Interventi di don Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Credente
00lunedì 1 febbraio 2010 19:38

[...] Il fattore religioso rappresenta la natura del nostro io in quanto si esprime in certe domande: "Qual è il significato ultimo dell'esistenza?", "perchè c'è il dolore, la morte, perchè in fondo vale la pena vivere?". O, da un altro punto di vista: "Di che cosa e per che cosa è fatta la realtà?". Ecco, il senso religioso si pone dentro la realtà del nostro io a livello di queste domande: coincide con quel radicale impegno del nostro io con la vita, che si documenta in queste domande.
   Uno dei brani letterari più belli è là dove il "pastore errante dell'Asia" di Leopardi ripropone alla luna, che sembra dominare l'infinità del cielo e della terra, le domande dall'orizzonte anch'esso senza fine:


 











dal "senso religioso" di
don Giussani
"Spesso quand'io ti miro
Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver, con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
infinito seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io che sono?"


Credente
00mercoledì 17 febbraio 2010 23:11

Lettera di don Giussani al Papa

La lettera inviata da don Giussani a Giovanni Paolo II nel 50° anniversario della nascita di Comunione e Liberazione
Santità,
l’inizio di questo nuovo anno è stato segnato dalle Vostre parole nel messaggio per la Giornata della pace, in particolare quando Ella ha parlato del cristianesimo come la “vittoria” dell’amore di Cristo e dell’impegno di ciascuno ad affrettare questa vittoria cui anela in fondo il cuore di tutti.

Per quanto riguarda noi, non possiamo non sentire questo invito pressante per la vita nel crepuscolo aurorale di questo anno, che segna il cinquantesimo di quell’inizio inaspettato, sorto e sviluppatosi come “movimento” di migliaia di persone, giovani e meno giovani, in tutto il mondo a partire dai primi incontri dell’ottobre 1954 nel liceo milanese dove chiesi di potere insegnare religione.
Una orazione della Liturgia ambrosiana illumina il sentimento nostro in questi momenti:
«Domine Deus, in simplicitate cordis mei laetus obtuli universa. Et populum Tuum vidi, cum ingenti gaudio Tibi offerre donaria. Domine Deus, custodi hanc voluntatem cordis eorum»*.

Offriamo al Signore la domanda di questa fedeltà nella quale la nostra compagnia - riconosciuta come dono dello Spirito prezioso e particolare - diventa parte sacramentale nella sua appartenenza alla Chiesa.

Sento di dovere riaffidare alla Santità Vostra, quanto mai vibrante nel cuore, l’emozione più profonda destata dal giudizio più autorevole e chiaro su questa nostra esperienza di cinquant’anni; è quando Vostra Santità, nella lettera inviatami l’11 febbraio 2002 per il ventesimo anniversario del riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione, ebbe a scrivere: «Il movimento ha voluto e vuole indicare non una strada, ma la strada per la soluzione del dramma esistenziale dell’uomo. La strada è Cristo».

Non solo non ho mai inteso “fondare” niente, ma ritengo che il genio del movimento che ho visto nascere sia di avere sentito l’urgenza di proclamare la necessità di ritornare agli aspetti elementari del cristianesimo, vale a dire la passione del fatto cristiano come tale nei suoi elementi originali, e basta. E forse proprio questo ha destato possibilità imprevedibili di incontro con personalità del mondo ebraico, musulmano, buddista, protestante e ortodosso, dagli Stati Uniti fino alla Russia, in un impeto di abbraccio e di valorizzazione di tutto ciò che di vero, di bello, di buono e di giusto rimane in chiunque viva un’appartenenza.

Il problema capitale del cristianesimo oggi, così come Vostra Santità ha suggestivamente annunciato fin dall’enciclica programmatica del pontificato Redemptor hominis, è che il cristianesimo si identifica con un Fatto - l’Avvenimento di Cristo -, e non con un’ideologia. Dio ha parlato all’uomo, all’umanità, non come discorso che ultimamente è scoperto dai filosofi e dagli intellettuali, ma come un fatto accaduto, di cui si fa esperienza. Lo ha espresso Vostra Santità nella Novo millennio ineunte: «Non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi!». Se una caratteristica ha la nostra passione educativa e comunicativa, è il continuo richiamo a questo focus ineffabile dell’esperienza cristiana, su cui tanti scivolano quasi dandolo per scontato come una premessa ovvia.

Nel grande alveo della Chiesa e nella fedeltà al Magistero e alla Tradizione, abbiamo sempre voluto portare la gente a scoprire - o a vedere in modo più facile - come Cristo è presenza. Per cui la strada alla certezza che Cristo è Dio, a non dubitare che sia vero quello che Gesù Cristo ha detto di sé, ha nell’atteggiamento degli Apostoli la vera risposta, perché essi sempre domandavano: «Chi è costui?», colpiti nella loro esperienza dall’eccezionalità di quella presenza che aveva investito la loro vita di uomini.

Nella lettera alla Fraternità, Vostra Santità ha scritto ancora che «il cristianesimo, prima di essere un insieme di dottrine o una regola per la salvezza, è l’avvenimento di un incontro». Per cinquant’anni abbiamo scommesso tutto su questa evidenza. Proprio l’esperienza di questo incontro è alla radice del delinearsi tra noi di tante vocazioni cristiane - al matrimonio, al sacerdozio, alla verginità - e il fiorire di personalità di laici impegnati dentro la vita, con una creatività che investe la quotidianità secondo le tre dimensioni educative sempre richiamate fin dagli inizi: cultura, carità, missione.

Per questo non ci sentiamo portatori di una spiritualità particolare, né avvertiamo il bisogno di identificarla. Domina in noi la gratitudine per la scoperta che la Chiesa è vita che incontra la nostra vita: non è un discorso su di essa.

La Chiesa è l’umanità vissuta come umanità di Cristo e questo segna per ciascuno di noi il valore del concetto di fraternità sacramentale che, sebbene difficile per noi nella sua compiutezza, indica evidentemente un altro spessore di vita.

Per questo oso consegnare nelle mani di Vostra Santità il desiderio di potere servire la Chiesa con il nostro carisma anche attraverso l’inadeguatezza dei nostri limiti umani. Ma proprio i nostri limiti ci urgono nella responsabilità della conversione come cambiamento di mentalità, di umanità diversa.

In questo essere continuamente tratti dal nulla all’essere guardiamo a colei che Sua Santità continuamente richiama come la via, il metodo per una familiarità più grande con Cristo: Maria, che come siamo ormai usi ripetere con l’Inno alla vergine di Dante - divenuto preghiera quotidiana -, è «di speranza fontana vivace».

La tensione di ciascuno al bene è il fine e la conversione che Cristo ha reso possibile nel mondo. Per questo la conversione a Cristo, e quindi alla Sua Chiesa, è la sorgente di una speranza incidente sulla vita reale, per la quale si può dare la vita, come fanno i martiri cristiani.

Ma sembra che questa fede negli ultimi secoli guardi la vita quotidiana e consideri il lavoro umano quasi sprovvista di valore eterno, di fondante speranza. Perciò occorre che la gloria del Verbo divino sia perseguita nello sguardo ad ogni cosa, nell’impeto di ogni conquista, e che la salvezza portata da Cristo - sia pure attraverso ogni croce - irrompa in ogni nuova aurora.

Santità, il versetto di Dante «qui se’ a noi meridiana face di caritate» si realizzi in tutti i rapporti che al popolo cristiano è possibile stabilire, sotto la guida di pastori che sappiano invocare lo Spirito di Cristo per mediazione di Maria.

Il nostro movimento, che lo Spirito di Cristo ha destato e realizzato nell’obbedienza e nella pace, ispiri fraternamente tutta la società cristiana, così che in tutti i luoghi dove la fede venga proclamata si possano trovare vestigia della santità della Madonna («In te misericordia, in te pietate,/ in te magnificenza, in te s’aduna/ quantunque in creatura è di bontate»).



Implorando la Vostra benedizione, mi dico della Santità Vostra obbedientissimo figlio



sac. Luigi Giussani
Milano, 26 gennaio 2004
Credente
00sabato 30 marzo 2013 10:05

Cristo risorto:
la sconfitta del Nulla e la rinascita dell’uomo

Pasqua

di don Luigi Giussani

 La Risurrezione è il culmine del mistero cristiano. La centralità della Risurrezione di Cristoè direttamente proporzionale alla nostra fuga come da un incognito, alla nostra smemoratezza di essa, alla timidezza con cui pensiamo alla parola e ne siamo come rimbalzati via.

E’ nel mistero della Risurrezione il culmine e il colmo dell’intensità della nostra autocoscienza cristiana, perciò dell’autocoscienza nuova di me stesso, del modo con cui guardo tutte le persone e tutte le cose: è nella Risurrezione la chiave di volta della novità del rapporto tra me e me stesso, tra me e gli uomini, tra me e le cose. Ma questa è la cosada cui noi rifuggiamo di più. È come la cosa più, se volete, anche rispettosamente, lasciata da parte, rispettosamente lasciata nella sua aridità di parola intellettualmente percepita, percepita come idea, proprio perché è il culmine della sfida del Mistero alla nostra misura«Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora vana è la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati» (1Cor 15,1-22).

Il cristianesimo è l’esaltazione della realtà concreta, l’affermazione del carnale, tanto che Romano Guardini dice che non c’è nessuna religione più materialista del cristianesimo. E’ l’affermazione delle circostanze concrete e sensibili, per cui uno non ha nostalgia di grandezza quando si vede limitato in quel che deve fare: quel che deve fare, anche se piccolo, è grande, perché dentro lì vibra la Risurrezione di Cristo. «Immersi nel grande Mistero», immersi come l’io è immerso nel «tu» pronunciato con tutto il proprio cuore, come il bambino quando guarda la madre, come il bambino sente la madre. Non mi posso concepire se non immerso nel Tuo grande Mistero. La fede in Cristo risorto è il supremo atto dell’intelligenza umana nel cogliere la realtà con lealtà e con affettività, amorosamente affermandola. Questa affermazione amorosa del reale è condizione per cui l’intelligenza dell’uomo, di fronte alla proposta di Cristo risorto, diventa fede. La proposta di Cristo risorto e il riconoscimento di fede non sono opera dell’uomo, non il prodotto di un’ipotesi di lavoro della mente, non forza dell’intelletto, bensì possibilità della nostra intelligenza, in quanto – come creatura – è una potenza d’obbedienza al Creatore: è per grazia. È per grazia che noi possiamo riconoscerlo risorto e che noi possiamo immergerci nel suo grande Mistero.

Senza la resurrezione di Cristo c’è una sola alternativa: il niente. Noi non pensiamo mai a questo. Perciò passiamo le giornate con quella viltà, con quella meschinità, con quella storditezza, con quell’istintività ottusa, con quella distrazione ripugnante in cui l’io – l’io! – si disperde. Così che, quando diciamo «io», lo diciamo per affermare un nostro pensiero,una nostra misura o un nostro istinto, una nostra voglia di avere, un nostro preteso, illusorio possesso. Al di fuori della resurrezione di Cristo, tutto è illusione. Ci è facile guardare tutto lo sterminato gregge degli uomini nella nostra società: è la grande, sterminata presenza della gente che vive nella nostra città. E noi non possiamo negaredi sperimentare questa meschinità, questa grettezza, questa storditezza, questa distrazione, questo smarrirsi totale dell’io, questo ricondursi dell’io ad affermazione accanita e presuntuosa del pensiero che viene (chiamandolo “verità della mia coscienza”) o dell’istinto che pretende afferrare e possedere una cosa che lui decide essergli piacevole, soddisfacente, utile. È che tutto è illusione. Distaccatevi due metri dalla vostra casa, guardate tutta la gente come vive tante volte; normalmente viviamo così. Guardatela, uscite dalla vostra casa e state lì a guardarla, due metri fuori: ditemi se l’ambiente non è così, se l’umanità non è questa!

È per questo che la liturgia ci fa dire: «Sostieni sempre la fragilità della nostra esistenza con la tua grazia, unico fondamento della nostra speranza»: il che vuol dire che senza il Mistero di Cristo risorto, il Mistero supremo del cristiano, sarebbe vana la fede e saremmo ancora nel nostro peccato, vale a dire in una realtà che è destinata a dissolversi e a omologarsi nella cenere ultima, nel nulla – e tutto ciò che vibra nella vita e sembra eccitare i nostri nervi, i nostri desideri e i nostri pensieri sarebbe illusione-. Non c’è altra alternativa che quella tra il Cristo risorto e questa illusione della vita, «il brutto / poter che, ascoso, a comun danno impera, / e l’infinita vanità del tutto», come finisce la breve poesia A se stesso di Leopardi. Non c’è alternativa a Cristo risorto, se non questa frase di Leopardi.

Mai, come di fronte a Cristo risorto, la nostra insistenza sul chiedere, sul pregare, sul domandare (usiamo la parola che è l’essenza della preghiera: domandare), la nostra domanda deve intensificarsi. Per immergerci nel grande Mistero dobbiamo domandare: questa è la ricchezza più grande. Come l’intelligenza più grande è affermarlo, così l’affettività più ricca è domandarlo, il realismo più intenso e più drammatico è domandarlo. Del resto, l’istante prima se n’è andato, l’istante successivo ancora non esiste: la nostra libertà è nella decisione dell’istante. Se la nostra libertà è nella decisione dell’istante, che cosa possiede la nostra libertà, che cosa è capace di creare? Soltanto di svelarsi come domanda. Essa è, infatti, esigenza di pienezza e di felicità, di essere. La nostra libertà è esigenza; il cuore, se vogliamo usare il paragone biblico, è esigenza, cioè desiderio; l’istante è desiderio. Allora la verità del desiderio è solo nel diventar domanda. La libertà è il desiderio originale che diventa domanda. Nella domanda è il riconoscimento del positivo del disegno di Dio; nella domanda è il riconoscimento – imperfetto e timidamente iniziato – del Mistero che è tra noi.

Che cosa accade immergendoci nel grande Mistero di Cristo risorto? Ciò che caratterizza l’io nuovo è la verità delle cose, è la verità della realtà, è una intelligenza della realtà nella sua verità, è un amore alla realtà nella sua verità, è un immergersi nella realtà come verità, è un immergersi nella verità della realtà. Gesù quando è risorto ha fatto un’esperienza nuova della sua umanità, del suo essere davanti alla gente, dell’essere nel tempo e nello spazio, del camminare e del mangiare; è un’esperienza sottratta alla forma naturale dell’esperienza. Non era, il suo mangiare, lo stare davanti a Maria e agli Apostoli, come per noi; era stare davanti a tutto quello dentro il possesso della prospettiva ultima, dentro la verità, nella loro verità. Questo è ciò che rende vera anche la nostra esperienza di rapporto tra di noi, di rapporto con le cose, di rapporto con tutto.

Allora, già fin d’ora, se partecipiamo all’esperienza nuova che l’uomo Cristo, risorto da morte, vive sino alla fine dei secoli, noi partecipiamo inizialmente, incoativamente di questa sua signoria sul tempo e sullo spazio. Non c’è alternativa tra Cristo risorto e la decadenza totale verso il niente. Non c’è niente che possa togliere la differenza tra quella verità e la menzogna nei nostri rapporti: l’adesione a quella verità o la menzogna, nei nostri rapporti. Anche il più intimo e il più amato, fino all’ultimo ci lascerebbe con assoluto disinteresse. Mentre il rapporto più amato diventa eterno, un possesso già eternoperché in esso «traluce» qualcosa che tu riconosci. E perciò abbracci ciò che ami con quel distacco dentro che ti fa dire: «In te traluce il grande Altro, Cristo. Amo te come Cristo, amo Cristo in te, amo te in Cristo». E non esiste più l’estraneo, fosse anche il più lontano uomo che vive in Kamchatka o nell’Australia: non esiste più estraneo, e tutto appartiene a me con quel sollievo e quel riposo che mi dà la percezione del punto di fuga che è in tutto e che raccorda tutto e ogni cosa al Destino ultimo, al Mistero ultimo che si è svelato in tutta la sua potenza e misericordia e giustizia: Cristo risorto.

Ma questo è ciò per cui ci svegliamo oramai tutte le mattine: è un orizzonte e un destino, un’intensità di vibrazione, è un vivere e un possedere, perché si è posseduti. È un essere posseduti, ciò da cui parte il possedere, da cui parte la vibrazione e l’intensità, da cui parte la cattolicità, la totalità dei rapporti, con la croce dentro (possesso con un distacco dentro). Ciò da cui tutto parte è l’essere posseduti da Cristo risorto, «immersi nel grande Mistero».

Credente
00lunedì 21 gennaio 2019 20:21
Credente
00lunedì 21 gennaio 2019 20:23
Credente
00lunedì 21 gennaio 2019 20:24
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 22:37.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com