Domenica di Lazzaro (V di Quaresima Rito Ambrosiano anno C) (17/03/2013)

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ulisseitaca
00venerdì 15 marzo 2013 15:05
Domenica di Lazzaro (anno C) (17/03/2013)
Vangelo: Deut. 26, 5-11; Rm 1, 18-23a; Gv. 11,1-53 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: Gv 11,1-53)

Deut. 26, 5-11

Mosè suggerisce una sintesi della storia d'Israele che diventi consapevolezza e memoria di ogni israelita, iniziando dalla consapevolezza di una origine umile e povera: "Mio padre era un Arameo errante".

Quando ciascun ebreo deve richiamare la propria identità, non dimenticherà mai di essere poi parte di un popolo che il Signore ha voluto, ha liberato, ha condotto in uno spazio proprio e gli ha dato consapevolezza di aver ricevuto terra e doni della terra: frutti e animali che sono il risultato di una predilezione e di una benedizione.

I doni sono gratuiti, perciò suppongono alcune clausole di gradimento. Sono di ciascuno, ma le primizie vanno offerte: il ricevere deve aprire il cuore per poter riconoscere, gradire e offrire.

I doni, poi, che dovranno essere elemento di gioia e di ringraziamento, vanno vissuti e condivisi. Si ricordano due categorie di persone che non hanno la possibilità facile di possedere: i leviti e i forestieri. I leviti sono discendenti di Levi, uno dei figli di Giacobbe. Sono collegati, spesso ai sacerdoti, ma hanno funzioni distinte. I sacerdoti nel tempio sacrificano a Dio e offrono incenso. I leviti svolgono compiti di servitori, organizzatori degli aspetti esterni del culto e cantori. Pur parlando di 48 città affidate ai leviti, essi non possiedono e quindi vivono di carità, ricevendo dagli altri ebrei la possibilità di vivere. La stessa cosa va detta per gli stranieri che hanno spesso una precarietà di lavoro. Perciò il popolo, che possiede e che porta l'offerta al Signore, deve mantenere la memoria di questa rivoluzione storica che il popolo ha vissuto e di cui è consapevole e ringrazia. Va ricostituita la gioia piena della liberazione insieme con il levita e il forestiero. Così, alla fine, sicuramente ci si contrappone alla schiavitù, alla solitudine, all'abbandono. Le risorse ricevute, e che vengono offerte nella gioia, possano essere partecipate anche alla realtà povera.

Rm 1, 18-23a

Paolo si rifà alla esperienza del suo popolo e riscopre che l'intervento di Dio si sviluppa, inizialmente, nella sua ira per l'empietà raggiunta. E' la reazione di Dio che è giusto e vuole un mondo giusto e buono. Ma l'ira di Dio può essere considerata un preludio necessario alla salvezza. Tutti gli uomini sono peccatori, e Paolo stabilisce una situazione generale: essi, pur avendo una conoscenza iniziale di Dio attraverso le opere - la natura per i pagani gl'interventi nella storia per gli ebrei- non hanno agito di conseguenza e hanno smarrito quel barlume iniziale di sapienza, cadendo nella immoralità e nella idolatria. Dio, pur nella sua invisibilità e inaccessibilità dei suoi attributi, si rende visibile "per mezzo delle opere da lui fatte", sia dalle creature del mondo sia dai fatti di liberazione verso il popolo di Dio nella storia. Gli attributi di Dio che generano opere particolarmente significative sono "la sua eterna potenza e divinità" che muovono il creato e hanno liberato il popolo d'Israele. Il non saper intravedere questa formidabile presenza e armonia nel mondo rende gli uomini "inescusabili" poiché non lo hanno "glorificato né ringraziato come Dio". Sono diventati stolti poiché non hanno saputo approfondire questa presenza e si sono fermati a "figure di uomini corruttibili".

Il messaggio arriva anche a noi, nella sua drammaticità. Paolo lamenta che non si sviluppa né si matura il senso delle cose, ci si ferma all'immediato, alla vanità, alle apparenze e non si verifica ciò che conta davvero.

In tal modo non si scopre la profondità e non si sa ringraziare veramente e gioire della pienezza e della grandezza.

Iniziando da qui, si può riprendere a rileggere i segni dei tempi che si susseguono nel tempo, segni anonimi per chi non li sa guardare e interpretare, segni non firmati eppure proposti dal Signore per chi li vuole leggere.

Il Vangelo ci riporta uno splendido testo: " I farisei e i sadducei si avvicinarono per metterlo alla prova e gli chiesero che mostrasse loro un segno dal cielo. Ma egli rispose loro: «Quando si fa sera, voi dite: «Bel tempo, perché il cielo rosseggia»; e al mattino: «Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo». Sapete dunque interpretare l'aspetto del cielo e non siete capaci di interpretare i segni dei tempi? Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona». Li lasciò e se ne andò (Mt 16,1-5).

Giovanni XXIII ci ha fatto riscoprire, nella "Pacem in terris" (1963) e nel Concilio, la carica di questi segnali che il Signore discretamente invia nella storia per interpretarli, avere speranza e viverli.

Gv. 11,1-53

Lazzaro, un amico di Gesù, gravemente malato, sta per morire. Il suo nome significa "Dio aiuta"; ma non sembra che ci sia speranza, tanto più che Gesù, che pur lo ama, appena avvisato della malattia, si trattiene ancora due giorni là dove si trova, a est del Giordano. Ci si aspetterebbe che Gesù si precipiti a guarirlo e invece il messaggio che Gesù offre è quello che l'amore del Signore non evita i passi difficili della vita, ma aiuta a rileggerli in una prospettiva nuova, piena di speranza. Su un piano esclusivamente umano, ci si trova però in una conclusione senza speranza, perché Gesù giunge dopo quattro giorni, quando non v'è più possibilità che l'anima del defunto si aggiri ancora nei pressi del cadavere (massimo tre giorni, pensano i rabbini). E poiché c'è il fetore dalla tomba, non si può parlare di morte apparente.

Il testo è complesso e l'interpretazione va dalla restituzione di Lazzaro alla sua famiglia alla restituzione della vita nuova a Lazzaro che giunge, già ora, alla pienezza della vita di Dio, andando dove il Padre destina i suoi amici.

Gesù è riconosciuto come colui che porta la vita e la offre a chi crede. Ma è anche colui che, per rigenerare nella vita il mondo, deve passare lui stesso attraverso la morte (11,53).

Le scene più importanti e i dialoghi aprono gli orizzonti delle attese e interpellano Gesù sulla morte.

- Nel dialogo tra Marta e Gesù, l'attaccamento e la fiducia di Marta si spalancano sulla fede nuova, ma ella non riesce a seguire Gesù fino in fondo, pur pronunciando l'atto di fede della comunità dei cristiani: "Credo che Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire in questo mondo". Ma non è la fede piena del credente, quanto piuttosto la fede dell'ebreo che attende il Messia (per il mondo ebraico "Figlio di Dio" ha ancora il significato di "giusto, santo, prediletto da Dio" e non il significato trinitario di cui noi cristiani lo abbiamo caricato).

- Il dialogo-monologo di Gesù di fronte al sepolcro si svolge davanti agli operai che devono togliere la pietra, davanti alle sorelle, ai discepoli ed agli amici venuti da Gerusalemme. Gesù si rivolge al Padre, ringraziandolo "perché mi hai ascoltato". A questo punto il grido di Gesù è il grido della forza di Dio di fronte al male ed alla morte: "Lazzaro, vieni fuori". Con questo segno Gesù mostra di poter donare la vita e di esserne la fonte, capace di una vita che inizia già ora e non finisce, anche se deve attraversare il passo difficile della morte. Ci troviamo di fronte ad un testo di grande valore battesimale. Siamo diventati figli di un popolo che lotta e vince contro la morte come Gesù e intercede per coloro che soffrono e sono incatenati dalle paure, dalle disavventure, dalle tragedie, dalla ingiustizia del mondo. Il Signore ci chiede di intercedere presso il Padre e di non avere paura e di essere sicuri che egli sa interpretare, capire e soccorrere colui che, per rigenerare nella vita il mondo, deve passare lui stesso attraverso la morte (11,53). Le scene più importanti e i dialoghi aprono gli orizzonti delle attese e interpellano Gesù sulla morte.

- Nel dialogo tra Marta e Gesù, l'attaccamento e la fiducia di Marta si spalancano sulla fede nuova, ma ella non riesce a seguire Gesù fino in fondo, pur pronunciando l'atto di fede della comunità dei cristiani: "Credo che Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire in questo mondo". Ma non è la fede piena del credente, quanto piuttosto la fede dell'ebreo che attende il Messia (per il mondo ebraico "Figlio di Dio" ha ancora il significato di "giusto, santo, prediletto da Dio" e non il significato trinitario di cui noi cristiani lo abbiamo caricato).

- Il dialogo-monologo di Gesù di fronte al sepolcro si svolge davanti agli operai che devono togliere la pietra, davanti alle sorelle, ai discepoli ed agli amici venuti da Gerusalemme. Gesù si rivolge al Padre, ringraziandolo "perché mi hai ascoltato". A questo punto il grido di Gesù è il grido della forza di Dio di fronte al male ed alla morte: "Lazzaro, vieni fuori". Con questo segno Gesù mostra di poter donare la vita e di esserne la fonte, capace di una vita che inizia già ora e non finisce, anche se deve attraversare il passo difficile della morte.

Ci troviamo di fronte ad un testo di grande valore battesimale. Siamo diventati figli di un popolo che lotta e vince contro la morte come Gesù e intercede per coloro che soffrono e sono incatenati dalle paure, dalle disavventure, dalle tragedie, dalla ingiustizia del mondo.

Il Signore ci chiede di intercedere presso il Padre e di non avere paura e di essere sicuri che egli sa interpretare, capire e soccorrere.
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