IL CANONE DEI TESTI SACRI

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00domenica 28 febbraio 2010 05:55

La formazione del canone cristiano della Bibbia - Antico e Nuovo Testamento - fu la conclusione di un lungo processo, portato avanti per oltre tre secoli dopo la nascita della prima Chiesa il cui sorgere fu la Pentecoste del 30 d.C., cinquanta giorni dopo la risurrezione di Cristo.


L’iter di formazione di quel canone si concluse soltanto verso la fine del IV secolo, dopo che erano apparse varie sette eretiche ( Docetismo, Cerintianesimo, Modalismo, Adozionismo, Marcionismo, Montanismo, Manicheismo, Novazianismo, Donatismo, Arianesimo, Apollinarismo, Priscillianesimo, Pelagianesimo, Monofisismo, Nestorianesimo, Monotelismo, Abeliani, Adelofagi, Macedonianismo).


Quel processo passò per le tappe del Concilio di Roma - 382, del Sinodo di Ippona - 393 e dei Sinodi di Cartagine - 397 e 419, fino a pervenire al riconoscimento, dopo il primo Sinodo di Cartagine, da parte di Innocenzo I (401-417) 


La più antica lista dei libri “canonici” di tutta la Bibbia, corrispondente al canone attuale, si rinviene per la prima volta in una lettera del 367 di Atanasio d’Alessandria e poi nel decreto del 382 di papa Damaso.


Le comunità cristiane con tale decisione a difesa dalle eresie fissarono quel “canone” basato su solidi criteri, tra cui:



  • l’antichità degli scritti, tutti risalenti al I secolo;

  • ecclesialità, per la quale sono riconosciuti i libri accettati da tutte le Chiese principali di allora Roma, Alessandria, Antiochia, Corinto, Gerusalemme, libri che erano conosciuti e letti nelle liturgie;

  • apostolicità, ossia libri prodotti, direttamente o indirettamente da un apostolo;

  • tradizione apostolica riconosciuta dalle comunità nei libri scelti.



I codici conservati dei Nuovo Testamento scritti tra il secolo II e il secolo XVII sono circa 3000, ai quali vanno aggiunti circa 2200 lezionari, cioè testi in cui i brani del N.T. sono riportati secondo l'ordine delle letture liturgiche. I codici che contengono i vangeli sono 2238, di cui 178 sono frammentari. 655 sono i manoscritti che contengono gli Atti degli Apostoli e le Lettere Cattoliche, 779 sono quelli che contengono san Paolo e 287 contengono l'Apocalisse.

Questi manoscritti sono conservati in diverse biblioteche del mondo. La raccolta più ricca è quella del Monte Athos (dispersa però in diversi monasteri) che comprende più di 500 codici, ma di cui molti sono piuttosto recenti. Seguono poi le biblioteche di Atene, con 419 codici, Parigi con 373, Roma (specialmente la Biblioteca Vaticana) con 367 codici, Londra con 271, San Pietroburgo con 233 e il monastero dei Monte Sinai con 230. 158 sono conservati a Oxford e 146 a Gerusalemme.

Per quanto posto in premessa furono scartati molti testi che non rispondevano ai suddetti criteri e che quindi provenivano da fonti estranee alla comunità cristiana di origine apostolica a prescindere da quando e dove furono scritti. Esaminiamo meglio la natura di tali testi spuri detti "apocrifi", prima di passare poi a quelli riconisciuti e detti "canonici".

GLI APOCRIFI

Oltre alla letteratura apocrifa del Vecchio Testamento, composta a partire dal II sec. a.C., numerosi furono gli apocrifi del Nuovo Testamento tra il I e il III sec. d.C. Essi vengono classificati, in primo luogo, secondo il loro genere letterario, con la stessa distinzione dei testi canonici, in vangeli, atti di apostoli, epistole, apocalissi. La parola “apocrifi” (dal greco “apokryphos”, “nascosto”) ha, all'origine, lo stesso significato di “esoterico”, ma successivamente viene ad indicare tutti i testi non accolti nel Canone.
Ad un secondo livello, quello di un'analisi contenutistica, gli apocrifi vengono invece suddivisi dagli studiosi in due gruppi fondamentali:

  1. Testi esoterici (dal greco “esoterikos”, “intimo”, “destinato a pochi eletti”). Tali testi hanno avuto origine in gruppi di ispirazione gnostica o manichea che, volendo avvalorare un'origine cristiana della loro dottrina, vantano una filiazione “segreta”, nascosto ai non iniziati, dagli stessi apostoli e da Cristo stesso. La Chiesa ne condannò presto la chiara impostazione eretica (in maniera definitiva già con l'Adversus Haereses di Ireneo di Lione del 180-190 d.C. circa). Alcuni di questi testi possono essere anche molto antichi e cronologicamente vicini alle origini del cristianesimo.
  2. Testi di contenuto cristiano, ma di fantasia, considerati dalla Chiesa non ispirati e quindi non compresi nel Canone dei Libri Sacri. Sono testi di secondaria importanza per comprendere i fondamenti del cristianesimo, utili invece per conoscere aspetti popolari del cristianesimo primitivo. Di alcuni di essi era consigliata la lettura privata, ma mai l'uso liturgico, riservato ai Testi ispirati.

GLI APOCRIFI: I TESTI ESOTERICI GNOSTICI

Il motivo che spinse eretici, soprattutto gnostici, a comporre scritti esemplati sul Nuovo Testamento fu di assicurare credito ed autorità alla loro dottrina. Si consideravano, infatti, superiori ai cristiani comuni in quanto si dichiaravano depositari di una tradizione segreta, completamento o sostituzione di quella canonica, fatta risalire a Cristo stesso che ne avrebbe trasmesso il contenuto solo a l'uno o all'altro dei suoi discepoli:

Sono queste le parole segrete che Gesù, il vivente, ha proferito e Didimo Giuda Tommaso ha messo per iscritto ed ha detto: Chi troverà la spiegazione di queste parole, non gusterà la morte.
 
Gesù disse: Vi eleggerò uno tra mille e due tra diecimila e si leveranno come un solo individuo.

(dal vangelo copto di Tommaso)

In questi vangeli Gesù risorto - il Cristo storico quasi mai viene preso in considerazione - spiega i più profondi misteri con parole rivelatrici di “gnosi”, cioè di “conoscenza” che rende padroni delle proprie forze spirituali, conducendo alla vita eterna:

Gesù ha detto: I cieli si ritireranno e così la terra davanti a voi e il vivente per mezzo del Vivente non vedrà morte né timore, che Gesù dice: il mondo non è degno di chi troverà se stesso.

(dal vangelo copto di Tommaso)

Il materiale di questi testi ha tre fonti distinte:

  1. detti e fatti che ritroviamo in forma simile nei vangeli canonici, spesso abilmente riordinati per favorire l'interpretazione gnostica.
  2. detti già contenuti in testi precedenti o negli Agrapha (scritti extraevangelici citati dai Padri antichi)
  3. detti e fatti originali, quasi sempre di palese dottrina gnostica in evidente contrasto con quella cristiana:

Simon Pietro disse loro: Maria se ne vada da noi, perché le donne non meritano la vita! Gesù rispose: Ecco, io la trarrò così da renderla uomo. Così anche lei diverrà spirito vivente, simile a voi uomini. Ogni donna che si fa uomo entrerà nel regno dei cieli.

(dal vangelo copto di Tommaso)

Nonostante l'arbitrio degli elementi eretici e leggendari, questi scritti apocrifi furono a volte veicolo almeno parziale del messaggio cristiano in luoghi dove non esistevano altri testi a disposizione.

GLI APOCRIFI: I TESTI CATTOLICI DI FANTASIA

Il desiderio popolare di conoscere, sulla vita di Cristo, di Maria e degli apostoli, più di quanto non fosse contenuto negli scritti canonici offrì la motivazione per un complesso di opere apocrife, sviluppatesi ai margini della canonicità, ma preziose testimonianze del cristianesimo primitivo. Sono opere cariche di interesse pietistico e fantasia. Anche nell'intento di servire la verità, ampliarono ed integrarono con aneddoti e leggende le poche notizie di tradizione sicura del racconto canonico, sentito insufficiente specie riguardo l'infanzia di Gesù, i tre giorni nel sepolcro, la vita e l'assunzione della Vergine.
Possiamo prendere ad esempio la più antica leggenda mariana che è narrata nel Vangelo di Giacomo. Il testo non possiede nessuno sviluppo puramente teologico, ma solo il racconto semplice e insieme affascinante della vita di Maria, in cui risaltano la sua verginità fisica, la discendenza davidica e la santità interiore senza precedenti fin dalla più tenera età:

Ed i suoi genitori tornarono a casa, meravigliati e lodando il Signore Dio perché la bimba non s'era voltata (per paura nel salire al tempio). Ora Maria dimorava nel tempio del Signore, considerata come colomba. Il cibo lo riceveva dalla mano di un angelo.

Alcuni di questi scritti presentano passi poetici di notevole bellezza e rivelano una particolare sensibilità umana e spirituale dell'autore. Ne è un esempio, tratto ancora dal Vangelo di Giacomo, il passo del silenzio cosmico nel quale si descrive l'attimo in cui tutto si ferma, accompagnando nello stupore la nascita di Cristo:

Ora io, Giuseppe, camminavo e non camminavo. Guardai l'aere e lo vidi colpito da stupore. Guardai la volta del cielo e la vidi immobile; gli uccelli del cielo, fermi. Abbassai lo sguardo al suolo e scorsi per terra un vaso: operai sedevano dintorno con le mani nel vaso. Chi masticava non masticava più; chi prendeva su qualcosa non sollevava più; chi portava alla bocca non portava più: i volti di tutti guardavano in alto. Ed ecco pecore spinte avanti; non andavano innanzi, ma stavano ferme. Il pastore sollevò la mano per percuoterle con il bastone; la mano restò in alto. Guardai giù alla corrente del fiume e vidi le bocche dei capretti poste sopra, ma non bevevano. Quindi tutto, in un istante, riprendeva il suo corso .

Per quanto riguarda il pensiero mariano contengono, a volte, sebbene sotto forma simbolica o favolistica, ciò che in seguito teologia e magistero troveranno ragionevole e da credere. Inoltre questi testi apocrifi sono fonte d'informazione sul culto, sulle usanze liturgiche e sulle tradizioni circa diversi episodi della vita e del martirio degli apostoli.
Gli originali di queste opere furono tradotti nelle varie lingue della Chiesa antica e il racconto apocrifo, proprio per il suo intento di edificazione e non dottrinale, si attestò quasi dovunque, esercitando, nel tempo, un influsso notevole nella devozione privata e liturgica, nella letteratura e in ogni forma d'arte.

I PADRI APOSTOLICI

Sotto la denominazione generale di “Padri apostolici” si è soliti indicare un gruppo eterogeneo di scritti, riconducibili al periodo che intercorre tra la fine del I sec. e la metà del II d.C.
Con la denominazione di “Padri” si usa indicare gli scrittori cristiani dei primi secoli che sono stati anche vescovi e che, con la loro dottrina e testimonianza, hanno dato un apporto fondante alle generazioni successive nell'annuncio e nella comprensione del cristianesimo. Il termine cronologicamente estremo della letteratura “patristica” viene tradizionalmente fissato per l'Oriente con la figura di Giovanni Damasceno (VIII secolo) e per l'Occidente con quella di Isidoro di Siviglia (VI-VII secolo).
Il primo gruppo, in ordine cronologico, è detto appunti dei Padri “apostolici” perché, pur non trattandosi di opere scritte direttamente da apostoli, l'antichità di questi testimoni li fa situare in una filiazione immediata da essi, così da poterli considerare “di età apostolica” o immediatamente successiva. Infatti alcuni di questi scrittori sono i diretti successori degli apostoli o la terza generazione dopo di essi.
Per la loro consonanza stilistica, formale e teologica con gli scritti del Vecchio e Nuovo Testamento, alcuni di essi godettero in alcuni luoghi l'autorità di scritti ispirati.
Suscita grande interesse, in alcuni di questi scritti, la profonda continuità con la tradizione e cultura ebraica che consente agli studiosi di sfatare il luogo comune di un Cristianesimo sviluppatosi esclusivamente nel contatto con la cultura greca.
Sebbene questo gruppo di scritti presenti al suo interno una profonda eterogeneità, è possibile delineare degli elementi comuni a tutti:

  • L'intento pratico e pastorale che ne ha provocato la composizione.
  • La stretta aderenza nel pensiero e nella forma agli scritti del Vecchio e soprattutto del Nuovo Testamento (con frequenti citazioni).
  • L'appello all'unità e all'obbedienza ai legittimi pastori, il richiamo all'esercizio della virtù (in cui si avverte anche una conoscenza dello stoicismo e della filosofia greca) e ad uno stile di vita compiutamente cristiano, il monito a non prestare fede alla propaganda degli eretici..

DIDACHÉ

La Didaché o “insegnamento” è la più antica opera di argomento disciplinare e liturgico: appartiene cioè a quegli scritti che impartiscono precetti circa l'organizzazione e la vita delle prime comunità cristiane. Il suo testo, già conosciuto da frammenti, fu ritrovato in un manoscritto del 1056 nella Biblioteca patriarcale di Gerusalemme nel 1883. La Didachè consta di 3 parti:

  1. La prima parte contiene istruzioni per i catecumeni, cioè per coloro che si preparano al battesimo e all'iniziazione cristiana. Essa inizia con la presentazione delle Due vie:
    “Due sono le vie, una della vita e una della morte, e la differenza è grande fra queste due vie. Ora questa è la via della vita: innanzi tutto amerai Dio che ti ha creato, poi il tuo prossimo come te stesso; e tutto quello che non vorresti fosse fatto a te, anche tu non farlo agli altri. Ecco pertanto l'insegnamento che deriva da queste parole: benedite coloro che vi maledicono e pregate per i vostri nemici; digiunate per quelli che vi perseguitano; perché qual merito avete se amate quelli che vi amano? Forse che gli stessi gentili non fanno altrettanto? Voi invece amate quelli che vi odiano e non avrete nemici”.
  2. La seconda parte è di carattere liturgico, parla del battesimo, del digiuno e della preghiera, dell'eucarestia.
    “Riguardo all'eucaristia, così rendete grazie: dapprima per il calice: Noi ti rendiamo grazie, Padre nostro, per la santa vite di David tuo servo, che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo servo. A te gloria nei secoli. Poi per il pane spezzato: Ti rendiamo grazie, Padre nostro, per la vita e la conoscenza che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo servo. A te gloria nei secoli. Nel modo in cui questo pane spezzato era sparso qua e là sopra i colli e raccolto divenne una sola cosa, così si raccolga la tua Chiesa nel tuo regno dai confini della terra; perché tua è la gloria e la potenza, per Gesù Cristo nei secoli”.
  3. La terza parte contiene disposizioni da osservare nei confronti dei missionari e dei profeti.

Il richiamo all'imminente Parusia del Signore chiude la breve opera.
La Didaché potrebbe avere una datazione molto antica. Alcuni studiosi la fanno risalire addirittura agli anni 50-60 d.C; in questo caso risulterebbe perciò coeva dei vangeli sinottici.
Essa risente certamente dell'influenza giudaica di cui è una rielaborazione profonda e cosciente.
Come luogo d'origine si concorda sulla Siria.

LETTERA DI CLEMENTE ROMANO AI CORINTI

Clemente, vescovo di Roma, terzo successore di Pietro dopo Lino e Anacleto, è redattore di un'importante lettera inviata dalla Chiesa di Roma alla chiesa di Corinto intorno al 96 d.C. Ci è testimoniata dal Codice Alessandrino o Codice A. La Chiesa destinataria, fondata da S.Paolo è ancora travagliata da discordie intestine, come già appare nel NT. Lo scritto risulta estremamente interessante per un duplice motivo:

  1. Sotto il profilo storico, fornisce alcune notizie sul viaggio di Paolo in Spagna e sul martirio dei due apostoli.
  2. Da un punto di vista contenutistico, pur prendendo le mosse dall'attualità, la deposizione dei presbiteri della comunità di Corinto da parte di giovani ribelli, presenta la trasposizione della questione su di un piano più elevato nel richiamo ad una vita più impegnata, improntata alla virtù, al rispetto della struttura gerarchica della chiesa, con la prima testimonianza di un intervento di autorità fraterna della Chiesa di Roma nella vita di un'altra Chiesa.

Il testo conosce chiaramente le lettere paoline:

Prendiamo il nostro corpo. La testa non può stare senza i piedi, né i piedi senza la testa. Le più piccole parti del nostro corpo sono necessarie ed utili a tutto il corpo; ma tutte convivono ed hanno una sola subordinazione per salvare tutto il corpo. Si conservi dunque tutto il nostro corpo in Cristo Gesù e ciascuno si sottometta al suo prossimo, secondo la grazia in cui fu posto. Il forte si prenda cura del debole, e il debole rispetti il forte. Il ricco soccorra il povero, il povero benedica Dio per avergli dato chi supplisce alla sua indigenza. Il saggio dimostri la sua saggezza non nelle parole, ma nelle opere buone. L'umile non testimoni a se stesso, ma lasci che sia testimoniato da altri. Il casto nella carne non si vanti, sapendo che un altro gli concede la continenza. Consideriamo, fratelli, di quale materia siamo fatti, come e chi entrammo nel mondo, da quale fossa e tenebra colui che ci plasmò e ci creò ci condusse al mondo. Egli aveva preparato i benefici prima che noi fossimo nati. Abbiamo tutto da lui, di tutto lo dobbiamo ringraziare. A lui la gloria nei secoli. Amen (37, 5- 38, 4).

Fortissimo è l'invito all'unità dell'unico corpo di Cristo, la Chiesa.

Perché strappiamo e laceriamo le membra di Cristo e insorgiamo contro il nostro corpo giungendo a tanta pazzia da dimenticarci che siamo membra gli uni degli altri? Ricordatevi delle parole di Gesù e nostro Signore. Disse, infatti: "Guai a quell'uomo; sarebbe stato meglio che non fosse nato, piuttosto che scandalizzare uno dei miei eletti. Meglio per lui che gli fosse stata attaccata una macina e fosse stato gettato nel mare, piuttosto che pervertire uno del miei eletti". Il vostro scisma ha sconvolto molti e molti gettato nello scoraggiamento, molti nel dubbio, tutti noi nel dolore. Il vostro dissidio è continuo (46, 7-8).

Come nella 1 Cor il richiamo alla carità segue quello all'unità:

Chi ha la carità in Cristo pratichi i suoi comandamenti. Chi può spiegare il vincolo della carità di Dio? Chi è capace di esprimere la grandezza della sua bellezza? L'altezza ove conduce la carità è ineffabile. La carità ci unisce a Dio: "La carità copre la moltitudine dei peccati". La carità tutto soffre, tutto sopporta. Nulla di banale, nulla di superbo nella carità. La carità non ha scisma, la carità non si ribella, la carità tutto compie nella concordia. Nella carità sono perfetti tutti gli eletti di Dio. Senza carità nulla è accetto a Dio. Nella carità il Signore ci ha presi a sé. Per la carità avuta per noi, Gesù Cristo nostro Signore, nella volontà di Dio, ha dato per noi il suo sangue, la sua carne per la nostra carne e la sua anima per la nostra anima. Vedete, carissimi, come è cosa grande e meravigliosa la carità, e della sua perfezione non c'è commento (49, 1- 50, 1).

LETTERE DI S.IGNAZIO DI ANTIOCHIA

Ignazio, vescovo di Antiochia, durante il viaggio verso Roma, dove venne martirizzato intorno al 110, scrisse sette lettere che sono giunte a noi in un unico corpus. Esse sono rivolte alle città di Efeso, Magnesia, Tralle, Roma, Filadelfia, Smirne ed al vescovo Policarpo di Smirne.
Tre sono gli aspetti che caratterizzano queste lettere:

  1. Da un punto di vista ecclesiologico è interessante rilevare lo sviluppo di una organizzazione gerarchica nelle Chiese d'Oriente già al tempo di Traiano. Dalle lettere sappiamo che Ignazio sottolinea questo aspetto, come fonte di unità, motivandolo con il riferimento all'obbedienza che Cristo ha dimostrato nei confronti del Padre.
  2. Da un punto di vista cristologico, Ignazio contrasta l'eresia docetista (dal greco “dokeo”=“sembro”) che negava la realtà del corpo di Cristo sulla croce, identificandola con una semplice apparenza.
  3. Da un punto di vista della testimonianza cristiana in un'epoca già di persecuzioni, prospetta misticamente il rapporto tra Cristo e il cristiano come un rapporto imitativo, che culmina e si realizza pienamente nel martirio.

Nel saluto alla lettera ai Romani Ignazio chiama la Chiesa di Roma “Colei che presiede alla carità”, dove è evidente che tale affermazione va intesa proprio nel senso forte della Chiesa che presiede alla comunione (“agape”) di tutte le Chiese:
 
Ignazio, Teoforo, a colei che ha ricevuto misericordia nella magnificenza del Padre altissimo e di Gesù Cristo suo unico figlio, la Chiesa amata e illuminata nella volontà di chi ha voluto tutte le cose che esistono, nella fede e nella carità di Gesù Cristo Dio nostro, che presiede nella terra di Roma, degna di Dio, di venerazione, di lode, di successo, di candore, che presiede alla carità, che porta la legge di Cristo e il nome del Padre. A quelli che sono uniti nella carne e nello spirito ad ogni suo comandamento piene della grazia di Dio in forma salda e liberi da ogni macchia l'augurio migliore e gioia pura in Gesù Cristo, Dio nostro.
 
Ignazio chiede di non adoperarsi a scongiurare il suo martirio:
 
Non voglio che voi siate accetti agli uomini, ma a Dio come siete accetti. Io non avrò più un'occasione come questa di raggiungere Dio, né voi, pur a tacere, avreste a sottoscrivere un'opera migliore. Se voi tacerete per me, io diventerò di Dio, se amate la mia carne di nuovo sarò a correre. Non procuratemi di più che essere immolato a Dio, sino a quando è pronto l'altare, per cantare uniti in coro nella carità al Padre in Gesù Cristo, poiché Iddio si è degnato che il vescovo di Siria, si sia trovato qui facendolo venire dall'oriente all'occidente. È bello tramontare al mondo per il Signore e risorgere in lui (9, 1).

LETTERA DI S.POLICARPO

Policarpo, vescovo di Smirne, amico e corrispondente di sant'Ignazio fu, secondo la tradizione, discepolo di Giovanni l'evangelista. Di lui sappiamo che intorno al 154 venne a Roma per discutere sul disaccordo che separava le Chiese d'Asia dalla Chiesa Romana circa la data precisa in cui celebrare la Pasqua (in Asia si celebrava il 14 del mese di Nisan, anche se non cadeva di domenica, in Occidente era già celebrata solo in giorno di domenica). Abbiamo inoltre uno dei più antichi racconti di martirio (“atti dei martiri”) che ci dà testimonianza del suo martirio a Smirne. Il testo del martirio ci mostra l'accusa di ateismo rivolta ai cristiani che affermavano la non esistenza delle divinità pagane. Il testo ci informa che il proconsole

cercò di persuaderlo a rinnegare dicendo: "Pensa alla tua età" e le altre cose di conseguenza come si usa: "Giura per la fortuna di Cesare, cambia pensiero e di': Abbasso gli atei!". Policarpo, invece, con volto severo guardò per lo stadio tutta la folla dei crudeli pagani, tese verso di essa la mano, sospirò e guardando il cielo disse: "Abbasso gli atei!". 3. Il capo della polizia insistendo disse: "Giura e io ti libero. Maledici il Cristo". Policarpo rispose: "Da ottantasei anni lo servo, e non mi ha fatto alcun male. Come potrei bestemmiare il mio re che mi ha salvato? (9, 2-3).

Nelle due lettere a noi pervenuteci, Policarpo ammonisce i suoi corrispondenti a non lasciarsi traviare dagli eretici e raccomanda loro di seguire l'esempio di Cristo rifacendosi soprattutto alle Beatitudini. Nelle parole della seconda lettera ai Filippesi è evidente l'influsso giovanneo (2 Gv 7-9):

Chi non confessa che Gesù Cristo è venuto nella carne è un anticristo. Chi non confessa la testimonianza della croce è dalla parte del diavolo. Chi torce le parole del Signore per le sue brame e dice che non vi è né risurrezione né giudizio è il primogenito di Satana. Per questo abbandonando la vanità di molti e le false dottrine ritorniamo alla parola trasmessaci fin dal principio (7, 1-2).

PAPIA DI GERAPOLI

Papia, vescovo di Gerapoli, città della Frigia, fu amico di Policarpo e rappresentante della corrente millenarista (tale dottrina sosteneva che, dopo la resurrezione dei giusti e prima del giudizio finale, Cristo avrebbe regnato in terra per mille anni insieme con i giusti). L'opera di Papia, divisa in cinque libri, è stata intitolata Esposizioni dei detti del Signore, e si configura come una raccolta di tradizioni orali riconducibili agli apostoli, della quale sono a noi pervenuti solo pochi frammenti. Questi frammenti rivestono una notevole importanza in quanto ci forniscono notizie molto antiche sui vangeli di Marco e di Matteo.

“Anche questo diceva il presbitero Giovanni: Marco, interprete di Pietro, scrisse con esattezza, ma senza ordine, tutto ciò che egli ricordava delle parole e delle azioni di Cristo; poiché egli non aveva udito il Signore, né aveva vissuto con Lui, ma, più tardi, come dicevo, era stato compagno di Pietro. E Pietro impartiva i suoi insegnamenti secondo l'opportunità, senza l'intenzione di fare un'esposizione ordinata dei detti del Signore. Cosicché non ebbe nessuna colpa Marco, scrivendo alcune cose così come gli venivano a mente, preoccupato solo d'una cosa, di non tralasciare nulla di quanto aveva udito e di non dire alcuna menzogna a riguardo di ciò". Questo fu raccontato da Papia intorno a Marco.
  Di Matteo poi disse questo: "Matteo scrisse i detti [del Signore] in lingua ebraica; e ciascuno poi li interpretava come poteva”.

(in Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, 39, 15-16)

EPISTOLA DI BARNABA

Una tradizione molto antica, attribuisce a Barnaba, il missionario compagno di Paolo, una lettera che gli studiosi moderni sono concordi nel considerare apocrifa e nel ricondurre ad ambiente alessandrino come luogo di origine. Il testo ci è stato trasmesso dal Codice Sinaitico, dove è trascritto subito dopo l'Apocalisse, al termine del Nuovo Testamento canonico. Dal punto di vista contenutistico l'opera si divide in due parti eterogenee e di lunghezza disuguale:

  1. Di carattere dottrinale la prima, ha per oggetto l'interpretazione dell'Antico Testamento ed è finalizzata a perfezionare la conoscenza di coloro che possiedono la fede relativamente alla Sacra Scrittura. Vi si coglie la continuazione di una polemica antigiudaica già intrapresa da Paolo: ad esempio la condanna dell'interpretazione letterale che gli Ebrei erano soliti dare ai precetti della legge. Le punte più estreme della polemica risentono da un lato dell'influenza dell'autore della Lettera agli Ebrei, dall'altro della radicale negazione marcioniana dell'Antico Testamento.
  2. Di argomento morale la seconda parte, racchiude il motivo delle Due Vie: la via della luce e della vita improntata al rispetto dei precetti morali, la via delle tenebre e della morte illustrata da un catalogo di vizi e peccati.

Mentre la prima parte costituisce motivo di interesse storico in quanto testimonia la problematicità incontrata dagli ambienti cristiani primitivi nel precisare una linea interpretativa univoca ed equilibrata nei confronti dell'Antico Testamento e del rapporto tra la Nuova Alleanza e la Torah - ecco un passo che mostra chiaramente la centralità dell'ottavo giorno, il primo dopo il sabato, la domenica:

Dio disse loro: "Non gradisco le novene e i sabati". Vedete come dice: "Non mi sono ora accetti i sabati, ma quello che ho stabilito, nel quale, ponendo fine a tutte le cose, farò il principio dell'ottavo giorno che è l'inizio del nuovo mondo. Per questo passiamo nella gioia l'ottavo giorno in cui Gesù risorse dai morti e manifestatosi salì ai cieli (Barnaba 15, 8).

la seconda parte ci dimostra la forte influenza esercitata dallo stoicismo sul Cristianesimo nascente

IL PASTORE DI ERMA

Opera di ambiente romano, il Pastore di Erma risulta il più difficile da interpretare tra gli scritti dei Padri Apostolici. Da sempre ha presentato agli studiosi una serie di problemi relativi alla struttura, all'omogeneità dell'opera e alla sua cronologia. In stile ingenuo e popolaresco espone cinque visioni cui seguono dodici precetti e dieci allegorie. L'opera è finalizzata a richiamare i cristiani ad un più serio e attento impegno morale e mette in luce il rischio costante di un rilassamento dei costumi presente anche nella Chiesa primitiva che l'autore vorrebbe mantenere nella sua purezza e bellezza evangelica. Quest'opera infatti dal punto di vista storico risulta quanto mai interessante perché denota la difficoltà incontrata dalle prime comunità cristiane nel definire una precisa condotta da tenere nei confronti di quei cristiani che dopo avere ottenuto il perdono di tutti i peccati per opera del Battesimo, fossero incorsi ancora in grave colpa. Questo scritto rappresenta – in una forma allegorica - un primo tentativo di delineare una disciplina penitenziale. Gli studiosi hanno incontrato una duplice difficoltà:

  1. Da un lato il problema di identificare Erma vista la contraddittorietà delle fonti.
  2. Dall'altro il problema di ricondurre ad un unico autore la stesura dell'opera vista la disomogeneità dottrinale interna.

Le affermazioni cristologiche presenti nell'opera risentono di interpretazioni discordanti che corrispondono alle eresie fiorite soprattutto nel corso del I e II sec. d.C. (soprattutto l'adozionismo ed il millenarismo).

LETTERA A DIOGNETO

La Lettera a Diogneto, di autore ignoto, suscita notevole interesse per la comprensione dei problemi relativi al confronto e alla convivenza tra le prime comunità cristiane e la cultura ufficiale. Ecco il famoso passo che mette in luce questo rapporto:

I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Non sono conosciuti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati ed onorano. Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita. Dai giudei sono combattuti come stranieri, e dai greci perseguitati, e coloro che li odiano non saprebbero dire il motivo dell'odio. A dirla in breve, come è l'anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani. L'anima è diffusa in tutte le parti del corpo e i cristiani nelle città della terra. L'anima abita nel corpo, ma non è del corpo; i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo. L'anima invisibile è racchiusa in un corpo visibile; i cristiani si vedono nel mondo, ma la loro religione è invisibile. La carne odia l'anima e la combatte pur non avendo ricevuto ingiuria, perché impedisce di prendersi dei piaceri; il mondo che pur non ha avuto ingiustizia dai cristiani li odia perché si oppongono ai piaceri. L'anima ama la carne che la odia e le membra; anche i cristiani amano coloro che li odiano. L'anima è racchiusa nel corpo, ma essa sostiene il corpo; anche i cristiani sono nel mondo come in una prigione, ma essi sostengono il mondo. L'anima immortale abita in una dimora mortale; anche i cristiani vivono come stranieri tra le cose che si corrompono, aspettando l'incorruttibilità nei cieli. Maltrattata nei cibi e nelle bevande l'anima si raffina; anche i cristiani maltrattati, ogni giorno più si moltiplicano. Dio li ha messi in un posto tale che ad essi non è lecito abbandonare (5, 1- 6, 10).

Questa apologia in forma quasi epistolare tenta di rispondere a domande sul disprezzo del mondo, sul motivo del non temere la morte, sul culto dei cristiani che rifiutano ugualmente paganesimo e giudaismo, sul perché i cristiani siano legati da tenero affetto e come mai siano apparsi soltanto “ora e non prima”.
Il testo dell'A Diogneto ha avuto una singolare storia. Fu rinvenuto, in un'unica copia, in un manoscritto di 260 pagine comprendente altri testi, nel 1436 a Costantinopoli, in una pescheria dove era stato adibito a materiale di imballaggio. L'Editio princeps fu pubblicata nel 1592. Sul finire del 1700 l'intero manoscritto giunse alla Biblioteca Municipale di Strasburgo, dove fu distrutto da un bombardamento dell'artiglieria prussiana del 1870. Fortunatamente ne erano state eseguite due accurate recensioni nel 1842 e nel 1861 che ce ne hanno tramandato il testo. Gli studiosi propendono per una datazione che oscilla tra la fine del II secolo e gli inizi del III, per le sue somiglianze contenutistiche con gli “apologisti” cristiani, ma taluni ne abbassano la datazione fino agli inizi del II secolo, in contemporaneità con gli altri Padri apostolici.

L'EMERGERE DEL CANONE NEOTESTAMENTARIO

“Canone” è una parola di origine greca (“canon”= “regola”) che indica l'elenco dei testi biblici riconosciuti dalla Chiesa come ispirati da Dio.
Gli scritti che compongono il NT (i 4 Vangeli, gli Atti, le 21 Lettere, l'Apocalisse), sorsero separatamente in tempi e circostanze diverse. Gli apostoli ed i loro discepoli non scrissero i diversi scritti con l'intenzione di produrre un'opera comune da lasciare ai posteri, ma ognuno scrisse la sua opera. Gradualmente vediamo, però, come già all'interno dello stesso NT gli scritti si riconoscano a vicenda (è il caso dei sinottici Matteo e Luca, che riprendono Marco, è il caso di 2 Pt 3, 15-16 “ La magnanimità del Signore nostro giudicatela come salvezza, come anche il nostro carissimo fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; così egli fa in tutte le lettere, in cui tratta di queste cose. In esse ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina” che già ci mostra l'esistenza di una raccolta delle lettere di Paolo ).
Il canone, quindi, non è stato “fatto” o “creato” a priori, ma crebbe gradatamente con un processo di chiarificazione dei criteri di riconoscimento degli scritti ispirati e canonici.
Verso la fine del I secolo già le diverse Chiese locali possedevano ciascuna una raccolta, seppure talvolta incompleta, di scritti sacri. Le lettere di Paolo, i 4 Vangeli e gli altri scritti, sebbene originariamente destinati a comunità particolari, venivano conservati e copiati perché ogni Chiesa potesse leggerli nella liturgia per essere istruita sulla dottrina del Signore, attraverso gli insegnamenti provenienti dagli apostoli o da persone ad essi vicine.

LA DEFINIZIONE DEL CANONE NEOTESTAMENTARIO

Una prima idea di NT come unità di scritti cristiani accanto al AT, emerse nel II secolo sia per il dinamismo interno della Tradizione, sia per contrapposizione al rifiuto di Marcione dell'Antico Testamento. Tertulliano verso il 200 usa per primo l'espressione NT (Adversus Marcionem 4, 1, 6; 4, 22, 3) e ciò coincide cronologicamente con la comparsa della lista di libri del NT nel Frammento Muratoriano, ritenuto l'elenco più antico conosciuto dei testi sacri.
L'obiettiva difficoltà di comunicazione tra le diverse Chiese e la difficoltà di stabilire la paternità letteraria apostolica di alcuni scritti esponevano al rischio, da un lato, di ammettere opere pseudoepigrafiche, solo perché portavano il nome di apostoli o discepoli, dall'altra, di rifiutarne altri nell'incertezza di stabilire se essi fossero veramente opera degli apostoli. Riserve e problemi, proprio a causa della paternità letteraria, furono sollevati sulla Lettera agli Ebrei, la II di Pietro, la II e III di Giovanni (queste ultime anche perché meno conosciute e apprezzate, data la loro brevità), le Lettere di Giacomo e di Giuda (qui anche per presunti contrasti con la “regola della fede”) e l'Apocalisse (che incontrò difficoltà dottrinali anche per l'abuso eretico millenarista che ne venne fatto).
Soltanto alla fine del IV secolo, con il Concilio di Ippona e di Cartagine, la Chiesa d'Occidente (in Oriente si ebbe un processo più lento) espresse l'accordo definitivo sul Canone di 27 libri neotestamentari. Questa lista fu poi ribadita dal Concilio di Firenze nel XV secolo.
  Nel XVI secolo (in seguito ad un riaffiorare degli antichi dubbi da parte degli umanisti e successivamente di Lutero che introdusse una distinzione nei libri del NT, attribuendo ad alcuni un ruolo secondario, il cosiddetto “canone nel canone”) il Concilio di Trento, fondandosi sulle enunciazioni del Magistero precedente, definì solennemente “semel pro semper” il canone completo: “Se qualcuno poi non accetterà consapevolmente come libri sacri e canonici questi libri... sia anatema”. Il Concilio offrì in questa dichiarazione due criteri di canonicità: la lettura liturgica ordinaria dei testi sacri nella Chiesa Cattolica e la loro presenza nell'antica versione latina detta Volgata. Inoltre, con l'espressione “interi con tutte le loro parti”, ribadì la canonicità, ancora negata o messa in dubbio da alcuni, di brevi brani, in particolare della cosiddetta “finale lunga” del Vangelo di Mc (Mc 16, 9-20), di Lc 22, 43-44 (il sudore di sangue) e di Gv 7, 53-8, 11 (la pericope dell'adultera che manca in alcuni manoscritti antichi di Gv) , poiché presenti appunto nella Volgata.
Il Concilio Vaticano I, nel secolo XIX, con riferimento esplicito al Decreto Tridentino chiarirà la canonicità come riconoscimento magisteriale della Chiesa dell'ispirazione divina dei libri sacri.
Infine il Concilio Vaticano II ripetendo la dottrina del precedente Concilio, aggiunge e sostiene nella Dei Verbum: “E' la stessa Tradizione che fa conoscere alla Chiesa l'intero Canone dei libri Sacri, e in essa fa più profondamente comprendere e rende ininterrottamente operanti le stesse Sacre Lettere” (DV 8).
Viene quindi affermata l'insufficienza del dato di fatto dei criteri oggettivi e scientifici (per esempio la paternità letteraria apostolica degli scritti) nella definizione del Canone senza il dato della fede che afferma essere la Sacra Tradizione a stabilire il Canone. Nella Tradizione, strettamente congiunta e comunicante con la Sacra Scrittura perché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente (DV 9), la Chiesa riconosce l'opera di discernimento e illuminazione dello Spirito Santo che la guida a conservare e custodire la Rivelazione nella sua integrità per proclamarla agli uomini di tutti i tempi.

IL CANONE DI MURATORI

E' il più antico “canone” conosciuto. Si chiama così perché fu scoperto da L.A.Muratori nel 1740. E' contenuto in un palinsesto del sec. VIII appartenente alla Biblioteca Ambrosiana di Milano. E' ritenuto un testo di origine romana, antecedente al 200 d.C. Non si fa menzione, in esso, della lettera agli Ebrei e delle due lettere di Pietro. Manca dell'inizio in cui, chiaramente, il testo faceva menzione dei vangeli di Matteo e di Marco.
 
...a questi [fatti] tuttavia è stato presente e così li ha esposti. Il terzo libro del Vangelo, quello secondo Luca, è stato steso con suo nome da Luca, medico, che Paolo, dopo l'ascensione di Cristo, aveva preso con sé come esperto del viaggio. Neanche lui vide il Signore nella sua carne e, come fu capace di ricostruirne il corso, comincia la sua narrazione dei fatti dalla nascita di Giovanni.
Il quarto Vangelo è quello di Giovanni, uno dei discepoli. Esortato dai suoi condiscepoli e vescovi, egli disse: “Digiunate con me oggi e in questi tre giorni e qualsiasi cosa sarà rivelata a uno di noi ce la narreremo a vicenda”. In quella stessa notte fu rivelato ad Andrea, uno degli apostoli, che Giovanni doveva scrivere tutto a suo nome e tutti gli altri dovevano verificarne l'esattezza.
Perciò, anche se i singoli vangeli insegnano diversi principi, per la fede dei credenti non cambia niente. E' infatti per opera dello stesso Spirito che viene manifestato in ogni vangelo tutto ciò che riguarda la natività, la passione, la risurrezione, il dialogo con i suoi discepoli e le sue due venute: la prima, già avvenuta, nell'umiltà e nel disprezzo, la seconda, che deve ancora venire, gloriosa, con potere regale.
Perché dobbiamo meravigliarci, quindi, se Giovanni presenta in modo così fermo ogni affermazione, anche nelle sue lettere, dicendo di se stesso: “Ciò che noi abbiamo visto con i nostri occhi e udito con le nostre orecchie, ciò che abbiamo toccato con le nostre mani, noi lo scriviamo a voi”! In questo modo egli si dichiara non solo testimone oculare e uditore, ma anche scrittore che narra in modo ordinato le opere meravigliose del Signore.
Quanto poi agli Atti di tutti gli apostoli, essi sono scritti in un solo libro. Luca, scrivendo all'“illustre Teofilo”, inserisce quegli eventi che erano avvenuti in sua presenza. Questo è evidente dal fatto che è omessa la passione di Pietro e la partenza di Paolo dall'Urbe verso la Spagna.
Passando poi alle lettere paoline, sono esse stesse che mostrano chiaramente, a chi vuol capire, il luogo da cui sono state inviate e il motivo per cui sono state scritte. Tra le lettere di una certa lunghezza, Paolo ha scritto prima di tutto ai Corinzi, vietando le divisioni in partiti, poi ai Galati, proibendo la circoncisione, e ancora più diffusamente, ai Romani, per inculcare in loro il principio dell'unità e dell'ordine delle Scritture, che hanno in Cristo il loro principio unitario. Su questi particolari non è necessario che ci dilunghiamo oltre, anche perché lo stesso beato Paolo, seguendo lo schema del suo predecessore Giovanni, scrive a sette chiese, ma solo nominalmente. Egli segue questo ordine di composizione: la prima ai Corinzi, la seconda agli Efesini, la terza ai Filippesi, la quarta ai Colossesi, la quinta ai Galati, la sesta ai Tessalonicesi, la settima ai Romani. In verità, al fine di correggere, è stata scritta un'altra lettera ai Corinzi e ai Tessalonicesi. Comunque, al di là di questa varietà di nomi, si riconosce l'unica chiesa sparsa su tutta la terra: anche Giovanni infatti, nell'Apocalisse, pur scrivendo a sette chiese, intende parlare a tutti. Ci sono poi una lettera a Filemone, una a Tito e due a Timoteo, scritte per l'affetto e per l'amore, e tuttavia ispirate dall'onore della chiesa cattolica e dall'ordinamento della disciplina ecclesiastica. Ci sono in circolazione anche una lettera ai Laodicesi e un'altra agli Alessandrini, scritte falsamente a nome di Paolo, e molti altri scritti che non possono essere accolti nella chiesa cattolica: il miele infatti non deve essere mischiato con l'aceto. Anche la lettera di Giuda senza dubbio, e le due lettere che portano il nome di Giovanni, già citato sopra, sono accettate nella chiesa cattolica, oltre che la Sapienza, scritta dagli amici di Salomone in suo onore. Accogliamo inoltre solo l'Apocalisse di Giovanni e quella di Pietro, anche se alcuni dei nostri fratelli non vogliono che quest'ultima venga letta nella chiesa. Quanto al Pastore, in realtà esso è stato scritto recentemente, ai nostri giorni, da Erma, mentre il vescovo Pio, suo fratello, sedeva sulla cattedra della chiesa della città di Roma. Per questo il libro è molto utile da leggere, ma non può essere pubblicamente letto nella chiesa al popolo, né tra i profeti, il cui numero è completo, né tra gli apostoli. Noi non accogliamo assolutamente niente di Arsinoe, detto anche Valentino, o di Milziade; rifiutiamo anche quelli che hanno composto un nuovo libro dei Salmi per Marcione, come anche Basilide di Asia, il fondatore dei Catafrigiani.

IL CANONE NEI CONCILI D'AFRICA DI IPPONA E CARTAGINE

Così dicono i canoni del Concilio di Ippona, che vede riunite tutte le Chiese d'Africa l'8 ottobre dell'anno 393:

E' stato stabilito che, al di fuori delle Scritture canoniche, non venga letto niente nella chiesa con la denominazione di scritture divine. Sono da considerarsi Scritture canoniche: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio. Giosuè, Giudici, Rut, i quattro libri dei Re, i due libri delle Cronache, Giobbe, il Salterio di Davide, i cinque libri di Salomone, i dodici libri dei Profeti, Isaia, Geremia, Daniele, Ezechiele, Tobia, Giuditta, Ester, i due libri di Esdra, i due libri dei Maccabei.
Appartengono al Nuovo Testamento: i quattro libri dei Vangeli, il libro degli Atti degli apostoli, le tredici lettere dell'apostolo Paolo, sempre dello stesso la lettera agli Ebrei, due lettere di Pietro, tre di Giovanni, una di Giacomo, una di Giuda, l'Apocalisse di Giovanni.
Per la conferma di questo canone, sia consultata la chiesa di oltremare [di Roma]. Sia permessa anche la lettura delle passioni dei martiri, quando si celebrano i loro anniversari.

Questo stesso canone è attribuito anche al concilio cartaginese, chiamato cartaginese terzo, dell'anno 397 (canone 47) ed è stato ribadito anche dal concilio cartaginese del 419 (canone 29), con questa differenza: invece di “le tredici lettere dell'apostolo Paolo, sempre dello stesso la lettera agli Ebrei”, si dice: le quattordici lettere dell'apostolo Paolo”. Negli stessi concili (del 397 e del 419), dopo le parole: “Il libro dell'Apocalisse di Giovanni”, al posto della precedente, si trova la seguente conclusione:

Si faccia conoscere questo canone a Bonifacio, nostro fratello nel sacerdozio e agli altri vescovi di quelle parti, perché ottenga la conferma. Dai nostri padri, infatti, abbiamo accolto questi testi, perché siano letti nella chiesa.


Credente
00domenica 28 febbraio 2010 05:55
VANGELI CANONICI E VANGELI APOCRIFI

Vangeli Canonici

Testi del I secolo attribuiti agli evangelisti Matteo, Marco, Luca e Giovanni,
sempre ritenuti autentici dalla Chiesa, che li ha inseriti nel canone (elenco)
dei libri sacri: la Bibbia (composta di 73 libri, di cui 46 dell'Antico
Testamento e 27 del Nuovo Testamento).

Vangeli Apocrifi

Testi considerati segreti, nascosti, riservati a un gruppo di persone. Spesso è
stato loro attribuito il nome di un apostolo per conferire maggiore autenticità.
Sono generalmente più tardivi dei Vangeli canonici, alcuni anche del III, IV
secolo.

Ci si può domandare:

1) PERCHÉ SI È GIUNTI A QUESTA SEPARAZIONE?

2) COME SI DISTINGUE UN TESTO APOCRIFO DA UN TESTO CANONICO?

RISPONDIAMO

1) Dall'indagine storica sui primi secoli del Cristianesimo emerge che:

nelle prime comunità cristiane girano dei testi (papiri o pergamene):

scritti o approvati da apostoli

o da discepoli degli apostoli

o falsamente attribuiti agli apostoli

alcuni vengono letti in pubblico nelle varie chiese durante le riunioni comuni.

Quali? Quelli in qualche modo scritti o approvati dagli apostoli (perciò si
fanno delle copie).

Dal momento che girano anche libri falsi, iniziano discussioni.

Marcione

Marcione (ca. 140 d.C.), professava il manicheismo (eresia gnostica che
insegnava tra l'altro che la materia è male, che Gesù-Dio non aveva un corpo,
ecc.); egli rifiutava tutto l'Antico Testamento e gran parte dei Vangeli che
giravano nelle comunità cristiane.

Di fronte alle divergenze che incontra fra i testi che circolano, Marcione
ritiene che:

alcuni non siano stati di origine apostolica

altri siano stati manipolati

Perciò:

elimina i libri che non ritiene di origine apostolica (Vangeli di Matteo, Marco,
Giovanni)

elimina dal Vangelo di Luca le presunte manipolazioni (racconti dell'infanzia,
gli accenni alla corporeità di Gesù)

confeziona nuove copie "purgate" secondo le sue idee

fissa un elenco di libri che, secondo lui, contengono la genuina dottrina
cristiana: la versione rimaneggiata del Vangelo di Luca e dieci lettere di San
Paolo.

Di fronte a Marcione le comunità cristiane si difendono

a) fissando l'elenco dei libri ufficiali (canone).

In questo lavoro di scelta vengono usati tre criteri fondamentali (come risulta
da un celebre testo di Sant'Agostino):

ecclesialità: vengono riconosciuti i libri accettati da tutte le chiese che li
conoscevano (e che quindi venivano letti nelle liturgie)

apostolicità: libri prodotti (direttamente o indirettamente) da qualche apostolo

tradizionalità: libri in cui le comunità riconoscevano la tradizione apostolica

b) fissando il testo dei libri ufficiali secondo il criterio della Tradizione.

affidando al controllo dei Vescovi le nuove copie che venivano confezionate

SINTESI STORICA DEL CANONE

Una fissazione canonica definitiva si è avuta solo alle soglie del IV secolo.

Indicazioni di testi accreditati si hanno già agli inizi del III secolo o fine
II secolo, ma mai presentate in termini tassativi. Si dice semplicemente che
alcuni sono testi attendibili e altri no, ma tutti circolano liberamente (non si
tratta quindi di testi segreti come taluni sostengono OGGI).

Cronologia

Cronologia:

Anno 180 - viene scritto a Roma un documento che contiene già l'elenco di 24
libri del Nuovo Testamento: sarà poi chiamato Frammento muratoriano, perché
trovato a Milano nel 1740 da Ludovico Antonio Muratori

IV sec. - dubbi sull'autenticità di 7 libri (lo sappiamo dallo storico Eusebio
di Cesarea - 318)

V sec. - Superamento dei dubbi

* sia in occidente

* sia in oriente

Vengono riconosciuti e accettati da tutta la Chiesa gli attuali 27 libri del
Nuovo Testamento

1500 - Lutero rimette in discussione il canone e rifiuta i 7 libri
precedentemente discussi

- il Concilio di Trento riafferma l'elenco tradizionale di 27 libri

OGGI - IL CANONE DEI 27 LIBRI È PRATICAMENTE ACCETTATO DA TUTTE LE CONFESSIONI
CRISTIANE

Vangeli apocrifi

I vangeli apocrifi sono stati scritti a partire da circa la metà del II secolo,
ampiamente dopo la vita e la predicazione di Gesù e quando i testimoni diretti
degli eventi evangelici erano già scomparsi da tempo. Difficilmente pertanto
possono rappresentare documentazione storiche affidabili, in particolare laddove
si trovano in contrasto con la testimonianza dei quattro vangeli canonici.

Inoltre la maggior parte dei vangeli apocrifi più antichi, di origine gnostica,
si presentano come rivelazioni private di Gesù a singoli apostoli successive
alla predicazione pubblica. Questo tradisce la consapevolezza da parte
dell'autore pseudoepigrafo dell'originalità e novità del messaggio trasmesso.

L'uso e la diffusione dei vangeli apocrifi

i Vangeli apocrifi dell'infanzia, non canonici ma neanche propriamente eretici,
hanno goduto di una certa fortuna almeno a livello artistico: p.es. la
localizzazione della nascita di Gesù in una grotta deriva dal Protovangelo di
Giacomo, mentre la presenza dell'asino e del bue accanto alla mangiatoia,
associato tipicamente alle raffigurazioni natalizie antiche e moderne, deriva
dal Vangelo dello pseudo-Matteo;

i vangeli gnostici, di origine eretica e diffusi unicamente all'interno dei
circoli gnostici, non sono stati in alcun modo usati e considerati all'interno
della cosiddetta 'Grande Chiesa', cioè la maggior parte delle comunità
cristiane.

Diversamente da quanto si ritiene, in particolare in seguito al successo del
best seller Il Codice Da Vinci (2003), i vangeli apocrifi non furono apertamente
perseguitati. Da parte ecclesiastica e imperiale non vennero emanate esplicite
proibizioni o bandi contro i vangeli apocrifi, né essi furono sequestrati o
bruciati. Quelli che contenevano nozioni eretiche, perlopiù di tipo gnostico, si
persero all'estinguersi della stessa eresia gnostica. Da parte cristiana inoltre
la copiatura di tali testi era vista come inopportuna, non tanto per motivi
dottrinali ma bensì per motivi economici: il supporto papiraceo o pergamenaceo
era particolarmente costoso, come anche impegnativa era la copiatura amanuense,
e l'attività veniva prevalentemente dedicata ai testi usati per il culto
liturgico o per la devozione personale.

Vangeli dell'infanzia

I vangeli dell'infanzia illustrano i dettagli relativi alla vita
pre-ministeriale di Gesù, soprattutto la sua infanzia, altrimenti ignoti in
quanto taciuti dai vangeli canonici. Presentano un carattere abbondantemente e
gratuitamente miracolistico che sfocia spesso nel magico-fiabesco, in netto
contrasto con la sobrietà dei 4 vangeli canonici.

Sono caratterizzati inoltre da una assente o imprecisa conoscenza degli usi e
costumi giudaici o da altre imprecisioni di natura storica o geografica, che ne
inficiano il valore storico degli eventi narrati.

PROTOVANGELO DI GIACOMO Sulla natività e sull'infanzia di Maria

Uscita dalla grotta l'ostetrica si incontrò con Salome, e le disse: "Salome,
Salome! Ho un miracolo inaudito da raccontarti: una vergine ha partorito, ciò di
cui non è capace la sua natura". Rispose Salome: "(Come è vero che) vive il
Signore, se non ci metto il dito e non esamino la sua natura, non crederò mai
che una vergine abbia partorito".

[20, 1] Entrò l'ostetrica e disse a Maria: "Mettiti bene. Attorno a te, c'è,
infatti, un non lieve contrasto". Salome mise il suo dito nella natura di lei, e
mandò un grido, dicendo: "Guai alla mia iniquità e alla mia

incredulità, perché ho tentato il Dio vivo ed ecco che ora la mia mano si stacca
da me, bruciata". [2] E piegò le ginocchia davanti al Signore, dicendo: "Dio dei
miei padri, ricordati di me che sono stirpe di Abramo, di Isacco e di Giacobbe.
Non fare di me un esempio per i figli di Israele, ma rendimi ai poveri. Tu,
Padrone, sai, infatti, che nel tuo nome io compivo le mie cure, e la mia
ricompensa la ricevevo da te".

Ed ecco apparirle un angelo del Signore, dicendole: "Salome, Salome! Il Signore
ti ha esaudito: accosta la tua mano al bambino e prendilo su, e te ne verrà
salute e gioia". [4] Salome si avvicinò e lo prese su, dicendo: "L'adorerò
perché a Israele è nato un grande re". E subito Salome fu guarita e uscì dalla
grotta giustificata. Ed ecco una voce che diceva: "Salome, Salome! Non propalare
le cose meravigliose che hai visto, sino a quando il ragazzo non sia entrato in
Gerusalemme"

Vangeli giudeo-cristiani

I 3 vangeli detti giudeo-cristiani, in uso tra i cristiani dei primi secoli
rimasti legati alla tradizione religiosa giudaica, sono andati perduti.

Ci è giunta traccia di essi solo attraverso testimonianze indirette e
occasionali fornite da alcuni Padri della Chiesa. Verosimilmente si trattava di
tre diciture diverse di un unico testo derivato dal Vangelo di Matteo.

Vangeli gnostici

Le diverse correnti gnostiche dei primi secoli del cristianesimo (II-IV) hanno
prodotto diversi testi relativi alla vita e al ministero di Gesù. Nonostante la
datazione antica e l'attribuzione autorevole, la Chiesa Cattolica anche antica
non ha mai mostrato dubbi nel considerare i soli 4 vangeli canonici (Matteo,
Marco, Luca, Giovanni) come ispirati.

Nonostante l'interesse che suscitano attualmente, il valore storico di questi
testi si limita perlopiù alla ricostruzione dell'ambiente gnostico dei primi
secoli dell'era cristiana, senza fornire affidabili informazioni sull'attività
di Gesù. Due sono in particolare gli elementi che inducono a rigettare la
presunta storicità delle informazioni in esse contenute:

l'epoca tarda. I più antichi vangeli apocrifi sono stati composti verso la metà
del II secolo, quando i testimoni diretti della vita e della predicazione di
Gesù erano da tempo scomparsi. Al contrario la composizione dei vangeli canonici
risale al I secolo, quando la testimonianza dei discepoli e degli evangelisti in
particolare era ancora viva.

la natura 'segreta' delle rivelazioni. Per i vangeli apocrifi di origine
gnostica, e dunque eretica, l'artificio letterario è sempre lo stesso: Gesù
risorto comunica in privato a un discepolo (quasi sempre apostolo) meritevole (a
differenza degli altri non meritevoli) 'inedite' e particolari nozioni e
informazioni. Tale artificio mostra chiaramente la consapevolezza che avevano
gli scrittori apocrifi della tardiva originalità, e dunque non fondatezza
storica, dei contenuti narrati: "Ciò che dico si trova da nessuna parte perché
Gesù l'ha comunicato in segreto a questo apostolo". Il risultato complessivo è
quantomeno curioso: Gesù avrebbe di volta in volta prescelto un apostolo per
rivelazioni particolari non precedentemente attestate, giudicando gli altri
apostoli non degni della rivelazione, rivolgendosi però in definitiva a tutti
gli apostoli.

IL VANGELO DI TOMMASO 1

Queste sono le parole segrete che Gesù il Vivente ha detto e Didimo Giuda
Tommaso ha trascritto.

1.) Egli disse: "Chiunque trova la spiegazione di queste parole non gusterà la
morte".

2. Gesù disse: "Coloro che cercano cerchino finché troveranno. Quando
troveranno, resteranno commossi. Quando saranno turbati si stupiranno, e
regneranno su tutto."

3. Gesù disse, "Se i vostri capi vi diranno, 'Vedete, il Regno è nei cieli',
allora gli uccelli dei cieli vi precederanno. Se vi diranno, 'È nei mari',
allora i pesci vi precederanno. Invece, il Regno è dentro di voi e fuori di voi.
Quando vi conoscerete sarete riconosciuti, e comprenderete di essere figli del
Padre vivente. Ma se non vi conoscerete, allora vivrete in miseria, e sarete la
miseria stessa."

4. Gesù disse, "L'uomo di età avanzata non esiterà a chiedere a un bambino di
sette giorni dov'è il luogo della vita, e quell'uomo vivrà. Perché molti dei
primi saranno ultimi, e diventeranno tutt'uno."

5. Gesù disse, "Sappiate cosa vi sta davanti agli occhi, e quello che vi è
nascosto vi sarà rivelato. Perché nulla di quanto è nascosto non sarà rivelato."

IL VANGELO DI TOMMASO 2

109. Gesù disse, "Il regno del Padre è come una persona che aveva un tesoro
nascosto nel suo campo ma non lo sapeva. E quando morì lo lasciò a suo figlio.
Il figlio non ne sapeva nulla neanche lui. Diventò proprietario del campo e lo
vendette. L'acquirente andò ad arare, scoprì il tesoro, e cominciò a prestare
denaro a interesse a chi gli pareva."

110. Gesù disse, "Lasciate che chi ha trovato il mondo, ed è diventato ricco,
rinunci al mondo."

111. Gesù disse, "I cieli e la terra si apriranno al vostro cospetto, e chiunque
è vivo per colui che vive non vedrà la morte." Non dice Gesù, "Di quelli che
hanno trovato se stessi, il mondo non è degno?"

112. Gesù disse, "Maledetta la carne che dipende dall'anima. Maledetta l'anima
che dipende dalla carne."

113. I suoi discepoli gli chiesero, "Quando verrà il regno?" "Non verrà
cercandolo. Non si dirà 'Guarda, è qui!', oppure 'Guarda, è lì!' Piuttosto, il
regno del Padre è sulla terra, e nessuno lo vede.

Vangelo di Filippo

23.) Vi sono certuni che hanno paura di risuscitare nudi. Per questo essi
vogliono risuscitare nella carne, e non sanno che quelli che portano la carne,
proprio essi sono nudi. Quelli che spogliano se stessi fino ad essere nudi, non
sono nudi. Né carne né sangue possono ereditare il Regno di Dio. Qual'è quello
che non erediterà? Il corpo che noi abbiamo. Qual'è invece quello che erediterà?
Quello di Gesù e il suo sangue. È per questo che egli ha detto: "Chi non mangerà
la mia carne (Logos) e non berrà il mio sangue non ha la vita in se stesso". E
cosa sono queste cose? La sua carne è il Logos e il suo sangue è lo Spirito
Santo (anima). Chi ha ricevuto queste cose ha cibo, bevanda e vestito. Io, poi,
biasimo anche gli altri, quelli che dicono che non si risusciterà. Infatti
ambedue sono in errore. Tu dici che la carne non risusciterà: dimmi allora che
cosa risusciterà, affinché noi possiamo renderti onore. Tu dici che lo Spirito è
dentro la carne, che c'è pure questa luce dentro la carne. Ma è il Logos,
quest'altro che è nella carne! In questa carne (Logos) in cui Tutto esiste,
bisogna dunque risuscitare.

24.) In questo mondo, quelli che indossano i vestiti (anime) sono superiori ai
vestiti (corpo); nel Regno dei Cieli i vestiti (spirito) sono superiori a quelli
che li indossano, per l'acqua ed il fuoco che purificano tutto il luogo.

55.) La Sofia, che è chiamata sterile, è la madre degli angeli. La consorte di
Cristo è Maria Maddalena. Il Signore amava Maria più di tutti i discepoli e la
baciava spesso sulla bocca. Gli altri discepoli allora dissero: "Perché ami lei
più di tutti noi? "Il Salvatore rispose e disse loro: "Perché, non amo voi tutti
come lei?

Vangeli della passione

Vangelo di Gamaliele è un vangelo apocrifo con attribuzione pseudoepigrafa a
Gamaliele, stimato maestro ebreo del I secolo d.C. Datato al IV secolo, è
scritto in copto, forse rielaborante materiale greco precedente. Descrive gli
eventi della domenica di Pasqua successivi alla risurrezione di Gesù e esalta la
figura di Pilato e sua moglie Procla, che prendono in consegna la Sindone.È
evidente la dipendenza da un altro vangelo apocrifo relativo alla passione, il
Vangelo di Nicodemo o Atti di Pilato. Come gli altri vangeli della passione, il
Vangelo di Gamaliele è all'origine dell'esaltazione cristiana di Pilato e sua
moglie Procla, considerati santi dalle chiese greco-ortodossa e copta.

Il Vangelo di Nicodemo è un vangelo apocrifo con attribuzione pseudoepigrafa a
Nicodemo, discepolo di Gesù. Datato al II secolo, è scritto in greco. Similmente
agli altri vangeli della passione (Vangelo di Gamaliele, Vangelo di Pietro)
descrive la passione di Gesù discolpando Pilato. Fa parte del cosiddetto Ciclo
di Pilato, una serie di scritti apocrifi più o meno antichi centrati sulla
figura di Pilato. Il testo risulta composto da tre sezioni originariamente
indipendenti:

cc. 1-11: Atti di Pilato

cc. 12-16: Vangelo di Nicodemo vero e proprio

cc. 17-29: Discesa agli inferi di Gesù

Il Vangelo di Pietro è un vangelo apocrifo con attribuzione pseudoepigrafa a
Pietro, apostolo. Datato dalla maggior parte degli studiosi alla prima metà del
II secolo, è scritto in greco. Similmente agli altri vangeli della passione
(Vangelo di Gamaliele, Vangelo di Nicodemo) descrive la passione di Gesù
discolpando Pilato. Ritenuto perduto per secoli, conosciuto tramite citazioni
indirette di alcuni Padri della Chiesa, ne è stata ritrovata una versione
incompleta nel 1887 ad Akhmin, nell'Alto Egitto.Non va confuso con un altro
vangelo apocrifo andato perduto, la Predicazione di Pietro.

La Dichiarazione (o narrazione) di Giuseppe di Arimatea è un apocrifo del Nuovo
Testamento di incerta datazione, il cui manoscritto più antico (codice
ambrosiano E140) è in greco e risale al XII secolo. Solitamente viene catalogato
tra i vangeli della passione apocrifi, ma la tradizione manoscritta lo ha
accostato agli scritti del Ciclo di Pilato, sebbene il prefetto romano svolga
nell'apocrifo un ruolo marginale.

Il testo riporta la narrazione in prima persona di Giuseppe d'Arimatea degli
eventi della passione, morte e risurrezione di Gesù. Viene dato particolare
risalto alla storia e al ruolo dei due 'ladroni' crocifissi con Gesù, che il
testo chiama Dema (quello buono) e Gesta (quello cattivo).

Altri vangeli apocrifi

Interrogatio Johannis o Cena segreta o Libro di Giovanni evangelista

Vangelo di Barnaba

Vangelo di Bartolomeo o Questioni di Bartolomeo

Vangelo di (Giuda) Taddeo

Frammenti di apocrifi

I ritrovamenti archeologici del XX secolo hanno portato alla luce alcuni
frammenti di papiro o pergamena contenenti testi di natura evangelica non
riconducibili ad alcun vangelo apocrifo o canonico. Data la brevità dei testi e
la corruzione del supporto, la datazione è particolarmente difficile sia con
metodi filologici che con i normali metodi di datazione archeologici (p.es.
carbonio 14). Di seguito sono indicate le datazioni maggiormente condivise, ma a
seconda degli studiosi subiscono notevoli variazioni.Risulta inoltre attualmente
impossibile determinare se si trattasse di raccolte di materiale poi confluito
nei Vangeli canonici (p.es. fonte Q), di brani di Vangeli apocrifi noti ma
andati perduti, o di brani di Vangeli apocrifi del tutto sconosciuti.

Papiri di Ossirinco 840 e 1224. Ritrovati tra i papiri di Ossirinco contengono
brevi testi in greco di natura evangelica, non riconducibili ad alcun vangelo
apocrifo o canonico, e sono databili tra il 110-160.

I frammenti noto come Papiro Egerton 2 conteniene brevi testi in greco di natura
evangelica non riconducibili ad alcun vangelo apocrifo o canonico. Databile tra
il 70-120 d.C.

Il frammenti noto come Papiro di Fayyum conteniene brevi testi in greco di
natura evangelica non riconducibili ad alcun vangelo apocrifo o canonico. È
databile al III secolo. Contiene un breve frammento del dialogo tra Gesù e gli
apostoli durante l'ultima cena, rappresentando una redazione abbreviata di
Mc14,26-30 e Mt26,30-34.

Il frammenti noto come Papiro di Berlino conteniene brevi testi in greco di
natura evangelica non riconducibili ad alcun vangelo apocrifo o canonico. È
databile al VI secolo ed è stato ritrovato nel 1923. Contiene due brevi
frammenti del dialogo tra Gesù e Natanaele (cf. Gv1,49).

Credente
00lunedì 1 marzo 2010 00:04

IL FRAMMENTO MURATORIANO

 

 

Conservato in un manoscritto dell’VIII sec. e scoperto da Ludovico Antonio Muratori nella Biblioteca Ambrosiana di Milano (da lui pubblicato nel 1749), il Frammento di Muratori è un testo in latino di 85 righe, in pessime condizioni. Si tratta quasi certamente della traduzione di un originale greco, che la maggior parte degli studiosi ritiene scritto tra il II e il III sec. d.C.

 

Latino (riscritto)

 

Traduzione

 

Commenti

 
 

1…quibus tamen interfuit et ita posuit.

 

 1… a cui nondimeno egli era presente, e così [li] collocò [nella sua narrazione]

 

L’inizio del testo è andato perso, ma sicuramente si fa riferimento a Matteo e a Marco (cfr. le ultime parole).

 
 

2tertium evangelii librum secundum Lucam. 3Lucas iste medicus 4post ascensum Christi 5cum eum Paulus quasi itineris sui socium 6secum adsumsisset nomine suo ex opinione conscripsit — 7Dominum tamen nec ipse vidit in carne — 8et idem prout assequi potuit: 9ita et a nativitate Iohannis incepit dicere.

 

2Il terzo libro del vangelo è quello secondo Luca. 3Luca, il ben noto medico, 4dopo l’ascensione di Cristo, 5quando Paolo l’aveva preso con sé come appassionato di legge, 6lo compose a proprio nome, secondo la credenza [generale]. 7Tuttavia egli non aveva visto il Signore nella carne; 8e perciò, poiché era abile ad accertare i fatti, 9cominciò effettivamente a raccontare la storia dalla nascita di Giovanni.

 

Vangelo di Luca

 

Prima parte (1-39): libri dall’autenticità indiscutibile: 4 vangeli (con Atti e Prima Giovanni) e 13 Lettere di Paolo

 
 

10quarti evangeliorum Iohannis ex discipulis. 11cohortantibus condiscipulis et episcopis suis dixit 12Conieiunate mihi hodie triduum, 13et quid cuique fuerit revelatum alteratrum nobis enarremus. 14eadem nocte revelatum Andreae ex apostolis, ut recognoscentibus cunctis, Iohannes suo nomine cuncta describeret.

 

10Il quarto dei vangeli è quello di Giovanni , [uno] dei discepoli. 11Ai suoi condiscepoli e ai vescovi, che lo spingevano a scrivere, egli disse: 12«Digiunate con me da oggi per tre giorni 13e ciò che sarà rivelato a ciascuno diciamocelo l’un l’altro». 14La stessa notte fu rivelato ad Andrea, [uno] degli apostoli, che Giovanni avrebbe  dovuto scrivere tutte le cose a suo nome, mentre gli altri avrebbero dovuto controllarne l’esattezza.

 

Vangelo di Giovanni

 
 

15et ideo licet varia singulis evangeliorum libris principia doceantur 16nihil tamen differt credentium fidei, 17cum uno ac principali spiritu declarata sint in omnibus omnia 18de nativitate, de passione, de resurrectione, de conversatione cum discipulis suis, 19et de gemino eius adventu, primum in humilitate despectus, quod fuit, secundum potestate regali praeclarum, quod futurum est.

 

15 E così, sebbene vari principi possano essere insegnati nei singoli libri dei vangeli, 16nondimeno  ciò non fa differenza per la fede dei credenti, 17dal momento che da un unico Spirito supremo tutte le cose sono state proclamate in tutti [I vangeli] — 18riguardo alla natività, riguardo alla passione , riguardo alla resurrezione, riguardo alla vita con i suoi discepoli 19e riguardo alla sua duplice venuta: la prima in umiltà quando egli fu disprezzato, già avvenuta, la seconda gloriosa nel potere regale, che appartiene ancora al futuro.

 

 

 
 

20quid ergo mirum, si Iohannes tam constanter singula etiam in epistulis suis proferat dicens in semetipso 21Quae vidimus oculis nostris, et auribus audivimus, et manus nostrae palpaverunt, haec scripsimus vobis? 22Sic enim non solum visorem, sed et auditorem, sed et scriptorem omnium mirabilium Domini per ordinem profitetur.

 

20Che meraviglia è, allora, se Giovanni così coerentemente nomina questi punti particolari anche nelle lettere, dicendo di se stesso: 21«Ciò che abbiamo visto con i nostri occhi e udito con le nostre orecchie e toccato con le nostre mani, lo abbiamo visto per voi»? 22Perché in questo modo egli si professa non solo testimone oculare e auricolare, ma anche scrittore di tutti i fatti meravigliosi  del Signore, nel loro ordine.

 

 

 
 

23Acta autem omnium apostolorum sub uno libro scripta sunt. 24Lucas "optimo Theophilo" comprehendit, quae sub praesentia eius singula gerebantur, 25sicut et remote passionem Petri evidenter declarat, 26sed et profectionem Pauli ab urbe ad Spaniam proficiscentis.

 

23Inoltre, gli atti di tutti gli apostoli furono scritti in un solo libro. 24Luca, “per l’eccellentissimo Teofilo”, raccolse I singoli eventi che ebbero luogo in sua presenza, 25come egli mostra chiaramente omettendo il martirio di Pietro 26così come la partenza di Paolo dalla città [di Roma] verso la Spagna.

 

Gli Atti degli Apostoli formano un tutt’uno con il vangelo lucano

 
 

27Epistolae autem Pauli, quae, a quo loco, vel qua ex causa directae sint, volentibus intelligere ipsae declarant. 28primum omnium Corinthiis schisma haeresis interdicens, 29deinceps Galatis circumcisionem, 30Romanis autem ordine scripturarum, sed et principium earum esse Christum intimans, prolixius scripsit;

 

27Riguardo alle lettere di Paolo, esse da sole dichiarano a coloro che vogliono capire che cosa [siano], da che luogo o per quale ragione siano state scritte. 28La prima di tutte è quella ai Corinzi, che proibisce le loro divisioni ereticali; 29la seconda, ai Galati, contro la circoncisione; 30poi scrisse più diffusamente ai Romani, spiegando l’ordine delle Scritture e anche che cristo è il loro principio.

 

I Lettera ai Corinzi

Lettera ai Galati

Lettera ai Romani

 
 

31de quibus singulis necesse est a nobis disputari; 32cum ipse beatus Apostolus Paulus sequens prodecessoris sui Iohannis ordinem, nonnisi nominatim septem ecclesiis scribat ordine tali: 33ad Corinthios prima, ad Ephesios secunda, ad Philippenses tertia, ad Colossenses quarta, ad Galatas quinta, ad Thessalonicensibus sexta, ad Romanos septima.

 

31Ma è necessario per noi esaminare queste lettere una per una, 32perché il santo apostolo Paolo in persona, seguendo l’esempio del suo predecessore Giovanni, scrive nominativamente a solo sette chiese nel seguente ordine: 33ai Corinzi la prima, agi Efesini la seconda, ai Filippesi la terza, ai Colossesi la quarta, ai Galati la quinta, ai Tessalonicesi la sesta, ai Romani la settima.

 

Lettera agli Efesini

Lettera ai Filippesi

Lettera ai Colossesi

I ai Tessalonicesi

 

Il fatto che Paolo scriva, come Giovanni, a sette chiese è segno che le sue lettere sono rivolte non a chiese locali ma alla chiesa universale (ci si basa sul simbolismo del numero 7 che indica la totalità).

 
 

34verum Corinthiis, et Thessalonicensibus licet pro correptione iteretur, 35una tamen per omnem orbem terrae ecclesia diffusa esse denoscitur. 36et Iohannes enim in Apocalypsi licet septem ecclesiis scribat, tamen omnibus dicit.

 

34È vero che egli scrive ancora una volta ai Corinzi e ai Tessalonicesi per ammonimento, 35eppure si riconosce facilmente che c’è una sola chiesa sparsa su tutta la terra. 36Perché anche Giovanni nell’Apocalisse, benché scriva a sette chiese, nondimeno parla di tutte.

 

II Corinzi

II Tessalonicesi

 
 

37verum ad Philemonem unam, et ad Titum unam, et ad Timotheum duas pro affectu et dilectione; 38in honore tamen ecclesiae catholicae in ordinatione ecclesiasticae disciplinae sanctificatae sunt.

 

37[Anche Paolo scrisse] per affetto e amore una lettera a Filemone, una a Tito e due a Timoteo, 38tuttavia queste sono considerate sacre nella stima della chiesa universale per la regolamentazione della disciplina ecclesiastica.

 

Lettera a Filemone

Lettera a Tito

I e II a Timoteo

 
 

39fertur etiam ad Laodicenses, alia ad Alexandrinos, Pauli nomine fictae ad haeresem Marcionis, 40et alia plura, quae in catholicam ecclesiam recipi non potest; fel enim cum melle misceri non congruit.

 

39È in circolazione anche [una lettera] ai Laodicesi [e] un’altra agli Alessandrini, [entrambe] falsificazioni scritte sotto il nome di  Paolo per [promuovere] l’eresia di Marcione, 40e diverse altre che non possono essere accettate dalla chiesa universale, perché non è opportuno che  il fiele sia mischiato con il miele.

 

Seconda parte (39-49): libri discutibili (41-47) e libri da scartare (39-40; 48-49)

 

Lettera ai Laodicesi e Lettera agli Alessandrini: scritti eretici

 
 

41Epistola san Iudae, et superscriptio Iohannis duas in catholica habentur; 42et Sapientia ab amicis Salomonis in honorem ipsius scripta.

 

41Inoltre la Lettera di Giuda e due che portano il nome di Giovanni sono usate nella [chiesa] universale — 42e [il libro della] Sapienza scritto dagli amici di Salomone in suo onore.

 

Lettera di Giuda, I e II Giovanni, Apocalisse di Giovanni: si possono leggere

 
 

43apocalypses etiam Iohannis, et Petri, tantum recipimus, quam quidam ex nostris legi in ecclesia nolunt. 44Pastorem vero nuperrime temporibus nostris in Urbe Roma Hermas conscripsit, sedente cathedra Urbis Romae ecclesiae Pio Episcopo fratre eius; 45et ideo legi eum quidem oportet, se publicare vero in ecclesia populo, 46neque inter Prophetas, completum numero, 47neque inter apostolos, in finem temporum potest.

 

43Noi accettiamo soltanto le Apocalissi di Giovanni e di Pietro, benché alcuni di noi non desiderano che la seconda sia letta in chiesa. 44Ma Erma scrisse Il Pastore molto recentemente ai giorni nostri, nella città di Roma, mentre il vescovo Pio, suo fratello, occupava la cattedra [episcopale] della chiesa della città di Roma. 45E perciò deve bensì essere letto; ma non può essere lette pubblicamente al popolo in chiesa, 46né tra i profeti, il cui numero è completo, 47né tra gli apostoli, perché viene dopo [il loro] tempo.

 

Il Pastore di Erma: non si può leggere

Apocalisse di Pietro: giudizio incerto

 
 

48Arsinoi autem, seu Valentini, vel Mitiadis nihil in totum recipimus. 49qui etiam novum Psalmorum librum Marcioni concripserunt una cum Basilide Assianum Catafrygum constitutorem…

 

48Ma noi non accettiamo nulla di Arsinoo o Valentino o Milziade, 49i quali composero anche un nuovo libro di salmi per Marcione, insieme con Basilide, l’asiatico fondatore dei catafrigi…

 

 

Scritti eretici

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00lunedì 1 marzo 2010 00:15

Apocrifi cristiani antichi

di Enrico Norelli

Che cosa si intende con il termine Apocrifi? Quali sono i più antichi ed importanti, quando sono stati scritti, che cosa contengono?


Già pubblicato in M. SODI - A. M. TRIACCA (a cura di), Dizionario di omiletica, LDC, Leumann, 1998.

Nel secolo II certi scritti diffusi nei circoli gnostici cristiani si presentavano come apókryphoi, letteralmente "nascosti", cioè segreti, celati al pubblico, riservati agli iniziati capaci d'intenderne la dottrina: è il caso dell' Apocrifo di Giovanni, trasmesso in traduzione copta; e la Lettera di Giacomo, ritrovata a Nag Hammadi, allude a due precedenti scritti contenenti rivelazioni ricevute da Giacomo, come ad "apocrifi".
Clemente di Alessandria menziona gnostici, seguaci di Prodico, che si richiamano a bybloi apókryphoi di Zoroastro (Stromati 1,15,69,6). Il termine era inteso positivamente.

Quando nel corso del sec. II si precisò l'opposizione dottrinale tra gli gnostici e quella che si veniva costituendo come "grande Chiesa", si pose anche il problema degli scritti che trasmettevano l'autentica tradizione di e su Gesù e la genuina predicazione apostolica. Circolavano infatti diverse raccolte di detti e fatti di Gesù, come pure numerosi scritti sotto il nome di apostoli o di loro discepoli, e gruppi gnostici si richiamavano a tradizioni trasmesse segretamente a partire da questo o quell'apostolo. Contro di loro si fece valere la tradizione pubblica, portata dalla successione episcopale nelle diverse Chiese, e si definì progressivamente un consenso intorno a una raccolta di libri cristiani ammessi come autentici e ispirati. Le tradizioni e gli scritti segreti portati dai gruppi le cui dottrine venivano respinte come eterodosse furono anch'essi rifiutati, e "apocrifo" divenne sinonimo di falso. Così, secondo Ireneo di Lione, gli gnostici "insinuano una massa indescrivibile di scritti apocrifi e spuri, forgiati da loro stessi" (Contro le eresie 1,20,1); l'autore romano della Confutazione di tutte le eresie attribuita a Ippolito attacca la pretesa di Basilide di possedere discorsi apocrifi (lógous apokryphous) che l'apostolo Mattia avrebbe ricevuto dal Signore (7,20). Questi due casi mostrano chiaramente l'attribuzione ecclesiastica di una connotazione negativa al termine "apocrifo" usato dagli avversari stessi in senso positivo.

Tertulliano accoppia come equivalenti i concetti di apocrifo e falso (De pudicitia, 10,12). Origene può però applicare il termine di apocrifi a scritti giudaici non canonici, senza con ciò condannarli (Lettera a Giulio Africano, 9; Comm. a Mt 10,18; ecc. ), e afferma che non tutto ciò che si trova negli apocrifi è da respingere (Comm. a Mt 23,27-28 = Commentariorum series 28). Origene (citato da Eusebio di Cesarea, St. eccl., 6,25) distingue gli scritti cristiani ammessi da tutti (homologoúmena), quelli unanimemente rifiutati (pseudé) e quelli discussi (amphiballómena); ma non parla in tale contesto di apocrifi, né lo fa Eusebio, che da lui riprende la tripartizione (St. eccl., 3,25).

Viceversa, stabilendo nella sua Lettera festale 39, del 367, il canone degli scritti biblici, Atanasio di Alessandria bolla gli apocrifi come invenzione di eretici, composti tardivamente e spacciati per antichi. Il consolidamento dei canone in Occidente e in Oriente condusse alla definitiva svalutazione dei termine "apocrifo" e alla sua associazione con "eretico", attestata intorno al 400 da Agostino (Contro Fausto, 11,2) e Girolamo (apocryphorum deliramenta: Commentario a Isaia 17, su Is 64,4).

Questa accezione negativa si protrasse nelle liste di libri canonici e non canonici tramandateci da vari manoscritti. Così il cosiddetto Decreto Gelasiano termina con una lista (non riconducibile al papa Gelasio I [492-496], ma composta da un privato nella Gallia meridionale, all'inizio del sec. VI) di libri bollati come apocrifi, e descritti come composti da eretici e scismatici, rifiutati dalla Chiesa cattolica e da evitarsi dai fedeli. La recensione lunga della Cronografia di Niceforo patriarca di Costantinopoli (806-815) contiene un catalogo (detto Sticometria perché indica la lunghezza di ciascun testo in linee; risale probabilmente al sec. IX) di scritti dell'AT e del NT, seguiti da cataloghi separati, rispettivamente di scritti contestati (antilegómena) e "apocrifi", separatamente per ciascun Testamento. Il Catalogo dei 60 libri, probabilmente dei sec. VII, enumera, dopo i 60 canonici, quelli "non inclusi" (i deuterocanonici dell'AT) e gli "apocrifi" (giudaici e cristiani di seguito). In tutti questi casi il criterio determinante è il grado di riconoscimento ecclesiastico, e non la forma letteraria o altro: così appaiono ripetutamente, tra gli apocrifi, la Didaché, le Costituzioni apostoliche, e nel Decreto Gelasiano una lunga lista di autori (Tertulliano, Lattanzio, Clemente Alessandrino...) le cui opere sono indistintamente dichiarate apocrife. Questa accezione del termine è sicuramente troppo ampia e non è seguita in epoca moderna, benché raccolte di apocrifi cristiani fino alla prima edizione di Hennecke (1904) abbiano incluso i "Padri Apostolici", parte dei quali rimase per un certo tempo ai margini del canone.

Di fatto, la storia del termine non è determinante per l'accezione scientifica moderna di esso.
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00lunedì 1 marzo 2010 10:05
Libri canonici e libri apocrifi. Criteri di canonicità. (secondo s.Agostino)

8. 12. Quanto a noi, riportiamo la considerazione a quel terzo gradino del quale avevamo stabilito di approfondire ed esporre ciò che il Signore si fosse degnato di suggerirci. Pertanto sarà diligentissimo investigatore delle divine Scritture colui che, prima di tutto, le legge per intero e ne acquista la conoscenza e, sebbene non le sappia penetrare con l'intelligenza, le conosce attraverso la lettura. Mi riferisco esclusivamente alle Scritture cosiddette canoniche, poiché, riguardo alle altre le legge con tranquillità d'animo chi è ben radicato nella fede cristiana, per cui non succede che gli disturbino l'animo debole e, illudendolo con pericolose menzogne e fantasticherie, gli distorcano il giudizio in senso contrario alla retta comprensione. Nelle Scritture canoniche segua l'autorità della maggior parte delle Chiese cattoliche, tra le quali naturalmente sono comprese quelle che ebbero l'onore di essere sede di un qualche apostolo o di ricevere qualche sua lettera. Riguardo pertanto alle Scritture canoniche si comporterà così: quelle che sono accettate da tutte le Chiese cattoliche le preferirà a quelle che da alcune non sono accettate; in quelle che non sono accettate da tutte preferirà quelle che accettano le Chiese più numerose e autorevoli a quelle che accettano le Chiese di numero inferiore e di minore autorità. Se poi succedesse che alcune sono ritenute autentiche da più Chiese mentre altre da Chiese più autorevoli, sebbene questo caso non si possa risolvere con facilità, io riterrei che le si debba considerare tutte di pari autorità.

Canone biblico accettato da Agostino.

8. 13. Il canone completo delle Scritture, al quale diciamo di voler rivolgere la nostra considerazione, si compone dei seguenti libri: i cinque libri di Mosè, cioè Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio, e poi il libro di Gesù figlio di Nave, un libro dei Giudici, un libretto chiamato di Rut, che peraltro sembra appartenere ai Libri dei Regni, come loro principio. Vengono poi i quattro Libri dei Regni e i due dei Paralipomeni, che non vengono dopo di essi ma sono a loro congiunti e procedono gli uni a fianco degli altri simultaneamente. Sono libri di storia, che contengono indicazioni temporali collegate fra loro e insieme la successione ordinata dei fatti. Ci sono poi narrazioni storiche poste, per così dire, in ordine differente, narrazioni che non rispettano né l'ordine storico né si collegano le une con le altre. Così è Giobbe, Tobia, Ester, Giuditta, e i due Libri dei Maccabei e di Esdra, i quali piuttosto sembrerebbero proseguire quella storia ordinata che si protraeva fino ai Libri dei Regni e dei Paralipomeni. Successivamente vengono i Profeti, tra i quali un libro di Davide, i Salmi, e tre di Salomone: i Proverbi, il Cantico dei Cantici e l'Ecclesiaste. Difatti gli altri due libri, intitolati l'uno la Sapienza e l'altro l'Ecclesiastico, per una certa somiglianza vengono detti di Salomone. È in effetti tradizione quanto mai costante che li abbia scritti Gesù figlio di Sirach 12; tuttavia, siccome sono stati accolti fra i Libri aventi autorità, li si deve annoverare al gruppo dei profetici. Restano i Libri di coloro che propriamente si chiamano Profeti: un libro per ciascuno di coloro che si chiamano i dodici Profeti, i quali, collegati fra loro (mai infatti hanno avuto esistenza separata), costituiscono un unico libro. I nomi di questi Profeti sono i seguenti: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia. Poi ci sono i Profeti autori di libri più grandi: Isaia, Geremia, Daniele, Ezechiele. Con questi quarantaquattro libri si chiude l'autorità canonica del Vecchio Testamento 13. Compongono il Nuovo Testamento i quattro libri del Vangelo: secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni; le quattordici Lettere dell'apostolo Paolo: ai Romani, due ai Corinzi, una ai Galati, agli Efesini e ai Filippesi, due ai Tessalonicesi, una ai Colossesi, due a Timoteo, una a Tito, a Filemone, e agli Ebrei; due lettere di Pietro, tre di Giovanni, una di Giuda, una di Giacomo; e finalmente il libro degli Atti degli Apostoli e quello dell'Apocalisse di Giovanni.

 

Nota:

Il libro di        corrisponde al libro

Giosuè   =    Gesù figlio di Nave

Primo di Samuele  =   primo dei regni Regni =  primo dei Re

Secondo di Samuele = secondo dei regni = secondo dei Re

Ecclesiaste =  Qoelet

Ecclesiastico = Siracide  =  Eccli

Primo dei Re  =  Terzo dei Re

Secondo dei Re = Quarto dei Re

Primo e secondo Cronache = Primo e secondo Paralipomeni

libro di Neemia = secondo di Esdra





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00lunedì 1 marzo 2010 10:06

IL CANONE DEL NUOVO TESTAMENTO

di Luciano Zappella

 

Prima di entrare nel merito del nostro discorso sono necessarie due premesse.

a. Anzitutto, bisogna dire che praticamente tutti i libri che formano il Nuovo Testamento sono stati scritti sulla base di necessità contingenti (soprattutto le lettere di Paolo); nessuno dei loro autori o redattori pensava che quegli scritti sarebbero entrati a far parte di una collezione di libri dotata di un valore vincolante, sia da un punto di vista ecclesiale sia da punto di vista teologico.

b. In secondo luogo, il processo che ha portato alla definizione del canone del Nuovo Testamento (vale a dire la fissazione dei 27 libri che lo compongono) non è stato né breve (dal II al IV sec.) né pacifico (le controversie furono numerose). Cercheremo di riassumerne la tappe principali, non prima di elencare subito i tre criteri guida della “canonicità”. Essi sono:

- l’origine apostolica del libro;

- la conformità del contenuto alla regola della fede apostolica;

- il suo uso nella liturgia.

 

Il documento più famoso per la storia della formazione del canone neotestamentario è senza dubbio il Frammento muratoriano (vedi qui). Esso attesta l’esistenza dei quattro vangeli e presenta una collezione canonica di 13 lettere di Paolo, le quali, si dice, hanno come destinazione la chiesa «cattolica» (cioè, «universale»).

Ireneo di Lione (nato tra il 140 e il 160) si sofferma sul valore simbolico del numero 4 con riferimento ai vangeli (Adversus Haereses III,11,8). Più che ritenere sia stato lui a definire il numero dei vangeli, è più probabile che egli non faccia altro che basarsi su una situazione preesistente.

Il primo a parlare dell’esistenza di Vangeli scritti è Papia di Ierapoli (morto verso il 140). Dalla sua opera (Spiegazioni delle parole del Signore) andata perduta (ci sono però delle citazione nella Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea), si può dedurre con una certa sicurezza che, pur in presenza di testi scritti, egli si fida maggiormente della tradizione orale.

Le cose cambiano con Marcione (morto nel 160), con il quale nasce per la prima volta un canone del Nuovo Testamento, che poi spingerà la Grande Chiesa a proporre un proprio canone. Il suo è noto come «piccolo canone» e comprende i seguenti libri: Luca, Romani, I-II Corinzi, Galati, Efesini, Filippesi, Colossesi, I-II Tessalonicesi, Filemone.

Pur non avendo stilato un vero e proprio elenco di libri del NT, Origene, in base alla testimonianza di Eusebio (Storia ecclesiastica VI,25-12), presenta una classificazione tripartita dei libri del NT, secondo questo schema:

 

homologoumena (riconosciuti) amphiballòmena (controversi) pseudé (falsi)

4 vangeli e Atti

13 lettere di Paolo

I Pietro

I Giovanni

Apocalisse

II Pietro

II Giovanni

Ebrei

Giacomo

Giuda

Vangelo degli Egiziani

Vangelo di Basilide

Vangelo di Tommaso

Vangelo di Mattia

 

 

Una delle testimonianze più importanti per la storia del canone è sicuramente Eusebio di Cesarea (Storia Ecclesiastica III, 25, 1-7), di cui citiamo il passo integrale:

 

«Arrivati a questo punto, ci sembra ragionevole ricapitolare (la lista) degli scritti del Nuovo Testamento di cui abbiamo parlato. E, senza alcun dubbio, si deve collocare prima di tutto la santa tetrade (= quaterna) degli evangeli, cui segue il libro degli Atti degli Apostoli. Dopo questo, si debbono citare le lettere di Paolo, a seguito delle quali si deve collocare la prima attribuita a Giovanni e similmente la prima lettera di Pietro. A seguito di queste opere si sistemerà, se si vorrà, l’Apocalisse di Giovanni, su cui esporremo a suo tempo ciò che si pensa. E questo per i libri universalmente accettati (homologoumena).

Tra gli scritti contestati (antilegomena), ma riconosciuti dalla maggior parte, c’è la lettera attribuita a Giacomo, quella di Giuda, la seconda lettera di Pietro e le lettere dette seconda e terza di Giovanni, che sono dell’evangelista o di un altro che porta lo stesso nome.

Tra gli spuri (nothoi) vengono anche collocati il libro degli Atti di Paolo, l’opera intitolata Il Pastore, l’Apocalisse di Pietro e dopo questi la lettera attribuita a Barnaba, i cosiddetti Insegnamenti degli Apostoli (Didaché), poi, come s’è già detto, l’Apocalisse di Giovanni, se si vuole. Qualcuno, come ho già detto, la rifiuta, ma altri la uniscono ai libri universalmente accettati. Tra questi stessi libri alcuni hanno ancora collocato il Vangelo secondo gli Ebrei, che piace soprattutto a quegli Ebrei che hanno creduto a Cristo.

Pur stando così le cose per i libri contestati, tuttavia abbiamo giudicato necessario farne ugualmente la lista, separando i libri veri, autentici e accettati secondo la tradizione ecclesiastica, dagli altri che, a differenza di quelli, non sono testamentari (= vincolanti), e inoltre contestati, sebbene conosciuti, dalla maggior parte degli scrittori ecclesiastici; affinché possiamo distinguere questi stessi e quelli che, presso gli eretici, sono presentati sotto il nome degli apostoli, sia che si tratti dei vangeli di Pietro, di Tommaso e di Mattia o di altri ancora, o degli Atti di Andrea, di Giovanni o di altri apostoli. Assolutamente nessuno mai tra gli scrittori ecclesiastici ha ritenuto giusto di ritrovare i loro ricordi in una di queste opere. D’altra parte, il carattere del discorso si allontana dallo stile apostolico; il pensiero e la dottrina che essi contengono sono talmente lontani dalla vera ortodossia da poter chiaramente provare che questi libri sono delle costruzioni di eretici. Perciò non si debbono neppure collocare tra gli apocrifi, ma si debbono rigettare come del tutto assurdi ed empi»

 

Sulla base delle sue indicazioni, possiamo tracciare il seguente schema:

 

homologoumena

(lettura liturgica e privata)

amphiballòmena

(lettura privata ma non liturgica)

nothoi (spuri)

4 vangeli

Atti

13 lettere di Paolo (compresa la Lettera agli Ebrei)

I Pietro

I Giovanni

Apocalisse (?)

II Pietro

II-III Giovanni

Giacomo

Giuda

 

 

Il Pastore di Erma

Apocalisse di Pietro

Lettera di Barnaba

Didaché

Apocalisse di Giovanni (?)

Vangelo secondo gli Ebrei

 

 

Il primo elenco completo dei 27 libri del Nuovo Testamento si deve a Atanasio di Alessandria, il quale, nella lettera 39 del 367, stila un elenco dei libri canonici sia dell’Antico sia del Nuovo Testamento.  Egli distingue tra libri canonizzati (kanonizòmena), libri che si possono leggere (anaghinoskòmena) e libri apocrifi (apòkrypha).

Tra le fine del IV e l’inizio del V registriamo le prime decisioni conciliari sul canone biblico: si tratta dei concili di Ippona (393) e di Cartagine (397 e 419) cui prese parte Agostino. Gli atti del concilio di Ippona sono perduti, ma abbiamo il suo sommario che venne letto ed approvato a Cartagine (397):

 

Oltre alle Scritture canoniche nulla dev’essere letto sotto il nome di divine Scritture. E le scritture canoniche sono: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; Giosuè, Giudici, Ruth, i quattro dei Re, i due dei Paralipomeni, Giobbe, Salterio di David, cinque libri di Salomone [Proverbi, Ecclesiaste, Cantico dei Cantici, Sapienza, Ecclesiastico], i dodici Profeti [i minori: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia], Isaia, Geremia, Daniele, Ezechiele, Tobia, Giuditta, Ester, i due di Esdra [Neemia ed Esdra], i due dei Maccabei. Del Nuovo Testamento quattro libri di Evangeli, un libro di Atti degli Apostoli, tredici lettere di Paolo apostolo, una del medesimo agli Ebrei, due di Pietro, tre di Giovanni, una di Giacomo, una di Giuda, l’Apocalisse di Giovanni.

 

Per quanto riguarda la chiesa cattolica, il canone biblico viene dogmaticamente stabilito l’8 aprile 1546 dal decreto De canonicis Scripturis del Concilio di Trento, il quale non fa altro che riprendere l’elenco dei libri canonici contenuto nel Decretum pro Iacobitis del Concilio di Firenze (4 febbraio 1441).

Per quanto riguarda invece le chiese protestanti, c’è da registrare la posizione di Lutero, il quale propone di collocare le lettere agli Ebrei, di Giacomo, di Giuda e l’Apocalisse dopo gli altri libri ritenuti «i veri libri del Nuovo Testamento». Tuttavia, a partire dal XVII sec., anche le chiese protestanti accettano il canone tradizionale.

 

Una tabella riassuntiva sulle varie proposte di canone

 

 

Vangeli

e Atti

Lettere di Paolo

Lettere e Apocal.

Controversi

Narcione

Lc

Rm, 1-2Cor, Gal, Ef, Fil, Col, 1-2 Tess, Filem

 

 

Muratori

Mt, Mc,

Lc, Gv,

At

Cor, Gal, Rm, Ef, Fil, Col, Tess, Tt, 1-2Tim, Fm

 

 

Gd, 1-2Gv, Ap

 

 

Origene

Mt, Mc,

Lc, Gv,

At

Rm, 1-2Cor, Gal, Ef, Fil, Col, 1-2Tess, 1-2Tm, Tt, Fm

 

1Pt, 1Gv, Ap

 

 

2 Pt, 2 Gv, Eb, Gc, Gd

 

Esusebio

Mt, Mc,

Lc, Gv,

At

Rm, 1-2Cor, Gal, Ef, Fil, Col, 1-2Tess, 1-2Tm, Tt, Fm, Eb

 

1Pt, 1Gv, Ap

 

 

2Pt, 2-3Gv, Gc, Gd

 

 

Atanasio

Mt, Mc,

Lc, Gv,

At

Rm, 1-2Cor, Gal, Ef, Fil, Col, 1-2Tess, 1-2Tm, Tt, Fm, Eb

 

Gc, 1-2Pt, 1-3Gv, Gd, Ap

 

 

Lutero

Mt, Mc,

Lc, Gv,

At

Rm, 1-2Cor, Gal, Ef, Fil, Col, 1-2Tess, 1-2Tm, Tt, Fm

 

1-2Pt, 1-3Gv

 

 

Eb, Gc, Gd, Ap

 

 

Concilio Trento

Mt, Mc,

Lc, Gv,

At

Rm, 1-2Cor, Gal, Ef, Fil, Col, 1-2Tess, 1-2Tm, Tt, Fm, Eb

 

Gc, 1-2Pt, 1-3Gv, Gd, Ap

 

 

 

Per approfondire, cfr. Bruce M. Metzger, Il canone del Nuovo Testamento. Origine, sviluppo e significato, Paideia, Brescia 1997 e http://www.ntcanon.org/index.shtml.

 
Coordin.
00mercoledì 3 marzo 2010 22:28


Elenco dei Manoscritti Apocrifi del Nuovo Testamento


Codex Askewianus, alias Pistis Sophia
(data: V secolo). Redatto in lingua copta tebana o saidica. Si trova al
British Museum dal 1785.

Codex di Bruce
(data: IV o V secolo). Comprende il Libro del gran trattato secondo il
Mistero. Si trona nella Bibliothèque Bodlèienne. E' scritto in copto
tebano e fu scoperto nel 1769.

Codex Beroliniensis 8502
(data: V secolo). In copto tebano. Fu acquistato al Cairo nel 1896. Nel
1945 si trovava ancora a Berlino. Conteneva un Vangelo di Maria, il
Libro segreto di Giovanni, La Sophia di Gesù, gli Atti di Pietro.

Protovangelo di Giacomo.
Ricostruito dagli esegeti con l'aiuto di manoscritti ripartiti tra il V
ed il XV secolo. Manoscritti dispersi in numerose biblioteche.

Vangelo di Pietro
(data: VIII secolo). Redatto in greco. Scoperto nell'Alto Egitto nel
1887.

Apocalisse di Pietro
(data: VIII secolo). Redatto in greco. Scoperto nell'Alto Egitto nel
1887.

Vangelo dello pseudo-Matteo
(data: VI o VII secolo). Non è che un rimaneggiamento del Protovangelo
di Giacomo.

Racconti dell'Infanzia del Signore
detto anche Pseudo-Tommaso (data: V secolo). Ha dato origine al Libro
armeno dell'Infanzia, del VI secolo, ed al Vangelo arabo dell'Infanzia,
del VIII secolo.

Vangelo di Nicodemo
detto anche Atti di Pilato (data: IV secolo). In varie versioni copte e
sirine.

Vangelo di Gamaliel
(data: secondo i manoscritti, almeno del VII secolo). Scritto in lingua
copta e etiopica.

Testamento di Galilea, del N.S.J.C.
(data: secondo i manoscritti, dell'VIII secolo). Versioni in copto e in
etiopico.

I Miracoli di Gesù
(data: secondo i manoscritti, almeno dell'IX secolo). Redattto in
etiopico.

Vangelo dei Dodici Apostoli
(date: diverse, secondo i manoscritti). E' citato in quelli di Rufino (V
secolo), traduttore di Origene, come uno dei più antichi vangeli
apocrifi.

Vangelo di Bartolomeo
(data: V secolo). Non ne restano che dei frammenti, redatti in copto.

Atti di Giovanni
(data: IV secolo). Redatto in greco. Non ne rimangono che i due terzi.

Atti di Pietro
(data: V secolo). Redatto in greco. Non se ne possiede che la fine.
L'inizio ci è noto per un frammento copto, e gli Atti, detti di
Vercelli, in latino.

Atti di Paolo
detti anche Atti di Paolo e di Tecla
(data: VI secolo nelle loro versioni sirina, slava e araba). Esiste una
pergamena del V secolo con frammenti della versione greca.

Atti di Andrea
(data: VI secolo). Redatto in latino. Esistono frammenti manoscritti in
greco.

Atti di Tommaso
(data: VI secolo per la versione latina). Esistono delle versioni greche
e sirine anteriori, probabilmente del V secolo.

Apocalisse di Paolo
(data: V secolo). Redatta in greco. Ne esiste una versione posteriore,
in latino.


Omelie Clementine
(data: V secolo). Redatte in greco. Il testo greco delle Omelie ci è
stato conservato, ma quello delle Riconoscenze (la sua seconda parte) è
andato perduto. Non se ne possiede che la versione latina di Rufino.

Tutti i manoscritti trovati nel 1945 a Nag - Hammadi

Gli atti di Pietro e dei dodici apostolo
Allogeni
Apocalisse di Adamo
Prima apocalisse di Giacomo
Seconda apocalisse di Giacomo
Apocalisse di Paolo
Apocalisse di Pietro

Apocrifo di Giacomo:

Apocrifo di Giovanni*
Asclepio 21-29
L'insegnamento autorevole
Il libro di Tommaso il contendente
Il concetto del grande potere
Il dialogo del Signore
Il discorso dell'otto e del nove
Eugnostos il Santo*
Esegesi dell'anima
Il Vangelo degli Egiziani*
Il Vangelo di Filippo
Il Vangelo di Tommaso:

Il Vangelo di Verità:*
Ipostasia degli arconti
Hypsiphrone
L'interpretazione della conoscenza
La lettera di Pietro a Filippo
Marsanes
Melchizedek
Sulla unzione
Sul battesimo parte A

Sul battesimo parte B
Sull'eucarestia parte A
Sulleucarestia parte B
L'origine del mondo*
La parasfrasi di Shem
Platone: La Republica 588A-589B
La preghiera dell'apostolo Paolo
La preghiera di Ringraziamento
Il secondo trattato del Grande Seth
Le sentenze di Sesto
La Sophia di gesù cristo
L'insegnamento di Silvano
La testimonianza di Verità
L'insegnamento di Norea
Le tre steli di Seth
Il Tuono , perfetta mente
Il trattato della resurrezione
Protennoia trimorfica
Il trattato tripartito
Una esposizione Valentiniana
Zostrianos

Coordin.
00mercoledì 18 maggio 2011 12:45
Libri canonici e libri apocrifi. Criteri di canonicità.

8. 12. Quanto a noi, riportiamo la considerazione a quel terzo gradino del quale avevamo stabilito di approfondire ed esporre ciò che il Signore si fosse degnato di suggerirci. Pertanto sarà diligentissimo investigatore delle divine Scritture colui che, prima di tutto, le legge per intero e ne acquista la conoscenza e, sebbene non le sappia penetrare con l'intelligenza, le conosce attraverso la lettura. Mi riferisco esclusivamente alle Scritture cosiddette canoniche, poiché, riguardo alle altre le legge con tranquillità d'animo chi è ben radicato nella fede cristiana, per cui non succede che gli disturbino l'animo debole e, illudendolo con pericolose menzogne e fantasticherie, gli distorcano il giudizio in senso contrario alla retta comprensione. Nelle Scritture canoniche segua l'autorità della maggior parte delle Chiese cattoliche, tra le quali naturalmente sono comprese quelle che ebbero l'onore di essere sede di un qualche apostolo o di ricevere qualche sua lettera. Riguardo pertanto alle Scritture canoniche si comporterà così:

quelle che sono accettate da tutte le Chiese cattoliche le preferirà a quelle che da alcune non sono accettate; in quelle che non sono accettate da tutte preferirà quelle che accettano le Chiese più numerose e autorevoli a quelle che accettano le Chiese di numero inferiore e di minore autorità. Se poi succedesse che alcune sono ritenute autentiche da più Chiese mentre altre da Chiese più autorevoli, sebbene questo caso non si possa risolvere con facilità, io riterrei che le si debba considerare tutte di pari autorità.

Canone biblico accettato da Agostino.

8. 13. Il canone completo delle Scritture, al quale diciamo di voler rivolgere la nostra considerazione, si compone dei seguenti libri: i cinque libri di Mosè, cioè Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio, e poi il libro di Gesù figlio di Nave, un libro dei Giudici, un libretto chiamato di Rut, che peraltro sembra appartenere ai Libri dei Regni, come loro principio. Vengono poi i quattro Libri dei Regni e i due dei Paralipomeni, che non vengono dopo di essi ma sono a loro congiunti e procedono gli uni a fianco degli altri simultaneamente. Sono libri di storia, che contengono indicazioni temporali collegate fra loro e insieme la successione ordinata dei fatti. Ci sono poi narrazioni storiche poste, per così dire, in ordine differente, narrazioni che non rispettano né l'ordine storico né si collegano le une con le altre. Così è Giobbe, Tobia, Ester, Giuditta, e i due Libri dei Maccabei e di Esdra, i quali piuttosto sembrerebbero proseguire quella storia ordinata che si protraeva fino ai Libri dei Regni e dei Paralipomeni. Successivamente vengono i Profeti, tra i quali un libro di Davide, i Salmi, e tre di Salomone: i Proverbi, il Cantico dei Cantici e l'Ecclesiaste. Difatti gli altri due libri, intitolati l'uno la Sapienza e l'altro l'Ecclesiastico, per una certa somiglianza vengono detti di Salomone. È in effetti tradizione quanto mai costante che li abbia scritti Gesù figlio di Sirach (Cf. Retract. 2, 4, 2.); tuttavia, siccome sono stati accolti fra i Libri aventi autorità, li si deve annoverare al gruppo dei profetici. Restano i Libri di coloro che propriamente si chiamano Profeti: un libro per ciascuno di coloro che si chiamano i dodici Profeti, i quali, collegati fra loro (mai infatti hanno avuto esistenza separata), costituiscono un unico libro. I nomi di questi Profeti sono i seguenti: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia. Poi ci sono i Profeti autori di libri più grandi: Isaia, Geremia, Daniele, Ezechiele. Con questi quarantaquattro libri si chiude l'autorità canonica del Vecchio Testamento (Cf. Retract. 2, 4, 2.).

Compongono il Nuovo Testamento i quattro libri del Vangelo: secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni; le quattordici Lettere dell'apostolo Paolo: ai Romani, due ai Corinzi, una ai Galati, agli Efesini e ai Filippesi, due ai Tessalonicesi, una ai Colossesi, due a Timoteo, una a Tito, a Filemone, e agli Ebrei; due lettere di Pietro, tre di Giovanni, una di Giuda, una di Giacomo; e finalmente il libro degli Atti degli Apostoli e quello dell'Apocalisse di Giovanni.

Fra le versioni preferibile l'Itala e, soprattutto, quella dei Settanta.

15. 22. Fra le diverse traduzioni alle altre si preferisca l'Itala, che è più aderente alle parole e più chiara nel pensiero. Per emendare poi qualsiasi codice latino si ricorra ai testi greci, tra i quali, per quel che riguarda il Vecchio Testamento, tutti li supera in autorità la versione dei Settanta (Cf. De civ. Dei 18, 43.). A proposito di questi traduttori, presso tutte le Chiese più competenti si dice che abbiano tradotto in virtù di tale e tanta presenza dello Spirito Santo che una sia stata la voce di quegli uomini, pur essendo così numerosi. Si dice anche - e sono molti e non immeritevoli di fiducia quelli che lo affermano - che abbiano tradotto separati, ciascuno nella sua propria cella; eppure nel codice di nessuno di loro si trovò cosa che non si trovasse negli altri, espressa con le stesse parole e la stessa successione [di parole]. Chi oserebbe, non dico preferire, ma anche paragonare qualche altra versione ad una così autorevole? Se poi lavorarono insieme, di modo che una sia stata la voce di tutti a motivo dell'investigazione e del parere comune, nemmeno in tal caso è necessario o conveniente che un sol traduttore, esperto quanto si voglia, pretenda di emendare ciò che d'accordo hanno detto tanti antichi e dotti personaggi. Per la qual cosa, anche se nei codici ebraici si trovasse qualcosa di diverso da quello che hanno detto costoro, credo che bisogni arrendersi al piano divino che si è realizzato per loro mezzo. In tal modo quei libri che il popolo giudaico o per attaccamento religioso o per invidia si rifiutava di far conoscere agli altri popoli, tramite il potere del re Tolomeo furono comunicati con molto anticipo alle genti che per grazia del Signore avrebbero creduto. Può darsi quindi che quegli scrittori abbiano tradotto come credette fosse opportuno dire alle genti lo Spirito Santo che li muoveva all'azione e che aveva donato a tutti un'identica loquela. Ma, come ho detto sopra, non è mai inutile il confronto con gli autori che come questi rimasero più aderenti alle parole per spiegare, in diverse occasioni, il senso della frase. In conclusione, i codici latini del Vecchio Testamento, come avevo cominciato a dire, se è necessario, occorre revisionarli sull'autorità dei codici greci, in particolare dei codici di quegli uomini che, essendo Settanta, a quanto ci è stato tramandato, hanno tradotto come ad una sola voce. Quanto ai libri del Nuovo Testamento, se qualcosa è incerto nella varietà dei testi latini, non c'è dubbio che questi debbono cedere ai greci, soprattutto quelli in uso presso le Chiese meglio istruite e più accurate.

Coordin.
00mercoledì 18 maggio 2011 12:47

28. 42. Quanto ci insegna quella scienza chiamata storia nei riguardi degli eventi passati e la loro successione giova moltissimo alla comprensione dei libri santi, anche se è scienza che si impara fuori della Chiesa nella istruzione ricevuta da giovani. In base alle Olimpiadi e ai nomi dei consoli noi infatti indaghiamo spesso su molti eventi, e la mancata conoscenza del consolato nel quale il Signore nacque e di quello in cui morì portò alcuni all'errore di credere che il Signore morì all'età di quarantasei anni. In realtà dissero i Giudei che nello spazio di questi anni era stato costruito il tempio (Cf. Gv 2, 20.), che figuratamente rappresentava il corpo del Signore. Che il Signore sia stato battezzato all'età di circa trent'anni noi lo riteniamo un dato certo per l'autorità del Vangelo (Cf. Lc 3, 23.), ma quanti anni sia rimasto in questa vita dopo il battesimo lo possiamo, è vero, intendere dal succedersi delle azioni compiute da lui, tuttavia per dissipare ogni ombra di dubbio, da qualunque parte derivi, si desume con assoluta certezza dalla storia profana comparata col Vangelo. Così infatti si vede che non fu detto invano che il tempio fu costruito in quarantasei anni, e, se questo numero non può riferirsi all'età del Signore, lo si riferisce alla conformazione più intima del corpo umano, di cui non esitò a rivestirsi per amore nostro l'unico Figlio di Dio, ad opera del quale furono fatte tutte le cose (Cf. Gv 1, 3.).

Con la conoscenza della storia si risolvono molte questioni bibliche.

28. 43. Nei riguardi della storia, omettendo i Greci, ricorderò il nostro Ambrogio e come egli risolse quella grande questione che, in atteggiamento di critici spietati, ponevano i lettori e gli ammiratori di Platone. Costoro osavano dire che tutte le massime di nostro Signore Gesù Cristo, che essi si sentivano costretti ad ammirare ed elogiare, egli le avesse apprese dai libri di Platone, poiché è innegabile che Platone è esistito molto tempo prima della venuta del Signore. Il soprannominato vescovo, considerando la storia profana scoperse che Platone si recò in Egitto al tempo di Geremia. Essendo questo Profeta anche egli in Egitto, è più probabile - dimostra Ambrogio - che Platone attraverso Geremia abbia attinto alla nostra letteratura, per poter insegnare e scrivere le cose che in lui si elogiano. In realtà prima della letteratura del popolo ebraico, in cui si segnala il culto per l'unico Dio - di quel popolo, dico, dal quale secondo la carne è venuto il nostro Signore (Cf. Rm 9, 5.) -, non visse nemmeno Pitagora, dai successori del quale - dicono costoro - Platone apprese la teologia. Pertanto, considerati i tempi, diviene molto più attendibile l'opinione che costoro abbiano attinto dalla nostra letteratura tutte le cose buone e vere che hanno detto, anziché il Signore Gesù Cristo abbia attinto dagli scritti di Platone. Credere una tal cosa sarebbe il colmo della pazzia.

(apro un inciso: Agostino tenta di dimostrare quanto sia utile LA RICERCA STORICA.....proprio per rendere ancora più veri i Testi Sacri...)

Altro è la storia, altro le fantasticherie di certi pagani.

28. 44. Per quanto con il racconto storico si narrino anche le istituzioni concernenti il passato degli uomini, non per questo la storia in se stessa deve annoverarsi fra le stesse istituzioni umane. Infatti le cose passate, che non possono diventare irrealizzate, sono da ascriversi nell'ordine dei tempi, dei quali creatore e padrone è Dio. E poi, una cosa è raccontare i fatti, un'altra è l'insegnare il da farsi. Ora la storia narra fedelmente e utilmente i fatti, al contrario dei libri degli aruspici e di ogni altra letteratura di questo genere, che insegnano il da farsi o il da osservarsi in base all'audacia del parlatore e non in base alla fedeltà di un testimone.

Coordin.
00mercoledì 18 maggio 2011 12:49
Utilità dei sussidi biblici: lavoro da incrementarsi.

39. 59. Alcuni si sono dati da fare per tradurre separatamente tutti i verbi e i nomi ebraici, siriani, egiziani o scritti in qualsiasi altra lingua usata nelle sante Scritture, qualora questi verbi e nomi si trovino senza traduzione. Ciò fece Eusebio nei riguardi della cronologia storica, a motivo di certe questioni dei Libri divini che ne richiedevano l'apporto. Gli altri lo fecero nei riguardi delle altre materie consimili, per liberare il cristiano dalla necessità di sostenere molti lavori a motivo di poche cose. Allo stesso modo ritengo che compia un'opera veramente caritatevole e vantaggiosa ai fratelli colui che con gioia si dedica ad elencare in scritto, facendone la sola spiegazione e descrivendo le cose in forma generica, tutte le località geografiche, gli animali, le erbe, le piante, le pietre e i metalli sconosciuti e tutti gli oggetti di vario genere di cui la Scrittura fa menzione. Lo stesso può farsi anche nei riguardi dei numeri, limitando il computo ai soli numeri ricordati nella divina Scrittura. In questo campo alcune ricerche, o forse tutte, sono già state eseguite; difatti abbiamo trovato molte nozioni elaborate e messe in iscritto da cristiani buoni e dotti, come non avremmo mai pensato. Sono lavori che giacciono nell'oscurità per la negligenza di molti o perché certi invidiosi li hanno occultati. Non so se la stessa cosa possa farsi sul sistema di discutere; credo anzi che la cosa sia impossibile perché la discussione è collegata a guisa di nervatura lungo tutto intero il testo scritturale. Questo lavoro aiuta i lettori più a risolvere e spiegare le ambiguità che non a conoscere i segni ignoti di cui ora ci occupiamo.

(...)

Autori cristiani ben forniti di cultura classica.

40. 61. In realtà, cos'altro fecero molti nostri buoni fedeli? Non ci accorgiamo forse come fosse sovraccarico di oro, di argento e di vesti quando usciva dall'Egitto Cipriano, dottore incantevole e martire beatissimo? Come lo fosse Lattanzio e come lo fossero Vittorino, Ottato, Ilario, per tacere dei vivi? Come lo fossero innumerevoli padri greci? Una tal cosa fece per primo lo stesso Mosè, servo fedelissimo di Dio, del quale sta scritto che era istruito in ogni sorta di sapienza degli Egiziani (Cf. At 7, 22.). A tutti questi uomini la cultura superstiziosa dei gentili - specie in quei tempi in cui, respingendo il giogo di Cristo, perseguitava i cristiani - mai avrebbe fornito scienze ritenute utili se avesse sospettato che esse si sarebbero cambiate fino a rendere culto all'unico Dio, dal quale sarebbe stato abbattuto il culto vano degli idoli. Se quindi diedero oro, argento e vesti al popolo di Dio che usciva dall'Egitto, lo fecero perché ignoravano come le cose che davano sarebbero tornate a onore di Cristo. Quanto infatti accadde nell'Esodo senza dubbio aveva valore simbolico per raffigurare quest'altro fatto: cosa che mi permetto di asserire senza pregiudicare altri significati di identico o più alto valore.

Accostarsi alla Scrittura ricchi di scienza e carità. Proprietà dell'issopo.

41. 62. Quando lo studioso di sacra Scrittura, equipaggiato in questa maniera, comincerà ad avvicinarsi ad essa per indagarne il senso, non cessi di pensare a quell'ammonimento dell'Apostolo: La scienza gonfia, la carità costruisce (1 Cor 8, 1.). Così infatti si persuaderà che, sebbene esca ricco dall'Egitto, non potrà essere salvo se non avrà celebrato la Pasqua. Ora la nostra Pasqua è Cristo che si è immolato (Cf. 1 Cor 5, 7.), e l'immolazione di Cristo nient'altro ci insegna più insistentemente di ciò che lui stesso grida - come a gente che vede soffrire in Egitto sotto il Faraone -: Venite a me, voi tutti che soffrite e siete gravati da pesi e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete riposo per le vostre anime. Infatti il mio giogo è soave e il mio peso leggero (Mt 11, 28-30.). A chi dice queste cose se non ai miti e agli umili di cuore, che non sono gonfiati dalla scienza ma costruiti dalla carità?. Ricordino dunque quelli che nei tempi antichi celebrarono la Pasqua attraverso ombre e figure: quando si ingiungeva loro di segnalare gli stipiti bagnandoli col sangue dell'agnello, essi li bagnarono mediante l'issopo (Cf. Es 12, 22.), un'erba tenera ed umile che però ha le radici più forti e penetranti di ogni altra pianta. Così è di noi. Radicati e fondati nella carità dobbiamo saper comprendere, insieme a tutti i santi, quale sia la larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità (Ef 3, 18.), cioè la croce del Signore. Di questa croce la larghezza sta nel legno trasversale su cui si stendono le braccia; la lunghezza, da terra fino al legno orizzontale, e su di essa sta confitto il resto del corpo dalle braccia in giù; l'altezza, dal legno orizzontale sino alla sommità, dove poggia il capo; la profondità, ciò che, conficcato per terra, rimane nascosto. Con questo segno della croce si descrive tutto l'agire del cristiano: compiere in Cristo opere buone, a lui aderire con perseveranza, sperare le cose celesti, non profanare i sacramenti. Purificati da questi impegni di vita rinnovata, noi saremo in grado di conoscere la carità di Cristo che supera ogni scienza umana (Ef 3, 19.) e per la quale egli è uguale al Padre - lui per opera del quale furono fatte tutte le cose (Cf. Gv 1, 3.) - sicché siamo ripieni di ogni pienezza di Dio. Nell'issopo c'è anche una virtù purificante, per cui non succederà che, gonfiandoci la scienza per le ricchezze tolte agli Egiziani, il nostro polmone tumefatto aspiri a cose superbe. Dice: Mi aspergerai con issopo e sarò purificato, mi laverai e sarò più bianco della neve. Mi farai ascoltare gioia e letizia (Sal 50, 9-10.). Poi aggiunge come logica conseguenza, per dimostrare che con l'issopo si rappresenta la purificazione dall'orgoglio: Ed esulteranno le ossa che hai umiliato (Sal 50, 10.).

Credente
00venerdì 24 giugno 2011 12:34

Quanto ai testi dell'Antico Testamento, tendenzialmente gli autori cristiani dei primi secoli non ebbero dubbi nell'accettare come ispirati da Dio e normativi per la Chiesa i testi considerati canonici dalla tradizione ebraica, cioè i 39 (24 nel computo ebraico) libri della Tanakh. Qualche dubbio iniziale poi superato vi fu per Ester, similmente a quanto accadeva nella tradizione ebraica. Secondo una dicitura successiva usata nella tradizione cattolica questi testi sono indicati come 'protocanonici' (cioè facenti parte del 'primo canone'), e per questa lista si usa la dicitura 'canone breve' o 'canone palestinese'. La certezza sui 39 libri si ritrova nelle moderne confessioni cristiane che li accettano tutti come ispirati.

I dubbi della tradizione cristiana, che hanno portato a definire canoni dell'AT diversificati a seconda delle varie confessioni contemporanee, riguardano altri libri non presenti nella Tanakh ebraica ma contenuti in altre Bibbie cristiane. In particolare si notano dubbi tra gli autori cristiani circa alcuni libri detti nella tradizione cattolica 'deuterocanonici', contenuti nella Bibbia greca detta Settanta, e per questa lista si usa la dicitura 'canone lungo' o 'canone alessandrino' (la Settanta è stata realizzata ed era in uso nella città di Alessandria d'Egitto). Tra i deuterocanonici è difficile dare una valutazione su come fossero considerati il libro di Baruc e la Lettera di Geremia, che talvolta erano accorpati col libro di Geremia.

Inoltre alcuni testi sono propri della Bibbia siriaca detta Peshitta e della Bibbia etiope, accolti rispettivamente nei canoni siriaci e copto ma considerati apocrifi dalle altre confessioni. Ad esempio il libro di Enoch, citato esplicitamente nella neotestamentaria lettera di Giuda in Gd14-15, fu accolto solo dalla chiesa copta.

 

Canonicità e uso dei testi dell'Antico Testamento
Autore Tanakh Deuterocanonici Altri testi
Letteratura sub-apostolica
fine I - inizio II secolo
no Bar, 1Mac -
Marcione (eretico)
circa 110-160
no no no
Giustino
circa 100-168
sì? (canone della Chiesa diverso da quello ebraico) Enoch[7]
Melitone di Sardi[8]
m. 180
sì;
no Ester
solo Sap -
Atenagora di Atene
circa 133-190
Enoch[9]
Ireneo di Lione
circa 130-202
Enoch[10]
Tertulliano
circa 150-220
no Tb, Gd, aggiunte Ester Enoch[11]
Ippolito
170 circa - 235
Sap, Bar, 1-2Mac, Susanna Enoch[12]
Origene
185-254
no;
solo Tb, Gdt, Dan [13];
[14]
Enoch[15]
Cipriano
199-258
no Tb, Gd, aggiunte Ester -
Codex Vaticanus
IV secolo
no 1Mac; 2Mac -
Codex Sinaiticus
IV secolo
Tb, Gdt, 1Mac 4 Maccabei
Eusebio di Cesarea
275 circa - 339
antilegomena (disputati) ma autorevoli -
Concilio provinciale di Laodicea
(canone 60)[16]
363-364
Bar, Lettera di Geremia -
Ilario di Poitiers
315 circa - 367
autorevoli -
Atanasio[17]
295 circa - 373
autorevole Est;
Bar e Let Ger inclusi in Ger
autorevoli Sap, Sir, Gdt, Tb -
Decreto di Damaso, papa[18]
o De explanatione fidei
382
-
Priscilliano, eretico[19]
m. 385
-
Cirillo di Gerusalemme
315 circa - 386
no vietata anche lettura privata -
Sinodo di Ippona
(canone 36)
8 ottobre 393
-
3° sinodo di Cartagine
(canone 47)[20]
28 agosto 397
-
Codex Alexandrinus
V secolo
3 Maccabei; 4 Maccabei; Odi
Peshitta
V secolo
no Tb Apocalisse di Baruc, Salmo 151, Salmi 152-155
Epifanio di Salamina
315 circa - 403
autorevoli -
Innocenzo I, papa[21]
20 febbraio 405
-
Rufino
345-411
autorevoli -
Girolamo
347-420
apocrifi[22];
autorevoli
-
Agostino[23]
354-430
-
Decreto di Gelasio, papa
o De libris recipiendis et non recipiendis[24]
?492-496
-
Codex Claromontanus [4]
VI secolo
no Bar (forse accorpato con Ger) 4 Maccabei
Lista dei 60 libri
VII secolo
no Ester no (non cita Bar e Let Ger, forse accorpati con Ger) elenca 25 apocrifi (27 con 3-4 Mac)
Niceforo[25]
758 circa - 828
no no 12 apocrifi
Fozio di Costantinopoli[26]
820 circa - 898
-
Concilio di Firenze[27]
4 febbraio 1442
-
Concilio di Trento[28]
8 aprile 1546
-

Complessivamente, fino al concilio di Trento nel XVI secolo all'interno della chiesa latina prevalse direttamente o indirettamente la posizione dell'autorevolissimo Girolamo: i deuterocanonici erano usati e citati anche se non erano considerati propriamente alla stregua dei protocanonici (cioè i testi contenuti nella Tanakh), nonostante alcune esplicite direttive pontificie equiparassero protocanonici e deuterocanoni (Decreto di Damaso, Decreto di Gelasio).

Similmente anche le chiese orientali di cultura greca accoglievano i deuterocanonici, in particolare sulla scia della decisione del 3° sinodo di Cartagine.

Credente
00venerdì 24 giugno 2011 12:37

Per i quattro vangeli definiti oggi canonici (Matteo, Marco, Luca, Giovanni) la Chiesa non mostrò sostanzialmente dubbi nell'attribuire ad essi carattere ispirato e a permetterne l'uso nella liturgia. Similmente non mostrò dubbi nel rigettare come non ispirati gli altri vangeli detti oggi apocrifi.

Per gli altri scritti del NT invece il processo di formazione del canone si conclude definitivamente nel IV secolo. La consapevolezza della necessità di definire un canone dei libri biblici crebbe nelle Chiesa parallelamente al comparire di testi apocrifi, prodotti e usati prevalentemente in ambienti eretici (soprattutto gnostici). I testi per i quali vi furono dubbi sono chiamati antilegomena, cioè disputati.

La presente tabella riassume schematicamente in maniera semplificata la condiderazione dei vari testi neotestamentari all'interno di vari testimoni: principali autori cristiani, gruppi eretici, manoscritti biblici, direttive ecclesiastiche ufficiali (sinodi, concili e papi).[29] I casi possono essere:

  • sì: lo scritto è citato in maniera implicita o esplicita o dichiarato esplicitamente ispirato o canonico;
  • no: lo scritto è dichiarato ufficialmente come da rigettare o non canonico o apocrifo;
  • dubbi e antilegomena (lett. contraddetto): lo scritto è dichiarato esplicitamente come di dubbia canonicità; in alcuni casi lo scritto è rigettato dall'autore in un'opera ma anche citato autorevolmente in un'altra;
  • -: il testimone non cita lo scritto.
Canonicità e uso dei testi del Nuovo Testamento
Autore Vangeli e Atti Lettere paoline Altre lettere Apocalisse Letteratura sub-apostolica e altri
Ignazio di Antiochia
m. circa 110
sì Mt, Lc, At sì 1Cor, Ef, Col, 1Ts - - -
Policarpo di Smirne
circa 70-155
sì;
tace Gv
sì;
tace Col, Tt, Fil
sì Eb, 1Pt, 1Gv, 3Gv;
tace 2Pt, 2Gv, Gd
- -
Nazarei
circa II-III secolo
- no[30] - - Vangelo dei Nazarei
Ebioniti
circa II-III secolo
- no[31] - - Vangelo degli Ebioniti
Alogi
circa II-III secolo
no Gv - - - -
Gnostici
circa II-IV secolo
Accolti, rigettati, rielaborati variamente a seconda dei vari autori o gruppi gnostici molti vangeli e altri scritti apocrifi
Marcione
circa 110-160
solo Lc (rielaborato) no 1-2 Tm, Tt;
rielabora le altre 10
no no Lettera ai Laodicesi (perduta o da identificarsi con Ef)
Giustino di Nablus
circa 100-168
- - -
Canone muratoriano
circa 170
[32] tace Eb, 1-2 Pt, Gc, 3Gv autorevoli: Pastore di Erma, Apocalisse di Pietro;[33]
no: Lettera ai Laodicesi, Lettera agli Alessandrini, Vangelo di Basilide
Taziano
m. circa 185
Vangeli rielaborati nel Diatesseron;
no Atti
no[34] - - -
Ireneo di Lione
circa 130-202
sì;
tace Fil
sì;
tace 2Pt, 3Gv, Gd
1 Clemente, Pastore di Erma
no Vangelo della Verità
Clemente di Alessandria
circa 150-215
sì;
tace Fil
sì;
tace Gc, 2Pt, 2-3Gv
Vangelo degli Egiziani, Vangelo degli Ebrei, Tradizioni di Mattia, Predicazione di Pietro, 1 Clemente, Didachè, Lettera di Barnaba, Pastore di Erma, Apocalisse di Pietro
Tertulliano
circa 150-220
sì;
tace Gc, 2Pt, 2-3 Gv
no Atti di Paolo;
dubbi Pastore di Erma
Origene
185-254
sì;
dubbi 2Pt, 2-3 Gv
Vangelo di Pietro, Vangelo degli Ebrei, Atti di Paolo, 1 Clemente, Lettera di Barnaba, Didachè, Pastore di Erma;
no Vangelo di Tommaso, Vangelo dei Dodici, Vangelo di Basilide, Vangelo degli Egiziani, Vangelo di Mattia, Predicazione di Pietro
Codex Sinaiticus
IV secolo
Lettera di Barnaba; Pastore di Erma
Codex Vaticanus
IV secolo
-
Canone Cheltenham
IV secolo
no Eb, Gd, Gc -
Eusebio di Cesarea[35]
275 circa - 339
sì: 1 Pt, 1 Gv;
antilegomena: Gc, Gd, 2Pt, 2-3 Gv, Eb
antilegomena antilegomena: Atti di Paolo, Pastore di Erma, Apocalisse di Pietro, Lettera di Barnaba, Didachè, Vangelo degli Ebrei, 1-2 Clemente;
no: Vangelo di Pietro, Vangelo di Tommaso, Vangelo di Mattia, Atti di Andrea, Atti di Giovanni
Concilio provinciale di Laodicea
(canone 60)[36]
363-364
no -
Atanasio[37]
295 circa - 373
autorevoli: Didachè, Pastore di Erma
Costituzioni apostoliche
(canone 85)
circa 380
no 1-2 Clemente
Decreto di Damaso, papa[38]
o De explanatione fidei
382
-
Gregorio di Nazianzo
329-389
autorevole -
Sinodo di Ippona
(canone 36)
8 ottobre 393
-
Anfiloco di Iconio
m. 395
dubbi 1-2Pt, 1-2-3 Gv dubbi -
3° sinodo di Cartagine
(canone 47)[39]
28 agosto 397
-
Didimo il Cieco
313-398
sì;
tace Fil
sì;
tace 2-3 Gv
1 Clemente, Lettera di Barnaba, Didachè, Pastore di Erma
Vulgata
fine IV - inizio V secolo
in molti manoscritti Lettera ai Laodicesi
Codex Alexandrinus
V secolo
1 Clemente; 2 Clemente
Peshitta[40]
V secolo
no 2-3 Gv, 2Pt, Gd[41] no -
Innocenzo I, papa[42]
20 febbraio 405
condannati altri scritti di Mattia o Giacomo il minore, Pietro, Giovanni, Leucio, Andrea, Tommaso
Decreto di Gelasio, papa
o De libris recipiendis et non recipiendis[43]
?492-496
cita i titoli di 62 opere giudicate apocrife e 36 autori giudicati eretici o sismatici
Codex Claromontanus [5]
VI secolo
no Fil, 1-2 Tes[44] no Eb[45] Terza lettera ai Corinzi, Atti di Paolo, Apocalisse di Pietro, Lettera di Barnaba, Pastore di Erma
Codex Fuldensis
541-546
sì (Diatesseron) Lettera ai Laodicesi
Lista dei 60 libri
VII secolo
no -
Concilio di Trullo, ortodosso
692
no -
Giovanni Damasceno
circa 654 - 749
Didachè, Costituzioni apostoliche
Niceforo[46]
758 circa - 828
antilegomena antilegomena: Apocalisse di Pietro, Lettera di Barnaba, Vangelo degli Ebrei;
apocrifi: 6 opere e 4 autori
Concilio di Firenze[47]
4 febbraio 1442
-
Concilio di Trento[48]
8 aprile 1546
-

In definitiva all'interno della Chiesa vi sono stati inizialmente notevoli dubbi sull'accettazione di 7 testi del NT non evangelici (Eb, Gc, Gd, 2-3 Gv, Ap), chiamati da Sisto da Siena nel 1566 deuterocanonici (=del secondo canone, cioè entrati nel canone in un secondo momento).

La più antica lista corrispondente al canone attuale si trova per la prima volta in una lettera di Atanasio di Alessandria del 367, conforme al successivo decreto di papa Damaso del 382. Questo canone ha prevalso fino ad oggi tramite la mediazione della Vulgata, la traduzione della Bibbia in latino realizzata da san Girolamo dietro commissione di papa Damaso.

Sebbene non dichiarati esplicitamente, i criteri usati dalla Chiesa cristiana antica per considerare un testo canonico nell'ambito del Nuovo Testamento sono stati:

  • Paternità apostolica: attribuibile all'insegnamento o alla diretta scrittura degli apostoli o dei loro più stretti collaboratori. Questo criterio ha favorito l'esclusione dal canone neotestamentario della autorevole letteratura sub-apostolica;
  • Ortodossia: testi che rispettino le verità dogmatiche di fede (Unità e Trinità di Dio, Gesù Cristo vero Dio e vero uomo...). Questo criterio ha favorito l'esclusione delle opere eretiche, seppure pseudoepigrafe;
  • Uso liturgico: testi letti pubblicamente nei riti liturgici delle prime comunità cristiane.


Credente
00venerdì 24 giugno 2011 12:42
Credente
00giovedì 16 agosto 2012 18:39
La questione del CANONE nell'ambito della cosiddetta "Riforma" di Lutero

Il problema dei “criteri di canonicità” si pose espressamente all’epoca della Riforma, quando i riformatori sostituirono ai criteri esterni, legati all’autorità della Chiesa Magisteriale e della Tradizione, dei criteri interni che a loro parere avrebbero dovuto imporsi ad ogni credente e alla stessa Chiesa.

Lutero si appellava alla testimonianza resa dalla Scrittura a Cristo distinguendo così diversi gradi di autorità nei libri sacri, fino a squalificarne alcuni del tutto.

Calvino invece, parlava di una sovrana decisione di Dio che ha causato un consenso pubblico nella Chiesa primitiva circa i libri sacri.

Le successive confessioni riformate accentuarono ancora di più l’azione garante dello Spirito Santo nel soggetto.

Però a partire dal XIX secolo d. C. si ritornò a dare peso ai criteri oggettivi; i vari: T. Zahn, A. Von Harnack, K. Barth, O. Culmann, M. Lods, non fanno altro che riconsiderare la Chiesa visto che non considerarla sarebbe affrontare superficialmente e aprioristicamente il criterio della canonicità.

E’, in ultima istanza, la concezione della Chiesa che divide i cattolici e i protestanti, molto più di quanto non li divida il problema del canone. Anzi, è proprio la nozione della Chiesa nelle varie confessioni riformate, per noi insufficiente e incompleta, che rende loro problematica a tutt’oggi la questione del canone, tanto da poterla (o doverla!) ritenere una questione ancora aperta, nei termini di “un Canone nel Canone”. (vd cap. 14)

Vediamo ora di chiarire l’affermazione del Concilio Vaticano II in D.V. 8.

Nei manuali di teologia, prima del Vaticano II, Sacra Scrittura e Tradizione erano presentate come 2 forme materialmente distinte della Rivelazione, e la Tradizione costituiva fonte più ampia: alcune verità rivelate a cominciare dalla Verità del Canone di libri ispirati, sarebbero contenute nella Tradizione e non nella Scrittura.

Se invece leggiamo la D.V. 9 vediamo che il Concilio ha parlato della Sacra Scrittura e della Sacra Tradizione come due modi diversi, ma anche tra loro congiunti e comunicanti, di trasmettere l’unico e medesimo oggetto che la Divina Rivelazione; in altri termini, non ha parlato di due fonti materialmente distinte come facevano alcuni teologi. Anzi, le dimensioni e gli altri atti del Concilio dimostrano che i Padri conciliari non hanno voluto dirimere la questione della distinzione solo formale o anche materiale, ma semmai si sono orientati - è la Spirito del capitolo II della D.V. - verso la soluzione della distinzione soltanto formale, in armonia con la costante prassi della Chiesa, la quale, nel definire le Verità di fede nel suo Magistero solenne, le ha sempre giustificate con un richiamo più o meno diretto alla Scrittura

Dunque criteri obiettivi dell’uso di uno scritto apostolico diretto ad una Chiesa ufficiale e l’origine o l’approvazione apostolica di uno scritto sono importanti ma non sufficienti a risolvere la questione.

Fa bene la teologia protestante ad affermare l’azione di discernimento per opera dello Spirito Santo, tuttavia bisogna vedere qual è il destinatario, il soggetto di questo dono soprannaturale; di fatti la concezione che dà la teologia protestante è troppo povera per essere accettabile; come può il singolo credente avere in sé il parametro del Canone se tale parametro non l’aveva con assoluta precisione la Chiesa del II sec. d. C. e fu in discussione fino al quarto secolo?

E’ proprio l’assistenza dello Spirito Santo che continuò e continua ad assistere la Chiesa perchè conservi con integrità ciò che le è stato donato nel deposito apostolico. In questo campo, come in qualsiasi altro, il suo Magistero gode dell’infallibilità soltanto per conservare (non per modificare e ampliare) il dato originale.

Infatti, tutte le variazioni che presenta la Tradizione ecclesiastica sul Canone sono da imputarsi a:

* Appello ai criteri interni (autenticità etc...)

* Ricorso all’autorità del Canone ebraico

Per Grelot, dunque, la definizione del Canone costituisce il primo (in senso logico) atto solenne del Magistero della Chiesa post - apostolica nei confronti della Rivelazione, che essa è chiamata a conservare e custodire per proclamarla agli uomini di tutti i tempi; nel custodire e proclamare è guidata con assoluta infallibilità dallo Spirito Santo che l’aiuta anche nell’attualizzazione fedele.

Per Rahner, le Scritture, quando nascono come genuina autorappresentazione della Chiesa Apostolica, e solo quelle, sono per ciò stesse ISPIRATE e CANONICHE, anche se il definitivo esplicito riconoscimento dell’ispirazione e della canonicità avverrà più tardi, distinguono dunque tra:

* Rivelazione * Percezione riflessa e formulata.

Due momenti tra i quali può correre benissimo un buon lasso di tempo.

La definizione di Canone è un atto, il primo in senso vero, di autocoscienza da parte della Chiesa che ha per oggetto un aspetto fondamentale del suo essere, appunto le Sacre Scritture. Ciò vale anche per l’Antico Testamento, il cui Canone viene stabilito soltanto dalla Chiesa Cristiana.

5 - Possono esistere libri ispirati ma non canonici?

Quando un testo deriva da un Apostolo, possiede già in sé stesso il carattere ispirato e normativo, tuttavia, se andato perso, non aggiungerebbe nulla di nuovo alla Rivelazione e dunque la Chiesa non sarebbe costretta a riaprire il Canone pur riconoscendolo ispirato . (come ad esempio la lettera ai Laodicesi che è andata persa: Col 4,16 E quando questa lettera sarà stata letta da voi, fate che venga letta anche nella Chiesa dei Laodicesi e anche voi leggete quella inviata ai Laodicesi.

Se in un libro canonicamente riconosciuto (vedi per es. Gd) viene citato un libro apocrifo, non vi è però nessuna affermazione della quale si possa dire che Dio abbia voluto insegnarla agli uomini attraverso questa lettera, ma solo come mezzo epocale con cui Dio ha voluto trasmettere la Verità Infallibile

L’ispirazione biblica riguarda soltanto gli scrittori sacri e oggetto dell’ispirazione sono i testi usciti dalle loro mani; non è dunque attendibile una dichiarazione di ispirazione nel senso sopraddetto per la Versione greca dei LXX:

a) E’ vero che tale versione dei LXX è stata nella storia provvidenziale, ma ciò non è necessario per affermare l’ispirazione

b) Certamente non è mancata l’assistenza dello Spirito Santo nel concetto “articolato di ispirazione”, ma non si può concludere che gli scrittori della LXX sono stati ispirati alla maniera degli scrittori sacri

c) L’uso che ne fanno gli autori del Nuovo Testamento non prescinde da ciò che è sopraddetto; l’ispirazione del Nuovo Testamento può prescindere dall’ispirazione dei LXX.

d) L’argomento più probativo per l’ispirazione dei LXX è quello sostenuto da P. Grelot, e cioè, che i libri deuterocanonici accolti nel Canone e facenti parte dell’Antico Testamento, provengono (più o meno) tutti dalla versione greca dei LXX, infatti se ne è perso l’originale ebraico o aramaico; il Manucci tuttavia non accoglie con totalità questa opinione poiché la Chiesa ha accolto nel Canone l’Antico Testamento ispirato e canonico con quella estensione greca (e poi latina) facente parte di una tradizione giudaica; comunque il caso sembra da risolvere più con la critica testuale che con criteri teologici.

Cap. 14 Il Canone della Bibbia nel protestantesimo odierno

Finora il dialogo tra cattolici e protestanti interessa soprattutto due problemi di fondo, preliminari ad ogni altra discussione:

a) RAPPORTO SCRITTURA e TRADIZIONE

b) ESTENSIONE DEL CANONE NELL’ANTICO E NEL NUOVO TESTAMENTO

Tuttavia oggi il problema si pone in termini diversi perchè tutte le confessioni nella riflessione teologica hanno compreso che SCRITTURA e TRADIZIONE non sono due realtà dissociabili tra di loro; la Tradizione precede la Scrittura, la Scrittura è il momento privilegiato della Tradizione; la Tradizione continua anche dopo la Scrittura.

Per il secondo problema, si è visto recentemente nella riflessione teologica protestante che si possono distinguere nel Nuovo Testamento già i segni tipici del Cattolicesimo, che l’esegesi protestante chiama Protocattolici.

Questi due punti pongono i protestanti al bivio:

* Accettare tutto il Nuovo Testamento * Rimanere fedeli alla Riforma optando per un Canone nel Canone

1 - Le bibbie protestanti oggi

Portano in appendice i deuterocanonici dell’Antico Testamento (che Lutero considerava apocrifi), corredati da una prefazione speciale che li specifica come libri esclusi dal Canone degli Ebrei.

Contengono nel Nuovo Testamento anche i deuterocanonici nel loro ordine tradizionale; anche se Lutero ne aveva eliminati alcuni (Eb, Gc, Gd, Ap) anticipando in qualche modo la questione odierna del Canone nel Canone .

2 - Il Canone nel Canone. Il protocattolicesimo del Nuovo Testamento

Anche la Dei Verbum. riconosce particolare dignità ai Vangeli del Nuovo Testamento (D.V. 18), ciò non toglie che bisogna operare un Canone nel Canone, riconoscendo alcuni libri come più ispirati e altri meno, o alcuni come ispirati e altri no; anche sul piano dottrinale, le varie correnti teologiche del Nuovo Testamento non sono mai totalmente in antitesi, ma presentano alcune diversità nel piano proposto in base al soggetto a cui erano indirizzate.

L’espressione Protocattolicesimo fu coniata da A. Von Harnack (1851-1930) e designa in questi autori gli stadi iniziali del sacramentalismo, della gerarchia, dei ministeri ordinati, del dogma:

I padri della Riforma erano particolarmente influenzati dalla situazione ecclesiale del loro tempo, tanto che, per essi, il cattolicesimo aveva preso una identità solo nel Medioevo.

A. Von Harnack, invece, considerava che la cosiddetta “degenerazione cattolica” aveva preso corpo nel II secolo quando si consumò il “peccato originale” tra Ellenismo e Cristianesimo che poneva fine al periodo apostolico e introduceva quello del protocattolicesimo o cattolicesimo primitivo.

Per R. Bultmann il cattolicesimo inizia ancora prima: è già in essere nel Nuovo Testamento moderno, con i vari elementi riconoscibili, per esempio nelle lettere pastorali (1 e2 Tm; Tt) di passaggio dall’ “Ufficio carismatico” a quello “Istituzionale”.

E. Kasemann, H. Conzelmann, H Braun e W. Marxsen portano all’ultima conseguenza il discorso bultmaniano, trovando tali elementi protocattolici nel Vangelo di Luca e negli Atti oltre che nelle sopracitate lettere pastorali.

Dunque, là dove si riscontrano nei libri o nelle sezioni del Nuovo Testamento:

a) Il passaggio dal Carisma alla Istituzione

b) La diminuzione della tensione escatologica

c) L’evoluzione della presentazione della morale cristiana

Ivi gli autori parlano di penetrazione spuria del Protocattolicesimo e quindi di “contaminazione” dell’Evangelo puro, con nuove e gravi conseguenze per il problema del Canone. L’attuale Nuovo Testamento è troppo vasto e comprende elementi che non sono più puri: si dovrebbe ridurlo per ritrovare, dentro il Canone attuale e tradizionale, la purezza dell’Evangelo. Ma con quale criterio si può individuare il centro del Nuovo Testamento? Per Lutero è “ciò che spinge a Cristo” Per E. Kasemann e H. Conzelmann è “la giustificazione del peccatore in virtù della fede”; Kasemann poggia le sue tesi su tre argomenti:

  1. La variabilità dello stesso Kerigma neotestamentario nei Vangeli (4)

    2) La straordinaria quantità di posizioni teologiche

3) L’incompatibilità delle varie teologie del Nuovo Testamento

Da questi argomenti, Kasemann trae una conclusione per lui inequivocabile: “Il Canone del Nuovo Testamento non stabilisce, in sé e per sé, la base dell’unità della Chiesa. Al contrario, nella sua struttura, cioè negli elementi compositivi che lo storico vi può rilevare, esso costituisce il fondamento della pluralità delle confessioni cristiane”

Si deve applicare al Nuovo Testamento, secondo Kasemann, il paolino “discernimento degli spiriti”: “gli spiriti buoni “ del Nuovo Testamento sono soltanto quelle testimonianze che sono è possono diventare “Vangelo”, cioè che annunciano “la giustificazione per fede”; gli altri scritti sono “Spiriti cattivi”.

Kasemann, il quale inizialmente non vorrebbe eliminare dal Canone del Nuovo Testamento certi libri o certi testi, conclude con una scelta di un Canone nel Canone, un nuovo e parziale e riduttivo Nuovo Testamento.

3 - Una risposta al problema del “Canone nel Canone”

La maggioranza dei teologi ed esegeti del Protestantesimo odierno accetta l’intero canone tradizionale e rimprovera a Kasemann ed Amici di aver esagerato fino all’estremo le diversità che esistono all’interno del nuovo Testamento.

In conclusione accetta il Canone, riconosciuto, conservato e difeso dalla Chiesa Cattolica, sulla base di quanto veniva tramandato (tradizione) come scritti di sicura origine apostolica e quindi ispirati, e non come scritti falsamente attribuiti ad apostoli, quali erano ad esempio i testi gnostici. Di tutto il Nuovo Testamento vi sono citazioni sparse in tanti padri della Chiesa che attestavano la considerazione sacra che quegli specifici scritti, e non altri, avevano presso le comunità cristiane.

Contro tradizioni ritenute infondate e contro l'esclusivismo dell'interpretazione magisteriale della Scrittura, Lutero aveva affermato il principio della Sola Scriptura. Solo la scrittura trasmette la fede (principio materiale) e da sola la scrittura sa illuminare il lettore (principio ermeneutico). Ora, nel corso del dibattito con i controversisti cattolici, Lutero precisò ulteriormente la sua posizione dichiarandosi pronto ad opporsi alla stessa Scrittura qualora questa risultasse opposta a Cristo. "E qualora gli avversari facciano valere (urgere) la Scrittura contro Cristo, noi facciamo valere (urgere) Cristo contro la scrittura". In conseguenza del principio dell'urgere Christum (che per Lutero è il contenuto dell'apostolicità) Lutero definì il proprio canone assumendo, per quanto riguarda l'AT, il canone ebraico; rifiutando, per quanto riguarda il NT, quei testi incapaci di proporre energicamente Cristo: Eb, Gc, Gd, Ap. Contro questa posizione, il concilio di Trento afferma che occorre accogliere "tutti i libri dell'AT e del NT", "integri e in tutte le loro parti" (DZ 1501; 1504), e, riportandone l'elenco (DZ 1502-1503), definisce il canone.

Osserviamo che con questa definizione Trento aveva inteso affermare l'oggettività delle Scritture sulla soggettiva interpretazione del lettore. Assumere un criterio (soggettivo) di lettura a partire dal quale selezionare il testo non è corretto! Espone all'arbitrio e al pericolo di confondere il mistero di Cristo con quanto si pensa o si crede di comprendere. Il significato della definizione dogmatica di Trento intende propriamente scongiurare questo pericolo: definendo il canone, il concilio afferma il primato della Scrittura sull'interpretazione del lettore. Nel caso specifico, il primato della Scrittura definita nel canone sull'interpretazione luterana.

Credente
00martedì 27 maggio 2014 20:36

L’inattendibilità storica degli apocrifi
e del Vangelo di Tommaso

Vangeli apocrifiVangeli apocrifi hanno sempre catturato l’attenzione di quanti, non soddisfatti del Gesù evangelico, hanno voluto sbizzarrirsi nel trasformare il profilo del Figlio di Dio a proprio piacimento, trovando spunto dalla moltitudine di informazioni bizzarre e storicamente infondate in essi contenuti.

Nascono così, con “legittimazione nelle Scritture” (cioè negli apocrifi) il Gesù femminista, il Gesù comunista, il Gesù omosessuale, il Gesù sobillatore politico, il Gesù sposato con Maria Maddalena ecc. Tutte caratteristiche che non trovano invece alcun sostegno nei Vangeli canonici. In altri casi alcuni dettagli dei racconti apocrifi sono diventati parte integrante della tradizione cristiana, come il bue e l’asino nella mangiatoia di Betlemme.

I Vangeli apocrifi hanno garantito il successo di migliaia di scrittori scandalistici, comeDan Brown, autori di titoli come “Il Gesù segreto”, “La vita segreta di Gesù”, “I Vangeli che la Chiesa ha censurato” e così via. Tra questi autori non poteva mancare “il teologo di Repubblica“, Vito Mancuso, anche lui autore del suo recente “La vita segreta di Gesù” (Garzanti 2014). Dove il termine “segreta” serve ovviamente per catturare la pancia del lettore e per indurre il pensiero che la “verità” su Gesù sia tenuta nascosta, ovviamente dai cattivoni che risiedono in Vaticano. La tesi cospiratoria fa sempre capolino nelle pagine di questi libri, Dan Brown nel suo “Codice da Vinci”, ha chiaramente scritto, ad esempio: «Naturalmente, il Vaticano, per non smentire la sua tradizione di disinformazione, ha cercato di impedire la diffusione di questi testi».

Anche Mancuso dunque vorrebbe svelare il “vero Gesù”, quello tenuto nascosto fino ad oggi. Lo fa, anche lui, appoggiandosi agli Apocrifi, in particolare al Vangelo di Tommaso. Perché «occorre rivalutare gli apocrifi come fonti almeno parzialmente attendibili, all’interno delle quali, insieme a invenzioni degne del migliore romanziere d’appendice, vi sono tradizioni che meritano la più attenta considerazione, non fosse altro che per la loro antichità». In particolare, ha affermato, il Vangelo di Tommaso«va considerato storicamente attendibile». Occorre sottolineare che nel curriculum di Mancuso non c’è traccia di alcuna competenza sulla storicità del cristianesimo e forse è proprio per questo che ha scritto un libro del genere.

Basterebbe aprire un libro di uno dei più importanti studiosi della storia del cristianesimo per capire come stiano davvero le cose. Mancuso -che ringraziamo per averci dato la possibilità di chiarire questo aspetto- parla di “antichità” come criterio di attendibilità, mentre il celebre Raymond E. Brown -uno dei più importanti biblisti americani degli ultimi decenni- ha mostrato (rivolgendosi in particolare ai sostenitori del Vangelo di Pietro e del Vangelo di Tommaso) che «asserzioni stravaganti su tradizioni molto antiche nei vangeli apocrifi spesso hanno in comune tre dubbie tendenze»1) Ad un’analisi accurata risultano fondate su prove piuttosto esili e su un ragionamento discutibile. 2) Trascurano che c’era un messaggio evangelico comune sul quale tutti concordavano nella prima generazioni di cristiani (espressa nei Vangeli), assai diversa dallo sregolato sviluppo presente tra certi cristiani nel II secolo. 3) Fin dalla predicazione di Gesù si sviluppò una spinta biografica che formò la tradizione alla base dei vangeli canonici, non ci fu alcun periodo in cui circolavano parti di tradizione diverse tra loro.

Concentrandosi proprio sul Vangelo di Tommaso, che l’incauto Mancuso (sostenuto dal suo amico Mauro Pesce) considera “storicamente attendibile”, Bart Ehrman, importante studioso statunitense del Nuovo Testamento (e, sopratutto agnostico, il che lo rende un personaggio molto interessante) ha scritto: «A Gesù sono state attribuite molte frasi che probabilmente non pronunciò mai, come per esempio tante massime riportate nel Vangelo di Tommaso e nei vangeli successivi» (“Did Jesus Exist?”, p. 219) L’opinione più diffusa tra gli studiosi è che risalga al II° secolo, tra il 110 e il 120 d.c, ma chiunque abbia letto il Vangelo di Tommaso e i suoi 114 detti -spesso oscuri, misteriosi e ambigui- ne coglie da solo la lontananza dalla sobrietà dei sinottici e la sua similitudine ad aforismi zen piuttosto che a detti storici.

Un’altra autorità internazionale nel campo della storicità dei Vangeli, John P. Meier, ha rilevato inoltre che «probabilmente il Vangelo di Tommaso circolava in più di una forma e passò attraverso vari stadi di redazione. La versione copta che possediamo probabilmente non è identica alla forma dell’opera originale greco, qualunque sia stata, ammesso che si possa parlare della forma originale greca» (“Un ebreo marginale”, volume 1, p. 130). Senza contare l’evidente tentativo dell’autore di imitare lo stile dei sinottici i cui detti «sono giustapposti ad altri di evidente timbro gnostico e a volte sembrano essere stati rielaborati per veicolare un messaggio gnostico». Non a caso Bentley Layton, docente alla Yale University, lo considera tra gli scritti correlati nel più ampio corpus di scritture gnostiche (“The Gnostic Scriptures”, Garden City 1987). Meier studia approfonditamente il messaggio gnostico del Vangelo di Tommaso concludendo che «è solo alla luce di questa strana miscela di misticismo, ascetismo, panteismo e politeismo che molti detti di Gesù possono essere compresi». Si tratta di una «rielaborazione gnostica della tradizione sinottica».

Ma la confutazione plateale della sua attendibilità arriva a pagina 133 del celebre volume “Un ebreo marginale”«L’orientamento complessivo del redattore del Vangelo di Tommaso è gnostico. Dal momento che una visione del mondo gnostica di questo tipo non fu impiegata per “reinterpretare” il cristianesimo in maniera così approfondita prima del II. secolo d.C., il Vangelo di Tommaso nella sua totalità non può certamente essere un riflesso affidabile del Gesù storico o delle più antiche fonti del cristianesimo del I secolo». Allo stesso modo la pensa la quasi totalità degli studiosi, molti dei quali hanno osservato la dipendenza diretta di tale vangelo ai sinottici, la dipendenza indiretta da predicazione e catechesi e larielaborazione creativa.

Il Vangelo di Tommaso è comunque il più interessante testo della Biblioteca gnostica di Nag Hammadi, scoperta nel 1945. Nel volume 2 di “Un ebreo marginale”, Meier amplia il discorso concludendo in generale che «l’affermazione che i vangeli apocrifi e il materiale di Nag Hammadi siano fonti storiche indipendenti è frutto di fantasia»(p. 13). Se il Vangelo di Tommaso, dal punto di vista dell’attendibilità storica, è quello “messo meno peggio”, il discorso vale ancor di più per tutti gli apocrifi in generale.«Siamo di fronte a prodotti in larga misura delle immaginazioni pie o sfrenate di alcuni cristiani del III secolo» (“Un ebreo marginale”, volume 1, p. 110).

Tutt’altra storia per i vangeli canonici, tema che approfondiremo meglio durante l’estate.


Credente
00sabato 22 giugno 2019 00:37

Si riporta qui di seguito una interessante discussione sul CANONE BIBLICO, con le obiezioni (in paragrafi con il rientro) e le relative risposte (senza il rientro), tratta dal forum:
https://forum.infotdgeova.it/viewtopic.php?f=21&t=1823




“E’  molto diffusa l’idea che la formazione del canone neotestamentario trovi la sua origine a seguito di pronunce autoritarie delle gerarchie ecclesiastiche. Anche se la questione fu discussa in vari concili a partire dal quarto secolo, si potrebbe essere portati a credere che la chiesa Cattolica abbia stabilito e dogmaticamente definito il canone con decisione ex-cathedra al Concilio di Trento del 1546 con il decreto De Canonicis Scripturis”


E’ esattamente così invece. Se non si ammette una definizione dogmatica del canone, cioè qualcuno che abbia l’autorità di fissarlo, il fatto che il canone si sia stabilizzato (da solo secondo l’autore) in occidente nel IV secolo, non implica che non possa ulteriormente cambiare. Se è cambiato tra I e IV secolo, cosa impedisce che ulteriori discussioni ne tolgano od aggiungano dei pezzi? Chi ce lo impedisce? Che garanzia v’è di avere un canone completo? Questo Lutero lo sapeva bene, infatti lui, che rigettò la Chiesa, buttò anche fuori dal canone del NT Giacomo, in quanto, giustamente, sosteneva che non essendo i Concili della Chiesa infallibili, il fatto che una lettera fosse stata nel canone del NT per un po’ (come altri apocrifi per un po’ di tempo considerati canonici), non implicava che ci dovesse stare per sempre.

“Ma questo non sembra essere un corretto punto di vista; per dirla alla Bertrand, “non spetta alla Chiesa di decidere se la Scrittura sia veridica, ma spetta alla Scrittura di testimoniare se la Chiesa è ancora cristiana”[iii] e ortodossa.”


Viene da chiedersi come visto che la Chiesa esiste da prima del canone, e che dunque non può certo essere quest’ultimo a giudicarla, e visto che il canone deve la sua autorità proprio alla Chiesa che lo presenta. Questo è ben noto ai Padri: “Non crederei al vangelo se non mi spingesse l'autorità della Chiesa cattolica” (Agostino, Contra epistulam fundamenti, 5)
È da sempre parte della Grande Chiesa l’idea che sia essa a presentare il canone del NT ai fedeli. 

“Anche a parere di chi scrive, gli avvenimenti andrebbero visti da una prospettiva ribaltata: le gerarchie ecclesiastiche hanno semplicemente ratificato un fatto ormai compiuto. I singoli Scritti sono stati riconosciuti come canonici perché erano già stati adottati dalle comunità cristiane come Scritture ispirate da Dio, e ciò in virtù di una loro intrinseca valenza.”


Questo è perfettamente vero, e perfettamente irrilevante. Sono infatti stati adottati dalle comunità cristiane, cioè dai Padri e dai fedeli, proprio perché la Grande Chiesa riconosceva in essi il proprio kerygma. Ergo, da capo, è la Traditio ad aver giudicato il canone, e non viceversa. Questa gente, questi Padri, hanno discusso, a volte aspramente, su cosa consideravano canonico. E ovviamente l’attribuire o meno il libro a questo o quell’apostolo dipendeva dal fatto che lo si considerasse ortodosso o meno. Chi considerava ortodosso un testo lo metteva sotto il manto protettivo di un apostolo (il che spiega il fenomeno della pseudo-epigrafia nel NT, 7 lettere del corpus paolino su 14 ad esempio), mentre chi non le riteneva ortodosse rifiutava la loro origine apostolica. Ad esempio la lettera agli Ebrei è diventata canonica tardivamente perché non la si voleva attribuire a Paolo, giustamente tra l’altro.

“La necessità di stilare canoni biblici sorse quando, sin dall’inizio del secondo secolo, una massa di scritti apocrifi si andava affiancando agli scritti originali, quando cioè numerosi gruppi dissidenti ed ereticali iniziarono ad inquinare l’originale messaggio evangelico scrivendo libri contro ciò che era tradizionalmente accettato.”


Circolo logico. Presume che gli scritti eretici siano per l’appunto eretici senza dire perché quelli canonici conterebbero questo che era la fede degli apostoli. Vorrei ricordare che il fatto che si ritenga che il nostro canone del NT contenga la vera dottrina apostolica dipende dal fatto che ci rifacciamo proprio alle comunità che hanno accettato questa linea, chiamata proto-ortodossa, nel II secolo. Altri, nel II secolo, che dal punto di vista della proto-ortodossia sono eretici, pretendevano di rifarsi direttamente all’insegnamento apostolico. Ora, cosa diceva la chiesa proto-ortodossa per dire che era di lei la legittima erede degli apostoli? Sosteneva che discendeva da essi tramite successione apostolica. Ma i protestanti rigettano questo criterio, quindi viene da chiedersi in base a che cosa, visto che rifiutano il titolo di legittimità che la chiesa dava di se stessa nel II secolo, prediligano essa agli altri eretici, che a questo punto diventano non più eretici ma dei gruppi con altrettanta legittimità. L’argomentazione in base alla quale i testi adottati dall’attuale canone della Grande Chiesa sono comunque i più antichi, è priva di rilevanza. In primo luogo perché 1)Il fatto che la Chiesa Antica abbia attribuito questi testi al I secolo, dipende dal fatto che li abbia attribuiti agli apostoli, ma non è vero che tutti i libri del NT siano nel I secolo, non così ad esempio 2Pt. 2)Ci sono degli apocrifi che sono anch’essi del I secolo, ad esempio secondo molti il Vangelo di Tommaso, l’Ascensio Isaiae, 1 Clem, ecc.
Di per sé poi, l’antitchità non è un criterio di canonicità, e neppure l’apostolicità, altrimenti come spiegare che in 1Cor Paolo ci scriva che quella in realtà è la sua seconda lettera ai Corinzi, e che dunque esiste una 0Cor che non solo non è canonica, ma è andata perduta. E che dire delle molte biografie sulla vita del Signore a cui Luca dice di essersi ispirato nel prologo della sua opera? IL NT ci dice che già nel I secolo c’erano divisioni interne, già l’Apocalisse, se è del 100 d.C. circa, ci menziona gruppi eretici, ergo, perché questi gruppi eretici dovrebbero avere meno legittimità? Il fatto che noi li percepiamo come eretici dipende unicamente dal fatto che li osserviamo dal punto di vista della letteratura scritta dall’altro lato della barricata, di cui dobbiamo attestare la canonicità, e che dunque non può essere usata come premessa per dire che gli altri, in quanto non conformi ad essa, sarebbero eretici. Tutto ciò che sappiamo del modo in cui era organizzata la Chiesa primitiva, il fatto cioè che crediamo di sapere che Pietro era del nostro gruppo e gli eretici erano altri, lo dobbiamo al fatto che accettiamo come veritiero quanto scritto in Atti, ma perché dovremmo farlo? Chi garantisce che proprio questo testo, e la corrente a cui appartiene, attestino la vera comprensione del cristianesimo apostolica? 

“Questo fatto è estremamente importante per il canone neotestamentario proprio perché, come scrisse C. F. D. Moule, “per i primissimi cristiani i dodici rappresentano il “canone”, cioè il metro di riferimento, il modello per mezzo del quale si poteva stabilire, finché essi vissero, l'autenticità del messaggio cristiano”[vi].
Questa semplice constatazione sembra avvalorare l’ipotesi di una definizione del canone molto vicina all’epoca apostolica; in caso contrario, più tempo sarebbe passato, e maggiori difficoltà ci sarebbero state ad arginare gli scritti eretici, in specialmodo quelli gnostici.”



Gli apostoli rappresentavano certamente il canone, ma questo non implica che la gente sentisse la necessità di raccogliere un corpus di scritti di matrice apostolica. Questa è la favole protestante che vuole fare del cristianesimo una religione del libro. Non è così. Gesù disse “andate e predicate”, non “andate e scrivete”. La dottrina veniva in prima battuta dalla predicazione orale, cioè dalla predicazione dei vescovi e presbiteri, gli scritti erano sono un supplemento. Inoltre, da capo, perché gli gnostici sarebbero eretici? Su che base si afferma che la loro interpretazione del cristianesimo sarebbe fasulla, e che fasullo sarebbe quello che dicono degli apostoli?


“Il ritardo con cui alcuni Scritti furono adottati da certe comunità cristiane si deve alla minor chiarezza con cui il loro kerygma evangelico fu percepito in determinate località. Potè costituire un ulteriore freno anche il fatto che determinati libri fossero “troppo” divulgati in ambiente eretico. Si ricorda ad esempio che fu solo dopo il quarto secolo che l’Apocalisse di Giovanni fu generalmente accettata in oriente e l’Epistola agli Ebrei in occidente. Ciò che conta è che la forza del messaggio kerygmatico di questi libri, cessate le “influenze esterne” che ne ostacolarono una piena percezione, finì con l’imporsi universalmente.”


Da capo: questo articolo continua a parlare, in modo scontato, della Grande Chiesa, senza specificare perché si stia rifacendo a lei. La lente adozione degli scritti di cui parla, è sempre e solo all’interno della Grande Chiesa, cioè la Chiesa che si riconosceva nella successione apostolica dei vescovi. Non ha senso che c’è una lenta e progressiva formazione del canone se prima non si specifica che si sta parlando solo ed esclusivamente della Grande Chiesa, perché altri gruppi cristiani, non avevano affatto questo canone o questi libri. Dunque non è vero che esiste un canone quasi chiuso nel II secolo, esiste un canone quasi chiuso nel II secolo all’interno della Grande Chiesa. Ma purtroppo, il nostro autore non ci ha ancora detto in base a che cosa si rifaccia alle mutazioni del canone all’interno della Grande Chiesa e non di altre, visto che i protestanti rigettano la successione apostolica, cioè il titolo che dava legittimità a questa grande Chiesa. Se dunque si dice: “nel II secolo il canone era quasi concluso”, si mente, perché molti cristiani non adottavano affatto quel canone. Non si può mettersi a citare i Padri della Chiesa, e il fatto che questi attestino che ritenevano canonici gran parte dei libri attuali, se prima non si dice perché si citano solo i Padri della Chiesa e non gli altri cristiani di altri gruppi, che ovviamente avevano altri libri.


“Il kerygma fu senz’altro il principale criterio selettivo, ma non fu l’unico. Ad esso si affiancò anche l’armonia che gli Scritti dovevano manifestare nei confronti di una lettura cristologica dell’Antico Testamento. Giova ricordare che la Chiesa primitiva avviò quel processo ermeneutico che vide nelle Scritture Ebraiche l’annuncio del vangelo; era quindi impensabile accogliere nelle comunità cristiane delle lettere o degli scritti in conflitto con una simile lettura. Nessun libro che, ad esempio, distinguesse il Dio degli Ebrei dal Dio dei cristiani avrebbe potuto essere incluso nel canone.”


Questo dipende dal fatto che tu, sulla base degli scritti dell’attuale NT, vedi un Gesù che non volle rompere con l’ebraismo. Ma questo lo sai accettando quegli scritti come canonici, e invece è proprio questo il dato in discussione. Se si accettano altri gruppo di scritti, si può credere benissimo che Gesù fosse un ebreo venuto a svelare che il Dio dell’antico testamento era un falso Dio. Non si può cioè dire che un testo è canonico se in armonia col resto del NT se prima non si spiega in base a che cosa si accetta quel resto del NT.

“Le pretese degli scritti eretici e gnostici furono bloccate sul nascere dai primi cristiani che fecero proprio l’incoraggiamento di San Paolo allorchè disse ai corinti di “non andare al di là di ciò che è scritto” (1 Corinti 4:6).”


1)Perché accetti il parere di Paolo? Paolo è un personaggio controverso, da molti già nel I secolo considerato eretico. Continui a fare l’errore di sempre, cioè citare pezzi del NT per dirmi quali altri scritti sarebbero canonici, senza degnarti di spiegare perché dovrei accettare come metro di misura per altri scritti del NT quello che dice Paolo.
2)Questa frase non significa quello che pensi. Non si riferisce in alcun modo al favoloso Sola Scriptura dei protestanti, infatti, la maggior parte della Scrittura neotestamentaria quando fu scritta questa frase non era neppure stata vergata, e al massimo la frase potrebbe essere letta come un invito di Paolo ad essere fedeli al contenuto di quella sua singola lettera, non starebbe certo enunciando c un principio più generale in base al quale la verità starebbe solo nella Bibbia, infatti in quel caso contraddirebbe se stesso quando dice: “Perciò, fratelli, state saldi e mantenete le tradizioni che avete apprese così dalla nostra parola come dalla nostra lettera" (2 Tessalonicesi 2,15). Ma anche ammettendo che dica di attenersi a quanto contenuto in quella specifica leggera, il punto è perché dovremmo essere fedeli a Paolo e non ad altri, che contemporaneamente predicavano. Lui stesso, indirettamente, ci dice che aveva dei concorrenti, come quando dice ai Galati “se anche un angelo vi predicasse un Vangelo diverso, sia anatema”, e infatti Paolo deve esibire il suo pedigree apostolico ai Galati dicendo che la sua predicazione è stata controllata da Pietro a Gerusalemme, perché evidentemente c’era già gente concorrente.
Il versetto comunque significa altro, perché la traduzione che riporti è un aggiustamento interpretativo di una sintassi greca assai più ingarbugliata. Alla lettera dice: “il non al di sopra di ciò che è scritto”, intesa dai più come una glossa di un copista, che avrebbe annotato che il “non” era scritto sopra il testo, nota che poi sarebbe scivolata nel testo ad un’ulteriore copiatura fatta da un copista diverso. Così intendono la TOB e la Bible de Jérusalem, che rende “perché impariate nelle nostre persone a non (il “non” è scritto sopra il testo) gonfiarvi d’orgoglio”.

“osì come non poterono accettare quanto riportato nel vangelo di Tommaso al verso 114: “Simon Pietro disse loro: Cacciate via Maria, perché le femmine non sono degne della vita” in quanto in conflitto con Galati 3:28: “Non c'è né Giudeo né Greco, non c'è né schiavo né libero, non c'è né maschio né femmina, perché tutti siete uno in Cristo Gesù”.”


Da capo:
1)Per dirmi che Paolo esclude Tommaso, mi devi dire in base a che cosa accetti Paolo, visto che il Vangelo di Tommaso è molto antico, secondo la scuola di Harvard addirittura precedente i sinottici, e che ovviamente esso pretende di essere depositario degli insegnamenti di Gesù.
2)Questo metodo ridicolo in base al quale delle Scritture ne potrebbero escludere altre si basa sul fraintendimento ingenuo che le scritture possano essere trasparenti ed univoche, e che dunque, data una scrittura, altre se ne possano escludere. Ma non è così. I versetti sono interpretabili, ed è questo il motivo della babele protestante, il motivo per cui l’interpretazione spetta alla Chiesa che ha creato il canone. 2Pt (che io posso citare e tu no, perché io so in base a che cosa accetto questo scritto come canonico), avvertiva a proposito delle epistole paoline: “In esse ci sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria rovina.”(2Pt 3, 16)
Le Scritture non sono affatto trasparenti, e questo inceppamento su Tommaso ne è un esempio clamoroso. In primis perché citi la sentenza di Pietro, ma non dici che Gesù risponde confutandolo, in secondo luogo perché intenti “maschio” e “femmina” come riferiti a realtà fisico-anatomiche, e non, come nel linguaggio gnostico, a dei tipi spirituali, infatti Gesù risponde che Maria Maddalena, facendosi maschio, può restare con loro. 

“Possiamo quindi dire che la prima epistola ai Corinti attesta già il valore normativo che veniva assegnato alle lettere”


Come s’è visto, no.

“possiamo anzi supporre che, alle orecchie dei compagni di Paolo, le sue parole rappresentassero un autorevole invito a “cristallizzare” la traditio orale in forma scritta. “


Anche fosse vero, perché dovremmo rifarci a questa traditio cristallizzata e non ad altre?

“A quanto sopra si deve aggiungere che il protocristianesimo individuò molto presto nel “trascorrere del tempo” un nemico della retta dottrina, cioè l’apostasia[viii].
Anche alla luce di ciò è difficile credere che non abbiano prontamente raccolto gli scritti dell’era apostolica classificandoli come canonici. In tal senso si muove il commento sui vangeli del prof. Giulio Michelini, docente di Nuovo Testamento all'Istituto Teologico di Assisi: “Si sta facendo passare l'idea che i quattro scritti canonici furono scelti dalla Chiesa tra decine di vite di Gesù disponibili. E invece Luca & C. sono i testi più antichi e fedeli alle fonti. Gli altri non hanno la stessa età, anzi li copiano con molta fantasia”

E’ verissimo che, siccome la Chiesa ha scelto bene, effettivamente i testi canonici sono anche i più antichi, ma questo non è di alcun aiuto ai fautori del Sola Scriptura. In primo luogo perché, sebbene sia vero che gli apocrifi in genere sono più tardi, non solo sempre più tardi, es Tommaso o l’Ascensio Isaiae, in secondo luogo perché molti scritti altrettanto antichi, di cui ci dà testimonianza il NT stesso, sono andati perduti, e dunque nulla vieta di credere che gli eretici si rifacessero a quegli scritti, in terzo luogo perché l’antichità è un buon criterio per valutare la storicità, ma non certo per valutare l’ispirazione. Un testo può essere antichissimo e pieno di eresie: vediamo già dagli Atti, che come ripeto io posso citare e tu no, quanto fosse variegata la comprensione del messaggio cristiano anche all’interno di quella che, prendendo per buono Atti, dovrebbe essere la Chiesa apostolica gerosolimitana, si pensi ad esempio alla contrapposizione tra il cosiddetto partito di Giacomo e quello di Paolo sulla necessità per i cristiani di farsi ebrei prima di accettare il cristianesimo. Che un testo di Paolo sia storico, e pure scritto in buona fede, non ci dice nulla sul fatto che sia un testo ispirato, di per sé, accettando che questi scritti siano di Paolo, sapremmo solo che questa era la visione del cristianesimo di Paolo, ma non perché questa sia la Parola di Dio, un messaggio di Dio per gli uomini. È solo accettando la Chiesa che veniamo a sapere che questi testi sono parola di Dio, e sono presentati come tali.

“Nella letteratura apologetica si incontrano molte espressioni che indicano una chiara consapevolezza della canonicità delle Sacre Scritture Greche. I vangeli, le lettere pastorali e quelle cattoliche mostrano di avere un’importanza equiparabile agli scritti veterotestamentari.”


Bla, bla… Segue un inutile elenco di Padri della Chiesa che attestano la canonicità di parte del NT, ma sono inutili perché non dice come mai cita solo i Padri della Chiesa, e si basa su quelli, e non su altri gruppi cristiani. Come già detto, se si rigetta la successione apostolica, cade la possibilità di circoscrivere l’alveo del fiume in cui si sviluppa il NT, perché avremmo un gruppo che si rifà alla successione apostolica che ritiene canonici dei testi, e altri gruppi, a questo punto altrettanto legittimi, che ne ritengono canonici altri, e che attribuiscono agli apostoli i loro testi. Anche il canone muratoriano è citato in maniera illegittima, perché ancora una volta si citano documenti all’interno della Chiesa dei vescovi senza specificare perché si citino solo queste. Se si citasse altro, si vedrebbe che nel II e IV secolo non esiste un canone, ma vari canoni, quante sono le denominazioni cristiane. 

“Interessante notare inoltre come il Frammento indichi che alcuni libri (Pastore di Erma, Apocalisse di Pietro) per quanto utili, non dovevano essere letti in Chiesa “perché il fiele non può essere mescolato con il miele”.”


Questo è un errore di lettura. Il “il fiele non può essere mescolato con il miele” non è riferito all’Apocalisse di Pietro. Il testo dice: “Circola anche una (lettera) ai Laodicesi, un’altra agli Alessandrini, falsificate col nome di Paolo dalla setta di Marcione, e molte altre cose che non possono essere accettate nella chiesa cattolica. Non conviene che il fiele sia mescolato con il miele.”
La menzione alle due Apocalissi è successiva, la frase del fiele non è riferita ad esse, ed è non è vero che si dica che non va letta in chiesa, semmai dice che la riceve come canonica al pari di Giovanni, ma solo “alcuni” non vogliono che sia letta in Chiesa, tra questi evidentemente non c’è il redattore della lista. “[g]Riceviamo[/g] anche le Apocalissi di Giovanni e di Pietro soltanto. [c]Alcuni[/c] di noi però non vogliono che questa sia letta nella chiesa (= assemblea)”. Neppure del pastore d’Erma c’è il riferimento al fiele e al miele, evidentemente l’autore dell’articolo sta copiando da chissà dove senza controllare le fonti. Del Pastore d’Erma si dice: “Il Pastore l’ha scritto poc’anzi, nella nostra città di Roma, Erma, mentre sedeva sulla cattedra della chiesa della città di Roma il vescovo Pio, suo fratello. Perciò conviene che sia letto, però non si può leggere pubblicamente nella chiesa al popolo”. 
Notate comunque tutto il riferimento al sistema delle cattedre dei vescovi della Grande Chiesa, che i TdG rigettano in blocco, e dunque viene da chiedersi come qualcuno, protestante o TdG, osi citare un testo della Grande Chiesa, opera per lui di apostati, visto che rigettano tutta l’impalcatura che permette alla grande Chiesa di distinguersi da altri.
Comunque, se anche, sempre all’interno della Grande Chiesa ovviamente, c’è già un canone molti simile al nostro nel II secolo, con circa 22 libri su 27, ciò non toglie che per avere il NT attuale occorra passare per la Grande Chiesa del IV secolo, addirittura dopo il suo primo Concilio Ecumenico, che per i TdG fu un vero trionfo dell’apostasia.
I tdG devono rendersi conto che, proprio in base ai criteri dei Padri che citano per sapere che c’erano già abbozzi del canone, essi sarebbero degli eretici, perché sono essi stessi a dire che l’autorità della vera Chiesa e ciò che la distingue dagli altri e le dà legittimità è la successione apostolica.
Non conviene loro, come fanno spesso, tentare di negare la realtà storica di questa successione apostolica, altrimenti si troverebbero col problema di spiegare perché accolgano le dichiarazioni sul canone di un branco di eretici senza legittimità alcuna, e non invece di altri altrettanto eretici e altrettanto senza legittimità alcuna.
Credente
00domenica 23 giugno 2019 16:37
continuazione 

"Il concetto di "deposito della fede" a cui spesso ti riferisci non può limitarsi al solo canone. Il deposito della fede in teoria comprenderebbe anche tutto il cosiddetto "magistero", la tradizione orale, la tradizione scritta, i concili etc. etc. Dunque dovrebbe far parte del deposito non solo la "lista" dei libri ispirati ma anche il testo stesso dei libri ispirati. La chiesa cattolica ha trasmesso un testo? La chiesa cattolica ha conservato il testo della Bibbia? "




Purtroppo per te non è rilevante cosa sia "secondo te" il depositum fidei, ciò che conta è cosa sia per la teologia cattolica.
La risposta, come è ovvio a chiunque si intenda anche solo un minimo di teologia, è che il magistero distingue tra cose in cui la Chiesa s'è impegnata dogmaticamente formulando dogmi, e cose trasmesse sulle quali invece non c'è alcuna formulazione dogmatica, e che dunque sono aleatorie. La Chiesa dice d'essere infallibilmente guidata sulle prime, e non sulle seconde.
Quanto al testo biblico, alcune cose sono definite dogmaticamente, e dunque rientrano nel depositum fidei dogmatico, altre no. Il Concilio di Trento infatti, ben conscio del problema delle varianti testuali, precisa che per le parti della Bibbia concernenti questioni di fede il metro di riferimento dev'essere il testo così come appare nella Vulgata, sicché ad esempio, nei passi in cui facesse una differenza dottrinale seguire la LXX o il TM, la Chiesa a Trento garantisce che il testo che corrisponde alla Vulgata è esente da errore dottrinale. Questo non vuol dire, tra l'altro, che la lezione che concorda con la Vulgata sia la lezione più antica! La Chiesa dice che i testi sono canonici in tutte le loro parti così come appaiono nella Vulgata, ma non che il testo originale è come appare nella Vulgata. C'è una differenza in casa cattolica infatti tra restituzione degli scritti alla loro origine e la loro canonicità. Siccome è il riconoscimento della Chiesa che rende un testo riconoscibile come Parola di Dio, allora la Chiesa non dà garanzie che il testo fosse ispirato così come è uscito dalle mani dell'autore, bensì da garanzia che sia ispirato allo stato redazionale in cui essa lo ha esaminato, anche secoli dopo. Sicché ad esempio, per il Nuovo Testamento, Giovanni 21 è un'aggiunta rispetto all'originario Vangelo, ma questo non influisce sulla sua canonicità, perché il testo canonico non è quello uscito dalle mani dell'autore, ma il testo allo stadio redazionale in cui la Chiesa l'ha dichiarato canonico, cioè com'era nel IV secolo. Quando la Chiesa dunque dice che il testo della Vulgata, nei passi dottrinali, è libero da errori eretici, non sta dicendo che la Vulgata conservi la traduzione delle lezioni ebraiche più antiche, ma sta solo dicendo che le lezioni così come conservate nella Vulgata sono ortodosse, e dunque chi si basi su quelle non è nell'eterodossia.
Non che questo abbia grande importanza ovviamente, perché com'è noto la Chiesa esisteva prima della Bibbia, e dunque ne potrebbe ipoteticamente fare a meno, essendo il depositum fidei interamente presente anche solo nella predicazione, sicché l'assicurazione che ci dà la Chiesa che il testo biblico, così come presente nella Vulgata, è privo di errori, è una certificazione ad abundantiam. 
"e si...qual'è il testo...il textus receptus della chiesa cattolica? La chiesa cattolica "ricevette" in deposito tutta la Bibbia o solo il nuovo testamento?"


La Chiesa non ha ricevuto l'antico testamento, per la banale ragione che questa raccolta è venuta ad esistere, sia nel canone ebraico sia nel canone cattolico, DOPO la nascita della Chiesa. Certo Gesù considerava scritture dei libri, ma scoprire quali erano è alquanto arduo vista la frammentazione del pensiero ebraico del I secolo.

"La chiesa cattolica ritiene ispirate le epistole paoline...e allo stesso tempo ritiene ispirato il Pentateuco. Ma quale Pentateuco per la chiesa cattolica è ispirato? Il Pentateuco il lingua ebraica o in lingua greca...o in lingua latina? Se il Pentateuco fa parte del "deposito della fede" della chiesa cattolica i cattolici dovrebbero ritenere ispirato il testo che effettivamente è stato trasmesso dalla chiesa cattolica. Eppure non lo fa! Traduce dal testo masoretico...ed il testo masoretico sicuramente non appartiene al depositum fidae della chiesa cattolica."


Veramente sbagli su tutta la linea. 1)Non è vero che le Bibbie cattoliche traducono dal testo masoretico, al contrario si basano sul sia testo masoretico, sia su testi ebraici precedenti (es Qumran), sia sulle più antiche versioni (greche, latine, siriache), sia sulle citazioni antiche in altri autori, ecc.
Sicché ogni Bibbia cattolica traduce da un testo eclettico, e la lezione da tradurre è scelta liberamente dalle varie fonti a seconda di quale sia la più probabile di volta in volta, perché a volte i LXX traducono da un testo ebraico più arcaico di quello masoretico.
2)Non è vero che la Chiesa Cattolica considera ispirato il testo masoretico. La Chiesa non ha mai affermato una cosa del genere. L'unico pronunciamento, come ripeto, è al contrario sulla Vulgata, della quale però ci si è limitata a dire che è senza errori dottrinali, e non che sia necessariamente la traduzione latina del testo ebraico migliore. 
3)E' vero che il testo masoretico è opera dei masoreti, ma la Chiesa Cattolica nel tradurre dall'Antico Testamento non si rifà al testo masoretico, ma ad un testo eclettico, come ripeto, che se pure parte dalla BHS, poi spazia come vuole. 
4)Testo ebraico non coincide con testo masoretico, quest'ultimo infatti è solo una selezione di lezioni, e sopratutto un'opera di vocalizzazione, compiuta diversi secoli dopo la morte di Cristo. Ma se il testo masoretico è opera dei masoreti, discendenti dei farisei, non così il testo ebraico in generale: la Chiesa infatti com'è noto proclama che il cristianesimo è l'adempimento dell'ebraismo, ed infatti gli apostoli pretendevano di essere l'evoluzione della religione ebraica che già professavano, e alla quale avevano aggiunto il tanto sospirato messia che ormai era giunto.
" Il che ci porta ad un paradosso: si ritiene ispirato il Pentateuco in ebraico come ci viene consegnato dai masoreti......e al tempo stesso la chiesa cattolica "depositaria" del testo ispirato ha fallito nella trasmissione della Rivelazione...leggasi Tanach!!!"


Veramente non ha fallito alcunché, perché non ritiene il Tanach masoretico infallibile, né a dire il vero ha mai impegnato la sua infallibilità a proposito della trasmissione del messaggio scritto. Infatti io stesso ho aperto in questo forum, poco tempo fa, una discussione intitolata "La Bibbia non esiste", per dire che, stante il fatto che il testo biblico originale è inconoscibile, e ogni nuova edizione critica del NT lo varia, non è possibile basarsi su alcune "Sola Scriptura", perché la Scriptura non si sa neppure quale sia, stante il fatto che il testo varia. Ma ciò, mentre è disastroso per il protestante, che si vede portato via il suo unico canale divino, cioè il testo biblico, è irrilevante per il cattolico, per il quale a)Il depositum fidei è garantito a prescindere dalla Bibbia. b)Anche parlando di Bibbia, la Chiesa ha stabilito dogmaticamente che il testo della Vulgata sia privo di errori dottrinali.

"La chiesa cattolica però...non disdegna di appropriarsi di un testo che non appartiene alla sua tradizione. Ora se tu accusi i protestanti di "appropriarsi" del deposito della fede cattolica...ovvero del nuovo testamento...e di essere in contraddizione in quanto prendono il canone ed il testo ma rifiutano il magistero...la stessa accusa si può rivolgere ai cattolici che si "appropriano" del testo masoretico ma rifiutano il "magistero" della tradizione religiosa ebraica."


La tua fantasia vola sommamente, sia perché la Chiesa Cattolica non traduce dal TM, sia perché essa non lo considera infallibile, sia perché non esiste nessun magistero ebraico. 


La chiesa cattolica però...non disdegna di appropriarsi di un testo che non appartiene alla sua tradizione. Ora se tu accusi i protestanti di "appropriarsi" del deposito della fede cattolica...ovvero del nuovo testamento...e di essere in contraddizione in quanto prendono il canone ed il testo ma rifiutano il magistero...la stessa accusa si può rivolgere ai cattolici che si "appropriano" del testo masoretico ma rifiutano il "magistero" della tradizione religiosa ebraica.

Credente
00domenica 23 giugno 2019 16:47
continuazione

"Potrebbe essere che Dio si è servito di una chiesa apostata per i suoi scopi?"


Il problema non è l'ipotesi che Dio si sia servito di una Chiesa apostata, ma il fatto che, proprio perché è una Chiesa apostata, non ci sarebbe nessuna garanzia che Dio si sia servito di questa Chiesa proprio mentre essa creava il canone...
Bisogna sapere che alcune dottrine, come la Trinità, sono più antiche nella Chiesa di questo canone del Nuovo Testamento, addirittura l'odiato Concilio di Nicea è più antico della fissazione del canone. Ergo, da capo, se questa Chiesa non ha fatto nulla di buono in 4 secoli, come si fa a discernere, tra i molti suoi atti, che proprio solo questo fu ispirato?
Che Dio si possa servire di Ciro, non implica che tu, mortale, possa sapere QUANDO s'è servito di Ciro. La mera ipotesi teologica che Dio possa servirsi di un malvagio, non ci dice nulla sulla possibilità di identificare quando è avvenuto, e dunque, nessuna garanzia c'è nel fatto che, dopo 4 secoli di una dottrina apostata dopo l'altra, la Chiesa abbia azzeccato proprio il canone del Nuovo Testamento! 
Inoltre, vorrei proprio sapere cosa vuol dire "servirsi della Chiesa". Il canone è frutto di dibattiti ben precisi documentati nella patristica, vale a dire che è stato in base alla consapevolezza delle dottrine che i Padri ritenevano già corrette che essi hanno selezionato i libri del Nuovo Testamento a seconda che corrispondessero o meno con quanto essi già credevano per via della Traditio orale. Ergo è veramente grave che secondo questi TdG tali Padri della Chiesa fossero apostati, perché è stato il loro metro di giudizio a mettere insieme questo canone, ergo, o Dio nelle loro scelte li guidava come burattini, e allora viene il problema teologico di ammettere che DIo abbia tolto a qualcuno il libero arbitrio, oppure questi testi canonici riflettono l'apostasia di chi li ha creati. Nella visione ortodossa cattolica invece questi testi riflettono sia il volere di Dio, sia quello dei Padri, banalmente perché la dottrina della Chiesa era quella che Dio stesso aveva dato con la predicazione di Gesù, e dunque c'è stata una perfetta coincidenza tra la libertà dei Padri e la volontà di Dio.

A quanto potrebbero obiettare, e cioè che Geova ci ha messo lo zampino, si può rispondere molto più semplicemente così:

"e come è possibile che Geova ci abbia messo del suo dal momento che la formulazione del canone è stata opera di uomini e che Gesù dice che non si può servire a due padroni? Se questi erano apostati allora è impossibile che potessero servire Dio e satana! Infatti è scritto molto chiaramente che o si è con Dio o contro Dio.
Non sarebbe neanche plausibile una sorta di azione da burattinaio di Dio giusto nel momento della definizione del canone per poi lasciarli nuovamente alla condizione di apostati visto che Dio non sopporta, come dire, le mezze misure, figuriamoci poi esserne l'artefice, colui che la determina in uno o più uomini:

"Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca."

Dio, in tal caso, determinerebbe una condizione umana che egli stesso non vuole che l'uomo abbia ed andrebbe contro se stesso.

Insomma, se sei apostata Dio (secondo i tdG) non ti gradisce e figurati se può mettersi ad avere complicità con chi fa il male o, per assurdo (dal loro punto di vista), è il male.
Infatti, se leggi Eb 6,1ss trovi scritto:

1Perciò, lasciando da parte il discorso iniziale su Cristo, passiamo a ciò che è completo, senza gettare di nuovo le fondamenta: la rinuncia alle opere morte e la fede in Dio, 2la dottrina dei battesimi, l'imposizione delle mani, la risurrezione dei morti e il giudizio eterno. 3Questo noi lo faremo, se Dio lo permette.
4Quelli, infatti, che sono stati una volta illuminati e hanno gustato il dono celeste, sono diventati partecipi dello Spirito Santo 5e hanno gustato la buona parola di Dio e i prodigi del mondo futuro. 6Tuttavia, se sono caduti, è impossibile rinnovarli un'altra volta portandoli alla conversione, dal momento che, per quanto sta in loro, essi crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all'infamia.

Praticamente qui si sta dicendo che un apostata, in pratica, non può ritornare sui suoi passi perché "è impossibile rinnovarli un'altra volta portandoli alla conversione".

Quindi un apostata è fuori dalla comunione con Dio e non c'è nulla nella scrittura che faccia da supporto all'idea di un suo utilizzo ad hoc o a tempo da parte di Dio. Tutt'altro. In Eb 10 si legge:

26Infatti, se pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati, 27ma soltanto una terribile attesa del giudizio e la vampa di un fuoco che dovrà divorare i ribelli. 28Quando qualcuno ha violato la legge di Mosè, viene messo a morte senza pietà sulla parola di due o tre testimoni. 29Di quanto peggiore castigo pensate che sarà giudicato meritevole chi avrà calpestato il Figlio di Dio e ritenuto profano quel sangue dell'alleanza, dal quale è stato santificato, e avrà disprezzato lo Spirito della grazia? (impossibile, dunque, che Geova che agisce con lo spirito santo usi chi ha disprezzato il Figlio ed il suo stesso spirito santificante) 30Conosciamo infatti colui che ha detto: A me la vendetta! Io darò la retribuzione! E ancora: Il Signore giudicherà il suo popolo. 31È terribile cadere nelle mani del Dio vivente!

Insomma, sarebbe anche assurdo, pur volendo pensare ad una manipolazione degli apostati da parte di Geova all'atto della definizione del canone, che poi in esso venga inserito un libro (lettera agli Ebrei) che contrasta con quell'operato.
E questo a maggior ragione alla luce di un altro passaggio in un libro canonico del NT, 2Tm 2,11-13:

11Se moriamo con lui, con lui anche vivremo;
12se perseveriamo, con lui anche regneremo;
se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà (è il caso dell'apostata praticamente e, chi ha orecchi intenda );
13se siamo infedeli, lui rimane fedele,
perché non può rinnegare se stesso.

Credente
00domenica 23 giugno 2019 17:29
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Al di là dei versetti biblici che citi, il problema non è se YHWH possa o meno servirsi di un malvagio, ma come come fai a sapere che si sta servendo di quel malvagio. Sappiamo infatti che dal punto di vista dei TdG la Chiesa partoriva dottrine apostate prima del IV secolo (data della creazione del canone), e dopo ha pure continuato a partorirne. Quindi, anche ammesso per ipotesi che DIo possa servirsi di un malvagio, come fai a sapere che se ne è servito solo ed unicamente per quella dottrina tra le tante, posteriore addirittura a Nicea, che è la creazione del canone?
E poi, come ricavare che DIo si possa servire di malvagi? Non leggendo la Bibbia spero. Non si può infatti usare come metro di misura del canone una teoria che sarebbe vera solo dopo aver già dimostrato che quel canone è corretto. Non ha senso infatti ad esempio dire che Dio s'è servito di re Ciro, e dunque può servirsi anche di altri malvagi, se prima non mi spieghi come fai a sapere che DIo s'è servito di Ciro senza passare dai libri del canone attuale che non hai ancora dimostrato essere canonici. E' un circolo logico, perché presumi per convalidare il canone degli aspetti teologici che hai ricavato da quel canone stesso, e così, ciò che dovrebbe stare solo alla conclusione del ragionamento, viene messo tra le premesse. E' la stessa cosa che accade quando dicono "già Pietro cita Paolo e le sue lettere". Ma per fare questo ragionamento tu devi prima dimostrare che l'epistola di Pietro fa parte del canone, e solo allora potrai usare le informazioni ivi contenute per argomentare. 

http://www.christianismus.it/modules.ph ... =20&page=5
QUi c'è scritto:"Un testo interessante, che documenta il nuovo uso dell’espressione «Nuovo Testamento», è quello di un anonimo scrittore antimontanista citato da Eusebio di Cesarea (Historia Ecclesiastica V,16,3), e che probabilmente scrisse intorno al 190; egli afferma: «Temevo ed evitavo che a qualcuno sembrasse che io volessi aggiungere o imporre qualcosa alla parola del Nuovo Testamento evangelico, alla quale chi ha scelto di vivere secondo il Vangelo non può aggiungere o togliere niente». Prima di questo periodo si usavano altre espressioni: ad esempio, verso il 150 si indicavano l’AT e il NT come «i Libri e gli apostoli».

Questo anonimo autore del quale parla Eusebio,sembra riconoscere già nel 190, periodo nel quale scrive, un canone del N T.
 A fine II secolo, data in cui scrive l'anonimo, il canone nella Grande Chiesa contava un corpus di 22 dei 27 libri attuali. Il contentenuto del Nuovo Testamento, come già detto, è fluttuato tra II e IV secolo.

 L'anonimo del 190 d.C., esattamente come il canone muratoriano di 10 anni circa prima, presentano un canone che quella gente credeva chiuso. Ma non fu così, in quanto di discendenti di costoro aggiunsero altri libri, che magari erano già canonici in alcune aree geografiche, e invece altri ne tolsero.
Come già detto infatti, finché non c'è un' autorità infallibile col potere di sigillare il canone, cioè la Chiesa in un Concilio Ecumenico, esso potrebbe essere ampliato e decurtato a piacere, così come avvenne infatti nella Grande Chiesa tra II e IV secolo.
I TdG cioè non hanno nessuna possibilità di spiegarci perché credono che quel canone sia chiuso. Se non c'era nel I secolo, né nel II, né nel III, che valenza può mai avere per loro un canone chiuso nel IV sec.? Perché si basano sullo stadio tardo a cui giunse questa dottrina, cioè il canone, solo nel IV secolo, e non invece su come esso era nel III, o nel II? Ma l'apostasia non era cominciata per loro a fine I secolo? E se è così, cosa se ne fanno di una dottrina del IV, non attestata mai nella forma attuale prima questa data?

Se è cosi' allora perchè le Bibbie cattoliche odierne preferiscono a volte varianti testuali del testo greco o del testo ebraico che alterano la comprensione dottrinale e che sono differenti da quella della Vulgata? Prendiamo un esempio ancora più estremo che va oltre con quanto detto sopra: la CEI 74/2008 scrivono su Siracide 25:31 Motivo di sdegno, di rimprovero e di grande disprezzo è una donna che mantiene il proprio marito. Eppure queste parole, sono tutte inventata di sana pianta. Non esistono nè nel Siracide greco, nè in quello ebraico e tantomeno nella versione della Vulgata. A quale ortodossia dottrinale cattolica si starebbe facendo riferimento?


Non confondiamo i piani. E' una cosa che ho già spiegato: la Vulgata è esente da errori dottrinali, come ho scritto, ma ciò non dice nulla sulla presenza o meno da errori filologici. Voglio dire che se nella Vulgata ci fosse una traduzione erronea dal greco, la Chiesa avrebbe comunque dichiarata libera da errori dottrinali la traduzione latina latina. Questo non vuol dire che il testo greco originale non sia ispirato, vuol dolo dire che la traduzione latina è dichiarata ortodossa e libera da errori. 
Comunque la domanda che poni travagliò la Chiesa ai tempi della controversia modernista, perché alcuni esponenti della Chiesa sostenevano che, essendo la Vulgata libera da errori dottrinali, tanto valeva tradurre da quella. Sarà bene dunque riportare in vita un'eco di quella controversia, e leggere cosa rispose l'abate Ricciotti, il maggior biblista italiano della prima metà del '900, che invece difendeva l'uso dell'ebraico: 

"Conosciamo benissimo la vecchia obiezione. Ci si dirà : Per il cattolico di rito latino il testo genuino della Bibbia è la Vulgata latina, dichiarata autentica dal concilio di Trento ; egli quindi potrà, e forse anche dovrà, fare a meno di ogni altro testo biblico. — La risposta è facile : quale sia la vera portata delPinvocato decreto del Tridentino, è stato nettamente delineato dai teologi più moderni e più sicuri ; a noi basterà rimandare in proposito a una pubblicazione che va per le mani di tutti e che, se non ha valore ufficiale, ne ha uno ufficioso, insieme con sovrabbondanti garanzie di ortodossia, cioè al testo per seminarii pubblicato dal Pontificio Istituto Biblico, De textu SS. Scripturarum auctore P. A. Vaccari S. J., Ro- mae 1926, p. 222 ss. ; da esso risulta che il decreto del Tridentino non proibisce allo studioso di ricorrere ad altri documenti antichi, fuori della Vulgata, per stabilire il testo genuino della Bibbia. — Ma a chi ricorresse, ancora oggi, a quella obiezione si può rispondere anche invitandolo ad un esame di coscienza. E’ inesorabilmente passato il tempo in cui poteva venire in mente a qualche teologo, digiuno naturalmente di studi storico-critici, che la Vulgata fosse testo autentico etiam quoad omnes litteras et apices, anzi che fosse addirittura ispirata, in quanto versione latina, dallo Spirito Santo (vedi citazioni in H. Hopfl, Introductionis in sacros utriusque Testamenti libros compendium, I, Romae 1922, p. 296 ss.). Questo tempo è passato : e oggi unanimemente si interpreta il decreto del Tridentino come limitato ai passi della Bibbia toccanti la fede e i costumi, e come riferito alla Vulgata in confronto con altre traduzioni latine, non con i lesti originali (ebraici, aramaici e greci), nè con antiche traduzioni orientali. Chi, dunque, può ancora invocare quel decreto ?
Guardiamoci bene negli occhi, egregio con-tradditore, e parliamoci con sincerità. E’ proprio lo zelo per l’ortodossia e per la disciplina che vi spinge ad invocare quel decreto, o non piuttosto il desiderio di trovare una giustificazione alla vostra imperizia? Credete voi che un decreto d’un concilio ecumenico possa autorizzare la vostra ignoranza, e sanzionare la vostra incompetenza ? Se voi non siete in grado di fare quanto è necessario per stabilire il genuino testo della Bibbia, che volete citare anche fuori di passi toccanti la fede e i costumi, fareste molto meglio a non citarla, per non far passare per parola di Dio ciò che non è punto tale. Credete voi che le scienze teologiche non progrediscano e non si perfezionino ? Se volete convincervene, e se siete buon cattolico, ispiratevi, oltreché ai decreti della Chiesa interpretati legittimamente e non violentemente, anche alla pratica ufficiale ed ufficiosa della Chiesa stessa.” (Giuseppe Ricciotti, Bibbia e non Bibbia, 1943, Brescia, Morcelliana, pp. 44-45)



"Prendiamo un esempio ancora più estremo che va oltre con quanto detto sopra: la CEI 74/2008 scrivono su Siracide 25:31 Motivo di sdegno, di rimprovero e di grande disprezzo è una donna che mantiene il proprio marito. Eppure queste parole, sono tutte inventata di sana pianta. Non esistono nè nel Siracide greco, nè in quello ebraico e tantomeno nella versione della Vulgata. A quale ortodossia dottrinale cattolica si starebbe facendo riferimento? "


Ma siamo seri... Come puoi credere che il meglio dei professori di filologia biblica si inventino versetti? Tanto varrebbe credere ai complottisti ufologi che credono all'area 51 nel Nevada con alieni all'interno...
Il testo greco non esiste, ce ne sono infatti due recensioni, una breve ed una lunga. L'ebraico similmente, pur nella forma frammentaria che c'è pervenuta, ha due versioni, una breve ed una lunga, la vetus latina e la Vulgata seguono per lo più la recensione lunga, ma con diverse varianti. Quando affermi che non c'è né in greco né in ebraico, a che recensione ti riferisci, a che edizione critica?
LA CEI traduce dal testo critico più corrente, quello curato da J. Ziegler. Comunque il versetto greco è: "ὀργὴ καὶ ἀναίδεια καὶ αἰσχύνη μεγάλη γυνὴ ἐὰν ἐπιχορηγῇ τῷ ἀνδρὶ αὐτῆς."
Dove hai letto che questo versetto non esiste? Dubito che un qualsiasi filologo abbia potuto dirti una cosa simile. Ti consiglio in futuro di scegliere meglio le tue fonti, perché non ci può documentarsi di filologia presso dei dilettanti.


Credente
00domenica 23 giugno 2019 17:54
continuazione

                ....di sicuro Giovanni lo conosceva il N T come lo conosciamo noi oggi.

Se la wt crede che Giovanni conoscesse il NT, dovrebbero essere loro a mostrarlo, visto che l'onere della prova spetta a chi fa le affermazioni. Comunque, la loro affermazione è impossibile:
1)In primis, se loro pensano che Giovanni sia morto a fine I secolo, non conosceva scritti come 2Pt, che sono stati composti nel II secolo (ma questo sarà inutile dirglielo, visto che secondo loto 2Pt è davvero un'epistola petrina).
2)Se Giovanni conosceva già l'attuale NT, non si spiega perché gli autori successivi non lo conoscano. Non c'è un solo autore che riconosca come canonici tutti e soli i 27 libri attuali del NT prima del IV secolo. Come mai ci sono in mezzo così tanti canoni intermedi e parziali, diversi dal nostro attuale, se già Giovanni nel I secolo l'avesse conosciuto? Non c'è nessuna necessità di ipotizzare già del I secolo un canone di cui non c'è traccia, e poi postulare un oblio generale (i TdG direbbero apostasia), per poi immaginare un recupero delle conoscenze perdute nel I secolo solo nel IV secolo. La soluzione più semplice è che nel I secolo non ci fosse alcun canone, e si è arrivati ad esso nel IV.

Il punto è solo uno: voler vivere come cristiani del I secolo è una contraddizione, perché i cristiani del I secolo non avevano alcun NT, esso è un prodotto tardo, e nessun cristiano del I secolo considerava questo corpus di 27 libri come Parola di Dio, perché tale corpus non esisteva.
I TdG poi non aderiscono al Sola Scriptura, perché il canone della Bibbia non si trova nella Bibbia, sicché automaticamente per sapere di che libri è composta la Bibbia occorre rifarsi a qualcuno. I protestanti all'epoca della riforma dicevano che avevano avuto il canone dai padri dei loro padri, e in questo modo ammettevano di rifarsi ad una tradizione, contraddicendosi da soli. Per di più, se questo passaparola dei loro padri non era infallibile, giacché secondo loro nulla fuorché la Bibbia era infallibile, essi si contraddicevano doppiamente, perché basavano la presunta infallibilità di un libro su un passaparola fallibile. 
Quanto all'idea che Dio possa servirsi degli apostati, ma cosa è certamente vera, ma il punto è come fare a sapere che se ne sia servito in questo caso. Come ripetiamo esistevano pareri concorrenti su quali fossero i libri del canone, il fatto che una idea sia prevalsa, come fa ad essere attribuito a Dio? E' una scelta fideistica ed arbitraria.
Tra l'altro l'idea che Dio possa servirsi di malvagi per i suoi fini è presa dalla Bibbia, ma, da capo, se prima non dimostrano che i libri della Bibbia sono questi, come fanno a sapere che DIo agisca così?
Ipotizziamo il dialogo:

         -Dio ci ha fatto arrivare la Bibbia servendosi di una Chiesa malvagia
- E come fate a saperlo?
         - Ad esempio Dio si serve di re stranieri per punire Israele
- E come lo sapete?
            - Lo leggiamo nell'Antico Testamento che è Parola di Dio e dunque ci spiega come Dio agisce.
-Ma come fate a sapere che quello che chiamate Antico Testamento è parola di DIo? Da dove sapete quali sono i libri dell'Antico Testamento, cioè quali sono i libri che spiegano l'agire di Dio?
               -Guardiamo il canone degli ebrei.
-Il canone degli ebrei attuali è il canone farisaico, ma non c'è alcuna prova che fosse diffuso a tutti gli ebrei dei inizio I secolo, e secondo la maggioranza degli studiosi fu stabilito nella forma attuale dopo la morte di Cristo, quando il cristianesimo s'era già staccato dalla sinagoga, quindi un canone farisaico non ha nessun valore per i cristiani, non può essere usato per stabilire quale debba essere l'Antico Testamento cristiano. 
            -Però noi accettiamo questi libri perché li usava Gesù.
-E come sapete quali libri usava Gesù?
         -Possiamo vedere quali sono citati da lui nel NT.
-No, se prima non mi dite come fate a sapere quali libri fanno parte del NT, infatti se del NT facesse invece parte il Vangelo di Filippo, sarebbero altri libri quelli citati. Sicché non potete stabilire cosa facesse Gesù se prima non mi spiegare in base a cosa cercate le sue azioni in certi libri e non in altri.
            - Anche ammesso che io non possa citarti dei libri se prima non ti spiego perché farebbero parte del canone, è comunque almeno possibile, a livello teorico, che DIo si serva di una Chiesa malvagia per far arrivare una notizia vera?
-Sì certo è possibile, il problema però è come facciate voi a distinguere l'empio manovrato da Dio da quello manovrato dal diavolo.
Dio potrà pure manovrare gli apostati, ma il punto è come facciate a sapere che fosse Dio a manovrare proprio in quest'occasione. Il canone è una dottrina tarda della Chiesa. E' possibile che per tre secoli abbia lasciato approvare decisioni dogmatiche a vostro avviso eretiche, e poi, solo nel IV secolo, una decisione tra centinaia sia stata da Lui manovrata? Anche se fosse, come fate a distinguere dal mucchio delle decisioni che fu proprio quella della fissazione del canone dove Egli intervenne? 
         -Ma il canone del NT s'è fissato da solo perché alcuni libri erano più belli, gli altri si sono esclusi da soli.
- Discutibile. Per altre correnti erano i loro libri ad essere i più belli, infatti questi libri oggi canonici erano difesi dai Padri della Grande Chiesa, perché in essi la Chiesa si rispecchiava.
         - Sì ma a prescindere da chi li difendeva, erano i più belli, quindi hanno vinto da soli la concorrenza.
- Questa posizione tipica della teologia protestante è insostenibile. Hai mai visto il programma miss Italia senza una giuria? Ci può essere anche la ragazza più bella di tutte, ma senza la giuria e il pubblico che la giudicano non vince nessuna. La bellezza non è nella cosa, ma risiede nel giudizio di chi valuta. Sicché nessun libro si impone da solo, perché è solo inchiostro su carta, è il suo pubblico che lo valuta e lo fa imporre. Scartare la presenza umana nel processo decisionale è impossibile, ed è il solito errore protestante di vedere la Bibbia come una meteora caduta dal cielo isolata dal suo ambiente. I libri sono morti, mera carta, se non c'è qualcuno che li legge. La Grande Chiesa, in base al proprio gusto (cioè a quello che essa credeva), ha selezionato le miss Italia (i libri del canone), ma non è detto che una giuria diversa darebbe lo stesso verdetto, basti pensare a quanti oggi idolatrano il Vangelo di Tommaso. E' stata dunque la Chiesa il metro di misura della Bibbia, e non viceversa. E tale giuria va postulata come infallibile, altrimenti il verdetto cui si arrivò nel IV secolo potrebbe essere ancora aperto e rimesso in gioco, come infatti fece Lutero, che all'infallibilità della Giuria (la Chiesa) non ci credeva più, e dunque non aveva alcun motivo per tenersi Giacomo nel canone, visto che non lo condivideva. 

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