Dedicazione del Duomo di Milano (Anno C) (20/10/2013)

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ulisseitaca
00venerdì 18 ottobre 2013 11:40
Dedicazione del Duomo di Milano (Anno C) (20/10/2013)
Vangelo: Is 60, 11-21; 1Pt. 2, 4-10; Eb 13, 15-17. 20-21; Lc 6, 43-48 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: Lc 6,43-48)

Introduzione

Nel mondo ebraico la presenza divina aveva un particolare riferimento al tempio, chiamato perciò spesso "casa di Dio". Dopo Gesù però la presenza di Dio non è più, fondamentalmente, in un edificio.

E' la comunità cristiana il nuovo tempio (2 Cor 5,16-17: "Noi siamo infatti il tempio del Dio vivente, come Dio stesso ha detto"). La comunità, ovunque si trovi, in un edificio o all'aperto, nel Duomo o in un capannone, celebra nel mistero la presenza di Dio in Gesù attraverso i segni consegnatici da Lui nella Chiesa (i Sacramenti). Certo, nelle Chiese cattoliche noi conserviamo l'Eucarestia che è il mistero di Gesù celebrato in assemblea e che ci rimane per il dono dell'adorazione a per chi ha bisogno della comunione.

E quindi Dio è nel cuore di ciascuno che opera nella vita quotidiana, attraverso la consapevolezza di essere figli di Dio e l'operosità suggerita dalla volontà di Dio nel proprio cuore.

Isaia 60, 11-21

Il popolo di Gerusalemme è orgoglioso di avere un tempio che Dio stesso ha eletto come sua dimora sulla terra. I testi che stiamo leggendo si riferiscono al terzo Isaia, un profeta anonimo i cui scritti (cc 56-66) sono stati inseriti nel grande libro di Isaia, vissuto circa tre secoli prima. Siamo al ritorno da Babilonia dopo l'esilio (587-538 a.C.), nel tempo in cui si sta ricostruendo la Gerusalemme distrutta e si sta soprattutto ricostruendo il Tempio di Gerusalemme (dal 520 a.C. in poi). Tutto costa fatica poiché è un popolo senza risorse, povero, sradicato un tempo ed ora profugo. Il ritorno ha riempito di speranza e di sogni molti che hanno accettato la fatica del cammino (non tutti), ma ora si ritrovano con i grandi problemi della ricostruzione.

Perciò, da una parte si fidano di Dio che non abbandona, se ha permesso, per circostanze strane e drammatiche, di essere liberati da Ciro, re del popolo vincitore dei Medi su Babilonia, e perciò sentono di essere grati a Dio ed alla sua provvidenza. Questo testo corrisponde al sogno che il profeta apre davanti, come garanzia di Dio. Ogni elemento è di speranza e di benessere, di fiducia e di pace.

Lasciare aperte le porte suppone che non si temono né ladri né scorrerie di predoni. E il tempio accoglierà le genti (sono popoli pagani e potenze straniere) che vengono a rendere omaggio all'unico Dio, e quindi arrivano a Gerusalemme che è il popolo alleato di Dio. Le immagini, che scorrono davanti agli occhi, ricordano i bassorilievi assiro-babilonesi con i re vinti in ginocchio "proni alle piante dei piedi" del re vincitore.

Conseguenza di questi riconoscimenti e vittorie è la ricchezza che affluisce. Il primo segno di benessere è lo splendore del giardino in una città. L'abbondanza del legname (v 13) ci riporta alla bellezza e all'abbondanza del tempo di Salomone che, allora, aveva utilizzato il legno delle foreste del Libano per il tempio ed ora lo stesso legname può essere utilizzato per la città.

Poi le importazioni abbondano in metalli preziosi, utili per le costruzioni e per lo sfarzo: oro, argento, bronzo e ferro sostituiscono il materiale povero di cui si debbono servire. L'altro segno di fiducia è la pace, garantita sulla terra di Gerusalemme. Quindi il sorgere della luna e il sorgere del sole non sono più considerati portatori di luce perché c'è uno splendore più grande che è Dio. La stessa immagine sarà ricordata in Apocalisse 21,23, quando, alla conclusione del mondo, si apriranno "cieli nuovi e terre nuove" (Ap 21,1). In una visione apocalittica l'unica luce abbagliante e gioiosa nel mondo sarà quella di Dio che non tramonta mai e sostituirà ogni altra sorgente luminosa. Probabilmente, ci si riferisce alle credenze di Canaan per cui il sole e la luna si considerano divinità. Gerusalemme è un popolo di giusti e non sarà tentato da alcuna idolatria. Solo Dio sarà salvezza. Egli solo brillerà come luce eterna, perenne, per Sion.

Oppure

1 Pt. 2, 4-10

Il tempio di Gerusalemme era costruito sulla roccia e questo diventa un richiamo fondamentale per il nuovo tempio: è l'assemblea cristiana, costruita sulla "pietra scartata dagli uomini e diventata testata d'angolo" (Sal 118,22). La nuova roccia, pietra scartata, è Cristo, il Figlio di Dio che è venuto tra noi, uomo come noi. E su questa roccia si sono aggiunte altre pietre, altri credenti, tutti quelli che hanno fede in lui. Insieme si costruisce un "edificio spirituale", un tempio nuovo dove non si offrono animali o agnelli, ma vita e operosità gradite a Dio, scelte sulla scelta e sull'amore di Gesù al Padre. Su Gesù si costruisce il popolo nuovo che si allarga a tutto il mondo, il popolo che ha ricevuto l'eredità da Israele. Insieme camminiamo nella promessa di Dio.

"Sarete per me una proprietà particolare fra tutti i popoli,... sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa". La nuova Gerusalemme, l'Israele nuova, si carica di tutte le promesse di Dio al mondo e le accoglie, le custodisce, le matura perché sulla terra, via via, possano attecchire nel terreno come seme vivo, come vita grande. Così il mondo si rigenera, accettando di camminare nella speranza, di intravedere le scelte nuove che Gesù porta e che la sua comunità sperimenta. Siamo chiamati a verificare, ad intuire, a scoprire i segni di Dio nel mondo, il bello che sparge a profusione e che può essere percepito da chi ha il cuore puro, la speranza viva nonostante la fatica e gli interrogativi, intuendo per sé e per altri la straordinaria ricchezza.

Pietro, in questa sua lettera, apre il cuore a coloro che credono: "Onore dunque a voi che credete" (v 7) e non si fa fatica a pensare ad una esclamazione di gioia e di sorpresa per i nuovi cristiani nella notte di Pasqua, che accettano di unirsi al popolo cantando e glorificando il Signore.

Eb. 13, 15-17. 20-21

Alla conclusione della "Lettera agli ebrei" l'autore è consapevole di aver operato, scritto e insegnato con coerenza e amore ai suoi destinatari. Vuole lasciare alcuni ultimi sintetici messaggi che riescano a richiamare ciò che ha sviluppato lungamente. Perciò ci distacchiamo dal culto, che risale a Mosè, ed agli animali sacrificati. Ora il culto più profondo nasce dal cuore ed è un sacrificio di lode, carico del riconoscimento di Dio e della fede maturata attraverso Gesù. Da questa fede nascono alcune convinzioni che hanno lo spessore del dono a Dio: "la beneficenza e il mettere in comune ciò che si ha" (v 16). Lo sforzo e l'impegno per la coesione interna della comunità suppongono obbedienza, partecipazione e solidarietà con i responsabili (capi e guide) poiché compiono un compito difficile, gravoso e spesso faticoso, soprattutto quando non trovano collaborazione ma diffidenza. Ma ci si rende conto che una comunità deve saper sostenere la fatica e lo sforzo dell'unità.

Il testo di oggi conclude con un augurio di pace che si appoggia a colui che è fonte di grazia e fonte di consolazione: il Dio della pace, che ci è stato comunicato da Gesù, e che ha rinnovato una Alleanza eterna.

Egli saprà dare sufficiente forza a ciascuno di noi perché, nel mondo, compiamo ciò che è gradito a Lui. C'è sempre un collegamento stretto tra l'assemblea in cui Dio si riconosce Alleato, la presenza dell'amore di Gesù che rende eterno e incommensurabile questo incontro, l'operosità di amore nel mondo, la testimonianza e la gioia profonda di un cammino fiducioso.

Luca 6, 43-48

Siamo, con il vangelo di Luca, nella lettura parallela del discorso "sulle beatitudini" riportato da Matteo (capp 5-7). Si riscontrano tuttavia alcune differenze, date dal contesto per cui l'evangelista scrive. Matteo ha davanti un popolo di poveri che è assetato della Parola nuova di Dio e il continuo sguardo critico dei farisei, dotti e diffidenti, anzi avversari accaniti di Gesù per i loro presupposti che li rende assolutamente incapaci di accettare Gesù. Luca invece si preoccupa della sua comunità che vive in una cultura greca e che è, certamente, costituita da discepoli e che, tuttavia, almeno alcuni, mantengono difetti e rigidità proprie di persone superficiali.

Se riprendessimo la lettura del Vangelo di oggi al versetto 39: "Può forse un cieco guidare un altro cieco?", scopriremmo che Luca fa una profonda ricerca, analizzando i limiti della sua comunità, ma con la speranza di aiutare a crescere. I difetti, che emergono tra i credenti, dice Luca, ci fanno scoprire ciechi alla misericordia (v 39), presuntuosi (v 40), duri nel valutare gli altri e indulgenti verso se stessi (v 41), sicuri di non aver bisogno del perdono (v 42). Così ci viene posto il problema di un esame di coscienza da fare su noi stessi e, nonostante Luca utilizzi la stessa similitudine di Gesù sul costruire la casa, pone accenti diversi. Matteo ci dice che la bontà o meno di una persona si valuta dai frutti. Luca pone il problema di ciò che si insegna sul fare. In fondo, Luca vuol fare una verifica per i maestri che insegnano ed hanno responsabilità nella Comunità cristiana.

Non basta avere fede, non basta pregare dicendo "Signore, Signore". E' necessario fare quello che Gesù vuole.

E' il messaggio che offre. Ma come so che quello che offro è buono o cattivo? Debbo verificare le fondamenta del mio vivere e rendermi conto se le appoggio alla roccia, avendo prima faticosamente scavato fino ad arrivarvi.

In altri termini, ciò che insegno deve nascere dal cuore. Ma quello che mi nasce dal cuore, si misura veramente sulla Parola del Signore e sulla sua volontà?

In questi mesi stiamo, con sorpresa, seguendo i messaggi e le parole di Papa Francesco. Scopriamo che in lui ci sono una grande libertà e una grande consapevolezza. Ma ci ricorda continuamente, e nessuno lo può negare, che le sue parole si ricollegano con semplicità e profondità alle scelte di Gesù, scombinandoci le immagini di grandezza, di pienezza e di potere, di ostentazione, di sfoggio, di sontuosità e di sfarzo che molte volte lo ritenevamo dovuto per un Papa.

Egli ci chiede di riprendere le raccomandazioni di Gesù. Non solo bisogna fare opere buone e frutti, ma ciò che si fa e ciò che si insegna va scavato fino ad arrivare alle fondamenta della Parola di Gesù, ripensata nell'oggi.

Abbiamo continuato a utilizzare immagini edilizie, eppure abbiamo abbandonato gli edifici e ci siamo incamminati sulle strade dell'accoglienza, sulle esigenze di disegni e di progetti di vita, sulle coesioni di una comunità che costruisce la pace. Siamo chiamati alla responsabilità di verificarci sulla Parola di Gesù, sempre da ricercare, sempre da interpretare, sempre da affrontare con trepidazione. Ci sono garanzie? Il Papa sa di avere, come compito, di aiutarci a cercare Gesù. Egli ci incoraggia a desiderare di trovarlo, a vivere nella libertà più profonda che viene da Cristo; ci anima a pregare per la Chiesa, per il mondo ed anche per il suo ministero, e resta fedele al suo compito di pastore che ci vuole liberi e misericordiosi. E ci sa dire parole vere di santità e di fedeltà.

Noi cerchiamo da lui le garanzie? Dobbiamo cercare da lui
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