SCRITTI PATRISTICI SIGNIFICATIVI

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AmarDio
00sabato 23 gennaio 2010 00:27

L`agnello figura e l`Agnello vero


I discepoli si trovarono tra l`agnello e l`agnello. Mangiarono l`agnello pasquale e l`agnello vero.

- Responsorio:

Gloria a te, o re Messia, che salvasti la santa Chiesa col tuo sangue.

Gli apostoli si trovarono tra la figura e la verità. Videro la figura portata via e la verità ch`era arrivata.

Beati loro ch`ebbero la fine della figura e l`inizio della verità.

Mangiò il Signore la Pasqua coi suoi discepoli; col pane che spezzò abolí gli azzimi.

Il suo pane che vivifica tutto, vivificò i popoli; prende il posto degli azzimi, che non davano la vita.

La Chiesa ci ha dato un pane vivo al posto degli azzimi, che aveva dato l`Egitto.

Maria ci ha dato il pane della vita al posto del pane di stanchezza, che ci aveva dato Eva.

Abele fu agnello e offrí l`agnello. Chi ha mai visto un agnello che offre un agnello?

L`Agnello di Dio mangiò l`agnello. Chi ha mai visto un agnello che mangia un agnello?

L`agnello della verità mangiò l`agnello della Pasqua. La figura fu mangiata dalla verità.

Tutte le figure stavano nel Santo dei Santi in attesa di colui che le avvera tutte.

Le figure videro l`agnello della verità, aprirono le porte del tempio e gli andarono incontro.

Tutte le figure s`inserirono e rimasero in lui, e tutti e dappertutto parlarono di lui.

Poiché in lui si sono avverate le figure e i misteri; vi ha posto sopra il suo sigillo lui, che compie tutto.

Quando il lupo s`allontanò dal gregge dei dodici e uscí dal cenacolo, si alzò l`agnello della verità e divise il suo corpo tra il gregge, che aveva mangiato l`agnello pasquale. Ivi fu sigillata la figura tramandata attraverso le generazioni dall`Egitto al cenacolo.


(Efrem, Hymn., 6 e 14)

Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 22:00
Esiste una ricchezza che semina la morte ovunque regna: liberatevene e sarete salvati!
Purificate la vostra anima, rendetela povera per poter ascoltare la chiamata del Salvatore che vi dice: "Vieni e seguimi!". È la via nella quale cammina chi ha il cuore puro: la grazia di Dio non penetra in un'anima ingombra e straziata da una moltitudine di possessioni. Colui che considera la sua fortuna, il suo oro e il suo argento, le sue case, come doni di Dio, dimostra a Dio la sua riconoscenza andando in aiuto dei poveri con i suoi beni. Egli sa di possedere più per i suoi fratelli che per se stesso; resta padrone delle sue ricchezze invece di divenire schiavo; non le chiude nella sua anima più di quanto non chiude la sua vita in esse, ma porta avanti senza stancarsi un'opera tutta divina. E se un giorno la sua fortuna sparisce, egli accetta la sua rovina con cuore libero. Dio proclama beato quest'uomo, egli lo chiama "povero nello spirito", erede sicuro del regno dei cieli...
Esiste, al contrario, chi ha accumulato la sua ricchezza nel proprio cuore al posto dello Spirito Santo; egli serba per sé le sue terre, accumula senza fine le sue fortune, non si preoccupa se non di avere ogni giorno di più; non alza mai gli occhi verso il cielo; rimane impacciato nelle cose temporali; poiché non è che polvere, e ritornerà polvere. Come può provare desiderio per il regno colui che, al posto del cuore, porta un campo o il denaro, colui che la morte sorprenderà fatalmente nel bel mezzo delle sue passioni? Poiché dove è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.

SAN CLEMENTE DI ALESSANDRIA
Coordin.
00domenica 13 giugno 2010 20:52

"Dunque la tradizione degli apostoli manifestata in tutto quanto il mondo, possono vederla in ogni Chiesa tutti coloro che vogliono riscontrare la verità, così possiamo enumerare i vescovi stabiliti dagli apostoli nelle Chiese e i loro successori fino a noi. Ora essi non hanno insegnato né conosciuto misteri segreti, che avrebbero insegnato a parte e di nascosto ai perfetti, ma certamente prima di tutto li avrebbero trasmessi a coloro ai quali affidavano le Chiese stesse. Volevano infatti che fossero assolutamente perfetti e irreprensibili (cf. 1 Tm 3,2) in tutto coloro che lasciavano come successori, trasmettendo loro la propria missione di insegnamento. Se essi avessero capito correttamente, ne avrebbero ricavato grande profitto; se invece fossero falliti, ne avrebbero ricavato un danno grandissimo. Ma poiché sarebbe troppo lungo in quest'opera enumerare le successioni di tutte le Chiese, prenderemo la Chiesa grandissima e antichissima e a tutti nota, la Chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosi apostoli Pietro e Paolo. Mostrando la tradizione ricevuta dagli apostoli e la fede (cf. Rm 1,8) annunciata agli uomini che giunge fino a noi attraverso le successioni dei vescovi… Infatti con questa Chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve necessariamente essere d'accordo ogni Chiesa, cioè i fedeli che vengono da ogni parte — essa nella quale per tutti gli uomini è sempre stata conservata la tradizione che viene dagli apostoli.

Dunque, dopo aver fondato ed edificato la Chiesa, i beati apostoli affidarono a Lino il servizio dell'episcopato; di quel Lino Paolo fa menzione nelle lettere a Timoteo (cf. 2Tm 4, 21). A lui succede Anacleto. Dopo di lui, al terzo posto a partire dagli apostoli, riceve in sorte l'episcopato Clemente, il quale aveva visto gli apostoli stessi e si era incontrato con loro ed aveva ancora nelle orecchie la predicazione e davanti agli occhi la loro tradizione. E non era il solo, perché allora restavano ancora molti che erano stati ammaestrati dagli apostoli. Dunque, sotto questo Clemente, essendo sorto un contrasto non piccolo tra i fratelli di Corinto, la Chiesa di Roma inviò ai Corinzi un'importantissima lettera per riconciliarli nella pace, rinnovare la loro fede e annunciare la tradizione che aveva appena ricevuto dagli apostoli…

A questo Clemente succede Evaristo e, ad Evaristo, Alessandro; poi, come sesto a partire dagli apostoli, fu stabilito Sisto; dopo di lui Telesforo, che dette la sua testimonianza gloriosamente; poi Igino, quindi Pio e dopo di lui Aniceto. Dopo che ad Aniceto fu succeduto Sotere, ora, al dodicesimo posto a partire dagli apostoli, tiene la funzione dell'episcopato Eleutero. Con quest'ordine e queste successioni è giunta fino a noi la tradizione che nella Chiesa a partire dagli apostoli è la predicazione della verità.

E questa è la prova più completa che una e medesima è la fede vivificante degli apostoli, che è stata conservata e trasmessa nella verità", Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses 3, 3, 1-3.

Coordin.
00venerdì 9 luglio 2010 23:52
La successione apostolica è la prova dell`ortodossia
(La prescrizione contro gli eretici, 32: di Tertulliano)

Può essere che ci siano eresie, le quali osino rifarsi all`età apostolica, sì da parer insegnate dagli apostoli per essere nate sotto di loro. Si può replicare ad esse: mettano fuori dunque le carte di nascita delle loro Chiese; sciorinino i cataloghi dei loro vescovi, mostranti sin dal principio la loro successione, sì da far vedere che quegli che fu il primo vescovo ricevette l`investitura e fu preceduto da uno degli apostoli o almeno da un uomo apostolico, che con gli apostoli avesse avuto costanti rapporti. Questo è il modo col quale le Chiese apostoliche esibiscono i propri titoli: così la Chiesa di Smirne mostra che Policarpo fu collocato su quella sede da Giovanni; così quella di Roma fa vedere che Clemente vi fu ordinato da Pietro; e così pure le altre esibiscono i vescovi che, costituiti nell`episcopato dagli apostoli, sono per loro i veicoli della semente apostolica.
Può essere che gli eretici architettino una tradizione simile: che cosa non si fanno lecito, dopo aver bestemmiato Dio? Ma anche se costruissero una tradizione simile, non farebbero un passo innanzi, ché basterà sempre mettere a fronte alla dottrina loro quella degli apostoli, per mostrare come la loro sia diversa e contraria, e quindi non derivi da un apostolo, e neppure da un maestro apostolico. Difatti come gli apostoli non insegnarono dottrine diverse tra loro, così gli uomini apostolici non divulgarono dottrine contrarie agli apostoli, a meno d`ammettere che essi una cosa avessero appresa e un`altra predicata.
A questa stregua, hanno la loro confutazione anche in quelle Chiese che, se pur non vantano per fondatore un apostolo o un uomo apostolico, per essere di molto posteriori - e tuttodì se ne fondano altre -, tuttavia in quanto concordano in una medesima fede si possono considerare apostoliche non meno delle antiche, a cui sono fatte consanguinee in forza della dottrina.
Sono questi i due caratteri delle nostre Chiese; e tutte le eresie sono sfidate, a questa stregua, a provare come possano sostenere delle pretese d`origine apostolica. Ma tale origine non hanno, né possono mostrare d`essere ciò che non sono: e perciò non sono accolte nella pace e nella comunione delle Chiese, le quali siano in qualunque modo apostoliche: e non possono essere apostoliche appunto per la diversità della fede.
AmarDio
00domenica 18 luglio 2010 15:42
S.Ambrogio. La Penitenza, Capitolo 7

52.Versiamo, dunque, lacrime finché c’è tempo, perché ci sia assicurata l’eterna felicità. Temiamo il Signore, sollecitiamone la pietà con il confessare le nostre colpe. Poniamo rimedio ai nostri errori, riparo ai falli, affinché non si dica anche di noi: “Ohimè o anima, l’uomo pio è scomparso dalla terra, non c’è tra gli uomini chi è disposto ad emendarsi”.
53.Perché provi vergogna di confessare le tue colpe innanzi al Signore? Egli dice: “Confessa le tue infamie, affinché sii giustificato”. Agli occhi di chi è tuttora nella colpa è fatto balenare il premio della giustificazione. Infatti, chi ammette spontaneamente le colpe è giustificato. “Il giusto nel proemio del suo discorso accusa se stesso”. Il Signore sa tutto, vuole, però, sentire la tua voce, non già per punire ma per perdonare. Non vuole che il diavolo si faccia gioco di te, ti accusi di tenere celate le colpe. Previeni il tuo accusatore. Se ti accusi da te stesso, non dovrai temere alcun accusatore. Se ti denunzierai da te medesimo, morto che tu sia, risusciterai.
54.Cristo verrà al tuo sepolcro. Se vedrà che Marta, la solerte massaia, versa lacrime per te e così Maria, la quale piamente, come la santa Chiesa, ascoltava la parola di Dio e “scelse per sé la parte migliore”, proverà pietà. Vedendo che moltissimi piangono la tua morte dirà: “Dove lo avete deposto?”, cioè, in quale ordine di peccatori, in quale grado di penitenti?. Lasciatemi vedere chi piangete, perché egli in persona mi commuova con le sue lacrime. Che io veda se è definitivamente morto al peccato di cui si invoca il perdono.
55.La gente gli dice: “Vieni e vedi”. Che significa “vieni”? Venga la remissione dei peccati, la vita dei morti, la loro resurrezione, “venga il tuo regno” a questo peccatore.
56.Gesù, dunque, verrà e comanderà che sia tolta la pietra, che il reo si è posta da se stesso sulle spalle. Cristo avrebbe potuto agevolmente smuovere il sasso con una parola di comando. La natura insensibile non è davvero sorda ai suoi ordini. Mediante l’occulta potenza di un miracolo avrebbe potuto facilmente spostare la pietra sepolcrale. Alla sua morte, infatti, moltissime tombe di morti si spalancarono, d’un tratto essendosi smosse le pietre. Ma ordinò agli uomini di togliere il sasso, affinché, nella realtà, da una parte, gli increduli credessero in ciò che era innanzi ai loro occhi e vedessero il morto risuscitare, nella tipologia, d’altra parte, perché intendessero che ci elargiva la grazia di liberarci dal peso dei peccati, i macigni, per così dire, che schiacciano i rei. E’ compito nostro smuovere i pesi, è ufficio di Cristo ridonare la vita, fare uscire dai sepolcri le persone sciolte dai lacci della colpa.
57.Vedendo il grave peso che opprime il peccatore, Gesù versa lacrime. Non permette che la Chiesa pianga da sola. Ha pietà della prediletta e dice a chi è morto: “Vieni fuori”, cioè, tu che sei immerso nel buio della coscienza, nella sozzura dei misfatti, vieni fuori come da una prigione di delinquenti, metti a nudo la tua colpa per ottenere giustificazione. Infatti, “ci si confessa con la bocca in vista della salvezza”.
Coordin.
00venerdì 20 agosto 2010 22:41

Dalla TEOLOGIA MISTICA  di Pseudo Dionigi Aeropagita

II. Bada a che nessuno dei non iniziati ascolti: mi riferisco a coloro che rimangono prigionieri delle realtà, che pensano che nulla esista in modo sovraessenziale al disopra degli esseri, che ritengono di conoscere con la loro scienza colui che «ha fatto della tenebra il suo nascondiglio». Se le divine iniziazioni vanno al di là delle capacità di costoro, che cosa si dovrebbe dire a proposito di coloro che sono ancor meno iniziati, che definiscono la causa trascendente di tutto anche per mezzo degli esseri più bassi, e che dicono che essa non è affatto superiore alle empie e svariate raffigurazioni forgiate da loro? Ad essa, in quanto causa di tutto, vanno applicate tutte le affermazioni positive relative agli esseri; < nello stesso tempo > però, in quanto trascende tutto, è più giusto negare a proposito di essa tutti questi attributi. Non si deve credere che le negazioni siano contrapposte alle affermazioni: la causa universale, essendo al disopra di ogni negazione ed affermazione, è anche al disopra delle privazioni.

III. Per questo dunque il divino Bartolomeo dice che la teologia è < nello stesso tempo > diffusa e brevissima, e che il Vangelo è vasto e grande e nello stesso tempo conciso. A mio parere, questo è stato il suo pensiero soprannaturale: la buona causa universale è insieme di molte parole, di poche parole e addirittura muta, giacché ad essa non si possono applicare nessun discorso e nessun pensiero: essa trascende infatti in maniera sovraessenziale tutte le cose, e si rivela senza veli e veracemente solo a coloro che, dopo avere attraversato tutte le cose impure e pure, dopo essersi lasciata dietro ogni ascesa che porta alle sante vette, e dopo avere abbandonato tutte le luci, tutti i suoni e tutte le parole celesti, penetrano nella tenebra dove veramente si trova, come affermano gli oracoli, colui che è al di sopra di tutto. Non senza ragione il divino Mosè riceve innanzitutto l’ordine di purificarsi e poi quello di separarsi da coloro che non sono puri; dopo essersi del tutto purificato, sente il molteplice suono delle trombe, e vede molte luci, irradianti raggi puri e diffusi; quindi si separa dalla moltitudine, ed assieme ai sacerdoti scelti procede verso la sommità della divina ascesa. Ma anche a questo punto non si trova assieme a Dio: ciò che contempla, non è Lui (Egli è incontemplabile), ma il luogo in cui si trova. A mio avviso, tutto questo significa che le cose più divine e più alte tra quelle visibili e pensabili sono soltanto parole che suggeriscono < alla mente > le realtà che rimangono sottoposte a colui che tutto trascende e che rivelano la sua presenza superiore ad ogni, pensiero, situata al disopra delle vette intellegibili dei i suoi luoghi più santi. Allora egli si distacca da ciò che è visibile e da coloro che vedono, e penetra nella tenebra veramente mistica dell’ignoranza. Rimanendo in essa, chiude ogni percezione conoscitiva ed entra in colui che è del tutto intoccabile ed invisibile: < allora > appartiene veramente a colui che tutto trascende, senza essere più di nessuno, né di se stesso né di altri; fatta cessare ogni conoscenza, si unisce al principio del tutto sconosciuto secondo il meglio < delle sue capacità >, e proprio perché non conosce più nulla, conosce al disopra dell’intelligenza.

Coordin.
00martedì 21 dicembre 2010 14:43

Dal trattato Contro le eresie di sant’Ireneo, vescovo

 Dio e' sceso nella carne

Dio e tutte le opere di Dio sono gloria dell'uomo; e l'uomo è la sede in cui si raccoglie tutta la sapienza e la potenza di Dio. Come il medico dà prova della sua bravura nei malati, così anche Dio manifesta se stesso negli uomini. Perciò Paolo afferma: «Dio ha chiuso tutte le cose nelle tenebre dell'incredulità per usare a tutti misericordia» (cfr. Rm 11, 32). Non allude alle potenze spirituali, ma all'uomo che si mise di fronte a Dio in stato di disobbedienza e perdette la immortalità. In seguito però ottenne la misericordia di Dio per i meriti e il tramite del Figlio suo. Ebbe così in lui la dignità di figlio adottivo.

Se l'uomo riceverà senza vana superbia l'autentica gloria che viene da ciò che è stato creato e da colui che lo ha creato cioè da Dio, l'onnipotente, l'artefice di tutte le cose che esistono, e se resterà nell'amore di lui in rispettosa sottomissione e in continuo rendimento di grazie, riceverà ancora gloria maggiore e progredirà sempre più in questa via fino a divenire simile a colui che per salvarlo è morto.

Il Figlio stesso di Dio infatti scese «in una carne simile a quella del peccato» (Rm 8, 3) per condannare il peccato, e, dopo averlo condannato, escluderlo completamente dal genere umano. Chiamò l'uomo alla somiglianza con se stesso, lo fece imitatore di Dio, lo avviò sulla strada indicata dal Padre perché potesse vedere Dio e gli diede in dono il Padre.

Il Verbo di Dio pose la sua abitazione tra gli uomini e si fece Figlio dell'uomo, per abituare l'uomo a comprendere Dio e per abituare Dio a mettere la sua dimora nell'uomo secondo la volontà del Padre. Per questo Dio stesso ci ha dato come «segno» della nostra salvezza colui che, nato dalla Vergine, è l'Emmanuele: poiché lo stesso Signore era colui che salvava coloro che di per se stessi non avevano nessuna possibilità di salvezza.

Isaia stesso aveva predetto questo: Irrobustitevi, mani fiacche e ginocchia vacillanti, coraggio, smarriti di cuore, confortatevi, non temete; ecco il nostro Dio, opera la giustizia, darà la ricompensa. Egli stesso verrà e sarà la nostra salvezza (cfr. Is 35, 4).

Questo indica che non da noi, ma da Dio, che ci aiuta, abbiamo la salvezza.

 

Credente
00martedì 5 aprile 2011 21:24
I FIGLI DELLA CUPIDIGIA (Dalle Divine Istituzioni di Lattanzio)

Tutti i guai dell'umanità sono nati a causa della cupidigia, e questa è nata dal disprezzo nei confronti del vero Dio. È avvenu­to che non soltanto non si è permesso ai poveri di godere del superfluo, ma si è giunti perfino a derubarli, cercan­do egoisticamente di trar profitto da qualunque parte. Così, quegli stessi beni che Dio mise a disposizione comune sono diventati proprietà di pochi.

Per ridurre tutti in proprio potere, si è cominciato dapprima a sottrarre le cose necessarie per vivere, poi a monopolizzarle accuratamente per proprio uso e consumo esclusivo. Si perse ogni sentimento di altruismo, si arrivò a dissipare tutto ciò che era stato accumulato con l'avidità e con l'avarizia. Le stesse leggi che preten­devano richiamarsi alla giustizia furono elaborate in termini quanto mai crudeli e iniqui, per garantire ruberie e ingordigie contro le resi­stenze della moltitudine.

Dio, all'approssimarsi degli ultimi tempi, ha misericordiosamente invia­to il proprio araldo (Gesù) per ripor­tare in terra l'antica età dell'oro e la giustizia, e per alleviare il genere umano da tanti e cosi gravi errori. Ritornò sì la bellezza di quella età, fu sì restituita alla terra, ma la giustizia è tornata a pochi: essa non è nient'altro che il culto pio e devoto di un Dio unico.
Chi pensa che non vi può essere nessun uomo giusto e religioso ha la giustizia davanti agli occhi, ma non la vuole guardare veramente. Perché la cantano nei loro versi, la descrivo­no nei loro discorsi e ne lamentano la mancanza, mentre sarebbe cosi facile essere virtuosi, volendolo? Perché la giustizia ve la raffigurate così astratta e pretendete che vi cada quasi dal cielo come se fosse un simulacro? Eccola, essa è davanti a voi: se pote­te, ricevetela e ponetela nei vostri cuori. Non è affatto difficile, ed è sempre attuale. Siate giusti, siate onesti: la virtù che andate cercando, spontaneamente vi seguirà. Togliete dal cuore ogni pensiero malvagio e l'età dell'oro tornerà. Ciò avverrà soltanto se comincerete ad adorare il vero Dio. Ma, se si desidera la giusti­zia e nello stesso tempo perdura l'idolatria, niente potrà far si che la giustizia torni veramente fra gli uomini.

La giustizia richiede che si alimen­ti il sentimento della bontà in colui che si allontana dalla malizia del pec­cato. La dimora della giustizia, infat­ti, non è costituita dalla pietra o dal cemento, ma dall'uomo stesso, che porta in sé l'immagine di Dio; e que­sto tempio non è ornato di oro o di doni preziosi ma transitori, bensì con i doni eterni della virtù.
Bisogna imparare dunque (se rima­ne ancora un po' di buon senso) che gli uomini sono ingiusti perché sono idolatri, e che la situazione del nostro mondo diventa ogni giorno più pre­caria perché viene trascurato Dio,
// denaro: fonte e sintesi dell'idolatria di sempre, creatore e conservatore del mondo, perché ci si è abbandonati a culti empi e illeciti e infine perché vengo­no perseguitati anche i pochi adorato­ri del Dio vero.
Se tutti adorassero soltanto Dio, non vi sarebbero ne discordie ne guerre, appunto perché gli uomini si convincerebbero di essere tutti figli di quell'unico Dio. Uniti fra loro da questa divina parentela sacra e invio­labile, consapevoli dei castighi che Dio, conoscitore dei pensieri e dei delitti più segreti, riserva a coloro che uccidono le anime, gli uomini non sarebbero più nemici degli altri uomini. Non vi sarebbero neppure più rapine, se gli uomini ascoltassero il comandamento di Dio e imparasse­ro a essere contenti di poco e se imparassero a preferire, alle cose incerte e periture, quelle sicure ed eterne.

Tante miserie non esisterebbero sopra la terra, se tutti concordemente osservassero la legge di Dio. La con­dizione del genere umano sarebbe veramente felice e beata, se in tutto il mondo trovassero dimora la mansue­tudine, la pietà, l'innocenza, la giusti­zia, la temperanza, la lealtà.
Per governare l'umanità non c'è affatto bisogno di leggi numerose e diverse: per ottenere una vita perfetta e innocente, basta la legge di Dio. Se gli uomini sono malvagi, è perché sono immersi nell'ignoranza della rettitudine e del bene. Se il genere umano è oppresso dai malanni, è per­ché si è introdotto in mezzo ad esso il culto idolatrico, basato sull'ingiusti­zia e sull'empietà. Non potevano e non potranno coltivare la pietà coloro che si ribellano a Dio e lo rinnegano come unico padre di tutti.
Coordin.
00mercoledì 19 marzo 2014 07:54
SOLENNITA` DI SAN GIUSEPPE, SPOSO DELLA B

SOLENNITA` DI SAN GIUSEPPE, SPOSO DELLA B.V. MARIA


(19 marzo)


San Giuseppe, l`uomo giusto, come lo chiamerà la Sacra Scrittura, è come quel servo fedele e prudente, al quale il signore affida i suoi beni. Dio ha affidato a Giuseppe «gli inizi della nostra redenzione»: Maria e Gesú. Per la sua obbedienza, disponibilità in tutto, il restare nascosto e il lavoro quotidiano, san Giuseppe diventò un modello per ciascun credente. Colui che crede deve accogliere senza paura la chiamata di Dio, deve perseguirla anche quando non capisce tutto, nell`umiltà del cuore deve leggere i segni della volontà di Dio. San Giuseppe è il patrono della Chiesa, poiché la Chiesa è chiamata a portare agli uomini la salvezza, a servire a tempo pieno il suo Signore.


 


Annuncia, o Giuseppe, al tuo protoparente David


le meraviglie:


tu che vedesti partorire la Vergine,


tu che adorasti insieme ai magi,


tu che glorificasti con i pastori,


tu che fosti istruito dall`angelo.


Prega Cristo Dio perché salvi le nostre anime.


 


(Liturgia Bizantina, EE, n. 3034)


 


1. Giuseppe, il giusto


Giuseppe, suo sposo, che era giusto... (Mt 1,19). L`evangelista, dopo aver affermato che questa nascita derivava esclusivamente dallo Spirito Santo, senza nessun intervento naturale, conferma la sua asserzione anche in un altro modo. E ci dà una prova per impedire che qualcuno nutra dei dubbi, in quanto prima di allora non si era mai udito né si era mai visto niente di simile. Per prevenire il sospetto che egli, come discepolo di Gesú, avesse inventato questa prodigiosa storia della nascita verginale allo scopo di far cosa grata al suo maestro, fa intervenire Giuseppe, il quale prova la verità di questo avvenimento con il dolore che esso gli ha provocato. E`, insomma, come se l`evangelista dicesse: se non volete credere a me, se la mia testimonianza vi sembra sospetta, credete almeno allo sposo di questa vergine. Egli, infatti, dice: «Giuseppe, suo sposo, che era giusto...». La qualifica di giusto, in questa circostanza, significa uomo che ha tutte le virtù. Con «giustizia» si intende talvolta una sola virtù in particolare, come quando si dice: colui che non è avaro è giusto. Ma giustizia significa anche la generalità di tutte le virtù: e, in questo senso soprattutto, la Scrittura usa il termine «giustizia», come quando ad esempio dice: «uomo giusto, verace» (Gb 1,1), oppure: «tutti e due erano giusti» (Lc 1,6)...


Giuseppe, dunque, essendo giusto, cioè essendo buono e caritatevole, decise di lasciarla segretamente (Mt 1,19). Il Vangelo ci fa sapere che cosa pensava di fare questo uomo giusto prima di aver conosciuto il mistero, allo scopo che non si nutra dubbi su ciò che accadde quando ne venne a conoscenza. Se Maria fosse stata veramente quella che lui credeva, non soltanto avrebbe meritato di essere disonorata pubblicamente, ma anche di essere condannata al supplizio previsto dalla legge. Malgrado questo, Giuseppe non solo le risparmia la vita, ma salva anche il suo onore: e, lungi dal punirla, evita anche di denunziarla. Vedete bene quant`era saggio e virtuoso quest`uomo, e al di sopra delle passioni che con violenza tiranneggiano gli uomini! Voi sapete fin dove giunge la gelosia. Salomone che conosceva bene tale sentimento, dice: La gelosia del marito sarà piena di furore ed egli non perdonerà niente nel giorno del giudizio (Pr 6,34). E altrove sta scritto: La gelosia è dura come l`inferno (Ct 8,6). Noi, del resto, conosciamo molte persone che preferirebbeo morire piuttosto che essere esposte ai sospetti della gelosia. Ma c`era allora ben piú che un semplice sospetto, perché la gravidanza della Vergine appariva quale prova evidente dei suoi timori. Malgrado ciò, egli era cosí puro e cosí al di sopra delle passioni, che non volle neppure minimamente affliggere Maria. Siccome, da un lato, avrebbe violato la legge se l`avesse trattenuta presso di sé e, dall`altro, l`avrebbe esposta alla morte se l`avesse denunziata e tradotta in tribunale, egli non fece né l`una cosa né l`altra, ma adottò un comportamento ben superiore alla antica legge.


E` giusto che alla vigilia dell`avvento della grazia del Salvatore, si manifestino molti segni di una piú alta perfezione. Come quando il sole sta per levarsi, prima ancora di mostrare i suoi raggi, rischiara da lontano con la sua luce la maggior parte del mondo, cosí il Cristo, che stava per uscire dal seno della Vergine, già illuminava, prima di nascere, tutto il mondo. E per questo, molto tempo prima della sua nascita, i profeti furono colti dalla gioia, le donne predissero l`avvenire e Giovanni, mentre era ancora nel seno della madre, esultò di allegrezza. Di qui deriva anche la sapienza che Giuseppe manifestò in quella occasione. Egli non accusa la Vergine, non la rimprovera, ma si limita a pensare di separarsi da lei in segreto.


Le cose erano a questo punto e l`angustia del santo uomo era al colmo, quando interviene l`angelo a dissipare tutte queste tenebre. Dobbiamo ora chiederci perché l`angelo non è venuto piú presto, per prevenire il turbamento e i pensieri di Giuseppe e perché, invece, giunge solo quando egli sta considerando nel suo animo l`accaduto. Mentre egli stava ripensando a queste cose, venne un angelo... (Mt 1,20). D`altra parte, poiché l`angelo aveva avvertito Maria prima che ella concepisse dallo Spirito Santo, questo fatto dà luogo a una ulteriore difficoltà. Infatti, dato che l`angelo non aveva rivelato niente a Giuseppe, perché Maria, che aveva invece appreso ogni cosa dall`angelo, tacque e, pur vedendo il suo sposo cosí turbato, non gli diede quelle spiegazioni che avrebbero fugato ogni dubbio? Dunque, perché l`angelo non parlò a Giuseppe prima che egli si turbasse? Devo rispondere prima a questa domanda: l`angelo non è apparso prima a Giuseppe, nel timore che egli restasse incredulo dinanzi alla sua rivelazione e che dovesse perciò subire la stessa conseguenza di Zaccaria. Quando infatti si vede una cosa con i propri occhi, è facile credere; ma non essendoci prima ancor niente di visibile, egli poteva non credere tanto facilmente alle parole. Per questo l`angelo non preavvertí Giuseppe. Ed è per la stessa ragione che Maria mantenne il silenzio. Ella riteneva che non sarebbe stata creduta dal suo sposo, se gli avesse annunciato una cosa straordinaria... Quando dunque Giuseppe «stava ripensando a queste cose, gli apparve in sogno un angelo». Perché non gli apparve visibilmente come ai pastori, come a Zaccaria e come alla Vergine? La ragione sta nel fatto che tanta era la fede di Giuseppe che egli non aveva bisogno di una simile visione. Per la Vergine, date le grandi cose che dovevano esserle annunziate, cose molto piú incredibili di tutto quanto era stato detto a Zaccaria, non solo bisognava preavvertirla prima della concezione, ma era necessaria anche una visione straordinaria. Quanto ai pastori, invece, uomini piuttosto rozzi, avevano bisogno di una visione evidentissima. Ma Giuseppe, che si era accorto della gravidanza di Maria, che aveva l`animo turbato da dolorosi sospetti ed era dispostissimo a cambiare la sua tristezza in gioiosa speranza se qualcuno gliene avesse dato la possibilità, accolse di tutto cuore la rivelazione.


L`angelo attende, dunque, il maturarsi dei sospetti, cosí che il turbamento dello spirito di Giuseppe diventi la vera prova della rivelazione, che gli vien fatta. Giuseppe non aveva comunicato i suoi timori a nessuno, li aveva tenuti chiusi nel suo cuore e ora ascolta l`angelo che gli parla proprio di tali timori: non era questa una prova certissima che era Dio a mandargli quel messaggero, dato che soltanto Dio può sondare il segreto dei cuori? Osservate, dunque, quante conseguenze ne derivano: la sapienza e la virtù di Giuseppe vengono messe in risalto, mentre la rivelazione dell`angelo, fatta a tempo opportuno, serve a rafforzare la sua fede e, infine, l`intero racconto evangelico non provoca dubbi o sospetti, in quanto ci mostra che Giuseppe prova tutti i sentimenti che un uomo deve necessariamente provare in simili circostanze.


Ma in qual modo l`angelo lo convince? Ascoltate e ammirate con quale saggezza gli parla: Giuseppe, figlio di David - gli dice - non temere di prendere con te Maria, tua sposa (Mt 1,20).


L`angelo menziona prima di tutto David, da cui il Messia doveva nascere; e cosí calma di colpo tutti i suoi timori, facendogli tornare alla mente, citando il nome di uno dei suoi antenati, la promessa che Dio aveva fatta a tutto il popolo giudeo. Non solo, ma spiega perché lo chiama «figlio di David», con l`aggiungere le parole «non temere». Non si comporta cosí Dio in un`altra occasione che le Scritture ci tramandano. Quando Abimelec cominciò a nutrire pensieri non leciti nei confronti della sposa di Abramo, Dio gli parlò in modo terribile e pieno di minacce, sebbene egli avesse agito per ignoranza, in quanto non sapeva che Sara era la sposa di Abramo. Dio, invece, parla qui con ben maggiore dolcezza; ma quale differenza tra le due circostanze, tra la disposizione d`animo di Giuseppe e quella di Abimelec! In verità il comportamento di Giuseppe non meritava alcun rimprovero. E queste parole, «non temere», indicano che Giuseppe temeva di offendere Dio tenendo presso di sé un`adultera; ma che, se non fosse stato per questo, non avrebbe mai pensato a separarsene.


Ripeto, parlando a Giuseppe dei suoi piú segreti pensieri, dei sentimenti piú intimi, l`angelo vuol provare, e lo prova a sufficienza, che egli viene da parte di Dio. Ma dopo aver pronunciato il nome della Vergine, perché aggiunge «tua sposa»? Dice cosí per giustificare la Vergine con questa parola, in quanto non si darebbe mai questo titolo a una adultera. Il termine «sposa», come sapete, sta qui per fidanzata: la Scrittura, infatti, chiama anche «generi» coloro che sono soltanto alla vigilia di divenirlo.


Che significano queste parole «prendere Maria»? Nient`altro che Giuseppe continui a tenere Maria nella sua casa, dato che aveva pensato di separarsene. Tieni, dice l`angelo in sostanza, la tua sposa che avevi deciso di lasciare, poiché è Dio che te la dà, non i suoi genitori. Te la dona, non per i soliti scopi del matrimonio, ma soltanto perché dimori con te, e la unisce a te per mezzo di me stesso che ti parlo. Ella è affidata ora a Giuseppe, come piú tardi Cristo la affiderà al suo discepolo...


Darà alla luce un figlio - continua - e tu gli porrai nome Gesú (Mt 1,21) . Infatti, sebbene questo fanciullo sia stato concepito dallo Spirito Santo, non credere di essere dispensato dal prenderne cura e dal servirlo in ogni cosa. Sebbene tu sia estraneo al suo concepimento e sebbene Maria sia sempre rimasta perfettamente vergine, tuttavia io ti do il compito proprio di un padre, che tuttavia non fa venir meno la verginità di Maria, il compito cioè di dare il nome al neonato. Sarai tu che gli imporrai il nome; e, sebbene egli non sia tuo figlio, tu dimostrerai per lui l`affetto proprio di un padre. Per questa ragione - conclude l`angelo - ti permetto di dargli il nome, per renderti subito familiare al bimbo.


Ma per evitare che ciò faccia credere che egli sia veramente il padre del fanciullo che sta per nascere, ascoltate con quanta precisione l`angelo gli parla. «Partorirà», dice; non dice: partorirà a te, ma dice genericamente che partorirà, in quanto la Vergine non ha partorito Gesú Cristo per Giuseppe, ma per tutti gli uomini.


 


(Giovanni Crisostomo, In Matth., 4, 3-6)


2. Il dubbio di Giuseppe


Giuseppe, suo sposo, essendo giusto e non volendo esporla, pensò di lasciarla nascostamente (Mt 1, 9). Ben detto che, essendo giusto, non volle esporla: perché come non sarebbe stato giusto, se, conoscendola rea, avesse accettato il fatto, cosí non sarebbe stato giusto, se l`avesse condannata innocente. Poiché, dunque, era giusto e non voleva esporla, pensò di lasciarla nascostamente.


Perché voleva lasciarla? Senti in questo non il mio, ma il parere dei Padri. Pensò di lasciarla per lo stesso motivo per cui Pietro allontanò da sé il Signore, dicendo: Allontanati da me, Signore, perché sono un peccatore (Lc 5,8), o per cui il centurione non lo voleva in casa, dicendo: Signore, io non son degno che tu entri nella mia casa (Mt 8,8). Cosí anche Giuseppe, ritenendosi indegno e peccatore, s`andava dicendo che non poteva convivere familiarmente con una donna cosí grande, di cui temeva la mirabile e superiore dignità. Vedeva e temeva la donna che portava un segno certo della divina presenza; e poiché non riusciva a penetrare il mistero, la voleva lasciare nascostamente. Pietro si spaventò innanzi alla grandezza della potenza, il centurione innanzi alla maestà della presenza. E anche Giuseppe, come uomo, ebbe paura della novità di cosí grande miracolo, ebbe paura della profondità del mistero; e pensò di lasciarla nascostamente. Ti meravigli che Giuseppe si ritenesse indegno della comunanza di vita con la Vergine, quando sentì che anche santa Elisabetta non poté sostenerne la presenza, se non con timore e riverenza? Disse, infatti: Come mai la madre del mio Signore viene in casa mia? (Lc 1,43). Perciò Giuseppe pensò di lasciarla. Ma perché di nascosto e non pubblicamente? Perché non si ricercasse la ragione del divorzio, non se ne chiedesse il motivo. Che cosa avrebbe potuto rispondere un uomo giusto a un popolo di dura cervice, a un popolo che non credeva e contestava? Se diceva ciò che pensava, ciò che aveva sperimentato della purità di Maria, quali crudeli e increduli Giudei non avrebbero subito deriso lui e lapidato lei? Come avrebbero creduto alla Verità che taceva nel seno, essi che la disprezzarono quando gridò nel tempio? Che cosa avrebbero fatto a uno che non si vedeva, se poi gli gettarono addosso le loro mani empie, quando brillava di miracoli? Rettamente, dunque, l`uomo giusto, per non essere obbligato a mentire, o a infamare un`innocente, pensò di lasciarla nascostamente.


Se invece qualcuno pensa, diversamente, che Giuseppe avesse un dubbio umano, ma che, essendo giusto, non se la sentí di stare insieme con Maria a causa del sospetto e neppure - essendo un uomo pio - osò esporla al ludibrio e perciò pensò di lasciarla di nascosto, rispondo brevemente, che se cosí è, quel dubbio fu necessario, perché fosse risolto da una risposta divina. Fu scritto, infatti: Mentre egli andava pensando queste cose - cioè di lasciarla segretamente - gli apparve un angelo in sogno e gli disse: Giuseppe, figlio di David, non aver paura di prendere con te Maria tua sposa, perché ciò ch`è nato in lei, proviene dallo Spirito Santo (Mt 1,20). Per questo motivo poi Maria s`era promessa a Giuseppe, o piuttosto, cosí l`evangelista pone le cose: promessa a un uomo, che si chiamava Giuseppe. Lo chiama virum, non per dire marito, ma uomo di virtù. O anche, secondo un altro evangelista, Giuseppe è detto non semplicemente uomo, ma uomo di lei, perché l`appellativo corrisponda a ciò ch`egli necessariamente appare che sia. Dovette essere detto il suo uomo, o marito, perché era necessario che tale egli fosse riputato; così anche fu chiamato padre del Salvatore, perché fosse creduto che lo fosse, e anche l`evangelista dice: Gesú aveva quasi trent`anni ed era creduto figlio di Giuseppe (Lc 3,23). Dunque, non era né marito della madre né padre del figlio, sebbene per una certa e necessaria disposizione per un po` di tempo tale fu detto e creduto.


Pensa da questo titolo, per cui meritò di essere onorato da Dio al punto da essere detto e creduto padre di Dio; pensa dal proprio nome - che significa accrescimento - che uomo fosse questo Giuseppe. Ricordati anche di quel grande patriarca venduto in Egitto, e sappi ch`egli ne ha avuto non solo il nome, ma anche la castità, l`innocenza e la grazia. Quel Giuseppe, venduto e condotto in Egitto, per invidia dei fratelli, era figura di Cristo venduto; questo Giuseppe, fuggendo dall`odio di Erode, portò Cristo in Egitto. Quello, per fedeltà al suo padrone, non volle unirsi alla sua padrona questo, riconoscendo la verginità della sua padrona e madre dei suo Signore, la custodì fedelmente. Quello ebbe l`intelligenza dei sogni; a questo è stato concesso di conoscere ed essere attore dei segreti celesti. Quello conservò il grano per tutto il popolo; questi ebbe in custodia il pane vivo venuto dal cielo per sé e per tutto il popolo. Era certamente uomo buono e fedele questo Giuseppe, cui fu data in sposa la Madre del Salvatore. Servo fedele e prudente, che il Signore costituí consolazione di sua madre, allevatore della sua carne, unico e fedelissimo collaboratore sulla terra del suo grande piano. A questo si aggiunge che Giuseppe è della casa di David. Veramente discende questo Giuseppe dalla casa di David, da stirpe reale; nobile di casato, piú nobile ancora di mente. Sicuramente figlio di David, non degenere da suo padre David. Sicuramente, dico, figlio di David, non solo per sangue, ma per fede, santità, devozione. L`uomo che il Signore, come David, riconobbe secondo il suo cuore, l`uomo al quale poteva affidare l`arcano segretissimo e sacratissimo del suo cuore; l`uomo al quale, come a un altro David, confidò i piani occulti della sua sapienza e non volle che fosse all`oscuro del suo mistero, mistero che a nessun principe di questo secolo fu rivelato; l`uomo al quale fu dato ciò che molti re e profeti cercarono di vedere e non lo videro, avrebbero voluto sentire e non lo sentirono; e a lui fu dato non solo di vederlo e sentirlo, ma di portarlo in braccio, allevarlo, stringerlo al seno, baciarlo, nutrirlo e vegliarlo. Non solo Giuseppe ma anche Maria dovette essere una discendente della casa di David. Non avrebbe potuto, infatti, sposare un uomo della casa di David, se anch`essa non fosse stata della casa di David. Tutti e due, dunque, della casa di David: ma in Maria si è avverata la promessa che il Signore giurò a David, Giuseppe è stato il testimone cosciente che la promessa fu mantenuta.


 


(Bernardo di Chiarav., Laudes Mariae, 2, 13-16)


3. Giuseppe figura degli apostoli


In seguito, morto Erode, Giuseppe è avvertito da un angelo di riportarsi in Giudea con il bambino e sua madre. Nel far ritorno, avendo appreso che il figlio di Erode, Archelao, era re, ebbe paura di andarvi, e venne ancora avvertito da un angelo di passare in Galilea e di fissare la sua dimora in una cittadina di quella regione, Nazareth (cf. Mt 2,22-23). Così, egli riceve avviso di far ritorno in Giudea e, ritornato, ha paura. E, ricevuto nuovo avviso in sogno, ha l`ordine di recarsi in paese di pagani. Tuttavia, non avrebbe dovuto aver paura, dal momento che aveva ricevuto un avvertimento, oppure l`avvertimento che in seguito sarebbe stato modifìcato non avrebbe dovuto essere apportato da un angelo. Ma è stata osservata una ragione tipologica. Giuseppe è figura degli apostoli, ai quali è stato affidato Cristo per essere portato dovunque. Siccome Erode passava per morto, cioè il suo popolo si era perduto in occasione della Passione del Signore, essi hanno ricevuto il comando di predicare ai Giudei. Erano infatti stati inviati alle pecore perdute della casa d`Israele (cf. Mt 15,24), ma, permanendo il dominio dell`incredulità ereditaria, essi temono e si ritirano. Avvertiti da un sogno, ovvero contemplando nei pagani il dono dello Spirito Santo (cf. Gl 2,28-31), portano Cristo a questi ultimi, pur essendo stato inviato alla Giudea, chiamato però vita e salvezza dei pagani.


 


(Ilario di Poitiers, In Matth., 2, 1)


 


 


5. Gesú Figlio di Dio


 


E per prima cosa nessuno deve scandalizzarsi che cosí sia scritto: Si credeva che Egli fosse figlio di Giuseppe. E giustamente si credeva, perché per natura non lo era; ma si credeva per il motivo che lo aveva generato Maria, la quale era sposa di Giuseppe, suo sposo (cf. Mt 1,18); cosí infatti trovi: Non è costui il figlio del falegname? (Mt 13,55)...


Non sembra, inoltre, fuori luogo spiegare per qual motivo Egli abbia avuto per padre un falegname. Infatti, mediante questa tipologia, Egli dimostra di avere per Padre Colui che, artefice di tutte le cose, creò il mondo, come sta scritto: In principio Dio creò il cielo e la terra. E` bensí vero che non si deve paragonare l`umano al divino: però la tipologia non fa una grinza, poiché il Padre di Cristo opera nel fuoco e nello Spirito, e come un buon falegname dell`anima pialla tutt`intorno i nostri difetti, mettendo prontamente la scure alla radice degli alberi sterili, abile nel recidere i rami stenti, nel lasciar sulla vetta quelli elevati, nel render flessibile col fuoco dello Spirito la durezza dell`anima, e nel plasmare per differenti impieghi tutto il genere umano con la diversa qualità dei ministeri.


 


(Ambrogio, Exp. Ev. sec. Lucam, 3, 2)


 


Coordin.
00domenica 23 marzo 2014 17:53
SOLENNITA` DELL`ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE

SOLENNITA` DELL`ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE


 


(25 marzo)


 


Il mistero dell`Incarnazione di Cristo è cosí strettamente unito con la sua nascita che, inizialmente, la Chiesa non vedeva la necessità di introdurre la festa dell`Annunciazione. Quando però la solennità del Natale assunse nella Chiesa importanza sempre piú grande, sorse la festa distinta dell`Annunciazione: le sue prime tracce in Oriente sono del VII secolo. A Roma, venne introdotta da papa Sergio (687-701), insieme con una solenne processione che perdurò fino al XIV secolo.


Il giorno 25 marzo fu scelto in riferimento alla data del Natale. Inoltre, già nel III secolo vi era la convinzione che Cristo fosse divenuto uomo durante l`equinozio primaverile; in questo giorno avrebbe anche dovuto avvenire la creazione del mondo e dell`uomo. La costituzione della festa dell`Annunciazione nel periodo della Quaresima ha riscontrato un inconveniente: la tradizione proibiva di celebrare in questo periodo le feste, che avrebbero interrotto il digiuno di quaranta giorni.


Comunque, la Chiesa d`Oriente e poi la Chiesa di Roma consentirono un`eccezione. La liturgia spagnola non ha seguito la prassi comune, ma ha scelto il 18 dicembre - otto giorni prima del Natale - per la festa dell`Annunciazione. Nel XVII secolo, la Chiesa di Roma accetta la festa del 18 dicembre chiamandola l`Attesa della Nascita, ma nel XIX secolo essa viene soppressa.


L`inconcepibile mistero dell`Incarnazione: il Verbo Eterno riceve il corpo umano nel seno di Maria, il Redentore è vero Dio e vero uomo. Si compie il meraviglioso scambio: il Figlio di Dio assume la natura umana, affinché l`uomo possa partecipare alla natura di Dio stesso.


La Chiesa vede nell`Incarnazione del Figlio di Dio l`inizio della propria esistenza. Al centro di questo mistero sta Maria: Ella accoglie con fede le parole dell`angelo, concepirà dallo Spirito Santo e porterà nel suo grembo Colui che adempirà le promesse date ad Israele e sarà la salvezza delle nazioni. Ricordiamo il mistero dell`Incarnazione nel periodo della preparazione alla celebrazione del mistero pasquale del Redentore. Eccomi per fare la Tua volontà: le parole pronunciate da Cristo nel momento dell`Incarnazione si adempiranno sul Calvario. Il mistero dell`Incarnazione è inseparabilmente legato al mistero della Pasqua, con la morte e la risurrezione del Signore.


«Avvenga di me secondo la tua parola»: le parole di Maria di Nazareth la porteranno fino alla Croce di Gesú. Celebrare la solennità dell`Annunciazione significa credere alla parola di Dio, partecipare alla vita portataci da Cristo, sottomettersi all`azione dello Spirito in noi, dire sempre «sí» a Dio.


Ogni giorno, recitando l`«Angelus» ci poniamo di fronte all`avvenimento unico nella storia del mondo, di fronte all`Incarnazione del Figlio di Dio. Tre brevi frasi prese dal Vangelo raccontano ciò che era avvenuto a Nazareth: l`Annunciazione dell`angelo, la disponibilità di Maria piena d`obbedienza e la discesa del Verbo. La preghiera finale esprime l`unione interna tra l`Incarnazione, la Morte e Risurrezione di Cristo.


 


Ecco, ci appare ora la nostra riconciliazione:


Dio si unisce ineffabilmente agli uomini.


Per la parola dell`Arcangelo viene distrutto l`errore:


la Vergine infatti accoglie la gioia,


la terra diventa cielo,


il mondo è assolto dall`antica maledizione.


Esulti la creatura e innalzi il suo inno:


a te sia gloria, o Signore,


Creatore e Redentore nostro.


 


(Liturgia Bizantina, EE, n. 3046)


 


 


1. L`intenzione divina della verginità


 


Viene promesso il figlio di Zaccaria, e si promette il figlio della santa Madre, ed anche lei dice quasi le stesse parole che aveva detto Zaccaria. Che cosa aveva detto Zaccaria?


Da dove mi viene questo? Io, infatti, sono vecchio, e mia moglie è sterile ed avanzata in età.


E cosa (disse) la santa Madre? In che modo avverrà questo?


Simile la parola, diverso il cuore. Ascoltiamo con l`orecchio una voce simile, ma all`annuncio dell`angelo riconosciamo un cuore diverso.


Penò David, e, rimproverato dal profeta, disse: Ho peccato e subito gli fu detto: Ti è stato perdonato il peccato (2Sam 12,13).


Penò Saul, e, corretto dal profeta, disse: Ho peccato, ma non gli fu rimesso il peccato, e l`ira di Dio rimase sopra di lui (1Sam 15,30).


Che cosa significa questo, se non che la voce è simile, ma che è diverso il cuore? L`uomo, infatti, ascolta la voce, Dio scruta il cuore.


In quelle parole di Zaccaria, dunque, l`angelo vide che non vi era la fede ma il dubbio e la disperazione, l`angelo indicò col togliere la voce e col condannare l`infedeltà. Ma la divina Maria: In che modo avverrà questo se non conosco uomo? Riconoscete l`intenzione della vergine. Quando direbbe, con l`intento di coabitare con l`uomo: In che modo avverrà questo? Se, infatti, accadesse, nella maniera in cui suole accadere a tutti i bambini, non direbbe: In che modo avverrà? Ma memore della sua intenzione e consapevole, del santo voto, poiché aveva conosciuto ciò che aveva promesso in voto; col dire: In che modo avverrà questo, poiché non conosco uomo? dal momento che non aveva conosciuto che ciò fosse accaduto, affinché i figli nascessero se non con l`unione delle donne coi propri mariti, ed è ciò che lei stessa si era proposta di ignorare, dicendo: In che modo questo potrà accadere? Cercò di sapere il modo, ma non dubitò dell`onnipotenza di Dio.


In che modo questo potrà avvenire?


In quale modo questo avverrà? Tu mi annunzi un figlio, ed hai preparato il mio animo, dimmi il modo.


Poté, infatti, la vergine santa temere, o ignorare certamente il disegno di Dio, in che modo egli volesse che lei avesse il figlio, quasi disapprovasse il voto della vergine.


Se dicesse: «Sposati, unisciti all`uomo» che cosa, infatti, avverrebbe? Non lo direbbe Dio; ma egli accettò il voto della vergine, come Dio.


E ricevette da lei, quello che Egli donò.


Dimmi, dunque, o angelo di Dio: «In che modo avverrà questo?». Vedi l`angelo che va, lei che cerca di sapere, e che non diffida. Poiché egli vide che lei cercava di sapere, senza diffidare, non si rifiutò di istruirla.


Ascolta in che modo: rimarrà la tua verginità, tu credi soltanto alla verità, custodisci la verginità, ricevi l`integrità.


Poiché la tua fede è intatta, intatta sarà anche la tua verginità.


Infine, ascolta in che modo questo avverrà: Lo Spirito Santo discenderà sopra di te, e la potenza dell`Altissimo ti proteggerà, poiché tu concepisci per la fede, poiché, tu, credendo, non unendoti, avrai nel seno [il figlio]: «poiché il Santo che nascerà da te, sarà chiamato Figlio di Dio».


Maria per grazia è madre del Figlio di Dio.


Che cosa sei, tu che in seguito darai alla luce? Da dove l`hai meritato? Da chi lo hai ricevuto?


In che modo avverrà in te, colui che ti creò? Donde dico, ti viene un cosí grande bene?


Tu sei Vergine, sei Santa, hai fatto voto; ma è molto quello che meritasti, anzi, senza dubbio è molto quello che hai ricevuto.


Infatti, per quale motivo hai meritato questo?


Avviene in te, colui che ti creò, diviene in te colui per il quale sei stata creata: anzi, per vero, colui per il quale sono stati creati e il cielo e la terra, tutte le cose, si fa in te (carne) uomo il Verbo di Dio, col prendere carne, non perdendo la divinità.


E il Verbo si unisce alla carne, e il Verbo si congiunge alla carne; e il luogo di una cosí grande unione, è il tuo seno; di questa, dico, così grande unione, cioè il tuo seno che diventa sede del Verbo incarnato: di qui lo stesso sposo che esce dalla sua stanza nuziale (Sal 18,6).


Egli concepito, ti trovò vergine, nato, libera la vergine.


Dà la fecondità, non toglie l`integrità.


Donde tutto questo ti è avvenuto?


Mi sembra di interrogare senza delicatezza una vergine, e quasi inopportuna questa mia voce ferisce le orecchie vereconde.


Ma io vedo la vergine, che palesa il suo pudore, e, tuttavia che risponde, e che mi ammonisce: «Vuoi sapere perché mi sia avvenuto ciò?».


Ho pudore di risponderti il mio bene, ascolta il saluto dello stesso angelo, e riconosci in me la tua salvezza.


Credi a colui a cui io mi sono affidato. Perché vuoi sapere questo da me?


Risponde l`angelo. Dimmi, o angelo, perché è avvenuto questo in Maria?


Già, l`ho detto, quando l`ho valutata.


Io ti saluto, o piena di grazia (Lc 1,28).


 


(Agostino, Sermo 291, 5 s.)


 


 


2. La grazia di Maria


 


Fu mandato da Dio l`angelo Gabriele in un villaggio della Galilea, chiamato Nazareth (Lc 1, 6). Ti sorprende che Nazareth, un piccolo villaggio, venga illustrata con un sì gran messaggio e d`un sí gran re? Ma in questo piccolo villaggio c`è nascosto un gran tesoro: è nascosto, dico, agli uomini, non a Dio. O che non è forse Maria il tesoro di Dio? Dov`è lei, ivi è il cuore di lui. I suoi occhi son su di lei, dappertutto egli segue l`umiltà della sua ancella. Non conosce il cielo l`Unigenito di Dio Padre? Se conosce il cielo, conosce anche Nazareth. Potrebbe non conoscere la sua patria? Potrebbe non conoscere la sua eredità? Il cielo gli tocca da parte del Padre, Nazareth gli tocca da parte della madre, poiché egli è - lo afferma lui stesso - Figlio e Signore di David (Mt 22,42-45).


Il cielo del cielo è per il Signore, ma la terra la diede ai figli degli uomini (Sal 113,16). Si pieghi a lui, quindi, l`uno e l`altro titolo di proprietà, perché è non solo Signore, ma anche figlio dell`uomo. Senti anche come rivendichi a sé la terra in qualità di figlio dell`uomo, ma ne ha anche il diritto per la comunione dei beni tra gli sposi. I fiori apparvero sulla nostra terra (Ct 2,12). E ci sta anche bene l`accenno ai fiori, perché Nazaret significa fiore. Piace una patria fiorita al fiore che spunta da Jesse e se ne sta volentieri tra i gigli il fiore del campo e il giglio delle valli. La bellezza, infatti, il profumo e la speranza del frutto fanno prezioso un fiore: son la sua triplice grazia. E Dio stima anche te come un fiore, e si compiace in te, se c`è in te la bellezza d`una condotta onesta, il profumo dei buoni pensieri e il desiderio del premio futuro. Il frutto dello spirito, infatti, è la vita eterna.


Non temere, Maria; hai trovato grazia presso Dio. Quanta grazia? Una grazia piena, grazia singolare. Singolare o universale? L`una e l`altra, certo; perché piena e in tanto singolare, perché universale; ricevesti, infatti, tu sola la grazia universale. Grazia singolare, dico, la tua, perché tu sola, piú di tutti, hai trovato grazia. Tu sola trovasti una tale pienezza; pienezza universale, perché tutti attingessero a questa pienezza. Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno. E` in modo singolare frutto del tuo seno; ma per tuo mezzo è giunto alle menti di tutti. Cosí una volta la rugiada fu tutta sul vello e tutta sull`aia; ma in nessuna parte dell`aia fu tutta, come sul vello (Gdc 6,37-40). Solo in te quel Re ricco e straricco, s`è ridotto a niente; eccelso s`è umiliato, immenso s`è fatto piccolo e inferiore agli angeli: vero Dio e Figlio di Dio incarnato. Ma per quale scopo? Perché tutti fossimo arricchiti con la sua povertà, innalzati dalla sua umiltà, accresciuti dal suo abbassamento e, unendoci a Dio attraverso la sua incarnazione, potessimo essere un solo spirito con lui.


Ma che diciamo, fratelli? In quale vaso si verserà la grazia? Se la fiducia può contener misericordia e la pazienza la giustizia, quale vaso è idoneo alla grazia? Il balsamo è purissimo, e vuole un vaso fortissimo. E che c`è di cosí puro o di cosí solido come l`umiltà del cuore? Perciò dà grazia agli umili; perciò guardò l`umiltà della sua serva. A qual titolo? Perché l`animo umile non impedisce che la pienezza di Dio si versi in esso.


 


(Bernardo di Chiarav., Hom. 3, in Annunt., 7-9)


 


 


3. Ave, piena di grazia


 


Poiché l`angelo salutò Maria con una formula nuova che non son riuscito a trovare in nessun altro passo delle Scritture sento di dover dire qualcosa a riguardo. Non ricordo dove si possa leggere altrove nelle Scritture la frase pronunciata dall`angelo: Ave, piena di grazia, che in greco si traduce Kecharitoméne. Mai tali parole, «Ave, piena di grazia», furono rivolte ad essere umano; tale saluto doveva essere riservato soltanto a Maria. Se infatti Maria avesse saputo che una formula di tal genere fosse stata indirizzata a qualcuno - ella possedeva infatti la conoscenza della legge, era santa, e conosceva bene, per le sue quotidiane meditazioni, gli oracoli dei profeti - non si sarebbe certo spaventata per quel saluto che le apparve cosí insolito. Sicché l`angelo le dice: Non temere, Maria, perché tu hai trovato grazia dinanzi al Signore. Ecco, concepirai nel tuo seno e partorirai un figlio, e gli darai il nome di Gesú. Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell`Altissimo.


 


(Origene, In Luc., 6, 7)


 


 


4. Discorso per l`annunciazione della santissima Nostra Signora, la Madre di Dio e semprevergine Maria


 


Avvicinandosi dunque questa venerabile festa, che segna l`inizio della nostra salvezza - quando dalle celesti altezze scese volando il grande comandante Gabriele, incorporeo, massimo divin soldato del gran Re, primo apostolo della grazia e nobile ministro della nostra salvezza, per recare lieta novella alla tutta pura, santa e immacolata Vergine e gridarle il «Gioisci, o piena di grazia, il Signore è con te», che annulla il «Partorirai i figli nel dolore», castigo della prima madre, portando cosí agli uomini l`assoluzione della giusta condanna, ed instaurando una splendida gara fra angeli e uomini - mi rammaricavo di non aver tra mano nulla per una cosí divina solennità, né letture antiche, né una traccia recente di discorso. Non riuscendovi dunque a comporlo da me, per mancanza di conoscenze e di interiore illuminazione, dopo esser rimasto per un po` di tempo come muto, ho deciso alla fine di gridare alla Vergine «Ave», con le parole dell`arcangelo, perché la sua grazia m`illumini la mente a pensare e mi conceda la parola quando apro la bocca a sua gloria: non già che la Glorificata da Dio abbia bisogno della nostra gloria ma perché Lei piuttosto glorifichi con gloria salvifica quanti la glorificano.


Ma cominciamo proprio da dove è meglio: da dove cioè ebbe il migliore inizio la parola: non quella del mio presente discorso, ma quella che segnò il principio e la causa dell`essere per tutti gli esseri: questo infatti volle apertamente indicare la lettera alfa. E come fu concesso anche agli uomini, e non solo agli angeli, di cantare l`inno trisagio, cosí noi pure, dopo aver imparato dall`arcangelo l`«Ave», acclamiamo con l`«Ave» la purissima Vergine. Non si può infatti trovar nulla di piú elevato o grazioso od esplicito tra noi uomini di questa parola per salutare la Vergine: perciò molte volte oso rivolgere quest`espressione, benché con labbra indegne, alla Madre di Dio e ripetere «Ave» alla Vergine illibata.


Ave, illibatissima Madre del Figlio coeterno all`ingenito Padre e ricettacolo santissimo dello Spirito Santo.


Ave, trono che porti il Re della gloria, nel quale i Cherubini nel cielo non possono fissare lo sguardo.


Ave, piú alta delle schiere celesti, perché hai contenuto l`Incontenibile e hai portato Colui che esse non riescono a contemplare.


Ave, primo cielo fissato da Dio, in cui abita la luce senza tramonto.


Ave, firmamento, da cui è sorto il Sole della giustizia.


Ave, sole che non tramonta, dal quale sono stati illuminati i confini della terra.


Ave, lucentissima luna, per cui furono scacciate le tenebre dell`incredulità e introdotta la luce della fede.


Ave, moltiplicato splendore di molteplici astri.


Ave, tu per cui s`aprirono le porte celesti e furono infrante le porte e le sbarre dell`Ade.


Ave, vortice celeste, da cui noi mortali fummo rapiti in alto.


Ave, nuvola portatrice di pioggia, da cui fu irrorata la vastità della terra.


Ave, soffio di vento purissimo e fresco, che ristori i fedeli.


Ave, arcobaleno, segno dell`alleanza di Dio con gli uomini.


Ave, porta inaccessibile, per cui passò l`Angelo del gran consiglio, lasciandola chiusa.


Ave, scala celeste, per cui sulla terra discese Chi è al di sopra dei cieli.


Ave, tu che hai sciolto la condanna del progenitore e della prima madre Eva.


Ave, paradiso spirituale del fiore d`immortalità.


Ave, sorgente che sgorghi dall`Eden a irrigare il paradiso - che è la Chiesa di Dio e le schiere dei fedeli - da dove si dividono «ai quattro cardini» i quattro vangeli a irrorare la terra: ivi «Dio fece spuntare ogni albero bello a vedersi» con la mente - cioè i santi dottori e martiri - «e gustoso in cibo» per l`anima.


Ave, «Albero della vita che è nel mezzo del paradiso», del cui frutto noi fedeli ci nutriamo per la remissione dei peccati.


Ave, porta del paradiso, che introduci i credenti ed escludi gli increduli.


Ave, campo inseminato, da cui spuntò la spiga che porta la vita.


Ave, vite fiorente e tralcio fruttuoso, piantata dal Padre, irrigata dallo Spirito, coltivata con arte dal Figlio, che invita con bando sublime le schiere dei fedeli, mesce «nella coppa il suo vino» e sollecita tutti: «Abbandonate la stoltezza e vivrete; ritornate al senno per vivere; bevete il vino che io vi ho versato» e inebriatevi «all`abbondanza della mia casa».


Ave, mare grande e spazioso, in cui navigò il nocchiero dell`universo.


Ave, sale delle virtù, che hai salato il mondo.


Ave, nave guidata da Dio, sovraccarica di beni celesti.


Ave, porto di salvezza e muraglia inespugnabile.


Ave, torre potente, che mantieni illesi di fronte al nemico quanti si rifugiano in te.


Ave, giusto castigo del mondo egiziano infedele e giusta liberazione del popolo d`Israele.


Ave, nuvola che fai luce di giorno e colonna lucentissima dai bagliori di fuoco nella notte.


Ave, tu che hai sommerso nel mare gli infedeli e il peccato del Faraone, anzi lo stesso Faraone spirituale e i suoi complici.


Ave, tenda santa piú vasta dei cieli, in cui Dio parlò agli uomini.


Ave, tavola degna d`onori divini, scritta dal dito di Dio.


Ave, arca santa, che racchiudi Colui che toglie il peccato del mondo.


Ave, anfora della manna.


Ave, verga d`Aronne.


Ave, fonte della vita.


Ave, terra della promessa.


Ave, terra che scorri latte e miele.


Ave, terra degli uomini miti.


Ave, fiume divinamente copioso.


Ave, santa fontana.


Ave, fonte di acqua sorgiva.


Ave, arca santa, che fermi l`impeto del Giordano.


Ave, tromba di Dio.


Ave, rovina degli infedeli.


Ave, sostegno di quanti credono nel Figlio tuo.


Ave, monte santo.


Ave, città di Dio.


Ave, santa Sion, dimora di Dio.


Ave, tempio che contiene Dio.


Ave, Santo dei Santi.


Ave, turibolo d`oro.


Ave, mensa.


Ave, candelabro.


Ave, lampada d`inestinguibile luce.


Ave, strada al regno celeste: Ti glorificano gli angeli, perché sei piú elevata di loro, assisa alla destra del Re della gloria: gli stai accanto come ancella e intercedi come madre, regalmente splendida, «con frange d`oro, avvolta in un vestito variopinto intrecciato d`oro», come predisse David.


Ave, potenza del regno di quaggiú: «I ricchi del popolo ti supplicano», e tutti, re e sacerdoti, pontefici e turbe di monaci e folle senza numero di dotti e d`ignoranti t`invocano protettrice.


Ave, gloria delle città.


Ave, salvezza dei villaggi.


Ave, forza delle isole.


Ave, speranza dei monaci.


Ave, ornamento di Giacobbe.


Ave, figlia di David.


Ave, frutto dei giusti Gioacchino ed Anna.


Ave, inesauribile tesoro dei confini della terra.


Ave, insonne custode di Cipro.


Ave, sommo presidio di Pafo.


Ave, sicura espiazione dei fedeli.


Ave, rifugio di tutti gli uomini e della mia meschinità. Ma come potrò invocare, celebrare, magnificare il tuo potere, o Signora? «Ci hai ferito il cuore, ci hai ferito», come disse Salomone nella Cantica. Te magnificano in cielo gli angeli, te sulla terra invoca la moltitudine degli uomini, te temono le orde dei demoni. Tu hai fatto rifulgere il decoro della verginità, hai nobilitato la maternità, hai benedetto il sesso femminile, hai resa pura la stirpe degli uomini e l`hai portata a Dio. Tu, pura e immacolata, accogli i puri perché amante dei buoni e brami purificare i non puri, perché misericordiosa. Purificaci, illuminaci, guidaci all`eterna vita.


Ave, roveto incombusto che vide Mosè e voce divina, che manifesti la mirabile unione di Dio con gli uomini: fuoco, perché «il nostro Dio è fuoco che divora»; roveto, perché incorrotta è la natura umana a cui Egli s`unì per amore, conservandola illesa.


Ave, monte boscoso e ombreggiato antevisto da Abacuc: boscoso, perché grande e quindi impenetrabile agli occhi del corpo; ombreggiato, perché non visibile ad alcuno, prima che in te splendesse il Sole della giustizia, oppure perché tu togli l`arsura del male.


Ave, monte santo, «monte pingue - come dice David -, monte condensato, monte ove piacque a Dio abitare: il Signore vi porrà dimora per sempre»; «l`Altissimo ha santificato la sua abitazione: Dio è in mezzo ad essa, non sarà smossa».


Ave, monte che Daniele previde, da cui «fu tagliata la pietra senza lavoro di mani», da cui cioè nacque un bambino senza seme, «e colpí la statua» dell`incredulità per sempre, infrangendo i regni dei tiranni infedeli: «ma il suo regno non avrà fine».


Ave, tu prefigurata dalla fornace dei Caldei, che conservò illesi i fanciulli: te infatti il fuoco della divinità conservò incorrotta.


Ave: Colui alla cui presenza stanno «mille migliaia e diecimila miriadi», scese nel tuo grembo «come pioggia sul vello».


Ave, vero compimento dei tipi e delle figure della legge antica.


Ave, di ogni portento principio e termine.


 


(Neofito il Recluso, Inediti, «Marianum», nn. II-IV, 1974, pp. 239-249)


Coordin.
00lunedì 31 marzo 2014 08:20
NATIVITA` DI SAN GIOVANNI BATTISTA

NATIVITA` DI SAN GIOVANNI BATTISTA


 


24 giugno)


 


Il posto che occupa Giovanni Battista nella storia della salvezza spiega l`antica origine del suo culto in tutta la Chiesa. Sia l`Oriente che l`Occidente, già nel IV secolo conoscono la festa in onore del Precursore di Cristo, e numerose basiliche e templi sono dedicati al suo nome. L`Oriente celebra la commemorazione di Giovanni Battista il 7 gennaio, collegandola con l`Epifania del Signore, che nella liturgia orientale corrisponde al Battesimo di Gesú nel Giordano. L`Occidente, già nei tempi di sant`Agostino, sceglie la data del 24 giugno facendo riferimento al giorno della nascita di Cristo: la nascita di Giovanni ebbe luogo sei mesi prima di quella di Cristo. Il culto di Giovanni Battista si diffonde moltissimo nel V secolo; la festa è preceduta dalla veglia notturna; il giorno stesso della festa, poi come nel Natale, sono celebrate tre Messe. La festa diviene molto popolare, e il popolo ha legato con essa diversi costumi risalenti al paganesimo. In Oriente, sono comparse altre due feste in onore di san Giovanni: la memoria dell`Incarceramento e la memoria della Decollazione. Quest`ultima, attraverso la liturgia gallica entra, nel VI secolo nel calendario romano ed è celebrata il 29 agosto. E` il giorno della dedicazione della chiesa di San Giovanni Battista a Sebaste di Samaria, dove i discepoli avrebbero seppellito il corpo del loro Maestro.


«Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni» (Gv 1,6). Fu santificato già nel seno della madre, poiché doveva svolgere una grande missione nella storia della salvezza. Giovanni prepara il popolo alla venuta dell`atteso Messia, battezza Gesú e lo indica come Agnello che toglie i peccati del mondo. Cristo dirà di lui che tra i nati di donna non c`è nessuno piú grande di Giovanni Battista.


Grande per la sua missione, rimane pieno d`umiltà. Dice: «Viene uno che è piú forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali» (Lc 3,16); «Egli deve crescere e io invece diminuire» (Gv 3,30).


Giovanni nacque prima di Cristo, per primo cominciò ad insegnare al popolo, precederà anche Cristo nel sacrificio della vita. La Chiesa celebra il giorno della «nascita al cielo» dei suoi santi: per Giovanni fa una eccezione. La sua nascita preannuncia e prepara la nascita di Gesú.


Celebrando la nascita di Giovanni, la Chiesa porge l`orecchio alla voce di Giovanni, che chiama alla conversione e chiede la sua intercessione: affinché la Chiesa sappia sempre riconoscere colui che Giovanni preannunciava; affinché i credenti camminino lungo la via indicata da Giovanni, l`unica via che porta a Colui che il Santo additava.


 


Dio onnipotente ed eterno,


concedi ai nostri cuori quella rettitudine


nel seguire le tue vie


che insegnò la «voce che grida» del beato


Giovanni Battista.


 


(Sacramentarium Veronense, ed. L.C. Mohlberg, Roma 1978, n. 237)


 


 


1. Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita


 


Non temere, Zaccaria, perché è stata esaudita la tua preghiera, e tua moglie Elisabetta darà alla luce un figlio, al quale porrai nome Giovanni. Tu ne avrai gioia, e molti si rallegreranno per la sua nascita (Lc 1,13s).


I benefici di Dio sono sempre copiosi e traboccanti, non si riducono ad un numero ristretto, ma crescono in un ricco cumulo di doni, come avviene qui: c`è anzitutto l`esaudimento della preghiera, poi il parto di una moglie sterile, indi l`esultanza di molte persone, e l`eccellenza della virtù. C`è anche la promessa di un profeta dell`Altissimo (cf. -Lc 1,76), e, per togliere ogni dubbio, si indica il nome di colui che nascerà. In mezzo a benefici cosí grandi, che si effondono dal cielo oltre ogni desiderio, non a torto il mutismo del padre fu un castigo della sua incredulità, come spiegheremo oltre. Ma quando nascono i santi, tutti ne godono; un santo, infatti, non è soltanto un onore per i genitori, ma è salvezza per molti. Cosí, in questo passo, ci si esorta a godere per la natività dei santi.


Ma anche i genitori sono esortati a ringraziare Dio non meno per la nascita, che per il merito dei loro figlioli, certo, non è piccolo dono quello che Dio fa donando i figli, i quali propagheranno la famiglia, e subentreranno nella successione. Leggi nella Scrittura che Giacobbe gode di aver generato dodici figli (cf. Gen 49,1-28); ad Abramo viene donato un figlio (cf. Gen 21,2), e Zaccaria resta esaudito. La fecondità dei genitori è un dono di Dio. Perciò ringrazino i padri, per aver generato; i figli, per essere stati generati; le madri, per l`onore che ricevono dai frutti del loro matrimonio: i figli, infatti, sono la retribuzione dei loro sacrifici. Fiorisca a nuova primavera la terra, perché è coltivata, il mondo, che cosí viene conosciuto, la Chiesa, che vede crescere di numero il popolo fedele. E non senza ragione, subito all`inizio della Genesi, il matrimonio è portato a consumazione per comando di Dio (cf. Gen 2,22ss), ciò non ha altro scopo che di annientare l`eresia. Dio, infatti, ha approvato il matrimonio per unire i coniugi, e l`ha premiato con tanta larghezza, che coloro ai quali la sterilità aveva negato i figli, la bontà divina glieli ha concessi.


E sarà grande davanti al Signore (Lc 1,15). Qui si parla non di statura fisica, ma spirituale. Davanti al Signore c`è una statura dell`anima, una statura della virtù...


Giovanni, quindi, sarà grande non per il vigore fisico, ma per la grandezza spirituale (cf. Lc 7,28). Del resto, egli non estese i confini di qualche impero, né cercò i trionfi nella gloria di imprese guerresche, bensí, ciò che vale di piú, predicando nel deserto calpestò con grande vigore spirituale le comodità umane e la sensualità del corpo (cf. Lc 3,1-18). Egli perciò è piccolo secondo il mondo, ma è grande nello spirito. E come un grande, senza lasciarsi sedurre dalle lusinghe di questa vita, non mutò la fermezza del suo proposito per il desiderio di vivere (cf. Mc 6,17-29).


E sarà ricolmo di Spirito Santo fin dal seno di sua madre (Lc 1,15).


Indubbiamente la promessa dell`angelo è stata veritiera su questo punto, poiché san Giovanni, prima di nascere, mostrò di aver ricevuto la grazia dello Spirito quando ancora era racchiuso nell`utero della madre...


E sarà ricolmo di Spirito Santo; infatti non manca nulla a chi è assistito dallo Spirito della grazia, e chi riceve l`effusione dello Spirito Santo possiede la pienezza di grandi virtù.


Dice infine: Ricondurrà molti figli d`Israele al Signore loro Dio (Lc 1,16). Non è necessario che io dimostri che san Giovanni ricondusse i cuori di molti. Concordano con questa testimonianza le profezie e il Vangelo - egli infatti è la voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via al Signore, raddrizzate i suoi sentieri! (Mt 3,3; Is 40,3) - mentre il suo battesimo, frequentato da moltitudini (cf. Mc 1,5), prova che i progressi fatti dal popolo convertito non furono esigui, perché, credendo a Giovanni, essi credevano a Cristo. Infatti, il banditore di Cristo non predicava se stesso, ma il Cristo.


Per questa ragione egli andrà innanzi al Signore con lo spirito e la virtù di Elia (Lc 1,17). Giustamente queste due parole sono accostate, poiché lo spirito non è mai disgiunto dalla virtù, né la virtù dallo spirito. Ma forse si dice con lo spirito e la virtù di Elia, perché il santo Elia ebbe una grande virtù e grazia; la virtù di convertire gli animi dall`incredulità alla fede, la virtù di una vita mortificata e paziente, e lo spirito della profezia (cf. 1Re 17,3-6). Elia visse nel deserto, Giovanni nel deserto, colui era nutrito dai corvi, questi dai pruni, e, calpestando ogni attrattiva del piacere, scelse per sé la mortificazione e disprezzò l`agiatezza (cf. Mt 3,4). Quegli non cercò i favori del re Acab (cf. 1Re,21,17-22), questi disprezzò quelli di Erode (cf. Mc 6,18); quegli divise in due il Giordano, questi lo trasformò in un lavacro apportatore di salvezza; questi si intrattiene col Signore qui in terra (cf. Mt 17,3), quegli appare col Signore nella gloria (cf. Mt 17,10), questi è precursore della prima venuta del Signore, quegli della seconda.


 


(Ambrogio, Exp. Ev. Luc., 1, 28-36)


 


 


2. Giovanni Battista, amico dello Sposo


 


Molto vicino alla fonte, si ergeva quel nobile cedro - voglio dire Giovanni, cugino e amico dello Sposo (cf. Gv 3,29), precursore, battezzatore e martire del Signore. Cosí, abbondantemente irrorato, divenne sí grande da non potersene trovare di tanto alti tra i nati di donna (cf. Mt 11,11). Egli era estremamente vicino al Salvatore; infatti, non solo i legami del sangue l`univano a lui e quelli dell`amicizia ne facevano il suo intimo, ma, di piú, gli si avvicinava quant`altri mai tra i mortali a causa del suo annuncio glorioso, per la novità della nascita, della sua santità quasi originale, della predicazione tanto simile, del suo potere di battezzare, e infine, della sua coraggiosa passione. Da ultimo, anche se tutto il resto mancasse e se tutti gli oracoli profetici lo passassero sotto silenzio, la sola «grazia» del suo nome che l`angelo aveva indicato prima del suo concepimento (Lc 2,21), sarebbe largamente sufficiente a testimoniare la grazia singolare che Dio li avrebbe comunicato.


In effetti, per predicare la grazia di Dio, diffusa dalla Piena di grazia, era necessario un uomo pieno di grazia; era anche conveniente che la grazia brillasse in maniera straordinaria in colui che era destinato a segnare il limite tra il tempo della Legge e il tempo della Grazia. Fino a Giovanni, infatti, la Legge e i Profeti hanno profetato (Mt 11,13; cf. Lc 16,16), ed egli fu il primo a rivelare la presenza di Colui del quale la Legge e i Profeti annunciavano la venuta.


Quindi, è a giusto titolo che la nascita di quel bambino (cf. Lc 1,14), concesso a genitori ormai vecchi e che veniva a predicare al mondo senescente la grazia di una nuova nascita, è a giusto titolo, dicevo, che essa fu allora per molti, come resta del pari oggi, causa di gioia. E` parimenti a giusto titolo che la Chiesa solennizza questa nascita, operata in modo mirabile dalla grazia, e di cui la natura non può non meravigliarsi. In quella nascita, infatti, essa si vede accordato in anticipo un pegno sicuro di quell`altra nascita in cui la grazia restaurò la natura. La Chiesa non si dimostra ingrata, né smemorata, essa riconosce fedelmente con quale devozione e quale riconoscenza occorre accogliere il precursore che le ha fatto conoscere il Salvatore in persona.


Quanto a me, indubbiamente, con la sua nascita, mi apporta una nuova gioia quella lampada fatta per illuminare il mondo (cf. Gv 5,35), poiché è grazie a lei che ho riconosciuto la vera luce che rifulge nelle tenebre, ma che le tenebre non hanno accolto (cf. Gv 1,5). Sí, la nascita di quel bambino mi ha arrecato una gioia ineffabile, poiché essa è per il mondo una sorgente di beni tanto numerosi e grandi: difatti, egli per primo, catechizza la Chiesa, la inizia alla penitenza, la prepara con il battesimo; e cosí preparata, la rimette a Cristo e la unisce a lui; poi, avendole insegnato a vivere la temperanza, le dona, con l`esempio della sua stessa morte, la forza di andare alla morte con coraggio, e, in tutto questo, prepara al Signore un popolo perfetto (cf. Lc 1,17).


 


(Guerric d`Igny, Sermo I de Joan., 3 s.)


 


 


3. Il comportamento di Giovanni


 


Quindi, anche Giovanni alle parole di invidia rispose annunziando la vita. Infatti, aggiunge subito: Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete (Gv 1,26). Giovanni non battezza con lo Spirito, ma con l`acqua, poiché, non potendo togliere i peccati, lava con l`acqua i corpi dei battezzati, tuttavia non lava lo spirito col perdono. Perché dunque battezza colui che non rimette i peccati col battesimo, se non perché, fedele alla sua missione di precursore, egli che nascendo aveva prevenuto colui che stava per nascere, prevenga battezzando il Signore che pure si accinge a sua volta a battezzare; e colui che predicando è divenuto precursore di Cristo, battezzando divenga anche suo precursore imitando il sacramento? Egli intanto annunziando il mistero sostiene che il Signore è in mezzo agli uomini e non è conosciuto, poiché il Signore mostrandosi attraverso la carne, è visibile nel corpo ed invisibile nella sua maestà. In merito aggiunge anche: Colui che viene dopo di me fu fatto prima di me (Gv 1,15). Cosí infatti è detto: fu fatto prima di me, come dire: fu posto prima di me. Dunque viene dopo di me, perché è nato dopo, ma fu fatto prima di me, poiché mi è passato avanti. Ma dicendo queste cose poco piú sopra, rivela le cause del fatto che Cristo viene prima, quando aggiunge: perché era prima di me (ibid.). Come se dicesse apertamente: anche se è nato dopo [di me] è piú grande di me, per il fatto che il tempo della sua nascita non lo limita. Infatti, egli nasce da madre nel tempo, ma è generato dal Padre fuori del tempo.


 


(Gregorio Magno, Hom., 1, 7, 3)


 


 


4. Giovanni riconduce al Signore Dio i figli di Israele


 


«Sarà ricolmato di Spirito Santo fin dal seno della madre sua». Il popolo dei Giudei non riusciva a vedere affatto il Signore mentre egli compiva «miracoli e prodigi» (cf. Gv 4,48) e curava le loro infermità: Giovanni invece, mentre è ancora nel seno della madre, esulta di gioia e non può trattenersi, al punto che tenta, all`arrivo della madre di Gesú, di uscire dal seno di Elisabetta. Perché ecco - dice Elisabetta - appena è giunto il tuo saluto alle mie orecchie, il fanciullo ha trasalito di gioia nel mio seno (Lc 1,44). Giovanni era ancora nel seno della madre e aveva già ricevuto lo Spirito Santo: lo Spirito Santo infatti non era il principio della sua sostanza e della sua natura.


La Scrittura aggiunge poi: egli ricondurrà molti figli di Israele al Signore Dio loro. Giovanni ricondurrà «molti»; il Signore non ricondurrà molti, ma tutti: questa è la sua opera, ricondurre tutti a Dio Padre.


E precederà davanti a Cristo nello spirito e nella potenza di Elia. Non dice: nell`anima di Elia; ma: «nello spirito e nella potenza di Elia». Ci fu in Elia potenza e spirito come in tutti i profeti, e, secondo l`economia dell`incarnazione, potenza e spirito furono nel nostro Signore e Salvatore stesso. A questo proposito si dirà infatti poco dopo a Maria: Lo Spirito Santo verrà in te e la potenza dell`Altissimo ti coprirà con la sua ombra (Lc 1,35). Orbene lo spirito, che era in Elia, venne su Giovanni, e la potenza che aveva abitato in Elia si manifestò anche in lui. Quello fu trasportato in cielo, questi invece è stato il precursore del Signore, ed è morto prima di lui per discendere agli inferi e annunziare il suo avvento.


 


(Origene, In Luc., 4, 4 s.)


 


 


5. Perché la Chiesa commemora la nascita del Battista


 


Dalla lettura del santo Vangelo abbiamo ascoltato il racconto della prodigiosa nascita del beatissimo Giovanni, araldo e precursore di Cristo. La vostra carità dedichi particolare attenzione all`avvenimento della nascita di un uomo cosí grande. La Chiesa non celebra il giorno della nascita dei profeti, né dei patriarchi né degli apostoli, celebra solo il Natale di Cristo e di Giovanni. Gli stessi tempi, in cui entrambi nacquero, prefigurano un grande mistero. Giovanni era un grande uomo, ma pur sempre un uomo. Ma era un uomo cosí grande che solo Dio poteva essere piú grande di lui. Colui che viene dopo di me è piú grande di me (Mt 3,11). Giovanni disse: E` piú grande di me. Se è piú grande di te, che cosa vuol dire ciò che abbiamo sentito da lui che è piú grande di te: Tra i nati di donna non è sorto uno piú grande di Giovanni il Battista (ibid. 11, 11)? Se nessun uomo è piú grande di te, chi è colui che è piú grande di te? Vuoi saperlo? Ascolta: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio (Gv 1,1).


Cristo nasce in questo mondo come uomo, non come Dio. E in che modo Dio Verbo di Dio, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, che è nato fuori del tempo, per mezzo del quale è stato creato il tempo, nasce nel tempo? Come, mi chiedo, il Verbo, per mezzo del quale è stato creato il tempo, nasce nel tempo? Vuoi sapere come? Ascolta il Vangelo: Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14). La nascita di Cristo è la nascita della carne, non del Verbo: ma è anche del Verbo, poiché il Verbo si fece carne. Il Verbo è nato ma è nato nella carne, non in sé. In sé, invece, è nato propriamente dal Padre, ma non nel tempo.


Mirabile è la nascita di Cristo e quella di Giovanni, sebbene vi sia tanta differenza tra loro. Nacque Giovanni e cosí pure Cristo: un angelo annunziò la nascita di Giovanni, come pure un angelo annunziò quella di Cristo. Si tratta di due grandi prodigi. Il precursore servo sarà generato da una donna sterile sposa di un uomo vecchio, il Signore padrone sarà generato da una vergine senza uomo. Un uomo grande è Giovanni, ma piú grande è Cristo in quanto uomo e Dio. Un uomo grande Giovanni che tuttavia doveva umiliarsi per esaltare Dio. E poi ascolta in proposito quello che lui stesso dice: Io non son degno di sciogliere il legaccio dei suoi sandali (Gv 1,27). Se si fosse dichiarato degno, in che modo si sarebbe umiliato? E perciò non si considerò degno. Egli si prostrò totalmente, e si prostrò sotto la roccia. Egli era, infatti, una lucerna (cf. ibid. 5, 35) e temeva di spegnersi al vento della superbia.


Differenza di significato tra la nascita e la passione di Cristo e la nascita e la passione di Giovanni. Infine il giorno della nascita e il genere di passione dimostrano che ogni uomo deve essere umiliato per il Cristo e perciò anche Giovanni, e che deve essere esaltato Cristo Dio uomo. Giovanni è nato oggi, quando i giorni cominciano a farsi piú corti. Cristo è nato il venticinque di dicembre, quando i giorni cominciano a farsi piú lunghi. Giovanni, infattí, muore decapitato, Cristo invece innalzato sulla croce.


 


(Agostino, Sermo 287, 1-4)


 


 


6. La verità e l`odio


 


La verità ha generato l`odio. Non si è saputo sopportare di buon animo ciò che l`uomo santo di Dio esortava a fare: colui che ad ogni costo voleva la salvezza di quelli che in tal modo esortava. Essi risposero con male parole alle buone parole. Infatti, che cosa egli avrebbe potuto dire se non ciò di cui era pieno? E quelli che cosa avrebbero potuto rispondere se non ciò di cui erano pieni? Egli seminò frumento, ma trovò spine.


 


(Agostino, Sermo 307, 1)


Coordin.
00venerdì 27 giugno 2014 07:32
SOLENNITA` DEI SANTI PIETRO E PAOLO APOSTOLI

SOLENNITA` DEI SANTI PIETRO E PAOLO APOSTOLI


 


(29 giugno)


 


La Chiesa di Roma, sin dai tempi piú remoti, unisce tra loro questi due grandi apostoli: Pietro e Paolo. Ne danno testimonianza le piú antiche scritte nelle catacombe, i mosaici della vecchia basilica di San Pietro oppure della basilica di Santa Maria Maggiore. La prima testimonianza della festa di Pietro e Paolo, il giorno 29 giugno, l`abbiamo a partire dalla metà del III secolo. Nel IV secolo, essa viene celebrata molto solennemente. Il popolo romano, nonché molti pellegrini si recano in questo giorno alla basilica costruita da Costantino sulla tomba di san Pietro al colle Vaticano. La notte precedente la festa, si faceva la veglia notturna, che veniva conclusa dalla solenne Messa mattutina. Dopo la Messa nella basilica vaticana, il papa si recava alla basilica di San Paolo fuori le mura e questa prassi è rimasta fino ai tempi di Adriano I (+ 795). I suoi successori, per motivi pratici, si recano alla tomba di san Paolo il giorno seguente, il 30 giugno. L`unità della festa rimane cosí spezzata, benche i festeggiamenti di due giorni assumano grandiosità. In questo giorno di festa, ci si radunava ancora nelle catacombe presso la via Appia, nelle vicinanze dell`attuale basilica di San Sebastiano: è qui che durante la persecuzione dell`imperatore Valerio sarebbero stati deposti temporaneamente i corpi dei due apostoli. Le celebrazioni della festa nelle catacombe non durarono a lungo, poiché i sacramentari romani non ne parlano.


In Italia ed in Africa la Solennità dei Santi Pietro e Paolo veniva celebrata secondo il costume romano, invece in Oriente ed in Gallia nel tempo di Natale. Soltanto nel VI secolo tutta la Chiesa accetterà la data romana. Il calendario liturgico aggiornato sopprime la commemorazione di san Paolo il 30 giugno e cosí viene ripristinata l`unità originale della festa.


Oggi, la Chiesa romana celebra una grande festa, il giorno della sua natività. I due grandi apostoli - Pietro e Paolo - posero le sue fondamenta. La festa di oggi, cosí romana, viene celebrata da tutta la Chiesa, dato che il Vescovo di Roma, successore di san Pietro è il capo della Chiesa di Cristo sulla terra. Oggi, la Chiesa in modo particolare si rende conto di essere costruita sulle fondamenta degli apostoli e di essere chiamata a trasmettere fedelmente la loro testimonianza a Cristo. Pietro e Paolo ricevettero dal Signore carismi differenti e ciascuno di loro ebbe una missione diversa da compiere. Pietro, per primo, confessò la fede in Cristo; Paolo, invece, ricevette la grazia di penetrarne tutta la profondità. Pietro, fonda la prima comunità dei credenti provenienti dal popolo eletto; Paolo, invece, diventa l`apostolo dei pagani. Ebbero carismi diversi, ma tutti e due si davano da fare con costanza per costruire la Chiesa di Cristo.


Ricordando i santi apostoli, eleviamo le preghiere con la loro intercessione: affinché la Chiesa di Cristo conservi fedelmente l`insegnamento degli apostoli, perseveri nello spezzare il Pane, e affinché tutti i suoi figli abbiano un cuor solo ed un`anima sola.


Preghiamo, perché la Chiesa perseveri nella fede di Pietro e perché sia animata dallo spirito missionario di Paolo.


 


Dio onnipotente ed eterno,


che con ineffabile sacramento


volesti porre nella sede di Roma


la potestà del principato apostolico,


perché per suo tramite la verità evangelica


si diffondesse per tutti i regni del mondo,


concedi che ciò che si è diffuso per la loro


predicazione in tutto l`orbe,


venga seguito da tutta la cristiana devozione.


 


(Sacramentarium Veronense, ed. L.C. Mohlberg, Roma 1978, n. 292)


 


 


1. Nella natività degli apostoli Pietro e Paolo


 


Questo giorno ci consacrò la passione dei beati apostoli Pietro e Paolo. Non parla di alcuni martiri, poco conosciuti.


In tutta la terra si diffuse la loro fama, e fino ai confini della terra le loro parole (Is 18,5). Questi martiri videro ciò che predicarono, seguirono la giustizia, professando la verità, morendo per la verità.


Beato Pietro, primo degli apostoli, grande amante del Cristo, che meritò di ascoltare: Io ti dico, che tu sei Pietro. Aveva detto, infatti, egli stesso: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. E il Cristo a lui: E io ti dico che tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa (Mt 16,16-18).


Sopra questa pietra edificherò la fede, che tu confessi. Sopra questo che hai detto: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente, edificherò la mia Chiesa. Tu, infatti, sei Pietro.


Pietro da pietra, non pietra da Pietro.


Cosí, Pietro da pietra, come il cristiano da Cristo. Vuoi conoscere da quale pietra dice Pietro? Ascolta Paolo: Non voglio, o fratelli, che voi siate nell`errore, poiché tutti i nostri padri furono sotto la nube, e tutti passarono attraverso il mare e tutti furono battezzati in Mosè nella nube e nel mare, e tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, e tutti bevvero la stessa bevanda spirituale.


Bevevano, infatti, dalla pietra spirituale che li seguiva: ma la pietra era Cristo (1Cor 10,1-4).


Ecco donde deriva Pietro.


A Pietro che rappresentava la persona della Chiesa sono state date le chiavi del Regno dei Cieli. Ad uno sono state date, perché all`unità della Chiesa.


Cristo prima risuscita, allora adempie la Chiesa.


Il Signore Gesú elesse i suoi discepoli prima della sua passione, come sapete, e li chiamò apostoli. Tra di essi il solo Pietro, quasi ovunque, meritò di rappresentare la persona di tutta la Chiesa. A causa della stessa persona che egli rappresentava, da solo, di tutta la Chiesa, meritò di udire: E a te darò le chiavi del Regno dei Cieli (Mt 16,19).


Queste chiavi, pertanto, le ricevette non un solo uomo, ma la Chiesa unita.


Di qui, dunque, procede l`importanza di Pietro, poiché portò l`immagine della stessa universalità ed unità della Chiesa, quando gli fu detto: A te consegno, che fu tramandato a tutti. Infatti, acciocché conosciate che la Chiesa ha ricevuto le chiavi del Regno dei Cieli, ascoltate in un altro luogo ciò che il Signore dice a tutti i suoi apostoli: Ricevete lo Spirito Santo. E subito: Se a qualcuno rimetterete i peccati, gli saranno rimessi; se non glieli rimetterete, gli saranno trattenuti (Gv 20,22-23).


Questo riguarda le chiavi, delle quali è stato detto: Quelle cose che scioglierete sulla terra, saranno sciolte anche in cielo; e quelle cose che legherete sulla terra, saranno legate anche in cielo.


Ma questo lo disse a Pietro. Affinché tu sappia che Pietro rappresentava allora la persona di tutta la Chiesa, ascolta che cosa viene detto a lui in persona, e a tutti i suoi fedeli discepoli: Se il fratello peccherà contro di te, correggilo tra te e lui solo. Se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone: è scritto infatti: «Sulla parola di due o tre testimoni, si fermerà la mia parola». Se nemmeno essi ascolterà, riferiscilo all`assemblea: se neanche questa ascolterà, sia considerato da te come un pagano ed un peccatore. In verità vi dico che qualunque cosa legherete sulla terra, sarà legata anche in cielo; e qualunque cosa scioglierete sulla terra sarà sciolta anche in cielo (Mt 18,15-18).


La colomba lega, la colomba scioglie; l`edificio sopra la terra, lega e scioglie.


Temano quelli che sono legati, temano quelli che sono sciolti. Quelli che sono sciolti temano affinché non siano legati; quelli che sono stati legati, preghino affinché siano sciolti. Coi capelli dei propri peccati ognuno sarà stretto (Pr 5,22); e fuori di questa Chiesa niente sarà sciolto.


A Lazzaro, che era morto da quattro giorni viene detto: Vieni f uori. E uscí dal sepolcro, avvolto mani e piedi nelle bende. Il Signore lo sveglia, affinché il morto esca dal sepolcro; se tocca il cuore (se ciò commuove), affinché esca fuori la confessione del peccato. Ma ancora per poco è legato. Il Signore, quindi, dopo che Lazzaro uscí dal sepolcro, disse ai suoi discepoli, ai quali aveva già detto: «Qualunque cosa scioglierete sulla terra, sarà sciolta anche in cielo»: Scioglietelo e lasciatelo andare (Gv 11,43-44).


Per sé lo svegliò, per i discepoli lo sciolse.


La fortezza e la debolezza della Chiesa sono adombrate in Pietro.


Quindi la fortezza della Chiesa è lodata soprattutto in Pietro; poiché seguí il Signore che andava alla passione: anche una certa debolezza è osservata; poiché, interrogato dalla serva rinnegò il Signore. Ed esso da quel grande amatore è diventato subito rinnegatore.


Trovò sé, colui che aveva presunto di sé.


Aveva detto, infatti, come sapete: Signore, io sarò con te fino alla morte: se ci sarà bisogno che io muoia, darò la mia anima per te.


E il Signore a lui che presumeva delle proprie forze: L`anima tua tu darai per me? In verità ti dico, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte (Mt 26,33-35; Gv 13,37-38).


Avvenne ciò che aveva predetto il medico: non poté avvenire come l`ammalato aveva presunto. Ma che cosa?


Subito il Signore lo rimirò. Cosí sta scritto e cosí riferisce il Vangelo: Il Signore lo guardò, ed egli uscí fuori, e pianse amaramente (Lc 22,61-62). Uscí fuori, cioè, si pentí. Pianse amaramente colui che non aveva conosciuto di amare.


La dolcezza seguì nell`amore, la cui amarezza aveva preceduto nel dolore.


 


(Agostino, Sermo 295, 1-3)


 


 


2. La negazione e l`amore di Pietro


 


Il beato Pietro, il primo degli apostoli, che tanto amò quanto negò il Signore Gesú Cristo, come dice il Vangelo, seguì il Signore che andava alla morte; ma in quel tempo non lo poteva seguire per andar lui alla morte: lo seguí a piedi, perché ancora incapace di seguirlo nei costumi. Promise che sarebbe morto per lui e non poté morire con lui: aveva osato di piú di quanto gli promettevano le sue forze. Aveva promesso piú di quanto poteva fare, perché non era giusto che facesse ciò che aveva promesso. Morirò per te, aveva detto. Ma questo l`avrebbe fatto il Signore per il servo, non il servo per il Signore. E perché osò troppo, amò anche confusamente; perciò temé e negò. Ma poi, dopo la risurrezione, il Signore insegna l`amore a Pietro. L`amore disordinato cade sotto il peso della passione; ma a chi ama con ordine promette la passione.


Il Signore Gesú Cristo annunzia ai discepoli l`imminenza della sua passione. Pietro, che lo ama ancora secondo la carne, temendo che muoia il debellatore della morte dice: Non sia mai, non sia mai, riguardati. Non direbbe riguàrdati, se non lo riconoscesse Dio. Dunque, Pietro, se lo riconosci Dio, come puoi temere che Dio muoia? Tu sei uomo, lui è Dio. E Dio s`è fatto uomo, prendendo in sé ciò che non era, ma senza perdere ciò che era. In lui, dunque, sarebbe morto quello stesso Signore che sarebbe risorto. Pietro ebbe paura della morte umana e non avrebbe voluto ch`essa toccasse il Signore: senza saperlo, avrebbe voluto chiudere il sacco dal quale doveva venir fuori il prezzo del nostro riscatto. Sentí allora dirsi: Allontànati, satana; non parli secondo Dio, ma secondo gli uomini. Eppure poco prima, per la dichiarazione: Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivo, gli aveva detto: Beato te, Simone figlio di Giovanni, perché non te l`ha rivelato né la carne né il sangue, ma il Padre mio che sta nei cieli. Prima beato, poi satana. Perché beato? Non per lui: Non te lo ha rivelato né la carne né il sangue, ma il Padre mio. Perché satana? Per l`uomo e nell`uomo: Non parli secondo Dio, ma secondo gli uomini. Questo Pietro, che amava il Signore e voleva morire per lui, lo seguí; e la cosa andò come aveva predetto il medico, non come aveva preteso il malato. Interrogato da una serva, nega una, due, tre volte. Guardato dal Signore, piange amaramente, asciuga le lagrime della pietà e le macchie della negazione.


Risorge il Signore, appare ai discepoli; Pietro vede, vivo, colui per il quale aveva temuto la morte; vide non il Signore ucciso, ma la morte uccisa nel Signore. Rassicurato, dalla prova della stessa carne del Signore, che la morte non era poi tanto da temere, impara ad amare; ora bisogna che ami, bisogna che ami ora che ha visto il Signore vivo, sebbene fosse morto; bisogna che ami con sicurezza; con sicurezza, perché ora lo avrebbe seguito. Perciò il Signore dice: Pietro, mi ami? ed egli: Ti amo, Signore. E il Signore: Non voglio che tu muoia per me, perché mi ami; questo l`ho già fatto io per te. Che farai, allora, per me dal momento che mi ami? Pasci le mie pecore. E questo due o tre volte, perché l`amore confessi tre volte, come tre volte il timore aveva negato. Guardate, capite, imparate. La domanda è solo: Mi ami? La risposta è solo: Ti amo. Alla risposta tiene dietro: Pasci le mie pecore. Raccomandate le pecore a Pietro, preannunzia a Pietro la passione e dice: Quando eri giovane, ti cingevi e andavi dove volevi; ma, fatto vecchio, un altro ti cingerà e ti condurrà, dove non vuoi. Ma questo lo diceva per significare con quale morte avrebbe glorificato Dio. Capite che il non rifiutar la morte per il gregge del Signore fa parte dell`ufficio di pascere il gregge del Signore.


Pasci le mie pecore: Affida le pecore a uno che è capace, o è poco capace? Prima, quali pecore affida? Non pecore comprate con danaro, oro, argento, ma col sangue. Se un padrone affidasse le sue pecore a un servo, certo si chiederebbe se il servo ha come garantire il valore delle sue pecore e direbbe: Se perderà, dissiperà o mangerà le mie pecore, ha come ripagare. Affiderebbe, dunque, a un servo capace le sue pecore e chiederebbe il ricambio del danaro per delle pecore, che egli ha comprato con danaro. Ma il Signore Gesú Cristo, che affida delle pecore ch`egli ha comprato col sangue, vuole vedere l`idoneità del servo nella passione del sangue, come se dicesse: Ti affido le mie pecore. Quali pecore? Quelle che ho comprato col sangue. Son morto per esse. Mi ami? Muori per loro. Un uomo, servo dell`uomo, restituirebbe danaro per le pecore sciupate: Pietro diede il sangue per le pecore conservate.


 


(Agostino, Sermo Cass. I, 133, 1-4)


 


 


3. La continuità della dignità apostolica


 


Al motivo della nostra festa si aggiunge, inoltre, la dignità non solo apostolica, ma ancora episcopale di san Pietro che non cessa di sedere sulla sua Cattedra e conserva una incessante partecipazione alle prerogative del Sommo Sacerdote. La solidità che riceve dalla Pietra che è Cristo, egli, divenuto pietra a sua volta, la trasmette anche ai suoi eredi; e, dovunque compare una qualche fermezza, è la forza del pastore che si manifesta. Infatti se, per aver validamente sopportato i supplizi loro inflitti, dando cosí loro il modo di manifestare i propri meriti, i martiri hanno praticamente ottenuto tutti e dappertutto di poter recare soccorso agli uomini in pericolo, di scacciare le malattie e di guarire innumerevoli mali (cf. Mt 10,1), chi sarà cosí ignorante o cosí invidioso da disprezzare la gloria di san Pietro e credere che esistano porzioni di Chiesa che sfuggono alla sollecitudine del suo governo e non si accrescano grazie a lui? Eccoci di fronte ad un amore di Dio e degli uomini in pieno vigore e vita nel Principe degli apostoli, tale che neppure il carcere, le catene o le sommosse popolari, o le minacce dei re hanno potuto intimorire; cosí dicasi della sua fede invincibile che non ha ceduto nella lotta e non si è intiepidita nella vittoria.


 


(Leone Magno, De natali Petri, V, 4 s.)


 


 


4. La Chiesa è ingrandita dalle persecuzioni


 


In questa stessa città veniva Paolo, apostolo con te, vaso d`elezione e speciale dottore dei gentili, per esserti associato nel medesimo tempo in cui ogni innocenza, ogni pudore, ogni libertà venivano oppressi sotto il potere di Nerone. Il furore di questi, acceso dall`eccesso di tutti i vizi, lo precipitò in un torrente di follia, al punto da essere il primo a decretare una persecuzione generale e atroce contro il nome cristiano, come se la grazia di Dio potesse essere spenta dal massacro dei santi: questa, al contrario, vi trovava il maggior profitto, come dire che il disprezzo di questa vita effimera diveniva entrata in possesso della felicità eterna. Preziosa è dunque agli occhi di Dio la morte dei suoi santi (Sal 115,15), e nessuna specie di crudeltà può distruggere la religione fondata dal mistero della croce di Cristo. La Chiesa non è sminuita, bensí ingrandita, dalle persecuzioni; e il campo del Signore si riveste continuamente di una messe piú ricca, quando i chicchi, cadendo solitari, rinascono moltiplicati (cf. Gv 12,24). Cosí, quale discendenza hanno dato, sviluppandosi, queste due piante eccellenti, divinamente seminate, migliaia di santi martiri son là ad attestarlo: emuli dei trionfi degli apostoli, essi hanno cinto la nostra città di folle purpuree e brillanti, il cui splendore si estende al largo, e l`hanno coronata di un diadema unico ravvivato dal bagliore di numerose gemme.


Di questa protezione, carissimi, a noi divinamente largita per essere un esempio di pazienza e un sostegno nella fede, noi dobbiamo senza dubbio rallegrarci in un modo generale, quando facciamo memoria di tutti i santi; ma abbiamo motivo di gloriarci con i piú grandi trasporti di gioia per l`eccellenza di tali padri; la grazia di Dio, in effetti, li ha collocati sí in alto tra tutti i membri della Chiesa da farne quasi i due occhi del corpo di cui Cristo è la testa (cf. Ef 1,22). Dei loro meriti e delle loro virtù, superiori a quanto si possa dire, nulla dobbiamo pensare che li opponga, nulla che li divida, poiché l`elezione li ha resi pari, la fatica simili e la fine eguali.


(Leone Magno, In natali apostol., 69, 6-7)



5. Elogio dell`apostolo Paolo

Abele offre un sacrificio e n`è lodato (cf. Gen 4,4); ma se guardiamo la vittima offerta da Paolo, vediamo subito che lo supera quanto il cielo la terra. Quale volete che vi nomini? non è, infatti, una sola la vittima offerta da Paolo. Si offriva infatti ogni giorno e in due modi diversi, sia morendo ogni giorno (cf. 1Cor 15,31), sia portando attorno, senza respiro, la mortificazione nel suo corpo (cf. 2Cor 4,10). Sia, infatti, che si preparasse ad affrontare i pericoli - operando cosí un martirio nella volontà - sia che mortificasse in se stesso la natura della carne, non compiva nulla di meno dell`offerta di una vittima a Dio, anzi qualche cosa di piú. Infatti, non offriva pecore, o buoi, ma se stesso, giorno dopo giorno, e, come abbiam detto, in due modi, perciò tranquillamente disse: Io già vengo immolato (2Tm 4,6), intendendo, certo, che il suo sangue fosse un`immolazione.

Ma non si contentò di questi sacrifici soltanto. Poiché si era già pienamente consacrato a Dio in se stesso, cercò di offrirgli anche tutto il mondo, la Grecia e il mondo dei barbari; e, per quanto è grande, la terra, quasi a volo, la girò tutta e non con poca fatica, come se andasse a spasso, ma strappando le spine dei peccati e seminando dappertutto la parola della pietà, fugando gli errori, riportando la verità e facendo gli uomini angeli; piú precisamente, mutando gli uomini da demoni in angeli. Perciò, sul punto di andarsene dopo tanti sudori e trionfi, a consolazione dei discepoli diceva: Se vengo immolato, son contento e ne gioisco con voi, perciò, anche voi, siate contenti e gioitene con me (Fil 2,17). E che cosa c`è mai che si possa paragonare a questa vittima che Paolo offrí con la spada dello Spirito Santo e la depose su quell`altare che sta al di sopra dei cieli? Abele poi cadde per l`inganno del fratello (cf. Gen 4). Ma io ti posso mostrare in Paolo tante morti, quanti furono i giorni ch`egli visse predicando. Se poi vuoi proprio vedere la morte che mise fine a tutto, guarda che Abele fu ucciso da un fratello che egli non aveva in nessun modo offeso, ma al quale neanche aveva fatto dei benefici, Paolo invece fu ucciso da coloro, che egli voleva strappare da mali infiniti e per i quali aveva sostenuto tutte le fatiche e pene, che aveva sostenuto.

 

(Giovanni Crisostomo, De laudib. S. Pauli Ap., I )


Coordin.
00domenica 24 agosto 2014 11:44
FESTA DELLA TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE

FESTA DELLA TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE


 


(6 agosto)


 


La festa della Trasfigurazione del Signore compare in Oriente nel V secolo ed è celebrata il 6 agosto. La scelta della data non è casuale, si riferisce al 6 gennaio quando si commemora la prima grande teofania di Gesú, durante il Battesimo nel Giordano. La liturgia romana commemorava il mistero della Trasfigurazione nella seconda domenica della Quaresima, collegandola strettamente al mistero della Passione del Signore. In Occidente, la prima menzione della festa risale al X secolo e ben presto essa viene celebrata in molte Chiese di Francia. Un ulteriore sviluppo della festa è legato all`incremento della pietà verso i luoghi sacri in Palestina al tempo delle crociate. Callisto III, nell`anno 1457, in segno di gratitudine per la vittoria riportata sui Turchi, introduce la festa nel calendario della Chiesa universale.


Gesú prese con sé Pietro, Giacomo e suo fratello Giovanni e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro (Mt 17,1). Gesú, Dio da Dio, Luce da Luce, della stessa sostanza del Padre, manifesta ai discepoli la gloria che egli ha presso il Padre. I discepoli caddero con la faccia a terra vedendo la gloria del Figlio di Dio. Gesú, nella sua divina sapienza, li prepara a sostenere lo scandalo della Croce. Poi capiranno che, per arrivare alla gloria che hanno visto, bisogna percorrere la via della croce, come il Signore. Guardando «Cristo trasfigurato», la Chiesa si rende conto che è diretta verso la gloria in cui è avvolto Cristo. Vuole capire, che prima di partecipare alla gloria del Signore, deve prima aver parte alla sua Croce. Cosí impara a vedere il senso di tutto ciò che sperimenta nel suo cammino attraverso la storia. Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua, disse il Signore (Mt 16,24). Nella festa della Trasfigurazione, noi prendiamo di nuovo la nostra croce, ci rafforziamo nella nostra personale via della croce, siamo disponibili ad accettare tutto, rinnoviamo la fede nelle parole di Cristo. Ci rivolgiamo un`altra volta al Signore, gli stiamo vicini.


 


O Cristo Dio,


tu ti sei trasfigurato sul monte


e i tuoi discepoli hanno potuto contemplare


la tua gloria secondo la loro possibilità,


perché vedendoti poi crocifisso,


potessero credere volontaria la tua Passione


ed annunziassero al mondo


che tu sei veramente lo splendore del Padre.


 


(Liturgia Bizantina, EE, n. 3057)


Coordin.
00domenica 24 agosto 2014 11:45
SOLENNITA` DELL` ASSUNZIONE DELLA B

SOLENNITA` DELL` ASSUNZIONE DELLA B.V.M.


 


(15 agosto)


 


Il 15 agosto, si celebrava in Oriente una delle piú antiche feste mariane, molto popolare tra i fedeli. Secondo quanto indicano le letture della Messa, conservate finora, era una festa in onore di Maria, Madre di Dio. All`inizio del VI secolo, in Palestina ed in Siria, questa festa diviene la memoria dell`Assopimento di Maria. A Gerusalemme, le celebrazioni si svolgono nella chiesa presso il Giardino degli Ulivi dove si trovava la tomba, dalla quale, come si riteneva, Maria fu assunta in Cielo. La grande popolarità dell`apocrifo Transitus Mariae, nonché l`afflusso dei pellegrini sembrano essere la causa del cambiamento del contenuto teologico della festa. L`imperatore Maurizio (582-602) prescrive di celebrare l`Assopimento di Maria in tutta la Chiesa orientale. La Chiesa romana accolse la festa mariana del 15 agosto nel VI secolo, e nella metà del VII secolo, sotto influsso della Chiesa bizantina, la celebra quale festa dell`Assopimento della Beatissima Vergine Maria. Il Sacramentario Gregoriano le dà il nome di «Assunzione» di Maria. Papa Sergio (+ 701) introduce la solenne processione notturna.


Verso la fine del X secolo, si congiunge con la festa dell`Assunzione di Maria il costume di benedire le erbe medicinali. Il costume si richiamava alla piú antica tradizione orientale in cui, nella festa del 15 agosto, si benedicevano i campi. In questo giorno, fino ad oggi, i fedeli portano in chiesa i frutti del loro lavoro nei campi, giardini, frutteti per presentarli a Dio.


Maria con l`anima e il corpo fu assunta in Cielo, questa la sostanza della festa che la Chiesa celebra con grande gioia. Non ha subito la corruzione della tomba e questo suo nuovo privilegio è implicato nel primo. Maria fu preservata dalla macchia del peccato originale, perciò adesso non deve sottostare alle sue conseguenze. Ha partorito il Figlio di Dio, il Datore di tutta la vita, per questo la morte non può toccarla. Ha partecipato nel modo piú pieno al mistero salvifico di Cristo ed ecco che in lei si rivela già fin da ora la pienezza della salvezza portata da Cristo. Per prima raggiunse la salvezza, diventò l`immagine della Chiesa della gloria e per il popolo pellegrinante un segno di speranza e di consolazione.


Nell`Assunzione di Maria e la sua piena unione con Cristo risorto dai morti possiamo sperimentare la sua viva ed efficace presenza nella Chiesa, la sua spirituale maternità. Come Maria, abbiamo parte al mistero salvifico di Cristo e come lei tendiamo alla gloria del Cielo: ci arriveremo se cercheremo con costanza le cose di lassú. L`intercessione di Maria ci riempia con l`amore, ci sostenga sulla via che porta alla gloria, ci rafforzi nella perseveranza.


 


Si elevi, o Padre, a favore del tuo popolo la preghiera della


Madre di Dio,


che, se per la nostra condizione mortale


ha dovuto abbandonare questa vita,


si allieta ora, gloriosa e potente,


presso il tuo trono.


 


(Messale Ambrosiano, Milano 1976: Assunzione della B.V.M. Vigilia, Orazione a conclus. liturg. parola)


 


 


1. La morte della Vergine e la sua Assunzione


 


Mentre medito e molto spesso ritorno in spirito sull`Assunzione della Madre di Dio, un problema mi si presenta, degno di esame, utile da risolvere e che vi apparirà dolcissimo una volta comunicatovi. Ci si chiede in effetti perché, in occasiose dell`Ascensione del Signore, sua Madre, che lo circondava di indicibile affetto, non lo abbia subito seguito. Nessuna ombra di peccato l`aveva oppressa, nessuna macchia aveva insozzato la sua vita; la sua carità la rendeva piú ardente di un braciere, la sua castità piú brillante della luce, il suo parto virginale inaudito piú splendente degli stessi abitanti dei cieli: sembra quindi sbalorditivo che essa non sia stata subito condotta in cielo insieme al Figlio.


Senza dubbio, Enoch camminò con Dio nella purezza del cuore, e non lo si vide piú perché Dio lo rapí. Del pari, è scritto che Elia, infiammato dal bruciante zelo della carità, fu rapito su un carro di fuoco trainato da cavalli di fuoco. Mentre lei, che superava Enoch per la purezza del cuore, ed era piú grande di Elia nel privilegio dell`amore, perché mai non è stata portata in cielo immediatamente insieme a colui che ella aveva partorito? Essa era infatti piena di grazia e benedetta tra tutte le donne. Essa sola ha meritato di concepire il Dio vero da Dio vero. Vergine, essa lo ha messo al mondo; vergine, lo ha allattato, stringendolo al suo seno, e lo ha nutrito in tutto con la devota premura di una serva. Infine, essa ha sofferto nello spirito piú che nella carne con lui morente, ed è rivissuta in spirito con lui quando è risorto. Perché allora non ascende con lui quando egli ascende? Certo, la sua carne santissima, che fu incinta per opera dello Spirito Santo, che si gonfiò del germe del gran Re, nella quale Dio si è fatto uomo, il Verbo si è fatto carne, e in cui, per la mediazione di Cristo, la pienezza della divinità abitò corporalmente (cf. Col 2,9), avrebbe dovuto, cosí sembrerebbe, essere introdotta in cielo fin dal momento in cui vi salí il Signore. Perché allora questo ingresso venne ritardato almeno per breve tempo ed essa restò separata da suo Figlio? Perché il suo desiderio sí santo, ardente piú del fuoco, non fu subito appagato?


Si è che questo intervallo non fu di lieve consolazione per i discepoli di Cristo. L`intervallo non tolse nulla alla madre, mentre apportò al mondo rimedi di salvezza. Il Signore Gesú volle in effetti che, dopo il suo ritorno al Padre, gli apostoli potessero gioire dell`assistenza ed educazione materne. Per quanto già istruiti dallo Spirito, essi avevano ancora molto da imparare da colei che dette al mondo il Sole di giustizia e fece scaturire per noi dal suo seno immacolato, come da un prato verginale, la sorgente della Sapienza. Infine, nella sua mirabile bontà, la Provvidenza ha voluto che la Chiesa primitiva, che non vedeva piú Dio presente nella nostra carne, potesse vedere la sua madre ed essere confortata da cosí amabile vista.


Cosa c`è infatti di tanto amabile, di tanto bello e di tanto dilettevole quanto la vista della madre del Creatore e Redentore di tutti? Se tanto si desidera vedere con i propri occhi il sepolcro del nostro Redentore, ancora in piedi a tutt`oggi; se la pietra sulla quale ha riposato il santo tronco di Iesse esercita una si potente attrattiva e gode una tal fama, tanto da richiamare a sé gli affetti e i pensieri di tutti e, con un fascino religioso attira tutti a sé, quale gioia - e di quale valore - non dovette essere la vista della madre di Dio fino a quando la tenerezza divina permise che rimanesse con noi sulla terra, secondo il comune destino?


O felice nazione, o beata generazione che meritò di essere illuminata da un tale spettacolo! Sì, beata quella generazione fedele e gioiosa in seno alla quale è stato piantato l`albero che produsse il frutto della vita, ha brillato la madre della luce vera, è apparso quel pozzo chiuso e sigillato dal quale è sgorgata la sorgente della casa di David, aperta per la purificazione dei peccati e delle sozzure. Tale insigne privilegio, quel dono celeste, quella grazia speciale sono stati accordati alla Chiesa dei primi cristiani.


Infine, la Vergine madre apriva l`accesso a tutti i carismi che erano in lei. Brillante del fuoco del santo amore, al primo sguardo infatti bruciava soavemente il cuore di chi l`avvicinava ispirava la fede alle anime, consigliava la modestia, adornare il pudore, attraendo alla pietà. Esalava il fiore [sic] della verginità, seminava il campo nuovo della castità, offrendo agli occhi la virtù dell`umiltà e mostrando i segni della sincerità. Attorno a lei, uno splendore senza declino, e sul suo volto un fuoco ardente. Un fiume di fuoco, rapido, usciva da lei per bruciare i suoi nemici, per scaldare i suoi amici, soccorrere i prossimi e ridurre in cenere quelli che non l`amavano...


E se per gli uni, cioè per i nemici, essa era odore di morte per la morte, per gli altri, coloro che credevano nel Figlio suo, era odore di vita per la vita. Come infatti tutti muoiono in Eva, cosí in Maria tutti saranno vivificati. E come del pari per la colpa di Eva il mondo fu condannato, così per la fede di Maria l`universo fu riabilitato. L`una, fu infettata da un veleno mortale che trasmise ai suoi discendenti; l`altra, fu impregnata da una medicina vitale che trasfuse in tutti i fedeli. L`una, cadde per aver avuto la sventura di credere al serpente; l`altra, si alzò, e secondo la promessa di Dio nella Genesi, schiacciò il capo del serpente. Annunciata fin dall`inizio, ed ora concessa alla Chiesa dei primi cristiani; promessa da sempre, e manifestata alla fine dei tempi.


Chi dunque non si affretterebbe, chi dunque non accorrerebbe dalle estremità della terra per contemplare la bellezza di quella maestà venerabile, e vedere quel volto ornato da ogni sorta di dolcezza, ed anche da dignità sovrana e da potenza senza pari? Certo, nulla di simile si poteva trovare tra i figli e le figlie di Adamo; nulla di uguale tra i profeti, gli apostoli o gli angeli. Il cielo e la terra niente hanno prodotto che possa essere a lei paragonato. Chi dunque, sotto le nubi, sarà confrontato con lei o sarà simile alla madre del Signore tra i figli di Dio?


Considera quanto fosse normale che, già prima della sua assunzione, il suo nome abbia brillato, ammirabile su tutta la terra, e la sua fama celeberrima si sia diffusa dovunque, prima ancora che la sua magnificenza si fosse elevata al di sopra dei cieli. Conveniva infatti che la Vergine madre, per l`onore stesso del Figlio, regnasse dapprima sulla terra, e potesse alla fine ricevere in eredità i cieli con la gloria; che fosse ricolmata quaggiú per penetrare lassú in una santa pienezza; e quasi trasportata di virtù in virtù, così lo fu di splendore in splendore dallo Spirito del Signore.


Presente nella carne, essa gustava dunque in anticipo le primizie del regno futuro, ora elevandosi a Dio in sublimità ineffabili, ora condiscendendo verso il prossimo in carità indicibile. Da una parte, era circondata dalle deferenze degli angeli; dall`altra, era venerata dal servizio degli uomini. Con gli altri angeli, l`assisteva l`arcangelo Gabriele; e Giovanni, felice di essersi visto affidare sotto la croce, lui vergine, la Vergine madre, la serviva al pari degli altri apostoli. Gioivano al vederla, gli uni la loro regina, gli altri la loro maestra, e tutti le tributavano affettuosa devozione.


 


(Amedeo di Losanna, Hom. 7 in Assumpt.)


 


 


2. L`Assunzione non toglie al mondo la protezione misericordiosa di Maria


 


E` ora, dice il Signore, che ti porti con me, o Madre mia. Come hai riempito di gioia la terra e coloro che abitano in terra, o piena di grazia, così rallegra i celesti. Fai lieta la casa del Padre mio: ravviva gli spiriti dei santi. Vedendo infatti la tua festosa Assunzione tra una moltitudine di angeli si renderanno conto che, per tuo mezzo, una porzione di loro stessi venga ad abitare nella mia luce. Vieni, dunque, con gioia. Ave anche ora e sii felice, come già quella volta (Lc 1,28); hai, infatti, la pienezza di quanto veniva significato con le parole piena di grazia. Ricevesti un messaggio di gioia, quando stavi per concepirmi; godi ora che sei invitata all`Assunzione con me. Non ti turbi l`abbandono di un mondo, che si corrompe con i suoi desideri. Tu superi la sua corruzione; e non è che lasci privi del tuo aiuto coloro che sono nel mondo; ma come io, che non sono del mondo, guardo con occhio di misericordia coloro che sono nel mondo e li guido con la mia provvidenza, così, fino alla fine, non sarà mai tolta al mondo la tua protezione.


L`abbandono della cura della carne non ti farà perire: ti volgerai a una vita piú vivace, a un riposo di gioia, alla piú grande e tranquilla pace, a una vita senza affanni, a piaceri senza macchia, a un`eternità serenissima, a una letizia immortale, a una luce senza tramonto, a un giorno senza sera; ti volgerai a me, Creatore tuo e di tutte queste cose. Perché dove son io, ivi è la vita eterna, la gioia incomparabile, un`abitazione unica, una città non soggetta a morte. Perciò dove sono io, devi stare anche tu, madre inseparabile, nel Figlio indiviso. Dov`è Dio, c`è ogni bene, ogni piacere, tutto è giocondo. Nessuno che ha visto il mio splendore, pensa d`andar via. Nessuno che ha assaggiato la mia pace, vuole piú le cose di un mondo che perisce. Chiedi a Pietro, se ci sia un paragone tra il mondo e il Tabor, dove egli poté vedere per un momento il mio splendore.


Mentre eri nel mondo corruttibile, ti mostrai la mia potenza in visione, ora che ne esci, io mi ti mostrerò a faccia a faccia. Non ti dispiaccia di lasciare alla terra ciò ch`è proprio della terra. Il tuo corpo è mio; e poiché son miei tutti i confini della terra, nessuno porterà via nulla dalle mie mani. Afiidami il tuo corpo; anch`io diedi in custodia la mia divinità al tuo utero. La tua anima vedrà la gloria del Padre; il tuo corpo illibato vedrà lo splendore del Figlio unigenito; il tuo spirito immacolato vedrà la maestà del santissimo Spirito.


La morte non avrà nulla da gloriarsi su di te, poiché tu hai portato nel tuo ventre la Vita. Sei stata il mio recipiente; nessuna cosa lo spezzerà, nessuna caligine ti porterà nel buio. Vieni da tuo Figlio di buon animo, voglio farti felice, come lo può volere un figlio: voglio ricompensarti per avermi ospitato nel tuo seno: voglio ripagarti per il latte che m`hai dato: voglio contraccambiarti l`avermi allevato; voglio darti testimonianza che sei mia madre. Tu che, o Madre, hai avuto me come tuo unigenito, vorrai certo stare con me; so molto bene che non puoi portare il tuo amore a un altro figlio. Io ti ho fatta vergine madre. Io ti farò madre felice di tuo Figlio. Ti farò il mondo debitore e farò piú gloriosa la tua uscita dal mondo. Ti farò muro del mondo, ponte di quelli che sono sbattuti dai flutti, bastone di quelli che non si reggono, avvocata dei peccatori, scala che porti al cielo i mortali.


Vieni felice. Apri il paradiso, che Eva tua parente, compagna della tua razza, aveva chiuso. Vieni nella gioia di tuo Figlio. Lascia la terrena Gerusalemme: corri alla città celeste; perché il pianto della Gerusalemme terrena durerà poco, come sta scritto: ci sarà un gran pianto, come il pianto del melograno, che vien tagliato nel campo (Zc 12,11). Stenditi nel sepolcro di Getsemani, ma solo in apparenza: non vi ti lascerò a lungo sola. Verrò da te, appena sarai stata seppellita, non per essere un`altra volta concepito ma perché tu sia mia compagna. Adagia con fiducia il tuo corpo sul Getsemani, come io, prima della passione, in quello stesso luogo prostrai le ginocchia del mio corpo. Come io dal punto, ove avevo piegato le ginocchia, mi recai liberamente alla morte vivifica della mia croce, cosí tu, dopo la deposizione del tuo corpo, sarai subito portata alla vita.


Verranno da te i miei discepoli e il tuo funerale sarà curato con riverenza dalle loro mani, ed essi sono i figli spirituali della mia luce. A loro, ne sei testimone, ho dato la grazia dell`adozione; perciò mentre essi ti rendono onore, pensa che sia io a renderti gli onori e che io stesso con le mie mani accudisca ai tuoi funerali. Neanche è bene, infatti, che facciano questi uffici per te altri che i miei apostoli, nei quali abita anche lo Spirito Santo, e che rappresenteranno la mia persona, o immacolata, agli onori dei tuoi funerali.


 


(Germano di Costantinopoli, Hom. in Assumpt., nn. 1824-1826)


 


 


3. Catechesi dello stesso Neofito sulla santa, augusta, beata Dormizione della purissima nostra Signora, la Madre di Dio


 


Ecco l`augusta, veneranda e beata Dormizione dell`immortale Madre di Dio; ecco, il santuario della divinità che è principio di vita oggi ascende alla vita senza fine; la Sposa del Re delle celesti potenze è trasportata ai talami celesti, la fiaccola ritorna alla luce che non tramonta; ecco, il palazzo del Re della gloria sale ai magnifici regali conviti, il trono del Re increato è riportato alla casa del Re; ecco, la mensa immacolata e pura ci invita tutti a banchettare, a dissetarci, ad essere illuminati. Ci pone innanzi il pane di vita, mesce nella coppa una bevanda purificatrice: «Ecco il pane, dice, che per mezzo mio vi è dato, ecco il calice colmo dal suo puro costato che dona la vita». Ad alta voce Ella ci esorta: «Orsú mangiate il mio pane che dà la vita; non mangiate pane non nostro, per non morire. L`allettante pane del peccato è mortifero, e colui che lo porge è un omicida. Ma io, che per natura sono vita, vi offro un pane di vita. Mangiate dunque degnamente del mio pane, per non morire, e bevete il vino che vi ho versato, e inebriatevi «dell`abbondanza della mia casa». Nessuno di voi, furtivamente, con peccaminosa propensione, beva il vino del piacere, per non ubriacarsi di malizia e di perversità ed essere abbandonato in balia del suo giudizio pervertito, sì da commettere azioni indegne. Coloro infatti che preferirono quella bevanda estranea, corrosiva e torbida alla mia che è santa, pura e vivificante, sono stati giustamente paragonati a bestie senza ragione, si fecero simili ad esse, vivendo una vita da bruti e compiendo, senza vergognarsi, opere degne di morte. Rivolto a siffatti uomini, il mio Figlio e Dio, pane di vita e distruttore di morte, porge l`invito a chi ha orecchie da intendere e dice apertamente: "Mangiate il mio pane e bevete il vino che vi ho versato. Abbandonate la stoltezza e vivrete; fatevi un giudizio, per vivere: fatevi un giudizio con cognizione. Non vi è infatti altra cosa che divenga causa di stoltezza, di follia e di morte, all`infuori del peccato e del suo frutto. Lasciate dunque la stoltezza del peccato, e vivrete; fatevi un giudizio di castità, per vivere e non morire"».


Cosí spiritualmente ci parla la Madre della vita. Da parte nostra, studiamoci di onorare coi fatti e con le parole la sua Dormizione veneranda, degna d`onori divini, davvero beata e immacolata. Coi fatti onoreremo la Tutta pura e intemerata, mediante una vita intemerata e un comportamento puro; con le parole poi, proclamandole: Ti diciamo beata, noi, generazioni tutte, o Madre della vita, come tu stessa hai profetizzato. Ti diranno sempre beata, ma soprattutto oggi, le schiere degli angeli e le folle dei mortali. Tutto il corso della tua vita si svolse beato e immacolato: in modo beato, mirabile, per dono di Dio sei stata concepita, generata e nutrita; in modo beato e ineffabile hai pure concepito il Verbo beato, e dopo aver dato alla luce l`Inenarrabile al di là di ogni parola ed intendimento, sei rimasta prodigiosamente Vergine come prima del parto. Giustamente dunque, o Beatissima, tutte le generazioni ti dicono beata. Poiché dunque fu tutto beato, e immensamente beato, quanto ti riguardava, ti toccò in sorte una fine ugualmente beata e veneranda: ricevesti un premio celeste dal tuo Signore, che per grazia ti era Figlio; per onorare la tua salma si riuní in aria il coro degli apostoli, mentre scendevano dal cielo, volando, gli eserciti degli angeli insieme al tuo Figlio e Signore, nelle cui sante mani consegnasti il tuo spirito. Quale mortale dunque potrebbe degnamente lodare te, che il Dio Verbo glorificò e le potenze celesti e i cori degli apostoli, ieri, ora e sempre dicono beata, perché Madre di Dio?


O Sposa beata, intatta, immacolata, divinamente accetta del Padre immortale, o ricettacolo del divino Paraclito, o Madre del Re della gloria, ricordati di quanti celebrano la memoria della tua santa traslazione; e in questo giorno della tua vivificante Dormizione supplicalo - tu che hai confidenza materna - per tutti noi, perché addormenti, per tua intercessione, o Purissima, le nostre insonni passioni e risvegli la nostra mente a vigilare sui suoi comandamenti, affinché - per tua mediazione, cooperazione e grazia - possiamo anche noi aver parte tra i suoi eletti ed essere trovati degni di inneggiare con loro in modo degno e per sempre a quel santissimo, uno e trino Splendore: a cui conviene ogni gloria, onore e adorazione, ora e sempre e per i secoli dei secoli. Amen.


 


(Neofito il Recluso, Inediti, «Marianum», nn. II-IV, 1974, pp. 293-295)


 


 


4. Maria la nuova donna


 


E` veramente cosa degna e giusta, conveniente e salutare, che noi ti ringraziamo, Signore santo, Padre onnipotente, Dio eterno, che, per un tuo ineffabile dono, hai fatto sì che la natura umana diventata cosí diversa da te per il peccato e per la morte, non perisse nella dannazione eterna, ma proprio di là, onde il peccato aveva tratto la morte, la tua pietà immensa traesse la riparazione, poiché Maria, la nuova donna immacolata, riparò il delitto della prima donna. Maria, infatti, salutata da un angelo, adombrata dallo Spirito Santo, poté dare alla luce colui che col suo cenno, fece nascere tutte le cose; Maria che poté guardare estasiata l`integrità del suo corpo e il frutto della sua concezione e poté avere la sorte di generare colui che l`aveva fatta, Gesú Cristo nostro Signore.


 


(Sacramentarium Gregorianum, Praefatio in Assumpt., n. 1688)


Coordin.
00domenica 24 agosto 2014 11:47
ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE


 


(14 settembre)


 


L`origine della festa è connessa alla dedicazione della basilica del Sepolcro del Signore eretta dall`imperatore Costantino sui luoghi sacri della Crocifissione e della Resurrezione: essa ebbe luogo il 13 settembre dell`anno 335. Il giorno seguente, cioè il 14 settembre, furono esposte alla pubblica adorazione le reliquie della santa Croce, le quali, come si credeva, furono ritrovate da sant`Elena il 14 settembre dell`anno 320. Ogni anno la solennità della dedicazione della basilica veniva celebrata con grandiosità; l`esposizione delle reliquie della santa Croce passava invece in secondo piano. Col tempo, però, specialmente dopo che l`imperatore Eraclio ebbe ricuperato, nell`anno 628, il legno della Croce rubato dai Persiani durante l`invasione della Palestina, l`accento viene spostato: l`adorazione della Croce comincia a prevalere. Da Gerusalemme, la solennità della venerazione della Croce si estende alle altre Chiese orientali, e quelle che erano in possesso della santa reliquia la celebravano in modo particolarmente solenne.


Nella Chiesa occidentale, la solennità della Esaltazione della Santa Croce compare verso la metà del VII secolo, e con la crescita del culto della santa Croce, la festa acquista importanza sempre piú grande. A Roma, probabilmente papa Sergio (+ 701) introduce l`esposizione e l`adorazione delle reliquie della santa Croce conservate nel palazzo lateranense, costume che durò fino agli inizi del XIII secolo.


Mentre Roma però celebrava la festa della Croce seguendo la Chiesa di Gerusalemme, commemorando cioè nello stesso tempo il ritrovamento e l`esaltazione, le Chiese di Gallia, basandosi su altre tradizioni, introdussero la festa del Ritrovamento della Croce il 3 maggio. Nel periodo carolingio, questa festa entrò nella liturgia romana e durò fino all`anno 1960.


Siamo di fronte al mistero della Croce di Cristo. Dio ha compiuto la redenzione dell`uomo attraverso la morte del Figlio suo Unigenito sul legno della Croce. Soltanto Dio, nella sua sapienza e potenza, ha potuto trasformare la morte in fonte della vita. Una volta, dall`albero del paradiso traeva vittoria Satana, da lí anche sorgeva la morte; ora, dall`albero Satana viene sconfitto e dall`albero della Croce risorge la vita. La Croce diventa un altare su cui si offre il sacrificio per i peccati di tutto il mondo. Cristo sulla Croce stende le sue mani per attrarre tutti a sé ed acquistare al Padre un popolo santo.


La Croce sta al centro della vita della Chiesa, la quale nell`Eucaristia rende continuamente presente il Sacrificio della nostra redenzione.


Il discepolo di Cristo prende la sua croce quotidiana e segue le orme del suo Maestro. Non si vergogna della Croce, che sembra essere stoltezza e scandalo per molti: per lui, la Croce è potenza di Dio e sapienza di Dio (cf.1Cor 1,23). Accoglie la Croce col cuore, segna con la Croce la sua fronte, la pone in molti luoghi sulla terra, specialmente dove abita e lavora. Benché non comprendiamo il mistero della Croce di Cristo ed il mistero della nostra croce, preghiamo con le parole: Di null`altro mai ci glorieremo se non della Croce di Gesú Cristo, nostro Signore: egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione. Per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati (cf. Gal 6,14).


 


O Dio al quale obbediscono tutte le creature


e tutto nel Verbo facesti con sapienza,


supplici preghiamo la tua ineffabile clemenza,


affinché coloro che per il legno della santa Croce


del Figlio tu con pietoso sangue


ti sei degnato redimere,


tu che sei il legno della vita


e il restauratore del paradiso,


estingui in coloro che ti invocano


l`antico veleno del serpente


e per la grazia dello Spirito Santo


infondi sempre in loro la bevanda di salvezza.


 


(Sacramentarium Gelasianum, ed. L.C. Mohlberg, Roma 1968, n. 870)


 


 


1. Delle cose del Cristo nessuna è piú meravigliosa della croce


 


Quantunque, poi, ogni azione e manifestazione del Cristo sia splendida, divina, meravigliosa: niente, tuttavia, fra tutte è piú degna di ammirazione, che la croce, di per sé degna d`ogni venerazione.


Né, infatti, la morte fu distrutta da nessun`altra cosa, se non per la croce del Nostro Signore Gesú Cristo (Cirill. Ger., Catech. 1, 14), che distrusse il peccato del primo uomo, spogliò l`inferno, ridonò con la risurrezione la vita, la forza sia come presenza, come concessa a noi per disprezzare la stessa morte, il ritorno preparato per l`antica beatitudine, le porte del paradiso spalancate, la nostra natura collocata alla destra di Dio, finalmente noi, divenuti figli ed eredi di Dio, se non per la croce del Nostro Signore Gesú Cristo (Cirill. Ger., Catech. 1, 14).


Ecco la morte che col fatto del Cristo, cioè la croce che rivestì noi della sapienza del Dio sostanziale.


La virtù, invero, di Dio, viene detta verbo della croce, poiché la potenza e la forza di Dio, cioè la vittoria contro la morte, si è manifestata a noi per mezzo di essa; poiché come quattro parti


della croce tra di loro aderiscono e sono congiunte per il punto centrale, cosí la sublimità e la profondità in virtù della potenza di Dio, la lunghezza cioè in cui ogni creatura visibile ed invisibile è contenuta.


Il segno della croce distingue i fedeli e gli infedeli tra di loro.


Questo è lo scudo, questa è l`armatura, e il trofeo contro il demonio.


Questa è la difesa, affinché l`angelo sterminatore non ci tocchi, come dice la Scrittura (cf. Es 9,12).


Questo è l`innalzamento di quelli che giacciono, il fulcro di quelli che stanno in piedi, il bastone degli infermi, la verga delle pecore, il sostegno di quelli che si ravvedono, la perfezione di quelli che partono, la salvezza dell`anima e del corpo, l`allontanamento di tutti i mali, la causa di tutti i beni, la distruzione del peccato, la pianta della resurrezione, il legno della vita eterna.


L`adorazione della croce, e delle altre cose che il Cristo sacrificò col suo contatto.


Pertanto, questo legno invero, sano e venerabile, nel quale Cristo per noi si offrí come vittima, santificato dal contatto del santissimo corpo e sangue, deve essere adorato debitamente...


Che anzi noi adoriamo anche il simbolo della croce preziosa, che dà vita, di qualsiasi materia sia stata costruita: non perché noi veneriamo la materia (questo non voglia Dio), ma il simbolo col quale Cristo è indicato.


Infatti, Egli stesso, ammonendo i suoi discepoli: Allora, disse, apparirà nel cielo il segno del Figlio dell`uomo (Mt 24,30), significava certamente la croce.


Ed in seguito l`angelo della resurrezione del Cristo diceva alle donne: Voi cercate Gesú Nazareno crocifisso (Mc 16,6). E l`Apostolo: Noi predichiamo Cristo crocifisso (1Cor 1,23).


Molti, infatti, sono di Cristo e di Gesú, ma uno semplicemente crocifisso.


Non dice, trafitto dalla lancia, ma «crocifisso». Per la qual cosa il segno della croce, noi dobbiamo adorarlo: dove, infatti, ci sarà la croce, ivi ci sarà lui stesso.


Del resto la materia della quale consta la croce, una volta distrutta non si può piú adorare.


Tutte le cose, dunque, che sono dedicate e consacrate a Dio, cosí noi le adoriamo, perché riferiamo a lui il loro culto.


Il legno è figura della vita della croce.


Il legno della vita, che è stato posto da Dio in paradiso, portò la figura della croce, degna di venerazione.


Poiché, infatti, attraverso il legno si era aperta la via alla morte (cf. Gen. 2 e 3) conveniva che per il legno anche la vita e la resurrezione fossero donate.


Per primo Giacobbe, adorando la grandezza della verga di Giuseppe (cf. Gen 47,31) designò la croce; e benedicendo i figli (cf. Gen 48,14) chiudendo le palme delle mani, designò apertamente l`immagine della croce.


La stessa cosa indicarono (Quaest. ad Antioch., 63) sia la verga di Mosè, con la quale come da una croce fu percosso il mare, e portando la salvezza d`Israele, sommerse Faraone nelle acque (cf. Es 14,16) sia estendendo in forma di croce le mani, e volgendo gli Amaleciti in fuga (cf. Es. 17,11): l`acqua amara, in seguito, fu addolcita dal legno (cf. Es 15,25) e la roccia, per opera della verga, fendendosi diedero latte (cf. Es 17,6); la verga di Aronne, sacerdote, sancí, a causa del divino responso, la propria dignità (cf. Nm 17,8-9); innalzato, a guisa di trofeo di legno il serpente, come morto (cf. Nm 21,9), apportando il legno la salvezza a quelli che con fede guardavano il nemico morto; cosí il Cristo, nella sua carne ignara del peccato, fu confitto al legno della croce.


Il grande Mosè esclama: Vedrete la vostra vita pendente dal legno coi vostri occhi (Dt 28,66).


Similmente Isaia: Tutto il giorno ho esteso le mie mani, al popolo che non credeva e mi contraddiceva (Is 65,2).


Noi che adoriamo la croce, possiamo giungere all`ultima partecipazione del Cristo che è stato affisso alla croce. Amen.


 


(Giovanni Damasceno, De fide ortod., 4, 11)


 


 


2. Non vergognarsi della Croce di Cristo


 


Che nessuno, dunque, si vergogni dei segni sacri e venerabili della nostra salvezza, della Croce che è la somma e il vertice dei nostri beni, per la quale noi viviamo e siamo ciò che siamo. Portiamo ovunque la Croce di Cristo, come una corona. Tutto ciò che ci riguarda si compie e si consuma attraverso di essa. Quando noi dobbiamo essere rigenerati dal battesimo, la Croce è presente; se ci alimentiamo di quel mistico cibo che è il corpo di Cristo, se ci vengono imposte le mani per essere consacrati ministri del Signore, e qualsiasi altra cosa facciamo, sempre e ovunque ci sta accanto e ci assiste questo simbolo di vittoria. Di qui il fervore con cui noi lo conserviamo nelle nostre case, lo dipingiamo sulle nostre pareti, lo incidiamo sulle porte, lo imprimiamo sulla nostra fronte e nella nostra mente, lo portiamo sempre nel cuore. La Croce è infatti il segno della nostra salvezza e della comune libertà del genere umano, è il segno della misericordia del Signore che per amor nostro si è lasciato condurre come pecora al macello. Quando, dunque, ti fai questo segno, ricorda tutto il mistero della Croce e spegni in te l`ira e tutte le altre passioni. E ancora, quando ti segni in fronte, riempiti di grande ardimento e rida` alla tua anima la sua libertà. Conosci bene infatti quali sono i mezzi che ci procurano la libertà. Anche Paolo per elevarci alla libertà che ci conviene ricorda la Croce e il sangue del Signore: A caro prezzo siete stati comprati. Non fatevi schiavi degli uomini (1Cor 7,23). Considerate, egli sembra dire, quale prezzo è stato pagato per il vostro riscatto e non sarete piú schiavi di nessun uomo; e chiama la Croce «prezzo» del riscatto.


Non devi quindi tracciare semplicemente il segno della Croce con la punta delle dita, ma prima devi inciderlo nel tuo cuore con fede ardente. Se lo imprimerai in questo modo sulla tua fronte, nessuno dei demoni impuri potrà restare accanto a te, in quanto vedrà l`arma con cui è stato ferito, la spada da cui ha ricevuto il colpo mortale. Se la sola vista del luogo dove avviene l`esecuzione dei criminali fa fremere d`orrore, immagina che cosa proveranno il diavolo e i suoi demoni vedendo l`arma con cui Cristo sgominò completamente il loro potere e tagliò la testa del dragone. Non vergognarti, dunque, di cosí grande bene se non vuoi che anche Cristo si vergogni di te quando verrà nella sua gloria e il segno della Croce apparirà piú luminoso dei raggi stessi del sole. La Croce avanzerà allora e il suo apparire sarà come una voce che difenderà la causa del Signore di fronte a tutti gli uomini e dimostrerà che nulla egli tralasciò di fare - di quanto era necessario da parte sua - per assicurare la nostra salvezza. Questo segno, sia ai tempi dei nostri padri come oggi, apre le porte che erano chiuse, neutralizza l`effetto mortale dei veleni, annulla il potere letale della cicuta, cura i morsi dei serpenti velenosi. Infatti, se questa Croce ha dischiuso le porte dell`oltretomba, ha disteso nuovamente le volte del cielo, ha rinnovato l`ingresso del paradiso, ha distrutto il dominio del diavolo, c`è da stupirsi se essa ha anche vinto la forza dei veleni, delle belve e di altri simili mortali pericoli?


Imprimi, dunque, questo segno nel tuo cuore e abbraccia questa Croce, cui dobbiamo la salvezza delle nostre anime. E` la Croce infatti che ha salvato e convertito tutto il mondo, ha bandito l`errore, ha ristabilito la verità, ha fatto della terra cielo, e degli uomini angeli. Grazie a lei i demoni hanno cessato di essere temibili e sono divenuti disprezzabili; la morte non è piú morte, ma sonno. Per la Croce tutto quanto combatteva contro di noi giace a terra e viene calpestato. Se pertanto qualcuno ti chiedesse: Tu adori colui che è stato crocifisso? rispondigli con voce chiara e con volto gioioso: Sí, io l`adoro, e non cesserò mai di adorarlo. E se quello ride di te, tu compiangilo perché è stolto.


Rendiamo grazie al Signore che ci ha concesso doni cosí straordinari che nessuno potrebbe comprendere senza la rivelazione dall`alto. Quel tale infatti si prende gioco di voi, perché l`uomo animale non percepisce le cose dello Spirito (1Cor 2,14).


 


(Giovanni Crisostomo, In Matth., 54, 4-5)


 


 


3. Il sacramento della Croce


 


La Croce di Cristo è il sacramento del vero e profetico altare, sul quale attraverso l`ostia della salvezza, si celebra l`offerta della natura umana. Là il sangue dell`Agnello immacolato annullava la condanna dell`antico peccato, là si distruggeva l`opposizione della tirannia satanica e l`umiltà trionfava sull`orgoglio ed era cosí rapido l`effetto della fede, che dei due ladri crocifissi con Cristo, quello che credette nel Figlio di Dio entrò giustificato in paradiso. Chi può spiegare il mistero di sí gran dono? Chi dirà la potenza d`una tale conversione? In un istante sparisce la colpa d`innumerevoli delitti, tra i tormenti dell`agonia, sul patibolo, passa a Cristo e la grazia di Cristo dà una corona a uno che era stato condannato per la sua empietà.


 


(Leone Magno, Oratio 55, 3)


 


 


4. Croce della passione e della gloria di Gesú Cristo


 


Il Signore fu consegnato in mano ai suoi accusatori e a scherno della sua regale dignità, gli fu comandato di portare il suo supplizio, perché si adempisse la profezia d`Isaia: Ecco è nato un bimbo, c`è stato dato un figlio che porta lo scettro sulle spalle (Is 9,6). Quando, dunque, il Signore portava il legno della croce - legno ch`egli avrebbe cambiato in scettro di potenza - agli occhi degli empi questo sembrò un grande disprezzo, ma ai fedeli si manifestò un grande mistero, perché il glorioso vincitore del diavolo e debellatore delle potenze infernali portava, in un bel simbolo, il trofeo del suo trionfo e sulle spalle, con invincibile pazienza, mostrava il segno della salvezza, perché tutti lo adorassero, quasi che già, allora, con la sua azione volesse incoraggiare tutti i suoi imitatori e dicesse: Chi non prende la sua croce e mi segue, non è degno di me (Mt 10,38).


Tra la folla che andava con Gesú al luogo del supplizio, fu visto un certo Simone di Cirene, e fu imposto su di lui il legno del Signore, perché con tale fatto si preannunziasse la fede dei pagani, per i quali la croce di Cristo sarebbe stata non di vergogna, ma di gloria. Non fu un caso, allora, ma figura e mistero, che ai Giudei, che infierivano su Cristo, capitasse innanzi un forestiero compassionevole, perché all`obbrobio veneratissimo del Salvatore - in armonia con le parole dell`Apostolo: Se soffriamo con lui con lui regneremo (Rm 8,17) - non un ebreo né un israelita portasse aiuto, ma un forestiero. Attraverso questo passaggio della croce da Cristo al Cireneo, la propiziazione dell`Agnello immacolato e la pienezza di tutti i sacramenti si trasferiva dalla circoncisione ai pagani, dai figli della carne ai figli spirituali. Infatti, come dice l`Apostolo: La nostra Pasqua, il Cristo, è stato immolato (1Cor 5,7), il quale, offrendosi a Dio in nuovo e vero sacrificio di riconciliazione, fu crocifisso non nel tempio, la cui dignità era già finita, né nella cinta di mura della città, che doveva esser distrutta per il suo delitto, ma fuori, fuori del campo, perché finito il rito delle antiche vittime, fosse portata sull`altare un`offerta nuova e la croce di Cristo non fosse ara d`un tempio, ma del mondo intero; dopo l`esaltazione di Cristo sulla croce.


La nostra intelligenza però, illuminata dallo Spirito di verità, accolga con puro e libero cuore la gloria della Croce che irraggia in cielo e in terra e cerchi di vedere internamente che cosa intendesse il Signore, quando, parlando dell`imminenza della sua passione, disse: E` giunta l`ora della glorificazione del Figlio dell`uomo (Gv 12,23), e poi: L`anima mia è turbata, e che dirò? Padre liberami da quest`ora. Ma per questo sono arrivato a quest`ora. Padre, glorifica tuo Figlio (Gv 12,27); ed essendo venuta una voce del cielo che diceva: L`ho glorificato e ancora lo glorificherò, Gesú disse ai circostanti: Questa voce non s`è fatta sentire per me, ma per voi. Ora è il giudizio del mondo; ora il principe di questo mondo sarà buttato giú; ed io, una volta innalzato dalla terra, trarrò tutto a me (ibid., 30-32). O meravigliosa potenza della Croce! O ineffabile gloria della Passione!, in essa è il tribunale del Signore, il giudizio del mondo e l`impero del Crocifisso. Hai attirato a te, o Signore, ogni cosa, e avendo steso tutto il giorno le tue mani al popolo che non ti credeva (Is 65,2-3) e ti contraddiceva, tutto il mondo capì che doveva confessare la tua maestà. Hai attirato a te ogni cosa, o Signore, poiché in esecrazione del delitto giudaico tutti gli elementi espressero un solo parere con l`oscurarsi degli astri del cielo e mutamento del giorno in notte, con un insolito terremoto e col rifiuto di ogni creatura a prestar servizio agli empi. Hai attirato ogni cosa a te, o Signore, poiché lacerato il velo del tempio, il Santo dei Santi s`allontanò dai pontefici indegni, perché alla figura si sostituisse la verità, alla profezia la manifestazione, alla legge il Vangelo. Hai attirato ogni cosa a te, o Signore, perché ciò che in simboli si faceva nel solo tempio della Giudea, fosse celebrato da tutte le nazioni con un pieno e manifesto sacramento. Ora infatti è piú illustre l`ordine dei leviti, è maggiore la dignità degli anziani è piú sacra l`unzione dei sacerdoti, perché la tua croce fonte di tutte le benedizioni, è causa di tutte le grazie e per essa è data forza agli infermi, gloria agli insultati, vita ai morti. Passata infatti la varietà dei sacrifici carnali, l`unica offerta del tuo corpo e del tuo sangue supplisce tutte le varie vittime, poiché tu sei il vero Agnello di Dio che porti via i peccati del mondo, e cosí compi in te tutti i misteri.


 


(Leone Magno, Oratio 60, 4-7)


 


 


5. La croce come contrassegno dei credenti


 


Il legno della vita è stato piantato nella terra perché questa, dapprima esecrata, ottenesse la benedizione ed i morti venissero liberati.


Non vergogniamoci, allora, di confessare il Crocifisso. In qualsiasi occasione, con fede, tracciamo con le dita un segno di croce: quando mangiamo il pane o beviamo, quando entriamo od usciamo, prima di addormentarci, quando siamo coricati e quando ci alziamo, sia che siamo in movimento o rimaniamo al nostro posto. E` un aiuto efficace: gratuito, per i poveri, e, per chi è debole, non richiede alcuno sforzo. Si tratta, infatti, d`una grazia di Dio: contrassegno dei fedeli e terrore dei demoni. Con questo segno, infatti, il Signore ha trionfato su di essi, esponendoli alla pubblica derisione (cf. Col 2,15). Allorché, dunque, vedranno la croce, essi si ricorderanno del Crocifisso ed avranno timore di colui che ha abbattuto le teste del dragone. Non disprezzare, perciò, quel segno, soltanto perché è un dono; al contrario, onora per questo ancor di piú il tuo benefattore.


 


(Cirillo di Gerus., Catech., 13, 35-36)


 


 


6. Efficacia e potenza della croce


 


Parlerò ora del mistero della croce, che nessuno dica: «Se fu necessario che Cristo subisse la morte, essa non doveva essere cosí infame e turpe, ma conservare un po` di dignità». So che molti, aborrendo dal nome stesso della croce, si allontanano dalla verità; eppure vi è in essa un significato profondo e una grande potenza. Egli fu mandato per spalancare la via della salvezza agli uomini piú umili; perciò si fece umile per liberarli. Accettò il genere di morte riservato di solito ai piú umili, perché a tutti fosse dato di imitarlo; inoltre, dovendo poi egli risorgere, non sarebbe stato conveniente spezzargli le ossa o amputargli parte del corpo, come succede per chi viene decapitato; fu piú opportuna la croce, che preservò il suo corpo con tutte le ossa intatte, per la risurrezione.


A ciò si aggiunga che, accettando la passione e la morte, doveva essere innalzato. E la croce lo innalzò realmente e simbolicamente, perché con la sua passione a tutti si rivelasse chiara la sua potenza e la sua maestà. Estendendo sul patibolo le mani, dilatò anche le ali verso Oriente e verso Occidente, affinché sotto di esse si raccogliessero tutte le genti da ogni parte del mondo a trovar pace. Quale virtù e quale potere abbia questo segno, appare chiaro quando per esso ogni schiera di demoni vien cacciata e fugata.


 


(Lattanzio, Epit. Div. Iustit., 51)


Credente
00domenica 7 settembre 2014 18:11
Commento al Vangelo dell'Ascensione

S. Beda il Venerabile

 
Solidarietà è una parola viva, dalle molteplici risonanze: morali, sociali, giuridiche, religiose. Pronunciarla è come toccare un nervo sensibilissimo, è come trovare una fonte d’acqua che sgorga in molti zampilli, è come raggiungere un’arteria che irrora con molti capillari molti tessuti del nostro corpo. Se prendete il vocabolario, trovate che quando si parla di solidarietà ci si riferisce sempre a dei legami, in generale legami di reciproco aiuto, che nascono tra i membri appartenenti a un gruppo. Questi legami possono essere di natura affettiva, sociale, soprannaturale. Talvolta sono dettati dal solo interesse.
Dice che si sono compiuti in lui i misteri che Mosè, i profeti e il salmista avevano preannunziato, così che risulta chiaro che una sola è la Chiesa in tutti i suoi santi, una e la stessa la fede di tutti gli eletti, cioè sia di quelli che hanno preceduto, sia di quelli che hanno seguito la sua venuta nella carne, perché come noi ci salviamo per la fede nella sua incarnazione, passione e risurrezione, che sono già avvenute, così quelli, che erano sicurissimi della futura realizzazione dell’incarnazione, passione e risurrezione, speravano di essere salvati a opera dell’autore stesso della vita. ...
Perciò il Signore, portati a compimento i misteri della sua incarnazione, svelò ai discepoli il senso per intendere le Scritture. Infatti svelò loro il senso per intendere e far intendere ai fedeli ciò che i profeti avevano detto in modo oscuro. Svelò il senso perché comprendessero che tutto ciò che aveva fatto e insegnato nella carne, i profeti avevano predetto che egli avrebbe fatto e insegnato. E disse loro: Poiché così è scritto ed era necessario che il Cristo patisse e risorgesse dai morti il terzo giorno e fossero predicate nel suo nome la penitenza e la remissione dei peccati a tutte le genti, cominciando da Gerusalemme. II nome di Cristo, anche prima della passione e risurrezione, già da tempo, come abbiamo detto, lo aveva conosciuto la fede dei profeti e dei padri, secondo quanto attesta Pietro, che parlando di loro dice: Ma per grazia del Signore Gesù crediamo di essere salvati come anch’essi (At 15,11). Ma compiuta la passione, risurrezione e ascensione al cielo, la fede del suo nome non solo è stata predicata più largamente e apertamente ai loro discendenti, cioè ai Giudei, ma per misericordia divina è stata comunicata anche alle genti straniere. Perciò era necessario che Cristo venisse nella carne, patisse e risorgesse perché gli uomini non potevano essere educati alla vita, redenti dalla morte, edificati nella speranza della risurrezione, se non in virtù della sua presenza, passione e risurrezione. Giustamente poi la predicazione della penitenza e della remissione dei peccati in virtù della confessione del nome di Cristo comincia da Gerusalemme. Così infatti dove si è avuta la magnificenza della sua dottrina e delle sue virtù, dove il trionfo della passione, dove le gioie perfette della risurrezione e dell’ascensione, là è spuntata la prima radice di quella fede e là è stato piantato il primo germoglio della Chiesa nascente, come di una grande vigna che, moltiplicatosi il seme della parola, ha disteso in tutta l’ampiezza del mondo i virgulti della sua dottrina, realizzando il vaticinio di Isaia: Da Sion uscirà la Legge e la parola del Signore da Gerusalemme e giudicherà le genti e convincerà di colpa molti popoli (Is 2, 3-4). Giustamente il messaggio della penitenza e della remissione dei peccati, che sarebbe stato predicato a genti idolatre e macchiate di molte scelleratezze, prende inizio da Gerusalemme: in questo modo nessuno in seguito, pur atterrito dalla grandezza dei propri delitti, avrebbe dubitato di ottenere il perdono a seguito di degni frutti di penitenza, dal momento che il perdono era stato accordato perfino a Gerusalemme, che aveva bestemmiato e crocifisso il Figlio di Dio.
 
Voi siete testimoni di questi fatti. E io invio a voi la promessa del Padre mio. ... Ma voi rimanete in città finché sarete rivestiti di potenza dall’alto. Promette la potenza che sarebbe venuta dall’alto, perché pur avendo avuto già prima lo Spirito Santo, tuttavia lo ricevettero con maggiore pienezza quando il Signore salì al cielo. Infatti anche prima della passione essi con la potenza dello Spirito Santo cacciavano molti demoni, risanavano molti malati, predicavano a quanti potevano le parole di vita, e quando egli era risorto dai morti erano stati vivificati in modo ancora più speciale dalla grazia del suo Spirito, quando, come scrive Giovanni: Alitò sopra di loro dicendo: Ricevete lo Spirito Santo; quelli ai quali voi avrete rimesso i peccati, saranno loro rimessi (Gv 20, 22-23). Ma furono rivestiti dall’alto di maggiore potenza dello Spirito quando, dieci giorni dopo l’assunzione del Signore, lo ricevettero in lingue di fuoco e grazie a lui furono tanto infiammati di fiducia nella loro forza che nessun timore di principi impedì loro di parlare a tutti nel nome di Gesù.
 
Li portò fuori verso Betania e alzate le mani li benedisse. Il nostro Redentore è apparso nella carne per togliere i peccati, portare via la pena della prima maledizione, donare ai credenti l’eredità dell’eterna benedizione: perciò concluse giustamente la sua opera nel mondo con parole di benedizione, dimostrando di essere colui del quale era stato detto: Darà la benedizione colui che ha dato la Legge (Sal 83, 3). E ben a ragione condusse a Betania, che significa casa dell’obbedienza, quelli che avrebbe benedetto, perché il disprezzo e la superbia meritano la maledizione, l’obbedienza la benedizione. Perciò anche il Signore, per restituire al mondo la grazia della benedizione che aveva perduto, si fece obbediente al Padre fino alla morte, e nella Chiesa la benedizione della vita celeste viene concessa solo a quelli che si adoperano di obbedire ai precetti. ...
 
E mentre li benediceva si allontanò da loro e salì al cielo. Si noti che il Signore salì al cielo dopo aver benedetto i discepoli, e insieme si rammenti che, come leggiamo negli Atti, a quelli che assistevano alla sua ascensione apparvero gli angeli e dissero: Così verrà, come avete visto che è salito al cielo (At 1, 14). Dato perciò che il Signore discenderà per giudicare, rivestito della stessa forma e sostanza di carne, come è salito in cielo, bisogna che noi con tutto l’impegno ci adoperiamo, perché colui, che se n’è andato benedicendo gli apostoli, al suo ritorno ci renda degni della sua benedizione e ci collochi alla destra insieme con quelli ai quali dirà: Venite benedetti del Padre mio, ricevete il regno (Mt 25, 34). Quelli adoratolo ritornarono a Gerusalemme con grande gioia ed erano sempre nel tempio a lodare e benedire Dio. ... Dobbiamo imitare con solerzia questa testimonianza del modo di comportarsi degli apostoli e avendo ricevuto insieme con le promesse celesti il comando di pregare con zelo per ottenerle, dobbiamo riunirci tutti a pregare, persistere nella preghiera e pregare il Signore con devozione unanime. Possiamo infatti essere certi che il Creatore ci presterà ascolto se preghiamo così, e infonderà la grazia del suo Spirito nei nostri cuori; possiamo essere certi che renderà beati i nostri occhi: anche se non proprio come gli occhi degli apostoli che meritarono di vedere il Signore vivere nel mondo, insegnare, far miracoli, risorgere dopo il trionfo della morte e salire al cielo, certo come gli occhi di coloro dei quali il Signore dice all’apostolo Tommaso: Poiché mi hai visto, hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto (Gv 20, 29). A tutti i credenti, sia a quelli che sono vissuti prima del tempo della sua incarnazione sia a quelli che lo hanno visto nella carne sia a noi che abbiamo creduto dopo la sua ascensione, è comune la promessa che dice: Beati i puri di cuore perché vedranno Dio (Mt 5, 8).
(Dal Discorso II, 15)
Credente
00domenica 7 settembre 2014 18:12
I FIGLI DELLA CUPIDIGIA (Dalle Divine Istituzioni di Lattanzio)

Tutti i guai dell'umanità sono nati a causa della cupidigia, e questa è nata dal disprezzo nei confronti del vero Dio. È avvenu­to che non soltanto non si è permesso ai poveri di godere del superfluo, ma si è giunti perfino a derubarli, cercan­do egoisticamente di trar profitto da qualunque parte. Così, quegli stessi beni che Dio mise a disposizione comune sono diventati proprietà di pochi.
Per ridurre tutti in proprio potere, si è cominciato dapprima a sottrarre le cose necessarie per vivere, poi a monopolizzarle accuratamente per proprio uso e consumo esclusivo. Si perse ogni sentimento di altruismo, si arrivò a dissipare tutto ciò che era stato accumulato con l'avidità e con l'avarizia. Le stesse leggi che preten­devano richiamarsi alla giustizia furono elaborate in termini quanto mai crudeli e iniqui, per garantire ruberie e ingordigie contro le resi­stenze della moltitudine.
Dio, all'approssimarsi degli ultimi tempi, ha misericordiosamente invia­to il proprio araldo (Gesù) per ripor­tare in terra l'antica età dell'oro e la giustizia, e per alleviare il genere umano da tanti e cosi gravi errori. Ritornò sì la bellezza di quella età, fu sì restituita alla terra, ma la giustizia è tornata a pochi: essa non è nient'altro che il culto pio e devoto di un Dio unico.
Chi pensa che non vi può essere nessun uomo giusto e religioso ha la giustizia davanti agli occhi, ma non la vuole guardare veramente. Perché la cantano nei loro versi, la descrivo­no nei loro discorsi e ne lamentano la mancanza, mentre sarebbe cosi facile essere virtuosi, volendolo? Perché la giustizia ve la raffigurate così astratta e pretendete che vi cada quasi dal cielo come se fosse un simulacro? Eccola, essa è davanti a voi: se pote­te, ricevetela e ponetela nei vostri cuori. Non è affatto difficile, ed è sempre attuale. Siate giusti, siate onesti: la virtù che andate cercando, spontaneamente vi seguirà. Togliete dal cuore ogni pensiero malvagio e l'età dell'oro tornerà. Ciò avverrà soltanto se comincerete ad adorare il vero Dio. Ma, se si desidera la giusti­zia e nello stesso tempo perdura l'idolatria, niente potrà far si che la giustizia torni veramente fra gli uomini.
La giustizia richiede che si alimen­ti il sentimento della bontà in colui che si allontana dalla malizia del pec­cato. La dimora della giustizia, infat­ti, non è costituita dalla pietra o dal cemento, ma dall'uomo stesso, che porta in sé l'immagine di Dio; e que­sto tempio non è ornato di oro o di doni preziosi ma transitori, bensì con i doni eterni della virtù.
Bisogna imparare dunque (se rima­ne ancora un po' di buon senso) che gli uomini sono ingiusti perché sono idolatri, e che la situazione del nostro mondo diventa ogni giorno più pre­caria perché viene trascurato Dio,
// denaro: fonte e sintesi dell'idolatria di sempre, creatore e conservatore del mondo, perché ci si è abbandonati a culti empi e illeciti e infine perché vengo­no perseguitati anche i pochi adorato­ri del Dio vero.
Se tutti adorassero soltanto Dio, non vi sarebbero ne discordie ne guerre, appunto perché gli uomini si convincerebbero di essere tutti figli di quell'unico Dio. Uniti fra loro da questa divina parentela sacra e invio­labile, consapevoli dei castighi che Dio, conoscitore dei pensieri e dei delitti più segreti, riserva a coloro che uccidono le anime, gli uomini non sarebbero più nemici degli altri uomini. Non vi sarebbero neppure più rapine, se gli uomini ascoltassero il comandamento di Dio e imparasse­ro a essere contenti di poco e se imparassero a preferire, alle cose incerte e periture, quelle sicure ed eterne.
Tante miserie non esisterebbero sopra la terra, se tutti concordemente osservassero la legge di Dio. La con­dizione del genere umano sarebbe veramente felice e beata, se in tutto il mondo trovassero dimora la mansue­tudine, la pietà, l'innocenza, la giusti­zia, la temperanza, la lealtà.
Per governare l'umanità non c'è affatto bisogno di leggi numerose e diverse: per ottenere una vita perfetta e innocente, basta la legge di Dio. Se gli uomini sono malvagi, è perché sono immersi nell'ignoranza della rettitudine e del bene. Se il genere umano è oppresso dai malanni, è per­ché si è introdotto in mezzo ad esso il culto idolatrico, basato sull'ingiusti­zia e sull'empietà. Non potevano e non potranno coltivare la pietà coloro che si ribellano a Dio e lo rinnegano come unico padre di tutti.
Credente
00domenica 7 settembre 2014 18:15
I teatri sono sentine d'impurità e di disonestà.


Nello stesso modo ci vien fatta proibizione assoluta di tenerci lontani da ogni forma di vergognosa scompostezza e di abbandono: è per questo che noi stiamo ben lungi dal teatro ed, infatti, che cosa è esso mai, se non un luogo dove ogni forma d'impudicizia e di disonestà viene ad essere tacitamente accolta e dove non si mena buono nulla, se non tutto quello che altrove riscuote la maggiore riprovazione e condanna? Quello che fa riscuotere al teatro, il favore più grande, risulta da tutto un insieme di immoralità: ogni cosa è basata su di esse: uno di Atella s'abbandona a gesti ridicoli ed immorali; ecco una rappresentazione mimica; vi sono anche donne che recitano, portando proprio fino all'ultimo gradino quel senso di dignità e di pudore che è pure proprio della donna: è più facile che una arrossisca in casa... ma sulla scena non sarà mai. Il pantomimo finalmente ha vissuto sulla propria persona l'onta della vergogna più turpe, ancora fanciullo, per poi esser capace di rappresentarla sulla scena in un modo, così efficace. Si portano sulla scena donne da trivio, avanzi della corruzione e del pubblico più bestiale capriccio; più disgraziate lì, sotto gli occhi stessi delle matrone alle quali sole erano rimaste forse nascoste: eccole lì, ora, portate in bocca di tutti: gente d'ogni età e di ogni qualità e grado: si sa il luogo della loro vergogna, il prezzo del loro disonore, le loro abilità e i loro pregi!... sono proclamati... anche a chi non li vorrebbe sapere. Non dico nulla poi di tutto il resto che bisognerebbe tenere gelosamente nascosto nei più solitari recessi e sotto la cortina più densa di tenebre, perché tante vergogne non riescano ad inquinare e ad offuscare la luce del giorno. Provate vergogna, o senatori, e così pure o cittadini, di ogni ordine, arrossite! E quelle donne che ormai hanno infranto il senso e il principio del loro onore e della loro dignità, nel timore che esse hanno di presentarsi in piena luce al cospetto di tutto un popolo, arrossiscano di vergogna, per quei loro gesti immorali, almeno una volta in un anno. Se ogni forma di volgarità e di bassezza deve esser colpita dalla nostra maggiore esplicita esecrazione, come potrebbe esser lecito udire ciò che non ci è possibile di dire?

E nello stesso modo non sappiamo noi forse che Iddio condanna ogni turpe manifestazione ed ogni parola non buona? E come potremo impunemente vedere ciò che è pur colpa, il commettere? Perché quello che viene espresso dalla bocca nostra, può esser ragione di colpa e di riprovazione, e non invece quello che noi percepiamo colla vista e coll'udito? gli occhi e l'orecchio sono, in certo modo, i custodi del nostro spirito, e come è possibile che esso sia qualcosa di puro e di integro, quando un principio di corruzione prenda questi organi che lo sorvegliano? Se ci è dunque proibita ogni forma d'impudicizia e di corruzione, anche il teatro stia ben lontano da noi.

tratto dal libro "Gli spettacoli" di Tertulliano


attendi che si giunga a quella che sarà la fine di questo nostro mondo, difendi, e combatti per la tua Chiesa, svegliati quando Dio ti chiamerà, sollevati allo squillar della tromba dell'Angelo, gloriati e sorridi della palma del martirio.

Vuoi tu forse da altezza di scienza e da profondità di dottrina, trarre la tua gioia intima e grande? Presso i Cristiani, ebbene, non manca splendore di lettere, non manca onda di poesia, altezza di giudizi e nobiltà di principi; non fanno difetto né armonia di canto, né melodia di voce; e non sono favole vane le nostre, ma affermazioni e proclamazioni di verità, non sono costruzioni artificiose e false, ma è la semplicità e la purità nel suo più luminoso rigoglio. Vuoi tu forse fierezza di lotta e fervore di battaglia? Ecco che esse vi sono e non è tutto questo né piccola, né poca cosa: guarda: l'impudicizia è vinta e travolta dalla castità e dalla purezza, la slealtà e la menzogna cadono sotto i colpi della fede, la crudeità e la perfidia sono soggiogate e peste dalla pietà e dalla misericordia, la presunzione sciocca, ottenebrata dalla modestia e dall'umiltà. Questi sono i nostri certami, queste le gare in cui noi riportiamo onore di corona. Vuoi tu forse infine il segno del sangue? Ecco: hai quello di Gesù Cristo.
Coordin.
00sabato 1 novembre 2014 10:07
SOLENNITA` DI TUTTI I SANTI

1° novembre)

Già nel IV secolo, incontriamo in Oriente la commemorazione di tutti i martiri. In Antiochia, essa veniva celebrata nella prima domenica dopo la Pentecoste, in Siria orientale, il venerdí dopo la Pasqua; a Edessa, il 13 maggio. A Roma, troviamo le tracce di queste celebrazioni, ma la solennità stessa assume importanza a partire dai tempi di Bonifacio IV (+ 615). Col permesso dell`imperatore, il papa trasforma il tempio pagano del Pantheon in chiesa dedicata alla Beatissima Vergine Maria e a tutti i Martiri. La solenne consacrazione del tempio e il collocamento delle reliquie ebbero luogo il 13 maggio 610. L`anniversario della consacrazione si celebrava ogni anno con grande partecipazione dei fedeli e il papa stesso prendeva parte alla Messa della stazione. Verso l`anno 800, la Commemorazione di Tutti i Santi viene celebrata in Irlanda, in Baviera e in alcune Chiese della Gallia, però il giorno 1° novembre. Durante il pontificato di Gregorio IV (828-844), il re Luigi IX estende la festa a tutto il territorio del suo Stato. In questa maniera, la festa locale di Roma e di alcune altre Chiese diventa una festa della Chiesa universale. Roma accoglie però, per i motivi che non conosciamo, la data gallica delle celebrazioni, cioè il 1° novembre.
In questo giorno, la Chiesa venera tutti i santi, ciòè i martiri e i confessori. Nei primi secoli, si conosce il culto dei martiri, che hanno dato la loro vita per Cristo. Col tempo, però, compare il culto dei confessori, coloro cioè la cui vita risultava una fedele sequela delle parole di Cristo. Tra i confessori troviamo anzitutto i grandi vescovi, che in modo particolare davano testimonianza della fede cristiana, l`insegnavano, difendevano la sua purezza e la confermavano con l`esempio della loro vita. Si rendeva culto agli asceti, alle vergini ed ai monaci, poiché essi davano testimonianza con una vita eroicamente cristiana. La festa di un santo era originariamente festa della comunità nella quale egli era vissuto, della Chiesa alla quale apparteneva. Col tempo, il culto dei santi assume la portata universale. Attualmente, nel calendario di tutta la Chiesa commemoriamo i santi, che hanno carattere universale, sono conosciuti in tutta la Chiesa e indicano la sua universalità. Le Chiese particolari e le famiglie religiose hanno i loro calendari particolari e cosí rendono culto ai santi che sono loro vicini in modo speciale.
Celebrare la Solennità di Tutti i Santi vuol dire annunciare il mistero pasquale nei santi, che soffrirono insieme con Cristo ed insieme con lui furono glorificati. La santità cristiana consiste infatti nella imitazione e nella partecipazione a quell`unico amore che aveva Cristo rell`offrire al Padre la sua vita per gli uomini. La santità cristiana consiste nella vita paziente di ogni giorno nello spirito delle beatitudini; è nello stesso tempo l`adempimento della perenne vocazione dell`uomo alla perfezione. La chiamata alla santità riecheggiava nel Vecchio Testamento. Cristo dirà ai suoi: siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste (Mt 5,48). San Paolo ricorderà ai Tessalonicesi: questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione (cf. 1Ts 4,3).
Cambiano i tempi e le condizioni in cui vive la Chiesa, ma la chiamata alla santità non viene meno. La santità si manifesta esteriormente in modi diversi, viene realizzata dagli uomini secondo le doti della natura, i carismi, i tempi e le circostanze della vita. A base però della santità sta un`unica cosa: l`amore. Il santo camminava per la vita praticando il comandamento nuovo lasciato da Cristo. Oggi, la Chiesa contempla con gli occhi di Giovanni apostolo «una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua; tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all`Agnello» (Ap 7,9) ed esulta con grande gioia. Contempla la Città santa, la Gerusalemme celeste dove un gran numero dei nostri fratelli glorifica già adesso il nome del Signore. In questo giorno solenne, la Chiesa manifesta ai suoi figli ancora pellegrinanti sulla terra il loro esempio di vita. Ai nostri fratelli, che sono già arrivati alla patria celeste, la Chiesa chiede aiuto e sostegno per coloro che sono ancora in via.

Effondí, o Padre, la grazia del tuo Spirito sulla Chiesa,
che celebra il mistero pasquale nei santi
che hanno sofferto col Redentore e con lui sono stati glorificati,
perché tutti i tuoi figli raggiungano la salvezza,
e tu sia lodato in eterno.

(Messale Ambrosiano, Milano 1976: Tutti i Santi, Orazione inizio assembl. lit.)


1. L`amore dovuto ai santi

Bisogna rendere il dovuto onore ai santi, come amici di Cristo, come figli ed eredi di Dio, secondo le parole di Giovanni teologo ed evangelista: A quanti però l`hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio (Gv 1,12). Quindi non sono piú schiavi, ma figli; e se figli, sono anche eredi (Gal 4,7). Eredi di Dio, coeredi di Cristo (Rm 8,17). Anche il Signore nei santi Vangeli dice agli apostoli: Voi siete miei amici (Gv 15,14). E: Non vi chiamo piú servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone (ibid., 15). Per questo se egli è chiamato Re dei re Signore dei signori, Dio degli dèi, Creatore e Signore supremo di tutte le cose, ne consegue inevitabilmente che anche i santi sono dèi, signori e re. Il loro Dio è il Dio che è ed è chiamato Signore e Re. Io infatti, disse a Mosè, sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe (Es 3,6). Che forse Mosè da Dio non fu reso come un dio per il faraone? Inoltre li chiamo dèi, re e signori, non per natura, ma per il fatto che comandando alle proprie passioni e dominandole, conservarono immutata la somiglianza all`immagine divina, secondo la quale erano stati creati (infatti si chiama anche re l`immagine che lo rappresenta), come anche perché per libera volontà si sono uniti a Dio, e ospitandolo nel loro cuore, sono divenuti per mezzo della grazia ciò che egli è per sua natura. Che cosa dunque ci spinge ad onorare coloro che sono servi, amici e figli di Dio? In verità l`onore che si rende ai servi migliori è prova di un animo affezionato al comune signore.
Essi sono divenuti le dimore pronte e pulite di Dio, poiché dice il Signore: Abiterò in mezzo a loro e con loro camminerò e sarò il loro Dio (Lv 26,12). Ed ancora leggiamo nella Sacra Scrittura: Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, e la morte non le toccherà (Sap 3,1). Infatti la morte dei santi è sonno piú che morte. Faticarono in questo mondo e vivranno in eterno (cf. Sal 18,9-10). E: Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi santi (Sal 115,15). C`è forse una cosa piú preziosa dell`essere nelle mani di Dio? Dio infatti è la vita e la luce. E quindi coloro che sono nelle mani di Dio sono anche nella vita e nella luce.
Che poi anche con lo Spirito Dio abbia abitato nei loro corpi lo afferma l`Apostolo: Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui (1Cor 3,16-17). Perché allora non bisognerebbe rendere onore ai templi animati di Dio e ai suoi tabernacoli viventi? Questi finché vissero furono con fiducia presso Dio...
I santi non sono da annoverare tra i morti. Essi sono i patroni di tutto il genere umano. Secondo la legge chiunque toccava un morto era ritenuto immondo. Ma i santi non si devono considerare nel numero dei morti. Da quando infatti colui che è la vita stessa è stato considerato tra i morti anche l`artefice della vita, in nessun modo chiamiamo morti coloro che si addormentarono con la speranza della resurrezione e con la fede in lui. Come potrebbe infatti un morto operare miracoli? Come mai dunque per opera loro i demoni vengono scacciati, le malattie debellate, i malati guariti, i ciechi recuperano la vista, i lebbrosi sono mondati, le tentazioni e le afflizioni disperse, ogni dono perfetto per mezzo loro discende dal Padre della luce a coloro che chiedono con ferma fede? Che cosa non faresti per trovare un protettore che ti presentasse ad un re di questo mondo ed intercedesse per te presso di lui? Perciò, non dobbiamo forse onorare quelli che sono i patroni di tutto il genere umano e che supplicano Dio per noi? Senz`altro bisogna onorarli, ed in verità in modo da erigere in loro onore templi a Dio, fare offerte, venerarne la memoria e trovare in essa il diletto spirituale: in ogni caso quella letizia di cui si compiacciono essi che ci invitano, mentre cerchiamo di propiziarceli, a non offenderli piuttosto, né a muoverli a sdegno. Infatti Dio si onora con ciò di cui anche i suoi servi si dilettano. E con le stesse cose con cui si offende Dio, si offendono anche i [suoi] soldati. Per questo con i salmi, gli inni, i cantici spirituali, anche con la contrizione, con la pietà verso i poveri, con cui si onora soprattutto Dio, noi, che siamo fedeli, dobbiamo venerare i santi. Innalziamo a loro statue e simulacri che siano in vista: anzi, imitando le loro virtù, cerchiamo di diventare i loto simulacri e le loro immagini viventi. Onoriamo la Deipara come vera Madre di Dio; il profeta Giovanni, come precursore e battista, apostolo e martire, poiché il Signore disse: tra i nati di donna non è sorto uno piú grande di Giovanni il Battista (Mt 11,11): in verità egli fu il primo ad annunziare il Regno. Onoriamo anche gli Apostoli, come fratelli del Signore, che lo videro con i loro occhi e lo sostennero nelle sue sofferenze, poiché quelli che egli [il Padre] da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all`immagine lel Figlio suo (Rm 8,29); alcuni... li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come pastori e maestri (1Cor 12,28). Onoriamo anche i martiri scelti da ogni categoria di persone, come soldati di Cristo, che bevvero il suo stesso calice e che furono battezzati col battesimo della sua morte vivifica, come compagni della sua passione e gloria (di cui fu l`antesignano l`apostolo e protomartire Stefano); cosí pure onoriamo i nostri santi padri e i monaci ispirati da Dio, che sopportarono il martirio della coscienza, piú lungo e piú penoso; che andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati, vaganti per i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra - di loro il mondo non era degno! (Eb 11,37-38). Infine onoriamo coloro che vissero prima del tempo della Grazia, i profeti, i patriarchi, i giusti che preannunziarono la venuta di Cristo. Considerando il modo di vivere di tutti questi, imitiamone la fede, la carità, la speranza, il fervore, la vita la tolleranza delle sofferenze, la pazienza fino al martirio, per diventare noi stessi compagni e partecipi della medesima gloria.

(Giovanni Damasceno, De fide orthod., 4, 15)


2. Il «Discorso della montagna»

E, prendendo la parola, cosí li [i discepoli] ammaestrava (Mt 2,5).
Se si vuole sapere il significato [del nome] monte, si comprende bene che esso vuol dire i precetti piú importanti sulla giustizia, per il fatto che i piú secondari erano già stati dati ai Giudei.
Tuttavia, l`unico Dio, attraverso i santi profeti e i suoi servitori, distribuì, secondo i tempi, in modo ordinato, i comandamenti meno importanti al suo popolo che aveva bisogno ancora del timore per tenerselo unito, e per mezzo del suo Figlio dare al popolo quelli piú grandi che era conveniente che fosse liberato dall`amore.
Poiché, d`altra parte, s`impartiscono ai piccoli i precetti di minore gravità, ed ai piú grandi quelli di maggiore importanza, questi sono dati solo da Colui che ritiene conveniente per i propri tempi offrire un rimedio al genere umano.
Né deve suscitare sorpresa il fatto che si diano precetti maggiori per il regno dei cieli, e i minori siano dati per il regno temporale da quel medesimo unico Dio, che creò il cielo e la terra.
Su questa giustizia, quindi, che è maggiore, è detto per mezzo del profeta: La tua giustizia è simile ai monti di Dio (Sal 35,7); e questo significa bene quello che viene insegnato sul monte dall`unico Maestro, solo capace di insegnarci cosí grandi verità.
Ma mentre sta seduto, egli insegna, poiché ciò si addice alla dignità del maestro.
E gli si avvicinano i suoi discepoli, affinché con l`ascoltare le sue parole, fossero piú vicini, anche fisicamente, coloro che si disponevano con l`animo ad adempiere i precetti.
Prendendo la parola, li ammaestrava, dicendo (Mt 2,5).
Questo modo di dire, chiamato: prendendo la parola (aprendo la sua bocca), forse nello stesso tempo fa valere che il suo discorso sarà piuttosto lungo, almeno che non si applichi ora poiché fu detto che aveva aperto la bocca Colui che soleva aprire nell`antica legge le bocche dei profeti. Che cosa, dunque, dice? Beati i poveri di spirito, perché ad essi appartiene il regno dei Cieli (Mt 2,5).
Leggiamo che è stato scritto sul desiderio dei beni temporali: Tutte le cose sono vanità e presunzione dello spirito (Sir 1,14); d`altra parte e a presunzione dello spirito sta ad indicare l`audacia e la superbia. Generalmente si dice che anche i superbi abbiano grandi menti, e questo, [è detto] rettamente, dal momento che anche il vento è chiamato spirito, per cui fu scritto: Fuoco, grandine, neve, ghiaccio, sono aria di burrasca (Sal 148,8).
Ma chi potrebbe ignorare che i superbi arroganti sono chiamati come gonfiati dal vento?
Di qui anche quel detto dell`Apostolo: La scienza si vanta, la carità edifica (1Cor 8,1).
Perciò, giustamente qui sono compresi per poveri di spirito, gli umili e i timorosi di Dio, cioè quelli che non hanno lo spirito vanitoso.
Né d`altronde fu affatto conveniente iniziare con la beatitudine [il discorso] giacché essa farà giungere alla piú alta sapienza.
Il timore del Signore, al contrario, è l`inizio della sapienza, e, per contrario, è scritto, l`inizio di ogni peccato è la superbia (Sir 1,9).
I superbi, quindi, desiderino ed amino i regni della terra.
Beati, invece, i poveri in spirito, poiché ad essi appartiene il regno dei Cieli (Mt 5,3).
Beati i miti perché avranno la terra in eredità (Mt 5,4), quella terra, credo, di cui si dice nei salmi: Tu sei la mia speranza, la parte di eredità nella terra dei viventi (Sal 141,6). Ha anche, infatti, il significato di una certa saldezza e stabilità, dell`eterna eredità, dove l`anima a causa di un buon sentimento riposa come nella sua patria, come il corpo sulla terra, ed ivi si nutre del cibo, adatto per lei come il corpo sulla terra.
Essa stessa è il riposo e la vita dei santi.
I miti, d`altra parte, sono coloro che cedono davanti alle iniquità e non sanno resistere al male, ma prevalgono sul male col bene.
Siano, pure, rissosi e lottino i violenti per i beni terreni e temporali, ma: Beati sono i miti perché avranno in eredità la terra dalla quale non possono essere cacciati.
Beati quelli che sono afflitti, perché saranno consolati (Mt 5,5)
Il lutto è la tristezza per la scomparsa dei propri cari.
Al contrario, indirizzati verso Dio perdono quelle cose che da loro venivano preferite come care in questo mondo; infatti, non si rallegrano di queste cose di cui prima gioivano, e finché in essi c`è l`attaccamento dei beni eterni, sono afflitti da non poca tristezza.
Saranno consolati, quindi, dallo Spirito Santo, che, per eccellenza, è chiamato appunto il Paraclito, cioè il Consolatore, affinché, mentre perdono la gioia temporale, gioiscano del gaudio eterno.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati (Mt 5,6).
Già chiama questi affamati ed assetati, le vere ed autentiche persone probe. Essi saranno, dunque, saziati di quel cibo del quale lo stesso Signore dice: Il mio cibo consiste nel fare la volontà del mio Padre (Gv 4,34), poiché è la giustizia, e quella stessa acqua della quale chiunque berrà, come egli stesso dice, sorgerà in lui una fonte di acqua zampillante per la vita eterna (Gv 4,14).
Beati i misericordiosi perché riceveranno misericordia (Mt 5,7).
Dice che sono beati quelli che soccorrono i bisognosi, poiché saranno talmente compensati, da essere liberati dalla loro necessità.
Beati quelli che hanno il cuore puro, perché vedranno Dio (Mt 5,8).
Quanto sono stolti, dunque, coloro che cercano Dio con questi occhi di carne, mentre vedono col cuore, come altrove è stato scritto: Con cuore semplice cercatelo! (Sap 1,1).
Il cuore puro, infatti, è il cuore semplice. E allo stesso modo questa luce non si può vedere se non con occhi puri, cosí non si può vedere Dio, se non è limpido ciò col quale si può vedere.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio (Mt 5,9).
Nella pace è la perfezione, dove nessuna cosa ripugna; e, pertanto, i figli di Dio sono operatori di pace, poiché niente resiste a Dio, e, senza dubbio, debbono avere la rassomiglianza col Padre.
Operatori di pace, d`altra parte, sono in se stessi, tutti quelli che equilibrano i movimenti del proprio animo e lo sottomettono alla ragione, vale a dire all`intelligenza ed all`anima, e sottomettendo e domando i cattivi desideri della carne, diventano il regno di Dio, nel quale sono talmente ordinate tutte le cose, che ciò che vi è nell`uomo di importante e nobile, venga sottomesso alle rimanenti cose opposte che sono in noi e ci accomunano agli animali, e ciò che è piú nobile nell`uomo, cioè l`intelligenza e la ragione, siano sottomesse alla parte migliore, cioè alla stessa verità, l`unigenito Figlio di Dio.
Né, infatti, si può comandare alle cose inferiori se non si sottomette, egli stesso, alle cose superiori.
E questa è la pace che è concessa in terra agli uomini di buona volontà, questa è la vita del sapiente costante che ha raggiunto la perfezione.
Da questo particolare regno, molto tranquillo ed ordinato, fu espulso il principe di questo mondo, che ha il dominio sugli uomini perversi e smodati.
Internamente con questa pace costituita e salda, qualsiasi persecuzione scatenerà dal di fuori colui che ne fu espulso, aumenterà la gloria che è secondo Dio, non turbando alcunché in quell`edificio, ma con le sue arti, a quelli che ne son privi, quanta saldezza nell`interno sia stata edificata.
Per questo segue: Beati quelli che soffrono persecuzioni a causa della giustizia, perché proprio ad essi, appartiene il Regno dei Cieli (Mt 5,10).
Esistono d`altronde queste otto beatitudini.
Per la qual cosa a questo loro numero occorre fare attenzione.
Ha inizio, in effetti, la beatitudine dell`umiltà: Beati i poveri in spirito... (Mt 5,4), vale a dire i non superbi, mentre la [loro] anima si sottomette alla divina volontà, nel timore che dopo questa vita non si diriga verso le pene anche nel caso che in questa vita [l`anima] forse possa sembrare beata.
Quindi giunge alla conoscenza delle divine Scritture, nella quale è necessario che essa si mostri mite per il suo sentimento religioso, affinché non osi biasimare ciò che agli inesperti sembra contraddittorio e si renda indocile con le ostinate discussioni.
Quindi già comincia a sapere, con quali legami di questo secolo venga trattenuto attraverso l`abitudine dei sensi e i peccati.
Pertanto, in questo terzo grado nel quale risiede la scienza, viene rimpianta la perdita del sommo bene, poiché è attaccato alle cose ultime.
Nel quarto grado, poi, vi è la fatica, dove violentemente si cade, affinché l`animo si sradichi attaccato [com`è] da quelle cose con una deleteria dolcezza.
Qui, dunque, ha fame e sete la giustizia, e la fortezza, estremamente necessaria, per il fatto che non si lascia senza dolore ciò che col piacere viene attratto.
Col quinto grado, inoltre, viene offerto a quelli che perseverano nella fatica, il consiglio di evadere, poiché se ognuno non viene aiutato dall`Essere superiore, in nessuna maniera può essere adatto a liberarsi da impedimenti cosí grandi dalle miserie.
E`, invero, un giusto consiglio, che colui che vuole essere aiutato da uno piú forte, aiuti il piú debole, col quale egli stesso è piú potente.
Perciò: Beati quelli che usano misericordia, poiché essi riceveranno la stessa misericordia (Mt 5,7).
Col sesto grado è richiesta la purezza di cuore, avvalendosi della retta coscienza delle buone opere, per contemplare quel sommo bene, il quale può essere visto col puro e sereno intelletto.
Per ultimo c`è la stessa settima sapienza, cioè la contemplazione della verità rendendo operatore di pace l`intero uomo e ricevendo la somiglianza di Dio, che, cosí si esprime: Beati gli operatori di pace, poiché saranno chiamati figli di Dio (Mt 5,9).
L`ottava [beatitudine], per cosí dire, ritorna alla prima, perché mostra il bene perfetto e raffinato e lo approva.
Per questo nella prima e nell`ottava è nominato il Regno dei Cieli: Beati i poveri in spirito, perché ad essi appartiene il Regno dei Cieli e: Beati quelli che soffrono persecuzione a causa della giustizia, poiché di essi è il Regno dei Cieli (Mt 5,3 - Mt 5,10). Quando già si dice: Chi ci separerà dall`amor di Cristo? forse la sofferenza, oppure l`angoscia, o la persecuzione, o la fame o la nudità, o il pericolo o la spada? (Rm 8,35).
Sette sono, dunque, quelle che rendono perfetti; l`ottava, in effetti, rende esplicito e rivela ciò che è perfetto.

(Agostino, De sermone Christi in monte, 1, 2-10)


3. Le relazioni tra Cristo e i santi

Crediamo poi anche che tutti, non solo gli apostoli, i martiri, ma anche tutti i santi e servitori di Dio, abbiano in sé non solo lo Spirito di Dio, secondo quanto è detto (nella Scrittura): Voi siete tempio del Dio vivente; come Dio disse, poiché io abiterò in essi (2Cor 6,16). E di nuovo: Non sapete che voi siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? (1Cor 3,16). E per questo tutti sono Teotochi [o figli di Dio]...
Ma lungi da noi tale empietà di respingere e aborrire l`errore, che il Creatore si paragoni alla sua creatura, il Signore ai suoi servitori, Dio alla fragilità umana, Egli che è il Signore delle potenze terrestri e celesti; e questa offesa possa essergli arrecata dai suoi stessi benefici, affinché Colui che ha reso l`uomo degno della sua dimora, lo stesso si dica, per questa ragione, ciò che l`uomo è...
Anzi, questo intercorre tra Lui e tutti i santi, [cioè] tra la dimora e colui che vi abita, poiché senza dubbio non appartiene alla dimora che essa sia abitata, ma è proprio di chi vi dimora, alla cui volontà appartiene e la costruzione della dimora e il suo uso; cioè, o quando egli voglia fare la sua stessa dimora oppure quando l`abbia fatta, si degni di abitarvi...
Dunque, tutti i patriarchi, o profeti, o apostoli, o martiri, o perfino tutti i santi, ebbero, in effetti, Dio in sé, e tutti divennero figli di Dio, e tutti furono Teotochi (cioè figli di Dio); ma, senza dubbio, in modo diverso e molto dissimile.
Infatti, tutti quelli che credono in Dio, sono figli di Dio per adozione, ma solo l`Unigenito Figlio per natura; colui che è generato dal Padre non da qualche materia, perché ogni cosa ed ogni elemento delle cose sussistono per l`Unigenito Figlio di Dio; non dal nulla, poiché (è generato) dal Padre; non come se fosse stato quasi generato, poiché niente in Dio vi è di vuoto e di mutabile; ma, in un modo inesprimibile ed inestimabile. Dio Padre, generò il suo Figlio Unigenito, con elementi che non erano stati mai generati; e cosí dal sommo ed eterno Padre, mai generato, è generato il sommo ed eterno Unigenito Figlio, lo stesso che dovrà aversi nella carne e che si ha nello spirito, l`identico che si dovrà credere nella maestà «poiché nascerà nella carne» [Lips, in marg., lo stesso che deve credersi nel corpo è colui che è creduto nella maestà, poiché nascerà nella carne].
Non operò alcuna divisione o separazione di se stesso, affinché non nascendo da parte alcuna, qualche parte di se stesso nascesse; oppure, in seguito, qualcosa di divino comparisse in lui, non fosse nato da Maria Vergine.
Infatti, secondo l`Apostolo, in Cristo abita corporalmente ogni pienezza della divinità (Col 2,9)...
Vale l`umana debolezza, (pertanto) si umilino davanti a Dio, si sottomettano a Dio, si rendano dimora di Dio, e meritino di avere, con la fede e con la pietà, come ospite ed abitatore lo stesso Dio.
Poiché come colui che per dono di Dio, si rese idoneo, cosí è rimunerato dalla divina grazia.
E se qualcuno si reputa degno di Dio, gode della venuta di Dio, secondo quella promessa del Signore:
Se qualcuno mi ama, osserverà la mia Parola; ed io e il Padre mio verremo presso di lui, e stabiliremo la nostra dimora presso di lui (Gv 14,23).
Sia lontana l`altra cosa riguardante il Cristo, e il motivo è che in lui abita ogni pienezza della divinità fisicamente e chi ha in sé tale pienezza della divinità, della sua pienezza elargisce a tutti tutte le cose; colui che con la pienezza della divinità che abita in sé, abita in persona in ogni singolo santo, come se li reputasse degni di abitare nella propria dimora, e cosí a tutti attribuí le proprie cose dalla pienezza affinché egli stesso perseverasse ancora sulla sua pienezza; colui che senza dubbio era rimasto in terra col suo corpo, era tuttavia nelle anime di tutti i santi, e riempiva con l`infinità della sua potenza e maestà i cieli, le terre, i mari, e tutto l`universo; e cosí egli era tutto in se stesso, talmente che tutto l`universo non lo contenesse.
Poiché, per quanto grandi ed ineffabili siano le cose da lui create, tuttavia nessuna è cosí capace ed immensa che possa contenere lo stesso Creatore.

(Giovanni Cassiano, De incarnat. Christi, 5, 3-4)


4. Itinerario di virtù necessarie agli incipienti

La prima virtù degli incipienti è, in verità, la rinuncia al mondo, che ci rende poveri di spirito; la seconda, la mansuetudine, per la quale ci sottomettiamo all`obbedienza e ci abituiamo ad essa; poi, la contrizione, per la quale si piangono i peccati e si implorano le virtù. A questo punto, cominciamo di certo a gustare la giustizia, il che accresce la nostra fame e sete di quest`ultima, tanto per noi che per gli altri, e ci sentiamo presi dallo zelo per i peccatori. Ma, affinché uno zelo smodato non degeneri in vizio, subentra la misericordia a temperarlo. Quando dunque, con attività ed esercizi di questo genere, si sarà imparato ad essere giusti e misericordiosi, si sarà forse in grado di attendere alla contemplazione e di lavorare alla purificazione del cuore, che permette di vedere Dio. Cosí esercitati e provati nell`azione e nella contemplazione; dopo aver ricevuto il nome e la funzione di figli di Dio; divenuti ormai padri e servi degli altri, e quasi loro mediatori e intermediari, si sarà finalmente diventati degni di mettere la pace tra essi e Dio (cf. Dt 5,5), la pace tra di loro, o anche la pace tra essi e quelli di fuori. Si realizzerà cosí ciò che è scritto nell`elogio dei santi padri: Facevano regnare la pace nella loro casa (Sir 44,6). Colui che sarà stato fedele e perseverante nel compimento di questa mansione otterrà spesso la virtù e il merito del martirio, soffrendo persecuzione per la giustizia (cf. Mt 5,3-10), talvolta anche da parte di coloro per i quali avrà combattuto, sí da poter dire: I figli di mia madre hanno combattuto contro di me (Ct 1,5), e: Ero pacifico verso coloro che odiavano la pace; mentre io parlavo loro, essi mi attaccavano senza motivo (Sal 119,7).

(Guerric d`Igny, Sermo de Omn. Sanct., 1, 2)


5. Il peso dell`umanità e la grazia di Dio

I santi si sentono ogni giorno decadere, sotto il peso di terreni pensieri, dalle altezze della contemplazione; contro la loro volontà, anzi senza saperlo, sono assoggettati alla legge del peccato e della morte, e sono distratti dalla presenza di Dio da opere terrene, per quanto buone e giuste. Hanno dunque delle buone ragioni per gemere continuamente presso il Signore, hanno ben motivo per cui veramente umiliati e compunti non solo a parole, ma di cuore, si dichiarino peccatori, chiedano sempre perdono per tutte le debolezze in cui, battuti dalla debolezza della carne, incorrono ogni giorno, e versano vere lagrime di penitenza, poiché vedono che fino alla fine della loro vita essi saranno tormentati dalle pene che li affliggono e che neanche possono offrire le loro suppliche senza il fastidio delle immaginazioni.
Resisi conto, quindi, ch`essi non riescono, per il peso della carne, a raggiungere con le forze umane la meta desiderata e che non riescono a congiungersi, come desiderano, al somrno bene, ma che invece sono travolti, come prigionieri, verso le cose mondane, ricorrono alla grazia di Dio il quale fa giusti i malvagi (Rm 4,5) e gridano con l`Apostolo: Oh, me infelice! chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo del signor nostro Gesú Cristo (Rm 7,24-25). Sentono che non possono portare a termine il bene che vogliono e che invece ricadono sempre nel male che non vogliono e odiano, cioè le immaginazioni e preoccupazioni delle cose terrene.

(Giovanni Cassiano, Collationes, 18, 10)


6. I santi si sforzano di liberarsi dai ceppi della corporeità

Nessuno è in grado, prima della morte, di lodare Dio perfettamente, come nessuno può venir detto in questa vita certamente beato, perché il suo futuro è incerto. La morte è dunque la separazione dell`anima dal corpo, e sappiamo che l`Apostolo preferiva separarsi dal corpo ed essere con Cristo, e certo questo è meglio assai (Fil 1,23). Questa separazione, poi, cosa produce, se non che il corpo si scioglie e riposa, mentre l`anima entra nella sua pace, è libera, e, se devota, sta per sempre con Cristo? E che altro fanno dunque i giusti in questa vita, se non liberarsi dalle macchie di questo corpo che ci inceppano come vincoli, se non tentare di liberarsi dalle sue molestie, rinunciando alle sue voluttà e alla sua lussuria, fuggendo le fiamme dei piaceri? Chi agisce cosí, traccia in questa vita l`immagine della morte, se riesce ad agire in modo che muoiano in lui tutti i piaceri del corpo ed egli stesso muoia a tutte le cupidigie e a tutte le lusinghe mondane, come lo era Paolo quando diceva: Il mondo per me è crocifisso, ed io per il mondo (Gal 6,14). E per ammaestrarci che in questa vita vi è la morte, anzi la buona morte, ci esorta a portare attorno sempre nel corpo i patimenti di Gesú, affinché la vita di Gesú si manifesti nel nostro, corpo (2Cor 4,10).
Operi dunque in noi la morte, e produca la vita. E` buona la vita dopo la morte, cioè è buona la vita dopo la vittoria, è buona la vita alla conclusione della battaglia, quando la legge della carne non si opporrà piú alla legge dello spirito, quando non dovremo piú combattere con questo corpo di morte, ma saremo in esso vittoriosi. Non so perciò se sia di maggior efficacia la morte o la vita. Certamente mi scuote l`autorità dell`Apostolo che dice: Perciò la morte agisce in noi, in voi, invece, la vita (2Cor 4,12). La morte di uno, quanti popoli ha portato alla vita! L`Apostolo dunque ci insegna che chi è in questa vita deve desiderare una tale morte, perché risplenda nel nostro corpo la morte di Cristo. E` beata la morte che dissolve l`uomo esteriore e rinnova l`uomo interiore, che abbatte la nostra casa terrestre per prepararci un`abitazione in cielo. Attua questa morte chi si scioglie dall`attaccamento a questa carne e spezza i vincoli di cui parla il Signore per bocca di Isaia: Sciogli ogni legame di ingiustizia, spezza i legami delle mutazioni violente, rimanda liberi i vinti e rompi ogni determinazione iniqua (Is 58,6).
Attua la morte in sé anche chi si spoglia dei piaceri e si eleva ai diletti eterni, entrando in quella celeste abitazione in cui dimorava Paolo ancora in questa vita - altrimenti non avrebbe detto: La nostra dimora è nei cieli (Fil 3,20), frase che ci fa comprendere il suo merito ed è materia di meditazione -. Lassú dunque era fissa la sua meditazione, lassú dimorava la sua anima, lassú era la sua sapienza. Il sapiente, infatti, ricercando il bene divino, scioglie l`anima sua dal corpo; spezza il legame con questa sua tenda, quando si dedica alla scienza del vero, che desidera gli appaia nuda e svelata: perciò cerca di liberarsi dalle reti, dalle nebbie di questo corpo. Non con le mani, non con gli occhi o le orecchie possiamo comprendere quella somma verità, perché ciò che si vede è temporale, ciò che non si vede è eterno. Per questo, spesso la vista ci inganna e non vediamo le cose come stanno; per questo ci inganna anche l`udito. Perciò contempliamo non quello che si vede, ma quello che non si vede, se vogliamo evitare l`inganno.
E quando l`anima nostra sfugge l`inganno, quando raggiunge il trono della verità, se non quando si allontana da questo corpo, dai suoi inganni, dalle sue illusioni? L`inganna la vista degli occhi, l`inganna l`udito delle orecchie: abbandoni dunque tutto ciò e se ne allontani. Per questo l`Apostolo esclama: Non toccate, non palpate, non gustate tutto ciò che porta alla corruzione (Col 2,21) . Porta la corruzione l`indulgenza per il corpo. Perciò mostrando che non con l`indulgenza per il corpo ma con l`elevazione dell`animo, con l`umiltà del cuore egli aveva trovato la verità, soggiunge: «La nostra dimostra è nei cieli». Lassú dunque l`anima cerchi la verità che è e che sempre rimane, lassú si raccolga in se stessa e raccolga tutta la forza della sua virtù.

(Ambrogio, De bono mortis, 8 - 10)


7. Tutti dobbiamo seguire il Cristo

Anche noi, dunque, fratelli, se amiamo sinceramente, imitiamo. Non potremo, infatti, offrire una migliore prova di amore, che l`esempio dell`imitazione; Cristo, infatti, patí per noi, lasciandoci un esempio, affinché seguiamo le sue orme (1Pt 2,21). Sembra che l`apostolo Pietro abbia visto chiaro con questo pensiero, poiché il Cristo soffrí tanto per questi che seguono i suoi passi, né la passione di Cristo giovò alcunché, se non a quelli che seguono il suo esempio. Lo seguirono i santi martiri fino allo spargimento di tutto il loro sangue, fino a rassomigliare a lui nella passione: lo seguirono i martiri ma non soli. Infatti, non dopo che essi passarono, il ponte è stato spezzato; e dopo che essi bevvero, la fonte si è esaurita.
Qual è infatti la speranza dei buoni fedeli che anche nel dovere coniugale ne portano il peso in maniera concorde e casta, anche nello stato di continenza vedovile, donano le attrattive della carne, oppure innalzandosi sempre piú in alto verso le vette della santità, floridi e fervorosi, seguono, in nuova verginità, l`Agnello dovunque andrà?
Qual è la speranza per noi tutti, dico, per costoro, se non versano il sangue per lui stesso? La madre Chiesa lascerà perdere, dunque, quei figli che tanto piú fecondamente quanto piú sicuramente ha generato in tempo di pace?
Per non perderli, occorre pregare per la persecuzione, per la tentazione?
Non sia mai, fratelli.
Come, infatti, può invocare la persecuzione, colui che ogni giorno grida: Non ci indurre in tentazione (Mt 6,13)?
L`orto del Signore, o fratelli, ha non solo le rose dei martiri, ma anche i gigli dei vergini, le edere dei coniugi e le viole delle vedove.
Per questo, o dilettissimi, nessuno tra gli uomini disperi della propria vocazione: per tutti Cristo ha sofferto. Veramente di lui è stato scritto: Colui che vuole che tutti gli uomini siano salvi, e che tutti giungano alla verità (1Tm 2,4).
In quali cose bisogna seguire Cristo, eccetto nel martirio? La sua umiltà occorre imitarla. La vendetta, dietro l`esempio del Cristo, non è necessario richiederla. La sua presenza è da non tenerne conto.
Capiamo, pertanto, all`infuori dello spargimento del sangue, all`infuori del pericolo della passione, in che modo il cristiano debba seguire il Cristo.
L`Apostolo dice, parlando del Signore Gesú: Chi avendo la natura di Dio, non stimò una rapina essere eguale a Dio?
Quale grande maestà!
Ma umiliò se stesso, prendendo la forma di un servo, diventando simile agli uomini, e nella condizione, ritrovatosi come un uomo (Fil 2,7).
Quale grande umiltà! Il Cristo umiliò se stesso: «Tu hai, o cristiano, ciò che tieni».
Cristo si è fatto obbediente: Perché ti insuperbisci? Fin dove il Cristo si è fatto obbediente? Fino all`incarnazione del Verbo, fino alla partecipazione dell`umanità mortale, fino alla triplice tentazione del demonio, fino alla derisione del popolo dei Giudei, fino agli sputi e ad essere ammanettato, fino agli schiaffeggi ed ai flagelli; se è poco, fino alla morte; e se ancora c`è da aggiungere qualcosa al genere di morto, (si umiliò) fino alla morte di croce (cf. Fil 2,6-8).

(Agostino, Sermo 304, 2 ss.)


8. L`intercessione dei santi

Per la supplica della Madre di Dio,
Immacolata e sempre vergine,
E di Giovanni il Precursore,
Voce che grida nel deserto;

Per l`implorazione del Coro puro
Degli Apostoli che primi
Bevvero l`effusione dello Spirito
E ne fecero bere tutti noi;

Dei discepoli dell`Altissimo,
Dell`inamovibile Pietra della Fede,
E dello Strumento eletto dal Verbo,
E cose ineffabili ha udite;

Degli schietti figli di Zebedeo,
Che han tuonato dall`alto;
E di Andrea, tuo compagno di Croce,
E di Matteo, tuo Evangelista;

Di Filippo che veder volle il Padre,
Di Bartolomeo che ci ha chiamati [gli Armeni],
Di Giacomo d`Alfeo,
E di Tommaso Didimo;

Dello Zelota Simone,
E di Giuda, di Giacomo fratello,
Di colui che fu chiamato tuo fratello,
Nome da quel vescovo meritato;

Dei sette santi da loro prescelti
Quali Diaconi dello sparuto gregge;
E dei quali il corifeo del gruppo
Con essi porta il nome di «Corona»;

E dei settanta Discepoli,
Che Tu hai scelto per predicare il Verbo;
E di coloro che seguiti l`hanno;
Ognuno a tempo debito;

Dei Patriarchi di tutti i popoli,
Dei Dottori della veridica Parola,
Che insegnato ci hanno a confessarti
Figlio Unigenito del Padre;

Dei ministri del santo Mistero,
Dei nove ordini della Chiesa santa,
Simili a quelli delle celesti schiere
Che Te divinamente esaltano;

Ed anche di color che sono in cielo;
Per la domanda degli esseri sublimi, abbi pietà di noi;
Essi che anche per noi ti supplicano
Di non rifiutare l`opera della tua mano.

Per le anime dei Martiri innumerevoli
Che per Te han versato il loro sangue,
Accordami dolorose lacrime
Per versarle in cambio del lor sangue.

Dal primo santo Martire,
Stefano che lassú ti vide,
Fino al Martire ultimo nel tempo
Che sarà dall`Anticristo giustiziato.

Per le sofferenze proprie a tutti loro
Liberami dai tormenti del Maligno
E per la loro morte volontaria,
[Salvami] dalla morte eterna.

Per le oscure loro carceri e prigioni
Illumina le tenebre dell`anima [mia],
E per gli occhi che hanno lor cavati
Agli occhi dell`anima fa` brillar la luce...

In cambio delle minacce piú terribili,
Che essi come inezia reputarono,
Liberami dalle minacce del Maligno
E sul suo capo degnati rivolgerle.

E in cambio della promessa degli effimeri [beni]
Ai quali immantinente rinunciarono,
Non sia io all`Astuto abbandonato
Da un materiale amore ingarbugliato...

In cambio di lor fame prolungata
Concedi a me il tuo celeste Pane
E per la loro inestinguibil sete
La sorgente immortale del tuo Petto...

Che dir di piú? Non può enumerare
Lingua degli uomini i tormenti loro,
Che ora presso Te nascosti sono
Ma che, allora rivelati, avran compenso.

Grazie alle svariate lor torture
Risana le mie sofferenze personali:
Quelle del corpo, dell`anima e dello spirito,
E quelle dei pensieri, e di parole e d`atti.

E in cambio di loro teste mozze,
Per cui divenner membra tue, a Capo,
Con lor, Signor, incorpora me pure,
Sicché possa io crescere con tutti.

Per riguardo agli Eremiti del deserto,
Che han seguito la voce della vita,
E han portato la Croce con speranza,
Fa` sí che anch`io possa morire al mondo;

Per le suppliche del grande Antonio,
Della santa Assemblea Fondatore,
E di quei che per lui si son votati a quello stato
Fino ad oggi, e di quei che seguiranno.

Attraverso le piú svariate azioni
S`offrono a Te quali fiori multicolori;
La sterile alma fa` che si trasformi
In pianta cui non manchi frutto.

La preghiera essi hanno ottenuto in grazia
E il rivolo abbondante delle lacrime;
Me pure attrai, per loro implorazione,
Benché negligente, verso un simil bene.

Essi con i digiuni hanno sconfitto
Il carnale vizio del Principe del Male;
Per essi accordami nella concupiscenza,
Di porre il freno alle passion del cuore.

Vittoria han conseguito sui pensieri
Nella tenzone contro la lussuria;
Al pigro spirto mio vittoria dona
Almen a non seguir l`opre del Malvagio.

Essi, persino in particelle minute di materia,
Han dominato l`avarizia;
Fa` che dall`ingiustizia io m`allontani
E mi contenti di ciò che è sufficiente.

Con coloro che hanno avuto il coraggio di levarsi
in dispetto alla noia di mezzogiorno,
Rendimi coraggioso, me sí lento al bene
E sí pronto per il male.

Essi hanno vinto la collera
E arginato la tristezza
Argina entrambe in me, Signore, in grazia loro
Sí che vani siano i loro strali a me diretti.

Essi d`orgoglio e della sciocca gloria
Son stati vittoriosi sull`arena;
Liberami per loro intercessione
Nel duello ingaggiato per la parte destra [nel Giudizio].

Essi, per il comando che trascende la natura,
Si sono sottomessi a dura ascesi
Concedi a me almeno di portare
Il giogo tuo soave e il carico leggero.

E benché non abbia io posto tra i primi
Viaggiatori già pervenuti al cielo
Nondimeno sarò ultimo degli ultimi
Seguendo le lor tracce.

E se nella dimora degli esseri sublimi
Io non son degno del tetto di tuo Padre
Rendimi degno del piú umil scanno
Sia pur fra gli ultimi.

Solo ti prego colloca me pure
Alla tua destra nel gruppo degli agnelli,
Fammi sentire l`annuncio tuo gioioso
Della voce tua che beatifica.

(Nerses Snorhalì, Jesus, nn. 807-821, 832-833, 839, 841-857)
Coordin.
00sabato 1 novembre 2014 21:23
COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI

COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI


(2 novembre)


 


Benché la Chiesa ricordasse sempre nelle sue preghiere i defunti, il giorno di Commemorazione compare nel calendario liturgico assai tardi. L`idea stessa proviene dagli ambienti monastici. La regola di sant`Isidoro di Siviglia (+ 636) prescrive la Messa per tutti i defunti il lunedí dopo la Pentecoste. Alcune Chiese conoscevano un giorno simile di preghiera dopo l`Epifania del Signore. C`è la tendenza ad unire questo giorno ad una delle grandi feste della Chiesa. Il giorno della Commemorazione di tutti i defunti nella forma attuale viene introdotto da sant`Odilone, abbate del monastero a Cluny (994-1048): il giorno 2 novembre venne scelto, visto che il giorno precedente si celebrava la Solennità di Tutti i Santi. La Chiesa esulta per la gloria dei suoi santi, ma non dimentica coloro che non sono ancora arrivati alla sua pienezza. L`abbazia di Cluny, per lungo tempo, influisce molto sulla vita religiosa d`Europa e perciò il giorno della Commemorazione viene accolto comunemente. La prima nota riguardante la celebrazione di questa Commemorazione risale al 1311. In alcune diocesi, si svolgevano in questo giorno processioni con le preghiere per i defunti. Alla fine del XV secolo, in Spagna, sorge la pratica di celebrare tre Messe, prassi che si diffonde in Portogallo ed in America latina. Nell`anno 1915 all`inizio della Prima Guerra mondiale, Benedetto XV estende questo privilegio a tutta la Chiesa.


Il giorno di preghiera per i defunti è per molti l`occasione di porsi delle domande di principio. Perché la morte, perché il nostro corpo torna in polvere, perché dobbiamo sperimentare il dolore del distacco dai nostri prossimi? Chi può assicurarci l`immortalità, chi ci può dire come sarà la vita futura, chi può consolarci nel tempo della tristezza?


Abbiamo accolto le parole di Cristo e ne conosciamo le risposte, crediamo a ciò che dicono i libri ispirati dalla Sacra Scrittura. Le molte risposte che abbiamo trovato, le possiamo ridurre ad una: la morte si può comprendere solo alla luce della Morte e della Risurrezione del Signore. Come Gesú è morto e risuscitato, cosí anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesú insieme con lui (1Ts 4,14).


Come tutti muoiono in Adamo, cosí tutti riceveranno la vita in Cristo (1Cor 15,22). Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se morto, vivrà (Gv 11,25). La fede nella Risurrezione del Signore sta alla base della nostra preghiera per coloro che sono morti: affinché siano accolti nella gloria, affinché passino al luogo della luce e della pace. Essi non solo credettero nel Signore, ma attraverso il Battesimo morirono con lui e con lui passarono alla vita nuova: che il Signore compia adesso ciò che ha iniziato nel Battesimo.


L`uomo di fronte a Dio: chi può dire di essere senza peccato? La Chiesa raccomanda oggi alla divina misericordia coloro che sono morti: Dio, una volta li lavò con le acque del Battesimo, che ora li lavi con la grazia del perdono. Celebrando l`Eucaristia, la Chiesa non cessa di intercedere per i nostri fratelli, che sono morti nella speranza della risurrezione. Prega per i defunti, dei quali solo Dio ha conosciuto la fede e per tutti coloro che hanno lasciato questo mondo. Oggi, queste parole assumono un particolare significato. Stiamo oggi presso le tombe dei nostri parenti, vicini, conoscenti; passiamo vicino ai sepolcri di tanti nostri fratelli. Ci accompagnino le parole della liturgia: «Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata».


 


Dio onnipotente ed eterno,


annualmente per le nostre preci


tu concedi le cose che ti chiediamo


e i doni per tutti coloro i cui corpi qui riposano:


il luogo del refrigerio, la beatitudine della quiete,


lo splendore della luce;


e quelli che son gravati dal peso dei loro peccati


ti affida la supplica della tua Chiesa.


 


(Sacramentarium Gelasianum, ed. L.C. Mohlberg, Roma 1968, n. 1681)


 


 


1. Dio è già qui, tanto bello!


 


Quali parole potranno mai esaurire la bellezza e l`utilità delle creature, che, per divina misericordia, l`uomo, benché abbandonato e condannato a tante fatiche e miserie, può contemplare e godere? La bellezza varia e molteplice della terra e del mare; l`abbondanza e la meraviglia della stessa luce, nel sole, nella luna e nelle stelle; l`ombra dei boschi; i colori e gli odori dei fiori, la varia moltitudine di uccelli garruli e variopinti; le forme molteplici di tanti animali di cui i piú piccoli sono i piú ammirevoli (ci meravigliano piú le opere delle piccole formiche e delle piccole api, che i corpi immensi delle balene); lo stesso spettacolo immenso del mare, quando si riveste di diversi colori: ora verde, ora variegato, ora purpureo, ora ceruleo. Anzi, è uno spettacolo dilettevole anche quando è agitato, ed è allora tanto piú soave, quanto piú chi lo contempla è sicuro di non esser da esso scosso e travolto. E che dirò dell`abbondanza enorme dei cibi per combattere la fame, e della molteplicità dei sapori, per combattere la nausea, forniti senza posa dall`opulenta natura e non dall`arte e la fatica dei cuochi? E tra essi, quanti rimedi per ricuperare e proteggere la salute! Che grata alternanza di giorno e di notte! Che dolce spirar di venti! Dalle piante e dai greggi, quanto materiale per confezionare abiti! Chi potrebbe ricordare tutto? Se uno si volesse dedicare ad esaminar anche solo queste poche cose da me ridotte e condensate in queste poche linee, quanto tempo dovrebbe impegnare per ciascuna di esse! E sono tante!


Tutto ciò è consolazione dei miseri e dei condannati, non premio dei beati. Come sarà dunque il premio, se la consolazione è tale e tanta! Cosa darà Dio a coloro che ha predestinato alla vita, se ha dato questo a coloro che ha predestinato alla morte! Di quali beni ricolmerà nella vita beata quelli per i quali in questa miseria ha voluto che il suo Figlio unigenito soffrisse tante pene, fino alla morte? Per questo l`Apostolo, parlando dei predestinati al regno dei cieli, dice: Colui che non perdonò al suo proprio Figlio, ma che lo sacrificò per noi, com`è possibile, che con lui, non ci doni tutto? (Rm 8,32). Quando questa promessa si sarà adempiuta, come saremo? Quali saremo? Quali beni riceveremo in quel regno, avendo già ricevuto un tale pegno: Cristo morto per noi? Come sarà lo spirito dell`uomo, senza i vizi ai quali debba sottostare, a cui debba cedere o contro i quali debba almeno strenuamente lottare, cioè perfetto per il pieno possesso pacificante della virtù? Come sarà abbondante, come sarà bella, come sarà certa la scienza di tutte le cose, pura da ogni errore e fatica, là dove la sapienza di Dio verrà attinta alla sorgente, con somma felicità, senza nessuna difficoltà! Come sarà splendido il corpo, soggetto in tutto allo spirito, da esso pienamente vivificato, libero dal bisogno di qualsiasi alimento! Sarà corpo spirituale, non animale: avrà la sostanza della carne, ma non certo la corruzione della carne.


 


(Agostino, De civit. Dei, 22, 24)


 


 


2. Perché esiste la morte


 


Ma sopporta a stento e si sdegna chi riflette sulla decomposizione del corpo, e pensa che è terribile che la nostra vita si dissolva con la morte.


Poiché questa considerazione gli procura dolore e fastidio, esamini attentamente il grande beneficio di Dio.


Per suo mezzo sarà maggiormente spinto ad ammirare la grazia della cura che Dio ha dell`uomo.


Debbono scegliere di vivere coloro che partecipano della vita, perché godano di quelle cose che sono gradite e piacevoli.


Giacché se qualcuno trascorresse la vita tra i dolori e le angosce, si ritiene che per lui è di gran lunga meglio non essere soggetto al dolore che esserlo.


Esaminiamo, dunque, se colui che usufruisce della vita, miri a qualche altra cosa, piuttosto che a trascorrere una vita in mezzo alle migliori e piú belle cose.


Poiché, infatti, abbiamo attratto con l`impulso del libero arbitrio la società del male, mescolando il male della natura per mezzo di un certo veleno, quasi miele nascosto, del piacere; e, perciò, uscendo dalla beatitudine che si comprende con l`impassibilità, siamo spinti al vizio, e da questo motivo l`uomo di nuovo è rivolto alla terra come un vaso di creta (Gen 3,19); talmente che allontanate le impurità che ora sono in lui, attraverso la risurrezione sia reintegrato nella originale condizione.


Questa verità, d`altra parte, ci espone senza dubbio Mosè, nella storia e attraverso simboli.


Del resto anche queste immagini contengono una dottrina profonda e luminosa.


Disse, infatti, che dopo che erano state proibite quelle cose, ci furono i primi uomini, i quali furono privati della felicità, e Dio impone per coprirsi delle tuniche di pelle ad essi, che furono i primi colpevoli, non badando, come penso, a tali pelli.


Infatti, quali animali uccisi e privi di pelle, si inventa la loro veste?


Ma poiché ogni pelle è tolta e separata, priva di vita dagli animali, ritengo senza dubbio che colui che guarisce il nostro peccato, in seguito infuse agli uomini provvidenzialmente una forza tale per morire che non sempre perdurasse, la quale fu tolta dalla natura priva della ragione.


La tunica, infatti, proviene da quegli elementi che ci sono imposti dall`esterno, offrendo al corpo, temporaneamente, l`uso di sé, senza immedesimarsi affatto con la natura.


Dunque, dalla natura dei bruti, con un certo criterio ed eccezione fu aggiunta la mortalità a quella natura che fu creata per l`immortalità, e ciò è quanto riguarda il caso all`esterno, non all`interno, e interessando la parte sensibile dell`uomo, ma non toccando la sua stessa immagine divina.


Si dà una soluzione, d`altra parte, a ciò che è sensibile, ma non si abolisce né si elude.


L`abolizione, in verità, riguarda ciò che non è transitorio.


Ma la soluzione è il dissolversi che di nuovo ritorna negli elementi del mondo, con i quali formava un tutt`uno [una compagine].


Ciò che, in effetti, non era presente in essi, non scomparve, anche se sfugge alla comprensione dei nostri sensi.


Resta aperta, però, la causa della soluzione attraverso l`esempio che è stato da noi riferito.


Poiché, infatti, il senso ha una necessità ed è unito con ciò che è pesante e terrestre: e questo è piú eccellente e piú sublime che il giudizio di quelli che si trovano nel bene e nell`onestà, si allontanò nell`approvare i sensi, ma da esso poi ciò che di buono e di onesto vi risultò aberrazione, tanto che diventò abitudine contraria; è inutile la nostra parte restituita, si risolve con l`accettazione del contrario.


Ed ecco un esempio di quanto diciamo: Si conceda che qualcuno modelli un vaso dal fango; e, poi, con inganno e tranello sia ripieno di piombo liquefatto: inoltre faccia gonfiare il piombo fuso, che tale rimanga che non si possa rifondere; e il vaso poi voglia vendicare il suo padrone: sia avendo la scienza del vasaio sia spaccando la sua testa col piombo: e di nuovo, poi, ricostruisca il vaso distrutto nella sua primitiva figura e per il proprio uso, esso che prima era stato materia eterogenea.


Cosí, dunque, anche il modellatore del nostro vaso di creta, col difetto mescolato della parte sensitiva (parlo di quella che risiede nel corpo), una volta che la materia che aveva contratto il vizio è stata dissolta, il vaso di nuovo è rimodellato, ma non, viceversa, rimescolato, in virtù della risurrezione, e restituirà quella bellezza che aveva avuto all`inizio.


Poiché, poi, appartiene al corpo una certa società e comunione di quegli affetti che derivano dal peccato; anche una certa analogia e proporzione della morte del corpo con la morte dell`anima: in che modo nella carne chiamiamo morte ciò che è separato dalla vita sensibile; cosí anche nell`anima chiamiamo morte la separazione dalla vera vita; poiché, dunque, unica è la comunione la associazione del male, come prima è stato detto, considerata nell`anima e nel corpo, per l`una e per l`altra procede l`anima ad agire: per la qual cosa non intacca l`anima la morte della separazione dal rivestimento della pelle mortale.


In che modo, infatti, potrebbe disgregarsi ciò che non composto di parti?


D`altronde c`è bisogno che anche quelle cose di colui derivate dai peccati si deposero in lui come macchie, siano tolte per mezzo di qualche medicina, perciò nella presente vita fu adoperato il rimedio della virtù per curare queste ferite.


Giacché se non è possibile la cura, essa è rinviata alla vita futura.


 


(Gregorio di Nissa, Oratio catech., 8)


 


 


3. Non si devono scrutare gli avvenimenti e giudicarli senza attenderne la fine


 


E come un uomo inesperto vedendo il fonditore iniziare l`operazione di fonditura dell`oro, mescolandolo a cenere e paglia, penserà, se non attende la fine del processo, che il pezzettino d`oro è perduto, cosí del pari un uomo nato ed allevato sul mare, poi trasportato in pieno ambiente di terraferma e assolutamente privo di nozioni circa il modo di coltivare, se gli capitasse di vedere il grano messo da parte e custodito dietro le porte e sottochiave, preservato dall`umidità, quindi portato via dal contadino, disperso, gettato al vento, sparso sulla terra agli occhi di tutti i passanti e non solo senza la precauzione di preservarlo dall`umidità, ma persino abbandonato al fango e all`acquitrino, senza protezione alcuna, non crederebbe forse quel grano perduto e non biasimerebbe il contadino che ha agito in tal modo?


Ora, un tal biasimo non deriva dalla natura dei fatti, bensí dall`inesperienza e dalla stoltezza di colui che non giudica bene, esprimendo già dall`inizio un`opinione prematura. Infatti, se aspettasse l`estate; se vedesse le messi ondeggiare e la falce che si affila e quel grano, che era stato disperso, rimasto abbandonato, marcito, corrotto, lasciato nel fango, quello stesso grano cresciuto, moltiplicato, rigoglioso nella sua freschezza, sbarazzatosi della sua vecchia guaina ed ergentesi in tutta la sua forza, come attorniato di satelliti e di guardie, protendente all`aria la sua spiga, che incanta lo spettatore, lo nutre e gli procura un buon profitto, allora sarebbe ancora piú preso da stupore dal fatto che quel grano, attraverso tante avventure, è stato condotto a uno stato sí florido e di tale bellezza.


E tu, o uomo, non porre soprattutto interrogativi al nostro padrone comune, ma se sei tanto assetato di discussioni e tanto audace da folle di tale follia, aspetta almeno la fine degli avvenimenti. In effetti se il lavoratore aspetta tutto l`inverno, senza soffermarsi a considerare il trattamento imposto al grano durante la stagione del freddo, bensí i vantaggi che si propone di trarne, a piú forte ragione tu, davanti a colui che lavora l`intera terra e le nostre anime, dovresti attendere la fine, e non dico solamente la fine nella vita presente - poiché spesso essa si realizza fin da quaggiú - ma nella vita futura. Il piano di Dio, infatti, è organizzato in funzione di ciascuna di queste due vite, in funzione della nostra salvezza e della nostra gloria. Se è spezzettato nel tempo, il fine gli restituisce la sua unità e, cosí come sia l`inverno sia la primavera e l`evoluzione di ciascuna delle stagioni mira ad un unico risultato, la maturità dei frutti, analogamente avviene in ciò che ci concerne.


 


(Giovanni Crisostomo, De Provid., 9, 1-5)


 


 


4. Come si manifesta la piena giustizia del giudice divino


 


Non sappiamo per quale giudizio di Dio quel buono sia povero, e questo cattivo sia ricco; perché goda questi, che per i suoi costumi scellerati ci sembra dovrebbe meritare di soffrire; e perché sia afflitto quegli, la cui vita onesta ci fa pensare che dovrebbe godere. Parimenti, perché l`innocente esca dal giudizio non solo senza soddisfazione, ma addirittura condannato, o per l`iniquità del giudice o per il peso delle testimonianze false; e perché al contrario il suo iniquo avversario, non solo impunito ma anche soddisfatto, esulti di gioia. E perché l`uomo empio ha buona salute, mentre l`uomo pio marcisce nella malattia; perché giovani rapinatori stanno benissimo, mentre fanciulli, che non hanno potuto offendere nessuno neppure a parole, sono afflitti da molteplici e atroci malattie. E perché un uomo utile al genere umano, vien rapito da morte immatura mentre chi sembra che non avrebbe dovuto neppur nascere, vive a lungo. Perché chi è pieno di delitti, viene innalzato ai piú alti onori, mentre un uomo senza macchia resta nascosto nelle tenebre di una condizione oscura; e molti altri casi simili, ma chi li raccoglie, chi li passa in rassegna? Se poi questa realtà, che sembra un assurdo, fosse tanto costante che in questa vita - nella quale l`uomo, come dice il sacro salmo è simile alla vanità e i cui giorni passano come ombra (Sal 143,4) - solo i cattivi ottenessero i beni transitori e terreni e solo i buoni soffrissero tali mali, ciò potrebbe mettersi in rapporto col divino giudizio, giusto o almeno benigno: coloro che non raggiungeranno i beni eterni che rendono beati, vengono, per mezzo dei beni temporali, o ingannati per malizia loro, o consolati per misericordia di Dio; mentre coloro che non soffriranno i tormenti eterni, vengono afflitti mediante mali temporali, o per i loro peccati, quale ne sia la natura e per quanto piccoli essi siano, o messi alla prova per perfezionare le loro virtù. Ma ora, stanno nel male non solo i buoni e nel bene non solo i cattivi, che sembrerebbe ingiusto, ma spesso anche ai cattivi cadono addosso mali e sui buoni si riversano beni: tanto piú imperscrutabili si fanno cosí i giudizi di Dio, e insondabili le sue vie. Perciò, anche se non sappiamo per quale giudizio Dio cosí faccia o cosí permetta che avvenga, lui presso il quale risiede somma virtù, somma sapienza e somma giustizia, e nel quale non v`è nessuna debolezza, nessuna temerità e nessuna iniquità: impariamo tuttavia - per la nostra salvezza - a non dar troppo peso a quei beni e a quei mali che vediamo essere comuni ai buoni e ai cattivi, e d`altra parte a ricercare quei beni che sono propri dei buoni e a fuggire quei mali che sono propri dei cattivi. E quando giungeremo a quel giudizio di Dio, il cui tempo vien detto esattamente giorno del giudizio e qualche volta giorno del Signore, riconosceremo la giustizia di ogni divino giudizio, non solo di quelli che verranno emessi allora, ma di tutti quelli che furono emessi dall`inizio e saranno stati emessi fino allora. E anche apparirà chiaro per quale giusto giudizio di Dio, ora molti, anzi tutti i divini giudizi, siano nascosti al senso e alla mente dei mortali, quantunque non sia celata alla fede dei buoni la giustizia di ciò che è celato.


 


(Agostino, De civit. Dei, 20, 2)


 


 


5. Per quali anime dopo la morte sono di giovamento le messe le elemosine?


 


Durante il tempo posto tra la morte dell`uomo e l`ultima risurrezione, le anime stanno in dimore nascoste, di riposo o afflizione, a seconda che ciascuna ne è degna per ciò che ha meritato mentre viveva nella carne.


Non si può negare che le anime dei defunti vengano confortate dalla pietà dei loro cari viventi, quando costoro per esse offrono il sacrificio del Mediatore o distribuiscono in chiesa elemosine Ma questi suffragi giovano a coloro che durante la vita meritarono di potersene poi giovare. Vi è infatti un genere di vita, né così buono, da non aver bisogno di tali suffragi dopo la morte, né cosí cattivo, da non giovargli. Vi è poi un genere di vita, cosí buono, da non abbisognarne; ed infine, uno cosí cattivo, da non potersene avvantaggiare dopo il passaggio da questa vita. Perciò, già quaggiú, si acquista ogni merito, in base al quale la situazione dopo la vita può essere o sollevata o aggravata. Nessuno si illuda di meritare presso Dio, dopo la morte, ciò che qui ha trascurato.


Questi suffragi, dunque, che la Chiesa celebra per i defunti, non sono affatto contrari al detto dell`Apostolo: Tutti infatti staremo davanti al tribunale di Cristo, perché ciascuno riceva secondo quel che ha fatto finché era nel corpo, sia in bene che in male (2Cor 5,10). Anche questo si è meritato ciascuno mentre viveva quaggiú: che i suffragi gli possano essere di vantaggio. Non a tutti infatti giovano; e perché non a tutti giovano se non per la differente vita condotta da ciascuno nel corpo? Quando poi per tutti i battezzati defunti vengono offerti o il sacrificio dell`altare o i sacrifici dell`elemosina, per i molto buoni sono rendimento di grazie; per i non molto cattivi sono propiziazione; per i molto cattivi, pur non essendo aiuto per i defunti, sono una qualche consolazione per i vivi. A coloro cui giovano, o ottengono che la loro remissione sia piena, o certamente che la loro stessa condanna sia piú sopportabile.


 


(Agostino, Enchirid., 29, 109-110)


 


 


6. Il tormento eterno


 


Dopo la risurrezione, quando il giudizio universale avrà avuto luogo e la sentenza sarà stata eseguita, verranno posti confini precisi alle due città, a quella cioè di Cristo e a quella del diavolo; una dei buoni, l`altra dei cattivi: ma l`una e l`altra composte di angeli e di uomini. Gli uni non avranno piú la volontà, gli altri non avranno piú la capacità di peccare. Inoltre, non vi sarà nessuna possibilità di morire: gli uni godranno felici in perpetuo della vita eterna; gli altri, infelici, saranno immersi nella morte eterna senza la possibilità di morire: per entrambi non esiste fine. Ma, nella beatitudine, un beato sarà piú glorioso dell`altro, e anche nella miseria (della dannazione), ad un dannato la sua situazione sarà piú tollerabile che all`altro.


Inutilmente perciò alcuni, anzi molti, commiserano con sentimento umano l`eterna pena dei dannati e i loro tormenti perenni, ininterrotti, e non si sentono di ammettere una simile realtà. Costoro non intendono opporsi alle divine Scritture, ma solo sono portati ad intendere con maggior malleabilità e ad interpretare in senso piú blando ciò che nelle Scritture sarebbe espresso - essi pensano - piú per incutere terrore che per annunciare la verità. Dicono infatti: Dio non si dimenticherà di essere misericordioso, e conterrà la sua ira per la sua grande clemenza (Sal 76,10). Sono parole che leggiamo in un salrno; ma possiamo applicarle senza perplessità solo a coloro che vengono chiamati vasi di misericordia (Rm 9,23), poiché anch`essi non grazie ai loro meriti, ma per la bontà di Dio sono liberati dalla miseria. Ma se quelli pensano che tali parole si riferiscano a tutti, non è necessario tuttavia dover ammettere che abbia fine la dannazione di coloro dei quali è stato detto: Ed essi se ne andranno al supplizio eterno (Mt 25,46), per non essere costretti ad ammettere che un giorno avrà fine anche la felicità di coloro dei quali è stato detto, al contrario: «Ma i giusti se ne andranno alla vita eterna».


Che invece la pena dei dannati talvolta sia un po` mitigata, lo possono sempre ammettere, se lo vogliono. Giacché il fatto che su di loro resta l`ira di Dio (cf. Gv 3,36), cioè la dannazione stessa - è questa infatti che vien detta ira di Dio, non una perturbazione dell`animo divino - può essere interpretato nel senso che egli, nella sua ira, ossia nel perdurare della sua ira, non ferma la sua misericordia: e ciò, non ponendo fine al supplizio eterno, ma interrompendo talvolta o alleviandone le pene. Il salmo, infatti, non dice «per por fine alla sua ira», oppure «dopo la sua ira», ma «nella sua ira». Ammesso che questa resti anche nella misura minima possibile, perdere il regno di Dio, essere esiliati dalla città di Dio, venir sottratti alla vita di Dio, mancare della immensa e molteplice dolcezza di Dio, da lui riserbata a coloro che lo temono e da lui elargita a quanti in lui sperano, è una pena tanto grande, che non ammette confronto con nessun tormento conosciuto quaggiú, per quanti secoli dovesse durare, giacché quei tormenti sono eterni.


Senza fine dunque durerà la morte eterna dei dannati, cioè la loro privazione della vita di Dio; e precisamente in ciò consisterà la pena comune a tutti i dannati, per quanto gli uomini, guidati dal loro sentimento di umanità, possano figurarsi che le pene siano varie o che i dolori vengano interrotti o alleviati.


 


(Agostino, Enchirid., 29, 111-113)


 


 


7. La morte del giusto è un premio


 


Ma perché dev`essere cosí duro ciò che un giorno o l`altro bisognerà pur soffrire? Ci rattristiamo per la morte di qualcuno: ma siamo forse nati per vivere eternamente qui? Abramo, Mosè, Isaia, Pietro, Giacomo e Giovanni, Paolo - il vaso d`elezione - e perfino il Figlio di Dio, tutti sono morti; e proprio noi restiamo indignati quando qualcuno lascia il suo corpo? E pensare che probabilmente, proprio perché il male non riuscisse a fuorviare la sua ragione, è stato portato via! La sua anima, infatti, era gradita a Dio; per questo lui s`è affrettato a toglierla di mezzo all`iniquità (Sap 4,11-14), in modo che durante il lungo viaggio della vita non si smarrisse in sentieri traversi.


Piangiamoli, sí, i morti; ma solo quelli che piombano nella Geenna, quelli divorati dall`inferno, quelli per i quali è acceso un fuoco eterno! Ma se noi, quando lasciamo questa vita, siamo accompagnati da una schiera di angeli, se Cristo ci viene incontro, rattristiamoci piuttosto se ha da prolungarsi la nostra permanenza in questa residenza sepolcrale. E poiché, effettivamente, per il tempo che qui ci attardiamo, siamo come degli esiliati che camminano lontani dal Signore, il desiderio, l`unico, che ci deve trascinare, è questo: Me infelice! il mio esilio si prolunga; abito fra i cittadini di Cedar, e da troppo tempo l`anima mia è in esilio! (Sal 119,5-6). Ora, se dire Cedar è dire tenebre, se questo mondo è tenebre - nelle tenebre, infatti, la luce risplende, ma le tenebre non l`accolsero (Gv 1,5) -, rallegriamoci con la nostra Blesilla che è passata dalle tenebre alla luce, e mentre ancora era lanciata nella fede appena accolta, ha ricevuto la corona di un`opera compiuta!


 


(Girolamo, Epist. 39, 3)


 


 


8. Preghiera sulla tomba del fratello piú giovane


 


O Signore e creatore di ogni cosa, e soprattutto della nostra creta! O Dio degli uomini tuoi, o padre e guida, padrone della vita e della morte, custode e benefattore delle nostre anime! Tu che fai tutto e a suo tempo tutto muti col tuo Verbo creatore come ritieni bene nella profondità della tua saggezza del tuo governo, accogli ora Cesario, primizia del nostro pellegrinaggio a te! Che l`ultimo nato sia stato il primo, lo rimettiamo ai tuoi disegni, da cui tutto è retto; e anche noi accogli a suo tempo, dopo averci guidato in questa carne fino a quando sarà bene; ed accoglici preparati nel tuo timore, e non turbati; fa` che non ci ritiriamo indietro l`ultimo giorno e a forza veniamo strappati da quaggiú, come quelli che amano il mondo e la carne; ma che, con animo pronto, ci affrettiamo per la vita di lassú, immortale e beata, che è in Cristo Gesú, Signore nostro.


(Gregorio di Nazianzo, Oratio in mort. Caesar., 7, 24)


 


9. Tutta la terra loderà Dio


Alleluia: è la lode di Dio, per noi, affaticati; essa contrassegna quella che sarà la nostra attività nel riposo. Quando infatti, dopo la fatica di quaggiú, giungeremo al riposo di lassú, unico nostro ufficio sarà la lode di Dio, la nostra attività sarà un alleluia...


Quasi un profumo della lode divina, della quiete celeste raggiunge anche noi, ma molto piú ci preme la nostra mortalità. Parlando infatti ci stanchiamo, e desideriamo ristorare le membra; e se diciamo a lungo: alleluia, la lode di Dio ci è onerosa per il peso del nostro corpo. La pienezza dell`alleluia incessante vi sarà solo dopo questo mondo, dopo questa fatica. E con ciò fratelli? Diciamolo quanto possiamo, per meritare di dirlo sempre! Lassú l`alleluia sarà nostro cibo; l`alleluia sarà nostra bevanda, l`alleluia sarà l`attività del nostro riposo, tutta la nostra gioia sarà un alleluia, cioè lode di Dio. E chi loda senza imperfezione, se non chi gioisce senza noia? Quanta forza vi sarà nella mente, quanta fermezza immortale nel corpo, perché l`attenzione della mente non venga mai meno nella divina contemplazione, né le membra soccombano nella continua lode di Dio!


 


(Agostino, Sermo 252, 9)


Coordin.
00mercoledì 19 novembre 2014 08:49
COMUNE DELLA DEDICAZIONE DELLA CHIESA

COMUNE DELLA DEDICAZIONE DELLA CHIESA


 


Ottenuta la libertà, la Chiesa ha cominciato ad innalzare templi, cosí necessari visto il crescente numero dei fedeli. La consacrazione del nuovo luogo di culto diventava una festa per la comunità alla quale partecipavano i vescovi vicini ed i fedeli. Col tempo, si è creato il rito della consacrazione della chiesa. A Roma, si celebrava all`inizio semplicemente la prima Messa: la celebrazione dell`Eucaristia consacrava la chiesa. Alla fine del IV secolo, comparve fuori Roma una nuova pratica accolta con approvazione dai fedeli: il collocamento delle reliquie dei martiri sotto l`altare del nuovo tempio. Roma, a lungo, fu contraria a intaccare le tombe dei martiri, ma definitivamente nel VI secolo la deposizione delle reliquie sotto l`altare venne introdotta nel rituale della consacrazione. In molti casi, i cristiani incettavano i templi pagani trasformandoli in chiese, e allora veniva l`aspersione dell`edificio con l`acqua appositamente benedetta. Mentre a Roma il collocamento delle reliquie legato alla Messa costituiva il rito della consacrazione, in Gallia si consacrava in primo luogo l`altare: il nuovo altare veniva unto in cinque posti. In breve, all`unzione dell`altare si è aggiunta l`unzione delle pareti del tempio. Verso l`anno 950, venne redatto il Pontificale (Libro delle benedizioni episcopali), che uní la tradizione romana a quella gallica. Il rito della consacrazione del tempio consolidatosi allora durò, salvo piccoli cambiamenti, fino all`ultima riforma.


Il rito attuale della consacrazione della chiesa contiene: l`entrata solenne del vescovo nel nuovo tempio, la consegna della chiesa al vescovo, effettuata dai rappresentanti della comunità locale, la benedizione dell`acqua e l`aspersione del popolo nonché delle pareti del tempio. Durante la Messa, dopo la liturgia della parola e delle litanie a tutti i santi, segue la deposizione delle reliquie sotto l`altare, il vescovo pronuncia la grande preghiera della consacrazione, quindi unge l`altare e le pareti del tempio in dodici posti. Poi, prosegue la celebrazione dell`Eucaristia.


E` una tradizione della Chiesa festeggiare l`anniversario della consacrazione della chiesa. La commemorazione della consacrazione della Basilica Lateranense, la cattedrale di Roma, che ebbe luogo circa l`anno 324 e dal secolo XI si suol ricordare il giorno 9 novembre, è celebrata da tutta la Chiesa cattolica. La diocesi celebra l`anniversario della consacrazione della sua chiesa cattedrale, la parrocchia della chiesa parrocchiale.


La Chiesa consacra solennemente il tempio costruito, poiché esso è il segno della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, ma non dimentica che il vero tempio di Dio sulla terra è il popolo di Dio. «Voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale», leggiamo nella prima lettera di san Pietro (2,5). «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Santo è il tempio di Dio, che siete voi», scriverà san Paolo (1Cor 3,16).


Il tempio di Dio nel mondo è la Chiesa, il tempio costruito dalle pietre vive sul fondamento degli apostoli e del quale pietra angolare è lo stesso Cristo. Il tempio di Dio nel mondo è ogni uomo credente, che con tutto il cuore serve il suo Signore. Consacrando l`edificio visibile innalzato per la gloria di Dio, la Chiesa ben intende il suo ruolo di servizio verso il vero tempio di Dio. In questo edificio visibile di Dio sarà preparata per i credenti la mensa della Parola e la mensa dell`Eucaristia; qui Dio nella sua misericordia purificherà gli uomini dalle loro colpe e li ripristinerà nella vita perduta col peccato. Questo sarà il luogo di gloria e di lode, la casa di preghiera per la salvezza di tutto il mondo. I poveri devono trovare qui la misericordia, gli oppressi la libertà, l`uomo la dignità che gli spetta.


Il tempio, segno della presenza di Dio in mezzo al popolo, serve perché la santità della nostra vita e delle opere, la preghiera continua e l`amore vicendevole siano il segno reale della dimora di Dio presso gli uomini. In questo tempio ed attraverso di esso, Dio innalza per sé il tempio dalle pietre vive. Ci sono tanti templi nel mondo, ci sono cattedrali splendide, chiese parrocchiali ordinarie e cappelle povere. Ciascuna adempie il suo compito, se serve alla costruzione del tempio spirituale.


 


O Dio, che dall`armoniosa partecipazione


dei santi edifichi per te un tempio eterno,


concedi i celesti aiuti della tua edificazione


e di coloro che qui si raccolgono,


con pio modo, le reliquie,


ci aiutino sempre i loro meriti.


 


(Sacramentarium Gothicum, ed. L.C. Mohlberg, Roma 1968, n. 710)


 


 


1. Il nuovo comandamento è un nuovo cantico


 


La celebrazione di questa assemblea è la consacrazione della casa della preghiera. Questa è la casa delle nostre preghiere e noi stessi la casa di Dio.


Se noi siamo la casa di Dio, noi siamo edificati in questo mondo, affinché siamo consacrati alla fine dei tempi.


L`edificio, anzi la costruzione, richiede lavoro, la consacrazione suppone gioia.


Ciò che qui avveniva, quando questa casa si innalzava, avviene nel modo in cui i credenti si radunano nel Cristo.


Col credere, infatti, quasi si recidono dalle selve e dai monti, legna e pietre: quando sono catechizzati, invero, quando sono battezzati e formati, vengono appianati, levigati ed ordinati come [se fossero] tra le mani dei fabbri e degli artisti.


Tuttavia non edificano la casa del Signore se non quando sono armonizzati per mezzo della carità.


Questa legna e queste pietre, se non fossero unite tra loro con la carità, se non combaciassero facilmente, se non si amassero in qualche modo, aderendo tra di loro vicendevolmente, nessuno entrerebbe qui.


Infine, quando tu vedi in qualche fabbrica pietre e legni tra di loro ben compatti, vi entri sicuro, non temi pericolo.


Volendo, quindi, il Cristo Signore entrare, ed abitare in noi, come se dicesse nell`edificare: Io vi do un nuovo comandamento, che vi amiate gli uni gli altri (Gv 13,34).


Vi do, disse, un comandamento.


Eravate, infatti, antichi, e non mi innalzavate, ancora una casa, e giacevate nel vostro errore.


Dunque, per essere liberati dalla vostra antica rovina, amatevi vicendevolmente.


Consideri, quindi, la vostra Carità che questa casa sia ancora da edificarsi, come fu predetto e promesso, sulla traccia della terra.


Edificandosi, infatti, la casa dopo la schiavitú, come contiene un altro Salmo, veniva detto:


Cantate al Signore un cantico nuovo; cantate al Signore, tutta la terra! (Sal 95,1).


Ciò che qui ha detto - Cantico nuovo - lo disse al Signore, Comandamento nuovo... Che cosa ha, infatti, il nuovo cantico, se non l`amore nuovo?


Il cantare è proprio di colui che ama. La voce di questo cantore, è il fervore del santo amore.


Dio si deve amare per se stesso, e il prossimo per Dio.


Amiamo, amiamo gratuitamente: noi, infatti, amiamo Dio, di cui niente troviamo di meglio.


Amiamolo per se stesso, e noi in Lui, tuttavia per se stesso.


Ama veramente l`amico, chi ama Dio nell`amico, o perché è in lui o perché sia in lui.


Questo è il vero amore: se noi amiamo per un`altra cosa, odiamo piuttosto di amare...


Dunque, finché attendiamo volentieri alla nuova costruzione di questa santa chiesa, che oggi consacriamo al Nome Divino, troviamo che la piú grande lode è dovuta da noi anche al nostro Dio, e un discorso conveniente alla Santità vostra dalla consacrazione della Divina casa.


Allora il nostro discorso sarà conveniente, se avrà in sé qualcosa di edificazione, che giovi all`utilità delle vostre anime, mentre Dio edifica la sua casa dentro di voi.


Ciò che noi vediamo materialmente accaduto nelle pareti, avvenga spiritualmente nelle vostre menti; e ciò che qui vediamo portato a compimento sulle pietre e sui legni, venga perfezionato nei vostri cuori con l`aiuto della grazia di Dio.


Innalziamo, dunque, un ringraziamento al Signore, nostro Dio, in un modo particolare, dal quale viene ogni dono ottimo, e ogni dono perfetto, e lodiamo la sua bontà con tutto l`entusiasmo del cuore, poiché per costruire questa casa della preghiera visitò l`animo dei suoi fedeli, risvegliò l`affetto, porse l`aiuto, ispirò perfino i volenterosi affinché volessero; aiutò gli sforzi di , buona volontà affinché agissero; e per questo Dio che opera nei suoi e il volere e il perfezionare a causa della buona volontà (Fil 2,13) queste cose egli stesso iniziò, ed egli stesso le perfezionò.


E poiché non permette mai che siano vane le opere buone alla sua presenza, concederà ai suoi fedeli, ai quali, mentre agiscono, offrí il favore della sua virtù, una degna ricompensa per una cosí grande attività.


 


(Agostino, Sermo 336, 11, 6)


 


 


2. Glorificare il nome di Dio


 


Alzando un bastone splendente, mi dice: «Vedi una cosa grande?». Le dico: «Signora, non vedo nulla». Mi dice: «Non vedi davanti a te una torre grande che è costruita sulle acque con pietre quadrate luminose?».


In un quadrato una torre era costruita da sei giovani venuti con lei. Altre miriadi di uomini trasportavano pietre dal fondo e dalla superficie e le porgevano ai sei giovani. Essi le prendevano e costruivano.


Situavano tutte le pietre cavate dal fondo nella costruzione poiché erano squadrate e combaciavano nella giuntura con le altre pietre. Erano cosí ben connesse che non lasciavano apparire la congiunzione. Sembrava che l`edificio della torre fosse come costruito con una sola pietra.


Delle pietre portate dalla superficie scartavano alcune ed altre mettevano in opera nella costruzione. Ne spezzavano altre ancora buttandole lontano dalla torre.


Molte altre pietre giacevano intorno alla torre che non venivano utilizzate nella costruzione. Alcune erano bozzute, altre avevano delle crepe, altre erano mutile, altre bianche e sferiche e non si adattavano alla costruzione.


Vedevo che altre pietre venivano gettate lontano dalla torre. Cadevano sulla strada e non si fermavano, ma rotolavano nelle parti impraticabili. Altre, invece, cadevano nel fuoco e bruciavano; altre cadevano vicino all`acqua e non potevano rotolarvisi, sebbene lo volessero, ed entrare nell`acqua...


«... La torre, che vedi costruire, sono io la Chiesa che ti sono apparsa ora e prima. Domandami ciò che vuoi riguardo alla torre e te lo farò sapere perché tu gioisca con i santi»...


Le domandai: «Signora, per qual motivo la torre viene innalzata sulle acque?». Essa mi rispose: «Te lo dissi già che sei curioso e sollecitato dalla ricerca. Ricercando, dunque, trovi il vero. Ascolta perché la torre viene costruita sulle acque: la nostra vita fu salva e sarà salva mediante l`acqua. La torre è stata innalzata con la parola del nome onnipotente e glorioso ed è retta dalla potenza invisibile e infinita».


Di rimando le dico: «Signora, la cosa è grande e mirabile. I sei giovani che costruiscono chi sono?». «Sono i santi angeli di Dio creati per primi, cui il Signore affidò tutta la sua creazione per accrescerla, farla progredire e governarla. Per mezzo loro sarà mandata a termine la fabbricazione della torre».


«Chi sono gli altri che trasportano le pietre?». «Anch`essi sono angeli santi di Dio; ma i sei sono superiori. La costruzione della torre sarà mandata a termine, e tutti insieme vi gioiranno intorno e glorificheranno il Signore perché fu compiuta la costruzione della torre».


Le domandai: «Signora, desidererei conoscere la sorte delle pietre e la loro forza»...


«Ascolta ora quanto concerne le pietre che entrano nella costruzione. Le pietre quadrate, bianche e che combaciano con le loro congiunture sono gli apostoli, i vescovi, i maestri e i diaconi che camminando nella santità di Dio hanno governato, insegnato e servito con purezza e santità gli eletti di Dio, quelli che sono morti e quelli che sono ancora vivi. Vissero sempre in armonia tra loro, stando in pace e l`uno ascoltando l`altro. Per questo nella costruzione della torre le loro congiunture sono giuste».


«E quelle tratte dal fondo e poste nella costruzione, che combaciano con le connessure delle altre pietre già ordinate chi sono?». «Sono quelli che hanno patito per il nome del Signore».


«Le altre pietre che vengono portate dalla superficie della terra vorrei sapere chi sono, Signora». Disse: «Quelle che si mettono nella costruzione, senza essere tagliate, le ha valutate il Signore perché camminarono nella sua rettitudine e ubbidirono ai suoi comandi».


«E quelle trasportate e messe in opera chi sono?». «I novizi della fede e i credenti. Sono esortati dagli angeli a fare il bene e non ci fu in loro malizia».


«Quelle che venivano scartate e gettate, chi sono?». «Sono coloro che hanno peccato e vogliono pentirsi; non furono gettati lontano dalla torre poiché saranno utili alla costruzione se si pentiranno. Quelli che stanno per pentirsi, se faranno penitenza, saranno forti nella fede, purché facciano penitenza ora che la torre è in costruzione. Quando la costruzione è finita non avranno piú posto e resteranno tagliati fuori. Ottengono soltanto di rimanere vicino alla torre».


«Vuoi sapere chi sono le pietre tagliate e gettate lontano dalla torre? Sono i figli della malizia. Credettero con ipocrisia e furono di ogni cattiveria. Per questo non hanno salvezza: non sono adatte alla costruzione per la loro malvagità. Dall`ira del Signore, perché lo disgustarono, furono tagliate e scaraventate lontano.


Le altre, che hai visto in gran numero giacenti senza essere adoperate nella costruzione, sono le scabrose, quelli che hanno conosciuto la verità, senza permanere in essa e senza unirsi ai santi, perciò inutili».


«Quelli che avevano le crepe, chi sono?». «Quelli che nel cuore sono gli uni contro gli altri e non stanno in pace. Hanno un`apparenza di pace, gli uni sono lontani dagli altri e le malvagità permangono nel loro cuore, le crepe che le pietre hanno.


Le pietre mozze sono quelli che hanno creduto tenendo la parte maggiore nella giustizia e conservando qualche elemento di malvagità. Per questo sono mutili e non interi».


«Le pietre bianche, sferiche e non adatte alla costruzione, chi sono, signora?». Mi dice: «Sino a quando tu sarai stolto e senza senno? Vorrai tutto sapere senza nulla capire? Sono quelli che conservano la fede, ma anche le ricchezze di questo mondo. Quando sopraggiunge una tribolazione, per le loro ricchezze e i loro affari, rinnegano il Signore».


Le dico: «Signora, quando saranno utili alla costruzione?». «Quando si elimina la ricchezza che li domina, mi dice, allora saranno utili a Dio. Come la pietra sferica se non viene ritagliata e non perde qualche cosa di sé non può diventare quadrata, così i ricchi di questo mondo, se non perdono la ricchezza, non potranno essere utili al Signore.


Sappilo da te: quando eri ricco eri inutile. Ora sei utile e fruttuoso alla vita. Diventate utili a Dio! Anche tu sei stato utilizzato da queste pietre».


«Le altre pietre che hai visto lanciare lontano dalla torre e cadere sulla strada e dalla strada rotolare per luoghi impraticabili, sono quelli che hanno fede, ma per la doppiezza del loro animo si allontanano dalla via della verità. Essi, credendo di poter trovare una strada migliore, si ingannano e da infelici vagano per luoghi impervi.


Quelle che cadono nel fuoco e ardono sono le persone che per sempre hanno apostatato dal Dio vivente. Esse per le passioni e le scostumatezze e per le cattiverie commesse non hanno mai in animo di pentirsi».


«Vuoi sapere chi sono quelle che cadono vicino all`acqua e non possono rotolare nell`acqua? Sono quelli che hanno ascoltato la parola (cf. Mc 4,18; Mt 13,20-22) e vogliono essere battezzati nel nome del Signore (cf. At 19,5). Ma quando risale alla mente la purezza della verità cambiano parere e di nuovo corrono dietro alle loro turpi passioni».


Terminò la spiegazione simbolica della torre.


 


(Erma, Pastor, Visioni III)


 


 


3. Siamo noi il tempio di Dio


 


Abbiamo anche oggi, o fratelli, una festa e una festa speciale. E questo è facile da dire; ma se insistete a chiedermi di quale santo essa sia, la risposta non è piú cosí facile. Quando, infatti, si celebra la memoria di un apostolo, di un martire, o di un confessore, non è difficile dire di chi, come potrebbe essere di san Pietro, di Stefano glorioso, del nostro santo Padre Benedetto, o di un altro dei grandi principi della corte celeste. Ma oggi non si tratta di nessuno di questi; ma c`è una festa e non piccola. E, se volete sentirlo, è la festa della casa di Dio, del tempio di Dio, della città del re eterno, della sposa di Cristo...


Dov`è questa casa di Dio, tempio, città, sposa di Cristo? Lo dico con timore e rispetto: Siamo noi. Noi, dico, ma nel cuore di Dio. Noi, ma per sua degnazione, non per merito nostro. E non s`arroghi l`uomo, per magnificar se stesso, ciò ch`è di Dio; perché Dio, reclamando il suo, umilierà l`orgoglioso. Perché, anche se per una certa infantile pretesa vogliamo essere salvati gratuitamente, non è quella la via della salvezza. La dissimulazione della propria miseria impedisce la misericordia di Dio, e non c`è posto per divina degnazione, dov`è già presunzione di dignità; è l`umile confessione della sofferenza che attira la compassione. Questa sola fa che il padre di famiglia ci nutra col suo pane e viviamo in abbondanza nella sua casa. Eccoci, dunque, casa di Dio, cui non manca mai il cibo della vita. E ricordati ch`egli chiama la sua casa, casa di preghiera (Mt 21,13). E questo s`accorda con la parola del Profeta, il quale afferma che dobbiamo essere nutriti, attraverso la preghiera, s`intende, col pane delle lagrime e che nelle lagrime ci sarà dato da bere (Sal 79,6). Del resto secondo lo stesso Profeta, come abbiamo già detto, questa casa vuole santità (Sal 92,5): cioè la purità della continenza deve unirsi alle lagrime della penitenza e cosí quella che è casa diventa anche tempio. Siate santi, perché io, il Signore vostro, sono santo (Lv 11,44) e: Non sapete che i vostri corpi son tempio dello Spirito Santo, e che lo Spirito Santo abita in voi? Se qualcuno oserà profanare il tempio di Dio, Dio lo disperderà (1Cor 3,16-17).


Ma basta poi la sola santità? Secondo l`Apostolo ci vuole anche la pace. Cercate la pace con tutti, e la santità, senza di cui nessuno vedrà Dio (Eb 12,14). E` questa che tiene i fratelli unanimemente insieme e costruisce al nostro re, vero e pacifico, la città nuova, che sarà chiamata anch`essa Gerusalemme, che vuol dire visione di pace. Dov`è raccolta, infatti, una moltitudine, senza un patto di pace, senza osservanza di legge, acefala, senza disciplina e senza governo, lí non c`è un popolo, ma un`orda, non una cittadinanza, ma una baraonda: ha tutte le caratteristiche di una Babilonia, ma di Gerusalemme non ne ha niente...


E` il re che dice anche: Ti ho fatta mia sposa sulla mia parola, deliberatamente e legalmente, ti ho fatta mia sposa per la mia misericordia (Os 2,20). Se non si è diportato da sposo, se non ti ha amato da sposo, se s`è dimostrato geloso di te, non accettare d`essere chiamata sposa.


Dunque, fratelli, se è vero che siamo casa del gran padre di famiglia per l`abbondanza del cibo, se siam tempio di Dio per la santificazione, se siamo il popolo del gran re per l`armonia della vita comune, se siamo sposa dello sposo immortale per l`amore ch`egli ha per noi, penso che non ci sia nulla che m`impedisca di dire che questa è la nostra festa.


 


(Bernardo di Chiarav., In dedicat. Eccl. sermo V, 1, 8-10)


 


 


4. Cristo assegna le mansioni e i carismi nella Chiesa


 


«Sí, egli ha edificato in giustizia e ha diviso convenientemente le forze di tutto il popolo. Si è limitato a circondare gli uni di un muro esterno, cioè li ha muniti di una fede senza errori - questi formavano la stragrande maggioranza della popolazione incapace di portare una edificazione piú pregevole. Ad altri invece ha affidato gli accessi della casa ed ha loro ordinato di invigilare le porte e di guidare quanti vi entrano: è a ragione che costoro sono designati come propilei del tempio. Altri ha appoggiati alle prime colonne esteriori, che sono disposte a quadrangolo nell`atrio, introducendoli a superare le prime difficoltà del senso letterale dei Vangeli. Altri ancora ha avvicinati ai due lati della Basilica: rappresentano i catecumeni, che sono ancora in stato di crescimento e di progresso, sebbene non siano molto lontani e separati dallo scrutamento dei misteri intimi e profondi, riservati ai fedeli.


Tra di essi sceglie le anime pure, che il lavacro divino ha deterso a guisa d`oro, e applica le une alle colonne molto piú solide di quelle esterne, ossia alle dottrine mistiche piú segrete della Scrittura, le altre rischiara a mezzo delle aperture orientate verso la luce.


Tutto il tempio egli lo ha ornato con un grandissimo vestibolo, che è la dossologia del solo e unico Dio, sovrano universale, e presenta a ciascun lato della potestà suprema del Padre [i secondari splendori della luce], di Cristo e dello Spirito Santo. E infine egli ha mostrato in tutta la Basilica la chiarezza e la lucentezza abbondante e molto distinta della verità in ogni sua singola parte. Ha scelto sempre e da ogni dove le pietre viventi, ferme e salde delle anime e si è servito di tutte queste per costruire l`edificio grande, regale, splendido, pieno di luce di dentro e di fuori. Infatti non soltanto l`anima e l`intelligenza, ma anche il corpo era in essi abbellito dalla fiorita venustà della purezza e della modestia...


Questo è il vasto tempio, che il grande artefice dell`universo, il Verbo, si è costituito su tutta la terra abitata sotto il sole e con cui sulla terra stessa si è formato una immagine spirituale di ciò che è di là dalle volte celesti, onde il Padre sia onorato e riverito da tutto il creato e dagli esseri razionali della terra.


Ma nessun mortale può adeguatamente magnificare la regione sopraceleste, gli esemplari che ivi sono delle cose di quaggiú, quella ch`è chiamata la Gerusalemme superna, il monte Sion celeste, la città sopraterrena del Dio vivente, in cui innumerevoli schiere di angeli e la Chiesa dei primogeniti inscritti nei cieli celebrano il loro Creatore e Sovrano dell`universo con teologie ineffabili e al nostro intelletto inaccessibili, perché né l`occhio ha mai visto né l`orecchio ha inteso né mai è entrato nel cuore dell`uomo ciò che Dio ha preparato a coloro che lo amano (1Cor 2,9).


Delle quali cose sin d`ora per divino beneficio partecipi sotto un certo aspetto, uomini, bambini e donne, piccoli e grandi, tutti insieme in un solo spirito e in una sola anima, non tralasciamo di confessare e di lodare l`autore di tanti beni a noi largiti: Colui che perdona tutte le nostre iniquità, che risana tutte le nostre malattie, Colui che libera la nostra vita dalla corruzione, che ci corona nella misericordia e nella pietà, che soddisfa nei beni il nostro desiderio, perché non ha agito con noi secondo i nostri peccati e non ci ha chiesto il fio dei nostri misfatti, perché quanto è lontano l`oriente dall`occidente, ha allontanato da noi le iniquità. Come un padre ha pietà verso i suoi figli, il Signore ha pietà verso coloro che lo temono (Sal 102,3-5.10.12-13).


Conserviamo queste cose vive nel ricordo adesso e per tutto il tempo avvenire! Giorno e notte, in ogni ora e, per cosí dire, a ogni respiro vogliamo aver presente davanti agli occhi dello spirito l`autore e preside di questa assemblea e di questa giornata splendida e raggiante, amandolo e onorandolo con tutta la forza dell`anima. Ora alziamoci e preghiamolo con voce alta, che parta dal cuore, che ci tenga nel suo gregge sino alla fine (cf. Gv 10,16), che ci salvi, che ci dia la Sua pace inviolabile, inconcussa ed eterna in Gesú Cristo, Salvatore nostro, per il quale a Lui sia gloria nei secoli. Cosí sia».


 


(Eusebio di Cesarea, Hist. eccl., X, 4, 63-65; 69-72)


 


 


5. «La Chiesa non è un luogo, ma una fede»


 


Alcuni giorni or sono fu assediata la chiesa; venne l`esercito, sprizzava fuoco dagli occhi, ma non gettarono neanche un`oliva fradicia; furono tirate fuori le spade, ma nessuno fu ferito; la casa imperiale era in angoscia, ma la chiesa stava al sicuro, anche se la guerra era qui. Era cercato qui colui che qui s`era rifugiato; senza paura contenemmo il furore di quelli. Come mai? Avevamo una garanzia solidissima: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell`inferno non prevarranno contro di essa (Mt 16,18).


Dico la Chiesa, non intendo soltanto un luogo, non le mura della chiesa, ma le leggi della Chiesa. Se ti rifugi nella chiesa, non cercare un luogo, rifugiati col tuo animo. La Chiesa non è una cinta di mura o un tetto, ma una fede, una norma di vita.


Non dire ch`egli fu tradito dalla Chiesa; se non avesse lasciato la chiesa, non sarebbe stato preso. Non dire ch`egli si rifugiò nella chiesa e fu consegnato. Non fu la Chiesa a metterlo fuori, fu lui a lasciare la Chiesa. Non fu consegnato dentro, ma fuori. Perché lasciò la Chiesa? Volevi essere salvato? Dovevi abbracciarti all`altare. Non queste mura, ma la provvidenza di Dio ti poteva salvare. Eri peccatore? Dio non ti respinge per questo; non venne per i giusti, ma per condurre i peccatori alla penitenza (cf. Mt 9,13). Una meretrice ottenne la salvezza, perché gli abbracciò i piedi. Hai sentito la lettura di oggi? E dico questo perché non esiti mai a rifugiarti nella Chiesa. Resta nella Chiesa e non sarai mai consegnato dalla Chiesa. Ma se te ne fuggirai dalla Chiesa, la Chiesa non è piú in causa. Finché starai dentro, il lupo non entrerà; ma se uscirai, sarai preso dalla belva; né dovrai incolparne il recinto, ma la tua pusillanimità. Non c`è niente come la Chiesa. Non mi parlare di mura né di armi le mura col tempo si sgretolano, la Chiesa non invecchia mai. I barbari possono demolire le mura, la Chiesa neanche i demoni la possono vincere. E queste non son parole di vanto, lo dimostrano i fatti. Quanti affrontarono la Chiesa e perirono? La Chiesa supera i cieli.


Questa è la grandezza della Chiesa: aggredita vince, insidiata si libera, insultata diventa piú bella, ferita non cade, agitata dalle onde non affoga, battuta dalla tempesta non naufraga, nella lotta non è battuta, vien presa a pugni, ma non viene vinta.


 


(Giovanni Crisostomo, Hom. de Eutropio capto, 1 s.)


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