Domenica del Cieco (IV di Quaresima; Rito Ambrosiano anno C) (10/03/2013)

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ulisseitaca
00venerdì 8 marzo 2013 21:04
Domenica del Cieco (anno C) (10/03/2013)
Vangelo: Es. 17, 1-11; 1Tes 5, 1-11; Gv. 9,1-38b Clicca per vedere le Letture (Vangelo: Gv 9,1-38b)

Es. 17, 1-11

Israele ha accettato di seguire Mosè e di contrapporsi a Faraone.

Ma il cammino è faticoso e imprevedibile. E questo fa scoprire limiti, difficoltà anche drammatiche.

Così sorgono malumori e proteste. Suppongono disagio e rabbia, ripensamento e nostalgia del passato.

Non si apprezza il tempo presente e non si superano le difficoltà se non si tenta di accordarsi con i responsabili. Non ci si deve dimenticare che bisogna, coraggiosamente, ricostruire uno stile di vita completamente diverso.

Ci vogliono risorse e intraprendenza per lottare e sopravvivere. Ma il cammino del popolo, uscito dall'Egitto, si fa sempre più difficile perché gli Israeliti scoprono difficoltà d'ogni genere. Prima manca il pane (e mangiano manna), poi manca la carne ( e Dio offre loro le quaglie), poi manca l'acqua, fondamentale per la vita quotidiana. Qui si inaspriscono le recriminazioni perché si arriva ad avere seriamente paura.

Il popolo non ha strumenti per provvedervi; non sa rivolgersi a Dio. Lotta e rimprovera Mosè fino a farlo responsabile della propria miseria. Mosè è fedele a Dio ed in Lui ha creduto. In questo caso è anche responsabile, mediatore, condottiero, custode.

Mosè grida poiché è spaventato dalla situazione difficile.

L'interrogativo fondamentale che serpeggia non è quello dell'ateo: "Dio non c'è", ma l'interrogativo su dove Egli sia presente, se è ancora disposto a mantenere la sua parola e la sua protezione che ha promesso. Mosè si è presa la responsabilità di essere l'intercessore e Dio lo ascolta.

Dopo la mancanza di acqua, risolta nel dono, che altrimenti avrebbe portato alla morte, vengono la guerra e la violenza che possono ricondurre alla schiavitù e alla distruzione di molti. Nella battaglia contro Amelèk, ci si chiede come vincere un popolo che impedisce la conquista della Terra Promessa? Il Signore dà criteri inusuali ma complementari:

- la presenza di un piccolo gruppo di soldati,
- la preghiera di intercessione: il segno delle mani alzate come richiamo e dipendenza al bisogno di Dio.

Nelle difficoltà sono necessarie le responsabilità personali che si mettono in campo con coraggio e la fedeltà a Dio per intercedere e ricuperare la fiducia e la libertà.

L'intercessione è fondamentale per costruire un popolo e strutturarlo nella fiducia e nel cammino di comunione. Dio ama questa intercessione. Gesù è l'esempio più alto della intercessione per tutti gli uomini e le donne.

1 Tessalonicesi 5, 1-11

Il tempo può custodire la pace e può nascondere la guerra. Noi cristiani siamo chiamati ad essere sempre all'erta, pronti però ad affrontare situazioni di emergenza e di sconvolgimento. Paolo, riprendendo le affermazioni del Signore sull'incertezza della data della conclusione del mondo (Mt 24,36p; At 1,7), e che bisogna attendere vegliando (Mt 24,42p.50;25,13), afferma di non conoscere il termine dell'esistenza del mondo. Il giorno del Signore (1Cor 1,8) verrà come un ladro (cf.Mt 24,43p); bisogna stare in guardia (v 6; cf.Rm 13,11), il tempo è breve (2Cor 6,2). Egli, prima, si pone per ipotesi tra quelli che vedranno questo giorno (4,17; cf.1Cor 15,51); poi passa a considerare di morire prima (2Cor 5,3;Fil 1,23); quindi mette in guardia quelli che credono imminente (2Ts 2,1s) il compimento, considerando che prima deve verificarsi la conversione dei pagani (Rm 11,25). In questa totale incertezza i tempi non si intravedono brevi. Paolo riprende i contatti con la prima comunità greca, da lui visitata, quella di Tessalonica, che si è mostrata subito recettiva e attenta alla sua predicazione, ma poi presto ha dovuto abbandonarla per la reazione della popolazione non credente che ha messo in pericolo la stessa vita di Paolo. Ora Timoteo torna a visitare la comunità per garantirsi della solidità della fede, e quindi riferisce all'apostolo liete e rassicuranti notizie. Riconoscente e commosso, Paolo scrive una lettera che è il primo testo scritto nel Nuovo Testamento (siamo nel 50 - 51 d.C.). Tra i molti problemi Paolo sa di dover affrontare anche il "tempo della Conclusione", come accennato più sopra. Alla fine ricorda di essere svegli e all'erta perché nessuno lo conosce ma il Giorno del Signore viene all'improvviso e chiederà conto della responsabilità e della legge del nostro cuore a tutti gli uomini e a tutte le donne del mondo.

Per questo i credenti debbono essere come figli della luce e custodire la luce di Dio senza profanarla, né spegnerla.

I "figli della luce" vivono la sobrietà, si attrezzano sulle virtù della fede, della carità e della speranza come difesa contro il tempo e i drammi che nella vita rapiscono la serenità e l'esistenza.

Abbiamo un destino di speranza perché ci fidiamo di Gesù che ci apre alla garanzia e alla fiducia nel mondo di Dio.

Il modo migliore per camminare verso il tempo del Signore è sostenere i fratelli e le sorelle, dando loro sostegno e aiutando materialmente per ciò di cui possono avere bisogno.

Gv. 9,1-38b

Incontrare un cieco lascia sempre uno strascico di commiserazione e provoca un brivido di risentimento e paura. Perciò la sofferenza provoca la domanda del perché e del male che l'altro sta soffrendo. Ma, nel mondo ebraico, spunta anche il sospetto che quella cecità possa essere un castigo per il male commesso, magari prima di nascere, essendo un cieco nato.

Gesù risponde che non v'è peccato alla radice ma attesa di opere grandi di Dio. E Gesù sa di essere stato chiamato a sostenere la luce di questo cieco e vuole chiarire a tutti che ogni malato deve poter sperimentare la potenza di Dio attraverso noi.

Gesù sa che la sua presenza è posta come garanzia della speranza di tutti e quindi di chi non s'aspetta nulla dalla vita e pensa che la quotidianità è fatta di fatiche e sofferenze senza novità e capovolgimenti.

Gesù invece interviene; però al cieco chiede che si fidi di Lui e accetti di essere visitato dalla fede nel Messia. Deve perciò andare a lavarsi alla piscina dell'Inviato (Siloe).

Il messaggio è al cieco ma anche ai discepoli e a coloro che si imbatteranno in questo avvenimento strabiliante.

Bisogna sapere di essere ciechi. Bisogna desiderare di vedere. Bisogna accettare la scelta di chi ti manda dal Messia, il coraggio di credere che ci possa essere una trasformazione, l'accettazione di difendere la scelta fatta, la verità riconquistata, la disponibilità del giudizio su chi ti ha fatto una proposta, il coraggio della semplicità e della coerenza.

Accettare il Messia, in questo caso Gesù, significa trovarsi tutto il mondo contro o, per lo meno, reticente.

Tutti sperano che si sveli l'imbroglio, che si ritorni alla malattia ed alla rassegnazione, oppure allo svelamento dello stratagemma per poter dire che il mondo è malvagio, che si strumentalizza la religione, che non può avvenire nulla di splendido nel mondo dove Dio vuole abitare.

Il cieco difende la sua verità e ritiene che la luce che sta vedendo debba essere il paradigma del suo linguaggio. Come vede così manifesta e difende. Non può negare che ora vede né vuole negare la sofferenza e la fatica del precedente non poter vedere. E si stupisce che non si voglia credergli, e non capisce del perché dei secondi fini che essi caparbiamente portano, mentre pretendono di smascherarlo.

Il cieco si stupisce di questa ostinazione nel non voler accettare, mentre resiste l'insistenza di continuare ad interrogarlo.

Il cieco è una persona generosa e onesta. Alla fine scambia, in uno squarcio di fiducia, questa insistenza come una ricerca di verità e chiede: "Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?" (v 27). Lo investono di improperi poiché continuano a pensarlo un castigato e un imbroglione: se era cieco, aveva peccato; se ora mantiene la versione della guarigione strumentalizza la religione e tradisce Dio imbrogliando.

Chi ha sperimentato l'amore di Dio resta solo, scacciato dalla sua comunità e quindi un rifiutato. Ma allora Gesù lo va a cercare e completa nella luce l'incontro. Prima aveva suggerito di andare alla piscina, ora suggerisce di guardarlo nella luce e riconoscerlo come la pienezza di Dio che si incarna: "Il Figlio dell'uomo", nel linguaggio di Daniele, è anche il trionfatore, alla destra di Dio che giudica il mondo.

Il cieco che vede accoglie gioioso e dice :"Credo". Davanti a Caifa Gesù riprenderà il significato del Figlio dell'uomo" e sarà bestemmiato, giudicato e condannato a morte (Mt 26,64). Ma qui il Figlio dell'uomo è solo benedetto dal cieco che vede e da tutti quelli che, ciechi, ricupereranno la luce.
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