II domenica dopo la Dedicazione (Anno C) (03/11/2013)

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ulisseitaca
00domenica 3 novembre 2013 22:02
II domenica dopo la Dedicazione (Anno C) (03/11/2013)
Vangelo: Is 25, 6-10a; Rm 4, 18-25; Mt 22, 1-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: Mt 22,1-14)

Is 25,6-10a

Isaia sogna la conclusione del tempo della fatica, della guerra e della fame. Le attese sono solamente della potenza di Dio che finalmente mette fine al tempo e conclude con un raduno di pace e con un banchetto che sancisce il patto di armonia che finalmente è esploso sul monte del Signore, a Gerusalemme. Questo mondo è compromesso nella violenza e nell'odio e la pace non è duratura se non nasce dalla forza di Dio. E Dio, finalmente, mette mano a questo mondo drammatico e disperante.

Eppure quanta sofferenza ci crea questo sogno di pace a Gerusalemme per tutti i popoli e lo stato di guerra e di paura per tutti a Gerusalemme.

Dio viene e si incarica di imbandire, lui stesso, un banchetto per tutti i popoli, segnati dalla tristezza e dalla rassegnazione. Su questo monte sono state convogliati i popoli e le nazioni della terra: tutti coperti a lutto perché la condizione del vivere quotidiano è data dalla violenza e dalla paura.

Finalmente il Signore viene tra noi, non manda a dire, non esige obbedienza in un mondo in sfacelo, ma ci chiama ad un banchetto per tutti, dove il menù è il migliore del mondo. Ma anche il clima va costruito e sciolto dai nodi e dalle interferenze. Si favoleggia persino sul menu e i rabbini, ripensando alla potenza di Dio che ha ucciso un mostro marino, chiamato Leviatan, dato quindi come "carne per il popolo che abita nel deserto" (salmo 74,14), hanno concluso che la vivanda principale dei giusti dovesse essere la carne di questo mitico pesce. Perciò, in Israele, ancora oggi, alla cena del venerdì sera, quando inizia il sabato, si è soliti mangiare pesce per richiamare a tutti gli uomini pii il banchetto celeste che li attende.

E' come se si ipotizzasse un cielo nuovo e una nuova terra con uno splendore che si richiama all'inizio del mondo.

Tutti i popoli sono salvati perché uniti con Dio, radunati sul monte Sion, come il popolo d'Israele attorno a Mosè al monte Sinai: qui c'è un'alleanza che viene confermata da un banchetto sacro (Es 24,9-11). E sul monte Sion (a Gerusalemme) viene profetizzato questo enorme banchetto. Dio offre due doni:

- viene tolto il velo che rende ciechi e quindi il primo regalo di Dio è aprire gli occhi perché possano vederlo.
- Il secondo dono è l'immortalità che gli uomini hanno perso per il peccato dei progenitori (Gn3,17-19).

I convitati vivranno con il Signore senza dolore e senza lacrime. "Il Signore ha parlato" e questa è una delle più grandi rivelazioni del VT e la promessa più importante.

Il testo conclude con un inno in cui si canta la fiducia e la speranza, la certezza della salvezza, giocata nell'attesa nella consapevolezza dei tempi di Dio e della sua pazienza. Si parla del banchetto messianico, ripreso da Gesù varie volte (Mt 22,2-10; Lc 14,14.16-24).

Questo testo ci aiuta a cogliere il significato della Eucarestia che è un banchetto per tutti i popoli e annuncio di amore che ci riscatta e ci offre la vita eterna.

Rm 4,18-25

Paolo vuole illustrare la forza della liberazione della fede e propone la figura di Abramo con il riferimento preciso ad un versetto della storia di Abramo: (Gen 5,6) "Abramo ebbe fede e ciò gli fu accreditato a giustizia". Paolo vuol chiarire che la giustificazione di Abramo non è legata alle opere giuste del Patriarca né alla sua appartenenza al popolo scelto perché non c'è ancora la circoncisione nella vita di Abramo, circonciso più avanti (Gen 17,9-14). Abramo diventa il modello possibile a tutti, ebrei e pagani.

Nella sua fede l'impossibile diventa promessa da accogliere e da custodire. Così Abramo e Sara saranno il grembo della nuova umanità quando è loro impossibile avere figli, vista la tarda età di 100 anni di Abramo e i 90 anni di Sara.

La conclusione del brano ci propone un testo in un'antica professione di fede, modellata sul canto del "servo di Jhwh" (Is 53). Anche a noi, che viviamo nella esperienza della morte, viene annunciato il futuro come garanzia di vita a somiglianza di Gesù e per Gesù che ci riscatta per la sua croce. Egli è stato consegnato nella impotenza e nella fragilità totale per un supplizio impostogli dalla sua lontananza e dalla sua blasfema pretesa di essere vicino a Dio e Dio lui stesso.

La coscienza del credente deve portare, davanti alle situazioni difficili della violenza e del male, l'impegno di credere in una circolazione di beni e di fedeltà che nasce da Dio e si distribuisce, giorno per giorno, nel cuore di ciascuno. Il credere, in questa ricchezza in noi e negli altri, ci deve portare ad osare nella speranza, ci deve far maturare per operare e quindi credere a che la speranza di Dio si compia ogni giorno nel cuore di ciascuno. Le tante paure esistenti, le tante diffidenze, le tante ritrosie della solidarietà possono venire abbattute dalla coscienza della presenza di Dio che è amore e, quindi, è più grande di qualunque paura, di qualunque diffidenza e di qualunque egoismo.

Matteo 22, 1-14

Lo sfondo culturale fa riferimento alla immaginazione ed alla creatività del popolo d'Israele che fantastica sul "Giardino dell'Eden" in cui si svolgerà il grande banchetto della pace e della pienezza, ripensato spesso come conclusione della storia: Ne è esempio la prima lettura (Is 25,6-10). Dio preparerà un banchetto sontuoso e si siederà a tavola con gli ospiti che verranno da tutti i popoli della terra. Essi lo riconosceranno e ci saranno danze e profumi di piante aromatiche del "giardino di Eden", diffusi dai venti del nord e del mezzogiorno che diffonderanno fragranze, e ci sarà gioia piena.

Gesù riprende queste immagini e riporta il banchetto messianico nella storia, nel tempo della vita del suo popolo e racconta, con una serie di parabole, il dramma che Israele sta vivendo: il popolo di Dio ormai ha l'obbligo della scelta che non può rimandare oltre. Nei capitoli 21-22, Gesù, dice Matteo, racconta tre parabole che sembrano riferirsi a tre successivi momenti della storia della salvezza, contrassegnati da un rifiuto:

- la parabola dei due figli (si riferisce all'accoglienza di Giovanni Battista: 21, 28-32),
- la parabola dei vignaiuoli ribelli (si riferisce a coloro che hanno ucciso i profeti e che uccideranno Gesù: 21,33-44),
- la parabola del convito, che leggiamo oggi; (si riferisce alla predicazione apostolica che riesce a farsi accettare dai piccoli e dai poveri e non dagli amici del re: 22,1-14).

Quest'ultima parabola è disseminata di tratti allegorici come la precedente, e comporta la stessa lezione: il re è Dio che vuole mantenere la sua promessa di accoglienza e quindi invita al banchetto di nozze del figlio che è il Messia. L'invito è la promessa mantenuta al suo popolo per garantire la sua felicità. I servi sono i profeti e gli apostoli; gli invitati, che li trascurano o li oltraggiano, sono i Giudei a cui non interessa l'invito poiché hanno altro di più importante. Ma per alcuni è addirittura un invito irritante, tanto che arrivano a maltrattare e ad uccidere i messaggeri. Il re non vuole abbandonare l'invito poiché è preziosissimo ed è un regalo fondamentale per tutti, nonostante il disprezzo di molti suoi amici. La loro risposta violenta apre una voragine nel tempo e nella vita. L'incendio della città è la rovina di Gerusalemme, a cui i lettori della Comunità di Matteo, facilmente, possono fare riferimento poiché il Vangelo di Matteo è scritto o completato dopo l'anno 70 d.C. e la distruzione è una tragedia terribile contemporanea a quella data.

Ma i primi chiamati non sono gli unici. Sono coloro su cui il Signore si è impegnato. Ma il cuore di Dio è orientato verso tutti gli uomini e le donne poiché il Signore li ha creati per la loro bellezza, immagini dello splendore di Dio. I chiamati anonimi, cercati nella strada, sono tutti e, curiosamente, la globalità è data da quel "cattivi e buoni", per indicare che non ci sono selezioni: sono tutti i peccatori e tutti i pagani.

E tuttavia la parabola non vuole solo spiegare il dramma di un popolo che ha visto crollare la propria grandezza e consistenza. E' un appello a tutti gli uomini perché si rendano conto che il tempo presente è decisivo. Non basta essere entrati nella sala del banchetto, ma è stabilito un giudizio personale di verifica. A partire dal v11, la scena cambia e ci troviamo di fronte ad un giudizio ultimo. Sembra che Matteo abbia messo insieme due parabole, una analoga a quella di Lc 14,16-24, e l'altra è questa, la cui conclusione si trova nei vv 11s. "Tutti sono chiamati ma non tutti eletti". Essere entrati nella sala del banchetto, essere stati chiamati non è una garanzia poiché tutti debbono essere in ordine, convertiti, vigilanti. La veste nuziale corrisponde alla dignità della persona. L'apostolo Giovanni, nell'Apocalisse (19,8), dice che la veste nuziale di lino della sposa di Gesù sposo (la comunità cristiana) "sono le opere giuste dei santi". Perciò la veste nuziale è tessuta dalle opere della giustizia che devono accompagnare la fede (cf.3,8;5,20;7,21s;13,47s;21,28s).

La parabola è un avvertimento per il popolo che ha accettato Dio ma, in questo caso, anche per chi è entrato nella Chiesa e, nel pensiero di Matteo, anche una verifica per la Comunità per cui scrive.

Questo testo conclude: "Tutti sono presi sul serio e amati dal Signore, tutti hanno una vocazione di vicinanza con lui che è una vocazione di festa. Ma la festa suppone coscienza e responsabilità, coraggio e fedeltà a Dio e non ci si risolve con dei gesti di culto, semplicemente, o nella pigrizia.

Matteo, qui, si preoccupa della tentazione della prima Comunità cristiana, ma anche di ogni cristiano: noi tendiamo, infatti, a dare per scontato di essere stati scelti, per via del battesimo, per cui ci sembra sufficiente rispettare alcuni gesti di culto. Perciò corriamo il rischio di mantenerci in una mentalità superficiale e lassista, che non si preoccupa di compiere la volontà di Dio, ogni giorno, nella vita quotidiana.
ladymira
00lunedì 4 novembre 2013 00:22
Dio ci vuole uniti e in pace sempre , siamo sempre invitati alla sua mensa e per chi è buono in questa vita e segue i suoi insegnamenti c'è il paradiso [SM=g7423]
Credente
00mercoledì 6 novembre 2013 20:42
Una meravigliosa aspettativa.
Che al termine del nostro lavoro in questa vita di prove, potrebbe essere considerata una "buona uscita" [SM=g7348]
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