra esagerazione, cioè quella di supplicare Dio e fare preghiere speciali affinché, quando a qualcuno sembrasse di scorgere qualcosa di buono in me, Sua Maestà gli svelasse i miei peccati, in modo che vedesse come ricevessi quelle grazie senza alcun merito, cosa che io desidero sempre molto. Il mio confessore mi disse di non farlo, ma fino a poco tempo fa, se vedevo che una persona aveva di me una gran buona opinione, con rigiri o come potevo, le facevo conoscere i miei peccati e così mi sembrava di aver pace; ma anche di questo mi hanno fatto sentire scrupolo.
16. Ciò, infatti, a mio parere, non procedeva da vera umiltà, ma dal fatto che una tentazione ne suscitava molte altre. Mi sembrava di ingannare tutti quanti mentre, anche se è vero che s’inganna chi crede che in me ci sia qualcosa di buono, io non desideravo ingannare nessuno, né ho mai voluto farlo; è solo il Signore a permetterlo per qualche suo fine. Pertanto, anche con i confessori, se non lo avessi visto necessario, non avrei parlato di nessuna cosa che mi fosse causa di grande scrupolo. Ora capisco che tutti questi piccoli timori, pene e parvenze di umiltà erano dovuti a grande imperfezione e a scarsa mortificazione, perché a un’anima che si affida alle mani di Dio non importa che di lei si dica bene piuttosto che male, purché – beninteso – sia convinta, come il Signore le fa la grazia di capire, che di suo non ha nulla. Si fidi di chi le dà tali favori, che sa perché li rende pubblici, e si prepari alla persecuzione, inevitabile ai nostri tempi, quando il Signore vuol far conoscere che concede a un’anima simili grazie, perché allora ha mille occhi addosso, mentre addosso a mille anime di altra fatta non ce n’è neppure uno.
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:20
17. In verità, non v’è poca ragione di temere, pertanto il mio timore non era dovuto ad umiltà, ma a pusillanimità. Infatti, l’anima che Dio permette sia esposta agli occhi del mondo, deve prepararsi ad essere martire del mondo perché, anche se essa non vuol morire al mondo, il mondo stesso la ucciderà. Certo, è l’unica cosa buona che veda in esso, questa di non perdonare alcun difetto a coloro che praticano la virtù, finché, a forza di mormorazioni, non li induca a correggersi. Aggiungo che, se uno non è perfetto, gli occorre più coraggio per cercare di diventarlo che non per essere subito martire, perché la perfezione non si raggiunge in breve tempo, a meno che si tratti di persone a cui il Signore voglia concedere questa grazia per speciale privilegio. Il mondo, quando vede qualcuno avviato per tale strada, esige che sia perfetto e mille miglia lontano scopre in lui una mancanza, che forse è virtù, ma siccome in chi lo condanna la stessa cosa proverrebbe da vizio, giudica che sia così anche nell’altro. Egli non dovrebbe né mangiare né dormire né, come si dice, respirare; più è tenuto in considerazione, più si è indotti a dimenticare, sembra, che è ancora di carne e ossa. Per quanto perfetta abbia l’anima, vive ancora sulla terra, soggetto alle sue miserie, benché le tenga sempre più sotto i piedi. È perciò necessario, come dico, un gran coraggio perché la povera anima non ha ancora cominciato a camminare e già pretendono che voli; ancora non ha vinto le passioni e già esigono che in difficili occasioni resti così salda come leggono che avveniva ai santi confermati in grazia. È motivo di lode per il Signore quanto accade in questa circostanza, ed è anche motivo di gran pena per il nostro cuore perché moltissime anime che, poverine, non sanno farsi valere, tornano indietro. E così credo che sarebbe stato anche della mia se il Signore, nella sua infinita misericordia, non avesse fatto tutto lui: finché egli non è intervenuto con la sua bontà in mio favore, la signoria vostra avrà visto che non facevo altro se non cadere e rialzarmi.
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:20
18. Vorrei sapermi spiegare, perché credo che a questo riguardo molte anime s’ingannino, pretendendo di volare prima che il Signore dia loro le ali. Mi pare di aver già riportato questo paragone, ma qui calza a proposito. Ne parlerò perché vedo alcune anime molto afflitte a causa di ciò. Esse cominciano con gran desiderio e fervore, fermamente decise a progredire nella virtù; e alcune, per quanto appare all’esterno, lasciano tutto per lui, ma quando vedono in altre persone più avanzate in questo cammino maggiori doni di virtù concessi loro da Dio, tali che da soli non possiamo ottenerli, e leggono in tutti i libri di orazione e contemplazione che per salire a tale dignità si devono fare cose che esse non possono riuscire a fare, si scoraggiano; per esempio, non preoccuparsi che si dice male di noi, anzi esserne contenti, più di quando se ne dice bene; tenere in poco conto l’onore; staccarsi dai propri parenti, al punto da non voler trattarli, anzi averli a noia, se non sono persone di orazione, e molte altre cose di tal genere che, a mio parere, devono essere concesse da Dio, perché mi sembra che siano beni soprannaturali, o almeno contrari alla nostra naturale inclinazione. Tali anime, perciò, non si affliggano; sperino nel Signore, perché quanto ora è solo nei loro desideri, Sua Maestà farà sì che giungano ad averlo di fatto, purché continuino nell’orazione e facciano, da parte loro, tutto quello che possono. È molto necessario, per la debolezza di questa nostra natura, avere una gran fiducia, non perdersi d’animo e pensare che, sforzandoci, non mancheremo di uscirne con vittoria.
19. Siccome ho molta esperienza di questo, dirò qualcosa che serva di avvertimento alla signoria vostra. Non pensi mai d’aver già acquistato una virtù, anche se le sembra di sì, se non ne fa la prova con il suo contrario. Finché viviamo, dobbiamo esser molto guardinghi e non distrarci, perché subito ci si riattacca alla terra se Dio non ci ha fatto del tutto la grazia di conoscere quello che è il mondo. In questa vita non c’è nulla che sia esente da molti pericoli. Pochi anni fa, mi sembrava non solo di non essere attaccata ai miei parenti, ma persino di esserne annoiata, ed era certo così perché non potevo sopportare neppure la loro conversazione. A causa di un certo affare di grande importanza che ci fu proposto, dovetti stare con una mia sorella alla quale prima volevo molto bene, ma, benché sia migliore di me, non mi trattenevo a conversare con lei perché, essendo in uno stato diverso dal mio, cioè sposata, la conversazione non poteva sempre svolgersi su quello che io avrei voluto, perciò cercavo di stare sola quanto più potevo. Tuttavia, mi accorsi che le sue pene mi angustiavano, mi preoccupavano molto più che non quelle degli altri; così capii che non ero libera quanto pensavo e che avevo bisogno di fuggire le occasioni affinché questa virtù che il Signore aveva cominciato a darmi potesse crescere. E d’allora in poi, con la sua grazia, ho sempre cercato di farlo.
Coordin.
00venerdì 9 agosto 2013 17:22
20. Quando il Signore comincia a darci una virtù dobbiamo tenerla in gran conto e non esporci in nessun modo al pericolo di perderla, com’è per cose riguardanti l’onore e molte altre, perché la signoria vostra non creda che siamo completamente distaccati dal mondo tutti noi che pensiamo di esserlo: bisogna star sempre attenti a questo. Qualsiasi persona senta in sé un qualche attaccamento al punto d’onore, se vuole avanzare in virtù, mi creda, si getti dietro le spalle questo legame, perché è come una catena che nessuna lima può rompere, tranne che lo faccia Dio in virtù della nostra orazione e di tutti i nostri sforzi. Mi sembra proprio un impaccio tale su questo cammino che resto sgomenta al pensiero del danno che ne deriva. Vedo alcune sante persone le cui opere sono talmente grandi da stupire la gente. Ma, Dio mio, perché hanno ancora l’anima attaccata alla terra? Perché non è ancora arrivata al vertice della perfezione? Come si spiega? Che cosa è a trattenere chi ha fatto tanto per Dio? Ahimè, è che è schiava del punto d’onore! E il peggio consiste nel fatto che non vuole riconoscerlo d’averlo, e ciò perché a volte il demonio le fa credere di essere obbligati a osservarlo.
21. Mi credano, dunque, credano per amor del Signore a questa piccola formica che parla per volere di Dio: se non si tolgono questo verme d’addosso, anche se non rovinerà tutto l’albero, perché alcune virtù resteranno, esse, però, saranno completamente bacate. Non è un albero fiorente, ma un albero che non cresce e impedirà di crescere anche a quelli che gli stanno vicino; i frutti di buon esempio che dà sono guasti e di poca durata. Lo ripeto spesso: per piccolo che sia, il punto d’onore è come un errore di tono o di battuta nel suono dell’organo, che basta, esso solo, a rompere l’armonia di tutta la musica; è una cosa che nuoce molto all’anima, in qualsiasi stato, ma in quello dell’orazione è senz’altro una peste.
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