PIETRO FU A ROMA ?

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Credente
00martedì 26 novembre 2013 08:36

La tomba di San Pietro
e le scoperte archeologiche

Ogni storico serio sa che Pietro morì martire sotto Nerone nel 64, nel Circo Vaticano, fu sepolto a breve distanza dal luogo del suo martirio, e sulla sua tomba, all’inizio del IV secolo, l’imperatore Costantino fece costruire la grande Basilica vaticana. Attraverso le fonti letterarie si può ricostruire cosa accadde dopo il martirio, come ad esempio la testimonianza del I° secolo di Clemente, capo della comunità cristiana di Roma. Nei due scritti del II° secolo, “l’Ascensione d’Isaia” e “l’Apocalisse di Pietro”, si conferma la morte di Pietro a Roma in seguito al martirio neroniano del 64 d.C. La presenza a Roma dell’Apostolo è inoltre suffragata dal fatto che mai nessuno in passato ha rivendicato di possedere la sua tomba, segno dunque che le fonti possono esclusivamente limitarsi al raggio d’azione nella Capitale.

Rispetto alla tomba dell’Apostolo, utile è la testimonianza di Eusebio, storico della Chiesa del III-IV° secolo, che cita un presbitero romano di nome Gaio, il quale fa riferimento alla sepoltura definendola il “trofeo” di Pietro in Vaticano. Soltanto nel 1939, sotto il pontificato di Pio XII, vennero avviate ricerche sistematiche allo scopo di confermare le varie fonti letterarie.

Gli studiosi trovarono una antica necropoli parallela al Circo di Nerone che l’imperatore Costantino decise di sotterrare all’inizio del IV secolo livellando il terreno per la futura basilica.Esattamente sotto l’altare papale trovarono una successione di monumenti e di altari fin sopra il monumento che Costantino, ancora prima di costruire la basilica, aveva fatto erigere tra il 321 e il 326 sul luogo della tomba di Pietro. All’interno del monumento di Costantino c’era un muro coperto di graffiti, di antiche iscrizioni coperte di epigrafi che indicavano col loro affollamento l’immensa devozione dei fedeli. Il primo monumento di san Pietro aveva nel pavimento un’antica tomba in terra, detta “terragna” (poggiante direttamente a terra), sulla quale tutti questi monumenti si erano sovrapposti. Tuttavia la si trovò vuota.

A partire dal 1952 e fino al 1965 il lavoro dell’archeologa Margherita Guarducci fu fondamentale per raggiungere alla certezza che possediamo oggi: studiò il muro dei graffitiscoprendo la presenza esuberante del nome di Pietro, espresso con le lettere P, PE, PET, e unito di solito col nome di Cristo, col simbolo di Cristo, con la sigla di Cristo e col nome di Maria, e soprattutto dominavano, su questo muro, le acclamazioni alla vittoria di Cristo, Pietro e Maria. Poi c’era il ricordo della Trinità, il ricordo di Cristo seconda persona della Trinità, e via di seguito. Tutta la teologia del tempo era su quel muro.

Nel settembre 1953 l’archeologa italiana scoprì le ossa di Pietro: esse stavano nella tomba “terragna” come la tradizione della Chiesa aveva sempre dichiarato. Tuttavia durante gli scavi del ’40 non ci si accorse di esse e la Guarducci le ritrovò all’interno di un loculo ricavato nel muro di epoca costantiniana interamente rivestito di marmo (precisamente porfido), solitamente destinato a sepolture di grande riguardo. L’analisi delle ossa, avvolte in un tessuto prezioso, anche con l’aiuto dell’antropologo Venerando Correnti, rivelarono l’età approssimativa di 60/70 anni e le tracce terrose corrispondevano esattamente al tipo di terra contenuta all’interno della fossa ‘terragna’, segno dunque erano lì contenute prima della traslazione da parte dell’imperatore Costantino. L’analisi del loculo del cosiddetto ‘muro g’ ha messo inoltre in evidenza un graffito in lingua greca che riporta la frase “Pietro è (qui) dentro”.

L’identificazione delle reliquie come effettivamente appartenenti all’apostolo Pietro venne annunciata da Papa Paolo VI nel 1968 e mai smentita. Nel 1953 a Gerusalemme due archeologi scoprirono un ossario di una comunità cristiana di Gerusalemme, con alcuni nomi biblici familiari tra cui “Shimon Bar Yonah” cioè il nome biblico originale del discepolo Pietro (oltre a Gesù, Giuseppe, Giuda, Matteo, Marta, Maria e Mariame). Alcuni protestanti e anticlericali ritengono che sia la prova che Pietro non è sepolto a Roma, ma la comunità scientifica ha respinto tali affermazioni, anche per il semplice fatto che non avrebbe avuto alcun senso riferirsi a Pietro con il suo nome originale e non come “Cefa” o “Peter”.

Credente
00martedì 26 novembre 2013 10:08

PIETRO FU DAVVERO A ROMA?


     Nel XIV secolo, Marsilio da Padova avanzò dubbi sul fatto che Pietro fosse stato vescovo di Roma, nonostante fosse da sempre stato ritenuto un fatto scontato

In seguito, larga parte del protestantesimo tentò di mettere in dubbio anche la venuta di Pietro a Roma con evidenti finalità polemiche verso la Chiesa Cattolica ed il vescovo di Roma.

     Sebbene il Nuovo Testamento non parli chiaramente del martirio romano di Pietro, nel saluto finale della sua prima epistola Pietro dice: "La chiesa che è in Babilonia, eletta come voi, vi saluta" (1 Pietro 5, 13). 

Poiché l'antica Babilonia giaceva distrutta da molti secoli e in Mesopotamia  non esisteva una comunità cristiana ma solo di una colonia giudaica, Babilonia deve essere per forza il nome simbolico di Roma, nome peraltro assai amato nell'apocalittica giudaica e cristiana (Apocalisse 17-18-19). 

     Clemente Romano (ca. 96 d.C.) per primo parla della morte di Pietro e di Paolo, dicendo: "Per l'invidia e gelosia  furono perseguitate le più grandi e più giuste colonne le quali combatterono sino alla morte. Poniamoci dinanzi agli occhi i buoni apostoli. Pietro che per l'ingiusta invidia soffrì non uno, ma numerosi tormenti nella grande Babilonia, e così col martirio raggiunse il posto della gloria. Fu per effetto di gelosia e discordia che Paolo mostrò come si consegua il premio della pazienza …." (Clemente, 1 Corinzi V, 2-5)

     Ignazio, vescovo di Antiochia, verso il 110 d.C. durante il suo viaggio verso Roma per subirvi il martirio, pur non ricordando il martirio dell'apostolo, scrive alla chiesa ivi esistente di non voler impartire loro "degli ordini come Pietro e Paolo" poiché essi "erano liberi, mentre io sono schiavo" (Ignazio, Ai Romani 4, 3). Siccome Pietro non scrisse alcuna lettera ai Romani, si deve dedurre che egli avesse loro impartito dei comandi di presenza, cioè a voce, come solevano fare gli Apostoli.

     Papia di Gerapoli, verso il 130 d.C. afferma che Pietro scrisse da Roma la sua lettera (Papia in Eusebio, Storia Ecclesiastica II, 15, 2), usando il termine figurato di Babilonia per indicare Roma.

     Origene (185-254) è il primo a ricordarci che Pietro fu crocifisso a Roma con il capo all'ingiù. Egli infatti scrive: "Si pensa che Pietro predicasse ai Giudei della dispersione per tutto il Ponto, la Galazia, la Bitinia, la Cappadocia e l'Asia e che infine venisse a Roma dove fu affisso alla croce con il capo all'ingiù, così infatti aveva pregato di essere posto in croce". (Origene in Eusebio, Storia Ecclesiastica III, 1, 2).

     Dionigi, vescovo di Corinto, verso il 170 d.C., in una lettera parzialmente conservata da Eusebio, attribuisce a Pietro e Paolo la fondazione della chiesa di Corinto e la loro predicazione simultanea in Italia dove assieme subirono il martirio. "Con la vostra ammonizione voi (Romani) avete congiunto Roma e Corinto in due fondazioni che dobbiamo a Pietro e Paolo. Poiché ambedue, venuti nella nostra Corinto hanno piantato e istruito noi, allo stesso modo poi, andati in Italia, insieme vi insegnarono e resero testimonianza (con la loro morte) al medesimo tempo" (Dionigi in Eusebio, Storia Ecclesiastica II, 25).

     Clemente Alessandrino (150-215) ricorda che, "quando Pietro ebbe predicato pubblicamente la Parola a Roma e dichiarato il Vangelo nello Spirito, molti degli ascoltatori chiesero a Marco, che lo aveva seguito da lungo tempo e ricordava i suoi detti, di metterli per iscritto." (Eusebio, Storia Ecclesiastica VI, 14).

     Tertulliano (160-240) ripete che Pietro fu crocifisso a Roma durante la persecuzione neroniana, dopo aver ordinato Clemente, il futuro vescovo romano (Scorpiace XV; Sulla prescrizione degli eretici XXXII); lo stesso Tertulliano ricorda anche il martirio comune di Pietro e Paolo a Roma, sottolineando come Pietro avesse sofferto lo stesso martirio di Gesù e come Paolo fosse stato ucciso come Giovanni Battista (Sulla prescrizione degli eretici XXXVI).

     Ireneo, vescovo di Lione (140-202), ricorda che "Matteo... compone il suo Vangelo mentre Pietro e Paolo predicavano e fondavano la chiesa …" e parla "… della chiesa grandissima e antichissima e a tutti nota, la chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo …. con questa chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve essere necessariamente d'accordo ogni chiesa, cioè i fedeli che vengono da ogni parte ….la chiesa nella quale per tutti gli uomini sempre è stata conservata la tradizione che viene dagli apostoli …" (Contro le eresie III, 1-3)

      Eusebio di Cesarea (260-337) ricorda come, sotto il regno di Claudio, la Provvidenza condusse Pietro a Roma per porre fine al potere di Simon Mago (Eusebio, Storia Ecclesiastica, II, 14). Egli inoltre ricorda come, a Roma, sotto l'impero di Nerone, Paolo venne decapitato e Pietro crocifisso (Eusebio, Storia Ecclesiastica, II, 25).

     Girolamo (347-420) scrive che "Simon Pietro venne a Roma per debellare Simon Mago …occupò a Roma la cattedra episcopale per 25 anni, fino all'ultimo anno di Nerone …..fu crocifisso con il capo all'ingiù e i piedi rivolti verso l'alto, dichiarandosi indegno di venir crocifisso come il suo Signore" (Gli uomini illustri I).

La tradizione negli scritti patristici è dunque unanime nel ritenere che Pietro sia stato a Roma e vi abbia subito il martirio.














 


Credente
00martedì 26 novembre 2013 10:09

L'ENORME PORTATA STORICA, TEOLOGICA ED ECUMENICA DEL RITROVAMENTO DELLE OSSA DI PIETRO.


  ­ L'archeologia è, tra le scienze, forse la più ''concreta'': essa ha per oggetto realtà materiali, visibili, palpabili. I reperti storici sono lì da vedere e ognuno li può studiare, analizzare, datare in modo oggettivo col sussidio di quasi tutte le altre scienze sperimentali come la fisica, la chimica, ecc. 


Essa è, a sua volta, una scienza sussidiaria della storia. É vero che la storia ha le sue proprie fonti letterarie e di tradizione orale, ma trova nella archeologia una fonte sussidiaria che conferma in modo oggettivo e palpabile i dati delle altre fonti e talvolta li corregge e li precisa. 
Ebbene, con il rinvenimento della tomba e delle ossa di Pietro, la bimillenaria ed ininterrotta tradizione storica della venuta di San Pietro a Roma, della sua permanenza come Vescovo, del suo martirio e della sua sepoltura, riceve una conferma irrefutabile e consolantissima.

2 ­ Inoltre non è chi non veda quanto questo rinvenimento conforti ciò che da sempre la teologia cattolica ha sostenuto: ossia che il Primato sugli altri Apostoli conferito da Cristo a Pietro si trasmette, in forza della successione nella Cattedra di Pietro, ai Vescovi di Roma, fino alla fine del mondo. 
Si deve qui ricordare che tutto il mondo protestante aveva sempre negato, cominciando dallo stesso Lutero, la presenza della tomba (e delle ossa) di Pietro a Roma. 
Ma questa negazione era evidentemente strumentale, dato che Lutero stesso, il quale conosceva benissimo le tradizioni letterarie al riguardo, non poteva ignorare la verità di questo dato storico. 
Ma, tant'è, quando un'ideologia offusca la mente di un uomo questi non arretra neppure davanti alla negazione e al capovolgimento delle più evidenti realtà storiche! 
Questa negazione ha percorso e sostenuto tutta la polemica teologica anticattolica dei protestanti (e degli ortodossi), fino ai nostri giorni, ed il ritrovamento della tomba e delle ossa di Pietro dovrebbe indurre al ripensamento gli attuali negatori del Primato del Vescovo di Roma su tutta l'unica Chiesa di Cristo! 
Un bell'esempio di ravvedimento ci è offerto da un grande studioso protestante, che fu anche Osservatore al Concilio Vaticano II, Oscar Cullmann: dopo l'annuncio di Pio XII del ritrovamento della Tomba, egli uscì a dire alla Guarducci: «Ma che tomba avete trovato? Non c'è il nome, non ci sono le ossa...»; ma quando, quattordici anni dopo, la stessa professoressa Guarducci gli sottopose la documentazione archeologica della presenza del nome di Pietro accanto e nella tomba, e le ossa identificate con assoluta certezza, allora sul suo volto si dipinse lo sbalordimento e una mal repressa vena di disappunto, superato però subito dal desiderio di sapere tutto sulla straordinaria scoperta (Cfr. O.C. pag. 99).


­ Da ultimo ci piace sottolineare l'enorme portata ecumenica di questo ritrovamento archeologico. 
Il vero ecumenismo non è il cammino verso l'Unione per giungere alla Verità, ma è il cammino verso la Verità per giungere all'Unione; perché la Verità precede e fonda l'Unione, come Cristo, che è la Verità, precede e fonda l'unica Chiesa. 
Il ritrovamento della tomba e delle ossa di Pietro sono un provvidenziale richiamo a tutti noi su come dobbiamo condurre il nostro impegno ecumenico: anzitutto nella fedeltà personale al Magistero della Chiesa Cattolica; poi nella proposizione integrale dell'umica Verità ai fratelli separati; e, solo dopo, nella ricerca fraterna di un dialogo che appiani le loro difficoltà e li conduca ad accettare la Verità tutta intera. 
Non è certamente merito nostro se siamo nati e cresciuti nell'unica vera Chiesa che Cristo ha fondato su Pietro; ma sarebbe nostro eterno demerito se ci lasciassimo sedurre dal desiderio di far presto l'Unione e di farla a qualunque costo. Quanti sbagli sono stati commessi e quanto tempo è stato perduto da chi ha voluto percorrere questa via! Che le sacre Reliquie del Principe degli Apostoli (le uniche fino ad oggi ritrovate di un Apostolo!) ci richiamino costantemente a perseguire l'Unità solo passando per la Verità, che è Cristo!

 

 

 

Credente
00lunedì 2 dicembre 2013 15:20

«Pietro a Roma? 



Su questa pietraRecentemente abbiamo esposto, citando un articolo dell’archeologo Paolo Lorizzo, le prove archeologiche (e non solo) sulla sepoltura di San Pietronella Necropoli Vaticana.


Proprio in questi giorni nelle librerie è comparso un interessante saggio storico-archeologico proprio sulla figura di Pietro, scritto da Andrea Carandini, archeologo e celebre storico dell’arte greco-romana intitolato:Su questa pietra. Gesù, Pietro e la nascita della Chiesa (Laterza 2013).


Si definisce “archeologo agnostico” e dedica il libro “a Francesco, vescovo di Roma”, dopo aver esaminato il rapporto tra Gesù e Pietro, soprattutto alla luce primato petrino (Mt 16, 18-19), ricostruisce la venuta a Roma dell’apostolo evidenziando concludendo che «se Pietro è arrivato a Roma, possibilità da prendere in seria considerazione, vi è giunto dopo il 60 d.C.» e qui ha «esercitato quel ruolo rilevante che veniva riconosciuto al pastore del gregge di Gesù», fino al martirio sotto l’imperatore Nerone, subito dopo l’incendio di Roma del64 d.C.


Il volume offre dunque un panorama aggiornato delle questioni che riguardano la nascita della Chiesa e anche il primato di quella cattolica. Rimangono alcuni aspetti contraddittori sull’atteggiamento di Carandini verso Gesù, condizionato dal pregiudizio mitologico in voga nei secoli scorsi. D’altra parte su questo specifico terreno non ha le competenze di Bart HermanKlaus Berger o John P. Meier (cioè non è uno studioso del Nuovo Testamento e non è uno storico delle origini del cristianesimo), mentre rimane attendibile sul lato storico-archeologico degli sviluppi successivi nel I° secolo.


Credente
00martedì 3 dicembre 2013 10:29

Pietro e Paolo, radici di Roma - La presenza dei due apostoli nell'arte della capitale.


Tra i graffiti le testimonianze della fede.


di Mirella LOVISOLO


Roma continua ad attirare folle di pellegrini e turisti. Ma perché Roma?


Perché Roma è il centro della cristianità? Perché ad essa guardano da 2000 anni uomini di ogni cultura? Quali sono le radici profonde di questa realtà?


Sono interrogativi cui rispondevano, con la semplicità dei fatti, i reperti archeologici datati tra il II e IV secolo raccolti nella mostra "PIETRO E PAOLO. LA STORIA, IL CULTO, LA MEMORIA DEI PRIMI SECOLI" organizzata nel 2000 dal "Meeting per l’amicizia tra i popoli" a Roma nel Palazzo della Cancelleria.


Fu la presenza dei due Apostoli, fondatori della Chiesa di Roma, e qui martirizzati e sepolti che, fin dall’inizio, divenne motivo di convergenza dei pellegrinaggi verso la città. Roma, dopo la libertà di culto del IV secolo, con l’erezione delle basiliche si trasformerà, per diventare quella che oggi ci appare: una città carica di memorie – nelle piazze, nelle vie, nelle chiese, nei monumenti.


Il cristianesimo a Roma, portato in città forse da quegli "stranieri romani" presenti al discorso di Pietro nel giorno di Pentecoste (Atti 2,10) si sviluppò ben presto in seno alla comunità giudaica. Lo storico Svetonio nella sua "Vita di Claudio", narra che nel 49 l’imperatore espulse da Roma i giudei ivi residenti, per i disordini nati a causa di "Chrestos" cioè di Cristo. E’ la più antica notizia della presenza cristiana a Roma cui Paolo tra il 56-57 indirizza la sua Epistola.


Tacito, grande storico romano, all’inizio del II secolo descrive negli Annali la prima persecuzione, scatenata da Nerone nel 64 dopo l’incendio di Roma contro la comunità cristiana, costituita da una "moltitudine ingente", tanto da non essere annientata neppure dalla feroce persecuzione.


I reperti della mostra parlano dell’inquietudine religiosa nella cultura romana di quegli anni, mentre la sezione storica presenta le testimonianze della presenza degli apostoli Pietro e Paolo a Roma.


Pietro giunse nella capitale dell’impero, in un anno non precisato tra il 42 e il 64. "Vi saluta la chiesa che è in Babilonia" scrive nella sua Prima Lettera (5,13). Babilonia, ormai scomparsa, era allora sinonimo di Roma.


La venuta di Paolo nel 61, è invece precisata da At 28,15. Paolo che si era appellato a Cesare, giunge in catene a Roma, dove trova un gruppo di fratelli cristiani ad attenderlo al Foro di Appio e alle Tre Taverne.


I Padri parlano unanimemente della presenza di Pietro a Roma oggi sostenuta dalla maggioranza degli studiosi, anche tra i fratelli separati.


Nel II secolo, Ireneo vescovo di Lione nell’opera "Contro le eresie" scrive: "Poiché sarebbe troppo lungo enumerare le successioni di tutte le chiese, prenderemo la chiesa grandissima e antichissima a tutti nota, la chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo...dopo aver fondato ed edificato la chiesa i beati Apostoli affidarono a Lino il servizio dell’episcopato…cui succede Anacleto. Dopo di lui al terzo posto…Clemente il quale aveva visto gli Apostoli e aveva nelle orecchie la loro predicazione…così è giunta sino a noi la tradizione che è nella chiesa a partire dagli apostoli…".


 




  • Abercio nella sua stele funeraria del 170, parla della sua visita a Roma dicendo in linguaggio simbolico: "…Mi mandò (il Pastore) a Roma a vedere una regina dalle vesti d’oro e dai calzari d’oro…vidi anche un popolo che aveva uno splendido segno…" e Giustino negli stessi anni commenta: "Questa regina è la Chiesa di Roma contrassegnata dal successore di Pietro".



Le sculture di numerosi sarcofagi, presentano i fatti evangelici di Pietro con Gesù; menzionato oltre duecento volte negli scritti neo-testamentari, Pietro emerge come il più autorevole degli apostoli.


 


Musei Vaticani Stele di Abercio sec. II.


Nel Sarcofago di Giona del Museo Pio Cristiano in Vaticano (III secolo), il registro che sovrasta il grande ciclo biblico, presenta le scene in cui Pietro, novello Mosè, compie il miracolo della fonte nel carcere Mamertino, dove l’apostolo avrebbe battezzato i suoi carcerieri (Atti di Pietro II sec.); viene quindi raffigurato il suo arresto mentre i cristiani a terra lo supplicano di fuggire.


Frequente è poi la raffigurazione dei miracoli di Pietro raccontati dagli Atti degli Apostoli e soprattutto la scena della "negazione", dove Pietro, con la mano sul mento e accompagnato dalla presenza del gallo, ascolta pensoso la predizione di Gesù (Mc.14,30). Nel Sarcofago dei Due Fratelli (IV secolo) appare la scena della "cathedra Petri" in cui l’Apostolo, dalla fisionomia riconoscibile, siede su un’emergenza rocciosa e legge un rotolo, mentre due soldati assistono alla lettura. Nel Sarcofago di passione (340-360) proveniente da S.Paolo fuori le mura, 4 alberi che accolgono uccelli e nidi, dividono lo spazio come colonne. Al centro appare l’allegoria delle Risurrezione: la croce vittoriosa con la corona e il cristogramma; a sinistra è raffigurato l’arresto di Pietro, a destra, per la prima volta, il martirio di Paolo.


 


Nei sarcofagi romani, tra il terzo e il quarto secolo, i racconti relativi a Pietro rappresentano una costante tra i temi raffigurati. Mentre dalla metà del IV secolo sui sarcofagi e nelle absidi mosaicate, compaiono le scene maiestatiche in cui Cristo Signore consegna la legge o le chiavi a Pietro mentre Paolo applaude.



Bellissimo l’affresco della Catacomba di Commodilla e il mosaico del Mausoleo di S.Costanza. La scena della "consegna delle chiaviche sancisce il mandato conferito a Pietro: "A te darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto anche nei cieli" (Mt. 16,19) diventerà un tema diffusissimo nell’arte, mentre il simbolo delle chiavi diventerà, a partire dal V secolo, l’attributo di Pietro, così come la spada e il rotolo sarà quello di Paolo.


Il racconto apocrifo dell’incontro dei due Apostoli e la loro riconciliazione dopo i contrasti ideologici di Gal. 2-7,14, ha prodotto numerosissime opere – medaglioni, vetri dorati, lastre funerarie - dove i due Apostoli appaiono affrontati, faccia a faccia. Tra i più noti, il bellissimo vetro della Biblioteca Vaticana, in cui gli apostoli, ben identificati nelle loro diverse sembianze, sono accomunati dalla corona del martirio o - come nell’epigrafe del loculo di Asellus - dal monogramma di Cristo; oppure vengono raffigurati nell’abbraccio alle porte di Roma prima del martirio, come nell’avorio di Castellammare di Stabia.


Dopo il IV secolo, le immagini dei due apostoli, nel contesto decorativo delle solenni basiliche mosaicate, entrano nella grande tradizione figurativa cristiana.

Circa il martirio di Pietro e Paolo a Roma, le testimonianze materiali come quelle letterarie sono numerose. Clemente Romano terzo Papa, nella sua lettera ai Corinzi del 96, porta l’esempio di pazienza degli Apostoli che furono catturati a causa di invidie gelosie e discordie, quindi processati e uccisi "insieme ad una folla di eletti". Pietro, secondo lo storico Eusebio sulla base di uno scritto di Origene, venne crocifisso come gli altri cristiani nel circo di Caligola sulle pendici del colle Vaticano tra il 64 e il 67, crocifisso a testa in giù e sepolto in una tomba terragna nella necropoli esistente lungo il circo. Paolo venne decapitato nella stessa persecuzione sulla via Ostiense e sepolto nella necropoli sulla quale nel 386 venne costruita la basilica costantiniana.

Sulla tomba dei due apostoli sorse subito un piccolo monumento, una memoria, di cui parla il prete Gaio nel II secolo: "In Vaticano e sulla Via Ostiense, ti mostrerò i trofei (tombe gloriose) di coloro che hanno fondato questa Chiesa". Un discorso che è criterio guida per individuare la linea della retta tradizione mentre esprime la coscienza che la Chiesa di Roma si fonda sulla testimonianza e sul martirio dei due apostoli.

S.Pietro- scavi – Tomba di Pietro (Trofeo di Gaio sec II)

 

Il monumento di Pietro su cui, era convinzione comune, fosse sorta la Basilica elevata da Costantino, venne realmente trovato negli scavi condotti per volere di Pio XII tra il 1939 e il 1949. Vi si rinvenne anche un bollo recanti i nomi di Marco Aurelio e Faustina Augusta sua moglie, databile intorno al 146-161. Il piccolo monumento costruito sopra la tomba terragna di Pietro, era costituito da un’edicola con una nicchia e due colonnine, era addossato ad un "muro rosso" e diviso in due da una lastra orizzontale di travertino. In seguito era stata aggiunta, a lato dell’edicola, un piccolo ambiente di culto; nel muro superstite (detto muro "g") venne ricavato un loculo rivestito di marmo, per deporvi i resti di Pietro. In corrispondenza del loculo, sul "muro rosso", negli anni ’40 il P.Ferrua aveva trovato un frammento graffito con la scritta "Petr…eni" tradotto "Pietro è qui". Le successive ricerche di Margherita Guarducci tra il 1953-58, portarono al rinvenimento di alcune ossa di un uomo di circa 60 anni sepolto nel loculo del muro "g". Su questo muro i fedeli avevano inciso innumerevoli crittografie mistiche, preghiere e invocazioni a Cristo a Maria a Pietro, decifrati dalla stessa Guarducci (M.Guarducci – La tomba di Pietro - Rusconi 92)

 

Tomba di Pietro- Graffito sul "muro rosso"

Invocazione a Cristo e a Pietro

 

Nel III secolo, forse a causa della persecuzione di Valeriano, i corpi di Pietro e Paolo vennero, con probabilità, temporaneamente sistemati nella Memoria Apostolorum, lattuale Catacomba di S.Sebastiano. Del loro culto qui celebrato il 29 giugno, restano, commovente e visibile testimonianza, le centinaia di invocazioni graffite sul muro dellatriclia(F.Bisconti - Memoria apostolorum - 2000 - Catalogo Mostra)

La tomba di Pietro, collocata sulle pendici del Vaticano nel luogo di una precedente necropoli pagana, diventò centro di convergenza per altre sepolture cristiane. Il Trofeo di Pietro venne inserito nell’altare di un monumento più ampio nell’interno della Basilica costruita da Costantino a partire dal 320. Nei secoli successivi si ebbero altre sovrapposizioni sino a giungere all’attuale altare della basilica michelangiolesca del 1594. L’altare papale che si trova sotto il baldacchino del Bernini è collocato esattamente al di sopra del primo monumento e, dunque, al di sopra della tomba di Pietro.

Nelle Grotte Vaticane, attraverso l’arco aperto nel 1979 è visibile la "confessione," il sepolcro di Pietro. La nicchia del "Trofeo" - oggi "nicchia dei Pallii"- rivestita del mosaico del Salvatore e collocata in posizione decentrata per la presenza del muro "g", nel rivestimento di marmi preziosi, resta ancora a testimoniare "Pietro è qui".

Mirella LOVISOLO

Credente
00sabato 18 gennaio 2014 14:50


"La morte e il sepolcro di Pietro"

Pubblicato il volume, edito da LEV, che raccoglie gli atti del convegno "Pietro a Roma" e approfondisce le origini del culto hits


Esce per i tipi della Libreria Editrice Vaticana il volume La morte e il sepolcro di Pietro, firmato da Christian Gnilka, Stefan Heid e Rainer Riesner, che nasce da un convegno organizzato dall’Istituto Romano della Società di Goerres presso il Campo Santo Teutonico nella primavera del 2010 e dedicato al tema “Pietro a Roma”.




“Il Convegno – spiega Stefan Heid nella prefazione – partiva dalla tesi provocatoria secondo cui Pietro non sarebbe mai stato a Roma, non vi sarebbe dunque neanche morto e, di conseguenza, a Roma non esisterebbe nessuna tomba dell’apostolo”.

Se le tombe degli apostoli vengono additate come “prodotti di fantasia di una religiosità deviata, o addirittura tranelli politico-ecclesiastici a danno dei Papi” – premette ancora Heid –, ciò avrebbe ripercussioni “non solo per la Chiesa Cattolica, ma per tutte le comunità di fede cristiana e le Chiese, il cui presupposto e inattaccabile sostegno al Nuovo Testamento sarà molto presto minato da un simile sospetto generale”.

Il volume è strutturato in due parti: “Pietro a Roma” e “La gioia presso il sepolcro”. “Pietro a Roma” presenta tre ampie relazioni. Nella prima, Rainer Riesner analizza Vangelo e Atti degli Apostoli di Luca e le lettere pastorali di Paolo, considerando le più antiche tradizioni di Paolo e Pietro e inserendole nel quadro generale del Nuovo Testamento. Nel secondo capitolo, Christian Gnilka interpreta i testi antichi sulla base dell’uso specifico di determinate espressioni linguistiche. Nella terza relazione, partendo dall’autenticità delle lettere di Ignazio di Antiochia, Stefan Heid tenta un’interpretazione complessiva della Lettera ai Romani, dalla quale si delineano nuovi punti di riferimento per una venerazione comunitaria dei sepolcri degli Apostoli a Roma.

“La gioia presso il sepolcro” è invece incentrata sulle origine del culto martiriale, con particolare riferimento alla venerazione dei sepolcri di Pietro e Paolo, in Vaticano il primo e lungo la via Ostiense il secondo. “La venerazione dei martiri e delle loro tombe ha radici giudaiche” afferma Stefan Heid nel capitolo “Radici ebraiche del culto cristiano dei sepolcri”, ma – nota in quello successivo, “Dalla Palestina alla diaspora cristiana” – “la venerazione delle tombe dei martiri non avrebbe sviluppato radici così profonde al di fuori della Palestina se in tutto il mondo antico non fosse esistito già un generale culto dei defunti, nell’ambito del quale il culto dei martiri presso la tomba può considerarsi una forma intensiva
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 22:53.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com