LA CHIESA DI FRONTE AI TOTALITARISMI

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00sabato 16 giugno 2012 23:58

La Chiesa di fronte ai Totalitarismi: una Chiesa maestra

La Chiesa non è soltanto martire; è anche Maestra.
I Papi hanno il dovere di smascherare le false dottrine. 
Il magistero pontificio di questi decenni è denso di interventi chiarificatori. 
Nei riguardi del Messico Pio XI è intervenuto in diverse occasioni. 
1) Con l'Epistola Apostolica Paterna Sane (2-2-26);
2) Con l'Enciclica Iniquis Afflictisque (18-11-26);
3) Con l'Epistola Enciclica (29-9-32).

Anche per la Spagna Pio XI non è stato a guardare. Il suo principale intervento è costituito dalla Lettera enciclica Dilectissima Nobis (3-6-33). 
In questa doppia serie di interventi il Papa rivendica alla Chiesa i suoi diritti di professare liberamente la fede cattolica e di esercitare il culto nelle varie modalità pastorali. Esorta vescovi, sacerdoti, fedeli di rimanere fedeli al mandao di Cristo.

Tuttavia i due interventi più conosciuti e che hanno suscitato più scalpore sono state le due Encicliche del 1937 contro il nazional-socialismo e il comunismo. Rispettivamente la Mit Brennender Sorge(14-3-37) e la Divini Redemptoris (19-3-37). E' da ricordare che ambedue i documenti sono stati preparati dall'allora Card. Eugenio Pacelli, Segretario di Stato. 
Nel documento contro il nazional-socialismo, definito "una delle più severe condanne di un regime nazionale che il Vaticano avesse pronunciato" (Rhodes), Pio XI chiarisce lo specifico della dottrina cristiana che non ha niente a che vedere con questa nuova filosofia della vita. Molti cristiani potevano essere indotti in errore. Per questo il Pontefice tenta di smascherare quegli insani principi che già avvelenavano il popolo. Evidenzia come il nazional-socialismo sta esattamente agli antipodi del cristianesimo; non è per l'uomo ma contro l'uomo. 
Si tratta di due concezioni opposte della vita e del mondo. L'una imperniata sull'uomo, sul sangue, sulle sue capacità di autoredenzione, sull'orgoglio della razza; l'altra dominata dalle idee di Dio, della sua rivelazione biblica, del peccato e della redenzione per Cristo, della Chiesa, dalla rivalutazione dell'uomo, di qualunque uomo in quanto fatto ad immagine e somiglianza di Dio e redento da Cristo. Il cristianesimo è una religione universale ed è proteso a tutta l'umanità. 
Pio XI cercò in qualunque modo di smascherare queste insane dottrine. 
Lo stesso concordato del 20 luglio 1933 con il Terzo Reich non è affatto un atto di simpatia verso il nuovo regime ma una condanna indiretta in quanto costituisce una difesa da parte della Chiesa che si sentiva minacciata nella sua stessa natura. 
Così il grande storico Jedin commenta il fatto: "La Chiesa quindi si trovò necessitata ad un concordato in una misura mai sperimentata fino a quel momento. Pertanto il concordato della Santa Sede con il Reich germanico va considerato un'arma difensiva". 
L'Episcopato tedesco collimava in pieno con il Pontefice da costituire allora veramente un 'cuor solo ed un'anima sola'. Diverse furono le condanne prese nelle riunioni episcopali a Fulda e nelle letetre pastorali: sono almeno 10 questi interventi.
Famose sono anche le prediche degli arcivescovi Faulhaber e von Galen rispettivamente nell'avvento del 1933 e nell'estate del 1941 per le decise prese di posizione contro l'ideologia nazional-socialista decisamente anticristiana ed antiumana.
A pochi giorni di distanza uscì l'altro documento: Divini Redemptorisnel quale si evidenziavano tutti i mali del comunismo applicato in Russia, Messico, Spagna. Ne stigmatizza in particolare la dottrina in quanto non solo contro la Chiesa ma contro qualunque forma di religione e contro lo stesso uomo: "Il comunismo spoglia l'uomo della sua libertà, toglie ogni libertà alla persona umana ed ogni ritegno morale contro l'assalto degli stimoli ciechi. Diventa una semplice ruota ed ingranaggio del sistema (10)... Rifiuta alla vita umana ogni carattere sacro e spirituale (11)... Il comunismo impoverisce la persona umana, capovolgendo i termini della relazione dell'uomo e della società" (30). "Il comunismo di oggi... nasconde in sé un'idea di falsa redenzione. Uno pseudo ideale di giustizia, di uguaglianza e di fraternità nel lavoro, pervade tutta la sua dottrina e tutta la sua attività di un falso misticismo" (8). 
Questa dottrina era stata già condannata dai suoi predecessori fin dal suo sorgere nel secolo scorso. Pio IX, nella enciclica Qui Pluribus così la stimmatizzò: "Nefanda dottrina, sommamente contraria allo stesso diritto naturale, che porta al radicale sovvertimento dei diritti, delle cose, delle proprietà di tutti, e della stessa società umana" (Qui pluribus, 9-11-1846). Ed il suo successore Leone XIII, a sua volta riferendosi a questa dotrina, così si esprimeva: "Micidiale pestilenza che intaccando il midollo della società umana la condurrebbe alla rovina" (Quod apostolici Muneris, 28-12-1878).

La seconda guerra mondiale ha fatto da spartiacque tra la prima e seconda parte del secolo. 
Le persecuzioni del nazional-socialismo ed i tentativi di distruggere la Chiesa sono terminati con l'annientamento del sistema.
Mentre sono continuate in forma esasperata nell'Unione Sovietica e nelle Nazioni dell'Europa dell'Est cadute sotto la sua egemonia. 
Qalche anno dopo un altro fronte si è aperto in Cina con la vittoria di Mao: un'altra cristianità martirizzata ed immolata all'idolo di una folle ideologia. Mao ha recato un danno ancora più grave: ha creato una 'chiesa parallela' a servizio del Partito: la 'chiesa patriottica' che esiste ancora oggi e procura non poche difficoltà. 
Inoltre la persecuzione si è estesa anche alle Chiese dei territori del Sud-Est asiatico, dovunque si è impiantato il regime comunista: Viet-Nam, Laos, Cambogia, Corea. 
In queste nazioni i fedeli hanno dimostrato una fede veramente eroica. 
Già si sa molto delle uccisioni subite dalla Chiesa cinese, delle limitazioni e persecuzioni. Continuamente, ancora oggi, giungono testimonianze di tutto questo. Ma quando anche qui si potranno consultare gli archivi, apparirà tutta l'immane tragedia che i cristiani cinesi hanno vissuto per la loro fedeltà a Cristo. 
Gli anni '60 hanno visto l'estendersi della lotta contro la Chiesa anche nel continente africano e latino-americano. 
Nel continente africano, la decolonizzazione e l'odio contro gli europei ha coinvolto anche la Chiesa. Si tratta di fatti conosciuti da tutti.
Nell'America Latina le varie dittature che hanno voluto trovare una giustificazione nella dottrina della Sicurezza Nazionale, hanno combattuto la Chiesa considerandola un veicolo per la diffusione dell'ideologia comunista, una porta per l'affermazione dei partiti comunisti nel Sud-America. Quale cecità!
Il fatto che la Chiesa, schieratasi sempre a favore dell'uomo, predicava la giustizia sociale, difendeva i poveri, gli oppressi, dava voce a chi non ne aveva, è stato frainteso come predicazione del marxismo! 
Si è dimenticato invece che la giustizia è una virtù naturale che rientra nei contenuti del V° comandamento. La Chiesa, impegnandosi a difendere i deboli contro i soprusi, predicando la giustizia sociale non fa altro che compiere un suo dovere, quello di predicare il Vangelo nella sua interezza, nel quale sono contenuti anche i principi della virtù della giustizia. 
Del resto la dottrina sociale della Chiesa si fonda proprio su questo. 
Ma la miopia di certi uomini, che si chiamavano 'cristiani', non permetteva loro di comprendere questo dinamismo interno alla Chiesa, la quale ha pagato e continua a pagare a carissimo prezzo la fedeltà al compimento della sua missione evangelica.
Uno per tutti mi piace ricordare Mons. Oscar Romero. Nella sua ultima predica difese questo compito della Chiesa. 
Ma dietro questo nome ci sono tanti altri meno carismatici ma non per questo meno degni di memoria e di ammirazione. 
Un altro fronte persecutorio è costituito dai vari integralismi religiosi, con la copertura di nazionalismo. Basta pensare alla situazione della Chiesa nel Libano, in Indonesia. Sono di poche settimane fa le violenze che si sono abbattute contro i cattolici di Timor Est. 
Nel Nord-Africa e negli Emirati arabi la Chiesa continuamente è sottoposta a soprusi di ogni specie, limitazioni, brutalità fino alle uccisioni. Le notizie che continuamente giungono sono davvero raccapriccianti.

Credente
00domenica 17 giugno 2012 00:00

Se questi sono i Fronti negativi che chiameremo Ad Extra, non sono mancati in questo secolo gli attentati Ad Intra, all'interno della stessa Chiesa, dai quali lei si è dovuta difendere. Si tratta di attentati alla dottrina stessa della Chiesa, gli attacchi all'ortodossia. 
Il secolo si è aperto con il modernismo e la questione dell'Action Française, facente capo a Charles Maurras e condannata dal Vaticano nel 1926. L'appoggio dato alla Chiesa da questo movimento aveva poco da fare con la religione. 
Altri interventi si sono succeduti sia prima come dopo il Concilio: il catechismo olandese, un libro di moralisti americani sulla sessualità; recentemente circa la 'Teologia della Liberazione' in America Latina, ed altre deviazioni dottrinali di singoli teologi.
Combes parlava di 'gerarchia dispotica'. Questo atteggiamento della Chiesa non potrebbe dar adito ad una riflessione: la Chiesa che combatte i totalitarismi non è poi la prima totalitaria a casa sua?
Qui si deve chiarire la struttura della Chiesa che è una 'societas sui generis'. Uno degli angoli di osservazione sbagliati è quello di porsi nei riguardi della Chiesa con un'ottica pagana, pianificandola con tante altre organizzazioni umane. La Chiesa non ha coniato, non possiede una 'sua' dottrina, ma solo quella del suo fondatore Cristo, alla quale lui l'ha affidata e che la Chiesa deve sforzarsi di custodire gelosamente. 
Allora non si tratta di 'dittatura del pensiero' ma di 'fedeltà' a Cristo e di rispetto per la verità. La Chiesa è chiamata ad esercitare la 'diaconia' della verità. 
Se sono molto pericolosi i tentativi da parte di strutture politiche di annientare la Chiesa nella sua conformazione visibile, molto più rischioso è l'attentato che viene rivolto al cuore stesso della Chiesa, all'integrità della dottrina cristiana. Non ho detto "alla 'sua' dottrina" ma "alla dottrina di Cristo". Volutamente mi sono espresso così proprio perché la dottrina che la Chiesa presenta e difende non è la 'sua' ma le è stata affidata da Cristo. 
La discussione teologica è utile e necessaria se serve a chiarire, approfondire, evidenziare la ricchezza intrinseca della verità. E' invece dannosa quando tenta di mettere in dubbio la stessa verità, di alterarne l'essenza stessa dei contenuti. Compito dei teologi è di sviscerare i profondi e molteplici contenuti della verità. Il teologo, all'inizio del suo mandato deve proferire un giuramento di fedeltà, dove tra l'altro si legge: "Nell'adempiere il compito che mi è stato affidato a nome della Chiesa conserverò integro il deposito della fede, lo trasmetterò e lo spiegherò fedelmente, evitando qualsiasi dottrina ad esso contraria" (Professio Fidei, 1 marzo 1989). 
A questo punto la Chiesa interviene spinta da un duplice dovere di fedeltà: a Cristo ed all'uomo. Giovanni Paolo II è intervenuto su tale argomento con l'enciclica Veritatis Splendor. Nel n. 37 si legge: "In forza del mandato divino che gli è stato dato nella Chiesa, il magistero ha per missione di proporre l'insegnamento del Vangelo, di vegliare sulla sua integrità e di proteggere così la fede del popolo di Dio. Per realizzare questo, talvolta può essere costretto a prendere delle misure onerose. Agendo così esso intendere essere fedele alla sua missione".

Ho tentato di aprire uno squarcio nella storia di questa secolo per quanto riguarda le difficoltà che la Chiesa ha dovuto affrontare. E' emerso un panorama preoccupante ed eroico: eroico perché la Chiesa non ha ceduto e dopo la persecuzione è rifiorita più giovanile di prima, annaffiata dal sangue dei martiri, secondo quella proverbiale espressione di Tertulliano: "Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani". Ma anche preoccupante e doloroso, segno della miopia e superficialità degli uomini. Se costoro fossero convinti dell'importanza della Chiesa, della sua insostituibilità nel quadro dell'ecologia morale e spirituale, non si sforzerebbero di privare il mondo e loro stessi di un bene così preziono ed unico. In una lettera un cristiano del Viet-Nam così si esprime: "Quando si vive in una società in cui la religione esiste, si critica i religiosi senza rendersi conto di come sarebbe la vita senza di essi. E' solo quando si vede tutta una società che bandisce la religione, che ci si rende conto fino a che punto l'uomo può diventare orribile senza di essa" (settembre 1977). 
La frase di Anthony Rhodes, citata all'inizio è profondamente vera. Proviamo ad immaginare la società di oggi senza questo punto di riferimento. In un mondo di compromessi, che va alla deriva, che ha perso la bussola dei valori, la Chiesa è l'unica che si erge come via e luce, che ha il coraggio, a rischio di rendersi antipatica, di proclamare come stanno le cose, la verità sull'uomo, che non sbiadisce i valori ma li ripresenta, sfidando l'attuale schizofrenia dell'uomo occidentale, pur di salvarlo dalla spirale dell'autodistruzione interiore. 
Anche questa Chiesa è santa e peccatrice insieme. Anche lei ha bisogno di perdono. Ma se lei deve chiedere perdono, molto di più deve concedere il perdono. Ma la Chiesa, vera madre, ha già perdonato, al imitazione del suo Fondatore: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno", non sanno di qual bene privano loro e la stessa umanità con la distruzione della Chiesa.
Costoro tuttavia devono rendersi conto di un'altra realtà. Forse a costoro sarà bene ricordare le parole del saggio Gamaliele il quale al Sinedrio che voleva impedire agli Apostoli di predicare nel nome di Cristo, rispose: "Lasciate in pace questi uomini e non occupatevene più. E la ragione è questa: nel caso che questa teoria e questa prassi sia di origine umana essa si dissolverà; se invece è da Dio, non sarete voi a distruggerla; senza contare che un giorno non vorrete risultare nemici anche di Dio" (At V, 38 s.). 
S. Leone Magno scriveva: "Nessun genere di crudeltà può distruggere una religione, che si fonda sul mistero della croce di Cristo. La Chiesa infatti non diminuisce con le persecuzioni, anzi si sviluppa, e il campo del Signore si arricchisce di una messe sempre più abbondante, quando i chicchi di grano, caduti a uno a uno, tornano a rinascere moltiplicati" (Discorso n. 82).
Questo non perché gli uomini che dirigono la Chiesa sono migliori o più bravi degli altri, ma perché la Chiesa è di Cristo e dietro questi uomini c'è l'assistenza continua di Cristo e del Suo Spirito: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevaranno contro di essa" (Mt XVI, 18); "Ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo" (Mt XXVIII, 20).

di Vitaliano Mattioli

Credente
00mercoledì 22 agosto 2012 15:10

Lo storico ebreo Gilbert:
«Vaticano e Pio XII salvarono migliaia di ebrei»

Ormai, a parte il rabbino Riccardo Di Segni e pochi altri, sono davvero numerosi gli storici ebrei a favore dell’operato di Pio XII circa le sorti degli ebrei durante la dittatura nazista.

L’ultimo in ordine cronologico ad esprimersi è statoMartin Gilbert,  storico di origine ebraica famoso come biografo ufficiale di Winston Churchill e come uno dei più noti studiosi dell’Olocausto, autore di 72 libri, molti dei quali sull’argomento.  Ha dedicato gran parte della sua vita a declassificare i documenti e verificare testimonianze sulla storia ebraica. 

Ha affermato il mese scorso«Come storico ebreo, ho a lungo sentito il bisogno di rivelare pienamente l’aiuto cristiano agli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale e la storia degli uomini che sono stati coinvolti nel salvataggio». Gilbert ha anche parlato delruolo del Vaticano e dei suoi rappresentanti: «All’inizio erano soprattutto preoccupati per il destino degli ebrei che si erano convertiti al cristianesimo, ma quando il delitto divenne evidente il Vaticano ha espresso preoccupazione non solo per la loro macellazione, ma  ha incoraggiato i rappresentanti pontifici in Europa a compiere ogni sforzo a favore dei perseguitati».

Cadono dunque le accuse a Pio XII, il quale «ha ritenuto, a mio parere correttamente, che l’intervento diretto avrebbe avuto conseguenze disastrose nelle forme di rappresaglia e un’escalation di persecuzione. Scomunicando Hitler non avrebbe ottenuto altro che aumentare la persecuzione dei cattolici sotto la loro sfera di controllo». Gilbert ha poi raccontato che «sacerdoti e vescovi cattolici hanno lavorato per salvaregli ebrei in ogni paese in cui venivano minacciati, tra cui Francia, Italia e Polonia, paese che era in vigore la pena di morte per coloro che aiutavano gli ebrei». Molti cattolici vennero massacrati per questi aiuti, come accadde alla famiglia Ulma (di cui è stato avviato il processo di beatificazione).

«In Ungheria», ha proseguito lo storico ebreo, «il Nunzio Apostolico Angelo Rotta ha condotto uno sforzo diplomatico tale da salvare oltre un centinaio di migliaia di ebrei. In Francia, la Chiesa cattolica è stata molto attiva nel salvare decine di migliaia di persone e in Italia, chiese e monasteri sono stati i primi a salvare vite umane. Quando le SS vennero a Roma, la Santa Sede prese sotto la sua protezione centinaia di migliaia di ebrei, accogliendoli in Vaticano e incoraggiando nel contempo tutte le istituzioni cattoliche a fare altrettanto»«Grazie a queste iniziative», ha quindi concluso, «meno di un quarto di tutti gli ebrei romani furono imprigionati o deportati. La Chiesa cattolica è stata al centro di questa grande operazione di salvataggio. Io la definisco un’opera sacra».

Credente
00giovedì 18 ottobre 2012 14:02

Sfatiamo i Luoghi comuni su Chiesa e nazismo

La simpatia della Chiesa verso il nazismo è una delle più deboli leggende nere, ma anche una tra le più diffuse e persistenti. Su questo argomento sono sorti tanti luoghi comuni divenuti spesso cavalli di battaglia per gli anticlericali che sogliono paragonare il cattolicesimo al partito nazionalsocialista. Si sostiene, per esempio, che il Vaticano avrebbe mandato al potere i nazisti, persuadendo il Partito del Centro a votare per Hitler in cambio della promessa di un Concordato, per poi abbandonare il partito una volta che questo fu stipulato. Nella realtà, la prospettiva di un concordato non ebbe alcuna parte nei negoziati tra il Centro e Hitler in vista della votazione del decreto dei pieni poteri e il partito cattolico non si sciolse per via delle pressioni vaticane (lo stesso Pacelli apprenderà dell’autoscioglimento dai giornali), ma per via delle minacce che già avevano colpito tutte le forze politiche.

Inoltre, il Concordato venne stipulato non per ricavare vantaggi, nonostante molti continuino a ripeterlo, ma per difendersi dai nazisti. La gerarchia ecclesiastica era ben consapevole della loro inaffidabilità tanto che il cardinale Faulhaber affermò: “con il Concordato siamo impiccati, senza il Concordato saremmo impiccati, torturati e squartati” (M. Burleigh, In nome di Dio Bergamo 2007 pp. 203-207).

Un’altra bufala riguarda il fatto che Hitler fosse cattolico. Se è vero, infatti, che nei discorsi pubblici ci teneva a presentarsi come il difensore della cristianità contro il bolscevismo, è pur vero che privatamente fu assai critico verso il cristianesimo che considerava una religione ebraica (come documentato nelle “Conversazioni a tavola”) e che tali affermazioni pubbliche erano contraddette dalla sua politica ecclesiastica.  Infatti, durante tutto il periodo del Terzo Reich entrambe le Chiese furono perseguitate e,come rileva lo storico Sergio Romano“se avesse vinto la guerra, Hitler avrebbe trattato le Chiese cristiane come stati sconfitti”. Gli abitanti della Germania erano per la maggior parte cristiani (formalmente), ma molti alti gerarchi nazisti (tra cui Hitler stesso) eranofieri avversari del cristianesimo come Martin Bormann, Heinrich Himmler, Alfred Rosenberg, Baldur von Schirach e si proponevano d’eliminarlo. Il moto dell’esercito tedesco “Gott mis uns” (“Dio è con noi”), era già presente fin dai tempi degli imperatori tedeschi e il regime nazista scelse di tenerlo per non accentuare i dubbi già presenti della classe degli ufficiali tedeschi verso il regime.

Non vi fu, inoltre, alcuna alleanza tra i papi e il nazismo per un fronte comune contro il comunismo, anzi  durante la guerra la Santa Sede si rifiutò di benedire l’attacco tedesco alla Russia, sia per via del suo atteggiamento improntato alla neutralità, sia perché entrambe le dittature erano anticristiane come spiegò monsignor Domenico Tardini(allora segretario di Stato vaticano) in un colloquio con l’ambasciatore italiano Bernardo Attolico«[Il comunismo] È il peggiore nemico della Chiesa. Ma non è l’unico. Il nazismo ha fatto, e sta facendo, una vera e propria guerra alla Chiesa» (A. Tornielli. Pio XII. Un uomo sul trono di Pietro, Milano 2007 pp. 359-360).  Per contrastare l’idea di questa supposta alleanza basterebbe far presente la lettera circolare di Herman Goringintitolata “Decreto sul cattolicesimo politico nella quale ordinava a tutte le autorità politiche e giudiziarie di procedere contro ogni tentativo dei cattolici d’immischiarsi negli affari dello stato o l’idea accarezzata da Hitler di far prigioniero il papa documentata da una nota del diario di Goebbels del luglio del ’43 (M. Phayer, Il papa e il diavolo, Roma 2008 p. 121).

Una “prova” che i critici del papato portano a sostegno del filonazismo di Pio XII è ilpresunto aiuto del Vaticano alla fuga di alcuni nazisti (spesso negando o minimizzandol’apporto dato dal papa alla fuga o al nascondiglio di ebrei e partigiani durante la guerra). È noto infatti, che il vescovo Alois Hudal aiutò a far fuggire molti gerarchi, ma non vi è unanimità sugli studiosi, se egli agisse per conto proprio o sull’assenso della Santa Sede. Un indizio che agisse per sua iniziativa sta nel fatto che il vescovo austriaco era malvistonegli ambienti vaticani tanto che nelle sue memorie Hudal si lamentò dell‘ostilità subita da Pio XII e da Montini e attaccò il rifiuto delle gerarchie ecclesiastiche a formare un’alleanza con la Germania per fermare il “comunismo ateo”. All’epoca poi, il papa autorizzò il gesuita americano Edmund Walsh a presentare un dossier al Tribunale dei Crimini di guerra a Norimberga in cui si documentavano i crimini e le atrocità dei nazisti (David G. Dalin, “La storia come calunnia. Daniel Goldhagen diffama la Chiesa Cattolica”).

Il fatto che Pio XII non avesse denunciato pubblicamente durante la guerra le atrocità naziste non implica in alcun modo una qualche simpatia per il regime tedesco perché il papa durante la guerra non denunciò pubblicamente neppure le atrocità di Stalin, preferendo agire di nascosto per aiutare le vittime dei totalitarismi e scegliendo di scomunicare i comunisti solo quattro anni dopo la fine del conflitto ossia quando i nazisti non potevano più sfruttare la sua condanna anticomunista a scopo di propaganda. Al contrario, l’antipatia di Achille Ratti e di Pacelli nei confronti del regime tedesco e della sua ideologia è ben nota e documentata, ma poco importa ai calunniatori della Chiesa che alla storia preferiscono la propaganda.

Mattia Ferrari

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00giovedì 18 ottobre 2012 14:04

Pio XII contro Hitler e Mussolini

Che Pio XII non potesse essere filonazista lo sì può dedurre dal semplice fatto che era in contatto con la resistenza tedesca e lui stesso fece da tramite tra loro e gli inglesi per appoggiare un complotto avente l’obbiettivo di spodestare Hitler, ma questo naufragò per via delle diffidenze inglesi (M. Hesemann, “Contro la Chiesa”, Milano 2009 p. 306). Vi furono altre azioni contro il nazismo: il Vaticano, ad esempio, avvisò il Belgio e l’Olanda dell’imminente attacco a sorpresa tedesco nel tentativo (non riuscito) di fermare l’invasione e fu anche preventivamente informato dell’Operazione Valchiria (A. Tornielli, “Pio XII: un uomo sul trono di Pietro”, nota 67 p. 606).

Per contro, Hitler considerò il pontefice un suo “nemico personale” e durante la guerra si ebbero delle notizie che affermavano che il dittatore tedesco avesse in mente dideportare il Papa. Gli storici sono divisi sul fatto se tale piano esistesse davvero o fosse solo una voce di propaganda, ma alcuni elementi possono indurre a pensare che il dittatore sarebbe stato in grado d’effettuare un piano simile. Si sa, infatti, che il Fhurer considerava Pio XII uno dei responsabili della caduta di Mussolini e nell’invadere l’Italia era intenzionato inizialmente a invadere anche il Vaticano e dichiarò ai suoi generali: «Io entro subito in Vaticano! Credete che il Vaticano mi preoccupi? Quello è subito preso: là dentro vi è tutto il corpo diplomatico. Non me ne importa nulla. La canaglia è là e noi tiriamo fuori tutto quel branco di porci». Il timore del Pacelli di essere rapito fu autentico e simile paura si era manifestata già dal 1941, ben due anni prima dell’occupazione dell’Italia! (R. Grahaman, “Voleva Hitler allontanare da Roma Pio XII?”).

Pio XII intervenne anche contro il fascismo. Non erano mancati, negli anni precedenti, accordi tra Mussolini e la Chiesa, ma l’avvicinamento dell’Italia alla Germania nazista con l’introduzione delle legge razziali e l’entrata in guerra in fianco all’alleato tedesco, avevanogelato i rapporti. Del resto, Mussolini rimase sempre anticlericale sia per via del suo passato socialista mai del tutto sopito, sia perché intuiva che il Vaticano sarebbe stato un ostacolo al suo potere assoluto e spesso si rammaricava di non aver estirpato il papato che considerava il “cancro dell’Italia” (G. Zagheni, “La croce e il fascio”, Torino 2006 p. 260). Nel 1942 la principessa Maria José di Savoia decise d’agire per destituire Mussolini e far uscire l’Italia dalla guerra, ma per farlo occorreva saggiare la disponibilità degli alleati. Intuiva che il coinvolgimento del Vaticano sarebbe stato utile per poter far da tramite e per questo incontrò segretamente Giovanni Battista Montini (futuro Paolo VI) e gli espose i suoi piani. «Riferirò» rispose il prelato e informò Pio XII del colloquio chiedendogli di poter continuare i contatti. Non si conoscono le parole del Pontefice, ma si sa per certo che diede parere positivo perché Montini e la principessa si videro ancora e il prelato informò dall’interno del Vaticano che l’inviato speciale di Roosvelt presso Pio XII, Myron Taylor, aveva assicurato che l’America avrebbe visto con favore l’uscita dell’Italia dal conflitto. Tuttavia, il re Vittorio Emaneuele III, spiccatamente anticlericale,  informato del complotto mise il veto ai rapporti con la Santa Sede: «Niente preti» ordinò, e successivamente provvide a “esiliare” Maria José nell’eremo di Sant’Anna (S. Bertoldi. “Umberto e Maria Josè di Savoia”, Milano 1999 pp. 123-129). La diffidenza del Vaticano si manifestò anche durante la Repubblica di Salò attraverso alcuni atti concreti (rifiuto di riconoscere il nuovo stato, aiuto agli antifascisti, sostegno ai vescovi in contrasto con il regime, ecc.) tanto che Mussolini giunse ad incoraggiare un gruppo di sacerdoti scomunicati che minacciava uno scisma, e a pensare di rivedere il concordato per ridurreil potere della Chiesa nella società. (D. Mack Smith, “Mussolini”, Milano 1999 p. 499).

Riguardo all’Olocausto, basterebbe considerare il fatto che la Chiesa Cattolica  salvò centinaia di migliaia di ebrei senza contare tutti gli interventi diplomatici volti a fermare la persecuzione (riuscendoci in qualche caso): il maresciallo Horty, ad esempio, interruppe le deportazioni nel 1944 facendo presente ai tedeschi d’aver ricevuto proteste dal re di Svezia, dalla Croce Rossa e dal papa Pio XII (M. Gilbert, ”La grande storia della seconda guerra mondiale”, Milano 2003 p. 634). Del resto, è indubitabile che una pubblica protestaavrebbe scatenato una feroce rappresaglia da parte di Hitler, impedendo ai preti e alle religiose che aiutarono gli ebrei di poter compiere la loro opera. Nonostante tutti questi fatti e nonostante siano stati scritti molti libri per confutare le false accuse sul papa, i pregiudizi su Pio XII rimangono. Ma del resto, come disse l’arcivescovo Alojzije Stepinac(anche lui fortemente calunniato) : «Nella mente di certe persone, la Chiesa Cattolica è colpevole di tutto».

Mattia Ferrari

Credente
00martedì 23 ottobre 2012 21:49

I Patti Lateranensi, al di là degli sfoghi anticlericali

La conquista di Roma da parte delle truppe sabaude nel 1870 scatenò un conflitto tra Chiesa e Statodestinato a durare per più di mezzo secolo. Da un lato, la gerarchia vaticana con a capo Pio IX, seppur non ostile all’indipendenza dell’Italia, non era intenzionata a cedere il suo territorio che gli era stato trasmesso dai suoi predecessori per oltre un millennio, mentre dall’altro nonostante la formale politica di separazione tra Chiesa e Stato, il governo italiano aveva introdotto una serie dinormative fortemente anticlericali.

Tuttavia entrambe le parti erano coscienti che la storia del papato era strettamente legata a quella dell’Italia e se vi furono episodi di gravi scontri come durante il trasporto della salma di Pio IX o la costruzione della statua dedicata a Giordano Bruno, non mancarono tentativi di mediazione per giungere ad un accordo. Questi accordi erano tuttavia destinati a fallire, ma verso l’inizio del ’900 si assistette alla nascita di unprogressivo avvicinamento dei cattolici nella vita politica del paese (patto Gentiloni, nascita del partito popolare, ecc.). La Conciliazione sembrava farsi vicina nel 1919: durante i trattati di pace a Parigi, Vittorio Emanuele Orlando incontrò un prelato della Santa Sede, Monsignor Bonaventura Cerretti che propose che l’Italia concedesse l’indipendenza e la sovranità alla Città del Vaticano. Proposta che ebbe l’assenso di Orlando, ma che venne bocciata dal re Vittorio Emanuele III notoriamente anticlericale. Errore che Benito Mussolini ebbe l’accortezza di non fare.

Per capire come abbia fatto il fascismo a salire al potere è necessario analizzare gli sconvolgimenti dovuti alla prima guerra mondiale. Seppur uscita vincitrice dalla Grande guerra, l’Italia si trovava in una situazione di forte crisi: le sue ambizioni territoriali erano andate deluse, il conflitto aveva causato dei forti sconvolgimenti economici, la nazione si trovava oppressa da un enorme conflitto di classe ed era amministrata da una classe dirigente che anteponeva i suoi interessi personali a quelli del bene pubblico. Inoltre il paese era attraversato da una crescente ondata di violenza politica, fortemente alimentata dai partiti fascisti, che venne debolmente repressa dalle forze dell’ordine che anzi, finivano spesso per non vedere i soprusi e le aggressioni commessi contro la popolazione. Il governo parlamentare era incapace di mantenere l’ordine e di pronunciare una strategia politica coerente per risolvere i problemi del paese. Dato che gli stessi liberali erano paralizzati dalla paura di perdere la loro influenza politica e dal timore di vendette personali, i conservatori antifascisti della corte reale, dei circoli cattolici, dell’esercito e dell’amministrazione iniziarono a vedere in Mussolini l’unico uomo capace di mantenere l’ordine.

Nel 1921 Giovanni Giolitti, leader del partito liberale, organizzò un’alleanza elettorale che permise ai fascisti di ottenere 35 seggi in parlamento e l’anno seguente le camicie nere organizzarono la marcia su Roma. Seppur, “l’esercito” di Mussolini sarebbe potuto essere facilmente sconfitto, il re temendo un bagno di sangue e la prospettiva di perdere il trono, si rifiutò di firmare il decreto che prevedeva l’imposizione della legge marziale e assecondò la richiesta di Mussolini di essere nominato primo ministro concedendogli di formare un nuovo governo. Sebbene il nuovo governo fosse composto da tutti i rappresentati degli schieramenti politici (eccetto i socialisti), Mussolini dichiarò pubblicamente che il potere era in mano ai fascisti e che non avrebbe tollerato alcuna opposizione. I pochi parlamentari che protestarono vennero presto intimiditi (o come nel caso di Matteotti, uccisi), mentre i partiti e le istituzioni politiche del paese sollevarono ben poche o nessuna obbiezione e lasciarono che Mussolini attuasse una serie di interventi repressivi che miravano a portare l’Italia verso l’autoritarismo fino a che nel 1926 il duce ottenne l’effettivo potere assoluto (D. Alvarez, Spie in Vaticano, Roma 2003 pp. 175-178).

L’atteggiamento verso la Chiesa da parte del dittatore italiano non fu univoco. All’inizio della sua carriera Benito Mussolini mostrò un atteggiamento fortemente anticlericale. Scrisse numerosi articoli contro la religione e contro il Vaticano e il programma iniziale del partito fascista prevedeva l’espropriazione dei beni appartenenti alla Chiesa e lo sradicamento del potere religioso nella società. Una volta salito al governo però il futuro duce cominciò a cercare l’appoggio dei cattolici per rafforzare la sua posizione politica all’estero e all’interno del paese. Iniziò così la tattica del “bastone e della carota” ossia mentre da un lato per compiacere il Vaticano emanò una serie di provvedimenti in favore della Chiesa (introduzione dell’ora di religione nelle scuole, affissione dei crocifissi, interventi dello stato tesi a risanare il Banco di Roma, ecc.), dall’altro si ebbero aggressioni e minacce contro associazioni cattoliche e preti accusati di essere in combutta con i popolari come Giovanni Minzoni. Durante la votazione della legge Acerbo i fascisti fecero deliberatamente circolare la voce che Mussolini avrebbe occupato tutte le parrocchie di Roma se i popolari avessero votato a sfavore della legge e sfruttarono l’ambigua posizione di Luigi Sturzo (sacerdote e leader del partito popolare allo stesso tempo) per spingere la Chiesa a dare le sue dimissioni “sotto pretesto di politica in violenze, particolarmente verso sacerdoti ed opere cattoliche” come consigliò il cardinale Pietro Gasparri (G. Zagheni, La Croce e il fascio, Milano 2006 pp. 41-47).

Il Vaticano, pur deplorando le violenze, guardava con timore al disordine sociale e politico del dopoguerra e supponendo (non in maniera del tutto infondata) che l’Italia dovesse scegliere tra il caos sociale e l’autoritarismo fascista, scelse quest’ultimo reputandolo il male minore. Mussolini inoltre si proponeva di risolvere definitivamente la Questione Romana, problema ritenuto di primaria importanza dalla Santa Sede e che il partito popolare aveva invece trascurato. Le trattative iniziarono nel 1926 e si protrassero per tre anni perché avvennero delle interruzioni causate dalla repressione fascista contro alcuni circoli cattolici. L’11 febbraio del 1929 vennero alla fine firmati i Patti Lateranensi nella quale i postulati fondamentali erano un «Trattato» che stabiliva la nascita dello Stato Pontificio e riconosceva la religione cattolica come religione di stato, un «Concordato» che definiva i mutui rapporti tra Stato e Chiesa in materia religiosa e una «Convenzione Finanziaria» cioè la somma che la Santa Sede doveva ricevere come risarcimento per l’espropriazione dei territori e dei beni della Chiesa.

Due giorni dopo, Pio XI parlando ad un gruppo di professori e studenti dell’Università Cattolica di Milano, spiegò il senso dell’accordo compiuto e pronunciò la famosa frasesul Duce: “E forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare, un uomo che non avesse la preoccupazione della scuola liberale, per gli uomini della quale tutte le leggi, diciamo tutti quei regolamenti erano altrettanto feticci.” La frase, più che essere una lode al Duce, era una critica all’anticlericalismo mostrato dalle istituzioni liberali, ma la stampa e la propaganda del regime ripresero con grande pompa questo passaggio ignorando il nucleo centrale del discorso.

Il Concordato all’epoca divise l’opinione dei cattolici tra chi non giudicava conveniente per la Chiesa stringere un accordo con un regime illiberale che tra le altre cose aveva distrutto il cattolicesimo politico e aveva riportato in sagrestia le associazioni e chi invece vedeva positivamente la soluzione della Questione Romana e il ristabilimento della piena e invisibile indipendenza al capo della Chiesa. Bisogna aggiungere che con il Concordato, Pio XI non intendeva avvallare il partito politico in quel momento al potere, ma era concepito con un trattato tra due autorità sovrane quali erano la Chiesa e lo Stato. (G. Sale, La Chiesa di Mussolini, Bergamo 2011 pp. 236-239).

Effettivamente, gli accordi presi con la Santa Sede erano dettati solo dal calcolo politicoe non mancarono negli anni seguenti accesi scontri che portarono la Chiesa a distaccarsi dal regime. Tuttavia, il Concordato ebbe il merito di porre fine ad un conflitto aperto da più di cinquanta anni e diede alla Chiesa la necessaria indipendenza di cui aveva bisogno (che sarà tra l’altro molto utile durante la guerra dato che all’interno delle proprietà vaticane trovarono rifugio molti partigiani). Inoltre, i Patti Lateranensi verranno riconosciuti costituzionalmente nell’articolo 7 dall’assemblea costituente sorta nel 1948 ricevendo persino i voti favorevoli del partito comunista di Palmiro Togliatti (anche in questo caso per calcolo politico, ma questa è un’altra storia).

Mattia Ferrari

Coordin.
00venerdì 16 novembre 2012 15:56

Gli anni bui della Rivoluzione francese:
crimini e genocidi

Nella mentalità europea la rivoluzione francese è considerata generalmente un avvenimento positivo perché, nonostante i crimini compiuti in questo periodo siano ormai noti, viene associata alla fine dell’Ancien Règime e alla proclamazione dei diritti dell’uomo. Anche molti cattolici sono oggi di questo avviso. Eppure paradossalmente in quell’epoca avvenne una delle peggiori persecuzioni anticristiane della storia.

In realtà, lo scontro tra Chiesa e Rivoluzione inizialmente era tutt’altro che scontato. La maggior parte del clero aveva infattiaccolto favorevolmente i moti dell’89 tanto che alla costituzione dell’Assemblea nazionale quattro vescovi e 149 preti si unirono al terzo stato. Il clero votò a favoredell’abolizione della decima e non vi furono particolari problemi quando si decise di nazionalizzare i beni della Chiesa, ma i rapporti si ruppero quando i legislatori pretesero di avere poteri decisionali in materie attinenti al campo spirituale.

Infatti i rivoluzionari, oltre a decretare lo scioglimento degli ordini religiosi che non si dedicassero all’insegnamento e all’assistenza, emanarono nel luglio del 1790 la costituzione civile del clero che prevedeva la riduzione delle diocesi da 130 a 83, l’elezione dei vescovi e dei curati e l’abolizione di ogni giurisdizione del papa sulla Francia venendo a creare di fatto una chiesa nazionale scismatica. Questo provvedimento fu assai controproducente perché diede un aiuto fondamentale alla controrivoluzione e spinse ilpapa Pio VI (che pur critico verso la rivoluzione si era astenuto da pronunciamenti ufficiali) ad una condanna pubblica. Il clero si divise tra i “refrattari” che si rifiutarono di giurare fedeltà alla costituzione e i “costituzionali” che invece accettarono di farlo (questi ultimi composti da 7 vescovi e circa metà del basso clero anche se vi furono numerose defezioni in seguito alla condanna papale). Il clero refrattario inizierà perciò ad essere accusato di tendenze aristocratiche e controrivoluzionarie.

La situazione religiosa peggiorò con l’avvento della repubblica. Dopo la destituzione del re nell’agosto del 1792, l’Assemblea Costituente emanò una serie di normative antireligiose: la deportazione dei preti refrattari che non avessero lasciato il paese entro 15 giorni (salvo poi negare i passaporti per tenere i preti come ostaggi), la confisca delle campane, lo scioglimento degli ordini religiosi caritativi e il divieto di fare processioni o di indossare l’abito talare al di fuori degli edifici di culto. Anche il clero costituzionaleincomincerà a essere perseguitato perché sospetto di tendenze monarchiche e moderatismo e, del resto, molti rivoluzionari non vedevano alcuna differenza tra le due Chiese. Durante il Terrore, si ebbe la cosiddetta “Scristianizzazione” nella quale i“rappresentanti in missione” influenzati del materialismo tardo-illuminista distrussero oggetti sacri, profanarono chiese e costrinsero all’abiura parecchi preti costituzionali. Venne inoltre adottato il calendario rivoluzionario in sostituzione a quello ecclesiastico e le decadi al posto delle settimane. Non tutti i politici francesi però condividevano la politica di scristianizzazione perché vi era il timore di perdere l’appoggio della maggioranza del popolo rimasta religiosa e d’inimicarsi le nazioni neutrali.

Nel 1795, perciò, si acconsentì alla riapertura delle chiese e lo stato rinunciò al finanziamento del culto. Non vi fu però una vera libertà perché le manifestazioni pubbliche di religiosità rimasero vietate e la repubblica proseguì con la laicità d’attacco,imponendo il calendario repubblicano in tutti gli atti della vita pubblica e il festeggiamento delle decadi al posto delle festività cristiane. Solo sotto Napoleone Bonaparte ebbe fine la fase più anticattolica della rivoluzione, grazie al Concordato stipulato nel 1801. Il futuro imperatore considerava però la Chiesa un mero strumento di governo e con gli “Articolo Organici” subordinò strettamente il clero allo stato (per una brevi sintesi sulle misure antireligiose dei rivoluzionari, seppur benevola verso quest’ultimi, si veda A. Soboul, La rivoluzione francese, Roma 1998 pp. 466-468).

La politica antireligiosa suscitò scontento tra la popolazione sfociando in alcuni casi in aperte rivolte. La più importante tra queste fu quella che scoppiò in Vandea. Vi erano già stati segnali di malumore in questa regione quando venne approvata la costituzione civile del clero e i vandeani accolsero con sfavore la notizia dell’esecuzione del sovrano. La goccia che fece traboccare il vaso fu la notizia della coscrizione obbligatoria di 300000 uomini: “Hanno ucciso il nostro Re; hanno cacciato via i nostri preti; hanno venduto i beni della nostra chiesa; hanno mangiato tutto quello che avevamo e adesso vogliono prendersi i nostri corpi… No, non gli avranno”, dichiararono gli insorti vandeani del villaggio di Doulon. Essi si proclamarono perciò realisti e cattolici, ritorcendo contro la Repubblica il diritto all’insurrezione per ottenere la libertà.  La pessima organizzazione delle truppe rivoluzionarie permise agli insorti di prendere il controllo di una vasta area del paese, che le truppe rivoluzionarie avrebbero dovuto riconquistare palmo a palmo. I ribelli riuscirono ad infliggere pesanti perdite ai repubblicani applicando la tattica della guerriglia e per domare la rivolta, i parigini ricorsero a metodi brutali. In entrambi i fronti si ebbero atrocità, ma quello che fecero i rivoluzionari fu così terribile che alcuni studiosi hanno persino parlato di “genocidio”. I massacri più sanguinosi avvennero tra l’altro nel 1794quando la rivolta era stata in gran parte domata: migliaia di prigionieri vennerobrutalmente assassinati. Le azioni più sanguinose si ebbero a Nantes dove Jean-Baptiste Carrier, oltre alla ghigliottina, integrò quelle che lui definiva «deportazioni verticali» ossia gli annegamenti nelle acque della Loira: vennero praticati dei fori sulle fiancate dei barconi a chiglia piatta sui quali s’inchiodavano delle tavole di legno che poi venivano schiodate quando le barche erano al centro del fiume, portando così alla morte per annegamento alle vittime legate. In un primo tempo questi annegamenti furonolimitati ai sacerdoti, ma presto si estesero ad un numero sempre maggiore di persone (si calcola che le vittime nella sola Nantes siano state tra le duemila e le quattromilaottocento).

Nei mesi di febbraio e marzo del 1794, le forze repubblicane intrapresero attraverso la regione ribelle una marcia «pacificatrice». Le dodici “colonne infernali” del maresciallo Turreau massacrarono ogni persona che trovarono sul loro cammino, uccidendo anche vandeani di provata fede repubblicana. Le violenze e le uccisioni su donne e bambini erano all’ordine del giorno. Si calcola che su una popolazione di poco superiore alle 800.000 persone, i vandeani uccisi siano stati più di 117.000 (ma alcuni si spingono fino a 250000, cfr. S. Schama, Cittadini. Cronaca della rivoluzione francese, Milano 1989 pp. 813-817).

Questi massacri non furono dovuti alla semplice brutalità della guerra, ma vennero incitati (se non espressamente ordinati) dai deputati della Convenzione, come apprendiamo dai documenti rinvenuti. Il generale Westermann così scriveva ad esempio al Comitato di Salute Pubblica nel dicembre del 1793: “Non esiste più Vandea, cittadini repubblicani, essa è morta sotto l’albero della libertà con le sue donne e i suoi bambini (…) Eseguendo gli ordini che mi avete dato, ho fatto calpestare i bambini dai cavalli, ho fatto massacrare le donne che almeno non partoriranno più briganti. Non ho prigionieri per i quali possa rimproverarmi”. Anche il deputato Carrier ammetterà candidamente di aver ricevuto“l’ordine di sterminare la popolazione in modo da poter ripopolare il paese in più in fretta possibile con cittadini repubblicani”. Secondo lo storico Reinald Secher, il genocidio vandeano fu quindi concepito, organizzato e messo in atto dal Comitato di Salute Pubblica ovvero, tra gli altri, da Robespierre in persona. (Lorenzo Fazzini, E Robespierre disse: cancellate i vandeaniAvvenire, 21 ottobre 2012). La fine dei massacri si ebbe con l’avvento dei termidoriani che stipularono diversi accordi con i ribelli nella quale promettevano di rispettare la loro fede e i loro beni, ma la pace durò pochi mesi e si ebbero in seguito altri focolai di guerriglia.

Simili insurrezioni si ritroveranno anche nei territori occupati dai francesi. In Belgio i contadini cominciarono ad abbattere gli alberi della libertà sostituendoli con delle croci, inLussemburgo i francesi dovettero impiegare una battaglia in piena regola per vincere la ribellione e provvidero a deportare molti preti sull’isola di Ré, mentre nello stato Pontificio le truppe francesi venivano spesso assalite da gruppi di contadini guidati dai rispettivi parroci. Tutto questo accade dopo che l’occupazione di Roma e l’esilio del pontefice, aveva fatto credere ai rivoluzionari d’aver schiacciato il “fanatismo” e portato la pace universale (F. Furet – D. Richet, La rivoluzione francese, Bari 1974 pp. 534-535).

La rivoluzione francese ebbe indubbiamente grandi meriti, ma ebbe anche la colpa di aver creato un nuovo fanatismo di tipo ideologico che guardava ai suoi avversari come esseri privi di tratti umani e che scatenò atrocità che nulla avevano da invidiare a quelle provocate in nome del fondamentalismo religioso.

Mattia Ferrari

Credente
00sabato 26 gennaio 2013 15:49

L’attività anti-nazista di Pio XII

Il terzo reichFin dagli anni ’60 una determinata pubblicistica insisteva a presentare in negativo la figura di Papa Pacelli, lasciando trapelare una Sua sostanziale passivitàdurante gli anni della seconda guerra mondiale, e una certa simpatia del Papa verso la Germania che, in periodo nazista, era dominata dalla croce uncinata.

Quello che, da un punto dell’analisi storica, risultava non chiaro era il perché ci si focalizzava tanto su Pio XII mentre, al contrario, si taceva su molte altre situazioni a dir poco drammatiche. Ormai, sia dagli studi storici che dalle inchieste giornalistiche e dalle indagini di alcuni ricercatori stavano emergendo delle realtà terribili:

-la non solidarietà di vari Paesi verso gli ebrei allo scoppiare della tragedia hitleriana;
-l’intesa commerciale di ditte americane con il governo del Terzo Reich. Ad esempio ad Auschwitz le calcolatrici usate nel lager erano targate IBM;
-le molte ombre gravanti sulla Svizzera: l’oro strappato agli ebrei era fuso in lingotti, questi venivano trasferiti nei caveaux elvetici e il governo nazista, con il liquido che riceveva, acquistava il necessario per proseguire la guerra (diversi processi sono stati celebrati al riguardo);
-le decisioni di morte di Stalin anche nei confronti dei cristiani (nell’ordine di milioni);
-i silenzi degli Alleati che, pur sapendo dell’imminente razzìa degli ebrei romani (e di altri ebrei) non informarono i diretti interessati per paura che venisse scoperta la loro rete di intelligence;
-i silenzi della Croce Rossa Internazionale (alcuni suoi membri avevano visitato dei lager);
-l’inattività della Resistenza davanti alla razzìa dei ebrei romani;
-il ruolo degli Alleati e quello di altri Paesi nel sostenere la via di fuga di criminali nazisti (detta anche ratline oRattenlinien ovvero la “via dei ratti”), e nell’accogliere questi militari. Il loro impiego trovò una precisa valorizzazione sul piano della ricerca missilistica, in ambito militare, a livello di studi sanitari, e in area strettamente economica (i nazisti non avevano bisogno dell’appoggio del Vaticano semplicemente perché portavano con sé molto denaro e valori);
-gli esperimenti di eugenetica condotti in Paesi non nazisti;
-il collaborazionismo, le delazioni;
-i crimini di guerra degli Alleati;
-le violenze degli eserciti alleati sulle popolazioni civili; e altro.

In tale contesto era necessario aprire molti armadi e vedere che cosa realmente si dicevano tra loro i più alti vertici nazisti. Il prof. Pier Luigi Guiducci, docente presso tre università (Cattolica, Lateranense e Salesiana, autore di quasi un centinaio di libri a prevalenza storico-religiosa) lo ha fatto, impiegando sette anni. In fase iniziale ha creato una rete di referenti in Italia, Germania, Svizzera, Spagna, Regno Unito, Stati Uniti, Russia, Israele. Nell’ambito di questa rete sono state coinvolte anche alcune comunità ebraiche. Poi è statoorganizzato uno staff (ad alto livello) di traduttori dal tedesco all’italiano. Successivamente i singoli testi sono stati studiati con il metodo comparativo (che fa allungare i tempi ma è il più sicuro): ad esempio un dispaccio segretissimo nazista veniva messo a confronto con la traduzione del medesimo effettuata dai servizi segreti e (quando possibile) con le testimonianze degli stessi protagonisti (contenute anche in diari, in relazioni e in libri di memorie).

Il lavoro è stato immane perché il materiale nazista non è catalogato in modo completo e ordinato. Tutto è legato al fatto che nel 1945 i primi ad arrivare a Berlino furono i sovietici. Essi presero quello che rimaneva negli archivi e – alla rinfusa – tutto fu gettato dentro grandi contenitori i quali, via ferroviaria, furono depositati in magazzini segreti di Mosca. Per un lungo periodo gli storici faticarono a convincere i sovietici ad aprire i loro archivi. I dinieghi erano continui. Avvenne però un fatto. Dalla Germania dell’Est, i servizi segreti chiesero un dossier contenente in copia tutto quello che i nazisti affermavano nel più totale segreto su Pio XII. Mosca mandò il fascicolo. Con il crollo del muro di Berlino gli archivi di Berlino-est confluirono in quelli di Berlino-ovest. Fu così possibile agli studiosi arrivare a leggere quanto riguardava Pio XII.

I risultati di questo lavoro sono ora pubblicati dal prof. Guiducci nel volume: Il Terzo Reich contro Pio XII. Papa Pacelli nei documenti nazisti” (prefazione del padre Peter Gumpel SI, San Paolo, Cinisello Balsamo, gennaio 2013, pagine 376, euro 18). Si stanno ora preparando le edizioni in lingua inglese, spagnola e francese. A questo punto ci si può chiedere: quali sono gli elementi più qualificanti dell’opera?

Il lavoro, prima di tutto, dimostra che Pio XII:
-non fu un Pontefice passivo (le spie raccontavano di sue arrabbiature a motivo del fatto che tutti gli aiuti alla Polonia erano bloccati dai nazisti);
-non fu incapace di reagire (fin da quando era Segretario di Stato seppe ribattere punto per punto ai vertici del Terzo Reich);
-non fu incerto nell’ora delle decisioni (impartì direttive per resistere alle violenze);
-non fu arrendevole con i nazisti (sono stati pubblicati i documenti inerenti il Nunzio a Berlino, SE Mons. Orsenigo);
-non fu spettatore immobile davanti alla razzia degli ebrei romani il 16 ottobre del 1943 (si contano ben cinque interventi, ed uno in particolare riuscì a fermare il rastrellamento);
-non fu inadatto a sostenere una rete di solidarietà (tutti i documenti consultati attestano un collegamento diretto e indiretto con il Vaticano nelle azioni a sostegno dei perseguitati).

In tale contesto, dai dispacci nazisti, risulta un odio dei vertici del Terzo Reich verso Pio XII. Tale intima avversione era legata all’atteggiamento del Pontefice. Egli non spezzava alcuna comunicazione con la Germania (per salvaguardare quel bene che ancora si poteva realizzare), ma contemporaneamente era fermo in una resistenza alla dottrina nazionalsocialista, ai metodi hitleriani, alle decisioni di guerra, alle operazioni di sterminio. I nazisti questo lo sapevano. Per questo costruirono intorno a lui una rete di spionaggio che, comunque, non riuscì a penetrare fino in fondo la decisionalità di Pacelli.

 Luca Pavani

Credente
00sabato 26 gennaio 2013 15:55

Il Vaticano e i soldi di Mussolini, nuova bufala anticlericale

Città del Vaticano Le bufale anticlericali si ripetono ormai a scadenza mensile: passata di moda quella sulle scarpe Prada del Pontefice e sul suo anello d’oro che sfamerebbe mezzo mondo, che abbiamo ampiamente smentito, arriva ora dal Regno Unito quella riguardante il sostegno ufficiale al fascismo.

Secondo il quotidiano britannico Guardian, infatti, il Duce avrebbericompensato il Vaticano per il sostegno e il riconoscimento ufficiale del regime con un enorme patrimonio, che sarebbe stato investito a Londrain due immobili di pregio, di proprietà della Grolux Investments, controllata da una società svizzera, la Profima, la quale a sua volta, avrebbero rivelato dei documenti risalenti alla seconda guerra mondiale ritrovati negli Archivi nazionali di Kew, riconducibili appunto al Vaticano. E il nome spuntato assieme alla Profima è quello di Bernardino Nogara(1870-1958), il banchiere che amministrò per conto della Santa Sede il risarcimento ottenuto dal regime fascista con i Patti Lateranensi, tramite l’Amministrazione speciale per le Opere di Religione, che fu poi sostituita dall’Apsa.

Denaro, potere, fascismo e Vaticano, gli ingredienti giusti per aizzare la fame anticlericale ci sono tutti e infatti la vicenda è finita su molti quotidiani di chiara ispirazione anti-cattolica, come il Fatto Quotidiano, e altre testate giornalistiche.

Peccato che il grande scoop sarebbe solo l’ennesima dimostrazione di quanto i giornalisti di oggi siano incapaci di fare il loro lavoro. Come ha risposto il direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Lombadi«sono cosenote da 80 anni, con il Trattato del Laterano, e chi voleva una divulgazione del tema a livello popolare si poteva leggere Finanze vaticane di Benny Lai». Aggiungendo, come riportato da Avvenire«Che l’Apsa, cioè la Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica, abbia una sezione straordinaria è scritto anche sull’elenco telefonico del Vaticano». Nel 2005, inoltre, lo storico inglese John Pollard aveva già descritto nel dettaglio come sono nate la Grolux Investments e la svizzera Grolux Investments, facenti capo al Vaticano, nel libro Money and the Rise of the Modern Papacy: Financing the Vatican, 1850-1950 (Cambridge University Press 2005). Pollard ha correttamente spiegato che la creazione della Grolux, nel 1933, si inquadrava in una strategia per diversificare gli investimenti della Santa Sede nei difficili anni a ridosso della Grande Depressione, puntando sull’oro e sul mattone. Sulla figura di Nogara, invece, come ha ricordato sempre padre Lombardi, si è soffermato anche il decano dei vaticanisti Benny Lai in Finanze Vaticane (Rubbettino editore), spiegando il suo collegamento tra gli ambienti cattolici e quelli della finanza laica.

Se finora dunque si è parlato di falso scoop, tocca a Carlo Cardia,  docente di Diritto canonico e Diritto delle istituzioni religiose all’Università degli Studi di Roma Tre, smontare la bufala del denaro di Mussolini in cambio del riconoscimento del fascismo da parte della Chiesa: «Non siamo di fronte a nessun regalo di Mussolini. Quello che fu dato alla Santa Sede con la convenzione finanziaria del 1929 era il parziale risarcimento delle somme che alla Santa Sede spettavano in virtù della legge delle Guarentigie del 1871, somme che però la Chiesa non aveva mai preso perché non accettava la legge. Nel 1929 la convenzione finanziaria considerò i danni subiti dalla Sede apostolica e le diede una somma molto inferiore rispetto a quella che le sarebbe spettato». Ci si riferisce alla ricompensa per le proprietà che la Chiesa perse quando gli stati papali vennero invasi e occupati nel 1860. Sottolinea poi Cardia: «Teniamo presente che tutte le grandi organizzazioni confessionali, a partire dalla Chiesa d’Inghilterra, hanno dei patrimoni di scopo, ossia finalizzati alle esigenze missionarie o alla tenuta della struttura ecclesiastica e di questo patrimonio, per evitarne il depauperamento, una parte è destinata all’investimento».

Riguardo alla trattativa che portò ai Patti Lateranensi, anche Danilo Veneruso, emerito di storia contemporanea all’Università di Genova, ricorda che «non fu fatta per valorizzare il regime di Mussolini. Pio XI aveva la ferma intenzione di promuovere e stipulare patti o concordati con Stati di tutto il mondo. Quando il 6 febbraio 1922 Achille Ratti salì sul soglio pontificio, benedisse la folla assiepata nella piazza San Pietro, lasciando cadere la consuetudine di benedirla dentro la Basilica di San Pietro per protesta per la conquista dello Stato pontificio. Subito dopo pregò l’arcivescovo di Genova di assistere alla conferenza internazionale per la Pace nella sua città, pregandolo di stare alla calcagna del sovietico Cicerin per tentare un concordato anche in Urss. Il Papa aveva pensato a vari modelli, a seconda del numero di cattolici e delle politiche presenti nei vari Stati. Il regime politico e sociale non contava».

Dunque nessuno tesoro segreto e nessun riconoscimento del fascismo. Ma la bufala ormai è diffusa a livello internazionale (nonostante il contro-articolo del Telegraph) e nella mente dei sedicenti liberi pensatori si è sedimentato il convincimento che la Chiesa possegga enormi patrimoni segreti e abbia valorizzato ufficialmente il fascismo. La menzogna è l’arma principale di chi combatte la verità.

Credente
00giovedì 7 febbraio 2013 14:31

I dollari di Pio XII per sconfiggere Hitler

Pio XII scrive Più passa il tempo e più la leggenda nera contro Papa Pacelli si sgretola perché sempre più nuovi elementi riaffiorano a smentire i suoi accusatori. L’ultimo di questi  riguarda una ricerca effettuata dalla storica Patricia McGoldrick che, studiando sulle carte contenute neiNational Archives britannici, ha scoperto come il Vaticano abbia combattuto il nazismo anche attraverso investimenti finanziari.

Infatti, fin dall’inizio della seconda guerra mondiale, la Santa Sede decise di spostare i suoi titoli e le sue riserve auree dalle zone dominate dai nazisti verso le banche degli Stati Uniti e della Gran Bretagna facendo degli USA il centro finanziario nella quale sostenere e amministrare la Chiesa Universale, investendo anche altri 10 milioni di dollarinell’economia americana. Protagonista di questa manovra finanziaria è stato Bernardino Nogara, membro della direzione della Banca Commerciale italiana che verrà chiamato nel 1929 alla guida delle finanze della Santa Sede.

Nei conti americani del Vaticano erano presenti principalmente i finanziamenti delle diocesi e i contributi dei fedeli e in misura minore (circa il 20%) i guadagni derivati dai titoli e dagli investimenti. Una parte del denaro è stato quindi investito nell’industria bellica statunitense, che pose fine alla bestialità di Hitler, mentre la maggior parte di esso è stato destinato in beneficenza per aiutare la comunità cattoliche perseguitate dall’occupante tedesco e per finanziare le attività umanitarie in favore delle truppe alleate e della popolazione vittima della guerra (Luca M. Possati, I dollari del papa contro Hitler, ”L’osservatore Romano”, 1 febbraio 2013).

Molto si sa sull’aiuto che Pio XII diede agli ebrei, ma pochi ricordano i soccorsi che diede a tutte le popolazioni vittime del conflitto. A tal proposito papa Pacelli creò durante la guerra un “Ufficio Informazioni” per aiutare la ricerca dei prigionieri e dei dispersi che rimarrà attiva fino al 1947. Durante gli anni di attività, l’Ufficio Informazioni elaborerà 2.100.000 schede sui prigionieri di guerra e vittime della persecuzione e inoltrerà poco meno di tre milioni di richieste di informazioni alle nunziature apostoliche, ai cappellani militari e alla Croce Rossa. Molta gente poté così avere notizie sui congiunti dispersi: ad esempio, fra il 1941 e il 1945 si esamineranno 102.026 domande ebraiche e si riuscirà a stabilire contatti con successo in 36.877 casi (cifra tutt’altro che trascurabile tenendo conto delle condizioni generali e, in particolare modo, dello stato delle comunicazioni dell’Europa Centrale e Orientale dove convergevano la maggior parte delle ricerche).

Un’altra risposta concreta del papa all’emergenza della guerra fu la “Commissione Soccorsi”: nata nel settembre del ’39 per dare assistenza e conforto materiale ai polacchi, aumentò sempre più il suo raggio d’azione con l’estendersi del conflitto, andando a ricoprire diverse attività (elargizione sussidi, intervento per l’incolumità delle popolazioni civili, interessamento di detenuti politici e condannati a morte, ecc. (si veda, Francesca di Giovanni, Le risposte alla guerra dalla Chiesa di Pio XII, “L’Osservatore Romano”, 17 aprile 2012). Per fare solo un esempio: nel 1944 a Roma Pio XII organizzò carichi di farina per la città dopo che aveva già provveduto a fornire oltre centomila pasti caldi al giorno.

Dai documenti si evince dunque che Pio XII fu un nemico di Hitler e un soccorritore dei perseguitati. Su questo la campo la ricerca storica ha acquisito prove inconfutabili, ma i “detrattori” molto spesso non si basano sulla storia.

 Mattia Ferrari

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00giovedì 7 febbraio 2013 14:34
La Santa Sede mise in piedi una rete di corrispondenza europea e successivamente un ufficio ad hoc per ottenere informazioni su dispersi e prigionieri su tutti i fronti della seconda guerra mondiale. E lo fece “fin dai primi giorni”, come viene confermato dalla relazione che Francesca Di Giovanni terrà oggi – anticipata in parte ieri da “L'Osservatore Romano” - al convegno di studi «Religiosa Archivorum Custodia» organizzato in occasione del quarto centenario di fondazione dell’Archivio Segreto Vaticano, che si svolgerà nella Sala Pio X di via della Conciliazione, e i cui lavori proseguiranno anche domani. Ecco l'anticipazione offerta dal quotidiano vaticano che sottolinea l'impegno di Pio XII in quei terribili anni.
 
 
 
Le risposte alla guerra dalla Chiesa di Pio XII
 
di Francesca Di Giovanni
Quando il 2 marzo 1939 Eugenio Pacelli venne eletto Papa, si dice che alcuni eminenti cardinali «si erano, da principio, mostrati un po’ restii a dargli il voto perché, considerando la minacciosa situazione internazionale, osservavano: Il cardinale Pacelli è un uomo di pace e il mondo ha ora bisogno di un Papa di guerra». Pio xii era ben consapevole della straordinaria gravità del momento e della delicata missione che lo attendeva, mirata al difficile perseguimento della pace. Nonostante gli interventi e i tentativi di quei tempestosi giorni, la guerra scoppiò ufficialmente il 1° settembre.
 
Con tutti gli strumenti diplomatici a disposizione, la Chiesa si mobilitò subito per mettere in atto iniziative di carattere caritatevole, sotto la guida diretta dello stesso Pio xii assistito da preziosi collaboratori appartenenti alle gerarchie ecclesiastiche e al laicato cattolico. Fin dai primi giorni iniziarono a giungere in Segreteria di Stato da varie parti d’Europa numerose richieste di notizie relative alla popolazione polacca. La Santa Sede dapprima si impegnò ad allestire una rete di corrispondenza con le rappresentanze pontificie negli Stati europei, in seguito dispose che venisse formalmente «creato alle sue dipendenze un Ufficio con l’incarico di favorire tali ricerche». Sotto il coordinamento e la supervisione di Montini, sostituto per gli Affari Ordinari della Segreteria di Stato, l’ufficio venne affidato a monsignor Alessandro Evreinoff, arcivescovo di origine russa, conoscitore di varie lingue ed esperto diplomatico. Lo affiancava, in qualità di segretario, don Emilio Rossi, sacerdote della diocesi romana.


La quantità di domande che pervenivano all’Ufficio aumentava sistematicamente con il passare dei mesi. Di fronte al considerevole moltiplicarsi delle istanze il 1° aprile 1941 si decise il trasferimento dell’Ufficio Informazioni dalla Segreteria di Stato al palazzo San Carlo. Nel 1943, sorta di nuovo la necessità di spazi più ampi per accogliere adeguatamente il numero crescente di persone che si rivolgevano all’Ufficio, si provvide all’annessione dei locali del museo Petriano, situato tra il palazzo del Sant’Uffizio e l’ala sinistra del colonnato. La struttura dell’Ufficio dunque negli anni venne progressivamente adattandosi per rispondere al repentino evolversi della guerra. Andò via via specializzandosi con la creazione di piccole sezioni tematiche, come quelle dei prigionieri di lingua inglese, tedesca e slava, oltre a quelle strettamente attinenti all’organizzazione interna del lavoro da svolgere, come le sezioni smistamento, archivio e schedario. Tale moltiplicarsi dei settori rese indispensabile l’aumento sia del personale impiegato direttamente nell’Ufficio, sia di quello esterno, come le associazioni cattoliche e le congregazioni religiose femminili che lavorarono per l’Ufficio nelle proprie sedi romane.
Al termine del conflitto, l’Ufficio Informazioni continuò la sua opera fino al 31 ottobre 1947. L’imponente archivio rimase a lungo nei locali del palazzo San Carlo a disposizione della Segreteria di Stato per le residuali pratiche quotidiane. Quando nel luglio 1964 la Pontificia Commissione per le Comunicazioni Sociali richiese l’utilizzo di quei locali, fu necessario trovare un’adeguata collocazione al voluminoso materiale, che alcuni suggerivano addirittura di distruggere. Nell’aprile 1965 si provvide quindi al trasferimento delle carte menzionate “prigionieri di guerra” in Archivio Segreto Vaticano. Non essendo suscettibili alla consultazione degli studiosi per ovvi motivi cronologici, le carte rimasero trascurate per decenni, in uno stato di disordine causato dai trasporti subiti (effettuati senza le accortezze richieste dalla mole della documentazione). Solo nel 2002 si rese urgente la necessità di ordinare e inventariare questo fondo archivistico a seguito della decisione di Giovanni Paolo ii di rendere consultabili agli storici anche le carte dell’archivio dei prigionieri di guerra nell’ambito della apertura straordinaria di una speciale sezione documentaria concernente i rapporti tra Santa Sede e Germania. La parte più consistente e imponente è la sezione archivio che contiene documentazione di vario genere formata soprattutto da lettere e moduli inviati da chi si rivolgeva all’Ufficio. Tanti sono anche i messaggi sotto forma di cartoline postali o militari redatti dai prigionieri e spediti direttamente dai campi di internamento: questi racconti spontanei offrono una visione drammaticamente realistica della vita quotidiana in prigionia portata avanti in precarie condizioni di sopravvivenza fisica e psicologica. Spesso le lettere erano scritte su mezzi di fortuna, come pezzi di carta riciclata da pacchi e imballi, ritagli di giornali, pagine strappate. Si tratta in generale di appelli di gente umile e disperata che, superando la fredda burocrazia di un ufficio, si rivolgeva senza filtri direttamente al Papa dimostrando così di percepire la sua personale vicinanza in questa azione caritativa e consolatoria.
Dalla lettura di queste carte emergono quindi le drammatiche vicende private di persone sconosciute, provenienti da ogni Paese senza distinzione di razza, religione, ceto sociale né appartenenza politica; queste lettere, spesso grammaticalmente povere, rappresentano una fonte preziosa in quanto testimonianza diretta e offrono, nel contempo, una nuova chiave di lettura perché gettano luce su aspetti non sempre contemplati dalla storiografia ufficiale e danno voce ai piccoli e ai vinti promuovendoli da personaggi secondari a protagonisti nel dramma della guerra.
L’Ufficio Informazioni, nato in seno alla Segreteria di Stato, ben presto se ne distaccò con l’accrescimento e la conseguente specializzazione della sua attività, acquisendo così peculiari caratteristiche di autonomia nonostante la omogeneità dell’argomento trattato che si rivela nelle sue carte.
Diversa la storia della Commissione Soccorsi, l’altra risposta concreta della Chiesa di Pio xii alla guerra. Fin dal settembre 1939, sempre nell’allora seconda sezione della Segreteria di Stato (prima che prendesse corpo regolarmente l’Ufficio Informazioni), si era raccolto in modo spontaneo intorno al sostituto Montini un gruppo di prelati, i quali misero a disposizione la loro perizia ed esperienza acquisite durante i lunghi anni di servizio diplomatico: l’urgenza era quella di rispondere ai pressanti appelli rivolti direttamente al Pontefice da parte della diplomazia e dell’episcopato polacchi invocanti assistenza e soccorsi materiali a favore della popolazione prima vittima del conflitto. Aumentando le domande di aiuto man mano che la guerra allargava i propri confini e coinvolgeva altri stati e popoli, emerse l’esigenza di snellire il lavoro della Segreteria di Stato e organizzare una commissione specialmente deputata che, con significativa assunzione di responsabilità e un complesso di mezzi necessari, garantisse un normale funzionamento e assicurasse, per quanto fosse possibile, l’efficacia dell’intervento richiesto.
La commissione non assunse mai fisionomia e autonomia proprie perché svolse la sua azione multiforme e discreta sempre nell’ambito della Segreteria di Stato rimanendo un po’ in ombra anche per il consueto pudore della Santa Sede per ciò che riguarda le sue opere di carità. Solo il 12 novembre 1941 Montini invitò ufficialmente i monsignori Giobbe, Chiarlo, Riberi e Centoz «a dare la loro opera a questa “Commissioni per i soccorsi”» con l’aiuto di don Brini come segretario; a essi si aggiunsero poi i monsignori Micara, Felici, Cortesi e Gustavo Testa.
Durante gli anni del conflitto la Commissione Soccorsi ebbe un raggio d’azione molto ampio che spaziava dall’elargizione di sussidi che raggiunsero ogni parte del mondo, all’attenzione per la salvaguardia dalle offese belliche di numerose città e località, all’intervento per l’incolumità delle popolazioni civili martoriate dalla guerra, all’interessamento per i detenuti politici, reduci, e condannati a morte, allo studio di questioni organizzative e sociali determinate dalle necessità del momento, all’attiva partecipazione nelle fasi di ricostruzione del dopoguerra. Oggetto di particolare premura della Commissione sono stati i prigionieri trattenuti nei campi in attesa di liberazione. Mentre l’Ufficio Informazioni ne accertava la residenza e mediante la trasmissione di notizie e messaggi li rimetteva in contatto con le loro famiglie, la Commissione Soccorsi interveniva per cercare di migliorarne le condizioni preoccupandosi del loro benessere fisico e morale attraverso l’attività dei rappresentanti pontifici. Le carte testimoniano infatti che attraverso la loro opera la Commissione distribuì, durante la guerra, un’ingente quantità di denaro, così come aiuti materiali in medicinali, alimenti, indumenti e doni che potessero in qualche modo alleviare la prostrazione dei prigionieri, come libri di pietà e di letture amene, articoli religiosi, oggetti di uso personale, sigarette e strumenti musicali.
Dalla fine del 1949 la Commissione, venendo a cessare le necessità di ordine materiale e morale create dal conflitto, terminò formalmente la sua esistenza. Al 1959 risale il versamento delle carte in Archivio Segreto Vaticano. In previsione delle prossime aperture archivistiche alla ricerca storica riguardanti i documenti relativi al pontificato di Pio xii è iniziato il lavoro di ordinamento dell’archivio, ancora oggi non consultabile, la cui sistemazione si è da poco conclusa con la redazione di un inventario analitico. Più volte i documenti ci raccontano l’interessamento concreto per la sorte di arrestati, esiliati, carcerati e condannati a morte; tra essi troviamo il ricordo di molti vescovi e religiosi di varie diocesi perseguitati e confinati, che con mezzi talora avventurosi riuscivano a far giungere la propria voce al pontefice: molti di questi personaggi sono saliti agli onori degli altari.
Speciale attenzione fu dedicata ai prigionieri e internati civili e militari che ricevevano aiuti morali e materiali dalla Commissione Soccorsi attraverso i cappellani: la loro capillare attività svolta nei campi di prigionia, spesso rischiosa, è riccamente raccontata dalle relazioni e da altre testimonianze, come lettere e diari che troviamo nel fondo archivistico. Corposa è la documentazione relativa alla situazione generale della Venezia Giulia e dell’Istria dopo l’occupazione iugoslava e quella sulle trattative tenute con i comandi militari di entrambi gli schieramenti per la dichiarazione di “città aperte” o “città ospedaliere”. Diversa documentazione è riservata alle pratiche che riguardano la situazione delle comunità ebraiche in Italia e nel resto d’Europa. Da segnalare inoltre i documenti relativi all’istituzione della missione pontificia pro Palestina.
Gli archivi di questi due uffici — umani nella loro finalità e cristiani nella loro ispirazione — consegnano alla memoria collettiva testimonianze preziose dell’opera messa in piedi dalla Chiesa per fronteggiare con le armi della diplomazia e dell’assistenza quello sconvolgimento dei popoli che Pacelli stesso chiamò «rovinosa e dispendiosa corsa alla morte». È indubbio che la disamina di queste carte, non appena rese disponibili per le ricerche storiche, offrirà nuove prospettive di studio contribuendo a dare luce, spiegare e approfondire aspetti ancora poco noti di questi problematici anni che hanno occupato l’inizio del pontificato di Pacelli.
 
(©L'Osservatore Romano – 17 aprile 2012)
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00lunedì 12 agosto 2013 12:37

Il nazismo fu anche furore anticristiano

NazismoUna delle cose più bizzare che si leggono nel grande calderone del web è che Adolf Hitler sarebbe stato cristiano e magari anche cattolico. Eppure uno dei capi di accusa ai leader nazisti durante ilprocesso di Norimberga fu proprio la persecuzione religiosa anticristiana, come abbiamo già scritto. Il recente libro“Conversazioni a tavola di Adolf Hitler” ha svelato gli inediti dialoghi privati tra il Führer e i suoi colonnelli, dai quali emerge il profondo odio verso la Chiesa e tutto quello che appartiene alla cultura cristiana.

Interessanti a questo proposito due articoli dell’editorialista del “National Review Online”Jonah Goldberg, noto conservatore ebreo americano. «Come gli ingegneri di un ponte ferroviario proverbiale, i nazisti hanno lavorato senza sosta per sostituire dadi e bulloni del Cristianesimo tradizionale con una nuova religione politica», ha scritto Goldberg in un primo articolo. Hitler vietò le opere di carità, «paralizzando il ruolo delle chiese religiose». Il calendario cristiano venne sostituito e il nuovo anno venne fatto iniziare il 30 gennaio, giorno della presa del potere. I giochi e le fiabe «vennero riscritte per glorificare eroi pagani coraggiosamente in guerra contro gli eserciti cristiani stranieri». Quando alcuni vescovi lo denunciarono pubblicamente, «il Fuhrer reagì con collera esclamando: “il cristianesimo scomparirà dalla Germania proprio come ha fatto in Russia”». Nel 1935 vennero abolite le preghiere a scuola e nel 1938 toccò ai canti e alle rappresentazioni della natività. Il tutto sostituito dai canti nazisti: “Siamo la gioventù hitleriana felice; non abbiamo bisogno delle virtù cristiane. Adolf Hitler è il nostro intercessore e il nostro redentore. Nessun prete, nessun maligno potrà averci”

Nel secondo articolo Goldberg si è soffermato su Alfred Rosenberg, il vero ideologo del nazismo: per lui «il cristianesimo era la colpa di tutti i moderni orrori del capitalismo e della vita inautentica, per non parlare della distruzione di Atlantide. Rosenberg delinea unacospirazione cristiana dopo l’altra» e, come qualcuno ancora oggi, «suggerisce l’esistenza di un Vangelo che, se non fosse stato nascosto dalla Chiesa, avrebbe sfatato la “contraffazione della grande immagine di Cristo” che si trova in Matteo, Marco, Luca e Giovanni». Hitler, nel suo “Mein Kampf”, scrive: «Il Cristianesimo non si accontentò di erigere un altare di sua iniziativa. Prima aveva distrutto gli altari pagani. L’avvento del cristianesimo ha scatenato il terrore spirituale sul mondo antico molto più libero».

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00lunedì 12 agosto 2013 12:41
il documentario “La croce e la svastica”, realizzato nel 2012 da La Grande storia di Rai3

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00martedì 19 novembre 2013 14:50

E il Führer disse: Pio XII è sovversivo


Il radiomessaggio del Natale 1942 fu visto come un pericolo da parte di Hitler:
un'analisi dello storico gesuita Giovanni Sale

 

Nel Natale di 60 anni fa Hitler tremò per quello che Papa Pio XII avrebbe detto nel messaggio radiofonico per la festa. Lo testimonia il fatto che «per evitare spiacevoli sorprese al suo Governo (o su richiesta dei suoi stessi superiori)», l'ambasciatore tedesco in Vaticano Diego von Berger mandò, alcuni giorni prima, un funzionario a chiedere alla Segreteria di Stato il testo sia di quel discorso, sia dell'altro che il Pontefice avrebbe rivolto alla Curia romana. Aveva, infatti, sentore che «pur conservando il tradizionale atteggiamento di imparzialità e senza nominare persone o situazioni particolari», Pacelli avrebbe «pronunciato parole severe nei confronti del "nuovo ordine europeo" instaurato dal nazismo».

Questo fatto, che emerge da fonti inedite, viene reso noto dallo storico gesuita padre Giovanni Sale in un articolo che appare sul numero in uscita de «La Civiltà Cattolica». In esso si fa luce su alcuni aspetti di quel famoso pronunciamento, che a tutt'oggi alcuni storici - come Michael Marrus, membro di parte ebraica della disciolta commissione di studi sul pontificato pacelliano durante la Seconda Guerra mondiale - continuano a definire «uno dei maggiori punti oscuri» nell'operato del Papa. 

Sale ricostruisce minuziosamente come, in realtà, a Berlino il messaggio fosse accolto con «aperta ostilità» dalle forze dell'Asse: considerato «sovversivo» e «contrario agli interessi della Germania», ne venne proibita la diffusione. E come esso scontentò pure gli Alleati, che ostentarono «freddezza»: Sale, infatti, dà conto delle pressioni concertate che nei mesi precedenti le diplomazie del mondo libero esercitarono sulla sede petrina, perché intervenisse contro Hitler citandolo direttamente. Infine, lo storico, a partire da dichiarazioni di più parti attestate da documenti, esprime delle considerazioni sul fatto che Pio XII «soggettivamente» sentiva di aver espresso chiaramente, nelle circostanze date, la propria condanna.

In effetti, pur se non nominato, il Führer considerò quel discorso un «attacco frontale» e le autorità tedesche reagirono con irritazione. Segno che il Papa aveva «fatto centro». Naturalmente, mentre nella stampa occidentale esso fu ricevuto con apprezzamento, quella tedesca non ne pubblicò una riga. Anzi, chi lo diffondeva era passibile di morte per attentato alla sicurezza dello Stato. 

Sale cita a riprova alcuni dispacci del nunzio a Berlino, Cesare Orsenigo, e la vicenda di un radiotelegrafista protestante che aveva rischiato la pelle per il fatto di possederne una copia. Dal canto loro gli Alleati erano a loro volta scontenti, poiché Pacelli aveva citato il peccato, non il peccatore, che era però chiaramente individuabile. Inglesi e americani (e pure il Vaticano) erano informati dello sterminio perpetrato contro gli ebrei. Anzi, pur essendo le notizie frammentarie e incomplete, soprattutto per l'entità, per il gesuita «fu la conoscenza di queste allarmanti e tragiche notizie, più che la pressione degli alleati», che spinse il Papa a denunciare «il massacro di tanti innocenti soltanto per motivi di nazionalità e di stirpe».

Per molti storici, con un giudizio a posteriori, furono parole tiepide, non "profetiche". Altri si spingono a parlare di deliberato e complice silenzio. Sale risponde alle accuse invocando sul piano fattuale le «reali difficoltà del momento storico». E sul piano della personalità di Pacelli ribadisce che egli pensava di aver agito in modo da dire "i fatti" (e li avrebbe, poi, ripetuti in giugno parlando ai cardinali) senza esporre cristiani ed ebrei a ulteriori rappresaglie. E se il suo carisma non fu "profetico" (ma la Chiesa è fatta di uomini, ricorda Sale), egli dimostrò di aver agito con discernimento sapienziale nei tempi duri che gli toccò vivere.

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00martedì 19 novembre 2013 14:56
 

Per quanto riguarda i cattolici e il nazismo, stralcio questa pagina:


Dal libro: I nuovi perseguitati di A.Socci pag 50-51


Il nazismo per ferocia non fu secondo a nessuno. La sua furia, com'è noto, si scatenò soprattutto contro gli ebrei con il più sistematico, folle e spieiato piano di distruzione totale di un popolo che si conosca. Ma anche il cristianesimo - che per il neopaganesimo nazista era un "prodotto giudaico" - conobbe la ferocia delle camicie brune.



Lo scontro del nazismo con la Chiesa inizia con la salita al potere di Hitler: allo scoppio della guerra l'associazionismo cattolico e la stampa cattolica ne risulteranno spazzati via. Ma poi inizia la persecuzione sanguinosa e il martirio. "Nei dodici anni di regime hitleriano" scrive Andrea Riccardi parlando solo della Germania "furono 12.000 i preti che in qualche modo subirono minacce, limitazioni della libertà personale, persecuzioni".


Finirono in lager e furono ammazzati molti attivisti cattolici come pure esponenti di altre confessioni cristiane. Don Roberto Angeli così scrive a proposito della baracca 22 nel campo di Dachau: "...in mezzo a preti cattolici di ogni paese, pastori protestanti, pope ortodossi, tutti sacerdoti allo stato puro - senza poteri, ne orpelli, ne privilegi - rosi dalla fame e dal freddo, torturati dai pidocchi e dalla paura, senza più nessuna dignità oltre quella invisibile del sacerdozio, imparammo a scoprire l'essenza della vita e della fede".


Secondo i dati forniti il 4 maggio 2000 nel corso del convegno "I martiri dell'Europa dell'Est e del nazismo", tenuto all'ateneo pontificio Regina Apostolorum, "a Dachau gli hitleriani internarono 2794 sacerdoti e religiosi di 37 nazionalità. Ad Auschwitz imprigionarono 416 ecclesiastici. In totale, durante la seconda guerra mondiale, in Polonia furono circa 6.400 gli ecclesiastici vittime della repressione, tra i quali padre Massimiliano Kolbe".


Specialmente nella Polonia - che i nazisti volevano annichilire come nazione - la distruzione fisica della Chiesa fu perseguita con maggior ferocia: "Per mano dei tedeschi morì un grande numero di ecclesiastici e religiosi polacchi (a cui bisogna aggiungere tanti laici): 6 vescovi, 1.923 preti diocesani, 63 chierici, 580 reli-giosi e 289 suore, secondo alcune stime". Anche negli altri paesi invasi, la Chiesa fu duramente perseguitata e pagò il suo pesante contributo di martiri.


Gli esempi dunque dei cattolici che non si sono schierati a fianco del regime sono molto più numerosi di quelli che normalmente vengono riportati da fonti male informate.


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00martedì 19 novembre 2013 15:03
tratto da:


 

 

 

Chi ha letto con equilibrio il materiale disponibile (compresi i documenti diplomatici di altri paesi), non può che concludere sull'assoluta erroneità della tesi circa il nesso tra Chiesa e avvento del nazismo in Germania; non che non ci fosse un clero filofascista o filonazista, beninteso; ma chi sostenesse che questo fosse l' orientamento politico e morale della Santa Sede sarebbe smentito, ancora una volta, dai documenti.  5. Nel caso di Pacelli, questi rimane in Germania fino al 1929 perché Pio XI lo nomina suo Segretario di Stato; egli dunque è a Roma, al comando della "stanza dei bottoni" vaticana. Da questa stanza escono due importanti documenti: il concordato del febbraio 1933 e l'enciclica "Mit brennender Sorge" del 1937. Il primo fu preparato nei dettagli ben prima che Hitler arrivasse al potere, ossia per tutto il 1932, con la Santa Sedepiuttosto esigente su alcune precise e irrinunciabili garanzie; il secondo documento, come tutti sanno,è il manifesto antinazista della Chiesa Cattolicacome tale venne percepito anche dai nazisti. I documenti ci dicono che nel primo caso Hitler, arrivato al potere da solo un mese, dovette accettare un negoziato già impostato ed accedere a quasi tutte le richieste della Santa Sede; mentre, nel caso dell'enciclica, sempre i documenti ci dicono che Pacelli ne fu uno degli autori e redattori. Niente male per un futuro papa filonazista.  6. I documenti, e non solo quelli vaticani, attestano che la Santa Sede non si faceva alcuna illusione sul nazismo e sulla possibilità d'imbrigliare Hitler, in un'Europa ormai abituata, dopo il 1936, ai suoi colpi di mano (sulla Renania rimilitarizzata, sull'Austria annessa, sulla Cecoslovacchia estinta); il problema stava nella salvaguardia dei cattolici tedeschi; della tutela delle prerogative della Chiesa derivanti da un concordato di cui Hitler doveva sbarazzarsi; e, dopo lo scoppio della guerra, nell'assistenza alle varie vittime nei paesi conquistati da Hitler (ebrei compresi). ...

 

..  8. Dai documenti si evince che, fra i suoi consiglieri in questioni tedesche, Pio XII scelse un gruppo di quattro vescovi tedeschi piuttosto esposti per la loro ostilità al nazismo; e che furono questi i suoi consiglieri per tutta la durata della guerra.  ....

Va comunque ricordato che chi dubiti dell'obiettività delle fonti diplomatiche vaticane può benissimo girare gli archivi europei e nel mondo per gli opportuni riscontri. Gli archivi del ministero degli esteri italiano, di quello tedesco, quelli del ministero degli esteri francese, il Public Record Office di Londra e i National Archives di Washington sono apertissimi a chiunque intenda utilizzarli per ulteriori riscontri. Senza trascurare che alcuni di questi Stati, come l'Italia, la Gran Bretagna e la Germania, hanno pubblicato diverse esaustive collane di documenti che ogni buona biblioteca storica ospita.
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00mercoledì 14 maggio 2014 18:30

Pio XI e l’intolleranza verso fascismo
e leggi razziali

Pio XILa Chiesa cattolica alleata a Mussolini? Ma quando mai! IlConcordato avvenne nel 1929 e servì alla Chiesa comerichiesta di libertà, con esso non vi fu alcun giudizio positivo sul fascismo, ma -come ha spiegato mons. Luigi Negri in False accuse alla Chiesa (Piemme 1997), venne realizzato «per poter vivere, proponendo sempre un’alternativa culturale e sociale».

Anche perché il fascismo picchiava duro da anni contro la stessa Chiesa, così come sulle sedi del Partito popolare e dell’Azione cattolica, sui sacerdoti che si opponevano alla presa di potere da parte delle camicie nere. Il caso più noto è quello di don Minzoni che la sera del 23 agosto 1923 venne ucciso con una bastonata alla nuca in un agguato squadrista.

Eppure, in altre nazioni il pericolo comunista sembrava essere addirittura peggiore. Come ha spiegato lo storico David I. Kertzer, docente di antropologia e storia alla Brown University, nel suo recente libro Il patto con il Diavolo (Rizzoli 2014) -recensito da “Il Giornale”-, fu in questo contesto che Mussolini, noto ateo-mangiapreti operò un radicale e strategico cambio di rotta per svuotare dall’interno l’opposizione del Partito popolare: iniziò ad ergersi a baluardo della tradizione cristiana e cattolica. Fu in questo lungo percorso di “riavvicinamento” che si svolsero i Patti lateranensi.

Un successo per Mussolini ma “un patto con il Diavolo” per Pio XI, ha spiegato lo storico Kertzer che, studiando gli archivi vaticani ha ricostruito il complesso rapporto che venne a svilupparsi tra le due sponde del Tevere. Se all’inizio Ratti vide in Mussolini l’uomo della Provvidenza, in chiave anti-comunista, pian piano l’avvicinamento ad Hitler del dittatore gli rese chiaro il pericolo delle sue scelte. Aveva tollerato le pressioni sull’Azione cattolica, aveva mantenuto un basso profilo sulla guerra d’Etiopia, accettato il fatto che molti prelati fossero fascisti. Tutto questo, viene ripetuto spesso nel libro, nella speranza che Mussolini potesse essere un baluardo contro il comunismo. Il colpo finale furono però le leggi razziali.

Tanto che il Pontefice convocò il gesuita americano Jhon LaFarge, che aveva fondato il concilio cattolico interraziale, con l’intenzione di scrivere una enciclica forte (Humani Generis Hunitas) di condanna del nazismo, del fascismo e del razzismo. Non riuscì a terminarla prima di morire. Il suo successore, Pio XII, optò per un profilo più prudente. Una saggia decisione, che permise a moltissimi ebrei e cattolici tedeschi di salvarsi dalle rappresaglie naziste.


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00martedì 20 maggio 2014 21:24

L’opportunismo “religioso”
di Benito Mussolini

BENITO MUSSOLINI, ANNEES 1930Una delle caratteristiche peculiari di Benito Mussolini è stato il suo “trasformismo” politico che lo ha portato ad assumere per calcolo e opportunismo provvedimenti che non sempre coincidevano con le sue opinioni private.  Questo atteggiamento lo si può notare per esempio nei confronti delle sue convinzioni religiose.

È noto infatti che prima di salire al governo Mussolini manifestò un atteggiamento ferocemente anticlericale: il rivoluzionario aveva dipinto da giovane la Chiesa con diversi epiteti come  “grande cadavere”, “lupa cruenta”,  “covo di intolleranza” e i sacerdoti come “pipistrelli”, “sanguisughe” o “sudici cani rognosi”. A volte negava l’esistenza storica di Gesù asserendo che i Vangeli non potevano essere considerati documenti degni di fede, mentre altre invece raffigurava Cristo come il primo “socialista ante litteram” accusando i papi di aver tradito il suo messaggio. In Svizzera ebbe un dibattito con il pastore evangelico Alfredo Tagliatella dove, togliendosi platealmente l’orologio, sfidò Dio dicendogli di fulminarlo entro cinque minuti se esisteva. In una serie di articoli pubblicati con lo pseudonimo di “Vero Eretico” accusò la religione d’aver prodotto secoli di guerre e i terrori dell’inquisizione e attacchi virulenti li utilizzò anche nei suo romanzi come “Claudia Particella, l’amante del cardinale” o “Giovanni Hus il veridico”.

L’atteggiamento di Mussolini non mutò neppure quando il capo del fascismo fu espulso dai socialisti e fondò i fasci di combattimento: tra i vari punti del programma di San Sepolcro c’era anche la proposta di confiscare “tutti i beni delle Congregazioni Religiose”. Di fronte però all’insuccesso elettorale ottenuto nelle elezioni politiche del novembre del ’19 mutò decisamente posizione intuendo che per raccogliere consensi era necessario non attaccare frontalmente la religione professata dalla stragrande maggioranza della popolazione:  «Qualcuno può dirvi che il fascismo è nemico della religione, che vuole scristianizzare l’Italia.Questa è una ridicola e ignobile calunnia» dichiarò in un discorso del 1921. Una volta salito al governo il futuro dittatore continuò a cercare l’appoggio dei cattolici per rafforzare la sua posizione all’estero e all’interno del paese seguendo una tattica binaria che prevedeva di blandire la Chiesa attraverso dei provvedimenti a suo favore come dei sussidi governativi a favore delle scuole religiose o l’affissione dei crocifissi e nel contempo di attaccare il clero di dichiarato comportamento antifascista o filopopolare.

Per consolidare ulteriormente le basi di massa del regime Mussolini decise di rivestire un accordo con la Chiesa risolvendo definitivamente la Questione Romana (idea che il duce aveva già coltivato fin dal ’23) e, dopo tre anni di negoziato, si giunse l’11 febbraio del 1929 alla firma dei Patti Lateranensi. Mussolini cercò anche di fare passare al popolo l’immagine di essere un devoto cattolico (a tal fine fece regolarizzare la sua relazione con Rachele sposandosi in chiesa), ma nel suo intimo restava un anticlericale convinto come è dimostrato da alcune sue disposizioni (ad esempio i giornali ricevevano spesso l’ordine di ignorare il papa). Paradossalmente, l’odio del duce verso i preti spuntò fuori chiaramente dopo la firma dei Patti Lateranensi: «Come avete udito, abbiamo fatto pace con la Chiesa… Ora che la pace è stata fatta, si può riprendere la guerra!» dichiarò di fronte al Gran Consiglio del Fascismo. A solo due mesi dalla firma del concordato il capo del fascismo fece infuriare il papa con delle dichiarazioni alla Camera nella quale affermò che in conseguenza del Trattato la Chiesa non era più libera ma subordinata allo stato e che la religione cristiana «molto probabilmente non avrebbe lasciato traccia di sé» se fosse rimasta in Palestina e non si fosse trapiantata a Roma.

Nonostante ciò il regime fascista godette negli anni ’30 di un sostanziale appoggio da parte delle gerarchie ecclesiastiche anche se non mancarono scontri che lasciarono intravedere che la collaborazione era solamente opportunistica e precaria. Nel 1931, ad esempio, vi fu un aspro conflitto tra la Chiesa e il regime riguardante l’educazione dei giovani: i fascisti avevano avviato una violenta campagna contro l’Azione Cattolica per tentare di monopolizzare la formazione della gioventù. Pio XI era molto infuriato per questo: “Gli vada a dire (al Duce) che con i metodi che usa e i fini che si propone, mi fa schifo, nausea, vomito…” disse ad un diplomatico italiano. Il papa giunse persino a meditare di rompere i rapporti con lo stato italiano, ma alla fine rinunciò ascoltando il parere di Pacelli che considerava il gesto controproducente. La risposta del pontefice fu comunque molto energica e si riversò nell’enciclica «Non abbiamo bisogno» che denunciava le pretese totalitarie dello stato fascista. «Intanto io darò un giro di vite alla situazione per quanto riguarda le scuole cattoliche condotte dai religiosi. Tutto questo sul piano tattico, mentre sul piano strategico manterremo la nostra linea di perfetta osservanza religiosa e di rispetto nei confronti del papa» dichiarò macchialevicamente Mussolini dopo l’uscita del documento papale.

Se lo scontro riguardante sull’Azione Cattolica trovò infine un compromesso tra le due parti, non fu invece così per quanto riguarda un altro dissidio: le leggi razziali. Pio XI guardava con sfavore all’alleanza tra il duce e il dittatore tedesco a causa delle vessazioni operate contro i cattolici in Germania e fu enormemente contrariato quando Mussolini emanò anch’esso nel ’38 una legislazione antiebraica di stampo razziale. È stato sostenuto da alcuni che all’epoca la Santa Sede manifestò un riservato silenzio finendo per accettare la legislazione antisemita, eppure fu proprio quest’ultimo atto che provocò un dissidio insanabile tra il papa e il regime fascista in quanto veniva considerato un vulnus inferto al concordato (erano infatti vietati i matrimoni misti anche se il coniuge ebreo era convertito al cattolicesimo). Pio XI si esprimete inmaniera profondamente negativa riguardo ai razzismo fascista:  «Ci si può chiedere come mai, disgraziatamente l’Italia abbia avuto bisogno di andare a imitare la Germania!»,  «Il razzismo è un errore che raggiunge i gradini alti degli altari perché intacca la dottrine cattoliche» dichiarò, ma Mussolini fece sapere di essere ormai intenzionato a tirare dritto con la questione razziale e lanciò strali furibondi contro Pio XI: «Io non sottovaluto la forza del papa; ma lui non deve sottovalutare la mia. Basterebbe un mio cenno per scatenare tutto l’anticlericalismo di questo popolo, il quale ha dovuto faticare non poco per ingurgitare un Dio ebreo» disse a Galeazzo Ciano. Al genero confidò anche di essere intenzionato a lanciare unultimatum alla Chiesa«Contrariamente a quanto si crede, io sono un uomo paziente. Bisogna però che questa pazienza non mi venga fatta perdere, altrimenti agisco facendo il deserto. Se il Papa continua a parlare, io grato la crosta agli italiani e in men che non si dica li faccio tornare anticlericali. Al Vaticano sono uomini insensibili e mummificati. La fede religiosa è in ribasso: nessuno crede a un Dio che si occupa delle vicende personali dell’agente di polizia fermo nell’angolo del Corso» (citazioni prese da A. Spinosa, Mussolini, Milano 1992 p. 343).

Il papa era intenzionato a compiere due azioni che avrebbero forse potuto modificare enormemente il rapporto tra la Chiesa e i regimi nazifascisti: la redazione dell’enciclica contro il razzismo «Humani Generi Hunitas» e un discorso severo contro il fascismo e il nazismo da pronunciare il giorno del decennale dei Patti Lateranensi. Entrambe queste iniziative non furono però infine attuate a causa della prematura morte del papa avvenuta il 10 febbraio 1939. Su questo fatto è nata anche la leggenda che Pio XI fosse stato in realtà ucciso dal suo medico Francesco Petacci (padre dell’amante di Mussolini) su ordine del duce proprio per evitare che il papa pronunciasse quel discorso. La tesi è sicuramente da scartare, ma come in ogni leggenda anche questa contiene un barlume di verità dato che il duce accolse con sollievo la notizia della scomparsa del pontefice al punto che commentò: «Finalmente è morto quest’uomo dal collo rigido» (sull’ipotesi dell’assassinio di Pio XI cfr. Guseppe Di Leo, Pio XI ucciso da Mussolini?, Il Riformista 16 luglio 2005).

Nonostante il successore di Achille Ratti, Pio XII, fosse ben più “diplomatico” rispetto al suo predecessore, non mancarono però anche con esso dei dissidi avvenuti con il regime riguardanti stavolta l’entrata nella seconda guerra mondiale. Pacelli operò affinché l’Italia restasse estranea al conflitto, ma il capo del fascismo era fermamente intenzionato ad entrare in guerra per spartirsi il bottino convinto dalle rapide vittorie tedesche che il conflitto si sarebbe presto concluso e fu notevolmente irritato dagli appelli per la pace del papa: «C’è un campo di concentramento anche per il vecchio del Vaticano, se non la smette di piatire per la pace»giunse ad affermare. Anche negli anni seguenti il duce si lasciò andare a commenti anticlericali virulenti come quelli pronunciati negli anni giovanili: ad esempio, Galeazzo Ciano annotava il 22 dicembre 1941 sul suo diario che Mussolini “si era scagliato contro il Natale. Si sorprende che i tedeschi non abbiamo ancora abolito questa festa che «ricorda soltanto la nascita di un ebreo che regalò al mondo teorie debilitanti e svirilizzatrici e che ha particolarmente fregato l’Italia con l’opera disgregatrice del papato»” (G. Zagheni, La croce e il fascio, Torino 2006 pp. 260-261).

Tuttavia, c’è chi ha parlato di una sua conversione religiosa al cattolicesimo negli ultimi anni della sua vita dopo il suo arresto nel 1943. Effettivamente, la caduta ha probabilmente fatto emergere nel fondatore del fascismo dubbi e domande sul destino ultimo dell’anima, ma storici come Renzo De Felice e Denis Mack Smith hanno escluso l’ipotesi di una sua conversione e del resto, non va dimenticato che negli anni della Repubblica di Salò Mussolini appoggiò l’opera di don Tullio Calcagno, sacerdote che minacciava uno scisma dalla Santa Sede a causa del mancato appoggio del Vaticano alla Repubblica Sociale Italiana.

Ha  scritto giustamente Armando Carlini sulla politica religiosa di Mussolini: «è vero che con lui il nome di Dio risuonò , forse per la prima volta, solenne e ammonitore nella grigia aula del parlamento. E’ vero che si deve a lui la distruzione in Italia della Massoneria e la Conciliazione con il Vaticano. Ma queste imprese non furono da lui eseguite, e di fatto giustificate, con ragioni che non fossero essenzialmente politiche e sociali». Un approccio dunque materialista e calcolatore che a lungo andare però sarebbe andato a cozzare, come infatti è successo, con la vera anima del fascismo fondata sul nazionalismo esasperato e sul controllo totalitario della società.

Mattia Ferrari


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00giovedì 5 giugno 2014 17:27

4 giugno: la città di Roma
salva grazie al Vaticano

Liberazione romaIl 4 giugno di settant’anni fa terminò l’occupazione nazista di Roma, all’alba le prime pattuglie statunitensi entrano in città mentre i tedeschi lasciarono Ponte Milvio e la periferia settentrionale della città, quasi senza scontri con i partigiani.

Lo scontro si evitò, salvando numerose vite e la città di Roma. Oggi la tesi prevalente tra gli storici conferisce il merito all’intervento del Vaticano«Fu concordata un’uscita pacifica delle truppe tedesche da Roma, con l’importante mediazione del Vaticano e il consenso delle componenti moderate della Resistenza», sostieneDavide Conti della Fondazione Basso.

«Le trattative diplomatiche con i tedeschi, condotte da Pio XII durante il periodo dell’occupazione, miravano non solo a salvare le persone ma anche a salvare la città, evitando la battaglia su Roma. Fu l’oggetto dell’incontro a maggio tra il Papa e il generale Rainer Stahel», afferma Anna Foa, docente ebrea di storia moderna all’Università La Sapienza. Una chiave di lettura che convince anche Alessandro Portelli, docente universitario e autore del libro “L’ordine è già stato eseguito” sulle Fosse Ardeatine: «Le forze monarchiche e la Chiesa operarono in maniera di evitare l’insurrezione, avendo paura che ne traessero vantaggio i comunisti e le sinistre e che ci fossero danni e sofferenze per la città».

Massimo Rendina, vicepresidente nazionale dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (Anpi), aggiunge«L’intesa fu promossa dal Vaticano, che garantì ai tedeschi che potevano uscire dalla città senza essere attaccati. Infatti gli scontri armati furono pochissimi. Io ritengo che il Comitato di Liberazione Nazionale (Cln) si pronunciò a favore della non insurrezione, anche non sono state finora trovate documentazioni che lo provino».

Durante l’occupazione nazista Pio XII e la Chiesa cattolica hanno fatto moltissimo per proteggere gli ebrei romani, e non solo, nascondendoli nei conventi e nelle residenze vaticane. Lo ha testimoniato in questi giorni su “Repubblica” ancheGiacomo Limentani, che allora aveva 9 anni e vide andarsene i tedeschi nascosto in un convento in piazza di Spagna. Tanto che il rabbino David G. Dalin ha affermato:«Durante il ventesimo secolo il popolo ebraico ha avuto un grande amico. Pio XII ha salvato più vite di ebrei di chiunque altro, anche più di Oskar Schindler e Raoul Wallenberg. Mentre l’80% degli ebrei europei morirono in quegli anni, l’80% degli ebrei italiani furono salvati. Solo a Roma, 155 conventi e monasteri diedero rifugio a 5000 ebrei. Almeno 3.000 vennero nascosti nella residenza pontificia di Castel Gandolfo. Seguendo le istruzioni dirette di Pio XII, molti preti e monaci resero possibile la salvezza di centinaia di vite di ebrei, rischiando la propria stessa vita. Il suo silenzio era una strategia efficace per proteggere il maggior numero di ebrei dalla deportazione. Un’esplicita e dura denuncia contro i nazisti sarebbe servita come invito alla ritorsione, e avrebbe peggiorato le disposizioni sugli ebrei in tutta Europa».

Lo storico Martin Gilbert, di origine ebraica e biografo ufficiale di Winston Churchill, nonché tra i più noti studiosi dell’Olocausto, ha a sua volta sostenuto«Come storico ebreo ho a lungo sentito il bisogno di rivelare pienamente l’aiuto cristiano agli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale e la storia degli uomini che sono stati coinvolti nel salvataggio». Pio XII «ha ritenuto, a mio parere correttamente, che l’intervento diretto avrebbe avuto conseguenze disastrose nelle forme di rappresaglia e un’escalation di persecuzione. Quando le SS vennero a Roma, la Santa Sede prese sotto la sua protezione centinaia di migliaia di ebrei, accogliendoli in Vaticano e incoraggiando nel contempo tutte le istituzioni cattoliche a fare altrettanto. Grazie a queste iniziative meno di un quarto di tutti gli ebrei romani furono imprigionati o deportati. La Chiesa cattolica è stata al centro di questa grande operazione di salvataggio. Io la definisco un’opera sacra». Anche la già citata storica ebrea Anna Foa ha riconosciuto che «gli studi degli ultimi anni stanno mettendo sempre più in luce il ruolo generale di protezione che la Chiesa ha avuto nei confronti degli ebrei durante l’occupazione nazista dell’Italia».


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00mercoledì 9 luglio 2014 14:21
enciclica
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00martedì 22 luglio 2014 16:01
Alcuni paragrafi importanti della Mit Brennender sorge



Ecco alcuni spunti dell'enciclica Mit brennender sorge del 1937 con cui papa Pio XI denunciava senza mezzi termini dopo aver verificato da documenti e da constatazioni inoppugnabili, gli abusi, gli errori, le violenze, l'incompatibilità del Nazionalsocialismo nazista con la fede cristiana, elencando puntualmente tutti i punti di dottrina inaccettabili, la pericolosità di quel regime che già si delineava in tutta la sua crudeltà, mettendo in guardia tutti circa le conseguenze dolorose a cui avrebbe condotto, invitando tutti, i vescovi in primo luogo a non seguirne i programmi.

Per cui una denuncia chiara ed inequivocabile da parte del papa vi è stata.
Egli ha parlato a nome di tutti i cattolici e il suo discorso, a cui è stata data debita divulgazione, e non è stato mai ritrattato.


Con viva ansia e con stupore sempre crescente veniamo osservando da lungo tempo la via dolorosa della Chiesa e il progressivo acuirsi dell'oppressione dei fedeli ad essa rimasti devoti nello spirito e nell'opera; e tutto ciò in quella terra e in mezzo a quel popolo, a cui San Bonifacio portò un giorno il luminoso e lieto messaggio di Cristo e del Regno di Dio.
Tale Nostra ansia non è stata alleviata dalle relazioni che i Reverendissimi Rappresentanti dell'Episcopato, conforme al loro dovere, Ci fecero secondo verità, visitandoCi durante la Nostra infermità. Accanto a molte notizie che Ci furono di consolazione e conforto sulla lotta sostenuta dai loro fedeli a causa della Religione, non poterono, nonostante l'amore al loro popolo e alla loro patria e la cura di esprimere un giudizio ben ponderato, passare sotto silenzio innumerevoli altri avvenimenti tristi e riprovevoli. Quando Noi udimmo le loro relazioni, con profonda gratitudine verso Dio potemmo esclamare con l'Apostolo dell'amore: "Non ho gioia più grande di quando sento: i miei Egli camminano nella verità" (III Joan. 4). Ma la franchezza che si addice alla grave responsabilità del Nostro ministero Apostolico, e la decisione di presentare davanti a voi e all'intero mondo cristiano la realtà in tutta la sua crudezza esigono anche che aggiungiamo: "Non abbiamo maggiore ansia né più crudele afflizione pastorale di quanto sentiamo: molti abbandonano il cammino della verità" (II Petr. II, 2).
I.
Quando Noi, Venerabili Fratelli, nell'estate del 1933, a richiesta del governo del Reich, accettammo di riprendere le trattative per un Concordato, in base ad un progetto elaborato già vari anni prima, e addivenimmo così ad un solenne accordo, che riuscì di soddisfazione a voi tutti, fummo mossi dalla doverosa sollecitudine di tutelare la libertà della missione salvatrice della Chiesa in Germania e di assicurare la salute delle anime ad essa affidate, e in pari tempo dal sincero desiderio di rendere un servizio d'interesse capitale al pacifico sviluppo e al benessere del popolo tedesco.
Nonostante molte e gravi preoccupazioni, pervenimmo, allora, non senza sforzo, alla determinazione di non negare il Nostro consenso. Volevamo risparmiare ai Nostri fedeli, ai Nostri figli e alle Nostre figlie della Germania, secondo le umane possibilità, le tensioni e le tribolazioni che in caso contrario si sarebbero dovute con certezza aspettare, date le condizioni dei tempi. E volevamo dimostrare col fatto a tutti che Noi, cercando solo Cristo e ciò che appartiene a Cristo, non rifiutiamo ad alcuno, se egli stesso non la respinge, la mano pacifica della Madre Chiesa.
Venerabili Fratelli…... Chiunque abbia conservato nel suo animo un residuo di amore per la verità, e nel suo cuore anche un'ombra del senso di giustizia, dovrà ammettere che negli anni difficili e gravi di vicende susseguitisi al Concordato, ciascuna delle Nostre parole e delle Nostre azioni ebbe per norma la fedeltà agli accordi sanciti. Ma dovrà anche riconoscere, con stupore e con intima ripulsa, come dall'altra parte si sia eretto a norma ordinaria lo svisare arbitrariamente i patti, l'eluderli, lo svuotarli e finalmente il violarli più o meno apertamente.
….
La moderazione da Noi finora mostrata, nonostante tutto ciò, non Ci è stata suggerita da calcoli di interessi terreni né tanto meno da debolezza, ma semplicemente dalla volontà di non strappare, insieme con la zizzania, anche qualche buona pianta; dalla decisione di non pronunziare pubblicamente un giudizio, prima che gli animi fossero maturi per riconoscerne l'ineluttabilità; dalla determinazione di non negare definitivamente la fedeltà di altri alla parola data, prima che il duro linguaggio della realtà avesse strappato i veli con i quali si è saputo e si cerca anche adesso di mascherare, secondo un piano prestabilito, l'attacco contro la Chiesa.

Seguendo le preghiere dei Reverendissimi Membri dell'Episcopato non Ci stancheremo anche nel futuro di difendere il diritto leso presso i reggitori del vostro popolo, incuranti del successo o dell'insuccesso del momento, ubbidienti solo alla Nostra coscienza e al Nostro Ministero pastorale, e non cesseremo di opporCi ad una mentalità, che cerca, con aperta o occulta violenza, di soffocare il diritto, autenticato da documenti.
….
Se la razza o il popolo, se lo Stato o una sua determinata forma, se i rappresentanti del potere statale o altri elementi fondamentali della società umana hanno nell'ordine naturale un posto essenziale e degno di rispetto; chi peraltro li distacca da questa scala di valori terreni, elevandoli a suprema norma di tutto, anche dei valori religiosi, e divinizzandoli con culto idolatrino perverte e falsifica l'ordine da Dio creato e imposto, è lontano dalla vera fede in Dio e da una concezione della vita ad essa conforme.

….
I Vescovi della Chiesa di Cristo "preposti a quelle cose che riguardano Dio" (Hebr. V, 1) devono vigilare perché non si affermino tra i fedeli tali perniciosi errori, ai quali sogliono tener dietro pratiche ancora più perniciose. Spetta al loro sacro ministero far tutto il possibile, affinché i comandamenti di Dio siano considerati e praticati quali obbligazioni inconcusse di una vita morale e ordinata, sia privata sia pubblica; i diritti della Maestà Divina, il nome e la parola di Dio non vengano profanati (Tit. II, 5);
…..

Nelle vostre contrade, Venerabili Fratelli, si elevano voci in coro sempre più forte, che incitano ad uscire dalla Chiesa, e sorgono banditori, i quali per la loro posizione ufficiale cercano di risvegliare l'impressione che tale distacco dalla Chiesa, e conseguentemente l'infedeltà verso Cristo Re, sia una testimonianza particolarmente persuasiva e meritoria della loro fedeltà al regime presente. Con pressioni occulte e palesi, con intimidazioni, con prospettive di vantaggi economici, professionali, civili o d'altra specie, l'attaccamento alla fede dei Cattolici e specialmente di alcune classi di funzionari cattolici viene sottoposto ad una violenza tanto illegale quanto inumana. Con commozione paterna Noi sentiamo e soffriamo profondamente con coloro che hanno pagato a sì caro prezzo il loro attaccamento a Cristo e alla Chiesa; ma si è ormai giunti a un tal punto, che è in giuoco il fine ultimo e più alto, la salvezza o la perdizione, e quindi unico cammino di salute per il credente resta la via di un generoso eroismo. Quando il tentatore o l'oppressore gli si accosterà con le traditrici istigazioni a uscire dalla Chiesa, allora egli non potrà che contrapporgli, anche a prezzo dei più gravi sacrifici terreni, la parola del Salvatore: "Allontanati da me, o Satana, perché sta scritto: adorerai il Signore Dio tuo e a Lui solo servirai" (Matth. IV, 10; Luc. IV, 8).
…..
Da mille bocche viene oggi ripetuto al vostro orecchio un evangelo che non è stato rivelato dal Padre Celeste, migliaia di penne scrivono a servizio di una larva di cristianesimo, che non è il Cristianesimo di Cristo. Tipografia e radio vi inondano giornalmente con produzioni di contenuto avverso alla Fede e alla Chiesa e, senza alcun riguardo e rispetto, assaltano ciò che per voi deve essere sacro e santo. Sappiamo che moltissimi tra voi, a causa dell'attaccamento alla Fede e alla Chiesa e dell'appartenenza ad associazioni religiose, tutelate dal Concordato, hanno dovuto e devono attraversare periodi tenebrosi di disconoscimento, di molteplici danni nella loro vita professionale e sociale. E ben sappiamo come molti ignoti soldati di Cristo si trovino nelle vostre file, che con cuore affranto, ma a testa alta, sopportano la loro sorte e trovano conforto solo nel pensiero che soffrono contumelie nel nome di Gesù (Act. V, 41).
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Il primo e il più ovvio dono d'amore del sacerdote al mondo consiste nel servire la verità, tutta intera la verità, smascherare e confutare l'errore, qualunque sia la sua forma o il suo travestimento. La rinunzia a ciò sarebbe non solo un tradimento verso Dio e la vostra santa vocazione, ma un delitto nei riguardi del vero benessere del vostro popolo e della vostra patria. A tutti coloro che hanno mantenuto verso i loro Vescovi la fedeltà promessa nell'ordinazione, a coloro i quali nell'adempimento del loro ufficio pastorale hanno dovuto e devono sopportare dolori e persecuzioni — e alcuni sino ad essere incarcerati e mandati ai campi di concentramento — vada il ringraziamento e l'encomio del Padre della Cristianità.

Se alcuni hanno mancato e si sono mostrati indegni della loro vocazione, i loro falli, condannati anche dalla Chiesa, non diminuiscono i meriti della stragrande maggioranza di essi, che con disinteresse e povertà volontaria si sono sforzati di servire con piena dedizione il loro Dio e il loro popolo.

….
La Chiesa di Cristo non può cominciare a gemere e a deplorare, solo quando gli altari vengono spogliati e mani sacrileghe mandano in fiamme santuari. Quando si cerca di profanare il tabernacolo dell'anima del fanciullo, santificata dal battesimo, con un'educazione anticristiana; quando viene strappata da questo vivo tempio di Dio la fiaccola della fede e viene posta in suo luogo la falsa luce di un succedaneo della fede, che non ha più nulla in comune con la fede della Croce, allora la profanazione spirituale del tempio è vicina e ogni credente ha il dovere di scindere chiaramente la sua responsabilità da quella della parte contraria e la sua coscienza da qualsiasi peccaminosa collaborazione a tale nefasta distruzione. E quanto più i nemici si sforzano di negare od orpellare i loro tetri disegni, tanto più necessaria è una diffidenza oculata e una vigilanza diffidente, stimolata da una amara esperienza
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Abbiamo pesato ogni parola di questa Enciclica sulla bilancia della verità e insieme dell'amore. Non volevamo con silenzio inopportuno essere colpevoli di non aver chiarita la situazione, né con rigore eccessivo di aver indurito il cuore di coloro che, essendo sottoposti alla Nostra responsabilità pastorale, non sono meno oggetto del Nostro amore, perché ora camminano sulle vie dell'errore e si sono allontanati dalla Chiesa.
….
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00venerdì 31 ottobre 2014 14:58

Pio XI e il Vaticano: fieri avversari del nazismo




Il 12 marzo del 1938 le truppe tedesche invasero l’Austria e la incorporarono ufficialmente al nuovo Reich con un plebiscito tenutosi il 10 aprile. Negli anni passati la chiesa austriaca aveva costituito un sicuro baluardo contro il nazismo al punto che lo stesso Sigmund Freud aveva dichiarato all’epoca di sperare che la Chiesa Cattolica rimanesse molto forte così da poter contrastare l’influenza del nazionalsocialismo. All’epoca dell’annessione però i vescovi austriaci non diedero invece purtroppo una buona prova facendo un velocissimo voltafaccia, al punto che il 18 marzo incitarono i loro fedeli a votare favorevolmente al referendum per l’annessione. Esemplare è a tal proposito la figura del primate e arcivescovo di Vienna Theodor Innitzer che pur avendo in precedenza duramente attaccato il nazismo non esiterà dopo l’invasione a pubblicare una dichiarazione di lealtà a Hitler con il quale avrà anche un calorosissimo incontro. Vi erano state minacce da parte nazista per tentare di influenzare l’atteggiamento ecclesiastico, ma vi erano anche dei prelati che erano di per sé favorevoli all’annessione.


Tuttavia, è importante sottolineare che la gerarchia austriaca agì senza interpellare il Vaticano e la sua azione irritò non poco Pio XI da tempo in rotta di collisione con il Terzo Reich. Che il papa disapprovasse l’annessione è dimostrato dal fatto che il pontefice fece convocare a Roma il cardinale Innitzer e lo obbligò a firmare una dichiarazione pubblica che sconfessava la precedente dichiarazione dei vescovi a votare “si” all’unione con la Germania (anche se ciò non impedì che il plebiscito si concludesse con un risultato ampiamente favorevole ai nazisti). La Santa Sede aveva infatti il timore che i provvedimenti anticristiani già adottati in Germania avrebbero potuto estendersi anche all’Austria e le sue paure si riveleranno fondate: i nazisti provvidero a chiudere monasteri, a sopprimere associazioni e scuole cattoliche e ad eliminare il concordato vigente in Austria dal 1934 (rifiutandosi peraltro di estendere il Reichkonkordat ai nuovi territori).


La situazione arrivò al punto che lo stesso Innitzer terrà il 6 ottobre 1938 un discorso nella sua cattedrale per cercare di galvanizzare il senso di appartenenza dei cattolici austriaci, appellandosi alla loro identità confessionale contro i nazionalsocialismi«Avete perduto quasi tutto nell’ultimo mese. Avete perduto i vostri circoli cattolici e le vostre unioni cristiane. Ma ad onta di tutto ciò vi unirete ai vostri preti con nuove unioni». La reazione nazista non si fece attendere: pochi giorni dopo una folla inferocita invase e devastò l’arcivescovado e aggredì alcuni ecclesiastici tra cui lo stesso Innitzer che venne brutalmente percosso. In seguito a ciò Pio XI ordinerà di far «sapere al mondo che anche l’arcivescovo di Vienna è ormai contro il nazismo» e commenterà sul vescovo: «Questo cardinale è stato sempre ripetutamente infelice! Prima Heil Hitler, e poi….» (cfr E. Fattorini, Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un papa, Trento 2007 pp. 156-158).


Achille Ratti fu inoltre una delle poche persone che all’epoca non si lasciarono sedurredall’accordo stipulato nel 1938 a Monaco. Il papa disse in quel periodo a monsignor Domenico Tardini «di non approvare che a Monaco si siano decise le sorti della Cecoslovacchia senza che i rappresentati di questa abbiano preso parte al convegno, come i quattro capi» e rimprovererà personalmente Neville Chamberlain, venuto a trovarlo il 13 gennaio 1939, di aver «fatto a Hitler un piedistallo d’oro!». Pio XI, pur avendo rifiutato le richieste di esprimere un appello pubblico alla pace perché lo considerava non a torto inutile («una minestra riscaldata» come lo definì a Tardini), in quel periodo venneattaccato dalla propaganda nazista che lo accusò di essersi schierato a favore delle potenze dominate dal capitalismo giudaico-massonico, ma per il suo atteggiamento contrario all’accordo Achille Ratti riceverà invece ringraziamenti da parte di chi all’epoca non si unì al coro di lodi per lo smembramento della Cecoslovacchia: George Bidaultscriverà il 3 settembre 1938 su “L’Aube” che «In tutta questa tristezza che ci sommerge, in quella abdicazione delle democrazie una volta così fiere, una sola grande forza ci porta fierezza e conforto. È la voce del grande papa Pio XI, sola voce intrepida, tra tante defezioni»; invece il cardinale di Praga Walter Kasper ricorderà a Pacelli che «Sua Santità, il beatissimo padre Pio XI è stato l’unico che in quei gravissimi giorni si è degnato di proteggerci» e anche l’ex presidente della Cecoslovacchia Edvard Benês, rifugiatosi a Londra, scriverà nel 1943 alla Santa Sede «Io non posso dimenticare l’atteggiamento estremamente solidale di sua Santità Pio XI verso la Cecoslovacchia durante la crisi del 1938 ed il messaggio inviatomi nel momento più critico della mia nazione» (Pio XI, Hitler e Mussolini pp. 192-199).


Il pontefice morì il 10 febbraio del 1939 e qualche mese dopo scoppiò il secondo conflitto mondiale. A quel punto tutti compresero il carattere fortemente aggressivo della politica hitleriana, ma già prima di allora vi era già stato un pontefice che aveva cercato di contrastare l’espansionismo nazista.



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00domenica 22 febbraio 2015 18:56

La “Rosa Bianca”,
la resistenza cattolica al nazismo

La rosa biancaOggi, 22 febbraio, ricordiamo l’uccisione dei principali componenti della “Rosa Bianca”, la cosiddetta “resistenza pacifica” al nazismo, che vennero arrestati, processati e condannati a morte mediante decapitazione nel 1943. Il gruppo era formato da un gruppo di studenti ventenni: Hans Scholl, sua sorella Sophie Scholl, Christoph Probst, Alexander Schmorell, Willi Graf, ai quali si aggiunse il professor Kurt Huber.

Sono stati recentemente ricordati dal quotidiano “Il Garantista” (ovvero ciò che è riuscito a sopravvivere del quotidiano “Liberazione”, l’organo di stampa ufficiale di Rifondazione Comunista), peccato che nelle due pagine celebrative in cui si sono descritti approfonditamente i protagonisti del gruppo, mai è stato ricordata -nemmeno di passaggio- la loro profonda fede cristiana e cattolica, che fu anche ciò che li spronò nella coraggiosissima e quasi isolata sfida al nazismo.

La Rosa Bianca fu un movimento nato dall’amicizia tra alcuni studenti dell’Università Ludwig Maximilian di Monaco che, tra il giugno del 1942 e il febbraio 1943, aiutati da alcuni sacerdoti cattolici, decisero di opporsi in modo cristiano e quindi nonviolento al regime della Germania nazista. La pagina Wikipedia che li riguarda è stranamente realizzata molto bene: essi credevano in un’Europa federale che aderisse ai principi cristiani di tolleranza e giustizia, appellandosi all’intellighenzia tedesca anche attraverso a volantini che vennero distribuiti in migliaia di copie. Erano legati a molti movimenti cattolici, in particolare erano amici di Otto Aicher tra i leader del quartiere cattolico Söflingen, sede di una forte resistenza cattolica al nazismo animata dal parroco Franz Weiss. L’ispirazione venne anche da “Quickborn” (Sorgente di vita), movimento cattolico guidato dal celebre teologo Romano Guardini. La maggior parte di loro era di fede protestante ma queste amicizie e la lettura degli autori del rinnovamento cattolico francese sarà alla base del progressivo avvicinamento al cattolicesimo. Ad ispirare l’idea dei volantini distribuiti clandestinamente, inviati per posta o messi nella buca delle lettere, furono anche le prediche fortemente critiche al nazismo (concordate con Pio XII) del vescovo Clemens August von Galen, nominato da Pio XII nel 1943 a prelato domestico di Sua Santità ed elevato a cardinale nel 1946.

Il 5 febbraio 1996 Franz Josef Mueller, membro della Rosa Bianca, sopravvissuto alla decapitazione e liberato dal carcere dagli americani, spiegò«Il nostro gruppo di giovani ricevette impulsi determinanti per opera di tre giovani sacerdoti cattolici. Nella scuola non c’era la lezione di religione, ma noi ci incontravamo in privato, si può dire in gran segretezza, di notte, utilizzando gli ingressi posteriori. Il gruppo era costituito da quasi 20 giovani che non si esercitavano contro il nazionalsocialismo bensì nella lettura». Il movimento cercava anche rapporti con i prigionieri che arrivavano in Germania, dando loro conforto: « Con questi uomini, che secondo l’ideologia nazista provenivano da razze inferiori, cercavamo contatti: per primi con i polacchi, che erano persone molto gentili. Discutevano con noi, erano cattolici come noi, venivano con noi in chiesa alla domenica. Erano persone straordinariamente cortesi, sedevano a tavola con noi, e a Natale ricevevano regali; li trattavamo da persone».

Per chi volesse conoscere meglio la “Rosa Bianca” consigliamo il bellissimo film di Matt Rothemund, girato nel 2005, molto fedele ai fatti e chiamato appunto “La rosa bianca – Sophie Scholl”. I fratelli Scholl e Cristoph Probst vennero arrestati e processati a Monaco il 22 febbraio 1943, Christoph volle ricevere il battesimo, la comunione e l’estrema unzione dal cappellano Heinrich Sperr, scrivendo alla madre: «Ti ringrazio di avermi dato la vita. A pensarci bene, non è stata che un cammino verso Dio»«Fra pochi minuti ci rivedremo nell’eternità», disse ai suoi amici pochi istanti prima di morire. La piazza dove è ubicato l’atrio principale dell’Università Ludwig-Maximilian di Monaco è stata chiamata Geschwister-Scholl-Platz in memoria di Hans e Sophie Scholl.

 


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00sabato 21 marzo 2015 10:59
Persecuzione comunista. Il Pontificio Ateneo Regina Apostolorum, guidato dai Legionari di Cristo, ha ospitato un Convegno dedicato ai martiri del comunismo e del nazismo. Nel corso dei lavori è stato reso noto dal vescovo ausiliare di Scutari Zef Simoni che nell'Albania del dittatore comunista Enver Hoxha furono uccisi decine di sacerdoti e molti altri subirono orribili torture (scariche elettriche, bocca riempita di sale, frustate, uova bollenti sotto le ascelle, piastre metalliche incandescenti...) a motivo della fede cattolica. Prima della presa del potere dei comunisti, operavano in Albania circa 200 sacerdoti, i quali finirono quasi tutti in prigione, torturati e molti vennero fucilati. Inoltre, padre Romano Scalfì, di Russia Cristiana, ha rivelato che in Unione Sovietica il tentativo comunista di sostituire il partito a Dio portò alla fucilazione, tra il 1917 e il 1941, di 130.000 (avete letto bene: centotrentamila!) sacerdoti della Confessione ortodossa russa e di 250 vescovi su un totale di 300.
Persecuzione nazista. Nello stesso Convegno sopra ricordato, è stato fatto osservare che la Chiesa cattolica pagò un altissimo prezzo a causa della persecuzione scatenata contro di essa dai Nazionalsocialisti di Adolf Hitler. Nella sola Polonia, durante la Seconda Guerra mondiale, ben 6400 sacerdoti furono vittime della persecuzione. Nel campo di concentramento di Dachau vennero internati 2794 sacerdoti e religiosi di 37 nazionalità e in quello di Auschwitz ne vennero imprigionati 416. Naturalmente è impossibile fare un bilancio preciso del numero dei laici periti nei campi di concentramento comunisti e in quelli nazionalsocialisti a motivo della fede cattolica. In ogni caso, quelli sopra citati sono dati da ricordare a quanti sostengono ancora oggi una presunta complicità della Chiesa Cattolica con il regime hitleriano.
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00giovedì 16 aprile 2015 17:19
Messa clandestina.

Il vescovo vietnamita Nguyen Van Thuan, arrestato nel 1975, quando i comunisti conquistarono il potere in Sud Vietnam, rimase in carcere tredici anni, nove dei quali passati in completo isolamento. Al momento dell'arresto fu privato di ogni bene, ma gli venne concesso di scrivere ai suoi per ricevere le cose più necessarie. Chiese un vestito, un dentifricio e "un pò di vino, come medicina contro il mal di stomaco". I fedeli capirono che voleva vino per l'Eucanstia.
Riuscirono a fargli giungere delle ostie, nascoste in una fiaccola contro l'umidità. I poliziotti non si accorsero di nulla. Ogni giorno, il vescovo Van Thuan ha potuto celebrare la Santa Messa con tre gocce di vino e una di acqua nel palmo della mano, suo altare e sua cattedrale. Uscito dall'isolamento, celebrava la Santa Messa a memoria, al buio, e poteva distribuire segretamente la comunione ai cattolici del suo gruppo. Tutti rischiavano la vita
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00giovedì 16 aprile 2015 17:30
Ebrei. Nel 1943, don Giovanni Calabria, fondatore delle Piccole Serve della Divina Provvidenza, canonizzato da Giovanni Paolo II il 19 aprile del 1999, accoglieva nel convento di San Zeno in Monte una dottoressa ebrea, la professorossa Mafalda Pavia, che, dopo l'emanazione delle leggi razziali, era stata costretta a lasciare l'ospedale in cui operava con grande stima dei suoi colleghi. Don Calabria la nascose fingendola una delle religiose, dandole il nome di Suor Beatrice e invitando le sue suore ad ospitarla coraggiosamente. Nel convento, la dottoressa ebrea ebbe modo di studiare la figura di san Paolo e apprezzarne lo spinto di carità apostolica che contraddistinse il grande apostolo delle genti. Come si vede, èquesto uno degli innumerevoli casi in cui cattolici aiutarono gli Ebrei perseguitati dal nazi-fascismo
Ci chiediamo: sarebbe stato possibile tutto ciò se Papa Pio XII fosse stato, c0ome accusano i laicisiti, convivente con il Nazionalsocialismo ?
Salesiani. I Salesiani dell'Istituto Pio XI di Roma accolsero e salvarono ben sessanta bambini ebrei nel biennio 1943-1944, durante l'occupazione tedesca della capitale. Un rabbino dell'esercito francese, Andre Zaoui, scrisse a Papa Pio XII, il Pontefice che i laicisti accusano di connivenze con il Nazismo, per ringraziarlo della protezione che i Salesiani accordarono ai bimbi ebrei. Don Armando Alessandrini, allora Prefetto degli studi dell'Istituto salesiano, al rabbino che lo ringraziava rispose con un semplice "Non abbiamo fatto che il nostro dovere". Dunque gli Ebrei, riconoscenti, nell'immediato dopoguerra e per gli anni successivi, memori del pericolo scampato grazie all'aiuto della Chiesa, nngraziarono Pio XII. Molti, oggi, ebrei e non, dimentichi dei fatti, lo accusano
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00domenica 26 aprile 2015 20:56
Teresa Neumann stigmatizzata mistica Hitler Nazismo Der gerade Weg
Una stigmatizzata contro il nazismo: Teresa Neumann
 
Cosa può fare una mistica che vive di eucaristia, visioni e preghiera, nel mezzo di un'esplosione di male, di violenza incalzante, come il nazionalsocialismo? Un credente potrebbe ritenere che il suo compito sia quello di fare da parafulmine; di portare la croce in tempi di malvagità. Soprattutto se la mistica in questione, in un giovedì santo del 1926, ha ricevuto le stigmate.

Ma per il resto, una donna del genere non sembra c'entrare nulla con la vita politica, concreta di un popolo.

 
Eppure non è così. Teresa Neumann, la mistica stigmatizzata in questione, infatti, negli anni dell'ascesa del nazionalsocialismo, è la donna che converte e trasforma l'unico giornalista che osa davvero sfidare Hitler; la donna che sostiene il frate francescano che lo affianca e che lotta, come un leone, contro l'ascesa del dragone malvagio.

Insomma, almeno due tra gli uomini che più si oppongono concretamente, con i loro articoli e il loro copro, all'ascesa di Hitler, sono discepoli di Teresa: da lei si recano per ricevere consigli, indicazioni e coraggio.

I loro nomi? Fritz M. Gerlich e padre Ingbert Naab.

Chi sono questi due straordinari personaggi così dimenticati?
Emilio Gentile, docente di Storia contemporanea a La Sapienza di Roma, nel suo “Contro Cesare” (Feltrinelli, Milano, 2010), ricorda che Gerlich e Naab sono, negli anni Trenta, la testa e il cuore del settimanale cattolico Der gerade Weg, “che condusse la campagna più aggressiva contro il nazionalsocialismo, facendo ampio uso di immagini, caricature e fotomontaggi, che ridicolizzavano il razzismo e la megalomania di Hitler. Scopo del nazionalsocialimo, scriveva padre Naab, era di 'far proclamare nelle chiese ripulite dai crocifissi, la nuova religione del mito della razza'. Nel numero del 17 luglio 1932, Der gerade Weg recava in prima pagina un fotomontaggio che mostrava una mongola sottobraccio a Hitler, con un titolo a grandi caratteri: Hitler ha sangue mongolo nelle vene?”. In un'altra occasione il titolo è: 'Rinchiudete Hitler!'”.

L'attacco violento al razzismo di Hitler
All'indomani del successo elettorale nazista del 1932, padre Naab, che già l'anno precedente ha pubblicato un libello contro Hitler dal titolo “Ist Hitler ein Christ?”, si scaglia contro Hitler, che rende “isteriche e fanatiche” le masse con la sua propaganda falsificatrice, e contro i suoi elettori, accusati di essere “vigliacchi” e dipendenti statali speranzosi solo di conservare così il loro posto di lavoro.

Avvertito da Teresa e da lei invitato a fuggire, padre Naab riuscirà a scappare in Svizzera poco prima che i nazisti facciano irruzione nel suo monastero per catturarlo. Morirà in esilio nel 1935.

Quando a Fritz Michael Gerlich, la cui vita è stata raccontata da Ovidio Dallera e Ilsemarie Brandmair, in “Un giornalista contro Hitler” (Mursia, Milano 2008), si tratta di un ricercatore di storia, un archivista, di chiara fede anticomunista e nazionalista. Nel 1920 pubblica “Il Comunismo come dottrina del moderno millenarismo”, in cui ricollega il marxismo alle eresie medievali, al loro fanatismo utopico e omicida. Anche i comunisti, scrive, hanno l'idea del male assoluto, il capitale; immaginano un paradiso, la società comunista; propongono un messia salvatore, il proletariato.

Nel 1920 Gerlich è direttore delMunchner Neueste Nachrichten, e un suo giornalista cattolico, tale Aretin, viene inviato a fare un servizio su Teresa Neumann: Aretin racconta di una donna che ha visioni, estasi e stigmate sanguinanti, e che parla fluentemente, pur senza alcuna istruzione seria, varie lingue antiche, compreso l'aramaico dei tempi di Gesù.


Gerlich non crede al reportage, e si reca da Teresa, con l'intento di smascherarla. In realtà diventa un suo discepolo, e questo muta anche la sua vita professionale: il nazismo diventa il suo principale nemico. SuDer gerade Weg, il settimanale cattolico di cui è diventato direttore, Gerlich mette sotto accusa, oltre al comunismo, anche la politica anticristiana dei nazisti, la loro idea di eliminare i crocifissi, il loro razzismo.

Ogni giorno Gerlich rischia la morte, riceve minacce di questo tenore: “Faremo la festa a lei e alla sua nera congrega, erigendo un rogo con tutte le croci di Cristo, di quel Cristo che è nato da una pu* ebrea”. Il suo giornale riesce a dare filo da torcere ai nazisti a pubblicare servizi compromettenti per i gerarchi, grazie ad un collaboratore segreto ben introdotto ai vertici del partito. Sembra che Gerlich sia in possesso di informazioni sulla morte violenta della nipote di Hitler, Geli, e dei rapporti di Ernst Röhm con il petrolio anglo-olandese. Der gerade Weg arriva a vendere, nel 1932, ben 90 mila copie! Se l'ispiratrice di Gerlich è Teresa, il protettore ecclesiastico – ricorda M. Burleigh, docente di Storia ad Oxford, nel suo “In nome di Dio” (Rizzoli, Milano 2006) – è mons. Faulhaber, acerrimo nemico del nazismo, colui che nel 1951 ordinerà sacerdote J. Ratzinger.

Nel 1934 Der gerade Weg è il primo bersaglio delle SS naziste di Röhm. Gerlich rinuncia a scappare, pur potendo farlo, e vine preso prigioniero. La notte successiva a quella dei lunghi coltelli, mentre altri giornalisti, dopo minacce e “raccomandazioni”, sono liberati, Gerlich viene ucciso. Quanto a Teresa, il quotidiano italiano La Stampa del 2 febbraio 1935 titola così: “Teresa Neumann, la stigmatizzata, internata per antinazismo”. I nazisti hanno paura di lei e Himmler in persona invia degli uomini per controllarla. Ma Teresa sopravviverà al nazismo: morirà, infatti, nel 1962.
sources: LA CROCE - 

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00giovedì 6 agosto 2015 13:06
"La Spagna subì in quegli anni (1931-1939, ndr) una persecuzione religiosa senza precedenti nella sua storia. Dove passò la furia devastatrice dei comunisti, con il contributo anche di socialisti, anarchici ed altri elementi incontrollati, tutto ciò che aveva attinenza con la Chiesa fu distrutto, incendiato, saccheggiato: chiese, seminari, canoniche, palazzi vescovili, conventi, sedi di associazioni cattoliche. Alcune chiese furono rase al suolo, arredi sacri e tesori artistici distrutti e rubati. Le perdite del patrimonio storico-artistico furono immense ed irreparabili. Il numero degli ecclesiastici massacrati nei modi più barbari ammonta a parecchie migliala e quello dei laici cattolici, per lo più appartenenti all'Azione Cattolica e ad altre associazioni e movimenti ecclesiali, a molte decine di migliaio. Le statistiche più attendibili anche se non ancora definitive dicono: 13 vescovi, 4.184 sacerdoti e seminaristi, 2.365 religiosi, 283 suore e migliaio di laici cattolici uccisi per motivi religiosi".

(Vicente Carcel Ortì, Buio sull'altare. 1931 - 1939: la persecuzione della Chiesa in Spagna, Città Nuova, Roma 1999, p. 10).
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00martedì 12 gennaio 2016 20:50

La Chiesa e la sua opera di soccorso
e mediazione durante la Resistenza

Questo movimento fu il frutto della collaborazione di diverse forze politiche (comunisti, azionisti, cattolici, liberali, monarchici…) e se, dal punto di vista strettamente militare, ebbe scarsa rilevanza si deve tuttavia riconoscere il merito di aver reso meno difficoltosa l’avanza degli Alleati. La Resistenza lasciò dietro di séun’eredità positiva, sebbene non mancassero episodi deprecabili commessi da partigiani (basta pensare all’eccidio di Porzûs o al “Triangolo della Morte”).

Quale fu l’atteggiamento della Chiesa in quel periodo? Il comportamento del clero variò a seconda dei casi e delle zone, spaziando su posizioni che andavano dall’aperto collaborazionismo col fascismo alla militanza attiva nelle formazioni partigiane. Tuttavia si può però affermare che il Vaticanotenne un chiaro distacco di fronte alla Repubblica di Salò, come è dimostrato dal rifiuto della Santa Sede di riconoscere il nuovo stato di Mussolini (scegliendo invece di riconoscere il governo Badoglio) e disapprovazione dell’opera del ras di Cremona, Roberto Farinacci, che sostenne negli ultimi due anni di vita del regime fascista un tentativo scismatico, ispirando il movimento di “Crociata Italica” di don Tullio Calcagno (sacerdote sospeso a divinis e successivamente scomunicato) che propose di costituire addirittura una chiesa nazionale con a capo un primate italiano distinto dal papa.

Diversi furono i fattori che spinsero gran parte della gerarchia ecclesiale italiana a guardare con insofferenza, se non avversione alla RSI: l’ostilità verso il nazismo, l’intuizione di una probabile vittoria alleata e il sentimento di stanchezza che accomunava il popolo italiano logorato dalla guerra voluta dal fascismo (sull’atteggiamento della Chiesa nella Repubblica di Mussolini e sulla vicenda di don Tullio Calcagno cfr. Silvio Bertoldi, Salò, Milano 1978 p. 344-362).

Il comportamento degli uomini di Chiesa contribuì nell’insieme a delegittimare il regime fascista e ad alimentare indirettamente il senso di continuità dello stato legale monarchico con le sue attestazioni di neutralità (viste con preoccupazione e rammarico da parte delle autorità repubblichine). La Chiesa svolse il ruolo di supplenza istituzionale che né la Repubblica Sociale Italiana (RSI), né il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) riuscirono interamente a ricoprire, proponendosi come ruolo di mediazione triangolare tra le autorità fasciste, le formazioni partigiane e la popolazione civile. L’attività più importante compiuta dalla Chiesa fu comunque quella che svolse a livello assistenziale che si manifestò attraverso l’aiuto agli sbandati e ai prigionieri di guerra alleati, all’organizzazione del soccorso e rifugio nei conventi degli antifascisti ricercati, e alle proteste contro le violenze e i procedimenti di rappresaglia effettuati dai fascisti e dai tedeschi. Un’opera che si sviluppò sia a livello del basso clero, sia al livello delle alte gerarchie, e che lasciò dietro di sé un’eredità positiva come è confermato dal consenso sociale conquistato nel dopoguerra dalla classe dirigente cattolica (cfr. G. Oliva, La Resistenza, Firenze 2003 pp. 83-85).

Una conferma che viene anche dagli attestati di riconoscenza che molti membri della Resistenza faranno pervenire al pontefice al termine del conflitto. Degno di nota, ad esempio, è il fatto che l’antifascista e futuro presidente della Repubblica Giuseppe Saragat (che durante la guerra trovò rifugio all’interno delle mura vaticane), si fece promotore nel 1964 di una posizione ufficiale del governo di condanna verso l’opera di Rolf Hocchut, “Il Vicario”. In un comunicato affermò: «La campagna di calunnie contro il Sommo Pontefice Pio XII viene vivamente deplorata dal governo italiano, di cui ne fanno parte uomini che sono vivente testimonianza della paterna sollecitudine del compianto pontefice per la difesa dei supremi valori dell’umanità e della civiltà» (cit. in A. Spinosa, Pio XII, Milano 2004 p. 378).

Mattia Ferrari


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00mercoledì 15 giugno 2016 14:39

Pio Laghi, crolla la leggenda nera:
aiutò i desaparecidos argentini

pio laghiUno dei topos più comuni di chi attacca la Chiesa è quella di presentare i suoi membri come strettamente complici delle dittature e dei loro crimini. È stato il caso di papa Pacelli con il nazismo, di Stepinac con gli Ustacia e dello stesso papa Francesco con la dittatura argentina.

Non appena salito al soglio pontifico, si scatenò difatti una “campagna di fango” contro il nuovo pontefice, cercando di presentarlo come ossequiente e connivente alla dittatura di Jorge Rafael Videla. Accuse che si sono rivelate false e tendenziose come è stato spiegato in questo sito web.

Riguardo al regime dei militari argentini, la figura più discussa, almeno per un certo periodo di tempo, è stata però quella di Pio Laghi, nunzio apostolico a Buenos Aires dal 1974 al 1980. Il prelato è stato difatti accusato di aver preso parte attiva ai massacri operati dai generali, tanto che il 4 maggio 1997 la presidente delle Madri della Piazza di Maggio, Hebe de Bonafini -assieme a Marta Badillo e all’avvocato Sergio Schocklender-, annunciarono una richiesta di processo contro il diplomatico in quanto, a loro parere, all’epoca del regime dei militari «visitava assiduamente i centri di detenzione clandestini e permetteva le torture e le esecuzioni che vi avevano luogo». L’esposto fu consegnato ai Tribunale di Roma il 21 maggio 1997, giorno del settantacinquesimo compleanno del porporato, e si concluse con un non luogo a procedere in quanto Laghi risultava «cittadino vaticano».

A dire la verità, non mancarono da parte del prelato atteggiamenti controversi come le partite a tennis giocate con Emilio Massera, uno dei membri della Giunta militare, e la stessa Chiesa argentina non fu esente da colpe. L’episcopato si mostrò in quel periodo diviso e, sebbene non mancassero vescovi che si batterono apertamente contro la dittatura di Videla come monsignor Angelelli e monsignor Ponce de Leon (assassinati dal regime), la maggioranza del clero adottò una discutibile posizione di neutralità.

Tuttavia, la posizione del papa dell’epoca, Giovanni Paolo II, fu di chiara condanna al punto che nel discorso dell’Angelus pronunciato il 28 ottobre 1979, denunciò il dramma delle persone scomparse: «Chiediamo che sia affrettata l’annunciata definizione delle posizioni dei carcerati e sia mantenuto un impegno rigoroso a tutelare… il rispetto della persona fisica e morale dei colpevoli o indiziati di violazioni». Intervento che fu molto importante in quanto, non solo spinse i vescovi argentini a prendere (pur con difficoltà) le distanze dal potere militare, ma anche perché con esso avrebbe rischiato di compromettere la mediazione che la Santa Sede a quel tempo stava effettuando per evitare un conflitto tra il Cile e l’Argentina (cfr. A. Riccardi, Giovanni Paolo II. La biografia, Milano 2011 pp. 414-416).

Inoltre, i documenti a disposizione, dimostrano come Pio Laghi, lungi dall’appoggiare la repressione, fu, al contrario, molto attivo nel cercare di salvare i perseguitati: durante quel periodo, infatti, il nunzio intercedette a favore dei detenuti, si interessò della sorte dei desaparecidos, criticò pubblicamente la Giunta militare e si scontrò con vescovi e cappellani “collaborazionisti”. Nel solo 1979, Laghi si interessò della sorte di 2388 cittadini e gli interventi del nunzio riuscirono in qualche caso ad ottenere la scarcerazione di alcuni detenuti politici come accade, per esempio, con l’avvocato Horacio Moavro, residente a Mercedes, e con la signora Silvia Victoria Diaz«comunista, detenuta il 23 marzo 1975, in Villa Constitución». Entrambi vennero liberati grazie al suo intervento (cfr. M.L. Napolitano, Il papa, il nunzio apostolico e la dittatura argentina, 20 marzo 2013). Lo “Schedario di Pio Laghi”, secondo Luis Badilla direttore de “Il Sismografo”, conterebbe 5000 nominativi divisi in due parti (“detenuti” e “scomparsi”) inviati al Vaticano e che dimostrano l’impegno che svolse il porporato a favore delle vittime del regime. Frequenti furono anche gli incontri con le autorità per protestare contro le condizioni dei detenuti politici, il sequestro e l’eliminazione della persone e la violazione di fondamentali diritti umani. Interventi che irritarono a tal punto la Giunta che l’«amico» Massera lo costrinse nel dicembre 1980 a lasciare il paese in quanto persona non grata.

Nonostante questo, Laghi verrà paradossalmente accusato di essere stato complice della repressione di Videla, e a partire dal 1997 fu scatenata sui giornali argenti una “campagna di fango” contro il nunzio, che fu difeso da chi all’epoca si batté per la sorte dei desaparecidos«Ti accompagno in questa dolorosa e ingiusta campagna sulla stampa e mi associo alla dichiarazione molto opportuna dei vescovi argentini. Ti conosco bene e so tutto quello che hai fatto nel nostro momento difficile» gli scrisse il cardinal Eduardo PironioAnche per lo storico Loris Zanatta, «la versione di un Pio Laghi attivo fiancheggiatore della giunta non trova corrispondenza nei documenti».

A contribuire alla “leggenda nera” sul prelato sono stati gli stessi militari argenti che, volendo presentarsi come i «difensori della civiltà cristiana occidentale» contro il «cancro marxista»cercarono di arruolare Laghi tra i loro ranghi, scatenando in tal senso una subdola quanto falsa campagna mediatica. Non è estraneo, però, anche il pregiudizio di certi ambienti anticlericali che, nel voler tratteggiare l’immagine di una Chiesa a tutti i costi oscurantista, arrivano (non si sa quanto consapevolmente) a diffondere vere e proprie falsità storiche.

Mattia Ferrari


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