RIFLESSIONI E COMMENTI BIBLICI (Vol.1)

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Pagine: [1], 2, 3, 4, 5
AmarDio
00martedì 2 febbraio 2010 11:56
 leggiamo in Mc.9,38

Giovanni gli disse: "Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri". 39Ma Gesù disse: "Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. 40 Chi non è contro di noi è per noi.


Vorrei fare una riflessione su questo brevissimo dettaglio evangelico.


In esso troviamo che Giovanni (l'apostolo della Carità e dell'unità) si preoccupa di riferire a Gesù che un tale si permetteva di agire in nome SUO, ma di averlo vietato perchè, egli precisa, : "
NON ERA DEI NOSTRI".

Giovanni, insieme al gruppo apostolico aveva determinato di escludere quel tale da una qualsiasi azione, fosse pure prodigiosa, per il fatto che non agiva UNITARIAMENTE col gruppo ufficiale fondato da Gesù.

Ma Gesù rettifica la loro determinazione, senza rimproverarli, ma semplicemente dando loro un metro di giudizio anche in questa occasione.


Dicendo
NON GLIELO PROIBITE, è come se avesse voluto da una parte riconfermare loro il potere di VIETARE, mentre dall'altra è come se avesse voluto indicare loro di usare il potere di PERMETTERE, lasciando che quel tale facesse ciò che già lo Spirito Santo stava facendo per suo mezzo, e di cui essi non si stavano preoccupando: la loro premura principale era l'UNITA', che non riuscivano a scorgere nell'azione separata di quel tale.

La motivazione conclusiva addotta da Cristo è molto significativa:

Chi non è contro di noi è per noi.


Gesù ha pronunciato diverse volte la parola NOI.

Ora è molto solenne ed indica Lui stesso insieme agli Apostoli, la prima Chiesa visibilmente formata (comprendente Giuda); quel NOI sta a dire IO E VOI.

Dice dunque che chi non è CONTRO quel determinato gruppo da Lui scelto e che forma quel NOI , è come se agisse a suo favore, in quanto pur non appartenendovi, le resta unito invisibilmente.

Ecco che trovo qui una indicazione valida a quanto è stato ribadito dal Concilio Vat.II e da altri atti della Chiesa; e cioè che, se è vero che vi è una Chiesa visibile ed ufficiale, mediante la quale Cristo ci dona i mezzi ordinari per la nostra salvezza, tuttavia non si può escludere che la Grazia di Dio possa debordare al di fuori di essa e condurre le anime alla salvezza.


Troviamo una espressione simile ma non identica nel Vangelo, quando Gesù dice: "chi non è con me è contro di me".

In questo caso esclude categoricamente che si possa essere a suo favore se si è contro di Lui, direttamente.

Ma nel caso del gruppo apostolico Gesù autorizza a pensare che si possa essere per Lui senza essere direttamente uniti a loro.

Naturalmente, però resta necessaria la condizione posta da Cristo:

non bisogna essere CONTRO di loro, altrimenti si rischia di "correre invano" (Gal.2,2) e di disperdere i propri sforzi al di fuori dell'unità, comunque ardentemente desiderata dal Signore, e dagli apostoli.

E in tal caso la salvezza rimane fortemente vincolato alla partecipazione diretta o indiretta alla vita della Chiesa.

In questo senso vanno pure interpretate le parole, spesso ripetute: al di fuori della Chiesa non vi è salvezza.

 

AmarDio
00venerdì 5 febbraio 2010 14:51
A Giovanni Battista hanno tolto la testa nel senso pieno della parola. (Marco 6,24 ss)
È stato decapitato con violenza, ma ha portato con sé e per l’eternità i suoi meriti e la sua coerenza.
Erodìade e la figlia rappresentano i vizi più lussuriosi e depravati della società di oggi, piena di contraddizione e di falsità.
È una società senza testa, che non ragiona con equilibrio e saggezza, vaga nella confusione e nell’indifferenza morale. La mancanza della testa indica la perdita della capacità di ragionare e di vedere oltre il visibile.
Quasi tutti, donne e uomini, seguono il motto di Orazio, il “Carpe diem”, normalmente tradotta in "Cogli l'attimo", anche se la traduzione più appropriata sarebbe "Vivi il presente" (non pensando al futuro). Quinto Orazio Flacco, nato nel 65 avanti Cristo, è stato un poeta romano e il “Carpe diem” è una espressione tratta dalle sue Odi.
Il “Carpe diem” è un inganno diabolico, un invito a vivere il momento presente, soddisfacendo ogni forma di vizio e depravazione, negando l’aldilà e la vita eterna.
La correzione che faccio alla espressione idiomatica di Orazio, è semplice: “Vivi nel presente, vivi con consapevolezza”. Vivere alla presenza di Dio, quindi, osservare la sua Parola per guadagnare la vita eterna.
Il “Carpe diem” non è l’unico invito a trasgredire la Legge Divina e calpestare la morale cristiana. Insegnamenti ingannevole e maestri del nulla oggi ne esistono in grande quantità.
Nel mondo si è perduto il senso della verità, oltre a quello dell’eternità. L’inganno che l’uomo crea è quello di negare ciò che non piace, creando così una realtà personale, che in realtà non esiste, è una falsità, una commedia, una grande ipocrisia.
Così si finisce per vivere senza testa…
In Giovanni Battista la testa del corpo era stata tagliata, ma non la sua onestà e la sua santità. Il suo spirito non è stato spezzato, la sua intelligenza è rimasta inalterata legata alla sua persona, la sua dignità alta e piena di gloria.
Tanti altri mantengono la testa nel corpo, ma non la usano bene.
Parlare senza onestà intellettuale è atteggiamento subdolo e malvagio. In ogni discorso si afferma quello che conviene e che giustifica i propri peccati.
È fastidioso sentire l’ipocrisia di moltissimi personaggi famosi, essi si mostrano favorevoli o contrari su qualcosa, non seguendo la verità, ma quello che conviene. Le loro opinioni non scaturiscono da una onestà intellettuale, e questo è evidentissimo. Scaturiscono da una plateale falsità, per coprire e giustificare le contraddizioni.
Si chiama mancanza di onestà e di verità.
AmarDio
00lunedì 8 febbraio 2010 11:22
RIFLESSIONE su Luca 5, 1-11

È da considerare bene l’atteggiamento di alcuni pescatori, preoccupati per la mancata pesca della notte. Simone che diventerà Pietro, Giacomo e Giovanni, che erano soci di Simone, di mestiere pescatori, esperti nel pescare, non erano ancora diventati Apostoli, non avevano la percezione del messaggio che Gesù aveva cominciato a predicare da un po’ di tempo.
Uomini semplici ma onesti, gente buona che lavorava con passione. E quando Gesù salì sulla barca di Pietro e cominciò a predicare, rimasero meravigliati. La folla voleva avvicinare il Maestro, toccarlo e parlargli, si rendeva necessario scostarsi da terra. Gesù sceglie la barca di Pietro, non a caso, questo avviene ancora prima di chiamarlo, perché Pietro sarebbe diventato il capo degli Apostoli, avrebbe guidato la barca della Chiesa.
Questi pescatori non sapevano molto di Gesù, ne erano attratti e si fidavano di Lui, anche per tutto quello che si diceva in giro, molti racconti positivi sui miracoli che aveva già compiuto.
La sorpresa viene dal dialogo che avviene tra Gesù e Pietro. Gli dice di gettare le reti per la pesca, ma era chiaramente un comando sbagliato perché la pesca si compie la notte, e i pescatori non avevano pescato nulla. Pietro glielo dice, spiega che è inutile gettare le reti, ma poi, avrà pensato, che ne poteva sapere Gesù di Nazaret di pesca? Questo pensiero irrigidisce Pietro, lui era molto esperto ed era inutile pescare di giorno.
Ma sorprende che proprio Pietro dopo questo momento di sorpresa, compie un atto di fede in Gesù, comprende che se l’invito arriva dal Maestro, vuol dire che è una cosa buona. Pur andando contro la corretta pratica della pesca.
La fede di Pietro è premiata, Gesù fa compiere una pesca straordinaria, così aveva deciso. Dopo avere visto le reti piene di pesci, Pietro compie un altro e grande atto di fede, convinto e pieno di meraviglia. Gesù non era un pescatore, eppure, ha insegnato a tutti i pescatori presenti che la pesca abbondante avviene tutte le volte che vuole Dio.
Quindi, per qualsiasi nostra necessità, non dobbiamo temere nulla, Gesù può cambiare tutto e sospendere la legge fisica. Pietro e gli altri pescatori rimangono sbalorditi dinanzi a Gesù, sono commossi e si fanno piccoli. Pietro si inginocchia ed è pronto a tutto.
Gesù ha già toccato i loro cuori e con il miracolo della pesca, la loro fede verso il Maestro è totale. “Lasciarono tutto e lo seguirono”, afferma il Vangelo, non solamente le barche, le reti e il loro mestiere, lasciarono soprattutto le loro certezze e l’autosufficienza.
Senza Gesù avevano faticato inutilmente tutta la notte, erano delusi e nervosi. Quando Gesù sale sulla barca e Pietro Lo accoglie con gioia, tutto cambia, tutto riesce bene e avvengono miracoli.
Anche noi, se accogliamo Gesù e Lo facciamo entrare nel nostro cuore, Egli viene a cambiare tutto, a compiere grandi miracoli nella nostra vita.
Riflettiamo su questo. Può cambiare la nostra esistenza.
Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 21:35
Venuto non per i giusti ma per peccatori

Rom. 5,8

... Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.


Il Signore non è venuto quando gli uomini erano già giusti ma quando erano ancora peccatori, e per essi ha dato la vita. Cristo dice che non sono i sani ad avere bisogno del medico ma i malati. Similmente Lui non è venuto per i giusti ma per i peccatori.

E siccome in questa categoria, ci siamo tutti, Cristo ha dato la vita per ognuno in particolare.
Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 21:38
Ogni uomo ha in sè un desiderio innato: quello di tendere alla felicità.
Spesso però si sbaglia la strada per conseguirla.

Il Signore  richiama spesso la nostra coscienza attraverso il sommesso ma chiaro richiamo interiore, oppure attraverso i nostri familiari, o ancora attraverso gli amici veri, e non di rado anche attraverso la voce silenziosa ma non meno eloquente del Creato.

Tuttavia, oltre questi mezzi occasionali, il Signore ci ha parlato in modo appropriato, comprensibile e sempre accessibile, soprattutto attraverso la Scrittura che ci dona tutti gli insegnamenti di cui abbiamo bisogno nella nostra vita, per conseguire quel fine principale della nostra felicità, cioè la nostra salvezza eterna.

Vi sono stati molti uomini e donne che hanno percorso la strada della vera felicità. Alcuni di essi hanno descritto i percorsi fatti, grazie appunto alla guida infallibile della Parola di Dio e con un riferimento costante ad essa.

Uno di questi gioielli della letteratura spirituale è stato scritto dal grande mistico e dottore della Chiesa, S. Giovanni della Croce.

A questo collegamento si possono visualizzare i video con la lettura di questo maestro di vita spirituale.

http://credenti.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?c=175588&f=175588&idd=9082719

Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 21:39

La creazione era già presente e viva nella mente di Dio da sempre. Egli da sempre ci ha conosciuti ed amati. Da sempre ha saputo dell'allontanamento e della caduta dell'uomo ed ha preconosciuto da sempre la soluzione mettendola poi a nostra disposizione.

Si tratta solo, da parte nostra di non sciupare deliberatamente e consapevolmente questa opportunità: quella di diventare partecipi della gloria per la quale siamo stati creati dall'amore che Dio Padre nutre per tutti gli uomini in Cristo suo unico Figlio.

Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 21:41

Spesso ci ritroviamo smarriti e sconsolati perchè nonostante ci affanniamo e affatichiamo, non vediamo risultati concreti.

Pietro aveva faticato invano tutta la notte ma senza pescare nulla. Ma il Maestro gli aveva dato una parola su cui mettersi in moto. E' stata quella decisiva.

Facciamo anche noi questo passo! Verso Gesù! Non rimarremo delusi. La nostra vita acquisterà un nuovo orizzonte che ci permetterà di dare valore anche alle sconfitte quotidiane. In Lui tutto diventa prezioso. Senza di Lui tutto diventa vano.

Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 21:42
Al termine della Creazione Dio vide che quanto aveva fatto era molto buono.
Adamo aveva appena esultato nel vedere la sua donna esclamando: questa sì che è osso delle mie ossa e carne della mia carne!!
E poteva girare liberamente un giardino magnifico dove poteva ricrearsi di forme ammirevoli di piante, di animali, di frutti di ogni specie con i loro colori, sapori e profumi.
Anche se abbiamo deturpato la creazione con le nostre libere decisioni sconsiderate, possiamo tuttavia ancora scorgere le meraviglie che vi sono in essa e possiamo ringraziare il Signore che continua a pazientare non volendo che alcuno perisca ma che ognuno si converta e viva.
La natura è un libro aperto che ci parla di Dio. Si tratta di saper leggere in questo libro speciale, che ci annuncia non solo la potenza creatrice ma anche la sapienza del Creatore e soprattutto il suo Amore infinito, profuso in tutte e singole le cose create.
Basterebbe osservare ciascuna specie animale con i propri cuccioli. Che bellezza, che tenerezza!!! Quanto sono simpatici e quanto suscitano in noi quel qualcosa che ci spinge ad ammirarli o anche ad adottarli se potessimo.
Per questo non ci mancano le ragioni per credere e per lodare Colui che è l'autore di questo immenso spettacolo che è sotto i nostri occhi ma che spesso ci rifiutiamo di vedere.
Apriamo gli occhi e spalanchiamo il cuore lodando il Sapienza creatrice di Dio.
Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 21:49

La prima donna immacolata, Eva, disobbedì e colse il frutto che portò alla morte; la nuova Donna Immacolata, Maria, obbedì e ci donò il Frutto che porta alla vita.

 

 
Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 21:58
Quando ami, da ora in avanti, non dire più "Dio è nel mio cuore", ma dì piuttosto "io sono nel cuore di Dio".
Dio è sempre nel mio cuore ma quando amo, io sono specialmente nel cuore di Dio, sono così interno a lui, sono così uno con lui. Solo quando amo posso toccare le profondità di questa espressione, la realtà è Cristo, perchè entro nell'amore gratuito di Dio per l'umanità; ben altro che quanto mi costa, quanto ci perdo, chi me lo fa fare!
Entro nella grautità di Dio, nell'amore sorgivo del Padre, nella gratuita comunicazione che il Figlio di Dio ha fatto di se stesso donandosi agli uomini; entro nella fecondità dll'amore divino che è lo Spirito Santo; entro in questo cuore trinitario,  in questo abbraccio, entro nel mistero. Come vortice tu entri dentro l'amore di Dio, e alla fine non sai più dove sei, perchè sei stato portato verso l'alto.
Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 22:01
Gesù nel dare il comandamento dell'amore come testamento prima della sua passione e morte, ha voluto imprimere a questo suo supremo comandamento una valenza assoluta.

Se noi cristiani ponessimo davvero mente e cuore a queste parole: AMATEVI COME IO VI HO AMATI, il mondo non andrebbe allo stesso modo. Se i quasi due miliardi di battezzati che ci sono nel mondo mettessro in pratica anche solo in parte questo comando, le cose cambierebbero radicalmente.

Solo che vediamo invece spesso fare il contrario . Che il Signore ci conceda la sua Misericordia e di comprendere che non osservando la regola principale anche tutte le altre cose girano male. Coloro che egoisticamente credono di realizzare qualcosa, in realtà si ritrovano al termine della vita con un pugno di mosche, e forse anche durante la vita, pur godendo apparentemente forse non sono stati felici.

Ed allora, facciamo tesoro dell'invito che tanto amorevolmente e pressantemente ci viene rivolto per la nostra stessa realizzazione e per contribuire attivamente alla realizzazione dell'umanità.
Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 22:04

Il Signore della vita ci ha lasciato come eredità la sua pace. E cioè la pienezza di vita e serenità,la realizzazione ed il compimento dei desideri più grandi, che tracciano il cammino di una vita comunitaria, di fraternità generosa e cordiale, un servizio che accetta anche il sacrificio, testimonianza diretta di aver conosciuto con le nostre scelte il suo amore. Un amore di cui non si può fare a meno, e che deve essere testimoniato nella ordinaria quotidianità con la consapevolezza che il Signore ci sostiene con la sua grazia.

 
Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 22:05
La verità rende liberi. Ma cosa è la verità? Lo chiese Pilato a Cristo, il quale aveva poco prima rivelato agli apostoli: IO SONO LA VERITA'. Come possiamo sapere che questa affermazione non è una illusione solo da parte di un uomo il quale presumerebbe di essere la Verità in senso proprio ed assoluto, e cioè in un modo che solo Dio potrebbe dire di se stesso?

Gesù aveva anche aggiunto: IO SONO LA VIA, IO SONO LA VITA! Chi potrebbe dire in senso così enfatico: IO SONO LA VITA se non la vita stessa, la fonte della vita e dell'essere, e quindi Dio? Ma è lecito porsi la domanda: è sufficiente aver affermato questa vertiginosa espressione per poter credere? Cristo non si è limitato a dire ma ha anche accompagnato la parola con le opere. Non opere comuni, ma straordinarie, che solo Dio poteva compiere: il comando diretto e senza ricorso ad altri, alle forze della natura di placarsi, alle forze demoniache di abbandonare le prede, alle malattie di far posto alla guarigione, ai ciechi, sordi, paralitici di riavere l'uso degli organi e addirittura ai morti di risuscitare.

E questi doni straordinari il Signore li ha lasciati in dote alla sua Chiesa, che nel corso dei tempi ha continuato l'opera del suo Signore. Sono innumerevoli i segni e i prodigi accertati e riscontrati anche con documentazioni inoppugnabili, ma sono ancor di più le grazie di guarigione o di liberazione che sono state testimoniate da coloro che hanno vissuto questa esperienza. Senza dimenticare che vi sono schiavitù interiori che non si vedono, da cui il Signore può liberare. La liberazione dal peccato che rende schiavi e dipendenti dal peccato stesso, non è facile per nessuno se non impossibile, ma Cristo ci può liberare se glie lo permettiamo, aderendo liberamente a Lui, perchè Egli non obbliga nessuno, e accogliendolo nella nostra vita aprendogli volontariamente le porte del nostro cuore.
Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 22:13
Ci si affanna e preoccupa di mille cose durante le nostre giornate stressanti. Piene di ansie e anche di giustificati motivi in quanto dobbiamo pure mandare avanti la nostra baracca.
Però, a parte le cose veramente necessarie, si rischia di dimenticare la cosa in assoluto più importante: la salvezza. E quindi apriamo gli occhi e soprattutto il cuore all'unica cosa che Vale: il nostro Salvatore, una Persona venuta in carne ed ossa per offrirci proprio questo. Non lasciamoci confondere le idee dai tanti imbonitori del mondo; "non vi è sotto il cielo nessun altro Nome mediante il quale noi possiamo essere salvati", all'infuori di quello di Gesù, che solo può guidarci in una selva così intricata e altrimenti incomprensibile quale è la nostra vita umana.
Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 22:13
Gesù, nonostante vivesse nella gloria del Padre dall'eternità, per salvare noi uomini peccatori, lasciò l'onnipotenza del cielo e si fece povero, soffrì la persecuzione, la fame, la sete, la fatica, il lavoro, il sudore di sangue, l'incomprensione, il rifiuto, la condanna dei capi religiosi e civili e del popolo, il tradimento o il rinnegamento dei suoi più intimi, si sottopose a sputi, schiaffi, frustate, sanguinamenti, strattonate, denudamento, derisione, disprezzo, bastonate sul capo calcato da spine, trasporto di un pesante legno, disidratazione, cadute, escoriazioni, e dopo essere stato stiracchiato per poterlo brutalmente inchiodare alla croce, anche la sfida quale ultima tentazione da parte dei suoi aguzzini: se Dio è suo amico lo salvi, se è Figlio di Dio scenda ora dalla croce... E anche dopo la morte non ha avuto tregua: una lancia gli ha trapassato il petto raggiungendo il cuore e facendone uscire sangue e siero.
E' stato sfibrato, dissanguato, lacerato, martoriato; per me, per te, per tutti.
Di quale amore non sarà degno una Persona così, che ci ha amati a tal punto da rinnegare completamente Se stesso per offrirsi a noi in modo così vertiginosamente inconcepibile? Si è realmente gettato giù nel profondo del nostro abisso mortale per raggiungerci anche lì, nel baratro in cui avevamo meritato di andare. Anche in questo Egli ha dimostrato di essere il Figlio di Dio.
Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 22:15
Le sofferenze di Cristo, dalla sua nascita povera e tribolata, e soprattutto l'"ora" angosciosa della sua Passione, profetizzata in tanti scritti dell'Antico Testamento ma soprattutto nei salmi ci viene descritta nei Vangeli e trova la piena conferma nella Sindone che è il documento più sorprendente della storia umana: ci mostra al vivo un Uomo che ha sofferto tutte le cose profetizzate e descritte nei Libri Sacri, che è morto in croce dopo una passione immane , ma ci mostra che è anche risorto; infatti se quel morto  fosse rimasto avvolto nel telo oltre il terzo giorno avrebbe iniziato a decomporsi e quindi impedendo che l'immagine rimanesse visibile; se invece qualcuno avesse rimosso il telo avrebbe provocato lo sfrangiamento dei bordi delle macchie di sangue, cosa che invece non è avvenuto. Questo significa che l'Uomo avvolto nella Sindone ha attraversato le fasciature senza che nessuno le abbia rimosse, come se le avesse attraversate, uscendone.
Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 22:16
Spesso pensiamo a Dio come  un giudice giusto ma severo, talora come un vecchio con la lunga barba bianca pronto ad emettere verdetti. Pochi pensano invece che Egli, ideatore e creatore di tutte le meraviglie del creato è innanzitutto Padre, ma soprattutto essendo l'Autore di tutte le bellezze e le perfezioni che possiamo riscontrare nella Creazione E' EGLI STESSO BELLEZZA E PERFEZIONE INCREATA. La nostra mente limitata non può immaginare una simile bellezza e se potesse vederla anche per un solo istante vorrebbe morire alla vita presente. A volte si perde la testa per una semplice creatura terrestre. Cosa accadrebbe se si riuscisse a vedere il Creatore di tutte le bellezze?
Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 22:17

Pilato fece a Cristo questa domanda: cos'è la verità?

Cristo aveva detto: IO SONO la via, la VERITA' e la vita.

E' Lui la verità e non un pensiero o una ideologia umana.

In Lui il Padre ci ha comunicato tutto e non ha altro di più grande, di più vero, di più amabile da offrirci. Si è offerto con il Figlio all'umanità per dargli la verità salvatrice.

Non rifiutiamo questo irripetibile dono offertoci con una passione senza limiti

Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 22:18

I mulini di Dio macinano molto lentamente ma terribilmente fine.

Occorre saper attendere pazientemente perchè le cose saranno portate a compimento con giustizia, sapienza e misericordia.

Non laciamoci portare lontano da Cristo, perchè Lui solo è la Via della Verità che porta alla Vita.

Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 22:19
LA TENTAZIONE ESTREMA
Sotto l'albero della Croce dicevano al Crocifisso: "se sei il Figlio di Dio scendi ora dalla Croce (Mt 27,40)"
Estrema tentazione per Gesù: se fosse sceso poteva interrompere le sue sofferenze, poteva acquistare fama e affermare il suo potere. In un solo colpo le tre tentazioni del deserto furono riproposte nel momento culminante della sua missione.
dice il Vangelo:
Lu 4,13 Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato.
Il tempo fissato è quello che Gesù stesso definisce: "ora delle tenebre".
E proprio durante quell'ora da più parti veniva proposta a Gesù di far uso del suo potere mostrato verso tanti altri, per salvare se stesso. Anche il ladrone alla sua sinistra lo incitava a fare questo.
Ma Gesù aveva già ricacciato indietro il diavolo, quando, per bocca dello stesso Pietro voleva distoglierlo dalla Croce che Egli gli preannunciava (Mat 16,23 Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».)

Se Cristo avesse ceduto a tale tentazione, umanamente fortissima, non avrebbe attuato la redenzione e non avrebbe neppure mostrato la via dell'umiltà e del rinnegamento di se che aveva insegnato agli altri.
Ma non cedette e compì fino in fondo la sua missione di immolarsi per la redenzione umana.
Ed in quel contesto anche la santa Madre, Maria, non chiese al Figlio, quello che chiedevano gli altri uomini: che il frutto che pendeva da quell'Albero venisse tolto contro la volontà del Signore stesso. Contrariamente alla prima donna che staccò il frutto che non aveva il permesso di togliere, la nuova Donna non cedette alla tentazione e si sottomise al volere di Dio, e accettò con lo strazio del cuore, ma senza opporre resistenza, che quel Frutto servisse come cibo di Vita per tutti gli uomini.
Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 22:21
“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati... Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri”.

L’amore, un comandamento? Si può fare dell’amore un comandamento, senza distruggerlo? Che rapporto ci può essere tra amore e dovere, dal momento che uno rappresenta la spontaneità, l’altro l’obbligo?

Bisogna sapere che vi sono due generi di comandi. C’è un comando o un obbligo che viene dall’esterno, da una volontà diversa dalla mia, e vi è un comando o obbligo che viene dal di dentro e che nasce dalla cosa stessa. La pietra lanciata in aria, o la mela che cade dall’albero è “obbligata” a cadere, non ne può fare a meno; non perché qualcuno glielo impone, ma perché c’è in essa una forza interna di gravità che la attira verso il centro della terra.

Allo stesso modo, vi sono due modi secondo cui l’uomo può essere indotto a fare, o a non fare, una certa cosa: o per costrizione o per attrazione. La legge e i comandamenti ordinari ve lo inducono nel primo modo: per costrizione, con la minaccia del castigo; l’amore ve lo induce nel secondo modo: per attrazione, per una spinta interna. Ciascuno infatti è attratto da ciò che ama, senza che subisca alcuna costrizione dall’esterno. Mostra a un bambino un giocattolo e lo vedrai slanciarsi per afferrarlo. Chi lo spinge? Nessuno, è attratto dall’oggetto del suo desiderio. Mostra il Bene a un’anima assetata di verità ed essa si slancerà verso di esso. Chi ve la spinge? Nessuno, è attratta dal suo desiderio.

Ma se è così – se noi, cioè, siamo attratti spontaneamente dal bene e dalla verità che è Dio –, che bisogno c’era, si dirà, di fare, di questo amore, un comandamento e un dovere? È che, circondati come siamo da altri beni, noi siamo in pericolo di sbagliare bersaglio, di tendere a dei falsi beni e perdere così il Sommo Bene. Come una navicella spaziale diretta verso il sole deve seguire certe regole per non cadere dentro la sfera di gravità di qualche pianeta o satellite intermedio, smarrendo la propria traiettoria, così noi nel tendere a Dio. I comandamenti, a partire dal “primo e più grande di tutti” che è quello di amare Dio, servono a questo.

Tutto ciò ha un impatto diretto sulla vita e sull’amore anche umano. Sono sempre più numerosi i giovani che rifiutano l’istituzione del matrimonio e scelgono il cosiddetto amore libero, o la semplice convivenza. Il matrimonio è una istituzione; una volta contratto, lega, obbliga a essere fedeli e ad amare il partner per tutta la vita. Ora, che bisogno ha l’amore, che è istinto, spontaneità, slancio vitale, di trasformarsi in un dovere?

Il filosofo Kierkegaard da una risposta convincente: “Soltanto quando c’è il dovere di amare, allora soltanto l’amore è garantito per sempre contro ogni alterazione; eternamente liberato in beata indipendenza; assicurato in eterna beatitudine contro ogni disperazione”. Vuole dire: l’uomo che ama veramente, vuole amare per sempre. L’amore ha bisogno di avere come orizzonte l’eternità, se no, non è che uno scherzo, un “amabile malinteso” o un “pericoloso passatempo”. Per questo, più uno ama intensamente, più percepisce con angoscia il pericolo che corre questo suo amore, pericolo che non viene da altri che da lui stesso. Egli sa bene infatti di essere volubile e che domani, ahimè, potrebbe già stancarsi e non amare più. E poiché adesso che è nell’amore vede con chiarezza quale perdita irreparabile questo comporterebbe, ecco che si premunisce “vincolandosi” ad amare per sempre. Il dovere sottrae l’amore alla volubilità e lo ancora all’eternità. Chi ama, è ben felice di “dovere” amare; questo gli sembra il comandamento più bello e liberante del mondo.

P.Raniero Cantalamessa
Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 22:22
Dio sofferente per amore, libero della libertà dell’amore e vulnerabile nel dolore d’amore, è il Dio che può dare senso alla sofferenza del mondo, perché l’ha fatta propria e redenta: questo senso è l’amore. La morte della Croce è la morte della morte, perché sull’albero della vergogna il Figlio di Dio si è consegnato alla morte per darci la vita e renderci capaci di trasformare con Lui il dolore in amore, la fine in nuovo, sorprendente inizio. Nel silenzio del Sabato Santo Gesù abbandonato ha raggiunto le profondità della vittoria della morte e le ha inghiottite: la sua «discesa agli inferi» è «annunzio di salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione» (1Pt 3,19), garanzia che Egli ha riconciliato col Padre l’universo intero, e perciò anche i protagonisti della storia precedente alla sua venuta, in quanto aperti e disposti nella speranza all’alleanza con Dio. La possibilità di salvezza offerta a tutti è il Vangelo liberante della Croce e del Sabato Santo: la sofferenza di Dio è l’altro nome del Suo amore salvifico, aperto a tutti, possibile per ciascuno oltre ogni misura di stanchezza, nonostante e al di là di ogni incapacità o umana impossibilità di amare .
Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 22:23
Dal dono dell'impossibile amore, offerto dal Figlio sulla Croce, nasce la Chiesa, la comunità dei figli resi tali dal Figlio, l’Amato. Che la Chiesa sia la Chiesa dell’amore non è un’affermazione retorica, ma ha un fondamento reale, come mostra una parola usata nel Nuovo Testamento soprattutto in Giovanni: "kathòs", "come". "Amatevi come io ho amato voi" (Gv 15,12; cf. 13,34). "Che essi siano uno, come noi siamo uno" (Gv 17,21. 22), sono frasi in cui si evidenzia il triplice senso di questo "kathòs" - "come": la Chiesa viene dalla Trinità, dall’amore che lega il Padre e il Figlio nello Spirito; è immagine della Trinità; e tende verso la Trinità. Il "kathòs" sta a dire che i discepoli vivono nello Spirito uniti al Figlio crocifisso e risorto alla presenza del Padre. Il cristiano non è che il discepolo partecipe dell’amore sofferente di Dio: «Non è l’atto religioso a fare il cristiano, ma il prender parte alla sofferenza di Dio nella vita del mondo»!( D. Bonhoeffer, Resistenza e resa, o. c., 441: lettera del 18 luglio 1944). L’"agape" è la legge fondamentale della comunità di quanti credono nella rivelazione dell’amore sofferente del Padre avvenuta in Gesù.

La grande differenza fra l’atteggiamento religioso, semplicemente pagano, e il cristianesimo si misura precisamente su questa partecipazione alla sofferenza di Dio: lo ha espresso in modo mirabile in una poesia del tempo della prigionia Dietrich Bonhoeffer: «Uomini vanno a Dio nella loro tribolazione / piangono per aiuto, chiedono felicità e pane, / salvezza dalla malattia, dalla colpa, dalla morte. / Così fanno tutti, tutti, cristiani e pagani. / Uomini vanno a Dio nella sua tribolazione, / lo trovano povero, oltraggiato, senza tetto né pane, / lo vedono consunto da peccati, debolezza e morte. / I cristiani stanno vicino a Dio nella sua sofferenza» (Cristiani e pagani. Poesia, in Resistenza e resa, o.c., 427). Il "kathòs" ci fa dunque comprendere che la Chiesa vive della legge fondamentale dell’accoglienza e del dono: lasciarsi amare dal Padre per Cristo nello Spirito sulla Croce, per amare poi il Padre per Cristo nello Spirito amandoci gli uni gli altri. Fare compagnia al dolore di Dio per l’altro: è questo il senso dell’amore rivelato e donato da Gesù. Perciò, "allelon – allelous" – "gli uni – gli altri" è la formula che nel Vangelo di Giovanni corrisponde al "kathòs": se il "come" dice il rapporto tra noi e la Trinità, "allelon-allelous" dice il rapporto della reciprocità fra di noi. È la carità di Dio a fondare la carità fraterna!

L’interrogativo essenziale, allora, diventa quello di entrare nel cuore del Padre perché il frutto di riconciliazione e di vita nuova che sgorga dal suo amore sofferente si esprima nella nostra esistenza e nella storia e il possibile, impossibile amore ci abiti. La grande tradizione della fede ha una risposta tanto netta, quanto ininterrotta a questo interrogativo, proclamata come un "canto fermo" con la testimonianza vissuta dei santi, prima che con i concetti e con le parole: il luogo dell’incontro, la porta che introduce nel cuore paterno e fa fare esperienza della sofferenza misericordiosa di Dio, è la preghiera e in particolare il suo vertice e la sua fonte, la liturgia. È questa la grande scuola dell’amore, dove il Padre accoglie i Suoi figli e la Sua misericordia li rende creature nuove, libere e liberanti nella storia. Nella liturgia il cristiano non sta davanti a Dio come uno straniero, ma entra nelle profondità di Dio, prega "in Dio", lasciandosi avvolgere dal mistero della Trinità, facendo compagnia alla sofferenza di Dio e partecipando alla Sua vittoria sulla morte e sul male.

Celebrare, pregare, perciò, non significa tanto amare Dio, quanto lasciarsi amare da Lui: in tal senso, la preghiera ci introduce nel cuore del Padre rendendoci capaci anzitutto di ricevere, di attendere il dono dall’alto nella pazienza e nella perseveranza piene dello stupore dell’amore. La preghiera cristiana, personale e liturgica, è perciò esperienza notturna più che solare di Dio: il Padre non lo vedi, né lo catturi; ti lasci piuttosto contemplare da Lui. Celebrare è lasciarsi amare da Dio, è "passio" prima che "actio", accoglienza del mistero, prima e più che impresa umana: "pati divina". Ed è alla scuola della liturgia - "memoria passionis et resurrectionis Domini" - che si comprende come la condivisione dell’umanità del Dio sofferente non ha nulla del dolorismo pessimista, è anzi affermazione decisa della potenza della resurrezione: «La vittoria sul morire rientra nell’ambito delle possibilità umane, la vittoria sulla morte si chiama resurrezione. Non è dall’ars moriendi, ma è dalla resurrezione di Cristo che può spirare nel mondo presente un nuovo vento purificatore... Vivere partendo dalla resurrezione: questo significa Pasqua» (D. Bonhoeffer, Resistenza e resa, o.c., 314: lettera del 27 marzo 1944)).

Chi sta davanti al mistero del Padre nel grembo della Trinità Santa, nascosto con Cristo in Dio (cf. Col 3,3), dimora anche nel seno della storia: è così che nella liturgia la Trinità e la storia giungono ad incontrarsi. La preghiera, personale e liturgica, è il terreno d’avvento della Trinità nella storia, il luogo di alleanza fra la storia eterna di Dio e la storia degli uomini, il pegno della speranza che fa pregustare il giorno in cui il mondo intero sarà la patria di Dio e Dio sarà tutto in tutti. È nella preghiera, personale e liturgica, che la sofferenza del mondo incontra la sofferenza divina e ne viene redenta: è in essa che ciascuno può aprire la porta all’Agnello che bussa (cf. Ap 3,20) e gustare con Lui la Cena delle nozze. Esprime questo incontro dell’amore divino con la passione del mondo e della passione di Dio con la ricerca del cuore umano inquieto, il poeta mistico per eccellenza, San Giovanni della Croce (Cántico espiritual, Strofa 15), con parole che - nel succedersi degli ossimori - evidenziano il paradosso del Dio che viene (Mi Amado…), il paradosso della finitudine e del dolore umani ("la noche… la música callada, la soledad sonora") e il loro abbraccio nell’amore "compassionato", donato dall’alto e accolto dalla fede nella cena che ricrea ed innamora:

«Il mio Amato...

placida la notte

prossima al levarsi dell’aurora,

la musica taciuta,

la solitudine sonora,

la cena che ricrea e innamora».

da una meditazione di Mons. Bruno Forte sull'amore di Cristo per la Chiesa immagine dell'amore che dev'esserci tra i coniugi e anche tra tutti i credenti.
Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 22:23
La «patria» dell’Amore è entrata nell’«esilio» del peccato, del dolore e della morte, per farlo suo e riconciliare la storia con sé: Dio ha fatto sua la morte, perché il mondo facesse sua la vita. «Qui sta la differenza decisiva rispetto a qualsiasi religione. La religiosità umana rinvia l’uomo nella sua tribolazione alla potenza di Dio nel mondo, Dio è il deus ex machina. La Bibbia rinvia l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di Dio; solo il Dio sofferente può aiutare. In questo senso si può dire che l’evoluzione verso la maggiore età del mondo, con la quale si fa piazza pulita di una falsa immagine di Dio, apre lo sguardo verso il Dio della Bibbia, che ottiene potenza e spazio nel mondo grazie alla sua impotenza» (D. Bonhoeffer, Resistenza e resa, a cura di A. Gallas, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1988, 440: lettera del 16 luglio 1944). Il Dio biblico non è l’occulta controparte contro cui lanciare le bestemmie del dolore umano, ma è in un senso più profondo «il Dio umano, che grida nel sofferente e con lui e interviene a suo favore con la sua croce quando egli nei suoi tormenti ammutolisce» (J. Moltmann).
Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 22:43
La conseguenza della vulnerabilità divina nell’amore è che il peccato dell’uomo non è indifferente per il cuore divino. Dio soffre per ciascuna delle colpe dei suoi figli: in quanto questa sofferenza è attiva e non passiva, è cioè una sofferenza che Dio accetta liberamente per noi, allora l’altro nome di essa è "agape", carità. "Deus caritas est": Dio, il Padre, è amore. Sta qui il centro e il cuore del Vangelo, come ci ha ricordato Benedetto XVI nell’Enciclica "Deus caritas est": il Dio di Gesù è Colui al quale possiamo rivolgerci dicendo con tenerezza di figli: "Padre nostro…". L’accoglienza con cui Egli ci risponde è l’amore sofferente e ospitale, l’amore fedele e speranzoso di chi attende sempre il nostro ritorno, quell’amore rivelato nel Dio fatto uomo per noi, Gesù, l’amore incarnato. Dal Venerdì Santo del Figlio crocifisso per noi sappiamo che la storia delle sofferenze umane è anche storia del Dio con noi: Egli vi è presente, a soffrire con l’uomo e a contagiargli il valore immenso della sofferenza offerta per amore.
Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 22:43
La sofferenza di Dio è il segno del suo amore umile, non della sua debolezza o del suo limite: non si tratta di una sofferenza passiva, che si subisca in quanto non è possibile farne a meno. È invece la sofferenza attiva, liberamente scelta ed accolta per amore verso la persona amata. Diversamente dall’opinione diffusa nella tradizione greco - occidentale, secondo cui non c’è altra sofferenza che quella subita, segno di imperfezione e tale perciò da far postulare a molti l’impassibilità di Dio, il Dio cristiano rivela un dolore attivo, liberamente accettato, perfetto della perfezione dell’amore: «Nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per i propri amici» (Gv 15,13). Il Dio di Gesù, in quanto è "agàpe", gratuito e liberissimo amore, non si chiama fuori della sofferenza del mondo, quasi spettatore impassibile di essa: egli la assume e la redime, vivendola dal di dentro come dono e offerta per noi, da cui sgorghi la vita nuova del mondo. La rivelazione del cuore di Dio sta tutta qui: Egli è colui che soffre perché ci ama, perché ci ha creati liberi e dunque si è esposto al rischio della nostra libertà ed è pronto per noi a pagare il prezzo dell’amore, attendendo con ansia e speranza il nostro ritorno, come il Padre della parabola che soffre per la lontananza del figlio amato e perduto.
Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 22:44

dalla Dominum et vivificantem

"Il Libro sacro sembra intravvedere un dolore, inconcepibile e inesprimibile nelle ‘profondità di Dio’ e, in un certo senso, nel cuore stesso dell’ineffabile Trinità... Nelle ‘profondità di Dio’ c’è un amore di Padre che, dinanzi al peccato dell’uomo, secondo il linguaggio biblico, reagisce fino al punto di dire: ‘Sono pentito di aver fatto l’uomo’... Si ha così un paradossale mistero d’amore: in Cristo soffre un Dio rifiutato dalla propria creatura... ma, nello stesso tempo, dal profondo di questa sofferenza lo Spirito trae una nuova misura del dono fatto all’uomo e alla creazione fin dall’inizio. Nel profondo del mistero della Croce agisce l’amore" (nn. 39 e 41). È il dolore dell’amore divino che faceva osare ai Concili della Chiesa antica di pronunciare le parole: – "Dio ha sofferto". È la rivelazione dell’abisso della divinità che faceva dire ad Agostino:  - "il Dio crocefisso".

Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 22:45


Ebreo fedele, il Nazareno ha però introdotto una novità assoluta rispetto alla tradizione d’Israele: egli ha chiamato Dio col nome di "abbà", parola della tenerezza con cui i bambini amavano rivolgersi al padre e che anche gli adulti usavano per esprimere la confidenza filiale. Gesù è stato il primo Ebreo che si è rivolto a Dio così: "abbà", segno di confidenza infinita e di tenerezza filiale, è l’invocazione che sgorga dal cuore del Figlio incarnato nell’ora suprema del dolore, quando tutto sembra crollare e la solitudine è totale, perché anche i discepoli non sono stati capaci di vegliare un’ora sola con Lui. "Abbà, Padre, tutto è possibile a te, allontana da me questo calice: però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu" (Mc 15,36). Siamo qui di fronte alla più alta rivelazione del Padre, nelle cui mani Gesù affida il suo spirito. Il Padre di Gesù è il Dio che accetta di soffrire per amore della sua creatura: non soltanto il Dio umile, il Dio della compassione e della tenerezza, ma il Dio che paga il prezzo supremo dell’amore.

Questo prezzo è espresso con un termine che ricorre di continuo nei racconti della passione: "paradìdomi", "consegnare". Il verbo è usato anche nella traduzione greca della Bibbia ebraica, detta dei Settanta, ad esempio in Genesi 22 nel racconto del sacrificio di Isacco, per indicare la consegna del figlio amato da parte del padre. Come Abramo consegna Isacco per amore di Dio, così il Padre di Gesù consegna l’Isacco della nuova ed eterna alleanza per amore degli uomini. Commenta Origene: "Dio gareggia magnificamente in generosità con gli uomini: Abramo ha offerto a Dio un figlio mortale senza che questi morisse; Dio ha consegnato alla morte il Figlio immortale per gli uomini" (Homilia in Genesim, 8). In questo mistero della "consegna" si rivela la Trinità di Dio nell’unità dell’eterno amore: all’autoconsegna del Figlio, "che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me" (Gal 2,20), come dice Paolo, corrisponde la libera, dolorosa consegna d’amore del Padre, che "non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi" (Rom 8,32). Nella relazione del loro amore sofferente, rivelata sulla Croce, agisce lo Spirito, vincolo e dono dell’amore dei Due: "Chinato il capo consegnò lo Spirito" (Gv 19,30).

Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 22:46
+ Bruno Forte

Arcivescovo di Chieti-Vasto

Vorrei aiutare la contemplazione del volto del Dio sofferente - il Padre/Madre dell’amore della tradizione biblica -, ponendomi in ascolto della Sua rivelazione in tre tappe, tese a scrutare rispettivamente il volto del Dio d’Israele, il volto del Dio di Gesù e quello del Dio della Chiesa.

a) Il Dio d’Israele. In ebraico c’è una metafora pregnante per dire l’amore di Dio: “rachamim”, termine che letteralmente significa “viscere materne”. Il Dio dei “rachamim” è il Dio visceralmente innamorato dell’uomo («per viscera misericordia Dei nostri», dice la trasposizione latina): Colui che è il Padre della “hesed”, l’amore forte e fedele, è anche il Padre/Madre della tenerezza, il Dio dell’infinita misericordia. Dice Isaia 49,14-16: “Sion ha detto: il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato. Si dimentica forse una donna del suo bambino così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io non mi dimenticherò mai di te. Ecco ti ho disegnato sul palmo delle mie mani”. Questo è il Dio d’Israele: un Dio materno, che conosce tenerezza e usa misericordia, che ci tiene sempre sotto gli occhi, perché ci ha disegnato sul palmo delle sue mani.

Questo Dio non ha esitato a farsi piccolo perché noi possiamo esistere davanti a Lui: è quanto esprime la dottrina, cara alla mistica ebraica, dello “zim-zum”, del divino “contrarsi”, chiave del mistero della creazione. Un frammento anonimo medioevale afferma: “Come fece uscire e creò il mondo? Come un uomo che raccolga il respiro e si concentri in sé, affinché il piccolo contenga il grande, così Egli concentrò la sua luce… e il mondo fu nella tenebra. In questa tenebra Egli incise le rocce e intagliò le pietre, in modo da trarne le meraviglie della sapienza”. Dio si limita in se stesso per creare spazio alle sue creature, come fa una madre quando concepisce un figlio; Dio si fa piccolo perché vuole davanti a sé donne e uomini liberi. Il Suo amore giunge al punto da accettare il rischio della nostra libertà, anche della libertà di rifiutarlo. Perciò il Dio della tradizione biblica è il Dio umile: nessuno può esserlo come Lui, perché Lui solo può farsi piccolo, Lui solo può veramente “contrarsi”! Voce di una profonda esperienza mistica, Meister Eckhart dirà: “La virtù che ha nome umiltà è radicata nel fondo della deità”. E prima di lui Francesco - nelle Lodi del Dio Altissimo - si rivolge al Dio amato, verità e bellezza infinite, dicendoGli: “Tu sei umiltà!”.

Questo Dio umile si è destinato a tal punto alla Sua creatura per amore, da seguire il cammino dei suoi figli con trepidante partecipazione: è quanto esprime la dottrina della “shekinah”, la “dimora” di Dio nella storia del suo popolo. Si tratta di una presenza così profonda e vicina da divenire condivisione del dolore e della gioia. Dice un commovente “midrash” della fine del IV secolo: “In qualunque luogo furono esiliati gli ebrei la Shekinah andò con loro. Andarono in esilio in Egitto e là andò la Shekinah… andarono esuli in Babilonia, ed essa andò con loro… furono in Edom ed essa era con loro… ma quando torneranno, la Shekinah farà ritorno insieme a loro”. Il Padre d’Israele è, dunque, tutt’altro che il Dio lontano che schiaccia l’uomo: è anzi il Dio che ha tratti di compassione e di tenerezza anche quando giudica. Il suo è il giudizio di verità e di amore di chi ti conosce e ti ama fino al punto da soffrire per te: perciò il giudizio divino è il solo che può rivelarti veramente a te stesso.

Questo Dio di luce e di misericordia chiede all’uomo una sola risposta, la “teshuvà”. SHV è la parola che noi traduciamo con convertirsi e che in ebraico significa “ritornare a casa”. Dio desidera che noi torniamo nella sua casa. Colui che ci ha creati liberi per amore, nell’amore aspetta il nostro ritorno: la Sua non è un’attesa indifferente, ma vive dell’ansia e della sofferenza dell’amore, come rivela la gioia espressa nella festa del ritorno. Qui si intravedono i tratti del Padre presentato nella parabola di Gesù in Luca 15, sintesi della rivelazione del Dio biblico come Dio della tenerezza e della misericordia. Osea 11,7-8 afferma in questa stessa direzione: “Il mio popolo è duro a convertirsi; chiamato a guardare in alto nessuno solleva lo sguardo. Come potrei abbandonarti Efraim, come consegnarti ad altri Israele? Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione”. Padre/Madre della tenerezza e dell’amore, della misericordia e dell’umiltà, questo Dio ci rende liberi di esistere a testa alta davanti a Lui e di aderire o meno al Suo patto, anche se incessantemente ci chiama a tornare al suo cuore divino e aspetta il nostro ritorno, per vivere con Lui la festa dell’amore ritrovato.
Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 22:46
Cos'è più eccelso, conoscere o amare?
Sembra che conoscere sia superiore, perché precede l'amore. Infatti, non è possibile amare quello che non si conosce. Dunque, l'operazione dell'intelletto, o della conoscenza, è superiore all'operazione della volontà, che riguarda l'amore.
Se questo è proprio così, allora dovremmo dire che è meglio conoscere Dio che amarLo. Qualcuno, conoscendo profondamente Dio - nei suoi effetti, evidentemente, non nella sua essenza -, potrebbe salvarsi quasi senza amarLo... Ma nello stesso tempo, è scritto: "Amerai il Signore, Dio tuo, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente", e questo è il primo comandamento del Decalogo.
La questione, pertanto, non è tanto semplice, ed è stata oggetto di dibattiti tra teologi e filosofi scolastici per secoli.
San Tommaso d'Aquino la risolve in modo geniale, potendo il suo insegnamento essere riassunto in questa frase: "La dilezione supera la conoscenza nel muovere, ma la conoscenza precede l'amore nel raggiungere". Facciamo venire alla nostra intelligenza l'oggetto della nostra conoscenza, ossia, comprendiamo e conquistiamo intellettualmente quell'essere. Invece, quando amiamo qualcosa, la nostra volontà vola fino all'amato, e siamo noi che siamo conquistati.
L’importanza maggiore della conoscenza o dell'amore dipenderà, allora, da quello che conosciamo o amiamo. Se avessimo davanti a noi qualcosa che ci è inferiore, vale di più conoscere che amare. Può essere la nostra automobile, per esempio, o il computer di casa. Nel conoscerli, li portiamo alla nostra intelligenza, adeguandoli a noi stessi. Essi, semplici oggetti materiali, diventano nobilitati dalla loro percezione da parte dell'intelligenza umana.
Sarà normale prenderci una certa cura di questa automobile o computer, perché ci sono utili ed hanno il loro prezzo. Ma se, per un impulso sbagliato, ci attacchiamo a loro, ne consegue che ci adattiamo a loro e, pertanto, ne risulta diminuita la nostra dignità di esseri umani.
Ma se quello che si offre alla nostra considerazione è, per esempio, Nostro Signore Gesù Cristo, o la Madonna, o la Cattedra di San Pietro, nell'amarli, la nostra anima vola fino a loro e cresciamo spiritualmente, essendo in qualche modo assunti.
Tanto grande è la potenza dell'amore che San Tommaso arriva a dire che se un bambino non battezzato ed educato tra i pagani, giunto al pieno uso della ragione, ama efficacemente ciò che è superiore a lui, più che se stesso, sarà giustificato.
Il famoso domenicano tomista del secolo passato, Frate Réginald Garrigou-Lagrange, commenta che soltanto un San Tommaso osa fare una affermazione tanto azzardata come questa. Ma, una volta formulata, non è difficile capirne la saggezza.
Pertanto, ci sono esseri e valori che sono superiori a noi, che dobbiamo amare più di quanto amiamo noi stessi. Questo amore sarà, sempre, in funzione di Dio, creatore dell'universo e dell'ordine che c'è in esso.
Ecco, dunque, il risultato della nostra indagine: più importante è amare che conoscere quando gli esseri ci sono superiori; più importante è conoscere che amare quando essi ci sono inferiori. Queste e molte altre riflessioni ci risveglia la lettura della tanto straordinaria enciclica scritta dal Papa Benedetto XVI.
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 12:53.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com