PAPA FRANCESCO

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Pagine: [1], 2, 3
Credente
00martedì 19 marzo 2013 10:23

Come vorrei una Chiesa povera, per i poveri

Caritas«Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!». Questa è la bellissima espressione di papa Francesco durante l’incontro con i media il 16 marzo. La frase può essere letta in modo superficiale, come hanno fatto i media e anche alcuni uomini di politica (ad esempio Beppe Grillo), oppure può essere intesa dal punto di vista cristiano, assumendo dunque una validità logica e un senso compiuto.

Se venisse presa letteralmente e in modo superficiale, come dicevamo, la frase non avrebbe senso. Cosa se ne fanno i poveri di una Chiesa povera? Cosa se ne fanno i poveri di una Caritas che non ha i soldi per offrire pasti gratuiti tutti i giorni? Cosa se ne fanno i poveri di un ricovero di religiosi che non hanno i soldi per il riscaldamento? Assolutamente nulla, una Chiesa povera non può aiutare nessuno (ovviamente sempre dal punto di vista dell’aiuto materiale!), così come un imprenditore senza soldi non può aiutare chi è in cerca di lavoro…non ha senso dire: “un imprenditore povero per i disoccupati!”. Una Chiesa povera per i poveri è una frase che non ha alcun senso, i quotidiani hanno riportato una frase palesemente contraddittoria, che ovviamente non hanno capito.

La bellissima espressione di papa Francesco va evidentemente letta contestualizzandola all’interno di un approccio cristiano, dove la povertà non coincide obbligatoriamentecon il banale “non avere nulla”. La povertà è innanzitutto un atteggiamento della persona, Gesù nel Vangelo ripete spesso: “beati i poveri di spirito”. La povertà cristiana è il non porre la speranza in quel che si ha, essere libero da quel che si possiede (dal denaro, dai vestiti, dagli affetti), sapendo che non sta in essi quel di cui l’uomo ha bisogno per essere lieto. San Paolo lo dice benissimo: «quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero [...]; quelli che comprano come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo!» (1 Cor 7, 29.31).

Dunque la povertà cristiana non è non avere soldi, ma è l’essere liberi da essi, usarli (e usare tutto quel che si ha) come se non li si possedesse, con un distacco intelligente. La povertà cristiana è l’uso corretto e cristiano dei soldi, così come, ad esempio, fanno i missionari nel mondo: non danno il loro piccolo stipendio ai poveri che incontrano, ma usano questo denaro per investire, ad esempio, in centri di formazione per insegnare loro un mestiere (detto più banalmente: non si regala il pesce, ma si insegna a pescare).

Il Papa ha richiamato la Chiesa ad un distacco morale da quel che ha (la povertà di spirito), certamente anche ad una vita basata sull’essenziale, ma non ha chiesto che la Chiesa diventi materialmente povera e dunque incapace di aiutare il prossimo in difficoltà. Anche il paragone con San Francesco d’Assisi che molti fanno è sbagliato: il suo carisma vale per i francescani (è un esempio, per tutti, di assoluta libertà dal mondo, perfino dalla morte, che chiamava “sorella”), ma non può valere per la Chiesa intera che mantiene e aiuta ogni giorno milioni di individui in difficoltà in tutto il mondo.

Non lasciamoci abbindolare, chi spinge per una Chiesa materialmente povera (cioè non in senso cristiano) vuole una Chiesa inesistente, costretta a chiudere le sue missioni, a lasciare decadere le sue chiese, le sue scuole e i suoi oratori, incapace economicamente di realizzare iniziative culturali e spirituali, ecc. E’ la Chiesa che desidererebbe il laicismo, ovvero completamente assente nella scena pubblica e sociale. Invece, anche il denaro -se usato bene, in modo onesto e morigerato-, può contribuire alla missione della Chiesa di annunciare il Vangelo e sostenere la speranza di più persone possibili.

Occorre infine fare attenzione ad un altro equivoco, che la nostra riflessione può portare: la Chiesa non è un’ente di beneficenza, la Chiesa -ricca o povera che sia- annuncia e testimonia che la Risposta al bisogno dell’uomo è entrata nella storia, si è fatta carne ed è possibile incontrarLa per tutti, qui e ora. Come ricorda ancora papa Francesco: «se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa».

Coordin.
00domenica 24 marzo 2013 08:04

Lo storico abbraccio tra Francesco e Benedetto:
"Siamo fratell
i"




Le immagini dello “storico incontro” tra Papa Francesco e Benedetto XVI, avvenuto questa mattina a Castel Gandolfo, poco dopo le 12, hanno subito fatto il giro del mondo. Il nuovo Pontefice e il Papa emerito hanno pregato insieme in un clima di profonda sintonia umana e spirituale, quindi hanno condiviso il pranzo. Poco dopo le 14.40, l’elicottero bianco si è levato di nuovo in volo per riportare Papa Francesco in Vaticano. La cronaca dell’evento nel servizio di Alessandro De Carolis:

Francesco abbraccia Benedetto e la storia della Chiesa si arricchisce di un’immagine di cui da oggi e per sempre si serberà incancellabile il ricordo. A dare forma visibile a ciò che fino a 40 giorni fa nessuno, credente o laico, avrebbe nemmeno mai osato immaginare, è un minuto di sequenze televisive, girate dal Centro Televisivo Vaticano, scritte con l’inchiostro immateriale della tv, ma poderose ed emozionanti come nemmeno la regia più ispirata avrebbe saputo escogitare. A togliere per primo il fiato, poco dopo le 12.15, è quell’abbraccio intenso – “bellissimo” lo definirà padre Federico Lombardi che ne è uno dei pochi, privilegiati testimoni – che non sarebbe diverso da quello tra due amici di vecchia data se non fosse per la forte impressione che provoca l’assistervi, la prossimità di quei due abiti così simili nella foggia – di diverso solo una fascia e una mantelletta in più sulla talare del nuovo Papa – ma assolutamente uguali nel tono di bianco e nel significato universale di quel colore. 

Francesco che abbraccia Benedetto è l’immagine del millennio. Ma già i contorni di quell’immagine – un esterno, giorno, sul comune sfondo di un elicottero – indicano che la grandezza di quella meraviglia avrà di gigantesco non tanto l’enfasi costruita dell’Evento, ma l’umanità di tratto e di tatto dei suoi due protagonisti. I quali salgono in auto – il primo a destra, il secondo a sinistra – e allo sfondo dell’eliporto di Castel Gandolfo si sostituiscono le mura della cappella del Palazzo apostolico. Qui, la seconda scena del millennio scioglie nella commozione il nodo allo stomaco provocato dall’impatto di poco prima. Papa Francesco entra per primo, Benedetto XVI lo segue, poggiato al bastone. Invece di dirigersi all’inginocchiatoio d’onore, posto davanti e al centro, Papa Francesco fa per dirigersi al banco posteriore. Quando Benedetto XVI vede il gesto, accelera il passo e tende il braccio per trattenere Papa Francesco, per indicargli che il suo posto non è quello, ma invece si vede trattenuto a sua volta dal suo successore, che lo invita a stare accanto a sé, al banco degli umili, a pregare insieme, vicini. “Siamo fratelli”, gli dice semplicemente, è questa a buon diritto è l’affermazione del millennio. E forse, più ancora del primo abbraccio tra due Papi, è questa inquadratura, che ritrae due grandi uomini umili in ginocchio assieme davanti a Dio, a rendere plastica in modo nuovo la forza di fede di cui dispone la Chiesa contemporanea. “Un momento di altissima e profondissima comunione”, lo definirà padre Lombardi.

Il terzo momento – i circa 45 minuti di colloquio privato nella Biblioteca, iniziato alle 12.30 – è nascosto all’occhio delle telecamere, come il quarto, il pranzo condiviso assieme. Non lo è invece lo scambio dei doni. Francesco dona a Benedetto l’icona della “Madonna dell’umiltà” perché, spiega, quell’appellativo gli ha fatto pensare a lui. E a quella spiegazione Benedetto XVI gli serra di scatto le mani, e il nodo alla gola stavolta è anche il suo, oltre che di chi guarda. I sentimenti provocati da quest’ultima sequenza toccano nel profondo. Nessuno li vedrà abbracciarsi ancora alla partenza, ma il mondo ha visto Francesco abbracciare Benedetto, e assistito quasi a un passaggio di testimone: dal grande Papa pilastro della fede, ma più ancora maestro di una infinita mitezza, al Papa che è già pilastro della carità e che il prossimo Giovedì Santo laverà i piedi di ragazzini ai quali la vita ha già spezzato le ali. Fede e carità: la speranza, non solo per la Chiesa, è nell’aver visto quale forza abbia la loro unità.


Testo proveniente dalla pagina 
del sito Radio Vaticana
Credente
00domenica 24 marzo 2013 18:19

Papa Francesco sfida il riduzionismo della cultura secolare

Papa francesco 

di Aldo Vitale*
*ricercatore in filosofia e storia del diritto

 

«Il Signore disse a Caino:“ Dov’è Abele, tuo fratello?”. Egli rispose:“ Non lo so. Sono forse il custode di mio fratello?». Così recita uno dei primi passi della Genesi ( 4,9 ). Impossibile non rinvenire il collegamento concettuale e teologico con le parole di Papa Francesco nella sua Omelia dello scorso 19 marzo 2013, allorquando il neo-eletto Pontefice ha fermamente ribadito l’imperativo etico in base al quale ciascuno è e deve essere custode dell’altro, del proprio prossimo specificando inoltre che «la vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti».

Papa Francesco, quindi, ha lanciato una sfida al mondo secolare il quale, sempre più atrofizzato nella sua visione soggettivistica e nella sua concezione relativistica della natura umana, inciampa su un duplice errore. Per un verso, infatti, si tende ad esaltare il valore della tutela dell’ambiente e della natura, equiparando addirittura l’uomo alle altre creature, senza cogliere e problematizzare le differenze esistenti, mentre, all’un tempo, per altro verso si ritiene che ad una accresciuta tutela dei diritti degli animali (sottraendo gli stessi agli esperimenti da laboratorio, alle manipolazioni genetiche, alla vivisezione e ad altre pratiche artificiose ) non corrisponda una simile salvaguardia da estendere in favore dell’uomo, il cui embrione, per esempio tra i tanti, può essere creato, modificato, manipolato, selezionato, distrutto a seconda delle esigenze o dei desideri del momento.

La provocazione di Papa Francesco si oppone, quindi, alla “vocazione riduzionistica”della cultura secolare contemporanea, ritematizzando in senso più ampio e luminoso il problema dell’ecologia che, a questo punto, può essere interpretata come vera e propriabioetica globale, anzi, riproponendo il problema del creato e della custodia reciproca come dimensione etica universale, Papa Francesco, in modo più che razionale, ha indicato la via per intendere la bioetica come vera e propria forma di ecologia umana. Nell’ambito bioetico, il tema del custodire è quanto mai fertile e foriero di suggestioni. Vi è il custodire della madre rispetto al proprio feto; il custodire del medico rispetto alla vita dei propri pazienti; il custodire dei parenti rispetto alla dignità di chi versa in stati patologici cronici o terminali; il custodire dello scienziato rispetto alla indisponibilità della vita nelle sue molteplici caratterizzazioni e fasi di sviluppo; il custodire dei legislatori rispetto all’integrità sociale fondata sulla famiglia quale società naturale incardinata sull’unione tra uomo e donna; il custodire della sanità pubblica rispetto al diritto alle prestazioni mediche delle fasce meno abbienti; il custodire del bioeticista rispetto al senso del dolore e della sofferenza; il custodire del giurista rispetto a ciò che è giusto o ingiusto, oltrepassando, se necessario, il mero dato della legislazione positiva.

Il grande scienziato Jerome Lejeune amava raccontare il suo stupore allorquando venne a scoprire, durante una sua conferenza, che l’espressione da lui stesso utilizzata per anni di “tempio segreto” per identificare la gravidanza, coincideva con l’analoga espressione, tipica della cultura giapponese, shi-kyu, cioè “palazzo del bambino”; in entrambi i casi emerge vigorosamente il tema della custodia. In un tempio, infatti, si trova ciò che è sacro, così come nel tempio della vita, cioè la gravidanza, pur nella sua sacrale misteriosità, anzi, proprio per la sua segretezza, si custodisce il feto; al feto si dedica addirittura un “intero palazzo”, cioè la gravidanza, affinché possa essere cresciuto, accudito, per l’appunto custodito. Nella gravidanza, si potrebbe ritenere, l’umanità custodisce se stessa, non già in termini banalmente riconducibili alla successione biologica, circostanza di per sé evidente, ma nel senso ontologico ed etico, per cui in essa l’umanità custodisce il senso di se stessa in quanto consacra la custodia dell’altro, di quell’altro che è più debole, di quell’altro che è più indifeso.

La sfida di Papa Bergoglio alla modernità, quindi, si muove esattamente in questa direzione, cioè nell’avere il coraggio di fuoriuscire da un’etica utilitaristica ed individualistica, per recuperare, tramite la custodia dell’altro, l’etica della naturale relazionalità. Come ha evidenziato Ryszard Kapuscinski«l’uomo della società di massa è caratterizzato dall’anonimità, dalla mancanza di legami sociali, dall’indifferenza verso l’altro e, a causa del suo sdradicamento culturale, dall’impotenza e dalla vulnerabilità al male, con tutte le sue tragiche conseguenze, di cui la più disumana sarà l’Olocausto». Papa Bergoglio, del resto, si inserisce lungo la via del magistero morale tracciata in questo senso dai suoi predecessori. Giovanni Paolo II, infatti, nel 1995, parlando all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, non evitò di ribadire che «non viviamo in un mondo irrazionale o privo di senso, vi è una logica morale che illumina l’esistenza umana e rende possibile il dialogo tra gli uomini e tra i popoli»Benedetto XVI, infine, ha più volte approfondito il problema, ricordando per l’appunto che l’interruzione volontaria di gravidanza e la sperimentazione sugli embrioni rappresentano una negazione dell’atteggiamento di accoglienza verso l’altro, cioè, in sostanza, una diretta negazione dell’altro: «Scrive Giovanni Paolo II nella Lettera enciclica Centesimus annus: “Non solo la terra è stata data da Dio all’uomo, che deve usarla rispettando l’intenzione originaria di bene, secondo la quale gli è stata donata; ma l’uomo è stato donato a se stesso da Dio e deve, perciò, rispettare la struttura naturale e morale, di cui è stato dotato ”. E’ rispondendo a questa consegna, a lui affidata dal Creatore, che l’uomo, insieme ai suoi simili, può dar vita a un mondo di pace. Accanto all’ecologia della natura c’è dunque un’ecologia che potremmo dire “umana”, la quale a sua volta richiede un’“ecologia sociale”».

Papa Francesco, insomma, già dall’inizio del suo pontificato non solo si dimostra attento continuatore del magistero morale dei suoi predecessori, ma lascia intendere che il suo Pontificato rappresenterà un baluardo in difesa dei diritti indisponibili, all’insegna non già di un naturismo ideologico o di un ambientalismo cieco e aprioristico, ma proponendo una ecologia che abbia al suo centro un umanesimo integrale, razionale, relazionale. In un’epoca in cui impera una cultura tanatocratica, tramite l’invito al mondo secolare ad attivarsi in favore delle ragioni della natura, il nuovo Pontefice esorta tutti e ciascuno adabbandonare gli schemi irrazionali ed irragionevoli dell’ideologia per abbracciare, invece, gli assiomi razionali di una ecologia umana, cioè fondata sulla verità ontologica dell’uomo. Per questo, in conclusione, possono utilizzarsi le stesse parole di Papa Francesco che ha ricordato come tutti «siamo custodi della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo».

Coordin.
00lunedì 25 marzo 2013 10:20

INCONTRO DI CASTEL GANDOLFO: QUELLO CHE I MEDIA NON VEDONO

Posted: 24 Mar 2013 02:01 AM PDT

Non è cosa di tutti i giorni vedere due papi conversare, pregare e pranzare fraternamente assieme. Anzi, è decisamente un evento unico, anche se solo uno dei due è il pontefice in carica (l’altro lo è stato ed ora è emerito).

Ma soprattutto non è consueto vedere un’unità così profonda ed è quasi impossibile trovare due uomini che – chiamati a un altissimo ministero – hanno vissuto e vivono questa responsabilità concependosi davvero come “servi” e mettendo se stessi totalmente in secondo piano rispetto a Colui che amano, a cui la Chiesa appartiene (“la Chiesa non è nostra, ma è di Cristo”: è una delle ultime frasi che ci ha lasciato papa Benedetto spiegando la sua rinuncia).

Tuttavia è prevedibile che l’avvenimento di Castel Gandolfo fra Benedetto XVI e papa Francesco rinfocolerà le chiacchiere dei media e lo strologamento su presunti dossier segreti – non è il caso di dire “papelli” – che sarebbero stati consegnati dall’uno all’altro (anche se c’è una smentita ufficiale).

Sui media ben pochi coglieranno la dimensione spirituale di due uomini di Dio che vivono questa particolarissima vicenda. E preferiranno tuffarsi piuttosto sul contorno: le questioni curiali, il rapporto della commissione di tre cardinali sui retroscena di Vatileaks, la coabitazione in Vaticano, le nomine….

I media sono così. Cristiani assolutamente no. Ma clericali sì (e tanto). Sono ostili (di solito) al cattolicesimo e alla Chiesa, ma vanno matti per la Curia e per le chiacchiere di e sulla Curia.

Lo ha dimostrato in queste settimane l’oceanica quantità di articoli e pagine e trasmissioni dedicate alle dimissioni di Benedetto XVI, all’elezione del suo successore e a tutti i presunti retroscena e a ogni immaginabile insinuazione o pettegolezzo o banalità spacciata per scoop.

Tutto questo fiume d’inchiostro non significa attenzione alla Chiesa. Infatti i media sono pressoché indifferenti a ciò che i papi insegnano e vivono, ai contenuti spirituali veri, e soprattutto a quello straordinario mondo sommerso, fuori dai riflettori, che sono le comunità cristiane, dove quell’insegnamento è accolto, dove si sperimenta la fede e l’amicizia di Gesù Cristo spesso in una quotidiana dimensione di santità.

Sono le curie che interessano ai media, non i cristiani (e neanche i santi). Come diceva Charles Péguy le “curie clericali” e le “curie anticlericali” si trovano sempre accomunati dal loro orizzonte, che infine è un orizzonte politico e di potere.

Paradossalmente fra coloro che si possono definire “non clericali” ci sono proprio Joseph Ratzinger e Jorge M. Bergoglio.

Tutta la loro vita dimostra un profondo e assoluto disinteresse per le curie, per il potere, per i ruoli. E il loro desiderio di “servire” la salvezza e la felicità di tutti gli uomini.

Nelle luminose catechesi e omelie di Benedetto XVI c’è – espresso meravigliosamente – il “segreto” di questi due uomini di Dio.

Ricordo due flash degli ultimi mesi: “non porre l’io al posto di Dio” (è esattamente quello che ripete papa Bergoglio quando denuncia la “mondanità” dentro la Chiesa e l’autoreferenzialtà).

E poi il discorso di Benedetto XVI per la festa dell’Immacolata, nel dicembre scorso. Rileggere oggi quelle sue parole è sorprendente, perché sembrano la più perfetta interpretazione di tutti i gesti che in questi giorni ha compiuto papa Francesco commuovendo il mondo.

Papa Benedetto – pensando a Maria, la più umile e la più alta delle creature – pose al centro dell’attenzione proprio i poveri di Dio, tutti coloro che sono nella prova o ai margini della società o si sentono inascoltati e irrilevanti nella storia perché non stanno sotto i riflettori dei media.

Il Santo Padre sottolineò che quel momento decisivo per il destino dell’umanità, il momento in cui Dio si fece uomo, è avvolto da un grande silenzio. L’incontro tra il messaggero divino e la Vergine Immacolata passa del tutto inosservato: nessuno sa, nessuno ne parla. E’ un avvenimento che, se accadesse ai nostri tempi, non lascerebbe traccia nei giornali e nelle riviste, perché è un mistero che accade nel silenzio. Ciò che è veramente grande passa spesso inosservato”.

Poi aggiunse:

la salvezza del mondo non è opera dell’uomo – della scienza, della tecnica, dell’ideologia – ma viene dalla Grazia… Maria è chiamata la ‘piena di grazia’ (Lc 1,28) e con questa sua identità ci ricorda il primato di Dio nella nostra vita e nella storia del mondo, ci ricorda che la potenza d’amore di Dio è più forte del male”.

Papa Benedetto aggiunse un’altra perla, che coincide con l’Angelus di papa Francesco su Dio che perdona tutto e perdona sempre:

“Maria ci dice che, per quanto l’uomo possa cadere in basso, non è mai troppo in basso per Dio, il quale è disceso fino agli inferi… per quanto il nostro cuore sia sviato”, aggiunse Ratzinger, “Dio è sempre più grande del nostro cuore (1 Gv 3,20). Il soffio mite della Grazia può disperdere le nubi più nere, può rendere la vita bella e ricca di significato anche nelle situazioni più disumane”.

Il giorno dopo – era una domenica – all’Angelus papa Benedetto tornò a parlare del “vero grande avvenimento, la nascita di Cristo, che i contemporanei non noteranno neppure”. E disse: “Per Dio i grandi della storia fanno da cornice ai piccoli!”.  

Sembra quasi che papa Francesco voglia mostrare ogni giorno quanto è vero quello che papa Benedetto ha annunciato all’umanità.

Del resto papa Francesco, parlando ai diplomatici, pochi giorni fa, ha richiamato esplicitamente la condanna della “dittatura del relativismo” fatta dal predecessore (ed è significativo che molte cronache dei giornali non lo abbiano sottolineato).

Appare dunque evidente l’unità profonda di questi due uomini. Peraltro anche le esortazioni di papa Francesco trovano un esempio meraviglioso nella vita di Benedetto.

La stessa sua rinuncia al pontificato mostra un distacco veramente francescano dalla cose terrene, è l’esempio di umiltà che si può indicare e seguire se si ascolta l’invito di papa Francesco a fuggire la “mondanità spirituale”.

Infatti entrambi questi uomini di Dio hanno individuato nella figura del santo di Assisi la via per la Chiesa di un futuro luminoso. Ratzinger in un libro di molti anni fa scrisse:

“Nella Chiesa del tempo ultimo si imporrà il modo di vivere di san Francesco che, in qualità di ‘simplex’ e ‘illitteratus’, sapeva di Dio più cose di tutti i dotti del suo tempo poiché egli lo amava di più”.

Ed ecco infatti il pontificato di papa Francesco.

Due uomini con storie e temperamenti diversi quanto un pianoforte è diverso da un violino, ma suonano proprio la stessa bellissima opera e l’una voce insieme all’altra creano un’armonia perfetta, che incanta.

Come l’icona della “Madonna dell’umiltà” che il papa ha donato a Ratzinger e che abbraccia insieme questi due figli, prediletti testimoni di Cristo e suoi Vicari nel nostro tempo.

 

Antonio Socci

Coordin.
00sabato 20 aprile 2013 16:18

Papa Francesco: accogliere la Parola di Dio con cuore umile, la Chiesa sia liberata da moralismi e ideologie



La Parola di Dio va accolta con umiltà perché è parola d’amore, solo così entra nel cuore e cambia la vita: è quanto, in sintesi, ha detto il Papa durante la Messa presieduta ieri nella Cappellina di Casa Santa Marta. Erano presenti alcuni dipendenti della Tipografia Vaticana e dell’Osservatore Romano. Il servizio di Sergio Centofanti:RealAudioMP3 

La conversione di San Paolo e il discorso di Gesù nella Sinagoga di Cafarnao sono le letture bibliche del giorno al centro dell’omelia del Papa, tutta incentrata su Gesù che parla: parla a Saulo che lo perseguita, parla ad Ananìa, chiamato ad accogliere Saulo, e parla anche ai dottori della legge, dicendo che chi non mangia la sua carne e non beve il suo sangue non sarà salvato. La voce di Gesù – ha affermato il Papa – “passa per la nostra mente e va al cuore. Perché Gesù cerca la nostra conversione”. Paolo e Ananìa rispondono con perplessità, ma col cuore aperto. I dottori della legge rispondono in altra maniera, discutendo tra loro e contestando duramente le parole di Gesù: 

“Paolo e Ananìa rispondono come i grandi della storia della salvezza, come Geremia, Isaia. Anche Mosé ha avuto le sue difficoltà: ‘Ma, Signore, io non so parlare, come andrò dagli egiziani a dire questo?’. E Maria: ‘Ma, Signore, io non sono sposata!’. E’ la risposta dell’umiltà, di colui che accoglie la Parola di Dio con il cuore. Invece, i dottori rispondono soltanto con la testa. Non sanno che la Parola di Dio va al cuore, non sanno di conversione”. 

Il Papa spiega chi sono quelli che rispondono solo con la testa:

“Sono i grandi ideologi. La Parola di Gesù va al cuore perché è Parola d’amore, è parola bella e porta l’amore, ci fa amare. Questi tagliano la strada dell’amore: gli ideologi. E anche quella della bellezza. E si misero a discutere aspramente tra loro: ‘Come può costui darci la sua carne da mangiare?’. Tutto un problema di intelletto! E quando entra l’ideologia, nella Chiesa, quando entra l’ideologia nell’intelligenza del Vangelo, non si capisce nulla”. 

Sono quelli che camminano solo “sulla strada del dovere”: è il moralismo di quanti pretendono realizzare del Vangelo solo quello che capiscono con la testa. Non sono “sulla strada della conversione, quella conversione a cui ci invita Gesù”:

“E questi, sulla strada del dovere, caricano tutto sulle spalle dei fedeli. Gli ideologi falsificano il Vangelo. Ogni interpretazione ideologica, da qualsiasi parte venga – da una parte e dall’altra – è una falsificazione del Vangelo. E questi ideologi – l’abbiamo visto nella storia della Chiesa – finiscono per essere, diventano, intellettuali senza talento, eticisti senza bontà. E di bellezza non parliamo, perché non capiscono nulla”. 

“Invece, la strada dell’amore, la strada del Vangelo – ricorda il Papa - è semplice: è quella strada che hanno capito i Santi”: 

“I Santi sono quelli che portano la Chiesa avanti! La strada della conversione, la strada dell’umiltà, dell’amore, del cuore, la strada della bellezza … Preghiamo oggi il Signore per la Chiesa: che il Signore la liberi da qualsiasi interpretazione ideologica e apra il cuore della Chiesa, della nostra Madre Chiesa, al Vangelo semplice, a quel Vangelo puro che ci parla di amore, ci porta all’amore ed è tanto bello! E anche ci fa belli, a noi, con la bellezza della santità. Preghiamo oggi per la Chiesa!”.



Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/Articolo.asp?c=684369 
del sito Radio Vaticana
Credente
00domenica 21 aprile 2013 22:08

«Bisogna mettere in gioco la giovinezza per grandi ideali».

"La giovinezza bisogna metterla in gioco per grandi ideali". E’ questo il messaggio che Papa Francesco ha affidato oggi alla folla di piazza San Pietro in occasione della Giornata delle vocazioni. "A volte - ha osservato prima della preghiera del Regina Caeli - Gesù ci chiama, ci invita a seguirlo, ma forse succede che non ci rendiamo conto che è Lui". Guardando la folla di circa 100 mila fedeli che lo ascoltava, il Pontefice ha poi continuato: "Ci sono molti giovani oggi, qui in Piazza. Vorrei chiedervi: qualche volta avete sentito la voce del Signore che attraverso un desiderio, un’inquietudine, vi invitava a seguirlo piu’ da vicino? Avete avuto voglia di essere apostoli di Gesu’?".

Papa Francesco si è quindi rivolto personalmente a ciascuno dei ragazzi presenti: "Domanda a Gesù - ha chiesto - che cosa vuole da te e sii coraggioso!". In proposito il nuovo Pontefice ha ricordato che "Gesù vuole stabilire con i suoi amici una relazione che sia il riflesso di quella che Lui stesso ha con il Padre: una relazione di reciproca appartenenza nella fiducia piena, nell’intima comunione". Ed ha citato la parabola del buon pastore. "Per esprimere questa intesa profonda, questo rapporto di amicizia Gesu’ - ha spiegato Bergoglio - usa l’immagine del pastore con le sue pecore: lui le chiama ed esse riconoscono la sua voce, rispondono al suo richiamo e lo seguono.  È bellissima - ha concluso - questa parabola!".

Continua lo straordinario feeling tra Papa Francesco e la folla di piazza San Pietro, gremita oggi da 100 mila fedeli. E ai ragazzi che scandivano "Francesco, Francesco!", ha detto: "vi ringrazio per il saluto, ma gridate anche "Gesu’, Gesu’!". E la piazza ha subito obbedito.

Dopo la benedizione, un appello per il Venezuela: ’Seguo con attenzione gli avvenimenti che stanno succedendo in Venezuela’, ha detto il Pontefice. ’Li accompagno con viva preoccupazione, con intensa preghiera e con la speranza che si cerchino e si trovino vie giuste e pacifiche per superare il momento di grave difficolta’ che il Paese sta attraversando’, ha proseguito. ’Invito il caro popolo venezuelano, in modo particolare i responsabili istituzionali e politici, a rigettare con fermezza qualsiasi tipo di violenza e a stabilire un dialogo basato sulla verita’, nel mutuo riconoscimento, nella ricerca del bene comune e nell’amore per la Nazione’, ha detto ancora papa Francesco. Chiedo ai credenti di pregare e di lavorare per la riconciliazione e la pace - ha concluso -. Uniamoci in una preghiera piena di speranza per il Venezuela, mettendola nelle mani di Nostra Signora di Coromoto’.

Subito dopo ha rivolto un pensiero ’a quanti sono stati colpiti dal terremoto che ha interessato un’area del sud-ovest della Cina Continentale’. ’Preghiamo per le vittime e per quanti sono nella sofferenza a causa del violento sisma’, ha aggiunto il Pontefice. 

Al termine dell’Angelus, papa Francesco ha ricordato che ’oggi pomeriggio, a Sondrio, verrà proclamato Beato Don Nicolo’ Rusca, sacerdote valtellinese vissuto tra i secoli sedicesimo e diciassettesimo’. ’Fu a lungo parroco esemplare a Sondrio - ha detto - e venne ucciso nelle lotte politico-religiose che travagliarono l’Europa in quell’epoca. Lodiamo il Signore per la sua testimonianza’. ’
«Bisogna mettere in gioco la giovinezza per grandi ideali».

"La giovinezza bisogna metterla in gioco per grandi ideali". E’ questo il messaggio che Papa Francesco ha affidato oggi alla folla di piazza San Pietro in occasione della Giornata delle vocazioni. "A volte - ha osservato prima della preghiera del Regina Caeli - Gesù ci chiama, ci invita a seguirlo, ma forse succede che non ci rendiamo conto che è Lui". Guardando la folla di circa 100 mila fedeli che lo ascoltava, il Pontefice ha poi continuato: "Ci sono molti giovani oggi, qui in Piazza. Vorrei chiedervi: qualche volta avete sentito la voce del Signore che attraverso un desiderio, un’inquietudine, vi invitava a seguirlo piu’ da vicino? Avete avuto voglia di essere apostoli di Gesu’?".

Papa Francesco si è quindi rivolto personalmente a ciascuno dei ragazzi presenti: "Domanda a Gesù - ha chiesto - che cosa vuole da te e sii coraggioso!". In proposito il nuovo Pontefice ha ricordato che "Gesù vuole stabilire con i suoi amici una relazione che sia il riflesso di quella che Lui stesso ha con il Padre: una relazione di reciproca appartenenza nella fiducia piena, nell’intima comunione". Ed ha citato la parabola del buon pastore. "Per esprimere questa intesa profonda, questo rapporto di amicizia Gesu’ - ha spiegato Bergoglio - usa l’immagine del pastore con le sue pecore: lui le chiama ed esse riconoscono la sua voce, rispondono al suo richiamo e lo seguono. È bellissima - ha concluso - questa parabola!".

Continua lo straordinario feeling tra Papa Francesco e la folla di piazza San Pietro, gremita oggi da 100 mila fedeli. E ai ragazzi che scandivano "Francesco, Francesco!", ha detto: "vi ringrazio per il saluto, ma gridate anche "Gesu’, Gesu’!". E la piazza ha subito obbedito.

Dopo la benedizione, un appello per il Venezuela: ’Seguo con attenzione gli avvenimenti che stanno succedendo in Venezuela’, ha detto il Pontefice. ’Li accompagno con viva preoccupazione, con intensa preghiera e con la speranza che si cerchino e si trovino vie giuste e pacifiche per superare il momento di grave difficolta’ che il Paese sta attraversando’, ha proseguito. ’Invito il caro popolo venezuelano, in modo particolare i responsabili istituzionali e politici, a rigettare con fermezza qualsiasi tipo di violenza e a stabilire un dialogo basato sulla verita’, nel mutuo riconoscimento, nella ricerca del bene comune e nell’amore per la Nazione’, ha detto ancora papa Francesco. Chiedo ai credenti di pregare e di lavorare per la riconciliazione e la pace - ha concluso -. Uniamoci in una preghiera piena di speranza per il Venezuela, mettendola nelle mani di Nostra Signora di Coromoto’.

Subito dopo ha rivolto un pensiero ’a quanti sono stati colpiti dal terremoto che ha interessato un’area del sud-ovest della Cina Continentale’. ’Preghiamo per le vittime e per quanti sono nella sofferenza a causa del violento sisma’, ha aggiunto il Pontefice. 

Al termine dell’Angelus, papa Francesco ha ricordato che ’oggi pomeriggio, a Sondrio, verrà proclamato Beato Don Nicolo’ Rusca, sacerdote valtellinese vissuto tra i secoli sedicesimo e diciassettesimo’. ’Fu a lungo parroco esemplare a Sondrio - ha detto - e venne ucciso nelle lotte politico-religiose che travagliarono l’Europa in quell’epoca. Lodiamo il Signore per la sua testimonianza’. ’
Credente
00mercoledì 8 maggio 2013 14:20
Il Papa: «L'uomo è un viandante
lasciamoci guidare dallo Spirito»
 
 
L’uomo è “un viandante”, e il suo motore è lo Spirito Santo, che c’insegna ad essere “figli” e a vivere la vita con lo “sguardo” di Dio. Lo ha detto il Papa, che nella catechesi dell’udienza generale di oggi si è chiesto “chi è lo Spirito Santo”, definendolo anzitutto “la sorgente inesauribile della vita di Dio in noi”. “L’uomo di tutti i tempi e di tutti i luoghi desidera una vita piena e bella, giusta e buona, una vita che non sia minacciata dalla morte, ma che possa maturare e crescere fino alla sua pienezza”, ha esordito il Papa, secondo il quale “l’uomo è come un viandante che, attraversando i deserti della vita, ha sete di un’acqua viva, zampillante e fresca, capace di dissetare in profondità il suo desiderio profondo di luce, di amore, di bellezza e di pace”. “Tutti sentiamo questo desiderio”, ha esclamato Papa Francesco, e “Gesù ci dona quest’acqua viva: lo Spirito Santo, che procede dal Padre e che Gesù riversa nei nostri cuori”. Gesù è venuto a donarci quest’“acqua viva” che è lo Spirito Santo, ha proseguito il Papa, “perché la nostra vita sia guidata da Dio, sia animata da Dio, sia nutrita da Dio”. “Quando noi diciamo che il cristiano è un uomo spirituale intendiamo proprio questo: il cristiano è una persona che pensa e agisce secondo Dio, secondo lo Spirito Santo”. 

“E noi, pensiamo secondo Dio? Agiamo secondo Dio? O ci lasciamo guidare da tante altre cose che non sono Dio?”, si è chiesto il Papa: “Ciascuno di noi deve rispondere a questa domanda nel suo cuore”, ha risposto a braccio. “Noi sappiamo che l’acqua è essenziale per la vita: senz’acqua si muore”, l’acqua “disseta, lava, rende feconda la terra”, ha detto il Papa citando la Lettera ai Romani: “L’acqua viva, lo Spirito Santo, dono del Risorto che prende dimora in noi, ci purifica, ci illumina, ci rinnova, ci trasforma perché ci rende partecipi della vita stessa di Dio che è Amore”. Per questo, san Paolo afferma che “la vita del cristiano è animata dallo Spirito e dai suoi frutti, che sono amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”, ha ricordato il Papa, aggiungendo che “lo Spirito Santo ci introduce nella vita divina come figli, attesta che siamo figli di Dio”.

“Questo è il dono prezioso che lo Spirito Santo porta nei nostri cuori”, ha assicurato il Santo Padre: la vita stessa di Dio, vita di veri figli, un rapporto di confidenza, di libertà e di fiducia nell’amore e nella misericordia di Dio, che ha come effetto anche uno sguardo nuovo verso gli altri, vicini e lontani, visti sempre come fratelli e sorelle in Gesù da rispettare e da amare”. “Lo Spirito Santo ci insegna a guardare con gli occhi di Cristo, a vivere la vita come l’ha vissuta Cristo, a comprendere la vita come l’ha compresa Cristo”, ha detto il Papa spiegando “perché l’acqua viva che è lo Spirito Santo disseta la nostra vita”. “E noi, ascoltiamo lo Spirito Santo che ci dice: Dio ti ama, ti vuole bene. Amiamo veramente Dio e gli altri, come Gesù?”, si è chiesto di nuovo il Papa, che ha concluso: “Lasciamoci guidare dallo Spirito Santo”. Anche oggi l’udienza, che si è svolta in piazza San Pietro davanti a oltre 70mila persone, è stata preceduta da un lungo giro della jeep bianca. Il Papa, per la prima volta, è sceso dalla jeep per salutare e abbracciare anche prima dell’udienza - come in genere fa al termine di essa - i disabili e i malati accompagnati dai familiari e dai volontari.
 
Credente
00giovedì 16 maggio 2013 23:04
Il Papa: l’etica dà fastidio a chi adora il denaro, non condividere i beni con i poveri è derubarli


I pochi ricchi diventano sempre più ricchi mentre la maggioranza si indebolisce: è la denuncia di Papa Francesco nel discorso agli ambasciatori non residenti presso la Santa Sede, di Kyrgyzstan, Antigua e Barbuda, il Gran Ducato di Lussemburgo e il Botswana, incontrati stamane. Papa Francesco denuncia quelle che definisce “le deformità dell’economia e della finanza”. Parla di crisi antropologica all’origine della crisi, di solidarietà e etica dimenticate. Il servizio di Fausta Speranza: 

L’uomo ridotto a una sola esigenza: il consumo. E’ una delle “deformità” della società attuale denunciate da Papa Francesco:

“L’essere umano è considerato egli stesso come un bene di consumo che si può usare e poi gettare. Abbiamo incominciato una cultura dello scarto”. 

Ricorda che il reddito di una minoranza cresce in maniera esponenziale, quello della maggioranza si indebolisce. E denuncia chiaramente: le “ideologie che promuovono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria”. Denuncia “la corruzione tentacolare”, “l’evasione fiscale egoista”. Denuncia “l’indebitamento e il credito che – afferma – allontanano i Paesi dalla loro economia reale e i cittadini dal loro potere d’acquisto reale”. Papa Francesco parla di “volontà di potenza e di possesso diventata senza limiti". 

“E’ l’adorazione dell’antico vitello d’oro che ha trovato una nuova e spietata immagine nel feticismo del denaro e nella dittatura dell’economia senza volto, né scopo realmente umano”. 

E’ “la negazione del primato dell’uomo”, avverte. “Il denaro deve servire e non governare”, ammonisce. Chiede “un coraggioso cambiamento dei dirigenti politici”, ricordando che mancano la solidarietà e la prospettiva del bene comune:

“Dietro questo atteggiamento si nasconde il rifiuto dell’etica, il rifiuto di Dio. Proprio come la solidarietà, l’etica dà fastidio! È considerata controproducente; come troppo umana, perché relativizza il denaro e il potere; come una minaccia, perché rifiuta la manipolazione e la sottomissione della persona”. 

E questo perché – spiega Papa Francesco – manca l’etica: 

“Perché l’etica conduce a Dio, il quale si pone al di fuori delle categorie del mercato. Dio è considerato da questi finanzieri, economisti e politici, come non gestibile - Dio non gestibile! - addirittura pericoloso perché chiama l’uomo alla sua piena realizzazione e all’indipendenza da ogni genere di schiavitù”.

E Papa Francesco vuole sottolineare: “Il Papa ama tutti, ricchi e poveri; ma il Papa ha il dovere, in nome di Cristo, di ricordare al ricco che deve aiutare il povero, rispettarlo, promuoverlo”. La Chiesa – ribadisce – “lavora sempre per lo sviluppo integrale di ogni persona". E aggiunge: 

“L’etica – un’etica non ideologica naturalmente – permette, a mio parere, di creare un equilibrio e un ordine sociale più umani. In questo senso, incoraggio gli esperti di finanza e i governanti dei vostri Paesi a considerare le parole di san Giovanni Crisostomo: Non condividere con i poveri i propri beni è derubarli e togliere loro la vita. Non sono i nostri beni che noi possediamo, ma i loro”. 

Dunque ancora un incoraggiamento concreto:

“La Chiesa incoraggia i governanti ad essere veramente al servizio del bene comune delle loro popolazioni. Esorta i dirigenti delle realtà finanziarie a prendere in considerazione l’etica e la solidarietà. E perché non potrebbero rivolgersi a Dio per ispirare i propri disegni?”

L’obiettivo - chiarisce - è “una nuova mentalità politica ed economica che contribuirà a trasformare la dicotomia assoluta tra la sfera economica e quella sociale in una sana convivenza”. 


Radio Vaticana
Credente
00giovedì 16 maggio 2013 23:07
PAPA FRANCESCO udienza 15 maggio - ». Vorrei fare una domanda a tutti: quanti di voi pregano ogni giorno lo Spirito Santo? Saranno pochi, ma noi dobbiamo soddisfare questo desiderio di Gesù e pregare tutti i giorni lo Spirito Santo, perché ci apra il cuore verso Gesù.
Pensiamo a Maria che «serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» L’accoglienza delle parole e delle verità della fede perché diventino vita, si realizza e cresce sotto l’azione dello Spirito Santo. In questo senso occorre imparare da Maria, rivivere il suo “sì”, la sua disponibilità totale a ricevere il Figlio di Dio nella sua vita, che da quel momento è trasformata. Attraverso lo Spirito Santo, il Padre e il Figlio prendono dimora presso di noi: noi viviamo in Dio e di Dio. Ma la nostra vita è veramente animata da Dio? Quante cose metto prima di Dio?

Credente
00venerdì 17 maggio 2013 11:43
Il Papa: il denaro deve servire
non deve governare il mondo
 
 
Il vitello d’oro ha cambiato nome ma esiste ancora. Nel terzo millennio si «chiama feticismo del denaro» o «dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano». Anche la Torre di Babele ha avuto un’evoluzione simile. Racconta, infatti, un midrash ebraico che durante la sua costruzione il valore dei mattoni aveva superato di gran lunga quello degli uomini. Così oggi mentre in quelle moderne torri che sono i grattacieli a specchio della finanza si tengono «grandi riunioni internazionali», in molti Paesi del cosiddetto terzo mondo «si muore di fame». E in ogni caso il risultato è sempre lo stesso: la «negazione del primato dell’uomo».
Papa Francesco usa immagini bibliche per descrivere la situazione attuale. E soprattutto per chiedere «una riforma finanziaria che sia etica e che produca a sua volta una riforma economica salutare per tutti». Lo fa in due interventi, entrambi pronunciati ieri, che appaiono legati l’uno all’altro come le due facce di una stessa medaglia. Il primo (un vero e proprio discorso, che trovate qui) rivolto agli ambasciatori di Kyrgyzstan, Antigua e Barbuda, Lussemburgo e Botswana (Paesi ricchi e poveri, dunque. E questo ne amplifica, se possibile, l’efficacia). Il secondo (che è più un botta e risposta a braccio), durante l’incontro con il Comitato esecutivo di Caritas Internationalis, organismo al quale il Pontefice ha chiesto di essere sempre più (come l’intera Caritas a ogni livello) «la carezza della Chiesa al suo popolo».
Le parole di papa Francesco appaiono come una attualizzazione dell’enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate e di diversi altri atti di magistero, non ultima una nota pubblicata nel 2008 dal Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, e approvata dalla Segreteria di Stato, che chiedeva «un nuovo patto finanziario internazionale per affrontare la crisi». Richiesta che ora il Pontefice fa sua, fondandola – proprio come papa Ratzinger nella sua enciclica – su una precisa notazione. La crisi, ricorda Francesco, ha origine nel rifiuto di quell’etica che «dà fastidio», perché ricorda l’esatto ordine dei fattori. L’uomo al primo posto, soprattutto i poveri, poi tutto il resto, compreso il denaro. Per questo il Pontefice sottolinea: «Il denaro deve servire e non governare». E per questo, citando San Giovanni Crisostomo, afferma: «Non condividere con i poveri i propri beni è derubarli».
Il santo «dalla bocca d’oro» ritorna con un’altra citazione («onorare il corpo di Cristo che sono i poveri») anche nel dialogo con i membri della Caritas Internationalis, durante il quale il Papa, sviluppando il precedente intervento, spiega qual è la posta in gioco. «Oggi è in pericolo l’uomo, la persona umana». E riprendendo una suggestione appena accennata nel primo discorso afferma: «Si è instaurata la cultura dell’usa e getta; quello che non serve si getta nella spazzatura: i bambini, gli anziani (con questa eutanasia nascosta che si sta praticando) i più emarginati. Questa è la crisi che stiamo vivendo».
E di fronte a questa crisi la Chiesa continuerà a fare la sua parte. «Una Chiesa senza la Carità non esiste – sottolinea infatti il Papa –. E la Caritas è la carezza della Madre Chiesa ai suoi figli; la tenerezza, la vicinanza». Perciò «la spiritualità della Caritas è la spiritualità della tenerezza» che «noi abbiamo escluso dalla Chiesa». E che Francesco, nel ricordare che «la Chiesa è fondamentalmente madre», chiede proprio alla Caritas di aiutarla a «recuperare».
Credente
00mercoledì 22 maggio 2013 11:22
La crisi è il risultato del capitalismo selvaggio
 
Foto Osservatore Romano
La Casa Dono di Maria, al confine tra Vaticano e Italia, "voluta e inaugurata dal Beato Giovanni Paolo II" e affidata a madre Teresa di Calcutta è "una cosa fra i santi, fra beati ed è bello questo" ma soprattutto è "un forte richiamo a tutti noi, alla Chiesa, alla Città di Roma ad essere sempre più famiglia, 'casa' in cui si è aperti all'accoglienza, all'attenzione, alla fraternità". 

Lo ha detto papa Francesco oggi pomeriggio durante la visita alla Casa Dono di Maria, in Vaticano, per commemorare il 25* dell'affidamento della stessa Casa alla Beata Madre Teresa di Calcutta da parte del Beato Giovanni Paolo II.

"Quando diciamo 'casa' - ha aggiunto il Papa - intendiamo un luogo di accoglienza, una dimora, un ambiente umano dove stare bene, ritrovare se stessi, sentirsi inseriti in un territorio, in una comunità. Ancora più profondamente, 'casà è una parola dal sapore tipicamente familiare, che richiama il calore, l'affetto, l'amore che si possono sperimentare in una famiglia. La 'casa' allora rappresenta la ricchezza umana più preziosa, quella dell'incontro, quella delle relazioni tra le persone, diverse per età, per cultura e per storia, ma che vivono insieme e che insieme si aiutano a crescere".

Per questo, ha spiegato Francesco, "la 'casa' è un luogo decisivo nella vita, dove la vita cresce e si può
realizzare, perché è un luogo in cui ogni persona impara a ricevere amore e a donare amore. Questa è la 'casa'. E questo cerca di essere da 25 anni anche questa casa".

«Dobbiamo recuperare tutti il senso del dono, della gratuità, della solidarietà. Un capitalismo selvaggio ha insegnato la logica del profitto a ogni costo, del dare per ottenere, dello sfruttamento senza guardare alle persone e i risultati li vediamo nella crisi che stiamo vivendo», ha aggiunto il Papa.I.

Un'accoglienza festosa e particolare, secondo l'uso indiano, quella per papa Francesco, nel corso della sua visita: le suore di madre Teresa gli hanno posto al collo una ghirlanda di fiori, come è tradizione nel loro Paese. Lo ha riferito il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi. Papa Francesco ha salutato uno per uno le donne ospiti della Casa Dono di Maria e gli uomini che vi accedono per consumarvi i pasti. Si è conclusa con questo gesto la visita del Pontefice all'ostello voluto da Giovanni Paolo II, che esattamente 25 anni fa lo affidò a Madre Teresa di Calcutta. Il Papa è stato accolto dal cardinale Angelo Comastri, vicario per la Città del Vaticano, e dalla madre generale delle Suore della Carità, Suor Pierick Mary Prema.
Coordin.
00giovedì 23 maggio 2013 08:37
Il Papa:
chiacchiere distruttive nella Chiesa, disinformazione, diffamazione e calunnia sono peccato



Il cristiano deve vincere la tentazione di “mischiarsi nella vita degli altri”: è l’esortazione di Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha inoltre sottolineato che chiacchiere e invidie fanno tanto male alla comunità cristiana e che non si può “dire soltanto la metà che ci conviene”. Alla Messa, concelebrata con don Daniel Grech del Vicariato di Roma, hanno preso parte un gruppo di studenti della Lateranense, guidati dal rettore mons. Enrico Dal Covolo; Kiko Argüello, Carmen Hernández e Mario Pezzi del Cammino Neocatecumenale; Roberto Fontolan e Emilia Guarnieri di Comunione e Liberazione. Il servizio diAlessandro Gisotti: 


“A te che importa?” Papa Francesco ha svolto la sua omelia partendo da questa domanda rivolta da Gesù a Pietro che si era immischiato nella vita di un altro, nella vita del discepolo Giovanni, “quello che Gesù amava”. Pietro, ha sottolineato, aveva “un dialogo d’amore” con il Signore, ma poi il dialogo “è deviato su un altro binario” e soffre anche lui una tentazione: “Mischiarsi nella vita degli altri”. Come si dice “volgarmente”, ha osservato il Papa, Pietro fa il “ficcanaso”. E si è dunque soffermato su due modalità di questo mischiarsi nella vita altrui. Innanzitutto, “la comparazione”, il “compararsi con gli altri”. Quando c’è questa comparazione, ha detto, “finiamo nell’amarezza e anche nell’invidia, ma l’invidia arrugginisce la comunità cristiana”, le “fa tanto male”, il “diavolo vuole quello”. La seconda modalità di questa tentazione, ha soggiunto, sono le chiacchiere. Si comincia con “modalità tanto educate”, ma poi finiamo “spellando il prossimo”: 
“Quanto si chiacchiera nella Chiesa! Quanto chiacchieriamo noi cristiani! La chiacchiera è proprio spellarsi eh? Farsi male ll'uno l’altro. Come se volesse diminuire l’altro,no? Invece di crescere io, faccio che l’altro sia più basso e mi sento grande. Quello non va! Sembra bello chiacchierare… Non so perché, ma sembra bello. Come le caramelle di miele, no? Tu ne prendi uno - Ah, che bello! -e poi un altro, un altro, un altro e alla fine ti viene il mal di pancia. E perché? La chiacchiera è cosi: è dolce all’inizio e poi ti rovina, ti rovina l’anima! Le chiacchiere sono distruttive nella Chiesa, sono distruttive… E’ un po’ lo spirito di Caino: ammazzare il fratello, con la lingua; ammazzare il fratello!”

Su questa strada, ha detto, “diventiamo cristiani di buone maniere e cattive abitudini!”. Ma come si presenta la chiacchiera? Normalmente, ha osservato Papa Francesco, “facciamo tre cose”:

“Facciamo la disinformazione: dire soltanto la metà che ci conviene e non l’altra metà; l’altra metà non la diciamo perché non è conveniente per noi. Alcuni sorridono… ma è vero quello o no? Hai visto che cosa? E passa. Secondo è la diffamazione: quando una persona davvero ha un difetto, ne ha fatta una grossa, raccontarla, 'fare il giornalista'… E la fama di questa persona è rovinata! E la terza è la calunnia: dire cose che non sono vere. Quello è proprio ammazzare il fratello! Tutti e tre - disinformazione, diffamazione e calunnia - sono peccato! Questo è peccato! Questo è dare uno schiaffo a Gesù nella persona dei suoi figli, dei suoi fratelli”.

Ecco perché Gesù fa con noi come aveva fatto con Pietro quando lo riprende: “A te che importa? Tu segui me!” Il Signore davvero ci “segnala la strada”:

“‘Le chiacchiere non ti faranno bene, perché ti porteranno proprio a questo spirito di distruzione nella Chiesa. Segui me!’. E’ bella questa parola di Gesù, è tanto chiara, è tanto amorosa per noi. Come se dicesse: ‘Non fate fantasie, credendo che la salvezza è nella comparazione con gli altri o nelle chiacchiere. La salvezza è andare dietro di me’. Seguire Gesù! Chiediamo oggi al Signore Gesù che ci dia questa grazia di non immischiarci mai nella vita degli altri, di non diventare cristiani di buone maniere e cattive abitudini, di seguire Gesù, di andare dietro Gesù, sulla sua strada. E questo basta!”.

Durante l’omelia, Papa Francesco ha anche rammentato un episodio della vita di Santa Teresina che si chiedeva perché Gesù dava tanto a uno e poco a un altro. La sorella più grande, allora, prese un ditale e un bicchiere e li riempì di acqua e poi chiese a Teresina quali dei due fosse più pieno. “Ma tutti e due sono pieni”, rispose la futura Santa. Gesù, ha detto il Papa, fa “così con noi”, “non gli interessa se tu sei grande, sei piccolo”. Gli interessa “se tu sei pieno dell’amore di Gesù”. 

Radio Vaticana
Coordin.
00sabato 25 maggio 2013 10:45
Il coraggio di annunciare la novità di Cristo
22/05/2013 - Udienza generale di Papa Francesco (Piazza San Pietro, 22 maggio 2013)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno.
Nel Credo, subito dopo aver professato la fede nello Spirito Santo, diciamo: «Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica». C’è un profondo legame tra queste due realtà di fede: è lo Spirito Santo, infatti, che dà vita alla Chiesa, guida i suoi passi. Senza la presenza e l’azione incessante dello Spirito Santo, la Chiesa non potrebbe vivere e non potrebbe realizzare il compito che Gesù risorto le ha affidato di andare e fare discepoli tutti i popoli (cfr Mt 28,18). Evangelizzare è la missione della Chiesa, non solo di alcuni, ma la mia, la tua, la nostra missione. L’Apostolo Paolo esclamava: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1Cor 9,16). Ognuno deve essere evangelizzatore, soprattutto con la vita! Paolo VI sottolineava che «evangelizzare… è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 14).
Chi è il vero motore dell’evangelizzazione nella nostra vita e nella Chiesa? Paolo VI scriveva con chiarezza: «È lui, lo Spirito Santo che, oggi come agli inizi della Chiesa, opera in ogni evangelizzatore che si lasci possedere e condurre da Lui, che gli suggerisce le parole che da solo non saprebbe trovare, predisponendo nello stesso tempo l’animo di chi ascolta perché sia aperto ad accogliere la Buona Novella e il Regno annunziato» (ibid., 75). Per evangelizzare, allora, è necessario ancora una volta aprirsi all'orizzonte dello Spirito di Dio, senza avere timore di che cosa ci chieda e dove ci guidi. Affidiamoci a Lui! Lui ci renderà capaci di vivere e testimoniare la nostra fede, e illuminerà il cuore di chi incontriamo. Questa è stata l’esperienza di Pentecoste: agli Apostoli, riuniti con Maria nel Cenacolo, «apparvero lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi» (At 2,3-4). Lo Spirito Santo, scendendo sugli Apostoli, li fa uscire dalla stanza in cui erano chiusi per timore, li fa uscire da se stessi, e li trasforma in annunciatori e testimoni delle «grandi opere di Dio» (v. 11). E questa trasformazione operata dallo Spirito Santo si riflette sulla folla accorsa sul luogo e proveniente «da ogni nazione che è sotto il cielo» (v. 5), perché ciascuno ascolta le parole degli Apostoli come se fossero pronunciate nella propria lingua (v. 6).
Coordin.
00lunedì 27 maggio 2013 08:37
Il Papa: senza il sale di Gesù siamo insipidi, diventiamo cristiani da museo
 <br /> 
 <br />  I cristiani diffondano il sale della fede, della speranza e della carità: è questa l'esortazione di Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che l’originalità cristiana “non è una uniformità” e ha messo in guardia dal rischio di diventare insipidi, “cristiani da museo”. Alla Messa - concelebrata con i cardinali Angelo Sodano e Leonardo Sandri e con l’arcivescovo di La Paz, Edmundo Abastoflor Montero - hanno preso parte un gruppo di sacerdoti e collaboratori laici della Congregazione per le Chiese Orientali.
 <br /> 
 <br /> Che cos’è il sale nella vita di un cristiano, quale sale ci ha donato Gesù? Nella sua omelia, Papa Francesco si è soffermato sul sapore che i cristiani sono chiamati a dare alla propria vita e a quella degli altri. Il sale che ci dà il Signore, ha osservato, è il sale della fede, della speranza e della carità. Ma, ha avvertito, dobbiamo stare attenti che questo sale, che ci è dato dalla certezza che Gesù è morto e risorto per salvarci, “non divenga insipido, che non perda la sua forza”. Questo sale, ha proseguito, “non è per conservarlo, perché se il sale si conserva in una bottiglietta non fa niente, non serve”:
 <br /> 
 <br /> “Il sale ha senso quando si dà per insaporire le cose. Anche penso che il sale conservato nella bottiglietta, con l’umidità, perde forza e non serve. Il sale che noi abbiamo ricevuto è per darlo, è per insaporire, è per offrirlo. Al contrario diventa insipido e non serve. Dobbiamo chiedere al Signore di non diventare cristiani col sale insipido, col sale chiuso nella bottiglietta. Ma il sale ha anche un’altra particolarità: quando il sale si usa bene, non si sente il gusto del sale, il sapore del sale… Non si sente! Si sente il sapore di ogni pasto: il sale aiuta che il sapore di quel pasto sia più buono, sia più conservato ma più buono, più saporito. Questa è la originalità cristiana!”.
 <br /> 
 <br /> E ha aggiunto che “quando noi annunziamo la fede, con questo sale”, quelli che “ricevono l’annunzio, lo ricevono secondo la propria peculiarità, come per i pasti”. E così “ciascuno con la propria peculiarità riceve il sale e diventa più buono”:
 <br /> 
 <br /> “La originalità cristiana non è una uniformità! Prende ciascuno come è, con la sua personalità, con le sue caratteristiche, con la sua cultura e lo lascia con quello, perché è una ricchezza. Ma gli dà qualcosa di più: gli dà il sapore! Questa originalità cristiana è tanto bella, perché quando noi vogliamo fare una uniformità - tutti siano salati allo stesso modo - le cose saranno come quando la donna butta troppo sale e si sente soltanto il gusto del sale e non il gusto di quel pasto saporito con il sale. L’originalità cristiana è proprio questo: ciascuno è come è, con i doni che il Signore gli ha dato”.
 <br /> 
 <br /> Questo, ha proseguito il Papa, “è il sale che dobbiamo dare”. Un sale che “non è per conservarlo, è per darlo”. E questo, ha detto, “significa un po’ di trascendenza”: “uscire col messaggio, uscire con questa ricchezza che noi abbiamo del sale e darlo agli altri”. D’altro canto, ha sottolineato, ci sono due “uscite” affinché questo sale non si rovini. Primo: dare il sale “al servizio dei pasti, al servizio degli altri, al servizio delle persone”. Secondo: la “trascendenza verso l’autore del sale, il creatore”. Il sale, ha ribadito, “non si conserva soltanto dandolo nella predicazione” ma “ha bisogno anche dell’altra trascendenza, della preghiera, della adorazione”:
 <br /> 
 <br /> “E così il sale si conserva, non perde il suo sapore. Con l’adorazione del Signore io trascendo da me stesso al Signore e con l’annunzio evangelico io vado fuori da me stesso per dare il messaggio. Ma se noi non facciamo questo - queste due cose, queste due trascendenze per dare il sale - il sale rimarrà nella bottiglietta e noi diventeremo cristiani da museo. Possiamo far vedere il sale: questo è il mio sale. Ma che bello che è! Questo è il sale che ho ricevuto nel Battesimo, questo è quello che ho ricevuto nella Cresima, questo è quello che ho ricevuto nella catechesi… Ma guardate: cristiani da museo! Un sale senza sapore, un sale che non fa niente!”.
 <br /> Radio Vaticana
 senza il sale di Gesù siamo insipidi, diventiamo cristiani da museo

I cristiani diffondano il sale della fede, della speranza e della carità: è questa l'esortazione di Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che l’originalità cristiana “non è una uniformità” e ha messo in guardia dal rischio di diventare insipidi, “cristiani da museo”. Alla Messa - concelebrata con i cardinali Angelo Sodano e Leonardo Sandri e con l’arcivescovo di La Paz, Edmundo Abastoflor Montero - hanno preso parte un gruppo di sacerdoti e collaboratori laici della Congregazione per le Chiese Orientali.

Che cos’è il sale nella vita di un cristiano, quale sale ci ha donato Gesù? Nella sua omelia, Papa Francesco si è soffermato sul sapore che i cristiani sono chiamati a dare alla propria vita e a quella degli altri. Il sale che ci dà il Signore, ha osservato, è il sale della fede, della speranza e della carità. Ma, ha avvertito, dobbiamo stare attenti che questo sale, che ci è dato dalla certezza che Gesù è morto e risorto per salvarci, “non divenga insipido, che non perda la sua forza”. Questo sale, ha proseguito, “non è per conservarlo, perché se il sale si conserva in una bottiglietta non fa niente, non serve”:

“Il sale ha senso quando si dà per insaporire le cose. Anche penso che il sale conservato nella bottiglietta, con l’umidità, perde forza e non serve. Il sale che noi abbiamo ricevuto è per darlo, è per insaporire, è per offrirlo. Al contrario diventa insipido e non serve. Dobbiamo chiedere al Signore di non diventare cristiani col sale insipido, col sale chiuso nella bottiglietta. Ma il sale ha anche un’altra particolarità: quando il sale si usa bene, non si sente il gusto del sale, il sapore del sale… Non si sente! Si sente il sapore di ogni pasto: il sale aiuta che il sapore di quel pasto sia più buono, sia più conservato ma più buono, più saporito. Questa è la originalità cristiana!”.

E ha aggiunto che “quando noi annunziamo la fede, con questo sale”, quelli che “ricevono l’annunzio, lo ricevono secondo la propria peculiarità, come per i pasti”. E così “ciascuno con la propria peculiarità riceve il sale e diventa più buono”:

“La originalità cristiana non è una uniformità! Prende ciascuno come è, con la sua personalità, con le sue caratteristiche, con la sua cultura e lo lascia con quello, perché è una ricchezza. Ma gli dà qualcosa di più: gli dà il sapore! Questa originalità cristiana è tanto bella, perché quando noi vogliamo fare una uniformità - tutti siano salati allo stesso modo - le cose saranno come quando la donna butta troppo sale e si sente soltanto il gusto del sale e non il gusto di quel pasto saporito con il sale. L’originalità cristiana è proprio questo: ciascuno è come è, con i doni che il Signore gli ha dato”.

Questo, ha proseguito il Papa, “è il sale che dobbiamo dare”. Un sale che “non è per conservarlo, è per darlo”. E questo, ha detto, “significa un po’ di trascendenza”: “uscire col messaggio, uscire con questa ricchezza che noi abbiamo del sale e darlo agli altri”. D’altro canto, ha sottolineato, ci sono due “uscite” affinché questo sale non si rovini. Primo: dare il sale “al servizio dei pasti, al servizio degli altri, al servizio delle persone”. Secondo: la “trascendenza verso l’autore del sale, il creatore”. Il sale, ha ribadito, “non si conserva soltanto dandolo nella predicazione” ma “ha bisogno anche dell’altra trascendenza, della preghiera, della adorazione”:

“E così il sale si conserva, non perde il suo sapore. Con l’adorazione del Signore io trascendo da me stesso al Signore e con l’annunzio evangelico io vado fuori da me stesso per dare il messaggio. Ma se noi non facciamo questo - queste due cose, queste due trascendenze per dare il sale - il sale rimarrà nella bottiglietta e noi diventeremo cristiani da museo. Possiamo far vedere il sale: questo è il mio sale. Ma che bello che è! Questo è il sale che ho ricevuto nel Battesimo, questo è quello che ho ricevuto nella Cresima, questo è quello che ho ricevuto nella catechesi… Ma guardate: cristiani da museo! Un sale senza sapore, un sale che non fa niente!”.
Radio Vaticana
Credente
00lunedì 3 giugno 2013 19:44

La Chiesa cattolica dice tanti sì

Papa Francesco 
 
di Francesco Agnoli*
*saggista e scrittore

 
da Il Foglio, 9/05/13
 

Recentemente papa Francesco, in una delle sue prediche a santa Marta, ha affermato che la Chiesa è la comunità dei sì, perché nasce dall’amore di Cristo. Ha nello stesso tempo criticato l’atteggiamento dei puritani, il moralismo fine a se stesso, per poi aggiungere: “E’ una comunità dei sì, e i no sono conseguenza di questo sì”. Infine ha affermato che la comunità cristiana che vive nell’amore, chiede perdono a Dio dei suoi peccati, perdona le offese e “sente l’obbligo di fedeltà al Signore di fare come (dicono) i comandamenti”.

A chi scrive sembra che queste puntualizzazioni siano di grande importanza. Il mondo, infatti,tende a leggere la morale della Chiesa come un no, su tutto. Ogni intervento in cui si dica no, viene letto dai media con le solite categorie, per le quali la Chiesa “fulmina”, “scomunica”, “tuona”, opponendo, insomma, ad ogni cosa, la sua testarda negazione. La reazione di molti credenti rischia allora di essere, erroneamente, di due tipi: chi spiega, i più, che non bisogna più dire no, che bisogna “aprirsi”, “aggiornarsi”, viaggiare con il mondo; e chi, al contrario, ritiene che l’atteggiamento da tenere sia quello di un moralismo rigido e un po’ puritano.

La Chiesa, invece, è la comunità dei sì, ed è da questi sì, giova ribadirlo, che conseguono dei no. Il  di Maria è all’origine della storia della salvezza; il  alla volontà del padre, quale che essa sia, è il cuore della preghiera insegnata da Cristo (fiat voluntas tua); il  è il cuore del matrimonio, scelta di amare per sempre; il  è, ancora, il motore della carità e della missione. E’ la cultura dominante, relativista ed egoista, che, al contrario, mentre accusa la Chiesa di dire sempre no (si veda il libro di Marco Politi, con prefazione di Emma Bonino, “La chiesa dei no”), negando l’amore e il Dio della vita, oppone il suo no pervicace a ciò che è bello e buono. L’egoismo, la vendetta, la prepotenza, sono dei no. E l’aborto, il divorzio, la droga… tutte le altre libertà proposte dai radicali di ogni tipo, cosa sono, se non, anch’essi, un no, pieno, sonoro, alla vita? Un no al disegno di Dio per ognuno di noi? L’esito della cultura odierna è appunto, il no: il nichilismo.

Non serviam, è, infatti, la affermazione di Lucifero, al punto che Arrigo Boito, nel suo“Mefistofele”, prendendo spunto dal Faust di Goethe, gli fa dire: “Son lo spirito che nega/Sempre tutto…”. Mefistofele nega la bellezza della vita, l’importanza del sacrificio, l’ordine della realtà, la struttura divina della famiglia, il senso dell’esistenza terrena, l’orizzonte trascendente… Il Dio dei cristiani, invece, ci chiede di dire sì, alle circostanze, alle persone, al bene che incontriamo ed anche ai sacrifici che ci sono richiesti. Promettendoci la felicità non nell’aldilà, soltanto, ma anche su questa terra: “il centuplo, quaggiù, e l’eternità”. Non è un caso dunque che nella Rivelazione Dio si definisca per affermazione, non per negazione: “Io sono colui che è”; “Sono la Via, la Verità e la Vita….”.

Il sì, però, comporta anche l’esistenza del no; il Bene, nella caducità terrena, la possibilità del male. Non è sempre facile dire sì, perché ci è spesso offerta la scorciatoia, la fuga, l’illusione della facilità del no. Per questo la Bibbia è Rivelazione in due parti: nell’Antico Testamento Dio dà i comandamenti: alcuni sono positivi (“Io sono il Signore Dio tuo…”; “Onora il padre e la madre”), altri, i più, sono negativi (“non uccidere, non rubare…”). Dio, mi sembra, agisce con l’umanità come si fa con un figlio: finché è piccolo, occorrono dei no, chiari, precisi; poi il figlio cresce, incomincia sempre più ad avere una sua personalità, una sua libertà, l’uso della ragione. E allora i genitori non possono più limitarsi ai no: devono dargli le ragioni profonde di quei no; devono cioè indicargli uno stile di vita, dei modelli, una tensione ideale, una meta. E’ l’ora del sì, che costruisce la persona. Ai giovani si mostrano le cime, non ci si limita ad additare le valli; si spronano al bene; si indicano gli eroi e i santi… senza dimenticare il male, conoscere il quale, come nell’Inferno di Dante, serve solo a renderne ancora più evidente la bruttezza.

Così al Vecchio Testamento, segue il nuovo, in cui tutta la legge è racchiusa nell’unico comandamento, tutto in positivo, dell’Amore: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti” (Matteo 22,37-40). Nella pedagogia dei grandi santi educatori, si ritrova questo stesso stile di Dio. Santa Teresa Verzeri, ad esempio, o san Giovanni Bosco prendevano per mano i loro discepoli, insegnando loro il timore, e, soprattutto, l’amore di Dio. Perché, come spiegava un tempo il catechismo di san Pio X, così semplice e chiaro, Dio accetta il nostro “amore servile”, ma desidera che questo amore diventi “filiale”. Vuole che arriviamo a non fare il male, non solo per un giusto timore, della creatura verso il Creatore, ma per amore Suo. Solo così si spiega il detto di sant’Agostino: “Ama, e fai ciò che vuoi”.

Credente
00venerdì 7 giugno 2013 10:53
LO SPIRITO SANTO ILLUMINI, GUIDI, CUSTODISCA IL NOSTRO PAPA

PAPA
Coordin.
00domenica 16 giugno 2013 07:41

MACERATA LORETO

Papa Francesco: «La fede diventi un'esperienza presente»

 

10/06/2013 - Aveva promesso che avrebbe provato ad esserci. E lo ha fatto con una telefonata, sabato sera, alla partenza del pellegrinaggio: «Quando incontriamo il Signore, Egli ci sorprende. Siate aperti alle sorprese di Dio»




Il testo della telefonata


Monsignor Giancarlo Vecerrica: Pronto.

Santo Padre Francesco: Pronto, come sta lei bene?

Vecerrica: Santo Padre: è l’applauso dei fedeli, dei giovani, dei vescovi, delle autorità; sono migliaia di giovani Santo Padre.

Santo Padre Francesco: Grazie tante.

Vecerrica: Adesso facciamo silenzio e ascoltiamo la Sua voce.

Santo Padre Francesco: Carissimi giovani amici, buona sera. So che siete tanti allo stadio di Macerata, decine di migliaia, arrivati da ogni parte dell’Italia e anche dall’estero per questo XXXV Pellegrinaggio a piedi a Loreto, proposto a tutti voi da Comunione e Liberazione. Vi saluto uno ad uno e in particolare saluto Sua Em. il Card. Marc Ouellet, che tra poco celebrerà la Santa Messa. Anche approfitto dell’occasione per fargli gli auguri per il suo compleanno, perché oggi è il suo compleanno! Saluto anche i vescovi delle Marche. 

So che camminerete per 28 chilometri tutta la notte, recitando il Santo Rosario, cantando insieme, guidati. È bello questo perché è il paradigma della vita. Tutta la vita è un pellegrinaggio. L’importante è l’incontro con Gesù in questa strada della vita, l’incontro con Lui, e questo ti dà la fede, perché è proprio Lui che te la dà. Lasciatevi guidare da Gesù, lasciatevi guidare da Gesù! Tante volte anche per noi la fede è un presupposto ovvio del vivere: diciamo “io credo in Dio” – e va bene –, ma come vivi tu questo nella strada della vita? È necessario che la fede diventi un’esperienza presente. 

Quando ci incontriamo, quando incontriamo il Signore, Egli ci sorprende. Il Signore si può chiamare il Signore delle sorprese. Siate aperti alle sorprese di Dio. Anche per voi l’avvenimento di questa notte, che ogni anno cresce, è una sorpresa, è il segno che nulla è impossibile a Dio. Come spiegare altrimenti che da 300 che eravate nel ‘78 siete diventati lo scorso anno 90.000? Anche voi potete appoggiarvi tutti su Gesù, su questa presenza così affascinante e attraente. Quando vi sentirete stanchi e vi verrà la tentazione di andare per conto vostro, pensate a questo: ripetete il vostro sì, pregate perché ciascuno di voi possa riconoscere nella sua carne piagata nel corpo e nello spirito la propria umanità bisognosa dell’umanità di Cristo, l’unica che può saziare davvero il desiderio dell’uomo. 

Il tema che avete scelto per questa notte si riferisce a questo. Andate avanti con speranza carissimi giovani, andate avanti con speranza! E per favore: non lasciatevi rubare la speranza; è il Signore che te la dà. Buona Messa, buon Pellegrinaggio e che il Signore vi benedica. Pregate per me!

Vecerrica: Grazie Santo Padre, ci benedica, adesso c’è l’applauso di tutti. Siamo commossi e attendiamo la Sua benedizione.

Santo Padre Francesco: La benedizione. Vi benedica Dio onnipotente il Padre il Figlio e lo Spirito Santo.

Vecerrica: Grazie Santo Padre, la Sua tenerezza ci commuove, pregheremo per Lei tutta la notte.

Santo Padre Francesco: Ne ho bisogno! Un abbraccio a tutti! E fate gli auguri al Cardinale Ouellet.

Vecerrica: Come ha detto Santo Padre?

Santo Padre Francesco: Fate gli auguri al Cardinale Ouellet.

Vecerrica: Facciamo gli auguri al nostro Cardinale che ci guida. Ma come vuol bene ai suoi cardinali Santo Padre.

Santo Padre Francesco: Ma no, poverino, lo faccio lavorare oggi.

Vecerrica: Santo Padre, chissà che un anno non possa venire anche Lei a celebrare la Santa Messa?

Santo Padre Francesco: Ma nessuna cosa è impossibile per Dio! Andiamo avanti! Un abbraccio a tutti! E buona notte, e buon Pellegrinaggio.

Vecerrica: Grazie, grazie Santo Padre. E buona notte, un abbraccio.

Santo Padre Francesco: Buona notte e pregate per me.

Coordin.
00domenica 7 luglio 2013 07:41

Papa: "In Chiesa strutture antiche. 
Fa male vedere prete con una bella auto"

Nel messaggio durante la messa a Santa Marta, l'ultima prima della pausa estiva, Bergoglio ritorna sul tema centrale del suo pontificato. "Non temere le novità del Vangelo, la Chiesa è libera, la porta avanti lo Spirito Santo". E riflette sul ruolo del cristiano: "non lo si può essere a pezzi o part-time". Poi l'incontro con i seminaristi: "Chiesa non segua ricchezze, coerenza con la povertà"

Papa: "In Chiesa strutture antiche.  Fa male vedere prete con una bella auto"Papa Francesco (ansa)CITTA' DEL VATICANO - Non bisogna temere di rinnovare le strutture della Chiesa: l'invito viene da Papa Francesco durante la messa a Santa Marta, l'ultima prima della pausa estiva. "Nella vita cristiana, anche nella vita della Chiesa, ci sono strutture antiche, strutture caduche: è necessario rinnovarle", ha detto il Pontefice. Poi, incontrando i seminaristi, Bergoglio ha lanciato un altro messaggio forte, un invito alla moderazione e alla coerenza, contro la "cultura del provvisorio": "A me fa male quando vedo un prete o una suora con una macchina di ultimo modello. Non si può. Pensate a quanti bambini muoiono di fame", ha detto Bergoglio. Ai giovani ha ribadito l'importanza di un comportamento autentico da parte di suore e preti, e di una Chiesa che non segua le ricchezze.   

"Nella Chiesa strutture caduche, non aver paura di rinnovarle". Durante l'omelia a Santa Marta, il Papa si è soffermato sul rinnovamento che porta Gesù. "Essere cristiano significa lasciarsi rinnovare da Gesù in questa nuova vita", ha spiegato. Inoltre, "non si può essere cristiano a pezzi, part-time". "Essere cristiano alla fine non significa fare cose, ma lasciarsi rinnovare dallo Spirito Santo o, per usare le parole di Gesù, diventare vino nuovo", ha sottolineato Papa Francesco.

La novità del Vangelo, secondo Bergoglio, "va oltre noi" ci rinnova "e rinnova le strutture". "Nella vita cristiana, anche nella vita della Chiesa, ci sono strutture antiche, strutture caduche: è necessario rinnovarle. E la Chiesa sempre è stata attenta a quello, col dialogo con le culture; sempre si lascia rinnovare secondo i luoghi, i tempi e le persone", ha spiegato Bergoglio, riportando l'accento sul tema della riforma, punto centrale del suo pontificato. "Così la Chiesa sempre è andata avanti - ha proseguito -, lasciando allo Spirito Santo che rinnovi queste strutture, strutture di chiese". Non bisogna avere paura di questo, ha aggiunto. "Non avere paura del rinnovamento delle strutture". "La Chiesa - ha detto ancora - è libera: la porta avanti lo Spirito Santo".

"Cultura del provvisorio pericolosa". Nel pomeriggio, Bergoglio ha incontrato un gruppo di seminaristi, novizi e novizie in pellegrinaggio a Roma in occasione dell'Anno della fede, stigmatizzando la "cultura del provvisorio", pericolosa, perché, ha detto, "ci bastona tutti, non ci fa bene. Una scelta definitiva oggi è molto difficile: ai miei tempi era più facile", ha sottolineato parlando nella sala Nervi. "Siamo vittime - ha aggiunto Bergoglio - di questa cultura del provvisorio".
 
Ai giovani che si preparano alla vita religiosa ha rivolto una riflessione sul valore reale delle cose: "Alcuni credono che la gioia nasce dalle cose che si hanno, dall'ultimo modello di smartphone, dall'ultimo modello d'auto, dal divertimento dei locali più in voga, ma non è così. A me fa male quando vedo un prete o una suora con una macchina di ultimo modello. Non si può. Pensate a quanti bambini muoiono di fame", ha detto il Papa.

"Chiesa non segua ricchezze". Ai seminaristi Bergoglio ha ricordato il valore della coerenza, che, insieme all'autenticità, deve caratterizzare il comportamento di sacerdoti e suore, e la necessità che la Chiesa non insegua la ricchezza: "Giustamente - ha detto - a voi giovani fa schifo quando vedete un prete o una suora che non sono coerenti", citando come esempio i religiosi che cercano con le loro azioni un arricchimento materiale. "E' necessario", ha sottolineato, "che noi preti, suore, tutti siamo coerenti con la nostra povertà". 

Ha infine raccomandato ai ragazzi di essere coraggiosi, di non temere di andare controcorrente, di essere positivi e capaci di incontrare le persone. "Non siate zitelli e zitelle", ha concluso, esortarndo seminaristi, novizi e novizie alla "fecondità pastorale". "Il voto di castità e di celibato è una strada che matura verso la paternità e la maternità pastorale", ha detto. "Non si può pensare a un prete o una suora non fecondi, non è cattolico".
Coordin.
00sabato 10 agosto 2013 08:13
UN’UMANITA’ DI FERITI CHE CERCA CONFORTO

Una ventina di anni fa, a Bassano del Grappa, durante una conversazione a tavola, l’allora cardinale Ratzinger si lasciò andare a una battuta umoristica che però contiene molta verità: “per me” disse “una conferma della divinità della fede viene dal fatto che essa sopravvive a qualche milione di omelie ogni domenica”.

Chiunque frequenti abitualmente la messa sa che è drammaticamente vero. Non certo perché si pretenda che i preti siano tutti dei grandi oratori alla Bossuet. Né perché vi sia una povertà culturale del ceto ecclesiastico.

Anzi. Capita di sentire omelie di dottissimi teologi che hanno un effetto devastante sulla fede degli ascoltatori, mentre – magari – poche parole commosse balbettate da un anziano sacerdote di campagna toccano davvero il cuore.

Qual è allora il problema? Non si tratta delle parole e dei concetti, ma del cuore.

Lo abbiamo capito specialmente con l’inizio travolgente del pontificato di papa Francesco che ha scelto proprio lo strumento più povero, le sue semplici omelie quotidiane, o comunque dei discorsi fatti con tono dimesso e familiare (come l’improvvisata conferenza stampa in aereo), per guidare la Chiesa. A cui sta imprimendo una svolta formidabile.

Cos’è che colpisce e commuove in papa Francesco? Mi pare sia evidente: ogni sua parola abbraccia, consola, conforta chi ascolta. E’ questa finora la cifra segreta del suo pontificato.

Ai vescovi che ha incontrato in Brasile a un certo punto ha detto: “dovete ricordarvi che quella che avete davanti è un’umanità di feriti”.

Non è solo una bellissima immagine. Dentro queste semplici parole c’è tutto un giudizio sul mondo contemporaneo e soprattutto c’è un’intuizione immensa del cristianesimo.

Innanzitutto Francesco non punta il dito, non incrimina, non recrimina, non accusa. Innanzitutto abbraccia.

Quando gli hanno chiesto perché in Brasile non ha ripetuto ad ogni occasione la dottrina della Chiesa su matrimoni gay e tutto il resto delle questioni che i media ci martellano in testa, lui, con semplicità, ha spiegato che ormai tutti, anche i sassi, conoscono qual è la dottrina cattolica in proposito.

Ma ha aggiunto che lui doveva e voleva portare “innanzitutto”, ai tre milioni di giovani che lo aspettavano in Brasile, una parola positiva.

La “parola positiva” è un’espressione che significa “una buona notizia”, un “lieto annuncio” ed è proprio questo il significato etimologico della parola “evangelo”. La “buona notizia” è Gesù Cristo in persona, cioè Dio che ha avuto compassione degli uomini ed è venuto sulla terra a salvarli.

E’ lui il Buon Samaritano della parabola che si china su quell’uomo disteso ai margini della strada, massacrato, coperto di ferite e incapace anche solo di rialzarsi.

E’ Gesù, buon samaritano, che lo accudisce, poi se lo carica sulle spalle e lo porta al ricovero (la Chiesa) dove verrà curato, nutrito e guarito.

Questo è il cuore del cristianesimo e Francesco viene a ricordarlo anzitutto ai pastori che lo hanno dimenticato. Io stesso, un paio di domeniche orsono, quando la lettura del vangelo era proprio quella del Buon samaritano, ho sentito l’omelia di un pretino, tutto orgoglioso del suo sapere teologico, il quale ha spiegato che quell’uomo disteso e ferito a terra, su cui si china Gesù-Buon samaritano, è in quelle condizioni a causa dei suoi peccati.

Ora, il concetto è un’evidente minchiata, perché Gesù non dice affatto questo, anzi spiega che il poveretto è stato ridotto in fin di vita da dei briganti che “lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto”.
Ma l’errore del pretino in questione svela un po’ lo sguardo incriminatorio con cui un certo mondo clericale guarda agli uomini, analogo e speculare al disprezzo generalizzato e ingiusto con cui nel mondo senti parlare (male) “dei preti”.

Invece papa Francesco è pieno di compassione, sa che tutti coloro che stanno lì ad ascoltarlo sono pieni di silenziose ferite, inflitte dalla vita, pieni di pesi, ansie, angosce.

E lui vuol portare loro l’abbraccio di Gesù e la sua misericordia. Il balsamo dell’abbraccio di Dio. Quante volte il Vangelo dice: “Gesù guardò la folla e pieno di compassione…”.

Un giorno disse: “venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò”. Lui, il suo abbraccio, è l’unico luogo al mondo dove tutti noi, affaticati e oppressi dalla fatica di vivere, possiamo trovare ricovero, conforto, nutrimento e ristoro.

Perché noi da soli non riusciamo nemmeno a stare in piedi. “Ma che poss’io, Signor,/ s’a me non vieni/ coll’usata ineffabil cortesia?”, si chiede in una poesia Michelangelo Buonarroti.

Gli uomini hanno bisogno di misericordia più ancora del pane. Questo non è banale “buonismo”, come ritiene qualcuno accusando il Papa di essere un facile demagogo.

Bergoglio infatti è sempre stato estremamente esigente e rigoroso con se stesso (è noto il suo stile di vita evangelico, adottato da decenni), mentre è indulgente con il suo gregge. E invita i vescovi e i sacerdoti a fare altrettanto.

Così infatti era anche Gesù. Al contrario “scribi e farisei” erano indulgenti con se stessi ed esigenti con coloro che pretendevano di guidare : perché – diceva Gesù – “dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito” (Mt 23, 3-4).

Bergoglio indica implicitamente l’esempio dei santi pastori, come il santo Curato d’Ars o padre Pio. Erano uomini che spesso si accollavano misteriosamente i pesi o le penitenze dei loro fedeli per poter elargire loro la Grazia del perdono o della guarigione.

Ecco perché papa Francesco appare al tempo stesso così libero da tutto e tutti eppure così tradizionale. Perché null’altro desidera che portare a tutti Gesù.

Questa è la sua vera, grande “rivoluzione”: la “rivelazione” del cuore di Dio operata da Gesù. Da lui abbiamo compreso che Dio è un Padre che si strugge di pietà per le sofferenze e lo smarrimento dei suoi figli.

Anche il perdono (il Papa ripete: “Dio perdona sempre, perdona tutto e perdona tutti”) è parte essenziale di quel conforto e di quel ristoro perché l’uomo ha un bisogno estremo di sentirsi perdonato.

Non di sentirsi mettere sul banco degli accusati perché lo sa bene – nel profondo del cuore – di essere un poveraccio, pieno di peccati. Ha bisogno di chi gli dice “io ti perdonerò sempre. Se anche tuo padre o tua madre ti rinnegassero, io non ti abbandonerò mai” (e queste sono parole di Dio nella Sacra Scrittura).

Così, quando papa Francesco ha fatto irruzione nel mondo abbiamo visto la misericordia. Ascoltarlo, guardarlo, ricorda le parole che Péguy diceva su Gesù: “C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani. Ma Gesù venne. Egli non perse i suoi anni a gemere ed interpellare la cattiveria dei tempi. Egli taglia corto. In un modo molto semplice. Facendo il cristianesimo. Egli non si mise a incriminare, ad accusare qualcuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo. Egli salvò il mondo”.

Antonio Socci
Coordin.
00lunedì 2 settembre 2013 07:18
Preghiamo per la PACE
 

“Con grande sofferenza e preoccupazione – afferma il Papa - continuo a seguire la situazione in Siria”. Nel Paese dopo quasi due anni e mezzo di guerra civile sono morte oltre 100 mila persone, di cui 7 mila sono bambini. Oltre 4 milioni tra profughi e sfollati, un quinto dell’intera popolazione siriana:

“L’aumento della violenza in una guerra tra fratelli, con il moltiplicarsi di stragi e atti atroci, che tutti abbiamo potuto vedere anche nelle terribili immagini di questi giorni, mi spinge ancora una volta a levare alta la voce perché si fermi il rumore delle armi. Non è lo scontro che offre prospettive di speranza per risolvere i problemi, ma è la capacità di incontro e di dialogo”.

“Dal profondo del mio cuore” il Papa manifesta la sua vicinanza “con la preghiera e la solidarietà a tutte le vittime di questo conflitto, a tutti coloro che soffrono, specialmente i bambini, e invitare a tenere sempre accesa la speranza di pace”:

“Faccio appello alla Comunità Internazionale perché si mostri più sensibile verso questa tragica situazione e metta tutto il suo impegno per aiutare la amata Nazione siriana a trovare una soluzione ad una guerra che semina distruzione e morte”.

Il Santo Padre invita tutti i presenti a pregare la Regina della Pace.

"Maria Regina della Pace prega per noi."

(Angelus 25 Agosto 2013)

Coordin.
00martedì 10 settembre 2013 08:33

L’INERME FRANCESCO ILLUMINA IL MONDO CON UN ANNUNCIO: LA FORZA DELLA PREGHIERA E DEL DIGIUNO PUO’ VINCERE GLI ESERCITI E I MASSACRATORI.

Posted: 07 Sep 2013 12:41 AM PDT

Progressisti e tradizionalisti, nella Chiesa, si trovano puntualmente d’accordo. Ed entrambi sbagliano, fuorviati dal pregiudizio e dall’ideologia. Anche sul pontificato di Francesco avevano affermato, da sponde opposte, che Bergoglio stava annichilendo il papato.

Era bastato loro la sua frase di presentazione come “vescovo di Roma” per emettere questo drastico verdetto. Gli uni (i conservatori) con toni apocalittici, gli altri (i progressisti) con trionfalismo.

Per la verità aveva provveduto lo stesso Francesco, nella conferenza stampa improvvisata sull’aereo di ritorno dal Brasile, a spiegare che essersi presentato come “vescovo di Roma” voleva dire semplicemente ricordare il primo dei titoli del Papa, quello da cui deriva il primato petrino. Ma non poteva essere letto come una soppressione del suo ruolo nella Chiesa universale. Chi aveva fantasiosamente immaginato tutto questo era fuori strada.

 

QUELLO CHE STA ACCADENDO

 

E quello che sta accadendo sotto i nostri occhi in questi giorni – con buona pace di tradizionalisti e progressisti – esalta la figura e la missione del Vicario di Cristo come non si ricordava da tempo.

Papa Francesco infatti è visto come una grande luce non solo dalla Chiesa, ma dal mondo. E parla non solo a nome della Chiesa tutta, ma addirittura dell’intera umanità.

Lo si è visto nell’ormai celebre Angelus di domenica scorsa, quello in cui ha “lanciato” l’iniziativa del digiuno e della preghiera di oggi: “vorrei farmi interprete del grido che sale da ogni parte della terra, da ogni popolo, dal cuore di ognuno, dall’unica grande famiglia che è l’umanità, con angoscia crescente: è il grido della pace!”.

E’ stupefacente non solo il vigore con cui Francesco ha preso in pugno il timone della barca di Pietro e la sta rinnovando, con la piena autorità del Vicario di Cristo, ma anche la centralità morale che il Papa ha assunto sulla scena mondiale a difesa della pace e delle popolazioni inermi e massacrate.

Al G20 di San Pietroburgo, apertosi giovedì, è risuonata come voce al di sopra di tutti proprio la lettera di Francesco ai grandi della terra, lettera dove si evidenzia, con realismo e razionalità, che non c’è alcuna soluzione militare perché sarebbe solo un’inutile strage. L’unica via è la trattativa, il dialogo, la ricerca di un giusto compromesso, cioè il ritorno vero della politica.

 

LA POVERTA’ DI GESU’

 

Certo, c’è qualcosa del papato, come si è conosciuto negli ultimi secoli, di cui Francesco si sta disfacendo. Lo ha spiegato lui stesso quando ha scelto di non andare a vivere nell’appartamento pontificio: non vuole più che il papa sia o sembri un sovrano rinascimentale.

Il papa deve essere visibilmente l’evangelico e povero successore del pescatore di Cafarnao, la cui autorità deriva esclusivamente dall’investitura di Gesù Cristo e dal Vangelo. E non da commistioni con i poteri di questo mondo, da fronzoli e paramenti sacrali, da cerimonie e corti terrene.

Lo ha fatto capire con molti altri gesti. Per esempio quando – in diverse occasioni – alla folla che lo acclamava “Francesco! Francesco!”, ha chiesto di gridare piuttosto un altro nome: “Gesù Gesù!”. Sono piccoli segni di una pedagogia molto importante.

E’ nella linea del rinnovamento che era stato deciso dal Concilio Vaticano II: un ritorno all’essenzialità evangelica su cui già si erano incamminati Paolo VI, papa Luciani, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

Francesco realizza ancora più clamorosamente e visibilmente questa scelta, questo rifiuto di ogni mondanità, questo ritorno della Chiesa al semplice Vangelo, questo scelta del pastore di stare fra le pecore e non nei palazzi del potere.

E – ecco il luminoso paradosso – proprio nel momento in cui il papato sceglie visibilmente l’inermità evangelica, la sua autorevolezza morale nel mondo ne esce ingigantita.

Nel momento in cui la Santa Sede si concentra sull’annuncio della Buona novella e della misericordia di Dio, e quindi è più impolitica, proprio allora il suo peso politico si fa grande.

 

MODELLO VON GALEN

 

E’ quello che un grande pensatore come Böckenförde aveva chiamato “il modello von Galen” che – secondo lui – rappresentava la via della Chiesa nei tempi moderni.

Von Galen è l’eroico vescovo che – nella Germania degli anni Trenta – proclamò la radicale opposizione e inconciliabilità fra cristianesimo e nazismo e tuonò contro il regime hitleriano per il suo disprezzo della vita dei più deboli: “le prediche sull’eutanasia del vescovo di Münster scrive Böckenförde “erano al tempo stesso annuncio e azione politica e quest’ultima tanto più in quanto non si poteva loro rimproverare di oltrepassare i limiti del compito ecclesiastico della predicazione”.

In effetti anche Francesco non fa che predicare il Vangelo. Non cerca egemonie o privilegi per al Chiesa, non ha un suo potere da affermare, neanche una sua immagine personale.

E la sua semplicità evangelica in fondo è vera finezza politica, perché egli spinge i grandi della terra verso il negoziato e la pace sia con la forza della sua autorità morale, che interpreta la volontà dei popoli, sia con la sua diplomazia vaticana, che sa dialogare con tutti, sia con la partecipazione corale al gesto planetario del digiuno e della preghiera di milioni di donne e uomini concreti, che di solito sono tagliati fuori dalle decisioni degli “statisti”.

Chiedendo a tutti i credenti di partecipare a questa preghiera e a questo digiuno il Papa ricorda una grande verità, che i cristiani forse hanno dimenticato, cioè che la preghiera (specie con la penitenza) può tutto e può anche fermare le guerre (come ha ripetuto la Madonna a Fatima e a Medjugorje).

Inoltre proponendo il gesto del digiuno a tutti, anche ai non credenti (e stanno aderendo persone inimmaginabili qualche tempo fa), il Papa – sulla scia di grandi testimoni, come Gandhi – mostra che si cambia il mondo e si ferma il male non con la violenza e la forza, ma – al contrario – con la non-violenza e l’inerme offerta di se stessi, cioè con un gesto di sacrifico e di amore.

 

REALISMO

 

Papa Francesco domenica ha proclamato: “C’è un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni a cui non si può sfuggire! Non è mai l’uso della violenza che porta alla pace. Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza!”.

La storia, anche di questi anni recenti, mostra che le parole del Papa sono la pura verità. Fra l’altro – noto “en passant” – la limpidezza di Francesco smaschera l’ipocrisia di sedicenti progressisti come Obama e Hollande, a parole pacifisti, ma nella realtà smaniosi di andare a bombardare e di affermare i propri disegni di potere e i propri interessi imperiali. Senza il consenso dei loro popoli e senza credibilità.

Stendiamo un pietoso velo poi sui cosiddetti “cattolici” Biden e Kerry che, per il potere (sono rispettivamente vicepresidente e segretario di stato Usa), se ne infischiano dell’appello della Chiesa e del Papa e stanno con i bombardieri.

D’altra parte l’evento di oggi mostra come tutte le confessioni cristiane (a cominciare dalle chiese ortodosse) e le grandi religioni del pianeta, guardino al papa con una stima e un desiderio di collaborazione che è un segno promettente per tutta l’umanità.

Con questo pontificato la storia sembra avere una di quelle accelerazioni che, nel giro di pochissimo tempo, cambia tutte le coordinate e anche gli scenari geopolitici: basta sommare insieme il crollo di credibilità della fallimentare presidenza Obama, l’irrilevanza dell’Europa e la centralità che la Chiesa ha nell’asse tra Paesi emergenti, come il Brasile, la Russia e la Cina.

Ma questa è materia per gli analisti e gli storici. Ciò che già dalle cronache appare chiaro è che c’è una sola voce che oggi ha piena autorevolezza, credibilità e parla al cuore dei popoli: quella di papa Francesco. Un segno dei tempi.

 Antonio Socci

Coordin.
00martedì 10 settembre 2013 08:53
PAPA FRANCESCO E LA SPERANZA, OGGI
La speranza è nella persona di Gesù
CITTA' DEL VATICANO, 09 Settembre 2013 (Zenit.org) - La speranza è cosa diversa dal semplice ottimismo. Quest’ultimo è fondamentalmente un atteggiamento umorale, mentre la prima è rappresentata nella sua forma più alta dalla persona di Gesù Cristo. Lo ha detto stamattina papa Francesco durante la messa nella cappella di Santa Marta.

La speranza è molto più che un “dono” di Gesù: essa è Gesù stesso, ha il suo nome. È San Paolo a confermarlo nella prima lettura di oggi, quando scrive: “Cristo in voi, speranza della gloria” (Cl 1,24-29.2,1-3).

Avere speranza, ha spiegato il Papa, non è semplicemente guardare il “bicchiere mezzo pieno”, secondo un atteggiamento di mero ottimismo essenzialmente umano.

La speranza, che a volte viene confusa con il buonumore, è per certi versi una virtù “umile” e di “seconda classe”, essendo meno menzionata rispetto alla fede e alla carità, ha proseguito il Papa.

È ancora San Paolo a ricordarci che la speranza “mai delude”, in quanto è un dono dello Spirito Santo. La speranza, ha ulteriormente precisato il Papa, per essere autentica e per non ridursi a un puro ottimismo, deve essere rivolta a Gesù Cristo, vivo nell’Eucaristia.

Inoltre, “dove non c’è speranza non può esserci libertà”, ha aggiunto il Papa, con riferimento al Vangelo odierno (Lc 6,6-11) in cui Gesù guarisce la mano paralizzata di un uomo in un sabato, suscitando scandalo tra i “rigidi” farisei. Il miracolato, dunque, è stato liberato due volte: “dal rigore e dalla mano paralizzata”.

Il più grosso miracolo di Gesù, tuttavia, è nella sua capacità di “rifare tutte le cose più meravigliosamente della Creazione”, diventando così “motivo della nostra speranza”, una speranza che “non delude perché Lui è fedele” e “non può rinnegare se stesso”.

Papa Francesco ha poi parlato della virtù della speranza nello specifico ambito del sacerdozio: “È un po’ triste – ha detto – quando uno trova un prete senza speranza”, mentre è assai confortante, al contrario, incontrare un sacerdote che sia sostenuto da questa virtù. “Questo prete – ha proseguito il Pontefice – è attaccato a Gesù Cristo, e il popolo di Dio ha bisogno che noi preti diamo questo segno di speranza, viviamo questa speranza in Gesù che rifà tutto”.

Il Santo Padre ha poi auspicato che il Signore ci aiuti nella strada del “dare speranza” e nell’avere “passione per la speranza”. La speranza più grande, ha concluso, è quella della Madonna che ha mantenuto tale virtù “nel buio più grande”, ovvero dalla sera del Venerdì fino alla prima mattina della Domenica della Resurrezione.

Credente
00martedì 10 settembre 2013 21:56

Il Pontefice visita il centro Astalli

Papa: aprire i conventi chiusi ai rifugiati

"A cosa servono alla Chiesa i conventi chiusi? I conventi dovrebbero servire alla carne di Cristo e i rifugiati sono la carne di Cristo". Lo ha detto Papa Francesco, durante il suo discorso nel centro Astalli, ipotizzando l'utilizzo dei conventi chiusi per l'accoglienza dei rifugiati

   
Papa Francesco al centro Astalli
 

Roma, 10 Settembre 2013

"A cosa servono alla Chiesa i conventi chiusi? I conventi dovrebbero servire alla carne di Cristo e i rifugiati sono la carne di Cristo". Lo ha detto Papa Francesco, durante il suo discorso nel centro Astalli, ipotizzando l'utilizzo dei conventi chiusi per l'accoglienza dei rifugiati. 

Agli operatori del centro Astalli, il Papa ha detto che bisogna "tenere sempre viva la speranza! Aiutare a recuperare la fiducia! Mostrare che con l'accoglienza e la fraternità si può aprire una finestra sul futuro, più che una finestra, una porta, e più si può avere ancora un futuro". 

"Ed è bello - ha aggiunto Bergoglio - che a lavorare per i rifugiati, insieme con i Gesuiti, siano uomini e donne cristiani e anche non credenti o di altre religioni, uniti nel nome del bene comune, che per noi cristiani è espressione dell'amore del Padre in Cristo Gesù. Sant'Ignazio di Loyola volle che ci fosse uno spazio per accogliere i più poveri nei locali dove aveva la sua residenza a Roma, e il Padre Arrupe, nel 1981, fondò il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, e volle che la sede romana fosse in quei locali, nel cuore della città". 

"Grazie perché difendete la vostra dignità ma anche la nostra dignità umana". Questo uno dei passi del discorso, durato circa venti minuti, pronunciato da Papa Francesco ai rifugiati durante la visita al centro Astalli di Roma.

"Molti di voi siete musulmani, di altre religioni; venite da vari Paesi, da situazioni diverse. Non dobbiamo avere paura delle differenze. La fraternità ci fa scoprire che sono una ricchezza, un dono per tutti. Viviamo la fraternità". 

Ogni rifugiato "porta soprattutto una ricchezza umana e religiosa, una ricchezza da accogliere, non da temere". Lo ha detto il Papa visitando il centro Astalli a Roma: "grazie per le vostre testimonianze forti, sofferte. Ognuno di voi, cari amici, porta una storia di vita che ci parla di drammi di guerre, di conflitti, spesso legati alle politiche internazionali. 

Solidarietà è una "parola che fa paura per il mondo più sviluppato. Cercano di non dirla. E' quasi una parolaccia per loro". Lo ha detto il Papa nel corso della sua visita al centro Astalli per i rifugiati. Ma solidarietà, ha aggiunto, "è la nostra parola! Servire significa riconoscere e accogliere le domande di giustizia, di speranza, e cercare insieme delle strade, dei percorsi concreti di liberazione".

Credente
00domenica 15 settembre 2013 22:09

Ecco le risposte di Papa Francesco a chi non crede

Papa francescoNel marzo scorso Papa Francesco ha invitato i vescovi argentini ad “uscire” per incontrare chi è lontano dalla Chiesa, anche se si rischiano incidenti. «Ma preferisco una Chiesa incidentata»aveva scritto allora Francesco, «piuttosto che chiusa e malata».

Con questo spirito il Pontefice ha risposto alle domande cheEugenio Scalfari ha posto su “Repubblica” ed è interessate sottolineare bene quanto ha scritto. «È venuto ormai il tempo e il Vaticano II ne ha inaugurato appunto la stagione», ha affermato, «di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro». Perché il dialogo, per il credente, è «un’espressione intima e indispensabile».

 

LA FEDE NASCE DA UN INCONTRO GRAZIE ALLA CHIESA
Francesco ha spiegato fin da subito come è nata in lui la fede. Non in un modo isolato, una rivelazione personale dall’alto, un ragionamento o una dimostrazione scientifica di Dio, ma semplicemente vivendo la vita della sua comunità parrocchiale«La fede, per me, è nata dall’incontro con Gesù. Un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e ha dato un indirizzo e un senso nuovo alla mia esistenza. Ma al tempo stesso un incontro che è stato reso possibile dalla comunità di fede in cui ho vissuto e grazie a cui ho trovato l’accesso all’intelligenza della Sacra Scrittura, alla vita nuova che come acqua zampillante scaturisce da Gesù attraverso i Sacramenti, alla fraternità con tutti e al servizio dei poveri, immagine vera del Signore. Senza la Chiesa – mi creda – non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell’immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d’argilla della nostra umanità».

Senza la Chiesa non avrebbe potuto incontrare Gesù, dice il Papa, cioè non si può prescindere da essa per vivere il cristianesimo. Non esiste un cristianesimo personalizzato ed emancipato dalla Chiesa: sempre il Pontefice aveva detto in una recente udienza«Ancora oggi qualcuno dice “Cristo sì, la chiesa no, io credo in Dio ma non nei preti”, si dice così? Ma è proprio la Chiesa che ci porta a Cristo e ci porta a Dio, è la grande famiglia della Chiesa, che ha anche aspetti umani, nei pastori e nei fedeli, ci sono difetti, imperfezioni, peccati»

 

L’ORIGINALITA’ DEL CRISTIANESIMO RISPETTO ALLE ALTRE RELIGIONI
Scalfari stesso chiede a Francesco come capire l’originalità della fede cristiana poiché essa fa perno sull’incarnazione del Figlio di Dio rispetto ad altre fedi che gravitano invece attorno alla trascendenza assoluta di Dio.

Il Papa risponde: «l’originalità, direi, sta proprio nel fatto che la fede ci fa partecipare, in Gesù, al rapporto che Egli ha con Dio che è Abbà e, in questa luce, al rapporto che Egli ha con tutti gli altri uomini, compresi i nemici, nel segno dell’amore. In altri termini, la figliolanza di Gesù, come ce la presenta la fede cristiana, non è rivelata per marcare una separazione insormontabile tra Gesù e tutti gli altri: ma per dirci che, in Lui, tutti siamo chiamati a essere figli dell’unico Padre e fratelli tra di noi. La singolarità di Gesù è per la comunicazione, non per l’esclusione».

Da questo ne consegue «quella distinzione tra la sfera religiosa e la sfera politica che è sancita nel “dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare”, affermata con nettezza da Gesù e su cui, faticosamente, si è costruita la storia dell’Occidente».

 

LA FEDE NON E’ FUGA DAL MONDO MA SERVIZIO AGLI UOMINI
Sempre parlando della laicità, invenzione cristiana, il Pontefice ha spiegato i rispettivi compiti della Chiesa e dello Stato: «la Chiesa è chiamata a seminare il lievito e il sale del Vangelo, e cioè l’amore e la misericordia di Dio che raggiungono tutti gli uomini, additando la meta ultraterrena e definitiva del nostro destino, mentre alla società civile e politica tocca il compito arduo di articolare e incarnare nella giustizia e nella solidarietà, nel diritto e nella pace, una vita sempre più umana».

Così, «per chi vive la fede cristiana, ciò non significa fuga dal mondo o ricerca di qualsivoglia egemonia, ma servizio all’uomo, a tutto l’uomo e a tutti gli uomini, a partire dalle periferie della storia e tenendo desto il senso della speranza che spinge a operare il bene nonostante tutto e guardando sempre al di là».

 

DIO PERDONA GLI UOMINI DI BUONA VOLONTA’
Un’altra domanda del fondatore di “Repubblica” verte sull’atteggiamento della Chiesa verso chi non condivide la fede in Gesù e se Dio perdona chi non crede e non cerca la fede. Francesco risponde: «Premesso che – ed è la cosa fondamentale – la misericordia di Dio non ha limitise ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito, la questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire». Come sempre spiegato dalla Chiesa, anche l’uomo di “buona volontà” che cerca di fare il bene così come la sua coscienza gli suggerisce, sarà salvato.

Il relativismo sbaglia, dunque, il bene e il male possono essere percepiti da ogni uomo che vive rettamente il rapporto con la sua ragione. Bisogna ascoltare la propria coscienza earrivare alla verità, in quanto essa esiste ed è raggiungibile da ogni uomo. Per questo i non credenti possono essere sulla stessa strada dei credenti in quanto anche loro possono seguire la cosiddetta legge naturale, presente in tutti i figli di Dio.

 

LA VERITA’ E’ RELAZIONE CON DIO
Ma cos’è la verità? Hanno ragione i relativisti a dire che non esiste ed esistono solo opinioni soggettive? No, dice il Papa, «per cominciare, io non parlerei, nemmeno per chi crede, diverità “assoluta”, nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! Tant’è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita. Non ha detto forse Gesù stesso: “Io sono la via, la verità, la vita”?».

Recentemente lo abbiamo spiegato anche noi su UCCR, rispondendo ad Umberto Veronesi. Scrivevamo: «I principi morali non bastano, non spiegano perché, se esiste solo questa vita bisognerebbe essere coerenti con essi se si è più felici e ci si avvantaggia comportandosi in altro modo. Occorre andare oltre all’uomo, serve il rapporto affettivo con il Padre, al quale si obbedisce per propria convenienza o per semplice fiducia in Lui, così come il figlio fa con il proprio genitore. Solo in un rapporto ha senso l’obbedienza».

 

IL CRISTIANESIMO NON E’ UN’IDEA O UN’IDEOLOGIA
Secondo Scalfari, con la scomparsa dell’uomo sulla terra scomparirà anche il pensiero capace di pensare Dio. «Certo», ha risposto Francesco, «la grandezza dell’uomo sta nel poter pensare Dio. E cioè nel poter vivere un rapporto consapevole e responsabile con Lui. Ma il rapporto è tra due realtà. Dio – questo è il mio pensiero e questa la mia esperienza, ma quanti, ieri e oggi, li condividono! – non è un’idea, sia pure altissima, frutto del pensiero dell’uomo. Dio è realtà con la “R” maiuscola. Gesù ce lo rivela – e vive il rapporto con Lui – come un Padre di bontà e misericordia infinita. Dio non dipende, dunque, dal nostro pensiero. Del resto, anche quando venisse a finire la vita dell’uomo sulla terra – e per la fede cristiana, in ogni caso, questo mondo così come lo conosciamo è destinato a venir meno – , l’uomo non terminerà di esistere e, in un modo che non sappiamo, anche l’universo creato con lui».

 

LO SCOPO DELLA CHIESA E’ TESTIMONIARE GESU’
Concludendo la sua lettera, il Pontefice ha scritto: «La Chiesa, mi creda, nonostante tutte le lentezze, le infedeltà, gli errori e i peccati che può aver commesso e può ancora commettere in coloro che la compongono, non ha altro senso e fine se non quello di vivere e testimoniare Gesù: Lui che è stato mandato dall’Abbà “a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore” (Lc 4, 18-19)».

Coordin.
00martedì 17 settembre 2013 15:38
Il Papa: «I cattolici
si sporchino le mani»
 
 
Un monito ai politici: «Non si può governare senza amore al popolo e senza umiltà». Un messaggio ai cittadini: «Nessuno di noi può dire: "Ma io non c’entro"». E un invito particolare ai cattolici: «Un buon cattolico si immischia in politica, offrendo il meglio di sé». Infine una raccomandazione per tutti: «Pregare per chi governa». Papa Francesco sembra quasi voler prolungare il discorso inaugurato giovedì scorso (quando ha mandato un suo messaggio alla sessione di apertura della 47.ma Settimana sociale di Torino), e continuato domenica all’Angelus, quando ha nuovamente sottolineato l’importanza dell’argomento trattato nel capoluogo piemontese e ha esortato: «Coraggio. Avanti su questa strada della famiglia». Le parole pronunciate, infatti, nell’omelia della messa di ieri mattina a Santa Marta appaiono come un ulteriore tassello nel vasto mosaico degli eventi degli ultimi giorni.
Il messaggio del Papa è a 360 gradi. E investe perciò tutti i protagonisti della vita della polis. Innanzitutto i governanti. A loro Francesco ricorda le principali virtù di chi è chiamato dalla volontà popolare a sedersi nella stanza dei bottoni. «Non si può governare senza amore al popolo e senza umiltà! E ogni uomo, ogni donna che deve prendere possesso di un servizio di governo, deve farsi queste due domande: "Io amo il mio popolo, per servirlo meglio? Sono umile e sento tutti gli altri, le diverse opinioni, per scegliere la migliore strada?". Se non si fa queste domande il suo governo non sarà buono. Il governante, uomo o donna, che ama il suo popolo è un uomo o una donna umile».
Poi, nella seconda parte dell’omelia, il Papa inverte la prospettiva. E si mette dalla parte dei governati. «C’è l’abitudine – fa notare – di dire solo male dei governanti e fare chiacchiere sulle cose che non vanno bene. Senti il servizio della tv e bastonano; leggi il giornale e bastonano. Sempre il male, sempre contro». Forse – prosegue Francesco – il governante è un peccatore, ma io devo collaborare con la mia opinione, con la mia parola, anche con la mia correzione» perché tutti «dobbiamo partecipare al bene comune». «Nessuno può lavarsi le mani».
Terza parte del discorso e terza prospettiva. «Tante volte abbiamo sentito: "un buon cattolico non si immischia in politica". Questo non è vero – sottolinea il Pontefice – quella non è una buona strada». La via migliore invece è quella della preghiera. Francesco cita san Paolo che raccomanda «preghiera per tutti gli uomini e per il re e per tutti quelli che stanno al potere». «"Ma, Padre – aggiunge il Papa facendosi portavoce di chi non è d’accordo –, quella è una cattiva persona, deve andare all’inferno"». Prega per lui – è l’esortazione del Pontefice –, prega per lei, perché possa governare bene, perché ami e serva il suo popolo, perché sia umile. Un cristiano che non prega per i governanti, non è un buon cristiano». «"Ma, Padre, come pregherò per questo? Questa è una persona che non va". Prega perché si converta. Ma prega. E questo non lo dico io –conclude Francesco –, lo dice san Paolo, la Parola di Dio».
La politica riguarda tutti, dunque. Ma per fare che cosa? Nei giorni scorsi il Papa aveva dato più di un’indicazione, in "dialogo" con i vescovi e i laici impegnati nella Settimana sociale. Emblematiche a tal proposito le parole pronunciate domenica all’Angelus. «Oggi – aveva detto – , a Torino, si conclude la Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, sul tema "Famiglia, speranza e futuro per la società italiana". Saluto tutti i partecipanti e mi rallegro per il grande impegno che c’è nella Chiesa in Italia con le famiglie e per le famiglie e che è un forte stimolo anche per le istituzioni e per tutto il Paese. Coraggio. Avanti su questa strada della famiglia» 
In risposta, da Torino, gli era giunto il «grazie» dei 1300 delegati. «Carissimo Papa Francesco – aveva sottolineato in un messaggio l’arcivescovo di Cagliari, Arrigo Miglio, presidente del Comitato organizzatore – esprimiamo la nostra profonda gratitudine per il denso messaggio, che mette al centro dell’impegno delle nostre comunità ecclesiali la famiglia fondata sul matrimonio bene comune di tutti, speranza dell’intera società italiana. Il Suo magistero – assicurava il presule – è stato un punto di riferimento fondamentale per i lavori della Settimana sociale e illuminerà il cammino del nostro impegno corresponsabile».
Famiglia, bene comune, speranza. Ecco dunque i contenuti della buona politica sui quali il Papa, i vescovi italiani e il laicato ecclesiale concordano pienamente. Ed è significativo che questa strada per il futuro venga tracciata qualche giorno prima del viaggio di Francesco in quella Cagliari dove cinque anni fa Benedetto XVI lanciò il suo appello per una nuova classe di cattolici impegnati nella politica. Un appello che domenica in pratica ha già fatto proprio.
Credente
00sabato 21 settembre 2013 22:58

La profondità di Francesco
nell’intervista a “Civiltà Cattolica”

Papa francescoCome sempre invitiamo a a non fidarsi dei media, dei quotidiani e della televisione, sopratutto per quanto riguarda la Chiesa, il Papa e il cattolicesimo, ma è necessario sempre riferirsi alle fonti originali e a quelle ufficiali che, grazie a Dio, non mancano.

Allo stesso modo occorre fare per la bellissima intervistarilasciata dal Pontefice alla rivista dei gesuiti “Civiltà Cattolica”, un vero manifesto per tutti gli evangelizzatori moderni. Se si leggono i resoconti mediatici sembra che tutto si riduca ad un’apertura all’aborto, ai gay, al divorzio, invece occorre andare a leggere l’intervista integrale pubblicata da “Avvenire” per capire la vastità e la profondità della visione di Papa Francesco. Riportiamo i passi che ci hanno colpito di più sintetizzati per argomenti, vorremo farli nostri perché ci aiutino nella nostra conversione.

 

LA VITA CRISTIANA VA VISSUTA IN COMUNIONE, IN UNA COMUNITA’
Il Pontefice ha parlato di sé e di come la vita cristiana sia comunitaria e non isolata: «Una cosa per me davvero fondamentale è la comunità. Cercavo sempre una comunità. Io non mi vedevo prete solo: ho bisogno di comunità. E lo si capisce dal fatto che sono qui a Santa Marta: quando sono stato eletto, abitavo per sorteggio nella stanza 207. Questa dove siamo adesso era una camera per gli ospiti. Ho scelto di abitare qui, nella camera 201, perché quando ho preso possesso dell’appartamento pontificio, dentro di me ho sentito distintamente un “no”. L’appartamento pontificio nel Palazzo Apostolico non è lussuoso. È antico, fatto con buon gusto e grande, non lussuoso. Ma alla fine è come un imbuto al rovescio. È grande e spazioso, ma l’ingresso è davvero stretto. Si entra col contagocce, e io no, senza gente non posso vivere. Ho bisogno di vivere la mia vita insieme agli altri».

 

IL GOVERNO DELLA CHIESA E’ CONSULTAZIONE
Francesco ha quindi commentato il suo modo di guidare la Chiesa universale, imparando dagli errori del passato quand’era a capo della Compagnia dei Gesuiti: «Il mio governo come gesuita all’inizio aveva molti difetti. Il mio modo autoritario e rapido di prendere decisioni mi ha portato ad avere seri problemi e ad essere accusato di essere ultraconservatore. Dico queste cose come una esperienza di vita e per far capire quali sono i pericoli. Col tempo ho imparato molte cose. Il Signore ha permesso questa pedagogia di governo anche attraverso i miei difetti e i miei peccati. Così da arcivescovo di Buenos Aires ogni quindici giorni facevo una riunione con i sei vescovi ausiliari, varie volte l’anno col Consiglio presbiterale. Si ponevano domande e si apriva lo spazio alla discussione. Questo mi ha molto aiutato a prendere le decisioni migliori. E adesso sento alcune persone che mi dicono: “non si consulti troppo, e decida”. Credo invece che la consultazione sia molto importante. I Concistori, i Sinodi sono, ad esempio, luoghi importanti per rendere vera e attiva questa consultazione. Bisogna renderli però meno rigidi nella forma. Voglio consultazioni reali, non formali. La Consulta degli otto cardinali, questo gruppo consultivo outsider, non è una decisione solamente mia, ma è frutto della volontà dei cardinali, così come è stata espressa nelle Congregazioni Generali prima del Conclave. E voglio che sia una Consulta reale, non formale».

 

LA CHIESA E’ IL POPOLO CRISTIANO IN CAMMINO ED E’ INFALLIBILE NEL CREDERE
La risposta di Francesco si è spostata sulla Chiesa come popolo cristiano in cammino:«L’appartenenza a un popolo ha un forte valore teologico: Dio nella storia della salvezza ha salvato un popolo. Non c’è identità piena senza appartenenza a un popolo. Nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae considerando la complessa trama di relazioni interpersonali che si realizzano nella comunità umana. Dio entra in questa dinamica popolare. Il popolo è soggetto. E la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, con gioie e dolori. E l’insieme dei fedeli è infallibile nel credere, e manifesta questa sua “infallibilitas in credendo” mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo che cammina. Ecco, questo io intendo oggi come il “sentire con la Chiesa” di cui parla sant’Ignazio.Non bisogna dunque neanche pensare che la comprensione del “sentire con la Chiesa” sia legata solamente al sentire con la sua parte gerarchica. E, ovviamente, bisogna star bene attenti a non pensare che questa “infallibilitas” di tutti i fedeli di cui sto parlando alla luce del Concilio sia una forma di populismo. No: è l’esperienza della “santa madre Chiesa gerarchica”, come la chiamava sant’Ignazio, della Chiesa come popolo di Dio, pastori e popolo insieme. Questa Chiesa con la quale dobbiamo “sentire” è la casa di tutti, non una piccola cappella che può contenere solo un gruppetto di persone selezionate. Non dobbiamo ridurre il seno della Chiesa universale a un nido protettore della nostra mediocrità».

 

ANCHE I SACERDOTI E LE RELIGIOSE SONO CHIAMATI A VIVERE LA FECONDITA’
«La Chiesa è Madre. La Chiesa è feconda, deve esserlo», ha continuato Papa Francesco.«Quando io mi accorgo di comportamenti negativi di ministri della Chiesa o di consacrati o consacrate, la prima cosa che mi viene in mente è: “ecco uno scapolone”, o “ecco unazitella”. Non sono né padri, né madri. Non sono stati capaci di dare vita. Invece, per esempio, quando leggo la vita dei missionari salesiani che sono andati in Patagonia, leggo una storia di vita, di fecondità. Un altro esempio di questi giorni: ho visto che è stata molto ripresa dai giornali la telefonata che ho fatto a un ragazzo che mi aveva scritto una lettera. Io gli ho telefonato perché quella lettera era tanto bella, tanto semplice. Per me questo è stato un atto di fecondità. Mi sono reso conto che è un giovane che sta crescendo, ha riconosciuto un padre, e così gli dice qualcosa della sua vita. Il padre non può dire “me ne infischio”. Questa fecondità mi fa tanto bene». Più avanti dirà: «Il voto di castità deve essere un voto di fecondità»

 

IL COMPITO DEI VESCOVI E DEI SACERDOTI: STARE IN MEZZO AL POPOLO
Francesco intende cambiare innanzitutto il ruolo dei Vescovi e dei sacerdoti, non più funzionari delle parrocchie ma padri fisicamente presenti dei fedeli: «Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso».

«La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ha salvato!”. E i ministri della Chiesa devono innanzitutto essere ministri di misericordia. Il confessore, ad esempio, corre sempre il pericolo di essere o troppo rigorista o troppo lasso. Nessuno dei due è misericordioso, perché nessuno dei due si fa veramente carico della persona. Il rigorista se ne lava le mani perché lo rimette al comandamento. Il lasso se ne lava le mani dicendo semplicemente “questo non è peccato” o cose simili. Le persone vanno accompagnate, le ferite vanno curate». I ministri della Chiesa, spiega, «devono essere misericordiosi, farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon samaritano che lava, pulisce, solleva il suo prossimo. Questo è Vangelo puro. Dio è più grande del peccato. Le riforme organizzative e strutturali sono secondarie, cioè vengono dopo. La prima riforma deve essere quella dell’atteggiamento. I ministri del Vangelo devono essere persone capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella notte con loro, di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi. Il popolo di Dio vuole pastori e non funzionari o chierici di Stato. I Vescovi, particolarmente, devono essere uomini capaci di sostenere con pazienza i passi di Dio nel suo popolo in modo che nessuno rimanga indietro, ma anche per accompagnare il gregge che ha il fiuto per trovare nuove strade. Invece di essere solo una Chiesa che accoglie e che riceve tenendo le porte aperte, cerchiamo pure di essere una Chiesa che trova nuove strade, che è capace di uscire da se stessa e andare verso chi non la frequenta, chi se n’è andato o è indifferente. Chi se n’è andato, a volte lo ha fatto per ragioni che, se ben comprese e valutate, possono portare a un ritorno. Ma ci vuole audacia, coraggio».

 

IL MESSAGGIO CRISTIANO VIENE PRIMA DI ABORTO, DIVORZIO E OMOSESSUALITA’
Questa è la parte su cui si sono concentrati maggiormente i media, ovvero la domanda sui tanti cristiani che vivono in situazioni non regolari per la Chiesa o comunque in situazioni complesse: divorziati risposati, coppie omosessuali, altre situazioni difficili. Come fare una pastorale missionaria in questi casi? «Dobbiamo annunciare il Vangelo su ogni strada, predicando la buona notizia del Regno e curando, anche con la nostra predicazione, ogni tipo di malattia e di ferita. A Buenos Aires ricevevo lettere di persone omosessuali, che sono “feriti sociali” perché mi dicono che sentono come la Chiesa li abbia sempre condannati. Ma la Chiesanon vuole fare questo. Durante il volo di ritorno da Rio de Janeiro ho detto che, se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Dicendo questo io ho detto quel che dice il Catechismo. La religione ha il diritto di esprimere la propria opinione a servizio della gente, ma Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile. Una volta una persona, in maniera provocatoria, mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora le risposi con un’altra domanda: “Dimmi: Dio, quando guarda a una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola?”. Bisogna sempre considerare la persona. Qui entriamo nel mistero dell’uomo. Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione. Bisogna accompagnare con misericordia. Quando questo accade, lo Spirito Santo ispira il sacerdote a dire la cosa più giusta». E ancora:«Questa è anche la grandezza della Confessione: il fatto di valutare caso per caso, e di poter discernere qual è la cosa migliore da fare per una persona che cerca Dio e la sua grazia. Il confessionale non è una sala di tortura, ma il luogo della misericordia nel quale il Signore ci stimola a fare meglio che possiamo. Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore?».

Ed ora il programma specifico di Papa Francesco a cui molti, noi per primi, dovranno fare proprio: «Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, manon è necessario parlarne in continuazione. Gli insegnamenti, tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti. Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali [...] l messaggio evangelico non può essere ridotto dunque ad alcuni suoi aspetti che, seppure importanti, da soli non manifestano il cuore dell’insegnamento di Gesù».

 

LA DONNA E’ NECESSARIA DOVE SI PRENDONO DECISIONI IMPORTANTI
Il Pontefice si è anche soffermato sul ruolo della donna nella Chiesa: «È necessario ampliare gli spazi di una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. Temo la soluzione del “machismo in gonnella”, perché in realtà la donna ha una struttura differente dall’uomo. E invece i discorsi che sento sul ruolo della donna sono spesso ispirati proprio da una ideologia machista. Le donne stanno ponendo domande profonde che vanno affrontate. La Chiesa non può essere se stessa senza la donna e il suo ruolo. La donna per la Chiesa è imprescindibile. Maria, una donna, è più importante dei Vescovi. Dico questo perché non bisogna confondere la funzione con la dignità. Bisogna dunque approfondire meglio la figura della donna nella Chiesa. Bisogna lavorare di più per fare una profonda teologia della donna. Solo compiendo questo passaggio si potrà riflettere meglio sulla funzione della donna all’interno della Chiesa. Il genio femminile è necessario nei luoghi in cui si prendono le decisioni importanti. La sfida oggi è proprio questa: riflettere sul posto specifico della donna anche proprio lì dove si esercita l’autorità nei vari ambiti della Chiesa».

 

DIO E’ PRESENTE, SBAGLIATO LAMENTARSI E TEMERE IL FUTURO
Davvero molto bella anche la parte sulle sfide di oggi, sul vivere la fede nella realtà odierna:«C’è la tentazione di cercare Dio nel passato o nei futuribili. Dio è certamente nel passato, perché è nelle impronte che ha lasciato. Ed è anche nel futuro come promessa. Ma il Dio “concreto”, diciamo così, è oggi. Per questo le lamentele mai mai ci aiutano a trovare Dio. Le lamentele di oggi su come va il mondo “barbaro” finiscono a volte per far nascere dentro la Chiesa desideri di ordine inteso come pura conservazione, difesa. No: Dio va incontrato nell’oggi. Dio si manifesta in una rivelazione storica, nel tempo. Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia. Incontrare Dio in tutte le cose non è un eureka empirico. In fondo, quando desideriamo incontrare Dio, vorremmo constatarlo subito con metodo empirico. Così non si incontra Dio. Lo si incontra nella brezza leggera avvertita da Elia. I sensi che constatano Dio sono quelli che sant’Ignazio chiama i “sensi spirituali”. Ignazio chiede di aprire la sensibilità spirituale per incontrare Dio al di là di un approccio puramente empirico. È necessario un atteggiamento contemplativo: è il sentire che si va per il buon cammino della comprensione e dell’affetto nei confronti delle cose e delle situazioni. Il segno che si è in questo buon cammino è quello della pace profonda, della consolazione spirituale, dell’amore di Dio, e di vedere tutte le cose in Dio».

 

LA FEDE E’ CONTINUA RICERCA E NON UN PUNTO DI ARRIVO
Il rapporto tra fede, dubbio, certezza ed incertezza: «In questo cercare e trovare Dio in tutte le cose resta sempre una zona di incertezza. Deve esserci. Se una persona dice che ha incontrato Dio con certezza totale e non è sfiorata da un margine di incertezza, allora non va bene. Per me questa è una chiave importante. Se uno ha le risposte a tutte le domande, ecco che questa è la prova che Dio non è con lui. Vuol dire che è un falso profeta, che usa la religione per se stesso. Le grandi guide del popolo di Dio, come Mosè, hanno sempre lasciato spazio al dubbio. Si deve lasciare spazio al Signore, non alle nostre certezze; bisogna essere umili. Il rischio nel cercare e trovare Dio in tutte le cose è dunque la volontà di esplicitare troppo, di dire con certezza umana e arroganza: “Dio è qui”. Troveremmo solamente un dio a nostra misura. L’atteggiamento corretto è quello agostiniano: cercare Dio per trovarlo, e trovarlo per cercarlo sempre. E spesso si cerca a tentoni, come si legge nella Bibbia. La nostra vita non ci è data come un libretto d’opera in cui c’è tutto scritto, ma è andare, camminare, fare, cercare, vedere… Si deve entrare nell’avventura della ricerca dell’incontro e del lasciarsi cercare e lasciarsi incontrare da Dio».

«Dio lo si incontra camminando, nel cammino. E a questo punto qualcuno potrebbe dire che questo è relativismo. È relativismo? Sì, se è inteso male, come una specie di panteismo indistinto. No, se è inteso in senso biblico, per cui Dio è sempre una sorpresa, e dunque non sai mai dove e come lo trovi, non sei tu a fissare i tempi e i luoghi dell’incontro con Lui. La tradizione e la memoria del passato devono aiutarci ad avere il coraggio di aprire nuovi spazi a Dio. Chi oggi cerca sempre soluzioni disciplinari, chi tende in maniera esagerata alla “sicurezza” dottrinale, chi cerca ostinatamente di recuperare il passato perduto, ha una visione statica e involutiva. E in questo modo la fede diventa una ideologia tra le tante. Io ho una certezza dogmatica: Dio è nella vita di ogni persona, Dio è nella vita di ciascuno. Anche se la vita di una persona è stata un disastro, se è distrutta dai vizi, dalla droga o da qualunque altra cosa, Dio è nella sua vita. Lo si può e lo si deve cercare in ogni vita umana. Anche se la vita di una persona è un terreno pieno di spine ed erbacce, c’è sempre uno spazio in cui il seme buono può crescere. Bisogna fidarsi di Dio».

Coordin.
00lunedì 23 settembre 2013 11:24

CHE BELLO SEGUIRE FRANCESCO! QUELLO CHE CI INSEGNA (ANCHE SUI VALORI): I CRISTIANI LEGGONO I SEGNI DEI TEMPI. UNA STORIA CHE INIZIA.

Posted: 20 Sep 2013 11:49 PM PDT

C’è lo stupore e la compassione nella splendida intervista di papa Francesco. Lo stupore di chi si è sentito perdonato e amato dal Salvatore, come il pubblicano Matteo, l’evangelista della celebre tela di Caravaggio. Che il papa evoca.

E c’è la compassione per questa umanità di feriti. Il desiderio di portare a tutti quello sguardo di misericordia che lui ha incontrato nel volto di Gesù e quindi nella Chiesa.

 

COSA SIAMO

 

In effetti siamo un mondo di feriti. Le cronache parlano di guerre sanguinose, di repressioni crudeli, di una crisi economica che imperversa e porta all’angoscia, di società piene di odio. Parlano di violenza perfino in quei rapporti affettivi personali che dovrebbero essere segnati dall’amore.

Siamo tutti creature ferite dalla vita. Non lo si può negare.

Il recente Festival della filosofia di Modena, dedicato appunto all’amore, è stato concluso dalla lezione magistrale della sociologa israeliana Eva Illouz, nota per il suo best-seller, “Perché l’amore fa soffrire”.

La Illouz, sebbene femminista e liberal, ha fotografato – a cinquant’anni dalla rivoluzione sessuale che doveva renderci tutti liberi e felici – un panorama di rovine.

Ha spiegato che l’amore “ormai è divenuto un problema, preso in carico dalle comunità terapeutiche”. Ha aggiunto: “l’amore ha sempre fatto soffrire, ma oggi lo fa molto più di prima”. E lo sappiamo tutti.

E’ l’ennesima eterogenesi dei fini. Come il marxismo, anche la rivoluzione sessuale promise la felicità e ha prodotto l’infelicità (così pure potremmo dire per il mito scientista o quello del benessere).

 

L’OSPEDALE DI DIO

 

Dunque la nostra società è piena di feriti. Ecco perché papa Francesco vede la Chiesa “come un ospedale da campo dopo la battaglia”. Essa si sente chiamata a “curare le ferite e riscaldare il cuore dei fedeli”.

Siamo tutti feriti senza distinzione di credo o di filosofia o di fede politica. La battaglia che ci ha messo a terra e di cui parla il Papa è quella della vita, ma anche quella che la modernità aveva intrapreso per emanciparsi da Dio.

E’ evidente che la Chiesa ha perso quella battaglia (umanamente e storicamente parlando).

Ma i “morti e i feriti” distesi sul terreno sono i vincitori, cioè tutti noi moderni. La Chiesa non combatteva per sé, ma per noi. Noi moderni abbiamo prevalso e ora siamo al tappeto.

Perciò essa, come una madre premurosa, che aveva messo in guardia i suoi figli, si china su di loro, pietosa e se li carica sulle spalle.

Papa Francesco fa come il padre del figliol prodigo. Che non rinfaccia al figlio i suoi errori, che non inveisce e non punisce.

Anzi, “quando era ancora lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”, poi – interrompendo il mea culpa del figlio – “disse ai servi: presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi… facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15, 20-24).

 

IL FRATELLO INDIGNATO

 

Diciamo la verità, l’atteggiamento del figlio maggiore che, tornando dai campi, vede tutti questi festeggiamenti e s’indigna col padre, somiglia un po’ a quello di alcuni di noi cattolici verso papa Francesco.

C’è chi pretenderebbe che si stesse ogni giorno a condannare, a recriminare e a far proclami. Mentre il padre vuole anzitutto riabbracciare l’errante e riaverlo come figlio.

Questo non significa affatto approvare gli errori o sottovalutarli. No, significa amare i figli.

Del resto è ciò che la Chiesa ha fatto fin dalle origini. La “bella notizia” (perché questo significa la parola “Vangelo”) non è l’elenco dei peccati, nemmeno un catalogo di valori morali, ma è l’annuncio che Dio ha avuto pietà degli uomini ed è venuto a prenderseli sulle spalle, a curarli, a guarirli, a salvarli.

Gesù entrò nel mondo così: “Non incriminò, non accusò nessuno. Salvò. Non incriminò il mondo. Salvò il mondo. Questi altri” scriveva Péguy “vituperano, raziocinano, incriminano. Medici ingiuriosi che se la prendono con il malato”.

Il grande convertito francese usava la stessa metafora di papa Francesco: siamo una umanità malata, un mondo di feriti. E il medico non può prendersela col malato. Il suo compito è curarlo e guarirlo.

Si dirà che oggi però c’è la secolarizzazione dilagante. Ma già Péguy rispondeva a questa obiezione: “anche al tempo di Gesù c’erano il secolo e le sabbie del secolo. Ma sulla sabbia arida, sulla sabbia del secolo scorreva una fonte, una fonte inesauribile di grazia”.

Pure Gesù fu accusato di essere indulgente e perfino connivente con peccatori, pubblicani e prostitute. Ma era venuto per loro (cioè per tutti noi). E proprio la sua misericordia, la bellezza della sua umanità, commuoveva i peccatori che si convertivano e cambiavano vita.

 

LA GUERRA DEI VALORI

 

Chi oggi lamenta la fine della battaglia per i valori non negoziabili non ha compreso. A parte il fatto che tali valori non sono l’essenza del cristianesimo e considerarli tali sarebbe una nuova, pericolosa ideologia.

Chiarito ciò è sbagliato pensare che Francesco rinneghi quanto hanno insegnato i suoi due predecessori. Perché ha sempre ribadito quell’insegnamento (anche ieri lo ha fatto su inizio e fine vita).

Certo, non sta a ripeterlo ogni giorno. Ma non perché quei principi, ai suoi occhi, non siano importanti.

Solo perché a Francesco preme anzitutto sottolineare il primo, vero, grande e basilare “principio non negoziabile” (la base di tutti gli altri): l’essere umano concreto, quello in carne e ossa, con le sue ferite, anche con i suoi peccati. La sua salvezza.

Agli occhi di Dio le persone concrete sono il fondamentale “principio non negoziabile”, tanto che per ognuno di loro si è fatto uomo, si è fatto crocifiggere ed è risorto.

Ecco perché nell’esortazione missionaria di Francesco a “curare” le ferite dell’umanità, rientra pienamente fare centri di aiuto alla vita, accogliere le persone travolte dal crollo di legami affettivi, sostenere chi vive malattie terminali o ha persone care in condizioni estreme, aiutare poveri e infelici. Si apre una grande stagione di carità per i cristiani.

 

COSA CAMBIA

 

Certo, cambia qualcosa: lo sguardo su questo momento storico. Più che battaglie culturali con intellettuali e politici, ci si prenderà cura degli esseri umani.

Non perché sia sbagliato o inutile dire la verità e cercare il bene pubblico: è doveroso (lo stesso Francesco ha dialogato con Scalfari).

Ma perché – come diceva don Giussani – a vincere la cultura nichilista non sarà una contrapposta cultura cattolica, ma la commozione personale per Gesù, la sua carità: “La Chiesa è proprio un luogo commovente di umanità, è il luogo della umanità… La lotta col nichilismo, contro il nichilismo, è questa commozione vissuta” (Giussani).

Del resto è sempre stato così. Il mondo è sempre stato una distesa di feriti. Perché tale è la condizione umana. Nasciamo come naufraghi che cercano il senso della vita, avvolti dal mistero dell’universo, desideriamo amare ed essere amati, subiamo il male e lo facciamo, bramiamo ogni giorno la felicità e non la troviamo.

Così ci vedeva Gesù. Così ci rappresentò nella parabola del Buon Samaritano: noi siamo quell’uomo “spogliato, percosso” e lasciato “mezzo morto” sul ciglio della strada. Mentre lui è il buon samaritano che “ne ebbe compassione, gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui”.

Quella “locanda” è la Chiesa. E come Gesù cura le nostre ferite? Ce lo dice il profeta Isaia: “per le Sue piaghe noi siamo stati guariti”. Ci guarisce soffrendo al posto nostro. Ci riscatta dando se stesso.

I santi ce lo ricordano. Pensiamo a padre Pio, alle sue stigmate, alle sofferenze con cui otteneva tante grazie. Il suo confessionale è stato un grande ospedale da campo delle anime. E accanto ha voluto far costruire un grande ospedale dei corpi: “la casa sollievo della sofferenza”. Per capire papa Francesco guardate i santi come padre Pio.

 Antonio Socci

Credente
00lunedì 23 settembre 2013 19:15

Il Papa scrive, e i media manipolano 

Lettera FrancescoCome abbiamo riportato recentemente, Papa Francesco ha risposto con una lettera a “Repubblica” ad alcune domande diEugenio Scalfari, fondatore del quotidiano e uno dei rappresentanti più mediatici dell’anticlericalismo.

Purtroppo, ancora una volta i contenuti della lettera sono statimale interpretati dai media. E’ stato fatto notare da alcuni siti web (anche qui) rispetto ai quotidiani inglesi, come l’Independent, che hanno titolato così: «Papa Francesco assicura gli atei: non dovete credere in Dio per andare in paradiso». Sul “Telegraph” l’ottimo Tim Stanley ha spiegato«Papa Francesco non ha mai pensato che tutti gli atei vanno in Paradiso. I media proprio non lo capiscono».

In Italia la stessa “Repubblica” (edizione cartacea) ha invece deciso di titolare così: “La verità non è mai assoluta”. Un elogio al relativismo che però non è mai stato fatto da Francesco, il quale ha invece scritto altro: «io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità “assoluta”, nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. La verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! Tant’è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita. Non ha detto forse Gesù stesso: “Io sono la via, la verità, la vita”?». La verità c’è, esiste e si può conoscere tramite una relazione, non è affatto soggettiva.

Lo stesso Francesco, infatti, ha scritto in un’altra occasione«La povertà spirituale dei nostri giorni riguarda gravemente anche i Paesi considerati più ricchi. È quanto il mio Predecessore, il caro e venerato Benedetto XVI, chiama la “dittatura del relativismo”, che lascia ognuno come misura di se stesso e mette in pericolo la convivenza tra gli uomini». Tuttavia, come la frase “chi sono io per giudicare un omosessuale” è divenuta per i media un inno di Francesco alla cultura LGBT, ora la frase “la verità non è mai assoluta” sarà l’inno al relativismo. Scalfari infatti ne ha subito approfittato e durante la puntata di Otto e Mezzo dell’11 settembre, parlando della lettera del Papa ha detto«Il Papa dice: la verità non è assoluta, è una verità di relazione, ciò vuol dire che i cattolici giudicano dal loro punto di vista… papa Francesco accetta che la verità anche per i credenti è sempre un verità in relazione al loro giudizio; per i non credenti la verità è la propria coscienza e quindi l’autonomia. Il suo predecessore disse che il relativismo è il nemico principale della fede, lui (Francesco) non dice questo, dice il contrario». E ancora: «Gli ho anche detto che quando la nostra specie finirà non ci sarà più nessuno che potrà pensare a Dio e quindi Dio sarà morto. Lui mi ha risposto dicendo… che quando la nostra specie finirà a quel punto la luce di Dio entrerà tutta in tutti, il che vuol dire che Dio non diventa più trascendente ma immanente. Vuol dire che Dio si identifica con le anime. E questa è l’immanenza, non è più la trascendenza». Non volendo dubitare della buona fede di Scalfari dobbiamo dunque concludere che tale manipolazione sia causata dascarsa capacità di comprensione, forse anche dovuta all’età avanzata.

Lasciando perdere l’89enne, interessante invece quel che scrive Eugenio Mazzarella, docente di Filosofia teoretica nell’Università Federico II di Napoli, secondo cui «il dialogo su Repubblica tra Scalfari e Francesco manda in soffitta, si spera, quell’autentica superstizione intellettuale della modernità che è stata la funesta contrapposizione tra ragione e fede». Mazzarella sottolinea anche che «l’intento del Vaticano II è stato raggiunto: riaprire un dialogo senza preconcetti tra la Chiesa e la cultura d’ispirazione cristiana, da una parte, e la cultura moderna d’impronta illuminista dall’altra; per incidens ricordando che la cultura moderna illuminista, anche nel suo negazionismo della ragionevolezza, quanto meno, della fede, si muove in un paesaggio “liberale” il cui fondale è stato preparato dalla separazione, nell’insegnamento di Gesù di Nazareth, tra ciò che si deve a Dio e ciò che si deve a Cesare: il fondamento ab intra, nell’esperienza religiosa, istituente la laicità dello spazio pubblico».

Un altro filosofo, Benedetto Ippolito, docente di Storia della Filosofia all’Università degli Studi Roma Tre, ha invece criticato i falchi del “Fatto Quotidiano”, in particolare il solito Marco Politi, che si sono avventati sulla lettera del Pontefice per portare acqua al loro mulino. Politi parla della Chiesa come “struttura di potere” e Ippolito risponde: «un pensatore certo non facilmente tacciabile di sinistrismo, anche se molto amato dai comunisti, come Carl Schmitt diceva giustamente che la peculiarità della Chiesa romana è che ha un’autorità assoluta, appunto perché non ha bisogno del potere. In “Chiesa cattolica e forma politica”, il giurista tedesco aggiunge che ciò la separa dalle istituzioni moderne. In effetti, sebbene la ricchezza e la gestione delle pecuniae non manchi, la forza della Chiesa è il messaggio cristiano, ossia il rappresentare la voce di Cristo nella storia. La Chiesa, e il papa ad personam, “rappresenta” Dio. Ciò basta a darle autorità, senza bisogno di persuadere mediante la ricchezza. E’ forse perché ciò talvolta è avvenuto, anche di recente, tra alcuni prelati, che Bergoglio sta, giustamente, sostenendo la povertà in spirito, che significa esattamente non rinuncia ma affermazione dell’autorità spirituale sopra i mezzi materiali a disposizione».

Ippolito ha infine criticato i titoli del “Fatto” sulla “fede laica” di Francesco: «La fede cristiana, al contrario delle tante credenze laiciste, non da ultimo quella che fino a ieri portava tanti giornalisti di sinistra a credere nello splendore dei Soviet, è un credere in Dio. Cioè è un aprire la propria mente, il proprio cuore, la propria libertà all’amore eterno di un Salvatore divino e umano. In questo senso solo la fede cristiana è laica, perché libera di aderire al soprannaturale come apertura a una dimensione di razionalità superiore. Nessun’altra fede è laica ma dogmatica, come si capisce dalle tante superstizioni che hanno gli illuministi e i laicisti di maniera. Il Papa non laicizza la fede, riscopre, anzi, il suo valore di luce che spalanca l’anima alla verità. Ci viene di chiedere a tanti validi commentatori se hanno la laicità sufficiente per capire quello che avviene Oltretevere».

Anche Francesco Botturi, docente di Filosofia morale all’Università Cattolica, è intervenutospiegando la differenza di concezione della coscienza tra Francesco e Scalfari. «coscienza non significa “parere”, ciò che appare o si permette di apparire o ciò di cui ci si autoconvince per qualche motivo, bensì capacità di valutare in concreto, che esige la responsabilità morale di indagine sui fattori in gioco, di consiglio presso altri soggetti morali, di discernimento delle alternative secondo criteri accreditati dal punto di vista delle verità morale. La soggettività della coscienza, cioè, non è la porta d’entrata del soggettivismo morale, ma esercizio critico di libertà che tiene in massimo e accurato conto la realtà in gioco». Si tratta come dice il papa di «“decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male”, una volta che di tutto ciò si risponde responsabilmente, allora il soggetto agente non solo può attenersi alla sua coscienza, ma lo deve; lo deve alla suprema dignità della sua libertà, che è dono di Dio a cui corrispondere». Per questo, spiega Botturi «la risposta di Scalfari risulta una forzatura».

Coordin.
00martedì 8 ottobre 2013 08:18

IL (VERO) FRANCESCO CHE NON APPLAUDE SCALFARI. OGGI IL SANTO DI ASSISI SAREBBE BOLLATO DAI GIORNALI COME “FONDAMENTALISTA” E “FANATICO”.

Posted: 04 Oct 2013 12:21 AM PDT

La visita del Papa ad Assisi riporta agli onori della cronaca il più famoso dei santi, quello di cui Bergoglio ha preso il nome. Francesco d’Assisi però è anche il più incompreso dei santi, perché fu l’opposto esatto del santino che ne fanno oggi i media, rappresentandolo come uno svagato ecologista, ecumenista e buonista umanitario.

 

IL VERO FRANCESCO

 

Il cardinal Biffi, celebrandone la festa ad Assisi nel 2004, disse che vedeva in giro “un francescanesimo di maniera, svigorito in un estetismo senza convinzioni esistenziali”, un brodino tale “che tutti lo possano assumere senza ripulse e drammi interiori, stemperato in una religiosità indistinta che non inquieti nessuno”.

Invitava dunque a conoscere l’opera e la figura di Francesco “nella loro verità”. La verità di questo santo è l’adesione totale e assoluta al Vangelo, letteralmente. Sine glossa. Senza accomodamenti con la mentalità dominante.

Senza quelle concessioni allo spirito dei tempi che qualche cattolico oggi fa in nome del “dialogo col mondo” e della cosiddetta “apertura alla modernità”.

Per capire cosa significa ai giorni nostri – come suggeriva Biffi – bisogna rileggere le sue (quasi sconosciute) lettere considerandole scritte per i tempi odierni. Scopriremo che oggi Francesco verrebbe sicuramente liquidato dai media come “un fanatico”, un “fondamentalista”, un cattolico “integralista e reazionario”.

 

AI POLITICI E ALTRI POTENTI

 

Prendiamo la lettera che scrisse “a podestà, consoli, magistrati e reggitori dei popoli”, cioè tutte le cariche pubbliche (non solo i politici). Pensate che abbia fatto loro l’elenco dei problemi sociali, parlando di disoccupazione, pace, ambiente o economia? Tutt’altro.

Li esortò potentemente a professare la fede cattolica per salvare le anime loro e quelle dei loro popoli:

“Ricordate e pensate che il giorno della morte si avvicina. Vi supplico allora, con rispetto per quanto posso, di non dimenticare il Signore, presi come siete dalle cure e dalle preoccupazioni del mondo. Obbedite ai suoi comandamenti, poiché tutti quelli che dimenticano il Signore e si allontanano dalle sue leggi sono maledetti e saranno dimenticati da lui. E quando verrà il giorno della morte, tutte quelle cose che credevano di avere saranno loro tolte”.

Proseguiva (e penso a intellettuali e giornalisti):

E quanto più saranno sapienti e potenti in questo mondo, tanto più dovranno patire le pene nell’inferno. Perciò vi consiglio, signori miei, di mettere da parte ogni cura e preoccupazione e di ricevere devotamente la comunione del santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo in sua santa memoria”.

Continua (e faccio una dedica a tutti quei politici e governanti che oggi cancellano ogni memoria cristiana):

“Siete tenuti ad attribuire al Signore tanto onore fra il popolo a voi affidato, che ogni sera si annunci, mediante un banditore o qualche altro segno, che siano rese lodi e grazie all’onnipotente Signore Iddio da tutto il popolo. E se non farete questo, sappiate che dovrete renderne ragione (cf. Mt. 12,36) a Dio davanti al Signore vostro Gesù Cristo nel giorno del giudizio”.

 

AI FEDELI LAICI

 

San Francesco indirizzò poi un’altra lettera ai semplici fedeli laici a cui raccomandò di stringersi alla “dolcezza” e “soavità” del Signore Gesù, osservando i comandamenti e facendo penitenza.

Chi invece non segue Cristo è esortato a convertirsi e se persevera nel peccato è accoratamente ammonito dal santo di Assisi: “costoro sono prigionieri del diavolo… essi vedono e riconoscono, sanno e fanno il male, e consapevolmente perdono la loro anima”.

Perché “chiunque muore in peccato mortale… il diavolo rapisce l’anima di lui… e tutti i talenti e il potere e la scienza e la sapienza che credevano di possedere sarà loro tolta… e andranno all’inferno dove saranno tormentati eternamente”.

 

AI SACERDOTI E SULLA CHIESA

 

C’è poi una lettera di san Francesco ai sacerdoti. Anch’essa sorprendente, perché non esorta i sacri ministri all’azione sociale o all’attività umanitaria, ma li esorta principalmente atributare il massimo onore “al santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo”.

Il santo infatti è addolorato perché da molti “il corpo del Signore viene collocato e lasciato in luoghi indegni, viene trasportato senza nessun onore e ricevuto senza le dovute disposizioni e amministrato senza riverenza”.

Sembra qui di sentir riecheggiare la preoccupazione di Benedetto XVI, il suo invito a cessare gli abusi liturgici del postconcilio, il desiderio di riportare il sacrificio eucaristico, con i più santi riti, al centro della Chiesa e l’adorazione al cuore della vita (proprio di recente alcuni figli spirituali del santo, i Francescani dell’Immacolata, hanno fatto parlare di sé per l’amore alla sacra liturgia).

Eguale sottolineatura san Francesco fa per le preziose parole del Signore, ossia il Vangelo, alla cui difesa (dagli attacchi ideologici) papa Benedetto ha dedicato tre poderosi libri.

Dice san Francesco:

“Anche i nomi e le parole di lui scritte talvolta vengono calpestate, perché ‘l’uomo carnale non comprende le cose di Dio’ (1Cor 2,14). Non dovremmo sentirci mossi a pietà per tutto questo, dal momento che lo stesso pio Signore si consegna nelle nostre mani e noi l’abbiamo a nostra disposizione e ce ne comunichiamo ogni giorno?”.

Ecco perché san Francesco ha un particolare atteggiamento di venerazione per la santa Chiesa. Da quando riceve dal crocifisso di San Damiano il mandato “Ripara la mia Chiesa” egli avrà per la Sposa di Cristo solo parole di amore.

E quando va a sottoporsi al giudizio della Santa Sede dice con tenerezza “Andiamo dalla madre nostra”. E quando sa di ecclesiastici indegni o corrotti (e ce n’erano!) lui va a baciare le loro mani perché sono quelle mani che consacrano il corpo del Signore.

E di fronte alla corte pontificia non lancia strali e anatemi sui lussi e le vanità ecclesiastiche, ma, povero e umile, promette l’obbedienza sua e quella dei suoi frati ai pastori stabiliti da Cristo.

 

PROSELITISMO E POVERTA’

 

Infine nella sua “Regola non bullata” invita i suoi frati a dare testimonianza a Cristo (fino al martirio) anche “tra i saraceni e gli altri infedeli” (del resto lui stesso andò ad annunciare Cristo al Sultano e molto presto i suoi frati ricevettero il martirio).

Non ritenne la testimonianza un deteriore “proselitismo”. Infatti per lui la conversione era la via della salvezza.

Anche il tema della “povertà”, centrale nell’esperienza francescana, è stato totalmente frainteso. Per il santo la povertà non era una condizione sociale da sradicare, ma anzi un modo di vita da abbracciare con amore.

Non considerava infatti la “povertà” una categoria economica, ma teologica. La riferiva al Figlio di Dio che “spogliò se stesso assumendo al condizione di servo”, Colui che “da ricco che era”, cioè Dio, si fece uomo di carne mortale, che annientò se stesso per la salvezza degli uomini.

La povertà di Francesco era memoria dell’incarnazione.

 

SCEGLIERE: O SAN FRANCESCO O MARTINI

 

Questo è il santo di cui papa Bergoglio ha preso il nome e che oggi va ad omaggiare ad Assisi. Lui che è il primo papa gesuita sa che storicamente un certo filone del gesuitismo si è duramente scontrato con la radicalità evangelica di san Francesco.

C’è infatti una parte del movimento gesuitico che – invece di innalzare gli uomini al Vangelo (come san Francesco) – ha pensato di abbassare il Vangelo ai costumi delle genti e alle culture delle corti principesche.

E’ la polemica contro i gesuiti del Pascal delle “Lettere provinciali” che li accusò di lassismo.

Anche il dotto gesuita Matteo Ricci in Cina ritenne di poter accettare riti pagani e culture ritenute invece inaccettabili dai francescani (la Santa Sede dette ragione a questi ultimi e i gesuiti si giocarono il favore della corte cinese).

Del resto fu un papa francescano, Clemente XIV a sopprimere nel 1773 i gesuiti. Dunque anche oggi c’è un bivio, bisogna scegliere fra la radicalità di san Francesco e – per fare un esempio attuale – lo “spirito dialogante” col mondo del gesuita cardinal Martini.

 

Antonio Socci

Credente
00venerdì 18 ottobre 2013 11:31

Il giudizio di Papa Francesco:
«l’aborto è una condanna a morte»

Francesco bambinoNella recente intervista a “La Civiltà Cattolica” Papa Francesco ha riflettuto sui cosiddetti “valori non negoziabili” invitando i cattolici a mettere sempre al centro l’annuncio evangelico“il Signore ti ha salvato” e non la condanna per chi li vìola e li tradisce. Molti hanno confuso questa precisione come una forma di relativismo ma il Papa sta applicando semplicemente la posizione secolare della Chiesa:misericordia per il peccatore e condanna del peccato.

Quando c’è infatti da condannare l’aborto non si tira indietro, usando parole anche più forti dei suoi predecessori: «Una diffusa mentalità dell’utile, la “cultura dello scarto”, che oggi schiavizza i cuori e le intelligenze di tanti, ha un altissimo costo: richiede di eliminare esseri umani, soprattutto se fisicamente o socialmente più deboli. La nostra risposta a questa mentalità è un “sì” deciso e senza tentennamenti alla vita»come ha detto durante l’incontro promosso dalla Federazione internazionale delle associazioni dei medici cattolici il 20 settembre scorso.

«Ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente ad essere abortito», ha giudicato Francesco, «ha il volto di Gesù Cristo, ha il volto del Signore, che prima ancora di nascere, e poi appena nato ha sperimentato il rifiuto del mondo»«Non si possono scartare, come ci propone la “cultura dello scarto”! Non si possono scartare!», ha incalzato. «Per questo l’attenzione alla vita umana nella sua totalità è diventata negli ultimi tempi una vera e propria priorità del Magistero della Chiesa, particolarmente a quella maggiormente indifesa, cioè al disabile, all’ammalato, al nascituro, al bambino, all’anziano, che è la vita più indifesa».

Esiste una situazione paradossale, ha spiegato, dove «mentre si attribuiscono alla persona nuovi diritti, a volte anche presunti diritti, non sempre si tutela la vita come valore primario e diritto primordiale di ogni uomo. Il fine ultimo dell’agire medico rimane sempre la difesa e la promozione della vita». Occorre dunque «l’impegno di coerenza con la vocazione cristiana verso la cultura contemporanea, per contribuire a riconoscere nella vita umana la dimensione trascendente, l’impronta dell’opera creatrice di Dio, fin dal primo istante del suo concepimento. È questo un impegno di nuova evangelizzazione che richiede spesso di andare controcorrente, pagando di persona. Il Signore conta anche su di voi per diffondere il “vangelo della vita”».

La posizione della Chiesa, ha spiegato Francesco, è basata sulla scienza e non solo sulla fede. Ha infatti invitato i ginecologi cattolici a difendere la vita «nella sua fase iniziale e ricordate a tutti, con i fatti e con le parole, che questa è sempre, in tutte le sue fasi e ad ogni età, sacra ed è sempre di qualità. E non per un discorso di fede – no, no – ma di ragione, per un discorso di scienza! Non esiste una vita umana più sacra di un’altra, come non esiste una vita umana qualitativamente più significativa di un’altra. La credibilità di un sistema sanitario non si misura solo per l’efficienza, ma soprattutto per l’attenzione e l’amore verso le persone, la cui vita sempre è sacra e inviolabile».

Per questo, «la Chiesa fa appello alle coscienze, alle coscienze di tutti i professionisti e i volontari della sanità, in maniera particolare di voi ginecologi, chiamati a collaborare alla nascita di nuove vite umane». 

Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 14:59.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com