VI domenica dopo Pentecoste Rito Ambrosiano (Anno C) (30/06/2013)

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ulisseitaca
00sabato 29 giugno 2013 13:59
Vangelo: Es 24, 3-18; Eb 8, 6-13a: Gv 19, 30-35
Lettura del libro dell'Esodo 24, 3-18

Ci troviamo di fronte ad un testo complesso in cui si distinguono varie operazioni avvenute con Mosé, il popolo, i 70 anziani, il rito di comunione con Dio e infine la salita di Mosé sul Sinai.

Con il Signore si realizza un rito che sancisce un'Alleanza con il popolo, come si usava fare tra popoli per garantirsi delle alleanze. Mosè "scrive la legge" (qui v. 4 e in 34,27) ma anche Dio scrive la legge (24,12;31,18; 34,1).

Nel Medio Oriente il testo, scritto dai contraenti l'alleanza, è deposto nel tempio ai piedi della statua del Dio e poi letto periodicamente (per es. all'inizio dell'anno).

Dio si assoggetta a questi riti perché sono segni che si praticano e la gente li capisce. Così il Signore vuole garantire un'alleanza con il suo popolo attraverso il sacrificio di animali e il mutuo consenso del popolo intero e non solo di Mosè. Così metà del sangue è versato sull'altare (che rappresenta Dio): Dio in tal modo esprime il suo consenso. Un'altra metà è posta in catini. A questo punto Mosé "prese il libro dell'Alleanza e lo lesse alla presenza del popolo".

Un'alleanza si compie quando per tutti sono chiare le clausole e si sa quello che si accetta. E qui vengono lette le leggi che il popolo deve mantenere per stare ai patti e quindi meritare la fiducia del Signore e la sua protezione.

Il popolo accetta e formula la propria adesione. "Dissero: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto». Assunta l'alleanza perché c'è accordo con le regole-leggi di Dio, Mosè versa l'altra metà del sangue contenuta nei catini: Con tutta probabilità si asperge il popolo versando il sangue su dodici stele o colonnine, probabilmente disposte in cerchio (vv 4-8) che rappresentano le 12 tribù. La medesima vita, significata dal sangue, lega i due contraenti: Dio e il suo popolo diventano "consanguinei". Il rito del sangue, che conclude il patto, insieme al banchetto di comunione, esprime adesione, comunicazione, unità con Dio e non certo magia: unità e intreccio inscindibile tra rito e parola. Esso crea vincoli, ripara, difende, ristabilisce. Nella fedeltà il sangue unisce, lo stesso sangue garantisce. Nel tradimento il sangue è morte, è minaccia, grida la maledizione (vedi l'episodio della morte di Abele da parte di Caino: "La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo" (Gen 4,10). Anche oggi, se nel bene è vita (trasfusione), nel male il sangue è documento di morte: guerra di sangue, sangue sulle strade, scempio.

Si riprende il racconto di Mosè sul Sinai: v. 9: Mosè sale con Aronne, Nadab, Abiu e i settanta anziani d'Israele. Essi mangiano il loro pasto e restano in vita. Anzi, in tal caso, viene chiarita e legittimata la loro autorità. Poi, da solo, Mosé sale sulla montagna ( vv 12-18), dove il Signore gli consegna le tavole di pietra, legge e comandamenti. Agli occhi del popolo appaiono i segni della presenza di Dio: la gloria e la nube. Quando sarà costruito il santuario, la gloria e la nube non abbandoneranno più questo popolo (Es 40,34- 38).

Lettera agli Ebrei 8, 6-13a

Il cap 8 inizia una parte centrale della riflessione di questa lettera: "Il punto capitale delle cose che stiamo dicendo è questo: noi abbiamo un sommo sacerdote così grande che si è assiso alla destra del trono della Maestà nei cieli, ministro del santuario e della vera tenda, che il Signore, e non un uomo, ha costruito" (vv1-2).

In sottofondo c'è il testo del rito della Prima Alleanza, celebrata nel deserto tra Dio e il suo popolo, con il rito del sangue versato sull'altare e sul popolo.

Gesù sostituisce il rito con la propria offerta di amore e di sangue. Egli è stato glorificato e perciò inaugura un nuovo ed eterno sacerdozio, superiore per la sua efficacia al sacerdozio levitico del popolo d'Israele.

Tutto il testo, che abbiamo letto, è una lunga citazione del profeta Geremia (31, 31-34) in cui il profeta intravede una nuova Alleanza.
Il sacerdozio è stato istituito, nel Primo Testamento, per offrire a Dio i sacrifici per l'espiazione dei peccati (5,1). E' un popolo di figli che Dio vuole condurre alla salvezza, ma è anche popolo di peccatori e quindi il capo e la guida alla salvezza deve essere un sacerdote per espiare i peccati del popolo (2,17).

Gesù è sacerdote non nella linea di Aronne, il sacerdozio ebraico, ma nella linea del sacerdozio del re di Salem, Melchisedek, come ci dice in 5,5-6, riprendendo il salmo 110,4. Il sacerdozio di Gesù non ha origine nella eternità, ma Il Figlio di Dio è divenuto sacerdote per vocazione divina, quando si è incarnato, abilitato a offrire se stesso in sacrificio. (10,5-10). La mediazione sacerdotale di Gesù purifica le coscienze delle persone, non attraverso la ripetizione di riti e di sacrifici esteriori, ma attraverso la sua offerta, unica e personale, per la santificazione di ciascuno dei credenti.

Esiste una coincidenza tra l'offerente e l'offerta: Gesù, nello stesso tempo, è colui che compie la nuova alleanza (offerente), ed è colui che si pone come vittima (offerta) pura, consapevole, cosciente, senza macchia, nella piena scelta di amore di Dio e del suo popolo.

L'antica Alleanza era regolata da leggi che il popolo d'Israele era tenuto ad osservare, ma il popolo ha rifiutato le clausole fondamentali del trattato, che pure aveva accettato, scegliendosi altri dei e quindi accettando l'idolatria: essa comporta stili e azioni perverse rispetto alla legge che Dio aveva dato al popolo attraverso Mosè.

Geremia introduce l'attesa di una nuova Alleanza. In essa sorgono una conoscenza intima e diretta della presenza di Dio, una nuova energia, una riconciliazione con il Signore per aderire ai suoi comandi con fedeltà. E' Alleanza nuova, o forse nuova creazione.

Si può parlare, allora, di realtà nuove e rapporti nuovi? Se abbiamo accolto Gesù e celebriamo ogni domenica la "nuova ed eterna Alleanza", accettiamo di essere e di operare come speranza del mondo?

Lettura del Vangelo secondo Giovanni 19, 30-35

Giovanni, e in particolare in questi testi della passione, si preoccupa di rincorrere predizioni e profezie perché desidera garantire l'assoluta identità di Gesù come l'inviato, promesso del Padre. E Gesù ha compiuto fedelmente il progetto che si è proposto nei riguardi del Padre: "Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l'opera che tu mi hai dato da fare" (Gv 17,4). Questa è la consapevolezza che Gesù esprime al Padre nella preghiera dell'ultima cena, ad alta voce, avendo a testimoni i discepoli. Ora, sulla croce, Gesù ricorda che "tutto si è compiuto" fino in fondo. Persino la sete spaventosa del crocifisso fa ricordare una profezia: "quando avevo sete mi hanno dato l'aceto" si dice nel Sal. 69,22.

E' la parasceve: giorno e ora in cui i sacerdoti stanno immolando gli agnelli pasquali.

E Gesù è il vero e unico agnello che, immolato, offre la vita per il suo popolo poiché lo salva e lo ama, purificandolo.

Gesù "consegnò lo spirito", pronto per essere trasmesso alla sua Chiesa a Pentecoste, ricco di tutta l'accoglienza del Padre e dell'umanità, forte di tutta la comunione del Dio Trinitario.

Giovanni sta ricordando alcune coincidenze e alcuni piccoli episodi, ma è consapevole di rammentare grandi verità, preoccupato di ricordare che la sua testimonianza è attendibile (v 35).

Gesù è il vero agnello di Dio, ricordato da Giovanni Battista (Gv 1,29), il vero agnello che libera dalla schiavitù d'Egitto (Es 12,46). Ma è anche più dell'agnello perché è il "servo sofferente", secondo la profezia di Isaia (53): la parola "servo" e la parola "agnello" sono identiche in ebraico e quindi Giovanni gioca sulle due immagini, sia ricordando che le ossa del crocifisso non sono state spezzate (come per l'agnello pasquale) e sia che il servitore, con le sue sofferenze, espia il peccato del mondo (Sal 34,21).

Attraverso la ferita del costato esce l'ultima goccia di sangue insieme all'acqua. Il sangue rappresenta l'offerta della vita di Dio (sangue), completamente, fino all'ultima goccia, e l'acqua è l'inizio della vita nuova del credente, per gli esegeti anche il dono dello Spirito Santo che santifica nel battesimo.

Il richiamo all'acqua ci riporta al messaggio di Gesù alla samaritana: "L'acqua che io darò diventerà sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna (Gv 4,14). E ci ricorda anche il rito dell'acqua nella "festa delle capanne" in cui Gesù ad alta voce, in piedi urla: "Chi ha sete venga a me,... fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno" (Gv 7, 37-38).

Un ultimo sguardo, prima che il corpo di Gesù sia deposto e sepolto, rimanda ad un richiamo profetico: "Guarderanno a colui che hanno trafitto" (Gv19,37) e che fa riferimento a Zac12,10. E' una misteriosa profezia pronunciata verso la fine del IV secolo a.C. che si collega alla morte di un uomo giusto, trafitto (e di questa persona non si sa altro). Ma, subito dopo, il Signore ha suscitato un vivo dolore nel popolo: tutti si pentono e scoppiano in pianto dirotto, mentre guardano colui che hanno ucciso. (Zac 12,10-11).

Il cadavere di Gesù è stato tolto. Sepolto, risorgerà. Risorto, entrerà nella gloria del Padre. E Giovanni è sicuro che a questo crocifisso tutti gli uomini guarderanno come al loro salvatore. E noi siamo chiamati a continuare la Parola, ricchi dello Spirito, la sua Presenza ricchi della sua forza, i suoi doni sacramentali che continueremo a celebrare, sapendo che Egli opera continuamente in noi e con noi.

Noi siamo la sua Chiesa, il suo popolo disarmato, la sua novità, per quanto povera perché nostra e molto ricca perché in noi c'è la sua vita.
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