CORSO BIBLICO SUI PROFETI

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Coordin.
00giovedì 15 novembre 2012 22:59

I PROFETI

SOMMARIO PROFETI 1

I profeti 2

LA LECTIO DIVINA 3

TAVOLA CRONOLOGICA 2 11

COLLOCAZIONE CRONOLOGICA DEI PROFETI 14

Vicende storiche più importanti connesse con 1'attività profetica. 19

Samuele 23

Natan 26

Elia 27

I profeti scrittori 33

Amos 33

Osea 39

Isaia 45

Il libro di Isaia 53

Sofonia 60

Geremia 63

Gli ultimi re di Giuda 71

Ezechiele 79

Il secondo Isaia 90

Giona 107

 

Coordin.
00giovedì 15 novembre 2012 23:00

Entriamo ora in argomento incontrando un profeta intimo amico di Gesù: Giovanni il Battista.

Lettura di Mt. 3 , 1-10.

Leggiamo questi versetti in quanto io credo che il profeta che di solito ci immaginiamo corrisponda un po' a Giovanni il Battista, anche nel suo aspetto fisico. Di conseguenza non riusciamo, ad esempio, a raffigurarci Isaia, i cui testi leggiamo molte volte durante 1'anno liturgico, se non sulla falsariga della descrizione del Battista fatta da Matteo, anche se magari sarà stato molto diverso da lui.

 

Al v.7 si parla di farisei e di sadducei.

I farisei costituivano all'interno dell'ebraismo un gruppo religioso che metteva in pratica non solo la "Torah" - la Legge - ma anche la "Mishnah" - tutta la tradizione -, cioè tutti i commenti dei maestri autorevoli alla Legge. Così , ad esempio, mentre la Torah stabiliva 1'obbligo di offrire ai sacerdoti la "decima" del grano e dell'orzo, la Mishnah aveva esteso 1'obbligo stesso a tutti i prodotti della terra, compresi i più insignificanti.

Ricordo, per inciso, che il fariseo doveva osservare ben 633 comandamenti.

I farisei erano poco numerosi, ma presso il popolo godevano la fama di santi. Fra di loro si trovavano i "dottori della Legge" ai quali ci si rivolgeva per la soluzione di qualche controversia riguardante 1'interpretazione della Torah e della tradizione. I sadducei costituivano un altro gruppo religioso che, a differenza dei farisei, non credeva nella risurrezione. Erano sostanzialmente gli appartenenti alle grandi famiglie sacerdotali ed erano sostenitori dei romani pur di mantenere potere e ricchezze. Mettevano in pratica la Legge ma non osservavano la tradizione.

Giovanni il Battista chiama "razza di vipere" i farisei e i sadducei e si presenta nel nostro brano come un profeta un po' strano, eccentrico, che abita nel deserto e che incita alla conversione.

Lettura di Lc 3 .1-6

Notiamo che i due evangelisti ci presentano due sottolineature diverse: Matteo ci invita alla conversione citando solo un versetto del brano di Isaia (40,3), mentre Luca motiva la necessità della conversione con il seguito del brano del profeta (40,3-5): "Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!".

Ciascun evangelista ha un suo progetto finalizzato alla migliore comprensione della comunità per la quale scrive: Matteo si rivolge agli ebrei convertiti e Luca, invece, ai pagani divenuti cristiani.

E' bene sottolineare che le differenze tra i vangeli sinottici non sono mai casuali.

Con quali termini nella Bibbia vengono definiti i profeti?

A - La parola più usata - ben 309 volte- per indicare il profeta è in ebraico "nabi" , corrispondente in

greco a "prophetéses". Il termine greco deriva da 'pro" e da 'phemí" (=parlare). "Pro" è una preposizione con diversi significati, come "davanti" (da cui "parlare pubblicamente") oppure "al posto di" (da cui "parlare a nome di qualcuno"). Potremmo quindi dire, facendo una sintesi, che il profeta è colui che parla a nome di Dio davanti al popolo.

Il termine ebraico "nabi" ha una radice con due significati:

1 ) far bollire, esalare, espandere e, in senso metaforico, enunciare enigmi in modo insensato. Qui è facile ricordare la tragedia greca con il culto di Dioniso, un dio - il Bacco dei latini - che a un certo momento invasava le sacerdotesse, i sacerdoti, le baccanti e parlava attraverso loro;

2) proclamare, chiamare.

Allora, se lo intendiamo in senso attivo, il profeta è colui che proclama, mentre in senso passivo è colui che viene chiamato.

Pensiamo alla descrizione di Giovanni Battista fornitaci da Luca (3,2) e che rende molto bene questo significato "...la parola di Dio scese su Giovanni...". Ciò significa che Giovanni non ha scelto, ma è stato scelto; è stata la parola a pervaderlo.

B - Altro nome ebraico adoperato ( 17 volte) è "hozéh" e significa "colui che ha delle visioni", "il veggente". Questo termine va letto sia in senso positivo che negativo.

In senso negativo significa che colui che vede è matto oppure ha assunto droga; in senso positivo indica colui che ha delle visioni mandate da Dio. Potremmo definire il veggente con una parola della grande tradizione cristiana: un mistico.

I profeti, comunque, sono dei precursori.

C - Un terzo modo per definire in ebraico il profeta è "ro'éh", ossia "il veggente", ed è sinonimo di "hozéh". Nella Bibbia, però, non viene mai adoperato in senso negativo. Quando leggiamo questo termine sappiamo che la visione avuta da un certo profeta costituisce un messaggio di Dio. Si tratta di una persona che comunica con il divino, anche se non sappiamo come, e che vede cose che noi non vediamo.

Chi è e cosa fa il profeta in rapporto al popolo?

Nella Bibbia il profeta risulta sempre collegato al popolo. E' "somer", il guardiano del gregge, cioè colui che fa la guardia del popolo a nome di Dio.

Con altro termine, ripreso dal gergo militare, è "sofeh", sentinella. Secondo questo significato il profeta è colui che fa da sentinella al popolo e lo avvisa quando si presenta un pericolo. E il nemico è il peccato del popolo.

Alcuni profeti fondarono delle scuole e vennero chiamati anche padri o madri, in senso spirituale, e diedero così inizio a una stirpe-scuola profetica (come, ad esempio, la grande scuola profetica di Isaia) lasciando un seme destinato a svilupparsi.

Allora il profeta in rapporto al popolo è un guardiano, una sentinella, un padre o una madre.

Chi è e cosa fa il profeta in rapporto a Dio?

Teniamo presente che senza il popolo e senza Dio non si ha il profeta.

In rapporto a Dio il profeta viene definito nell'Antico Testamento con tre termini:

I - uomo di Dio - Viene usato tipicamente per due personaggi - Mosè e Davide - e poi applicato ai profeti. (Ricordo che tutti noi con il battesimo siamo diventati profeti, re e sacerdoti)

II - angelo di Jahve - "Angelo", dal greco, significa "messaggero", "annunciatore" ; Quindi il profeta è colui che annuncia i messaggi di Dio.

Noi annunciamo il messaggio divino a quante persone?

III - servo di Jahve - In questa espressione "servo" è inteso come colui che fa in pienezza, sempre, completamente la volontà di Dio.

Nella mia vita, quindi, non deve esserci nessun altro padrone che il Signore. Togliamo, allora, dal nostro bagaglio mentale 1'idea che il profeta sia colui che prevede il futuro. Infatti il profeta è colui che vive in comunione con Dio. il quale gli affida i suoi messaggi perché li riporti fedelmente al popolo.

Caratteristiche della profezia biblica:

1 ) comunicazione del mondo divino con il mondo umano attraverso un intermediario. Due mondi che entrano in collegamento attraverso un uomo. Ne consegue che noi dobbiamo essere collegamento tra Dio e il mondo di oggi. Da ciò discende 1'importanza per noi del discernimento, ossia della capacità di capire il tempo in cui viviamo, 1'oggi, senza alcun rimpianto per il passato che non è certamente più glorioso del presente;

2) illuminazione interiore in quanto la profezia non è frutto di una ricerca del profeta. Vi ricordo che le illuminazioni interiori non sono proprie dei profeti biblici; possono avvenire anche oggi, ma dobbiamo pregare per averle;

3) messaggio non sollecitato, cioè non richiesto.

Potremmo allora dire che il profeta è un uomo chiamato a parlare ad Israele perché questo popolo proceda nella fede e sia sempre fedele al Signore. Ma ciò che caratterizza il profeta è 1'essere "uomo della Parola".

Come abbiamo detto prima, il profeta è uomo di Dio, angelo di Jahve e servo di Jahve. E questo Signore si manifesta attraverso la Parola.

Noi sappiamo dalla Bibbia che la parola di Dio è ben diversa dalla nostra che viene pronunciata, ma di per sé non produce effetto. Troviamo conferma dell'efficacia della Parola divina, ad esempio, in Genesi 1,3 "Dio disse “Sia la luce!” e la luce fu."; in Gv 5,8: "Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina."; e, ancora, in Gv 11,43: "Lazzaro, vieni fuori!". La parola di Dio si realizza sempre.

Il profeta è 1'uomo della parola di Dio e non della propria. Di conseguenza la parola del profeta, come quella divina, risulta efficace. E' una Parola che distrugge, crea, sollecita, solleva, abbatte, secondo ciò di cui ha bisogno il popolo.

Ma la parola di Dio può anche venire meno. Ed in alcuni episodi della Bibbia troveremo il profeta che non accetta il diritto di Dio di tacere in quanto è un uomo con tutte le sue debolezze. Allora vedremo il profeta che si sforzerà di inventare qualche parola spacciandola per la parola di Dio e sarà così un profeta di menzogna.

La Parola è veramente la "signora" nella vita del profeta il quale vede la realtà, ma soltanto Dio gliene rivela il senso profondo. II lezione

I profeti - continuazione

Nella prima lezione abbiamo evidenziato alcuni elementi che qualificano il profeta, un uomo che si impegna su vari fronti, che si confronta con diverse realtà.

I Confronto: con il popolo infedele alla legge di Dio.

Da questo importante elemento emerge la dimensione sociale dei profeti.

Il popolo è infedele a causa dell'idolatria e dell'inosservanza del comandamento dell'amore per il prossimo, costituito in particolare dalle categorie deboli: vedove,

orfani, stranieri.

II Confronto-scontro: con il sacerdozio, perché i sacerdoti utilizzano spesso il culto a Jahve per i propri scopi (arricchimento, potere, ecc.).

III Confronto: con il re.

I profeti non avevano remore nel parlare chiaro. Il re che è infedele, che non pensa al bene del popolo, che non protegge la vedova, 1'orfano e lo straniero, cadrà sotto la spada verbale del profeta.

IV Confronto: con i falsi profeti.

Nella storia d'Israele troviamo molti profeti e molti falsi profeti. Questi ultimi, per servilismo verso il re e i potenti oppure per tornaconto personale, invece di ripetere le parole di Dio dicevano le proprie, anche a scapito della sicurezza del popolo.

Il profeta, quindi, è colui che legge la storia non come un insieme di vicende umane ma come storia della salvezza. In questa storia, apparentemente solo umana, Dio è presente

e agisce misteriosamente.

Il profeta che coglie negli avvenimenti i segni della presenza divina, se necessario, critica il presente e propone un futuro alla luce del passato, cioè alla luce dell'Esodo.

Il profeta si potrebbe definire un "restauratore" in quanto vorrebbe cambiare radicalmente le situazioni, ripristinare il potere divino, ritornare al tempo in cui Jahve era veramente il Signore del suo popolo e in cui Dio era lo sposo fedele e il popolo la sposa fedele. Si tratta di un "restauro" proiettato in chiave messianica sul futuro.

I generi letterari presenti nei libri dei profeti.

I - gli oracoli, ossia le parole pronunciate dal profeta che le ha ricevute direttamente da Dio. (Erano famosi anche nel mondo pagano gli oracoli, come, ad esempio, quelli di Apollo delfico e della Sibilla cumana).

Gli oracoli si suddividono in vari sottogeneri letterari:

1 - le sentenze contro un privato. ' Lettura di Amos 7,16-17.

Qui Amos polemizza con il sacerdote Amasia che lo accusa e lo scaccia dal tempio di Betel. Il profeta si difende con una sentenza di condanna pronunciata in nome di Dio contro Amasia e tutti i suoi parenti.

Questo è un esempio di sottogenere letterario che incontreremo spesso negli scritti profetici;

2 - le sentenze contro Israele.

Isaia 30,12-14 - lettura;

3 - le invettive o i guai

Abacuc 2,6b-7 e - inoltre - 9,12,15,19 - lettura;

4 - 1'azione giudiziaria, cioè un processo immaginario che Dio intenta contro il popolo o una sua parte.

Lettura di Osea 4,1-3 in cui è evidente 1'azione sociale dei profeti; i peccati non

sono soltanto contro Dio, ma anche contro 1'uomo;

5 - il dibattito (del Signore con gli accusati)

Geremia 2,23-25 - lettura

Qui 1'accusata è Gerusalemme che Dio paragona a una cammella o a un'asina nel deserto;

6 - la comparazione

Lettura di Ezechiele 4,1-4.

Abbiamo in questo caso un paragone per far capire quale sarà la sorte della città di Gerusalemme;

7.- 1'allegoria

Ezechiele 17 - lettura

Nel nostro capitolo vengono usate delle immagini, in questo caso 1'aquila, per simboleggiare altre realtà;

8 -le lamentazioni (genere molto frequente).

Amos 5,1-3 - lettura - Si tratta di uno dei tanti lamenti sulla sorte di Israele;

9 -1'istruzione profetica.

Lettura di Michea 6,6-8 in cui si parla del culto autentico;

10 -le sentenze contro i nemici di Israele

Isaia 10,5-15 - lettura;

11 - gli oracoli di salvezza

Isaia 40-55 - lettura;

12 - le esortazioni

Sofonia 2,3 - lettura;

13- le escatologie, cioè le visioni riguardanti i tempi ultimi.

Lettura di Zaccaria 14.

II - le narrazioni-(genere letterario molto diffuso):

1 le vocazioni, cioè le chiamate.

Lettura di Geremia 1,4-10.

In questi versetti leggiamo tutto quanto è stato detto nella precedente lezione sui profeti. Si tratta di un brano stupendo che dovrebbe essere attualizzato per ciascuno di noi: la nostra chiamata battesimale, la chiamata al matrimonio ecc..

E' un brano che segna gli inizi anche della mia vocazione: quando iniziavo a sentire "qualcosa" il diacono con il quale mi sono confidato mi ha fatto avere un testo nel quale veniva commentata la vocazione del profeta Geremia. Probabilmente la mia esperienza ricalcava un po' quella del profeta, soprattutto riguardo alle paure.

Dio, che ci ha pensato dall'eternità, ci donerà tutto quanto è necessario per realizzare in pienezza ciò che ci chiede;

2 -i sogni

Lettura di Zaccaria 1,7 e seguenti.

Spesso ai profeti la volontà e la parola di Dio si manifestano attraverso i sogni. Anche in una certa parte del Vangelo di Matteo i sogni hanno un'importanza notevole (ricordiamo 1'angelo apparso in sogno a Giuseppe - Mt. 1, 20-21);

3 - le visioni

Amos 7, 1-9 lettura;

4 - le audizioni

Isaia 5,9 - lettura;

5 - i racconti biografici e autobiografici

lettura dei capitoli 26, 27, 28 e 29 di Geremia;

6 - le azioni simboliche

Ezechiele 24, 15-21 - lettura

A1 profeta Ezechiele viene richiesto da Dio di tenere un comportamento assurdo in occasione della morte della moglie con lo scopo di far comprendere agli Israeliti che, nonostante sia stato loro tutto distrutto e i loro figli siano caduti di spada, essi continueranno nella condotta cattiva che li porterà alla perdizione. Lettura di Osea 1,2-9.

III - Le parole rivolte a Dio

Lettura di Geremia 20,7-18 - "Estratti diversi dalle Confessioni"

Si tratta di un brano bellissimo. Geremia è un uomo solo, è perseguitato: ha soltanto il Signore.

La vita di questo profeta ha avuto grandi slanci verso Dio e grandi momenti di sconforto; egli, però, affermava "...nel mio cuore c'era come un fuoco ardente...mi sforzavo di contenerlo ma non potevo..." (20,9);

IV un gruppo misto che comprende:

1 - le canzoni

Lettura, come esempio, di Osea 6,1-3;

2 - gli inni

Isaia 44 - lettura;

3 - le narrazioni storiche

Isaia 36-39;

4 - le letture

Lettura di Geremia 39. 

Coordin.
00giovedì 15 novembre 2012 23:02

I profeti sono persone profondamente radicate nel popolo e hanno a cuore i deboli e gli oppressi dei quali perorano le cause davanti al re. Dio ha chiamato questi uomini a calarsi nell'umanità del loro tempo per cercare di migliorarla.

Ci domandiamo se i profeti della parola e i profeti scrittori abbiano avuto qualche punto di riferimento precedente al loro tempo. Qualcuno prima di loro è stato indicato come profeta ("nabì")? Si, ad esempio, Abramo. Si può discutere sul fatto che questo termine gli sia stato applicato dopo la sua epoca, se durante la riforma di Giosia oppure - prima ancora - quando vennero elaborati i grandi testi. Appare, tuttavia, indubbio che grandi uomini come Abramo e Mosè abbiano avuto caratteristiche profetiche.

Ad Abramo viene attribuito il nome di "profeta" per la prima volta nell'episodio che vede protagonisti Sara e il re Abimelec (Genesi 20,7): "Ora restituisci la donna di quest'uomo: egli è un profeta: preghi egli per te e tu vivrai.".

Il termine profeta viene usato per indicare Abramo nel suo gesto di preghiera. Infatti egli è profeta perché prega; può pregare ed essere ascoltato.

Abbiamo certamente presente un'altra vicenda in cui Abramo prega ed è ascoltato e cioè quando Dio decide di distruggere Sodoma e il patriarca-profeta intercede a favore di quella città.

III lezione

I profeti - Inquadramento storico

Dopo le conquiste della terra promessa (1220 a.C. circa) nella quale rimanevano ampie zone occupate dalle popolazioni indigene, le tribù d'Israele furono governate dai "giudici". Il periodo del loro governo durò fino all'avvento della monarchia con Saul (dal 1030 al 1010 circa) e fu caratterizzato da guerre di conquista dei territori da parte delle singole tribù e da guerre di difesa dei territori contro le popolazioni locali e confinanti. Si definirono in quell'epoca i primi confini entro i quali undici delle dodici tribù (Levi, infatti, non possedeva terra) stabilirono i loro rispettivi territori.

Ultimo giudice e primo profeta fu Samuele (che era anche sacerdote) che diede inizio, su pressante richiesta del popolo è con il consenso di Dio, all'istituzione monarchica in Israele ungendo per primo re Saul della tribù di Beniamino. A Saul succedette Davide, anch'egli unto da Samuele, il quale regnò per i primi sette anni soltanto su Giuda (il sud) e per altri 33 anni su Giuda e Israele unite (il regno di Davide si colloca nel periodo dal 1010 al 970 a.C. circa). Israele e Giuda rimasero uniti ancora con Salomone, successore di Davide, che regnò dal 970 al 931 circa.

 

TAVOLA CRONOLOGICA 2

TAVOLA CRONOLOGICA 1220 a.C. ca.

conquista della terra promessa da parte degli Ebrei

dal 1200 al 1030 ca.

governo dei Giudici

Dal 1030 al 1010 ca.

regno di Saul (primo re)

Dal 1010 al 970

regno di Davide

Dal 970 al 931

regno di Salomone

931

suddivisione della PaIestina in due regni: Israele al nord (con capitale Samaria e re Geroboamo); Giuda al sud (con capitale Gerusalemme e re Roboamo)

VIII sec. a.C.

primi profeti scrittori

733 a.C.

annessione alla Siria di buona parte del territorio di Israele (Galilea e Galad)

722 a.C.

crollo del regno di Israele ad opera degli Assiri (re Sargon II°), distruzione di Samaria e deportazione in Assiria di buona parte degli abitanti (re Osea)

622 a.C.

rinvenimento a Gerusalemme del rotolo (libro) del Deuteronomio e inizio ad opera del re Giosia di una riforma religiosa

609 a.C.

il re Giosia viene sconfitto e ucciso nella battaglia di Meghiddo dal re egiziano Nekao

Dal 609 al 605 a.C.

il regno di Giuda diventa vassallo dell'Egitto

Dal 605 al 601 a.C.

il regno di Giuda diventa vassallo di Babilonia

Dal 601 al 597 a.C.

il regno di Giuda diventa vassallo dell'Egitto

597 a.C.

prima conquista di Gerusalemme da parte di Babilonia e prime deportazioni

Dal 597 al 587 a.C.

il regno di Giuda diventa vassallo di Babilonia

Dal 587 al 586 a.C.

ribellione di Giuda (re Sedecia), nuovo assedio, distruzione di Gerusalemme e del tempio da parte dei Babilonesi e nuove deportazioni

539 a.C.

Ciro re di Persia conquista Babilonia

538 a.C.

Ciro concede agli Ebrei il diritto di rientrare in patria con il tesoro del tempio

Dopo il 538 a.C.

rientro graduale degli esiliati in Giuda e ricostruzione del tempio iniziata nel 520 e terminata nel 515 a.C.

Dopo il 450 a.C.

nuove riforme religiose operate da Esdra e da Neemia

333 / 332 a.C.

conquista del Medio Oriente da parte di Alessandro Magno e inizio dell'epoca ellenistica

167 / 164 a.C.

la grande persecuzione degli Ebrei ad opera di Antioco IV .

 

TAVOLA CRONOLOGICA

1220 a.C. ca.

conquista della terra promessa da parte degli Ebrei

dal 1200 al 1030 ca.

governo dei Giudici

Dal 1030 al 1010 ca.

regno di Saul (primo re)

Dal 1010 al 970

regno di Davide

Dal 970 al 931

regno di Salomone

931

suddivisione della PaIestina in due regni: Israele al nord (con capitale Samaria e re Geroboamo); Giuda al sud (con capitale Gerusalemme e re Roboamo)

VIII sec. a.C.

primi profeti scrittori

733 a.C.

annessione alla Siria di buona parte del territorio di Israele (Galilea e Galad)

722 a.C.

crollo del regno di Israele ad opera degli Assiri (re Sargon II°), distruzione di Samaria e deportazione in Assiria di buona parte degli abitanti (re Osea)

622 a.C.

rinvenimento a Gerusalemme del rotolo (libro) del Deuteronomio e inizio ad opera del re Giosia di una riforma religiosa

609 a.C.

il re Giosia viene sconfitto e ucciso nella battaglia di Meghiddo dal re egiziano Nekao

Dal 609 al 605 a.C.

il regno di Giuda diventa vassallo dell'Egitto

Dal 605 al 601 a.C.

il regno di Giuda diventa vassallo di Babilonia

Dal 601 al 597 a.C.

il regno di Giuda diventa vassallo dell'Egitto

597 a.C.

prima conquista di Gerusalemme da parte di Babilonia e prime deportazioni

Dal 597 al 587 a.C.

il regno di Giuda diventa vassallo di Babilonia

Dal 587 al 586 a.C.

ribellione di Giuda (re Sedecia), nuovo assedio, distruzione di Gerusalemme e del tempio da parte dei Babilonesi e nuove deportazioni

539 a.C.

Ciro re di Persia conquista Babilonia

538 a.C.

Ciro concede agli Ebrei il diritto di rientrare in patria con il tesoro del tempio

Dopo il 538 a.C.

rientro graduale degli esiliati in Giuda e ricostruzione del tempio iniziata nel 520 e terminata nel 515 a.C.

Dopo il 450 a.C.

nuove riforme religiose operate da Esdra e da Neemia

333 / 332 a.C.

conquista del Medio Oriente da parte di Alessandro Magno e inizio dell'epoca ellenistica

167 / 164 a.C.

la grande persecuzione degli Ebrei ad opera di Antioco IV .

 

COLLOCAZIONE CRONOLOGICA DEI PROFETI

 

A - Profeti della parola

Samuele

giudice, sacerdote e profeta - epoca dei re Saul e Davide

Sec. XI a.C.

Natan

epoca del re Davide (secondo periodo del regno)

Sec. X

Gad

secondo periodo del regno di Davide

Sec. X

Achía

epoca del re Geroboamo - regno di Israele

Sec. X

Semaia

epoca del re Roboamo - regno di Giuda

Sec. X

Elia

epoca del re Acab - regno di Israele

Sec. IX

Eliseo

epoca del re loram - regno di Israele

Sec. IX

 

B - Profeti scrittori

Amos

epoca del re Geroboamo II - regno di Israele

Sec. VIII a.C.

Osea

periodo dei re Geroboamo, Zaccaria, Sallum, Menachem, Pekakia e Pekach - regno di Israele

Sec. VIII a.C.

Isaia (1-39)

epoca dei re (Iotam, Acaz ed Ezechia - regno di Giuda

Sec. VIII

Michea

opera nello stesso periodo di Isaia primo - regno di Giuda

Sec. VIII

Sofonia

periodo del re Giosia - regno di Giuda

Sec. VII

Naum

epoca del re Amon - regno di Giuda.

Sec. VII

Abacuc

epoca del re loiakim - regno di Giuda

Sec. VII

Geremia

periodo dei re Giosia, loakaz, loiakim, loiachin e Sedecia - regno di Giuda - a Geremia sono state attribuite dalla tradizione le "Lamentazioni"

Sec. VII e VI

Ezechiele

periodo dell'esilio a Babilonia dopo la prima deportazione con il re loiachin - regno di Giuda

Sec. VI

II Isaia (40-55)

epoca del rientro in patria dall'esilio in Babilonia

Sec. VI

Aggeo

Epoca del postesilio-anni della ricostruzione del tempio di Gerusalemme

Sec. VI

Zaccaria (1-8)

Opera nello stesso periodo di Aggeo

 

III Isaia(56-66)

Opera nel medesimo periodo di Aggeo e di Zaccaria (1-8)

 

Abdia

Epoca dell'esilio in Babilonia

Sec. VI

Malachia

Epoca del postesilio nel periodo della riforma di Esdra e di Neemia

Sec. V

Baruc

Prima parte dell'epoca dell'esilio in Babilonia (sec. VI) e seconda parte e redazione definitiva del I sec. a.C.

 

Giona

Epoca del postesilio

Sec. V

Gioele

Epoca del postesilio

Sec. V

II Zaccaria (9-14)

Periodo ellenistico

Sec. IV

Daniele

Ultimo profeta e primo scrittore apocalittico - epoca della rivolta dei Maccabei

Sec. II

 

 

Coordin.
00giovedì 15 novembre 2012 23:04

 Con Davide, che conquistò Gerusalemme rendendola capitale, si costituì effettivamente uno Stato che prese il posto di quella che era stata fino allora una confederazione di tribù. Davide trasferì 1'Arca dell'alleanza, che si trovava a Silo, a Gerusalemme e avviò la costruzione del tempio che venne poi realizzato da Salomone. Costui aveva esteso con le sue conquiste territoriali i confini d'Israele, aveva completato 1'organizzazione amministrativa e militare dello Stato e costituito una corte reale con un proprio apparato. Alla morte di Salomone 1'antagonismo fra le popolazioni del nord e quelle del sud, determinato anche dalla supremazia di Giuda e dall'accentramento delle ricchezze a Gerusalemme, portò alla divisione del regno in due stati: al nord Israele con il re Geroboamo e al sud Giuda (ridotto al territorio della sola tribù di Giuda) con il re Roboamo, figlio di Salomone. Alla frattura politica si aggiunse quella religiosa. Le due capitali furono stabilite al sud in Gerusalemme e al nord in Samaria.

Nel regno del nord vennero anche costruiti due santuari, uno a Betel e 1'altro a Dan, in modo che la pratica religiosa potesse svolgersi nel territorio d'Israele senza la necessità di recarsi al tempio di Gerusalemme. In quell'epoca nel regno del nord, più che a Giuda, si verificò una notevole contaminazione da altri culti, principalmente da quello cananeo di Baal, divinità delle fertilità.

Siamo nel X secolo a.C. e qui inizia un periodo caratterizzato da vicende politiche e militari che segnarono fortemente la vita del popolo ebraico e della Palestina il cui territorio era preda delle mire espansionistiche dei potenti vicini ad iniziare dall'Egitto e poi - in successione storica - dall'Assiria, da Babilonia, dalla Persia. Durante il periodo che va dall'XI al V-IV secolo a.C. si manifestò il fenomeno del profetismo che ebbe origine ancora prima del sorgere della monarchia con Samuele, considerato il primo profeta.

ll profetismo accompagnò la storia d'Israele e di Giuda dall'inizio alla fine dell'istituto monarchico quando, perduta definitivamente 1'indipendenza, il popolo ebraico dopo il rientro dall'esilio in Babilonia entrò a far parte dei possedimenti dei re persiani con una limitata autonomia. Le ultime voci profetiche compaiono sotto la dominazione persiana (V e IV secolo) e, dopo quasi tre secoli, all'epoca della persecuzione di Antioco IV re di Siria (metà del II secolo) con Daniele, considerato peraltro più che un profeta uno scrittore apocalittico.

Fu un periodo nel quale il culto subì gravi contaminazioni a causa dell'instaurarsi di credenze idolatriche (in particolare il culto di Baal), ma caratterizzato da grandi slanci di riforma e di restaurazione della purezza della fede nell'unico Dio.

Ricordiamo la riforma di Giosia nel 622 a.C., iniziata subito dopo il rinvenimento del secondo libro della Legge (il Deuteronomio) durante i lavori di riparazione del Tempio ed estesa anche a Israele, e le riforme di Esdra e di Neemia (tra il 450 e il 445 a. C.). Al termine dell'epoca persiana subentrerà, dopo la conquista da parte di Alessandro Magno del medio oriente, 1'epoca ellenistica il cui inizio è convenzionalmente stabilito con 1'anno 333 a.C. .

 

Vicende storiche più importanti connesse con 1'attività profetica.

I primi profeti di cui si ha notizia nella Bibbia si limitano alla predicazione e quindi non lasciano opere scritte. Questi operano dall'epoca di Samuele imo alla metà del secolo VIII a.C., quando appaiono i primi profeti scrittori, detti anche "profeti del libro" perché la loro opera è stata tramandata attraverso i c.d. libri profetici.

Questo periodo comprende quindi il regno di Saul, quelli di Davide e di Salomone e successivamente, dopo la divisione della Palestina, i regni di Israele e di Giuda. Vediamo, ad esempio, operare i profeti Gad e Natan alla corte di Davide, il profeta Achia alla corte dei re Geroboamo d'Israele e il profeta Elia con il re Acab ed Eliseo con il re Ioram (anche questi ultimi re d'Israele). Eliseo fu anche taumaturgo (da"zauma" = miracolo, prodigio). Gli ultimi profeti di questo gruppo assumono un atteggiamento sempre più distaccato dai regnanti per avvicinarsi agli interessi del popolo e per sostenere la purezza del culto e i diritti degli oppressi. Essi preannunciano i tratti caratteristici dal profetismo successivo, quello appunto dei "profeti scrittori".

Il popolo d'Israele fin dall'inizio della sua storia con 1'insediamento nella terra promessa e con le conquiste territoriali intrecciò rapporti commerciali con i popoli vicini; rapporti il più delle volte segnati da ostilità e da guerre, anche perché Israele cercò sempre di difendere la propria identità e la propria originalità religiosa in mezzo ai popoli idolatri. Un popolo che ebbe molti legami politici e commerciali con Israele fu quello dei Fenici, chiamati anche Cananei, organizzato non in uno stato unitario ma per città, situate sulla costa (in particolare Tiro e Sidone) che va dal Monte Carmelo a sud imo all'attuale costa della Siria a nord. Anche i Fenici subirono la sorte di Israele e di Giuda quando, all'inizio del sec. VIII a.C., si affacciarono verso i territori del Mediterraneo orientale gli Assiri

che con le loro mire espansionistiche tendevano alla conquista delle città fenicie della costa e della Palestina. Il popolo ebreo fu preda insieme ai Fenici delle conquiste degli Assiri prima e dei Babilonesi poi, subendo anche le conseguenze dell'intervento militare dell'Egitto che mirava alla conquista degli stessi territori e a contrastare 1'espansione dei regni mesopotamici. Per ultimo, ai Babilonesi si sostituirono i Persiani, i quali permisero il rientro in patria da Babilonia degli ebrei esiliati e dei loro discendenti.

Torniamo alle vicende dei due regni e alla fine dell'indipendenza di Israele e di Giuda. Nel 733 a.C. 1'Assiria si annette la Galilea e Galad lasciando a Israele soltanto la parte meridionale del territorio (Efraim). Nel 722 crolla il regno d'Israele ad opera del re assiro Sargon II, la capitale Samaria viene distrutta e buona parte del popolo finirà in esilio in Assiria senza poter tornare in patria. Nei territori conquistati i deportati furono sostituiti con popolazioni straniere. Le dieci tribù del nord erano così scomparse e il territorio del cessato regno d'Israele assunse il nome di quella che era stata la sua capitale, cioè Samaria, divenendo una provincia del regno di Assiria abitata dai Samaritani, una popolazione mista che adorava Jahvé insieme a idoli stranieri. A causa di questo sincretismo religioso i samaritani furono fortemente disprezzati dagli ebrei del sud del paese anche ai tempi di Gesù.

Il nome d'Israele da quell'epoca verrà rivendicato soltanto dal sopravvissuto piccolo regno di Giuda, come erede non soltanto dello Stato davidico ma anche della tradizione religiosa di tutto il popolo e del suo culto.

E il regno di Giuda, pur avendo conservato 1'indipendenza a costo di forti tributi, si trovò in condizioni di vassallaggio nei confronti del confinante regno assiro e attraversò un periodo di relativa tranquillità anche nel secolo successivo (il VII), perché iniziò presto il declino della potenza assira sotto la spinta dei Babilonesi.(o Caldei). In questo secolo si verificò nel regno di Giuda un ritorno al passato, in fatto di religione e di politica, caratterizzato da tendenze restauratrici.

Suscitò scalpore nel 622 a.C. a Gerusalemme, durante i lavori di restauro del tempio, il rinvenimento di un rotolo dalle origini oscure, che doveva essere stato scritto non molto tempo prima sotto influssi sacerdotali e profetici nel regno del nord e qui riportato e rielaborato. Tale rotolo - o libro - conteneva un grande discorso di commiato di Mosè prima della conquista della terra promessa e la rielaborazione della Legge del popolo di Dio. Il re Giosia riconobbe subito in quel libro la seconda legge (da qui il nome di Deuteronomio), lo presentò al popolo e concluse una nuova alleanza tra Jahvè e Israele. Da questi avvenimenti ebbe origine la nota riforma religiosa di Giosia; riforma che il re di Giuda volle estendere al nord dove giunse a distruggere il tempio idolatrico di Betel. Ma anche per Giuda si approssimava il tempo della fine. Il re Giosia viene sconfitto e ucciso dal re egiziano Nekao nel 609 nella battaglia di Meghiddo e il regno di Giuda diviene vassallo degli egiziani fino al 605 per passare da quell'anno al vassallaggio dei babilonesi imo al 601. Di nuovo vassallo dell'Egitto per un breve periodo, il regno di Giuda subisce una prima sconfitta da parte dei babilonesi che conquistano dopo un breve assedio Gerusalemme nel 597.

A quella conquista segue una prima deportazione a Babilonia di ebrei appartenenti alle classi sociali più elevate. Anche il re viene deportato.

Il nuovo re vassallo (Sedecia) si ribella nel 587 con 1'aiuto dell'Egitto e questo atto costa a Gerusalemme un nuovo assedio che si . conclude con la distruzione della città, il saccheggio del tempio e una nuova consistente deportazione che tocca la classe sacerdotale e i possidenti. Le terre dei deportati vengono assegnate dai babilonesi alla popolazione rimasta nelle campagne. Anche i profeti opereranno tra gli esiliati i quali in Babilonia trovano il lavoro e un certo benessere, la possibilità di vivere in propri quartieri e di conservare il culto, non più sacrificale, in attesa del rientro in patria.

Ai tempi dell'esilio in Babilonia si manifesta la diaspora anche verso altri stati, come 1'Egitto, che si estenderà successivamente ai territori dell'Asia Minore e del Mediterraneo orientale per poi raggiungere Roma.

L'esilio durerà 50/60 anni, fino all'avvento sulla scena del medio oriente della potenza persiana.

Ciro II, re di Persia, conquista Babilonia nel 539 e con il crollo dell'impero babilonese si apre la prospettiva di un rapido ritorno in patria degli esuli. L'editto di Ciro del 538 a.C. concede agli ebrei il diritto di rientrare a Genxsalemme e. si pongono quindi le premesse per la ricostruzione della città e del tempio. La Palestina entra a far parte dell'impero persiano come stato vassallo con i governatori inviati dall'imperatore. Ha inizio un periodo di relativa tranquillità che dura circa 200 anni imo all'arrivo di una nuova potenza, questa volta dall'ovest, quella greco-macedone di Alessandro Magno (333 a.C.). Il ritorno in patria degli esuli avviene gradualmente, ma non coinvolge tutti perché una parte di essi preferisce rimanere nei territori della deportazione.

La ricostruzione del tempio viene realizzata in tempi non brevi e termina nel 515 a.C., ma senza 1'arca mai più ritrovata. Al suo posto si conserva un candelabro a sette bracci (menorah) che diventerà dopo molti secoli, assieme alla stella di Davide, il simbolo dello Stato di Israele ricostituito nel 1948.

Dopo il tramonto della monarchia il nuovo tempio non sarà più proprietà del re, ma apparterrà al suo popolo. A1 vertice di Israele sarà ora il sommo sacerdote e la classe sacerdotale acquisterà sotto la dominazione persiana sempre maggior potere. Sotto 1'influenza di ambienti ebraici in Babilonia, in stretti rapporti con la patria, i re persiani curano la riorganizzazione dello stato. Due funzionari imperiali di origine ebraica, Esdra e Neemia, operano dalla metà del V secolo in poi (dopo il 450 a.C.) e realizzano una nuova riforma religiosa con la promulgazione in Giudea della Legge di Dio come legge del re, con il divieto di matrimoni misti e con la lotta ai culti stranieri e contaminati. A quell'epoca risale anche la ricostruzione delle mura di Gerusalemme. L'opera di Esdra e di Neemia è mirata al ripristino dell'identità tradizionale del popolo ebraico e alla rivalutazione della Legge contenuta nel Pentateuco.

La Giudea è divenuta territorio autonomo sotto la guida politica dei dominatori persiani. Il potere non appartiene più al re ma a Dio, che lo esercita non già su uno stato ma su

una comunità di credenti mediante il sacerdozio (ierocrazia) e la legge (nomocrazia). Abbiamo così in Giudea un stato non più monarchico, ma una comunità teocratica. Dobbiamo ricordare che nei secoli VI, V e IV il tempio riprese splendore e anche notevole importanza economica grazie agli oboli che provenivano dalle comunità della diaspora. La corrente profetica si estingue alla fine del V secolo (verso il 400 a.C.) con i profeti Malachia e Gioele e nel secolo IV con il II Zaccaria. Staccato nel tempo (quasi 3 secoli dopo) appare il libro di Daniele, considerato tra i libri profetici soltanto dalla Bibbia greca e latina, mentre nella Bibbia ebraica è compreso tra gli "altri scritti". L'opera di Daniele, profeta e apocalittico insieme, venne scritta in un periodo difficile e tormentato della storia dei giudei e precisamente durante la persecuzione di Antioco IV Epifane, tra il 167 e il 164 a.C..

In quell'epoca, scomparsa da tempo la dominazione persiana ad opera di Alessandro Magno, la Giudea era sottomessa ai Seleucidi di Siria e si apprestava ad acquistare, ad opera dei Maccabei, un breve periodo di relativa indipendenza che precedette il passaggio sotto 1'influenza e il dominio di Roma, avvenuto durante il I secolo a.C.. IV lezione

I profeti - continuazione

Riprendiamo quanto detto a proposito di Abramo nella precedente lezione. Se si è sentito il bisogno di dare ad Abramo la qualifica di profeta, significa che il profetismo costituisce una realtà fondamentale per il popolo ebraico.

Anche ad Aronne, fratello di Mosè, viene attribuito il titolo di profeta. Ripensiamo al racconto della vocazione di Mosè là dove (Es. 4,10-17) Dio gli comunica che, essendo lui "impacciato di bocca e di lingua" (v. 10), parlerà al suo posto Aronne al popolo. E sempre in Esodo al cap. 7 v. 1 leggiamo: "Il Signore disse a Mosè: “Vedi, io ti ho posto a far le veci di Dio per il faraone: Aronne, tuo fratello, sarà il tuo profeta ... "

Qui è significato chiaramente che il profeta è colui che parla al posto di un'altra persona. Mosè decide quanto deve essere comunicato a nome di Dio e Aronne parla in sua vece al faraone.

Un altro personaggio che nell'Esodo viene qualificato come profeta è Maria (in ebraico Miriam)~ sorella di Aronne.

Lettura di Es. 15. 20-21.

Il ritornello intonato da questa profetessa sembra essere il nucleo più antico del famosissimo canto di Mosè, che compare nello stesso libro dell'Esodo. Maria, che invita le donne a ballare e a cantare, ci fa pensare ad una componente del profetismo "estatico": la danza.

Anche Mosè viene descritto con caratteristiche di profeta nel cap. 11, 16 e segg. del libro dei Numeri nell'episodio che riguarda la scelta dei settanta anziani. Attraverso Mosè Dio fa scendere lo Spirito su di essi, perché possano profetizzare ed aiutare il patriarca ad amministrare la giustizia.

Nello stesso brano è contenuto 1'episodio riguardante due uomini (Eldad e Medad), rimasti nell'accampamento e non compresi fra i settanta, sui quali si era posato lo Spirito. Essi si misero a profetare senza che Mosè glielo impedisse.

A dire il vero, nella Bibbia Mosè non è definito "profeta" anche se ne ha tutte le caratteristiche. Infatti è colui che riceve lo Spirito e fa da tramite fra lo Spirito stesso e i settanta anziani.

L'ultimo personaggio che prendiamo in considerazione prima di entrare nella trattazione dei profeti veri e propri è una donna giudice: Debora. Viene citata nel libro dei Giudici al cap. 4 v. 4: lettura.

Ricordo che "Il cantico di Debora e di Barak" (Giudici 5) è uno dei più belli della Bibbia.

Appare, quindi, chiaro come già al principio della storia d'Israele la qualifica e le funzioni del profeta fossero presenti.

Iniziamo ora la trattazione di alcuni profeti della parola e del libro in base al nostro schema storico. Seguiamo 1'evolversi del profetismo secondo 1'epoca in cui i profeti operano (e non secondo la disposizione della Bibbia).

 

Coordin.
00giovedì 15 novembre 2012 23:07

Samuele

Il primo profeta sul quale ci soffermiamo è Samuele che era anche giudice e sacerdote. Osserviamo che i profeti precedono la monarchia e, anzi, è proprio Samuele colui che permette il passaggio storico importantissimo dall'epoca tribale a quella monarchica. E da tale passaggio prende inizio la vera identità nazionale del popolo ebraico.

Quindi, Samuele profeta, giudice e sacerdote traghetterà il popolo d'Israele - con il re Saul - dalla frammentazione tribale all'unità nazionale, che verrà poi completata da re Davide.

In Samuele sono presenti le caratteristiche di un profeta grandissimo, quale appare dalla lettura dei due libri che portano il suo nome.

Lettura di 1 Samuele cap. 3: "La chiamata di Dio a Samuele".

La Bibbia ci sta dicendo in questo brano che è difficile per noi riuscire da soli a capire la nostra chiamata e ciò che il Signore vuole da noi; abbiamo bisogno di "mediatori", ossia della Chiesa che fa da mediatrice tra Dio e i singoli. Da questo episodio, inoltre, scaturisce 1'esigenza - per il cristiano - di una direzione spirituale, che nell'episodio stesso viene svolta dal sacerdote Eli nei confronti di Samuele, con 1'invito a seguire il Signore che 1'ha chiamato.

La direzione spirituale (lo dice la parola stessa) consiste nel farsi guidare da una persona - che può essere un sacerdote, una suora o una persona di grande esperienza - nel pellegrinaggio della nostra vita, in modo da non smarrire la strada più breve che conduce al Padre.

Il nostro capitolo 3 racchiude in sé una teologia e una spiritualità stupende. Notiamo, in particolare, il v. 10 che riporta la risposta di Samuele al Signore: "Parla, perché il tuo servo ti ascolta." Evidenziamo che:

I il profeta è servo di Jahve;

II il profeta è colui che ascolta;

III prima ancora, il profeta è colui che permette al Signore di parlare.

Se così non fosse, Samuele diventerebbe un falso profeta, cioè una persona che ascolta se stessa.

IV Sottolineamo nel v. 19 un particolare interessante:

"Samuele acquistò autorità poiché il Signore era con lui...".

Ecco la quarta caratteristica: il Signore è con il profeta, non lo abbandona. Il v. 19 riprende quanto espresso nel v. 10: "Venne il Signore, stette di nuovo accanto a lui...". Eli, invece, divenuto peccatore, non ha più Dio accanto, tanto è vero che il Signore per parlargli deve usare come intermediario Samuele. Di lui Dio si fida e la fiducia è reciproca.

V Nel v.19b notiamo un'altra bella caratteristica - la quinta - che qui appare riferita a Samuele, ma che dovrebbe appartenere ad ogni profeta: "...né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole." Samuele viveva in profonda intimità con Dio tanto da recepire tutte le sue parole.

Ecco la grandezza del nostro profeta, uomo di Dio.

Da quanto ho detto è facile dedurre che il profeta è colui che vive totalmente in fedeltà, obbedienza e devozione a Dio.

Ciò significa - per noi - avere una sensibilità che ci permetta di accorgerci che il Signore parla in ogni istante della nostra giornata attraverso avvenimenti e persone che incontriamo. Si ha, così, una continua comunicazione tra Dio e noi e tra noi e Dio. Leggiamo ora alcuni brani che ci danno la misura della grandezza di Samuele, così diverso dai profeti scrittori che verranno dopo di lui.

1 Sam 9. 26b-27 e cap. 10,1 (E' consigliabile leggere tutto il cap.9 in cui si profila la figura di Saul). Siamo di fronte a un rito fondamentale che il sacerdote e profeta Samuele compie: 1'unzione di Saul. primo re di Israele.

Con il Battesimo diventiamo re, sacerdoti e profeti, attraverso 1'unzione con il crisma. Nella Cresima, poi, si ha un "rafforzamento" dell'unzione battesimale.

Altro sacramento in cui viene usato il crisma è 1'Ordine, che è attribuito dal vescovo, che possiede la pienezza del sacerdozio, mediante 1'unzione.

Lettura di: 1 Sam. 13,7-15 ("Rottura fra Samuele e Saul");

1 Sam. 15,10-23

Saul è il primo re infedele perché non esegue interamente 1'ordine del Signore, che gli impone lo sterminio ( "cherem ") di tutto il popolo sconfitto degli Amalechiti e del suo bestiame, risparmiando il re e parte del bestiame stesso. Secondo tale usanza, cioè lo sterminio sacro del popolo sconfitto, dovevano essere sterminati uomini e animali (in pratica ogni essere vivente) perché tutti gli esseri uccisi andavano offerti come vittime sacrificali a Dio.

L'uccisione degli uomini e degli animali mediante sgozzamento è un rito vero e proprio che si ritrova ancora oggi nel rituale di macellazione del bestiame praticato dagli ebrei ("Kosher") e dai musulmani osservanti.

Possiamo vedere il "cherem" come una guerra santa, nella quale tutti gli essere viventi del nemico dovevano essere immediatamente sacrificati a Jahve senza la possibilità di fare alcun bottino. E tutte le proprietà del,nemico dovevano confluire nel tesoro del tempio, in quanto nessun vincitore poteva appropriarsi di qualche cosa.

Saul perde il favore del Signore perché gli ha disubbidito risparmiando dallo sterminio ( "cherem ") una parte del bestiame e il loro re Agag.

Dovremmo abituarci nella lettura dell'A.T. alla concezione di un Dio guerriero che guida il suo popolo alla vittoria, di un Dio che non perdona ai peccatori. Già alcuni profeti modificheranno questa visione del Signore prima della svolta impressa da Gesù che ci rivela Dio come Padre.

Teniamo presente che episodi come quelli descritti nei versetti appena letti non ci devono meravigliare, in quanto contestualizzati ai tempi dell'Antico Testamento. Non ci stupiscono, allora, alcuni estremismi come quelli che abbiamo attualmente sotto gli occhi. Noi dobbiamo riferirci al Dio di Gesù Cristo e prendere le distanze da alcune

vicende vetero-testamentarie.

 Dalla lettura dei due libri di Samuele si può dedurre che esistevano dei gruppi di profeti ­come i componenti del "profetismo estatico" che cantavano e ballavano - e che accanto a loro cominciavano a emergere alcune grandi figure significative (cioè singoli profeti) quali Samuele, Elia e Eliseo.

Il profetismo comincia a raccogliersi attorno a dei capi-scuola che fondano delle vere e proprie scuole profetiche con discepoli che riprendono il loro messaggio, lo approfondiscono, lo amplificano.

Riguardo a Samuele leggiamo 1 Sam 16,1-3 ("L'unzione di Davide").

In questo brano troviamo il secondo passaggio che il profeta appunto compie per portare il popolo verso l'istituzione monarchica. Sottolineamo con forza una frase che dovremmo imprimerci nella mente e nel cuore: "...io non guardo ciò che guarda 1'uomo. L'uomo guarda 1'apparenza, il Signore guarda il cuore" (v.7) .

Samuele ancora una volta si fa portavoce di Dio, un portavoce che mantiene tutta la sua umanità.

Il Signore lo rimprovera di aver guardato all'apparenza là dove dice: "Non guardare al suo aspetto né all'imponenza della sua statura" (v.7a). Dio non pretende che diventiamo dei semidei. Quando ci chiama per affidarci un compito lo fa proprio perché siamo noi e tiene conto della nostra esperienza, del nostro carico di debolezze e, anche, delle nostre virtù.

Lettura di Siracide 46,13-20

Il libro del Siracide contiene 1'elogio dei personaggi più importanti della storia d'Israele e, quindi, anche di Samuele.

Dall'ultimo versetto di questo brano apprendiamo che Samuele è stato chiamato a profetizzare anche dopo la morte. Si tratta di un episodio di negromanzia che ritroviamo in Sam 28,3-20 (lettura).

I profeti dell'epoca sono numerosi, ma la maggior parte di essi rimane anonima e svolge, comunque, un ruolo secondario. Samuele, invece, emerge come figura significativa, alla quale il Signore affida i messaggi più importanti, che diventa un canale privilegiato tra Dio e il popolo, un mediatore.

In questo periodo significativo della storia d'Israele il profeta sta conducendo il popolo da una forma di governo (confederazione di tribù) a un'altra (stato monarchico). Potremmo, quindi, sostenere che grazie a Samuele si giunge alla monarchia. Ben a ragione il nostro profeta è pietra miliare nel profetismo

Natan

Incontriamo ora Natan, colui che potremmo definire "il profeta di corte" .

Samuele introduce la monarchia e con il consolidarsi di questa istituzione cambia il ruolo del profeta. che diventa il consigliere del re. .

Natan, di conseguenza, non ha più molti contatti con il popolo; il suo confronto-scontro awiene con Davide. Potremmo affermare che il profeta è un personaggio eminente nella corte e costituisce la coscienza critica del re, in quanto non teme di manifestargli anche il suo dissenso.

Lettura di 2 Samuele cap.7

Si tratta di un brano fondamentale nella storia biblica, in quanto parla di Davide che vuole costruire il tempio. La circostanza fornisce l'occasione a Dio per dare inizio ufficiale, per mezzo della parola di Natan, al messianismo regale-davidico (Gesù è discendente di Davide perché si innesta su questa linea del messianismo). Attraverso Natan viene posta una delle colonne portanti della storia e della spiritualità d'Israele e del cristianesimo. Infatti, per bocca del nostro profeta, Dio comunica a Davide che Egli stesso gli costruirà una "casa" (termine che in ebraico significa anche "discendenza") vv.l2-16.

Pare opportuno notare che oggi il messianesimo si stempera nell'attesa di un re escatologico, che verrà alla fine dei tempi.

In questo capitolo di Samuele alcuni studiosi vedono l'inizio del filone profetico contrario al tempio. Infatti per molti profeti la costruzione del tempio costituirebbe un tentativo per "ingabbiare" Dio; sarebbe la presunzione di ritenersi dalla parte del Signore semplicemente perché gli si è costruita una dimora. Per certi aspetti Gesù stesso sembrerebbe riprendere questo filone profetico contrario al tempio.

Lettura di 2 Sam 12,1-12 ("Rimproveri di Natan. Pentimento di Davide.")

Riassumo l'antefatto narrato nel capitolo precedente: Davide ha commesso un delitto. L'unto del Signore ha preso con sé Betsabea, moglie di Uria 1'Hittita - un mercenario straniero - il quale verrà poi ucciso in battaglia per ordine del re. Passati i giorni del lutto, Davide sposa Betsabea dalla quale avrà un figlio, Salomone, suo successore nel regno.

Proprio leggendo questo brano scopriamo come il profeta di corte abbia la funzione di coscienza critica.

Lettura di 1 Re cap.1

Come aveva già fatto Samuele per la successione a Saul, Natan predispone, con 1'aiuto di Betsabea, la successione a Davide, operando in modo che al trono salga Salomone anziché un altro dei figli del re. Natan si distingue proprio per essere un profeta di corte. Di questo tipo di profeta troviamo un parallelo nella città-stato mesopotamica di Mari, che sorgeva sulla riva destra del fiume Eufrate, all'epoca del re Hammurabi. Dalle numerose tavolette rinvenute fra le rovine di questa città è stata scoperta 1'esistenza dei profeti di corte, persone che ricevevano rivelazioni da un dio e le riferivano al re, anche se non avevano nella corte 1'influenza di cui godevano i profeti d'Israele.

L'autorità di Natan è intangibile. Il re s'inchina davanti all'autorità del profeta perché questa deriva direttamente da Dio. Nel rapporto tra il profeta e il re potremmo vedere un parallelo nel contrasto che si manifesta nel Medio Evo tra il potere spirituale del Papa e il potere temporale del sovrano. 

 

Coordin.
00giovedì 15 novembre 2012 23:08

Elia

E' il profeta per antonomasia.

Lettura di Luca 9,28 e segg. ("La trasfigurazione"). In questo episodio accanto a Gesù si trovano Mosè, che rappresenta la Torah (la Legge), ed Elia, che rappresenta il

profetismo.

Anche in Marco 8,27 e segg. viene nominato Elia(v.28).

Lettura di Matteo 11.7-15.

Giovanni il Battista è definito come "quell'Elia che deve venire" (v.14), perché all'epoca di Gesù era abbastanza diffusa 1'idea che il profeta Elia, rapito alla fine della vita e portato in cielo su un carro di fuoco, sarebbe dovuto tornare prima di Cristo per aprire la via al Messia.

Ecco perché in un altro brano i farisei chiedono direttamente a Gesù: sei tu 1'Elia o dobbiamo aspettarne un altro? E Gesù risponde che 1'Elia atteso come suo precursore è già arrivato, è Giovanni il Battista.

Leggere "Il ciclo di Elia" in:

1 Re capp. 17.18,19 e 21

2 Re capp. 1 e 2.

Una osservazione molto importante, da porre come premessa allo studio dei profeti: mano a mano che si procede nella lettura della Bibbia si nota che la presenza del popolo diminuisce fino quasi a scomparire, mentre protagonisti della storia d'Israele diventano sempre più i singoli personaggi e specialmente i re e i profeti che li contestano.

Il popolo, ridotto quasi a una massa che subisce le angherie dei re, viene difeso dai profeti.

Nell'Esodo, invece, figlio primogénito di Jahve è il popolo e non Mosè.

Nel procedere della storia d'Israele - e in particolare nell'epoca monarchica - si ingenera 1'idea che il figlio prediletto non sia più il popolo, ma il re.

Questa opinione è stata fortemente contestata dai vari profeti. Ricordo anche che la figura del re aveva avuto una fama non favorevole prima dell'instaurarsi della monarchia.

Lettura di Giudici 9.7 e segg .

Si tratta dell'episodio di Abimèlech che vuole diventare re e di Jotam che contrasta questo suo desiderio. (Il monte Garizim, citato al v.7, è famoso in quanto considerato sacro dai samaritani. Su tale monte era stato costruito il loro tempio, distrutto poi da Ircano II).

Chiara appare la similitudine contenuta nel brano: il re è un parassita che accetta di regnare, ma che arriverà a distruggere i cedri del Libano (cioè a ridurre il popolo in schiavitù).

All'epoca dei Giudici prevale la linea contraria alla monarchia, linea che non durerà a lungo.

VI lezione

Elia - continuazione

Gli avvenimenti di cui parlerò stasera si riferiscono ad alcuni millenni fa, ma potrebbero anche apparire attuali se non si sapesse che stiamo parlando dei profeti.

Nell'incontro precedente abbiamo introdotto il discorso su Elia e sulla monarchia e abbiamo letto Giudici 9,7 e segg . in cui Abimelech si propone come re. La sua richiesta non viene accolta e, anzi, la monarchia è paragonata a un rovo che soffoca le altre piante e diventa un parassita.

La monarchia non ha portato al popolo d'Israele soltanto cose negative da un punto di vista umano, ma certamente ha realizzato una migliore organizzazione dello stato. Già Davide si circonda di collaboratori con il rango di ministri e di una corte. Però 1'istituzione della monarchia, sviluppatasi molto con il re Salomone, non si dimostra all'altezza dei tempi, cioè non segue con la sua struttura il passo dello sviluppo

economico. Si costituisce una classe di commercianti e di grandi proprietari terrieri, che potremmo definire con termine moderno "borghese", grazie anche alla posizione geografica della Palestina, collocata al centro di grandi vie di comunicazione e punto di passaggio per 1'accesso ai porti fenici delle merci provenienti dall'Assiria. Un grande progresso economico si verifica soprattutto al nord.

Ovviamente il re deve mantenere, oltre alla corte, un grande esercito. Ad esempio, re Acab del regno del nord aveva ben 10.000 carri da guerra con relativi cavalli e guerrieri e ciò comportava un costo molto elevato.

Per sostenere tutte le spese dello stato i re erano costretti a procurarsi i mezzi finanziari o sottomettendo con la guerra popoli vicini per depredarli o imponendo imposte, che si dimostravano particolarmente gravose e che rallentavano lo sviluppo dell'economia del territorio più ricco del centro-nord.

Per tale motivo questo territorio si ribella e Geroboamo - un ministro del re Roboamo realizza la secessione e con le dieci tribù del nord costituisce il regno d'Israele. Avremo ,

così, da questo momento due regni: quello del nord, opulento, che assume il nome di Israele, con il re Geroboamo, e il piccolo regno del sud con il nome di Giuda e con il re Roboamo.

Questo accenno alle vicende dei due regni ci aiuta a comprendere la dimensione in cui si muove Elia in Israele, al nord, (siamo intorno all'anno 860 a.C., a circa 50 anni dalla separazione dei due regni) sotto il regno di Acab e, successivamente, di suo figlio Acazia.

In questo periodo esiste una forte tensione politica con il confinante regno di Siria (=Aram). E' un periodo di piena espansione economica durante il quale, però, si assiste ad un graduale impoverimento dei ceti sociali più deboli. I ricchi si arricchiscono sempre di più, mentre si immiseriscono maggiormente i poveri. Tutto viene subordinato al mero interesse personale. Il regno del nord sta perdendo di vista la moralità e, addirittura, i valori religiosi.

C'è tutta una serie di giochi politici e non, che pone il re in una condizione di debolezza (consideriamo che in 57 anni si sono avvicendati ben sette re, tre dei quali morti di morte violenta). In tale situazione il re è costretto a procurarsi i favori delle classi più potenti a scapito delle altre, in un continuo gioco di equilibro.

Un forte appoggio avrebbe potuto dare alla monarchia 1'istituzione religiosa, della cui crisi ci interesseremo in modo più specifico quando parleremo di Elia.

Il regno d'Israele si trova in una situazione di transizione e il re siede sul trono in un equilibrio precario, in quanto la monarchia non è affatto consolidata.

Lettura di 1 Re 16,29-34.

Acab, salito al trono d'Israele dopo suo padre Omri, fu - come abbiamo letto - uno dei re più malvagi: "...fece ciò che è male agli occhi del Signore, peggio di tutti i suoi predecessori".(v. 30).

La Bibbia, infatti, considera le cose non dal punto di vista economico, ma da quello della giustizia divina. Il re dovrebbe essere il portavoce, 1'araldo, il luogotenente del re vero che è Dio. Quindi nella misura in cui il re, pur avendo raggiunto il suo regno una notevole prosperità, non è fedele alla Legge e non la fa rispettare dalla Bibbia è considerato malvagio.

Acab, inoltre, sposò Gezabele, una straniera figlia del re fenicio di Sidone, e portò nel regno del nord il culto di Baal, al quale eresse un altare. Questo sovrano innalzò anche un "palo sacro" (v.33) che costituiva 1'abominio degli abomini, perché indicava il luogo in cui si svolgeva il rito cananeo della fecondità con la partecipazione delle prostitute sacre. E la dimostrazione che la condotta del re costituisce un cattivo esempio anche per altri è data dal fatto che Chiel di Betel ricostruì Gerico, la città maledetta (e maledetto sarebbe stato chi 1'avrebbe ricostruita - Giosuè 26).

Chiel, sotto il regno di Acab, aveva ripreso la pratica del sacrificio umano di fondazione. Era una pratica antica secondo la quale un re - o chi per esso - per ingraziarsi gli dei all'atto della fondazione di una città doveva sacrificare qualche cosa di molto caro a sé, e cioè i suoi stessi figli, erigendo sul cadavere del primogenito le fondamenta e su quello dell'ultimogenito le porte della città.

Gli archeologi hanno constatato il venire meno di questa usanza con il passare del tempo ritrovando le urne sacrificali, sotto le fondamenta e sotto le porte delle antiche città, prive di scheletri. Ciò significa che del rito sacrificale era rimasto soltanto il simulacro simboleggiato dall'urna vuota.

La reintroduzione del sacrificio umano di fondazione ci dà il segno della malvagità esistente sotto il regno di Acab.

In questo contesto storico si inserisce il profeta Elia. Egli opera in una situazione di benessere e di potenza militare; una situazione, però, pessima dal punto di vista sociale e religioso in quanto Gezabele - moglie del re - aveva importato ufficialmente da Sidone i riti delle sue divinità, i Baali. Notiamo che "Belzebù" deriva da Baal, il padrone, e rappresenta la divinità negativa.

Lettura di 1 Re cap.17

"Il ciclo di Elia", che inizia al cap.l7, è più antico del primo libro dei Re. Molto probabilmente questo brano è stato mutilato nella sua parte iniziale e inserito dal redattore in 1 Re per dimostrarci qualche cosa. Leggendo il "ciclo" si possono notare delle incongruenze, come - ad esempio - la collocazione dell'episodio della vigna di Nabot che andrebbe inserito prima.

Elia diventa, qui, un personaggio emblematico da un punto di vista profetico. E' il profeta per eccellenza perché, a differenza di altri i quali si esprimono dicendo "Il Signore mi ha detto di riferirvi", Elia parla in proprio. Infatti al v.l così si esprime il profeta: "...in questi anni non vi sarà né rugiada né pioggia, se non quando lo dirò io.". Inoltre nello stesso capitolo al v.l notiamo 1'espressione fondamentale: "Per la vita del Signore, Dio di Israele, alla cui presenza io sto...".

Alcune considerazioni:

I - il profeta Elia sta perennemente alla presenza di Dio, in comunione intima con Lui. Tra i due esiste una perfetta identificazione, tanto è vero che nella sua vita il profeta non fa altro che proclamare e difendere i diritti del Signore.

Dio nei confronti del popolo ha dei diritti.

A questo riguardo abbiamo presente 1'episodio della sfida dei 450 profeti di Baal (1 Re 17,20 e segg.) che vengono scannati dalla stesso Elia, rimasto 1'unico profeta di Dio;

II - Elia protegge i deboli e dimostra che Dio è con loro. Il nostro profeta è colui che aiuta la vedova di Zarepta alla quale - anche - risuscita il figlio. Pensiamo, poi, all'episodio di Nabot che difende la sua vigna e che viene ucciso per ordine di Gezabele, moglie malvagia del re Acab. Si era in un'epoca in cui la vita di ogni suddito era alla mercé anche solo di un capriccio del re e in cui la corruzione toccava anche i giudici;

III - il rapporto di Elia con il Signore - che pensa anche a nutrirlo (vv. 4 e 5) - è di totale abbandono. Il profeta non oppone alcuna resistenza a Dio;

IV - Elia è colui che vuole restaurare la Legge per mezzo della quale, appunto, si affermano i diritti del Signore e si proteggono i più deboli.

Lettura di Levitico 19,9-10; 13-18; 32-34 ("Prescrizioni morali e cultuali")

Secondo la Legge di Dio dovrebbe esistere una grande solidarietà verso il povero e il forestiero; si dovrebbe pagare subito il salario al bracciante; si dovrebbe amare il prossimo che per noi non è soltanto il cristiano. Invece al tempo di Gesù, secondo un'interpretazione molto restrittiva, i farisei tendevano a identificare con il prossimo nemmeno un altro ebreo, ma soltanto gli appartenenti alla loro stessa corrente religiosa. La Legge prescrive, anche, di onorare le persone anziane e di temere "il tuo Dio", di accogliere il forestiero ricordandosi di essere stati "forestieri nel paese d'Egitto".

A proposito dell'amore verso il prossimo e dell'anno di remissione (anno sabbatico) leggiamo:

Deuteronomio 15. 7-9

Varie sono le opinioni circa 1'applicabilità della legge d'Israele a uno straniero. Secondo alcuni lo straniero che si trova in Israele è soggetto pienamente alle prescrizioni della Legge, mentre per altri costui può continuare a seguire le proprie usanze e a vivere secondo i propri valori, purché non in contrasto con le leggi del paese ospitante.

Il profeta Elia non aiuta solo i deboli (1'orfano, la vedova, lo straniero), ma cerca di aiutare il re ad essere re come Dio vuole. .

Per sapere quanto dice la legge del Signore a proposito del re leggiamo: Deuteronomio 17.14-20) ("I re").

Elia - continuazione

Do per letta la parte del "Ciclo di Elia" che si riferisce al sacrificio del monte Carmelo (Elia e i profeti di Baal - 1 Re,l8).

Se rileggiamo ora il brano, scopriamo che il popolo di Israele non aveva più la forza di reagire, era alla mercè di Baal e, soprattutto, di chi deteneva il potere con la violenza e il sopruso, come il re Acab e la regina Gezabele. Ecco, la grande sfida di Elia: permettere al popolo di tornare ad essere se stesso, abbracciando una fede voluta e cercata, ed avere nuovamente la consapevolezza di essere il popolo di Dio.

Il nostro profeta non si mette solo al servizio del Signore, ma anche al servizio del popolo per permettergli di essere il popolo eletto. Il popolo non voleva abbracciare il culto di Baal ma, con una scelta dettata dalla paura, non voleva neppure seguire Jahve. Elia, allora, si propone di eliminare la paura del popolo invitandolo a scegliere tra Dio e Baal (v.20: "Se il Signore è Dio, seguitelo! Se invece lo è Baal, seguite lui!"). Ricordiamo in proposito Giosuè e il grande giuramento di Galgala: "Jahve è il nostro Dio!".

Elia è il profeta per antonomasia in quanto fonda una vera e propria scuola profetica; il suo continuatore sarà Eliseo. Elia è veramente "padre" e "madre" di altri profeti, come abbiamo detto in una lezione precedente.

In 1Re 19,16-21 è descritta 1'investitura profetica di Eliseo (lettura).

Il profeta Elia, così deciso, resta, comunque, un uomo anche debole.

Lettura di 1 Re 19,1-9

Rammentiamo che il sonno nella Bibbia ha sempre anche una valenza simbolica, di torpore spirituale (ripensiamo - ad esempio - al sonno degli Apostoli nell'episodio del Getsemani - Mc 14,32 e seguenti). Ad Elia il primo cibo non basta per riprendersi dal sonno; occorre che il Signore ne mandi dell'altro perché egli si svegli e si incammini verso 1'Oreb.

Prosegue la lettura di 1 Re 19,10-13.

Il monte Oreb è carico di ricordi (rammentiamo la presenza del Signore, le grandi manifestazioni del cielo con lampi e tuoni...).

Elia è un uomo che con le sue paure si riconosce dipendente da Dio - nonostante le grandi cose operate -, un uomo che resta sempre attento al passaggio del Signore.

v.l2b: "Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero". La traduzione letterale è sconvolgente: "Dopo il fuoco si udì la voce di un silenzio leggero.".

Sono parole incomprensibili per chi vede le cose da un punto di vista umano. In questa contraddizione, in queste tre parole (voce di un silenzio leggero) c'è tutta la nostra spiritualità. Ma per sentire un silenzio leggero che parla, è necessario un orecchio preparato a un particolare ascolto. . .

Notiamo quali accenti stupendi di poesia abbia la Bibbia.

Ecco, il profeta è colui che anche nei momenti di cedimento continua a nutrirsi di ciò che il Signore gli offre. E, dopo che si è nutrito e si è svegliato, ascolta la voce del silenzio leggero.

Tutta la vita di Elia viene spesa in una continua lotta per la fede: per instaurarla dove manca, per mantenerla dove c'è e per restaurarla dove c'era e non c'è più. Nel nostro contesto vediamo un po' se dobbiamo instaurare, mantenere o restaurare la fede.

Un suggerimento: sulla morte di re Acaz e della regina Gezabele sarebbe opportuno leggere 1 Re 21~ 17-26: 22,29 e seguenti e 2 Re 9.30 e seguenti.

Coordin.
00giovedì 15 novembre 2012 23:10

I profeti scrittori

Amos

Per dare un'inquadratura storica al nostro profeta scrittore leggiamo 2 Re 14.23-29.

Geroboamo II riconquista la Galilea e altri territori -fino al Mar Morto - che, durante un periodo di grande instabilità politica, il re Cazael di Aram (Siria) aveva sottratto al re d'Israele. Il re malvagio Geroboamo II serve al progetto di Dio che aveva sentito i lamenti degli israeliti sottoposti alla dominazione dei Siriani. Con tale sovrano, infatti, il regno di Israele raggiunge il suo maggior sviluppo con una potenza militare e una ricchezza mai conosciuta prima. In particolare si accresce moltissimo 1'industria tessile e di conseguenza quella della tintura dei tessuti.

Contemporameamente avviene una "decomposizione sociale" in quanto soprattutto i piccoli proprietari terrieri soccombono, oberati dai debiti. Si sviluppa 1'industria, i capitali ricavati sono investiti nei latifondi, mentre i piccoli proprietari vengono soffocati ed hanno necessità di ottenere prestiti, concessi ad alti tassi. Non essendo in grado di onorare i debiti contratti di solito finiscono in schiavitù o, quanto meno, nella condizione di salariati. I ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

Altro fatto negativo è costituito dalla corruzione dei giudici che favoriscono con le loro sentenze i ricchi, mentre i poveri non hanno alcuna garanzia giuridica.

Per ultimo, ci troviamo di fronte a una grande ostentazione di ricchezza.

Dal punto di vista religioso siamo in presenza di santuari sontuosi e assai frequentati. Ma in molti di questi, anche importanti, lo jahvismo risulta ormai contaminato soprattutto dalla religione dei popoli cananei e dai relativi culti legati alla fertilità; culti che avevano come conseguenza la prostituzione sacra.

Il culto di Israele sta, ormai, diventando ibrido, una sorta di sincretismo religioso. Anche nei santuari rimasti esclusivamente jahvisti il culto praticato è essenzialmente esteriore e non incide, quindi, nella vita. (Il culto per essere autentico, infatti, deve incidere nella nostra vita). Si instaura sempre più 1'idea - cosa gravissima - che si possa ottenere la benevolenza della divinità con i sacrifici: se offro, ad esempio, un grosso bue, per un anno mi è consentito commettere qualunque violazione della Legge. Si snatura, così, completamente il senso di Dio, del Dio che ci ha dato la Legge, del Dio dell'Alleanza.

Tutto il popolo vive in una presunzione fatale, che deriva dall'essere il "popolo eletto" (Dio mi ha scelto e, poiché Egli è fedele, posso agire come credo, tanto sono 1'eletto).

Si diffonde 1'idea che il "giorno di Jahve" debba essere inteso non come giorno dell'ira (Dies irae) ma come quello della venuta di Jahve per sottomettere tutti i popoli. Di conseguenza il "giorno di Jahve" era considerato il giorno della punizione di tutti gli altri popoli: finalmente si sarebbe celebrato il trionfo del popolo eletto.

In un periodo di prosperità in cui, per mezzo dell'esercito, non soltanto erano stati riconquistati i territori perduti ma erano anche stati amplificati i confini del regno con la conquista di altre terre, Israele viene tentato dalla megalomania. Ciò si riflette anche sul piano religioso: Jahve per noi instaurerà il "nostro" regno e non il "Suo". Si vuole far coincidere il regno di Dio con quello terreno che si identifica, però, con gli "ayatollah" di turno e che, quindi, non corrisponde al reale governo del Signore (teocrazia).

Con Amos siamo a una svolta del profetismo.

Secondo una certa interpretazione, che a mio parere può essere condivisa solo in parte, siamo arrivati con Amos ad avere un atteggiamento completamente diverso rispetto a quello di Elia e di Eliseo, i quali intendevano riformare le istituzioni allora vigenti (monarchia e sacerdozio). Il nostro profeta si rende conto che la monarchia e il sacerdozio devono essere addirittura eliminati. per permettere al popolo di Israele di tornare ad essere il "popolo di Dio".

Mi sembra che questa interpretazione sia un po' troppo radicale, anche se ha in sé del vero in quanto la corruzione delle due istituzioni considerate si era assai aggravata. E' vero, invece, che i profeti non sostengono 1'abolizione della monarchia e del sacerdozio, ma desiderano che questi tornino al ruolo che Jahve aveva previsto.

Una annotazione non marginale: evitiamo di interpretare i profeti solamente in chiave sociologica.

Amos nasce a Tekòa, un villaggio a sud di Gerusalemme. E', quindi, un uomo del sud emigrato al nord per profetizzare. E proprio dal regno del nord verrà espulso e rimandato nei territori meridionali.

Il nostro profeta era, perciò, un giudeo ed esercitava il mestiere di "pastore e raccoglitore di sicomori" (Amos 7,14). Non si sa se fosse proprietario di un gregge oppure un salariato. Nella prima ipotesi egli avrebbe potuto essere uno dei tanti piccoli proprietari rovinati dalla congiuntura economica, mentre nella seconda ipotesi avrebbe potuto condividere la vita della gente povera. Un fatto appare certo: se Amos raccoglie i sicomori deve viaggiare molto, perché quei frutti crescono lungo le rive del Mar Morto e non vicino a Gerusalemme, dove egli abita.

I viaggi, che sicuramente si effettuavano nella zona di confine tra i due regni, avevano permesso al nostro profeta di avere contatti con popolazioni di diversa etnia, tanto è vero che nel suo libro egli dimostra di conoscere bene non soltanto gli usi e i costumi ma, anche, la situazione politica dei popoli vicini (del regno di Israele e delle città-stato della costa). E' chiaro che Amos conosce perfettamente la condizione religiosa del regno d'Israele.

Il linguaggio di Amos ci appare estremamente duro e la sua esposizione ricca di esempi concreti. Egli predica prevalentemente nei luoghi in cui si concentrano il potere religioso e quello politico e cioè a Betel e Galgala - i due grandi santuari - e a Samaria (la capitale). La predicazione profetica di Amos prosegue imo allo scontro con il sacerdote Amasia, che lo fa cacciare dal regno.

Leggere il libro di Amos.

VIII lezione

Amos - continuazione

Leggiamo ora il libro del profeta Amos in modo inconsueto, cioè iniziando dall'ultima parte e precisamente dal cap. 7 ("Le visioni") vv.l-9, in cui si parla delle prime tre visioni: le cavallette, la siccità, il piombino.

Passiamo poi al cap. 8,1-3 (Quarta visione: il canestro di frutta matura) e al cap.9.1-4 (Quinta visione: caduta del santuario).

Notiamo che nelle prime due visioni Amos intercede - così come fece Abramo per Sodoma - e prega Dio che esaudisca le sue richieste.

In una precedente lezione abbiamo detto che uno dei ruoli fondamentali del profeta è proprio 1'intercessione. Il profeta intercede per il popolo davanti al Signore. In proposito ricordiamo anche la grande intercessione di Mosè per evitare che Dio sterminasse tutto il popolo. Qui potremmo aprire una parentesi e riflettere sulla nostra preghiera di intercessione, che è fondamentale: chi non prega per le altre persone non manifesta una grande fede, non si fida della parola di Gesù ("Chiedete e vi sarà dato..." Lc 11,9) e non crede nella potenza della preghiera. Alcune persone affermano di non chiedere mai nulla in quanto sostengono che il Signore conosca sicuramente ciò che è bene per loro. E' vero. Però Gesù stesso ci ha invitato a chiedere e ci ha perfino insegnato il modello di preghiera. Pensiamo a Gesù nel Getsemani dove prega chiedendo, anche se nel sottofondo della sua richiesta è presente un "sia fatta la tua volontà".

La preghiera di richiesta costituisce per noi una grande professione di umiltà.

Il battesimo ci ha reso profeti. Cerchiamo, allora, di riscoprire il nostro ruolo di intercessori che, tra 1'altro, ci aiuta ad aprire tanto il cuore. E' importante.

Davanti ai castighi delle prime due visioni Amos intercede per il popolo d'Israele. Nelle successive visioni ciò non accadrà e le parole del Signore saranno sempre più dure. Abbiamo iniziato a leggere il nostro libro dalla parte finale perché - secondo vari studiosi - queste visioni riassumono tutto 1'itinerario del profeta, il cammino che egli compie nella consapevolezza del suo ministero.

Amos, cioè, si rende conto che Israele è impenitente, che, nonostante gli interventi operati da Dio a suo favore, non si converte.

Il profeta si convince che questo Israele è un muro ormai non più a piombo, è un cesto di frutta matura pronta per essere consumata, un santuario che sta per crollare. Dopo la terza visione, nella quale Amos non intercede più per il popolo, è collocato nel nostro libro il conflitto con Amasia, sacerdote di Betel, che caccia il profeta verso il paese di Giuda. Ciò significa che le strutture portanti della società, il sacerdozio e la monarchia, sono ormai "marce", non possono più sostenere alcun muro e che il popolo, seguendo la via della perdizione, è diventato "un canestro di frutta matura" (Os 8,1 ) comunque destinato a finire perché va consumato altrimenti marcisce.

Nella precedente lezione si è detto che in Israele si era diffusa 1'idea che "il giorno di Iahve" avrebbe portato non un giudizio ma un dominio di Israele stesso su tutti i popoli della terra in quanto popolo eletto.

Vediamo come Amos ci parla del "giorno di Jahve". Un accenno è contenuto nel cap.8 vv. 9-10 (lettura) ove si parla di un giorno di lutto e di lamento.

Pensiamo pure a quanto di questo concetto ritroviamo nella tradizione cristiana (il giudizio di Dio è un fatto terribile, ecc.), ma non dimentichiamo il contesto nel quale questi oracoli sono stati pronunciati, ossia il contesto di un popolo che risponde negativamente a tutte le sollecitazioni a cambiare il modo di vivere.

Lettura del cap. 5.18-20.

Qui il profeta è ancora più sferzante.

Ecco, il "giorno di Jahve", secondo Amos, sarà il giorno del giudizio sul popolo ribelle.

In un contesto di opulenza, di grande sviluppo economico, accompagnato, però, dalla povertà di alcuni ceti sociali, Amos è da definire "profeta di sventura".

Di tutto quel benessere, di tutta quella ricchezza quarant'anni dopo non rimarrà più nulla.

Amos lancia delle provocazioni. ' I temi più importanti affrontati dal nostro profeta si possono così riassumere:

A - la constatazione che Israele è ormai completamente pervertito perché si è ribellato al Signore e non ha ascoltato i suoi richiami.

Si comprendono, allora, le cinque visioni con le loro previsioni: Israele è destinato a perire;

B - il castigo è motivato da quattro peccati fondamentali che il popolo ha commessi e che il profeta denuncia:

1 - il lusso

- Lettura di Amos 3.15 (lusso edilizio). Notiamo un accenno alle seconde case. - Lettura del cap. 6.4-7 (lusso alimentare).

La gente che vive nel lusso commette uno dei peccati più gravi: la mancanza di solidarietà. A questo proposito rileggiamo in Lc 16,19 la parabola del ricco epulone. L'evangelista non condanna i ricchi in quanto tali, ma coloro che non sono solidali con i poveri. La figura antagonista del ricco cattivo è Zaccheo che nel momento in cui incontra Gesù diventa solidale e dona la metà dei suoi beni ai poveri.

Il Vangelo dice che il ricco deve condividere i suoi beni con coloro che non ne dispongono, perché ciò che egli possiede non è suo ma gli è stato donato; di conseguenza non può goderne in modo esclusivo.

Questo è ancora oggi un messaggio sconvolgente;

2 - 1'ingiustizia

Lettura di:

- cap. 2,6-7 (oracolo contro Israele);

- cap. 3,9-10 (le ricchezze sono frutto di violenza e di rapina);

- cap. 5,10-13 (i poveri non sono aiutati neppure dai giudici i quali dovrebbero decidere non in nome del re, ma in nome di Dio che è la fonte primaria del diritto);

-- cap. 8,4-7 (Amos parla delle frodi alimentari, ben note anche ai nostri giorni). Il peccato dell'ingiustizia permette di accumulare ricchezze frodando il popolo

 

3 - il falso culto di Dio

Lettura di:

- cap. 4.4-5 (condanna del culto esteriore);

- cap. 5,21-27 (il culto esteriore è sempre in agguato).

Un culto separato dalla vita diventa la tentazione tremenda di considerarci i salvatori di noi stessi tendendo a sconfinare nella superstizione. E, allora, è erroneo pensare che ciò che ci permette di avere la benevolenza di Dio consista soltanto nell'eseguire in modo giusto determinati gesti di culto nei quali dovrebbe essere racchiuso il nostro potere sul Signore. Secondo questo modo di pensare la preghiera diventerebbe un gesto magico. Constatiamo che immoralità e religiosità non sono compatibili, perché la persona religiosa dovrebbe essere anche persona morale per la quale la legge di Dio diventa veramente regola di vita;

4 - la falsa sicurezza religiosa

Lettura di:

- cap. 3.1-2 - La condizione di popolo eletto non costituisce una sorta di "pedaggio" già pagato per la salvezza, ma diventa - al contrario - una responsabilità che il popolo d'Israele non ha saputo affrontare (a chi più è dato più è richiesto). Infatti il popolo eletto è venuto meno ai doveri conseguenti alla sua condizione e dovrà scontare il suo comportamento.

Assistiamo qui a un capovolgimento della mentalità del tempo: 1'elezione non costituisce una condizione di cui vantarsi, ma è un dono di Dio che deve essere utilizzato nel migliore dei modi .

- cap. 2,9-15 - Nonostante tutto, il popolo ingrato ha "fatto bere il vino ai nazirei", ossia ai consacrati al Signore, fra i quali il più famoso era Sansone, che perse la sua forza perché venuto meno al voto di non bere il vino e di non tagliarsi i capelli.

- cap. 9,7-10 - Il Signore, attraverso il profeta, avverte che potrebbe considerare Israele alla stregua di tutti gli altri popoli, anziché come popolo eletto.

Amos è profeta di sventura che richiama continuamente alla conversione e che, se minaccia dei castighi, vuole solo riportare il popolo sulla retta via. Il nostro è anche un profeta nel quale la speranza è viva in quanto Dio rimane ancora il padre del suo popolo;

- cap. 5.4-6 (alla conversione è legata la speranza e viceversa)

- cap. 5.14-15. In queste due ultime letture sono evidenti gli accenni alla speranza che introducono al successivo

- cap. 9 e, in particolare, ai vv.l1-15.

E' bello concludere con un sorriso. Dopo le sofferenze ecco la gioia: Dio non dimentica il suo popolo, è fedele anche se non lo è il popolo.

Nonostante questa apertura - quasi una visione messianica - al paradiso, non dimentichiamo che in quell'epoca non si aveva ancora una concezione ultraterrena. In Amos si intende parlare, come nel nostro caso, di salvezza essenzialmente terrena.

Con le ultime letture abbiamo concluso il libro di Amos, profeta del castigo, della conversione e della speranza, che denuncia senza pietà i quattro peccati del popolo ­invitato a cambiare condotta - e che è polemico nei confronti, soprattutto, del falso culto. Amos, come profeta anche della speranza, con la sua affermazione che Dio rimane fedele ci introduce al libro del profeta Osea.

Coordin.
00giovedì 15 novembre 2012 23:12

Osea

Affrontiamo la conoscenza di questo secondo profeta scrittore che è veramente eccezionale.

Seguiremo lo schema adoperato per Amos: daremo uno sguardo alla situazione politica, religiosa ed economico-sociale in cui opera il profeta e da questo cercheremo di trarre notizie sulla sua persona. Conosceremo poi il messaggio di Osea leggendo alcuni brani del suo libro.

Osea vive in una situazione politica molto diversa da quella dell'epoca del benessere, di opulenza in cui operò Amos.

Egli inizia il suo ministero negli ultimi anni del regno di Geroboamo II, proprio quando si erano manifestate grandi difficoltà per Israele e si era indebolita la monarchia a tal punto che dopo la morte di questo re si succederanno sul trono, in circa trent'anni, ben sei monarchi (Zaccaria, Sallùm, Menachem, Pekachia, Pekach e Osea), quattro dei quali

arrivati al potere con la violenza.

Il primo successore di Geroboamo II è suo figlio Zaccaria che regna per pochi mesi perché viene ucciso da Sallùm, il quale sale così al trono e vi rimane soltanto un mese in quanto, a sua volta, è ucciso da Menachem che prende in tal modo il suo posto. Veramente Israele è in mano a forze centrifughe che lo disgregano.

Lettura di 2 Re cap. 15,8-20

Il peccato di Zaccaria è stato, soprattutto, quello dell'idolatria. Nel v. 16 sono descritte le efferatezze compiute dal re Menachem.

Cambiano le dinastie, cambiano le persone, ma rimane 1'infedeltà dei re al Signore.

Durante il regno di Menachem avviene la prima invasione di Israele da parte degli assiri e il re israelita è costretto a versare un gravoso tributo al sovrano assiro per poter mantenere il trono. Finisce, così, 1'epoca del benessere nel regno del nord in quanto Menachem, dopo aver tassato i poveri, deve chiedere un consistente tributo anche alle persone facoltose.

Completare la lettura del cap.15

L'Assiria ritrova la sua stabilità attraverso un colpo di Stato militare che nel 745 a.C. porta al trono Tiglat-Pilèzer III (nel v. 19 viene indicato con il nome di Pul). Proprio a questo re aveva versato il suo tributo Menachem, così come avevano fatto anche i sovrani dei piccoli stati della zona.

Alla morte di Menachem sale al trono Pekachia il quale, dopo due anni, viene ucciso da Pekach che "si proclamò re al suo posto"(v. 24).

Costui, uomo orgoglioso, per sottrarsi al pagamento del tributo dovuto agli assiri, cerca di allearsi con i regni vicini e in particolare con la Siria (Aram) e con Giuda. Poiché il re di Giuda non aderisce all'alleanza proposta, i re di Israele e di Siria gli muovono guerra: è la guerra siro-efraimita.

Il monarca del regno del sud, allora, chiama in suo aiuto il re assiro Triglat-Pilèzen III che interviene occupando tutto il regno di Siria e gran parte del territorio d'Israele (Galilea e Galaad).

Pekach viene poi ucciso da Osea che gli subentra come re. Ormai il regno d'Israele si è molto ridotto avendo perso, tra 1'altro, la parte più fertile del suo territorio, cioè la Galilea.

Il re Osea, divenuto vassallo dei re di Assiria, cessa, ad un certo momento, di pagare il tributo provocando la reazione del sovrano assiro Salmanassar V che invade quanto era rimasto di Israele - cioè la Samaria -, imprigiona Osea; distrugge la capitale e deporta buona parte della popolazione in Assiria sostituendola con dei coloni provenienti dai suoi territori. La distruzione del regno di Samaria è avvenuta nel 722 a.C.

Da quel momento nella Samaria si costituisce una popolazione etnicamente e religiosamente ibrida proprio a causa della commistione fra i coloni assiri e i pochi israeliti rimasti. Gli abitanti di questa regione saranno chiamati samaritani e ad essi si farà più volte riferimento nei Vangeli.

In particolare da Giovanni (cap. 4) sappiamo dell'incontro, al pozzo di Sicàr, della samaritana con Gesù il quale le dice: “Hai detto bene "non ho marito"; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero.” (vv. 17 e 18).

A questo fatto reale 1'evangelista attribuisce un significato simbolico: la donna rappresenta il popolo samaritano che ha adorato cinque divinità. Si tratta di un popolo politeista che arnva poi a praticare una religione ibrida in cui si mischiano Jahve e queste cinque divinità. Jahve rimane la divinità suprema, ma non si può parlare di jàhvismo puro.

:

I samaritani avevano, infatti, un loro tempio e proprie tradizioni e osservavano una legge che non era identica a quella di Mosè ("...quello che hai ora non è tuo marito...").

Ricordiamo in proposito il simbolismo sponsale: il popolo è la sposa (nel nostro caso una donna infedele) e Dio è lo sposo. Abbiamo, in realtà, un caso di concubinato: una donna "non" sposa con dei "non" mariti (le cinque divinità).

Sappiamo che, anche ai tempi di Gesù, la Samaria era considerata un territorio quasi da evitare proprio per tutti i motivi ai quali abbiamo accennato.

Nell'ultima epoca del regno del nord, in cui maggiore era la decadenza, si era diffuso sempre di più il culto delle divinità cananee legate alla fecondità del suolo.

Ripensiamo alle vicende di Caino e di Abele, che rappresentano, rispettivamente, gli agricoltori sedentari e i pastori nomadi, in cui è implicita la condanna della sedentarizzazione del popolo. Caino è 1'agricoltore malvagio che offre in sacrificio al Signore gli scarti ed è talmente invidioso da uccidere il fratello che, invece, è il pastore. Abbiamo una rilettura dell'epoca dell'Esodo quando il popolo migrava, in quanto costituito da pastori; epoca nella quale nacquero le grandi festività. E' evidente una polemica fortissima contro la sedentarizzazione del popolo di Israele che, quando cessa di essere nomade, tende a cambiare religione.

Jahve è il Dio dei pastori, il Dio forte che accompagna il suo popolo. E' un Dio a volte duro, anche crudele. Pensiamo a come nasce la festa della Pasqua: nasce dal rito del sangue dell'agnello spruzzato sulle tende a protezione dagli spiriti malvagi.

La sedentarizzazione porta evidentemente all'esigenza di una divinità che procuri la pioggia necessaria e che impedisca la carestia. Ecco, allora, che Jahve comincia a trasformarsi e diventa il Dio non solo dei pastori, ma anche degli agricoltori: il Dio dell'universo.

Osea sposa una prostituta. Lettura di Os. 1,2-3

Siamo di fronte ai gesti simbolici (e ne troveremo tanti altri) dei profeti che, come in questo caso, coinvolgono una vita: " va, prenditi in moglie una prostituta....".

Ecco, il profeta non solo predica per gli altri ma rimane coinvolto dalla parola di Dio che gli cambia il modo di vivere. Sottolineo 1'obbedienza di Osea che, però, non viene compresa dal popolo ("...un pazzo è il profeta" Os. 9,7).

Non sappiamo di preciso in quali luoghi Osea abbia operato, anche se appare certo che abbia svolto la sua missione nel nord. Si tratta di un profeta itinerante che non parla mai di Gerusalemme e della Giudea. Secondo alcuni indizi contenuti nei libri delle Cronache la predicazione di Osea era conosciuta nel regno del sud.

Soffermiamoci ora sui punti salienti del messaggio del nostro profeta. Lettura di Osea 4,1-3.

Primo elemento importante del messaggio di Osea, che riprende in certo qual modo quello di Amos, consiste nella denuncia della corruzione e delle ingiustizie (elemento sociale).

Questa denuncia scaturiva dalle esigenze di Dio, dal rispetto della sua legge. Immaginiamo, poi, quale fosse la corruzione nel regno del nord, nel clima politico confuso e poco stabile che abbiamo prima esaminato per sommi capi.

Secondo elemento ugualmente importante è la critica del culto. Lettura di Os. 8,11-14.

Il popolo israelita crede nella propria potenza, ma non crede più nel Signore.

Come Osea, tutti i profeti denunceranno e condanneranno il culto esteriore. Sottolineamo il contenuto del v. 11: "Efraim ha moltiplicato gli altari, ma gli altari sono diventati per lui un'occasione di peccato". Siamo al sacrilegio. (Attualizziamo: è sacrilegio accostarsi alla Comunione in peccato mortale)

Lettura di Os. 6,4-6

Il culto esteriore, superficiale e falso, ha veramente un peso nel messaggio del nostro profeta.

L'originalità del messaggio di Osea sta nella fortissima condanna dell'idolatria sia culturale che politica. Ancora a proposito dell'idolatria culturale leggiamo '

Osea 10,1-10.

Qui si parla della vite e degli altri prodotti della terra. Mi viene spontaneo pensare all'offertorio della Messa. Nel pane e nel vino che io offro e che poi consacro sono davvero presenti 1'universo e il lavoro di tantissimi uomini. Secondo le attuali norme liturgiche, la formula dell'Offertorio andrebbe recitata chiaramente dal celebrante senza alcuna sovrapposizione di canto.

Una sottolineatura merita il v. 5 in cui incontriamo un elemento nuovo: il vitello di Bet-Avèn (idolatria cultuale). Noi ricordiamo che nei geni del popolo israelita è presente 1'idolatria del vitello d'oro (Esodo 32).

Geroboamo I al tempo della separazione dei due regni aveva fatto forgiare la statua di un vitello che avrebbe dovuto soltanto simboleggiare la presenza di Jahve. Con il passare del tempo il popolo e anche i sacerdoti avevano però cominciato a considerare quel vitello non più come il segno della presenza di Jahve ma come ciò che Lo rendeva presente: Dio veniva identificato con quella statua. Siamo nella totale idolatria, maledetta più volte nei salmi. Israele contravveniva, così, gravemente al comandamento fondamentale che impediva di farsi immagini di Jahve.

Lettura di Esodo 20,1-6 per constatare la gravità di questo peccato. Israele ha commesso il peccato più grave in assoluto: si è prostrato davanti a un idolo ritenendo che fosse Jahve stesso.

Sempre a proposito dell'idolatria cultuale si puo' leggere anche il cap. 13 di Osea.

Consideriamo, ora, 1'idolatria politica.

Lettura di Os. 7,8-16 e 8,1-4.

In un periodo difficile, come quello attraversato da Israele, 1'idolatria politica consisteva nel ricercare la salvezza non nell'accordo con Dio, nell'alleanza con Lui, ma nell'aiuto di una delle potenze confinanti e tra loro nemiche (mi alleo con 1'Egitto o con 1'Assiria?). La politica aveva perso qui la sua dimensione naturale perché non era considerata come emanazione di Dio di cui il re sarebbe dovuto essere il luogotenente. Al contrario, i sovrani si comportavano, per primi, da opportunisti, come se Jahve non esistesse. E, allora, le nazioni di Egitto e di Assiria apparvero come nuove divinità. Ecco, 1'idolatria politica.

Questa di Osea è una denuncia gravissima. Il nostro profeta, ovviamente, ritiene che le due divinità politiche (Egitto o Assiria) non possano assolutamente salvare il regno di Israele che presto, infatti, verrà distrutto.

Osea - continuazione

Riassumo brevemente la lezione precedente: 1'originalità di Osea consiste nella forte condanna dell'idolatria cultuale e dell'idolatria politica, in particolare, per 1'effetto della quale 1'Assiria e 1'Egitto si sostituiscono a Dio.

Un altro elemento importante per il nostro profeta, come per molti altri, è costituito dall'analisi del passato. Parecchi profeti, infatti, vedono nel passato la realizzazione del rapporto perfetto tra Jahve e il suo popolo. Notiamo che a partire dal cap. 9 è presente questa analisi che, però, in Osea ha un sottofondo che affiora in continuazione: tutto il passato è percorso dall'azione di Dio che cerca in ogni modo di salvare il suo popolo, il quale, invece, continua a resistergli.

Lettura di Osea 1l,l-6

Nei primi versetti il nostro profeta usa, a proposito di Jahve, 1'immagine dell'amore paterno, mentre nel v. 3 esprime addirittura un sentimento materno: "Ad Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano...".

Ecco, il passato consiste proprio in un cammino: da una parte Dio che tenta di salvare il popolo e dall'altra il popolo che non si converte. '

Ultimo elemento da prendere in considerazione, e che appare come una svolta epocale, è 1'uso, da parte di Osea, dell'immagine sponsale per descrivere i rapporti fra Dio e il suo popolo. L'immagine si trova già nel cap. 1 nei versetti in cui si parla del matrimonio del profeta con una prostituta, segno di un Dio fedele che ha per sposa un popolo che è come una prostituta.

Questo tema viene sviluppato soprattutto nel cap. 2,4-15 (lettura). Nella prima parte del brano abbiamo un Dio che castiga ma dal v. 16 in poi cambia completamente la prospettiva. Lettura dei vv. 16-25.

Soffermiamoci sul v.17b: vi troviamo il ricordo dell'Esodo ("Là canterà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d'Egitto."), 1'epoca in cui il popolo cantava, il Dio amava e il suo popolo corrispondeva.

Ecco, il profeta Osea si apre alla speranza: Dio è paziente e la sua fedeltà porterà alla conversione. Il Signore ci converte con la sua fedeltà e con la sua pazienza.

Lettura del cap. 11.7-12

Il brano richiama la parabola del figliol prodigo (Lc. 15,11-32) che è paragonabile a questo popolo che ritorna a Dio, il quale non si stanca mai di aspettarlo e lo riaccoglie sempre. Siamo di fronte a una grande intuizione profetica. I profeti erano veramente uomini di Dio e la loro esperienza di Dio non era semplicemente mistica e astratta ma si fondava, innanzi tutto, nella storia.

Possiamo ribadire che il Signore, nonostante molte infedeltà, non ha mai abbandonato il suo popolo e gli è stato fedele. Anche noi dovremmo imparare dai profeti a guardare la storia, nostra e dell'umanità, per comprendere Dio. La fede e la storia non procedono su due piani paralleli che, quindi, non si incontrano mai. La nostra fede permea tutti gli ambiti della vita, perché è storica. La nostra vita non può che essere impostata in ogni suo aspetto sulla base della nostra fede.

Lettura del cap. 13,1-11 ("Castigo dell'idolatria" e "Castigo dell'ingratitudine"; "Fine del regno").

Lettura di Osea 14,2-10

L'ultima nota del libro di Osea è positiva: il popolo si convertirà e il suo rapporto con Jahve tornerà ad essere come quello descritto nell'ultima parte del cap. 2. Ecco, allora, i profeti ci appaiono anche quali uomini di speranza.

Dopo aver conosciuto due profeti del regno del nord (Amos e Osea) ci accosteremo ai profeti del sud, i quali, operando in altro ambiente, si presentano, per alcuni aspetti, con caratteristiche diverse.

Scorriamo la nostra tabella cronologica e notiamo che il primo profeta del regno del sud è Isaia, definito da alcuni studiosi come il Dante Alighieri dell'ebraismo.

 

Coordin.
00giovedì 15 novembre 2012 23:14

Isaia

Il libro di Isaia si compone di 66 capitoli, nei quali compaiono persone ed epoche molto distanti tra loro. Infatti ~ nella prima parte sono indicati personaggi vissuti sicuramente nell' VIII secolo a.C.; più avanti si parla, invece, del re persiano Ciro e di Babilonia, mentre non vengono più citati gli Assiri; Gerusalemme non viene più nominata per diversi capitoli ed è poi indicata nei capitoli successivi.

Notiamo, quindi, apparenti contraddizioni alle quali si aggiungono notevoli differenze di stile nel testo originale ebraico. Se leggessimo il nostro libro cercando le sottolineature teologiche noteremmo ugualmente molte differenze. Ad esempio, dal cap. 40 in poi appare per la prima volta la grande sottolineatura di Dio come Dio della storia e della creazione, ed anche il concetto di "resto di Israele" molto diverso da quello del passato. Compaiono figure del tutto nuove come quella, particolarissima, del "servo di Jahve" .

Anticamente non era stata data molta importanza a queste differenze, a queste contraddizioni. Però, già nei secoli XI e XII alcuni commentatori ebrei avevano

introdotto 1'idea che il libro di Isaia potesse essere diviso in due parti: la prima, scritta dal profeta, dal cap. 1 al cap. 39, e la seconda, opera di un autore diverso, di un anonimo dell'epoca dell'esilio, dal cap. 40 al cap. 66.

Nel 1788 viene confermata questa impostazione ad opera di J.C. Eichhorn: il libro di Isaia è da dividere in due parti da attribuire a due autori diversi.

Circa un secolo più tardi, nel 1892, B. Duhm propose invece di suddividere il libro in tre parti:

capp.l-39 - capp.40-55 - capp.56-66.

Aveva infatti notato ulteriori differenze, anche di stile, nell'ambito della seconda parte (capp. 40-66).

La nuova impostazione diventa in seguito canonica (e lo è ancora oggi) con la particolarità che, mentre Duhm aveva sottolineato molto le differenze fra le tre parti, oggi vengono presi in considerazione anche gli elementi comuni alle parti stesse.

Ecco, allora, prendere corpo 1'ipotesi di tre libri, opera di tre autori diversi, ma rielaborati da un unico redattore che ha cercato di rendere omogenei i tre testi.

Notiamo negli ultimi due capitoli dei richiami al cap. 1 (eppure erano passati secoli). Inoltre, alcune immagini si ripetono in tutti i capitoli e certe idee appaiono costantemente nel sottofondo.

Riepiloghiamo:

I parte - capp. 1-39 opera certamente del profeta Isaia (secolo VIII a.C.);

II parte - capp. 40-55 opera di un profeta o di un gruppo profetico dell'epoca

della fine dell'esilio babilonese;

III parte - capp. 56-66 da attribuire a una vera e propria scuola profetica al ritorno dall'esilio.

Prendiamo ora in esame i primi 39 capitoli che sappiamo scritti da Isaia nel periodo in cui il regno del nord scompare dopo una fase di decadenza.

Il ministero profetico di Isaia è durato circa 40 anni in una situazione mutevole dal punto di vista economico, politico e sociale, in un periodo in cui si sono succeduti vari re. Lettura di Isaia 1,l.

Per conoscere in quale situazione abbia operato il nostro profeta leggiamo anche 2 Cronache cap. 26.

Nella descrizione contenuta nei primi versetti notiamo una notevole differenza fra i comportamenti di Ozia, re di Giuda, e quelli dei re del nord (Israele). Infatti regnava al sud un monarca che, almeno per qualche tempo, "...fece ciò che è retto agli occhi del Signore..." (v. 4). Ozia, favorito dal Signore, era un re che stava ampliando il territorio dello Stato e che aveva perfino dei vassalli che gli versavano tributi. Il regno di Giuda, quindi, attraversava un periodo di benessere e vi prosperava, in particolare, 1'agricoltura.

L'esercito potente era ben strutturato e dipendeva da comandanti locali, mentre il potere centrale forniva 1'armamento assicurandosi così la partecipazione di quegli eserciti alle guerre intraprese dal sovrano. Dal v. 16 cambia il comportamento di Ozia, che si insuperbisce e va incontro alla rovina.

Nella seconda parte del cap. 26 è narrato un contrasto fra il monarca e il potere sacerdotale, perché il re stesso aveva tentato di attribuirsi alcune funzioni sacerdotali. Ozia si ammala di lebbra e viene di conseguenza isolato ed escluso dal tempio fino alla morte. Negli ultimi anni del suo regno divenne reggente il figlio Iotam.

Da alcuni studiosi sappiamo che nella Bibbia venivano considerate lebbrose tutte le persone affette da qualsiasi malattia della pelle. Quindi anche la macchia spuntata sulla fronte del re mentre nel tempio "...sfogava la sua collera contro i sacerdoti..." (v. 19) sarebbe potuta essere la manifestazione di una malattia della pelle diversa dalla lebbra. L'isolamento del monarca è comunque giustificato dal fatto che, per ragioni di sicurezza, tutte le persone affette da malattie della pelle - dalla semplice dermatosi alla lebbra ­venivano considerate impure e, quindi, isolate per preservare il popolo dal contagio.

Nel Pentateuco si può leggere di tutti gli accertamenti che i sacerdoti compivano al manifestarsi di simili malattie per stabilire se si trattasse o meno di vera lebbra. Per questo motivo Gesù quando guarisce dei lebbrosi li invita ad andare a mostrarsi ai sacerdoti nel tempio perché accertino la scomparsa della malattia (Lc. 5,12-14; Lc. 17,11-19; Mt. 8,1-4).

Con tutta probabilità Isaia inizia il suo ministero alla morte di re Ozia.

Lettura di 2 Cronache 28,1-5 in cui si parla di Acaz il quale "Non fece ciò che è retto agli occhi del Signore, come Davide suo antenato seguì le strade dei re d'Israele....bruciò i suoi figli nel fuoco..." (vv. 1-3).

Questo re idolatra disconosce completamente la legge divina e arriva a compiere il gesto più abominevole sacrificando a favore di Baal i suoi figli. Sappiamo che nella Bibbia la condanna dei sacrifici umani è sempre fermissima.

Una delle chiavi di lettura del mancato sacrificio di Isacco viene fornita proprio dalla polemica, allora assai vivace, nei confronti delle religioni dei popoli che praticavano sacrifici umani.

Lettura di 2 Cronache 28,16-27.

Nel brano letto è presente un accenno all'idolatria politica che si manifesta nel comportamento di Acaz, il quale chiede aiuto al re di Assiria pagandogli un tributo, senza peraltro ottenere un corrispettivo.

Ai vv. 20-21 è scritto: "Anche Tiglat-Pilèzer, re di Assiria, venne contro di lui e lo oppresse anziché aiutarlo. Acaz spogliò il tempio, il palazzo del re e dei principi e consegnò tutto all'Assiria, ma non ricevette alcun aiuto.".

Acaz, re empio, pur di conservare il potere pensa di sostenersi alleandosi con i re di Assiria e di Aram (Siria) e considera più potenti di Jahve le divinità alle quali offre sacrifici e brucia incenso. .

Secondo alcuni studiosi, una analoga motivazione sarebbe alla base del comportamento dell'imperatore Costantino quando questi decise di riconoscere il cristianesimo tra le religioni lecite dell'impero. Infatti, egli avrebbe ritenuto il Dio dei cristiani più potente degli altri dei in quanto lo aveva aiutato a conseguire la vittoria.

Isaia - continuazione

Letture di 2 Cronache 29,1-2

Ezechia, figlio di Acaz, è un altro re del quale al v. 2 si dice: "... fece ciò che è retto agli occhi del Signore come aveva fatto Davide suo antenato." Egli inizia una grande riforma religiosa e si preoccupa di restaurare la religione dei padri dopo quanto era avvenuto sotto il regno di Acaz. E 1'opera di restaurazione viene attuato da Ezechia mediante:

1 - la purificazione del tempio profanato da Acaz che pare avesse introdotto sacrifici a divinità straniere;

2 - il sacrificio espiatorio per tutti i peccati commessi dal padre Acaz;

3 - la ripresa del culto autentico a Jahve;

4 - la convocazione di un grande pellegrinaggio, che coinvolge Giuda e Israele, in occasione della Pasqua e degli Azimi (cap. 30);

5 - la riforma del culto (cap. 31 - lettura v. 1)

6 - la restaurazione del sacerdozio (cap. 31 - lettura v. 2).

Tutte queste opere sembrerebbero poter preludere a grandi benefici da parte di Dio. Invece, sappiamo che durante il regno di Ezechia avvenne 1'invasione di Giuda da parte di Sennàcherib, re di Assiria.

Lettura di 2 Cronache 32,1-8

Il re di Giuda ordina di ostruire tutte le sorgenti fuori della città per privare d'acqua il nemico e predispone la fortificazione di Gerusalemme ricostruendo le mura diroccate ed erigendone di nuove. Riorganizza, inoltre, 1'esercito e, a differenza del re Acaz, ripone la sua fiducia nel Signore ("...con noi c'è il Signore nostro Dio per aiutarci e per combattere le nostre battaglie." v.8)

Per i motivi ora esposti Isaia quando parla nel libro dell'Emmanuele (Dio con noi) intende, almeno per 1'immediato, Ezechia, figlio di Acab.

Abbiamo tutti presente la profezia ` : "Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che chiamerà Emmanuele" (Isaia 7,14).

Ezechia dimostra con il suo comportamento che anche il re può essere fedele al Signore. Questo uomo potrebbe essere considerato come un cristiano ante litteram, il quale sa che la sua vittoria non verrà, comunque, dagli apprestamenti difensivi dell'esercito ma dal Signore.

Lettura di 2 Cronache 32,9-27

Qui appare la tracotanza del re assiro Sennàcherib, forte del suo potere, ma senza fede nel Dio vivente.

Al v. 20 entra in scena Ezechia che, pregando con Isaia, ottiene dal Signore lo sterminio di tutto 1'esercito di Sennàcherib il quale, tornato sconifitto in patria, viene ucciso dai suoi stessi figli.

Dopo aver ottenuto dal Signore la guarigione da una malattia mortale, Ezechia si insuperbì ma di fronte all'ira divina "...si umiliò della superbia del suo cuore e a lui si associarono gli abitanti di Gerusalemme; per questo 1'ira del Signore non si abbatté su di essi finché Ezechia restò in vita.". (v. 26)

Lettura di 2 Re 19,20-34. L'intervento di Isaia.

In questi versetti viene narrato 1'intervento del profeta a favore di Ezechia. Ma chi è questo profeta?

Possiamo desumere alcune notizie dal libro dello stesso Isaia. E' un uomo di grande cultura. Lo confermano lo stile sobrio, sintetico ma stupendo, di alta poesia dei suoi scritti e i riferimenti geografici riportati nel libro. Probabilmente si tratta di una persona che aveva viaggiato molto, che alcuni considerano, addirittura, un ambasciatore o un dignitario di corte che ha compiuto missioni diplomatiche.

Quasi sicuramente Isaia cresce e vive a Gerusalemme, perché troviamo nei suoi scritti due tematiche che lo distinguono nettamente dai profeti del regno del nord (istituito da una dinastia di usurpatori):

1) 1'elezione di Gerusalemme, cioè la scelta operata da Dio per centralizzare il culto nella città santa. Di conseguenza i vari santuari e i luoghi di culto eretti nel passato vengono eliminati;

2) la centralità della dinastia davidica.

Questi temi sono sconosciuti, per ovvi motivi, ai profeti del regno del nord. I re di Giuda, a differenza dei monarchi del nord, sono tutti discendenti di Davide.

Con Isaia inizia - e ciò appare fondamentale - la tematica del messianismo regale che si svilupperà per tutta la storia del popolo ebraico: il Messia sarà un discendente del re Davide. Ricordiamo che Matteo al cap. 1 ce ne presenta la genealogia per dimostrare che Gesù è discendente di re Davide.

Sappiamo che quando Gerusalemme venne distrutta dai romani 1'imperatore, onde evitare di aver problemi in futuro con un nuovo Messia, ordinò 1'uccisione di tutti i discendenti di Davide.

Grande tema di Isaia collegato alla centralità di Gerusalemme ed alla discendenza davidica, è la fedeltà di Dio. Dio è fedele alle promesse fatte a Davide. Ne troviamo conferma in 2 Samuele 7.

Nei versetti 11-13 il Signore promette a Davide che manterrà sul trono la sua discendenza e che il Messia sarà un suo discendente.

Ecco, Isaia è il primo profeta che tiene vivo il sentimento di un messianismo regale nella linea di discendenza davidica.

Dio rimane fedele anche se il re attualmente al potere è indegno. Siamo in un sistema in cui è fondamentale la fedeltà al Signore - e non solo verso il popolo -.

Lettura di Isaia 6,1-13 - "Vocazione di Isaia"

Questo capitolo ci fornisce notizie autobiografiche e ci aiuta a comprendere tutto il libro di Isaia in quanto vi sono contenuti in sintesi i temi sviluppati nei 39 capitoli.

Siamo abituati, se abbiamo presenti le narrazioni della Bibbia, a situazioni fuori dal comune come quella della travagliata vocazione di Mosè, che viene descritta nell'episodio del roveto ardente che non si consuma mai: Dio impiega molto tempo (ben due capitoli dell'Esodo) per convincere il patriarca a recarsi in Egitto.

Anche Geremia accetta la sua vocazione con tanti dubbi e difficoltà.

Isaia, invece, si offre con una disponibilità totale e immediata, che ci ricorda le vocazioni degli Apostoli descritte nel Vangelo. La visione del nostro profeta contiene potenzialmente tutti i temi che verranno successivamente sviluppati nel libro. Certamente siamo ad una svolta per Isaia che prende piena coscienza almeno di quattro realtà:

1) La santità di Dio: Dio è il "tre volte santo".

E, poiché tre è il numero della perfezione, Dio è la santità perfetta. "Santo" significa "separato" e, quindi, Dio è totalmente "altro" e del tutto separato, staccato dall'uomo. E' il Signore onnipotente degli eserciti

,

2) la coscienza del peccato personale e collettivo.

"...perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito..." (Is 6,5);

3) la necessità di un castigo per il popolo.

Questo popolo dalle labbra impure merita un castigo;

4) la speranza della salvezza.

Ed è una speranza tutta particolare.

Alla fine del racconto della sua vocazione, Isaia ci parla di una sorta di decimazione del popolo: "Ne rimarrà una decima parte..." (6,13a).

A seguito di una ulteriore distruzione "...resta il ceppo." (6,13b). Il profeta, infatti, paragona il popolo a una grande pianta della quale rimarrà solo il ceppo, "...progenie santa...". E' ciò che noi chiameremo "tema del resto di Israele" o "tema del resto" .

Nel secondo Isaia sembrerà a un certo punto che questo "resto" coincida con il Messia che, quindi, non sarebbe più una persona singola ma una comunità. Si tratta, però, di un'intuizione che non avrà sviluppo.

Nell'ebraismo troveremo una analogia a questa comunità messianica negli Esseni, cioè nella comunità destinata a preparare 1'avvento del Messia e, in certa misura, essa stessa segno dei tempi ultimi.

Sappiamo che egli Esseni costituivano un gruppo religioso sviluppatosi, in particolare, all'interno dell'ebraismo dopo la persecuzione di Antioco IV Epifane. Essi ritenevano di conservare nella loro comunità il giusto sommo sacerdote nei discendenti di Sadoc. Fondarono, caso inaudito per 1'ebraismo, una vera e propria comunità monastica con il voto di castità.

I c.d. "rotoli di Qumram" o "rotoli del Mar Morto" facevano parte della biblioteca di quella comunità, forte di circa cinquemila persone il cui . nucleo più consistente si era ritirato nel deserto.

Gli Esseni dovevano mantenersi puri perché, ritenendosi gli unici sacerdoti non contaminati dal sangue impuro di altri pretendenti al sacerdozio, avrebbero accolto al suo arrivo il Messia e con lui avrebbero celebrato il culto, finalmente purificato. Il voto di castità degli aderenti alla comunità essena derivava proprio dalla necessità di una purità cultuale. Oltre ai sacerdoti e agli adepti che si dedicavano allo studio della Torah, esisteva una comunità di simpatizzanti (paragoniamola - per capirci - al "Terzó . ordine francescano") che seguivano la spiritualità essena dall'esterno.

Negli anni fra il 1950 e 1960, quando si cominciarono a tradurre i rotoli ritrovati a Qumram, sembrò emergere una quasi perfetta consonanza tra il messaggio di Gesù e quello degli Esseni, tanto da far pensare che Gesù stesso fosse appartenuto a quella comunità. Ciò avrebbe spiegato alcuni aspetti della vita di Cristo, come, ad esempio, il fatto che egli non fosse sposato.

Con il procedere della traduzione dei rotoli, però, emersero alcune differenze fondamentali tra la dottrina degli Esseni e il messaggio di Gesù. Ad esempio, un esseno non avrebbe mai toccato un morto, nemmeno per resuscitarlo, e neppure avrebbe avuto contatti con un uomo piagato dalla lebbra perché tali atti lo avrebbero reso impuro.

A1 contrario dell'universalismo di Gesù, gli Esseni costituivano una setta molto chiusa, esclusiva, che attendeva un Messia sterminatore di tutti i non appartenenti alla loro comunità; questo Messia avrebbe portato, poi, il culto purificato in tutte le isole. Secondo un'ipotesi abbastanza plausibile, Giovanni il Battista avrebbe ricevuto la sua formazione nella comunità degli Esseni nel deserto, tanto è vero che la sua concezione del Messia risente molto delle loro idee.

Nella vocazione di Isaia sono presenti anche delle sfumature come ad esempio:

1) il Dio tre volte santo si mostra al profeta che resta vivo (v. 5). Infatti era diffusa 1'idea che non si potesse vedere il Signore pena la morte. In questo episodio invece, vediamo che il Dio tre volte santo ha una certa "vicinanza" con 1'umanità o, quanto, meno, con il profeta;

2) il peccato dell'impurità può esser cancellato. Vediamo (sempre in Is. 6)nei vv. 6 e 7 che uno dei serafini prende in mano il carbone e con questo purifica la bocca del profeta.

Leggeremo in seguito i bellissimi testi di Isaia a proposito di Dio che perdona il peccato.

I Serafini (serafino significa "bruciante") sono creature angeliche con sei ali, che non possono vedere il Signore. Con due ali si coprono il volto, con due ali si coprono i piedi (che in senso biblico sono i genitali) e con le altre due volano. Si tratta di creature superiori all'uomo e vicino Dio. Isaia è il primo profeta a parlarne.

Il nostro profeta era sposato ed aveva almeno due figli ai quali erano stati attribuiti nomi simbolici come ai figli di Osea.

Coordin.
00giovedì 15 novembre 2012 23:15

Desumiamo dal testo altre caratteristiche di Isaia:

1 - è un uomo generoso che si spende in modo totale per il Signore. La sua predicazione non è accolta pacificamente (vv. 9-10), ma è segno di contraddizione e suscita ostilità;

2 - non è 1'uomo dei compromessi, ha un carattere duro che si manifesta nel confronto aperto, coraggioso, con il re Acaz. Mentre il monarca ci appare timoroso, il profeta non ha paura nemmeno del popolo;

3 - è dotato di una sottile ironia;

4 - nonostante egli appartenga a una classe sociale elevata, Isaia non ha riguardo alcuno nel contestare i ricchi e i potenti. E' nemico dell'anarchia in quanto 1'ordine proviene da Dio. XII lezione

Isaia - continuazione

Ci riallacciamo al precedente incontro per ricordare che Isaia era un tipico uomo d'ordine, come poteva esserlo un uomo dell'antichità.

Lettura di Is. 3,1-7

Il brano ci rappresenta una situazione del regno di Giuda che sta precipitando nell'anarchia. E' il sovvertimento dell'ordine costituito.

Ricordiamo in proposito la teoria dello storico greco Polibio, secondo la quale le varie forme di governo registrano un'evoluzione e un'involuzione sempre uguali, con le seguenti fasi:

I - monarchia che genera tirannide;

II - ribellione al tiranno e avvento dell'aristocrazia (=governo dei migliori);

III - involuzione dell'aristocrazia e passaggio all'oligarchia (=governo di pochi);

IV - nuova ribellione e instaurazione della democrazia (=governo del popolo);

V - degenerazione della democrazia in anarchia (=nessun potere).

Il ciclo si ripete, poi, con 1'avvento di un uomo forte è 1'instaurazione della monarchia che degenera in tirannide.

Polibio, dopo avere osservato le istituzioni soprattutto dell'antica Grecia, applica questa realtà alla storia in genere.

Il profeta sta descrivendo una situazione nella quale Dio ha privato il popolo di tutte le persone che avrebbero potuto guidarlo (profeta, giudice, incantatore, ecc.).

Notiamo che Isaia dimostra di avere ben presenti le varie classi sociali quando scrive che "...il giovane tratterà con arroganza 1'anziano, lo spregevole, il nobile." (v~5). Abbiamo la descrizione abbastanza dura di una realtà che dal nostro scrittore è vista come totalmente negativa, perché più nessuno appare in grado di gestire la situazione..

Prosegue la lettura di Is. 3

vv. 8-15. L'ostentazione del peccato è un fatto anche attuale: oggi non ci si vergogna più di nulla.

Isaia prende la difesa dei poveri e degli oppressi in quanto questi sono protetti da Dio. E il nostro profeta parla a nome del Signore.

vv. 16-24. Tutte le componenti del popolo, a causa del loro comportamento superficiale, meritan4 un castigo. Notiamo che anche oggi certe realtà, certe ostentazioni di ricchezza gridano vendetta al cospetto non solo di Dio, ma anche dei poveri.

Isaia ci descrive un popolo oppresso, sfruttato dalle classi dominanti; i pochi beni dei poveri sono finiti, sia pure legalmente, nelle dimore dei ricchi.

 

Il libro di Isaia

 

Prendiamo ora in esame il libro di Isaia, i cui 39 capitoli sono stati composti in epoche diverse. Abbiamo già sottolineato nell'introduzione la lunga "carriera" profetica di Isaia che predicò durante il regno di diversi monarchi.

Se non consideriamo il re Ozia, in quanto la vocazione del profeta è avvenuta alla fine del regno, il primo periodo di predicazione risale al tempo di re Jotam.

La maggior parte dei brani composti all'epoca di questo sovrano è contenuta nei capitoli 1-5.

Il regno di Jotam è stato caratterizzato da una situazione di benessere e di buon sviluppo economico, senza le minacce esterne che si avvertiranno soltanto verso la fine del regno stesso. Isaia esamina la condizione sociale e religiosa e riscontra molte ingiustizie ­mascherate da una falsa pietà - e un grande numero di pratiche religiose.

Lettura di Is. 1,10-26

In questo brano Gerusalemme non è più vista come città santa ma con il suo popolo viene paragonata a Sodoma e Gomorra.

Abbiamo presente 1'episodio di Sodoma. Probabilmente il peccato più grave di quella città, che il Signore vuole punire, consiste nella mancanza di ospitalità, che ancora oggi è sacra presso i popoli orientali.

Nei vv. 18-20 ritroviamo i temi già letti nella "vocazione di Isaia" (6,1-13) e cioè 1'invito alla conversione, la speranza della salvezza, il castigo.

Gerusalemme è divenuta una prostituta: ecco qui ripreso il messaggio di Osea che Isaia, però, riferisce non al popolo ma alla città.

Sottolineamo nel v. 23 "...la causa della vedova fino a loro non giunge." I diritti dei poveri non vengono riconosciuti da coloro che dovrebbero soddisfarli.

Al v. 26 si ha una bella immagine di Gerusalemme, ritornata "...città della giustizia, città fedele" dopo un momento di purificazione.

Lettura di Isaia 5,1-7. "Il canto della vigna"

L'inizio del brano ci rammenta la "Parabola dei vignaioli omicidi" (Lc. 20,9-19) che per Gesù ha carattere autobiograiico.

Il popolo sta diventando sempre più orgoglioso di se stesso; sta fondando sui beni materiali la propria esistenza. Il popolo crede di essere sapiente perché i beni hanno provocato un falso concetto di sapienza. Il popolo dà importanza solo all'effimero che induce a dimenticare o, comunque, a relativizzare Dio (e questo accade anche oggi). Quando 1'uomo possiede tutto deve avere una grande fede per ricordarsi di ringraziare il Signore e di fare 1'esame di coscienza.

Sappiamo che santa Teresa d'Avila dopo vent'anni di vita claustrale ebbe la sua "conversione" davanti all'immagine delle, piaghe di Gesù. Ripensando alla sua esperienza la santa sosteneva di aver vissuto per vent'anni ritenendo che Gesù fosse "il più importante"; invece in quel momento capì che Gesù è "1'unico".Ciò significa che non vi è nessun altro su cui fondarsi se non Dio.

Ecco, nel v. 4, una vigna che ha dato frutti amari. Dio viene considerato un po' superfluo oppure meno importante dei potenti.

Questa considerazione mi fa pensare alla logica della raccomandazione, molto anticristiana, secondo la quale il mio "dio" è il potente di turno che puo' farmi ottenere qualche cosa cui ho già diritto. L'opinione secondo la quale si può procedere in base alla raccomandazione risulta diffusa e radicata anche nel nostro ambiente. Noi cattolici dobbiamo avere il coraggio di rompere questa logica perversa. L'attribuire importanza ai "potenti" significa non volere riporre la propria fiducia nel Signore.

vv. 8-20 "Maledizioni". lettura

L'autosufficienza ci induce alla ricerca di beni materiali anziché di Dio. Al profeta, che presenta un quadro abbastanza fosco della situazione, sta però a cuore il richiamo alla conversione (rileggiamo in proposito Is. 1,16-20).

Lettura di Is. 2,1-5. Si tratta di uno dei brani più belli scritti dal nostro profeta, che si legge in preparazione al Natale. Ciò che aspetta la casa di Giacobbe non è il castigo peraltro non definitivo - ma la pace. Potremmo affermare che siamo in una logica di morte e di risurrezione.

I primi cinque capitoli del libro di Isaia ci forniscono un'idea delle tematiche che abbiamo visto annunciate nel brano della vocazione del profeta.

Il secondo periodo di predicazione di Isaia corrisponde al tempo di re Acaz, che regnerà per parecchi anni, ed è individuato nei capp. 7 e 8 del libro.

In realtà pare che gli oracoli del profeta siano concentrati in un solo periodo del regno di Acaz e che, dopo una sospensione durata alcuni anni, Isaia abbia ripreso a profetare al tempo di re Ezechia. .

Durante il governo di Acaz scoppió la guerra siro-efraimita combattuta dal regno di Israele (Efraim) e dal regno di Siria (Aram) alleati contro Giuda che si era rifiutato di unirsi a loro contro il regno assiro. Acaz, allora, per difendersi, si allea con gli assiri chiamandoli a intervenire in suo aiuto.

Il profeta criticò molto Acaz non tanto per questa sua politica di alleanza con gli assiri (e non, come sostengono alcuni interpreti, perché fosse invece favorevole ad una alleanza con 1'Egitto), quanto perché il re non si fidava di Dio, era un vile che temeva di lasciarsi guidare dal Signore.

Il peccato, gravissimo, di cui è incolpato Acaz consiste nella sfiducia verso Dio. E su questa constatazione Isaia sarà implacabile. La paura di Acaz nasce proprio da una mancanza di fiducia nel Signore e ciò in un re discendente di Davide è inammissibile e costituisce - come abbiamo già sottolineato - un peccato gravissimo.

Leggere Isaia capp. 7 e 8.

Isaia - continuazione

Lettura di Is 7,1-17

Siamo di fronte a un oracolo che conosciamo a memoria: 1'oracolo dell'Emmanuele. Pare opportuno aprire ora una parentesi: noi leggiamo 1'Antico Testamento alla luce del Nuovo Testamento. Isaia, invece, pronunciando in nome di Dio questo oracolo non pensava sicuramente a Cristo ma aveva presente il messianismo regale (di re in re), pensava, cioè, a Ezechia, il figlio che sarebbe nato ad Acaz.

In realtà, il profeta inconsciamente ha pronunciato questo oracolo prefigurando Gesù. Ciò significa che Dio va al di là anche dei profeti. Non è necessaria, infatti, la consapevolezza del profeta per esprimere un oracolo che ha un significato ben diverso da quello apparente. Isaia, quando parla si riferisce a una persona ben precisa, ma in realtà il progetto divino è differente. Ecco perché appare indispensabile il N.T. per comprendere 1'A.T. E questo è ben evidente nel Vangelo di Matteo che cita con molta frequenza 1'Antico Testamento. Allora, con la scena del Natale abbiamo la giusta interpretazione del nostro oracolo: "...perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato 1'Emmanuele..." (Mt 1,22-23).

Notiamo, infine, che noi leggiamo questo brano secondo il significato attribuitogli dal Vangelo, mentre Isaia parlando di "vergine" si riferiva evidentemente alla regina madre moglie di Acaz - la quale avrebbe dato alla luce Ezechia.

Insisto nel dire che per contestualizzare 1'Antico Testamento senza alcuna crisi di fede occorre affrontare la lettura della Bibbia iniziando dal Nuovo Testamento e in particolare dai Vangeli.

Re Acaz sta cercando 1'appoggio degli Assiri per difendersi dall'aggressione di Rèzin, re di Aram (Siria) e di Pekach, re d'Israele (Samaria), e Isaia condanna non tanto la richiesta di soccorso da parte di Acaz quanto il timore che scaturisce dalla mancanza di fiducia nella fedeltà di Dio. E', infatti, gravissimo per un discendente di Davide non credere nella realizzazione della promessa del Signore.

Lettura di Is 8,11-18

Ritorna ancora il tema della fiducia in Dio.

Dobbiamo temere che il Signore si allontani da noi, che ci castighi, che divenga "...laccio e pietra d'inciampo e scoglio che fa cadere..." (v. 14).

Anche S. Paolo ci esorta ad avere fiducia perché "...chi ci separerà dall'amore di Cristo?". Anche nella tribolazione e nell'angoscia noi siamo sempre vincitori perché Dio è al nostro fianco.

Isaia nel brano ora letto non propone un atteggiamento fatalista e quietista ma sottolinea che tutto, anche la politica, anche le alleanze, deve essere gestito alla luce di Dio, deve, cioè, essere basato sulla fede.

Sarà questo 1'atteggiamento di Ezechia che, diversamente dal padre Acaz, di fronte all'aggressione armata degli Assiri predispone la difesa, ma si mette nelle mani del Signore per essere salvato.

Possiamo, allora, definire Ezechia come il prototipo del cristiano perché, pur approntando la difesa contro 1'invasore assiro, ripone la totale fiducia in Dio.

E la benevolenza divina viene paragonata alle "...acque di Siloe, che scorrono piano..." (v. 6), alle acque di un placido torrentello. Notiamo la delicatezza del Signore. Questa espressione ricorda 1'episodio dell'incontro di Elia con Dio: "... ci fu un mormorio di vento leggero" ( 1 Re 19,2).

Nel brano prima letto (Is 8,11-18) sembrerebbero presenti oracoli contraddittori, in quanto si alternano sempre castigo e salvezza.

Il v.18 va letto nel senso che i nomi del nostro profeta e dei suoi figli sono presagi indicativi: Isaia significa "Dio salva" e Scariasùb "un resto tornerà". Il "resto" sta a indicare che molta parte del popolo subirà il castigo, la purificazione, ma che un'altra parte rimarrà fedele. Ecco la speranza: il popolo non verrà sterminato da Dio.

Il nome del secondo figlio di Isaia "Mahèr-salàl-cash-baz" significa "lesto al saccheggio - pronto al bottino", cioè "salvezza da Damasco e da Efraim" (Israele)" ma anche "purificazione del popolo".

Tutto è scritto in questi tre nomi. Isaia e i suoi due figli, perciò, diventano dei presagi per Israele. Il fatto stesso di pronunciare questi tre nomi fa pensare a qualche fatto che dovrà accadere.

Dopo la stesura di questo brano il nostro profeta tace per tutto il rimanente periodo del regno di Acaz, per poi profetare con Ezechia in minore età (III periodo) .

Ezechia a cinque anni rimane orfano di padre e il regno viene governato da un reggente del quale non sappiamo nulla. Di questo periodo conosciamo due oracoli: il primo riportato nel cap. 14,28-32 e il secondo nel cap. 28,1-4.

Il primo oracolo ci fa ripensare al salmo 2, che ci presenta una situazione analoga, abbastanza normale a livello politico, ma che ci viene trasfigurata su un piano religioso perché ci parla del Messia ("Insorgono i re della terra e i principi congiurano insieme contro il Signore e contro il suo Messia" v. 2). Qui il re diventa il Messia e gli alleati che vorrebbero fuggire diventano coloro che contrastano il Messia.

Secondo Isaia occorre stare tranquilli anche se si attraversa un momento di travaglio con il re ancora in età minore.

IV periodo (cap.28-31 ) .

Prende inizio dal 714 a.C., cioè da quando il giovane Ezechia diventa maggiorenne ed assume a tutti gli effetti il potere.

Il nuovo re, riformatore a livello religioso, cerca di procurarsi 1'indipendenza politica, essendo blandito sia dai babilonesi che dagli egiziani. In questo periodo, dopo la morte del re assiro, scoppia la rivolta di Giuda contro 1'oppressore straniero ma, mentre Ezechia pensa di essersi finalmente liberato dall'Assiria, l'esercito del nuovo re Sennacherib assedia Gerusalemme. Come già sappiamo, Dio, però, salva il suo popolo e il re fedele.

Sono riferiti a questa situazione storica i capp. 28-31 che contengono oracoli pronunciati in tre momenti fondamentali:

1 - Ezechia prepara in modo occulto la ribellione.

Lettura di Is 29. 15-24

Il profeta mette in guardia contro il pericolo di illusioni, perché i preparativi di difesa del popolo porteranno non la liberazione che si attende, ma soltanto tribolazioni e distruzioni in quanto non si considera la volontà di Dio. E' solo il Signore che salva.

2 - Lettura cap. 30 vv. 1-5

Isaia si scaglia contro 1'ambasciata in Egitto, mandata da Ezechia per allacciare 1'alleanza contro gli Assiri, perché si agisce senza consultare il Signore.

Lettura di Is 31, 1-3

Il nostro profeta considera un gravissimo peccato la mancanza di fiducia in Dio ("...senza guardare al Santo d'Israele e senza cercare il Signore." v. 2), perché "L'Egiziano è un uomo e non un dio..." (v. 3).

Il brano ci fa pensare agli scritti di un altro profeta, Osea, che parlava dell'idolatria politica nel regno del nord, dove 1'alleato era diventato quasi un idolo, e che rimarcava il peccato gravissimo di quel popolo il quale cercava dei sostituti a Dio.

Isaia invita a confidare nel Signore anche quando Egli ci pone di fronte ad eventi spiacevoli.

Lettura di Is 30. 8-17

Dobbiamo capire che Dio è onesto, non ci inganna mai. E noi dobbiamo evitare di essere come i veggenti che profetano illusioni (v. 10). Il vero profeta, invece, deve proclamare la verità anche a costo dell'impopolarità. Notiamo che i nostri giovani rischiano di diventare vittime dei profeti di illusioni, tra i quali si trovano - a volte per primi - gli stessi genitori che concedono troppo ai figli. Bisogna avere anche il gusto e il coraggio dell'impopolarità, anche se è necessario motivare chiaramente e sempre i "no".

3 - La terza parte di questi oracoli appartiene al periodo della realizzazione della ribellione che provoca la reazione del re assiro, il quale pronuncia parole piene di supponenza, di presunzione, non ricordandosi di essere semplicemente un re terreno.

Ecco, allora, la reazione di Isaia:

lettura del cap. 30, 27-33 ("Contro 1'Assiria")

Il vero vincitore è Dio che protegge la sua città.

Lettura di Is. 31, 4-5 ("Contro 1'Assiria")

In questi versetti notiamo belle immagini che verranno, poi, riprese da Gesù nella sua predicazione.

Gerusalemme, però, reagisce alla liberazione miracolosa con una grande superficialità.

I commentatori riportano a questo momento 1'oracolo contenuto nel cap. 22, 1-14 (lettura). La città gaudente non si è meritata il perdono del Signore che 1'ha liberata. Sottolineamo, però, nella profezia di Isaia 1'apertura alla speranza.

Lettura di Is. 32, 1-5 e 15-20 ("Il re giusto")

Una pace vera non può nascere se non in presenza della giustizia.

Leggiamo, ora, altri capitoli di apertura alla speranza: - Is. 11, 1-9 ("Il discendente di Davide")

E' uno dei grandi brani messianici. - Is. 2, 2-5.

Un grande messaggio di speranza è contenuto anche nei capp. 25, 26 e 27.

 

Isaia - continuazione

Sarebbe estremamente riduttivo dare al messaggio di Isaia solo una forte valenza sociale e politica. Il messaggio del nostro profeta deve essere visto, invece, in un'ottica religiosa in quanto egli sostiene che, per avere tra i membri della società un rapporto di reciproco rispetto, sia necessario ristabilire il giusto rapporto tra Dio e 1'uomo, perché proprio da Dio scaturisce ogni giustizia umana. Se 1'uomo perde di vista il Signore ogni ingiustizia diventa logica, normale. Senza Dio i lager nazisti possono sembrare un fatto logico, normale (e noi sappiamo che il regime nazista fu uno dei regimi più atei che ci siano stati). Senza Dio qualunque abominio dell'uomo ("homo homini lupus") diventa normale, non certo legittimo. Chi ci trattiene dall'agire a nostro piacimento se non dobbiamo fondamentalmente render conto a nessuno?

Per Isaia il giusto rapporto tra 1'uomo e il Signore non è antitetico. Si tratta di un rapporto di comunione nella diversità perché Dio è Dio. Riconoscere la sovranità del Signore significa che Egli è "altro" da me, non coincide con me.

Dico questo per mettervi, ancora una volta, in guardia dalla New Age, la quale sostiene tra 1'altro - che ciascuno di noi può entrare in contatto con il mondo dell'aldilà attraverso lo spiritismo e che noi possiamo ricevere messaggi dai morti e trascriverli. Secondo questa corrente di pensiero, ciascuno può inventarsi la propria religione di comodo.

Se teniamo presente la vocazione di Isaia, sappiamo che, invece, Dio - pur comunicandosi a noi - è il "tre volte Santo". (Da questo punto di vista il nostro profeta è fondamentale per capire il cattolicesimo). E' il "Dio con noi" che resta il "tre volte Santo", il "Padre nostro, che sei nei cieli". Dio è "altro"; non confondiamolo con noi stessi. Ricerchiamo il Signore in modo autentico attraverso la sua parola e i Sacramenti.

La radice del male, secondo Isaia, sta nel fatto che 1'uomo ha perso la misura della sua pochezza e si erge contro Dio pensando di sostituirlo con un uomo potente, nemmeno con un'altra divinità. Ecco, 1'idolatria politica.

Nel contesto di un uomo che si ribella a Dio e che cerca altri sbocchi per la sua fede si inserisce nel messaggio di Isaia il messianismo davidico, il messianismo regale. E il Signore ristabilirà la giustizia attraverso il suo inviato, cioè attraverso il Messia, che Isaia colloca in modo preciso all'interno della dinastia davidica. Uno di questi re sarà finalmente colui che attuerà ciò che Dio vuole; più nulla potrà intralciare la realizzazione del Regrio.

Uno dei temi fondamentali di Isaia è quello del re giusto. In proposito leggere: Is. 9, 1-6; 7, 10-17; capp. 11 e 12.

Coordin.
00giovedì 15 novembre 2012 23:17

 

Un altro tema essenziale della predicazione del nostro profeta è costituito dalla conversione del popolo.

La denuncia dei mali fatta dai profeti, e in particolare da Isaia, non appare fine a se stessa, in quanto è seguita dalla proposta di una via di conversione (contrariamente alla mentalità di sola denuncia del male, oggi diffusa). Il profeta, però, non è un illuso e sa bene che per molti uomini sarà impossibile il cambiamento.

Ecco, allora, che nel tema della conversione verrà inserito il concetto del "resto di Israele", cioè di quella parte del popolo ("gli 'anawim", gli umili, i poveri di Jahve) che ascolta il messaggio divino e lo mette in pratica. Costoro, il "resto di Israele", resteranno fedeli al Signore, si salveranno e riusciranno a dare continuità alla Legge.

Ricordiamo che all'interno dell'ebraismo esistevano diversi gruppi, in particolare la comunità degli Esseni a Qumran, che si ritenevano appartenenti al "resto di Israele".

L'ulteriore sviluppo del pensiero di Isaia ci apre alla speranza. Dio merita la nostra fiducia. Le promesse del Signore si realizzeranno per i pochi che gli resteranno fedeli.

Isaia viene collocato fra i profeti più aperti al bene e all'ottimismo; egli è sicuro che il male, comunque, non vincerà. Dio trionfa perché trova questo "resto" disponibile ad accogliere la sua parola.

Abbiamo, così, concluso 1'esame del primo libro di Isaia, quello attribuito sicuramente a lui. Vedremo più avanti che il secondo e il terzo libro non risultano composti da Isaia ma dai profeti della sua scuola o che, comunque, fanno riferimento al suo insegnamento.

 

Sofonia

E' un discepolo di Isaia.

Anche con Sofonia seguiamo lo schema solito che prevede all'inizio dello studio la descrizione dell'ambiente sociale, politico e religioso in cui agisce il profeta (dal 639 a poco prima del 622 a.C., durante il regno di Giosia in Giuda).

Lettura di Sof 1,1

A differenza di Isaia, Sofonia opera durante il regno di un solo re. Negli anni precedenti a Giosia avevano governato due monarchi malvagi (penso soprattutto a Manasse, nonno di Giosia, che regnò dal 698 al 643 a.C.).

Lettura di 2 Cronache 33, 1-20

Il re Manasse aveva fatto "ciò che è male agli occhi del Signore" (v. 1), riproponendo le divinità e i culti stranieri e distruggendo 1'opera di Ezechia.

Viene alla mente, leggendo il v.9, il proverbio "L'esempio viene dall'alto". Ricordiamoci questa massima quando educhiamo i figli.

Notiamo nei versetti ora letti una particolare concezione della conversione dei popoli, che sarà poi ripresa nell'alto Medio Evo dai popoli barbari che abbracciavano la religione alla quale si erano convertiti i loro sovrani, perché la religione del popolo doveva essere quella del re.

Anche oggi possiamo constatare quanta influenza abbiano gli intellettuali sull'opinione del popolo e come sia, purtroppo, ridotta la presenza degli intellettuali cattolici nella nostra società. Non a caso la Chiesa nel recente convegno tenutosi a Palermo ha rilanciato il tema della scelta culturale, cioè della necessità della presenza animatrice dei cattolici nella cultura.

Lettura di 2 Cronache 33, 21-25

Nel brano viene tradotta con "popolo" una parola che in ebraico esprime soltanto una parte del popolo, quella umile, escludendo certamente le classi sociali più elevate.

Si evidenzia, qui, che, grazie all'opera del popolo che "...uccise quanti avevano congiurato contro Amon" e che "...proclamò re, al posto di lui, suo figlio Giosia" (v. 25), viene garantita la successione davidica nel regno di Giuda. E' il popolo che vuole come re Giosia, successore legittimo di Davide e grande riformatore.

Lettura di 2 Re, 22-23 e

di 2 Cronache 34, 1-21 ("La riforma di Giosia").

Nel secondo brano, a differenza di quanto scritto in 2 Re, si dà una cronologia esatta degli avvenimenti.

Possiamo ritenere che Giosia si avvalesse per la sua opera riformatrice di saggi consiglieri, come il profeta Sofonia.

In modo molto delicato questo scritto ci comunica che Giosia riconquistò gradualmente tutti i terntori perduti e occupati dalla Siria. Ancora un'annotazione: il libro scoperto durante i lavori di rifacimento del Tempio (vv. 14-21 ) quasi sicuramente si deve identificare con il Deuteronomio (contiene, tra 1'altro, il grande discorso finale di Mosè), che proprio durante il regno di Giosia ebbe la sua redazione definitiva.

Lettura di 2 Cronache 34, 22-28

Giosia inizia una grande riforma. Demolisce gli altari che erano stati innalzati dal nonno e dal padre e purifica il Tempio.

Il ritrovamento del libro del Deuteronomio, "la seconda legge" del Signore, durante i lavori di ristrutturazione del Tempio offre 1'occasione al re per portare a compimento in modo radicale la riforma intrapresa. Siamo nel 622 a.C. e viene consultata la profetessa Culda. Gli storici ritengono che in quell'anno Sofonia fosse già morto senza vedere, perciò, il compimento dell'opera di Giosia della quale era stato 1'ispiratore, il suggeritore e la guida nel periodo iniziale.

Il libro di Sofonia è breve, di agile lettura, importante.

Al cap. 1; v. 1 vengono elencati gli antenati di Sofonia, figlio dell'Etiope, per dimostrare che, in realtà, egli era di stirpe ebraica: i suoi avi portavano tutti, infatti, nomi ebraici.

Il libro si suddivide in tre sezioni:

I - dal cap. 1, 2 al cap. 2, 3

II - dal cap. 2, 4 al cap. 3, 8

III - dal v. 9 al v. 20 del cap. 3

Il centro della I sezione è costituito dal giudizio che colpirà Giuda, con una tematica fondamentale, quella del giorno di Jahve che arriverà sicuramente.

Si tratta di un tema attorno al quale si collocano gli oracoli, quasi a significare che il giorno del Signore arriverà a punire e a eliminare le ingiustizie sociali esistenti ed, anche, a ristabilire una giusta concezione della religione.

Lettura di Sofonia 1, 12-13.

Lettura di Sof 1, 14-18

L'ira del Signore si scatenerà nel suo giorno. Per sfuggire al castigo bisogna praticare la giustizia e la moderazione.

Lettura di Sof 2, 1-3

Al giudizio nel giorno dell'ira saranno sottoposti non solo gli abitanti di Giuda ma tutte

le nazioni.

Nella II sezione le invettive contro le nazioni raggiungono 1'apice con 1'ultima contro la nazione di Giuda. E' ovvio: a chi è più dato, più viene richiesto. Il castigo della nazione potrebbe indurre Giuda a convertirsi, ma i capi del popolo sono testardi.

Lettura di Sof 3, 1-5

La III sezione presuppone il compimento del giudizio divino che non comporta lo sterminio finale, la distruzione di tutto, in quanto si apre la fase nuova della speranza, della gioia e della ricostruzione. Anche questo momento, come quello del giudizio, è esteso a tutte le nazioni.

In Sofonia appare presente una certa intuizione universalistica comunque intesa come una conversione di tutte le nazioni a Jahve.

Ricordiamo che dall'antichità fino all'Umanesimo (sec.XV) era sconosciuta 1'idea della tolleranza, considerata, addirittura, un peccato grave contro la verità. Infatti 1'idea della tolleranza religiosa cominciò a farsi strada in Europa soltanto con le guerre di religione.

Il libro di Sofonia si chiude con il bellissimo messaggio di speranza di un Dio che va oltre il castigo.

 

Sofonia - continuazione

Lettura di Sofonia 3, 14-17

Riconosciamo un brano a noi familiare in quanto è una delle letture proposte dalla liturgia in Avvento per prepararci alla venuta del Messia.

Abbiamo letto questi versetti per due motivi:

1) perché si tratta di un passo in cui il profeta si apre alla speranza. Sofonia non si ferma al castigo che costituisce un passaggio, una introduzione alla salvezza. Quindi, più che di castigo, potremmo parlare di purificazione del popolo;

2) perché è bene evidenziare che negli scritti di Sofonia manca. un elemento fondamentale del profetismo del sud, cioè il messianismo regale. Infatti non è presente 1'idea del re-messia, del discendente di Davide, in quanto il Signore stesso è il re d'Israele. Ecco il motivo per cui questi versetti, che vengono proposti in Avvento, sono così vicini alla sensibilità cristiana.

Sottolineo in particolare le parole: " Re d'Israele è il Signore in mezzo a te" (v. 15) e "Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente." (v. 17). E', quindi, un Dio che interviene senza più bisogno di mediatore, di un re discendente di Davide. '

Il v. 15 ci ricorda il Prologo del Vangelo di Giovanni (l, 14): "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi...", anche se sarebbe meglio tradurre "pose la sua tenda in mezzo a noi .

Questo Dio così presente ci richiama immediatamente 1'Emmanuele (Dio con noi) di Isaia. Con Sofonia il Signore diventa "il" protagonista.

Il nostro profeta è molto concreto, non elabora grandi questioni teologiche ma manifesta interesse per la conversione del popolo, perché 1'ultima parola del Signore non è "castigo ma "salvezza", "speranza".

Ricordiamo che Sofonia fu 1'ispiratore e il sostenitore della riforma di Giosia.

A1 termine della lezione vi leggerò alcune frasi del discorso pronunciato in Messico 1'altro giorno da Giovanni Paolo II, questo grande profeta dei nostri giorni. Noteremo che nella seconda parte il Papa apre alla speranza soprattutto quando annuncia che Cristo, comunque e sempre, per tutti ha parole di vita eterna. , 

Coordin.
00giovedì 15 novembre 2012 23:19

Geremia

 

Viene definito il profeta più vicino a Cristo non tanto per il suo messaggio ma soprattutto per la sua vita travagliata, contraddistinta da incomprensioni e da persecuzioni dovute non solo alla sua opera ma anche al periodo storico in cui si trovò a vivere.

Potremmo dire che la vita di Geremia si svolse durante due periodi della storia del regno di Giuda; periodi fra loro separati dal 609 a.C., anno della morte di Giosia.

Gli anni precedenti al 609 e coincidenti con il regno di Giosia furono caratterizzati dall'ottimismo, dalla riforma religiosa, dall'espansionismo con la riconquista dei territori perduti e di gran parte del regno del nord.

Negli anni successivi alla morte di Giosia si verificò una rapidissima decadenza del regno di Giuda perché cominciava ad affacciarsi sullo scenario politico del Medio Oriente una nuova grande potenza: il regno di Babilonia. Contemporaneamente declinava la potenza di Assiria e di questo approfittarono soprattutto i Babilonesi, tanto che il faraone d'Egitto decise di intervenire in soccorso degli Assiri che fino a quel momento erano stati i loro nemici storici.

Nel piccolo regno di Giuda era subentrata una situazione di grande disordine con corruzione, disfacimento dell'esercito, ingiustizie sociali e decadenza religiosa. Vennero meno gradualmente gli effetti della riforma di Giosia che non si era sufficientemente consolidata, anche se era stata estesa ai territori occupati del regno del nord.

Lettura di 2 Re, 28-37

Con poche parole è narrato un dramma. Giosia, re intelligente e acuto, avendo compreso lo sviluppo degli eventi a favore dei babilonesi, con il suo piccolo esercito cercò di impedire il transito nella pianura di Meghiddo alle forti e numerose truppe egiziane guidate dal faraone Necao, sbarcate per andare in soccorso sull'Eufrate al re di Assiria. Meghiddo era una fortezza strategica collocata nell'omonima pianura e atta a impedire il transito di qualunque esercito che, giunto dal mare, volesse seguire la via più breve per raggiungere 1'Assiria.

Giosia viene subito sconfitto da Necao il quale è, a sua volta, sconfitto dai babilonesi e, dopo il fallimento dell'impresa, rientra in Palestina con i resti del suo esercito. Qui il faraone depone e imprigiona il figlio e successore di Giosia, Ioacaz (che regnò solo per tre mesi) e lo sostituisce con il fratello Eliakim al quale cambia addirittura il nome in Ioiakim.

Il regno di Giuda, governato da un re "fantoccio" imposto da Necao, costituisce così un baluardo per 1'Egitto. Il re empio è costretto a una politica fiscale vessatoria per poter pagare il tributo imposto dall'Egitto. Ioiakim, che mantiene il potere grazie al faraone (ormai perdente), si inimica così il popolo.

Lettura di 2 Re 24, 1-17

Tutto quanto avviene ad opera dei babilonesi è voluto dal Signore.

Il vero protagonista non è, quindi, Nabucodonosor, che è solo uno strumento come pure lo sono le "...bande armate di Caldei, di Aramei, di Moabiti e di Ammoniti..." (v. 2) che portano disordine in Giuda.

Il Signore agisce attraverso i nemici di Giuda perché sta punendo i suoi re, e in particolare Manasse e la sua discendenza. Punisce anche il re Ioiakim "...a causa del sangue innocente versato quando aveva riempito di sangue innocente Gerusalemme..." (v. 4). Probabilmente qui si fa riferimento ad una rivolta popolare soffocata nel sangue. Re Ioiakim si sottomette a Nabucodonosor per soli tre anni e poi si ribella. Viene probabilmente ucciso a seguito di una congiura e al suo posto sale al trono il figlio Ioiachin, empio come suo padre.

Nabucodonosor conquista Gerusalemme, fa prigionieri il re con i familiari e con la corte, depreda il Tempio con tutti gli oggetti d'oro, deporta dalla città in Babilonia anche diecimila persone appartenenti alle classi sociali più elevate, i guerrieri e gli artigiani lasciando in Giuda "...solo la gente povera del Paese" (v. 14). Si tratta della prima deportazione (597 a.C.) che sottrae al paese tutte le energie vitali. Rimane, così, un popolo di schiavi.

Questo comportamento ricorda la politica degli ostaggi, con la deportazione dei giovani nobili appartenenti ai popoli sottomessi, seguita dagli Aztechi e dai Romani.

Come successore di Ioiachin, Nabucodonosor nomina re lo zio Mattania cambiandogli il nome in Sedecia.

Dopo la prima deportazione resta in Giuda una parvenza di indipendenza, ma Sedecia, pur essendo un re "fantoccio" come il suo predecessore, ad un certo momento si ribella al re di Babilonia.

Lettura di 2 Re 25

Il secondo assedio di Gerusalemme, compiuto da Nabucodonosor e conclusosi con il saccheggio della città e con la seconda deportazione, ci ricorda un altro assedio, quello attuato dai romani nel 71 d.C. - e descritto da Giuseppe Flavio - durante il quale si verificarono episodi di cannibalismo. Al re Sedecia furono uccisi, in sua presenza, i figli e, quindi, egli stesso fu accecato e deportato in catene in Babilonia.

La seconda deportazione risulta definitiva. Rimangono in Giuda soltanto "...alcuni fra i più poveri del paese come i vignaiuoli e come i campagnoli.". (v. 12)

Gerusalemme cessa di esistere come entità autonoma e a capo del territorio viene nominató un governatore babilonese.

In un periodo storico così tragico opera Geremia.

Il nostro profeta nasce ad Anatot, cittadina a 6 Km da Gerusalemme. Apparteneva a quella parte della tribù di Beniamino (situata al nord) che si era stanziata nel regno di Giuda (al sud). Sappiamo anche che Geremia proveniva da una famiglia sacerdotale e questo spiegherebbe - secondo alcuni studiosi - la sua formazione e il suo rigore. Certamente la sua origine dalla tribù di Beniamino spiega perché:

1 ) non risultano per lui importanti due aspetti del profetismo del sud, cioè 1'elezione di Gerusalemme e il messianismo regale. Infatti queste due tematiche sono lasciate molto al margine dal nostro profeta;

2) ha grandissima importanza per Geremia la rilettura dell'Esodo, inteso non tanto come liberazione dall'Egitto quanto come cammino nel deserto per arrivare alla terra

promessa. Se pensiamo agli anni tragici in cui egli vive, riusciamo a immaginare il motivo: quei tempi erano come un deserto nel quale il popolo rischiava di smarrirsi, di perire. Ecco, allora, la speranza della terra promessa, della salvezza.

Geremia sicuramente non esercitò mai la funzione sacerdotale e ricevette la vocazione profetica nel 627-626 a.C.

Lettura di Geremia 1, 1-3 - "Titolo".

In questo brano è sintetizzato il periodo storico in cui si è svolta 1'attività di Geremia che noi conosciamo meglio di altri profeti per le notizie autobiografiche (con accenni storici) contenute nel suo libro. Per alcuni anni della sua vita, però, possiamo avanzare soltanto delle congetture.

Si possono distinguere nella vita di Geremia quattro periodi:

- il primo periodo corrisponde al regno di Giosia (dal 627-626, anno della vocazione, al 609, anno della morte di Giosia stesso).

Uno solo oracolo è sicuramente riferito a questi anni - dei quali non si hanno, quasi, notizie - ed è quello inserito in Ger 3, 6-13 ("L'Israele del nord invitato alla conversione"): lettura.

Il ritrovamento del testo del Deuteronomio avviene nel 622, quando Geremia profetava già da diversi anni. Perché, allora, Giosia - come abbiamo detto nella precedente lezione - si rivolge alla profetessa Culda e non al nostro profeta per chiedere pareri sul da farsi? Geremia non era sicuramente contrario alla riforma, come potrebbero far pensare alcuni suoi oracoli (interpretati come rigetto della riforma, considerata semplicemente come strumento di potere), ma era favorevole, come risulta da altri suoi oracoli, tanto che 1'unico sovrano del quale egli parla bene è proprio il riformatore Giosia.

Si sostiene, secondo un'opinione verosimile, che Geremia fosse favorevole alla riforma non solo perché condivideva 1'operato del re, ma anche perché era legato alla famiglia di Safàn, uno dei promotori principali della riforma stessa, che lo aveva più volte salvato dalla morte.

Molto probabilmente Geremia non era in Giuda in quel periodo, ma si trovava nel regno del nord proprio per diffondere la riforma (e 1'oracolo ora letto è significativo al riguardo).

Con un'espressione moderna potremmo dire che il nostro profeta era stato mandato a evangelizzare un popolo che, a causa delle varie invasioni, aveva abbandonato la religione jahvista. Geremia, diventa, perciò, "1'uomo di punta" della riforma in un territorio dove da più di un secolo si era sedimentata 1'eresia.

Ci troviamo di fronte a una dimensione abbastanza sconosciuta ma fondamentale in Geremia che come missionario non si limita a predicare in Giuda, ma cerca di ricondurre altre popolazioni alla condizione di popolo privilegiato di Jahve.

Ecco il motivo per il quale Geremia, essendo impegnato per circa diciotto anni al nord, non cita molto nei suoi scritti tutti i fatti conseguenti al rinvenimento del testo del Deuteronomio.

Lettura di alcune frasi del discorso pronunciato recentemente dal Papa in Messico: "Poiché alcuni potenti hanno voltato le spalle a Cristo, questo secolo che si conclude assiste impotente alla morte per fame di milioni di esseri umani...; rinuncia a promuovere i valori morali, progressivamente erosi da fenomeni come...il consumismo sfrenato e il diffuso edonismo; contempla inerme il crescente abisso fra i paesi poveri e indebitati e altri forti e opulenti; continua a ignorare la perversione intrinseca e le terribili conseguenze della cultura della morte; promuove 1'ecologia, ma ignora che le radici profonde di qualsiasi attentato alla natura sono il disordine morale e il disprezzo dell'uomo per 1'uomo."

Queste taglienti parole sono subito temperate dalla convinzione che 1'umanità possa e debba voltare pagina, ritornando a quel Cristo che per tutti "ha parole di vita eterna".

Geremia - continuazione

Ricordiamo 1'oracolo del cap.3, 6-13 sicuramente riferito al periodo in cui Geremia svolge la sua missione nei territori già appartenenti al regno del nord e conquistati da re Giosia. Anche il cap. 2 contiene probabilmente degli elementi riguardanti quel tempo.

Lettura di Ger 2, 13-14

Ecco un popolo (quello del nord) che rifiuta la sorgente di acqua viva e si costruisce "...cisterne screpolate, che non tengono 1'acqua." (v. 13).

Questo brano ha una notevole attualità: rispecchia la situazione religiosa odierna. Io dico, con un paragone molto semplice, che è come se si rifiutasse 1'acqua limpida di un laghetto alpino per scegliere 1'acqua limacciosa di una palude.

Lo scorso anno con gli alunni del liceo ho condotto un'indagine sull'importanza di dieci valori (quali la famiglia, Dio, la solidarietà, la scuola, 1'amicizia, il divertimento...). Mi sono stupito nel rilevare che, nell'ordine, Dio era stato collocato prevalentemente soltanto al terzo posto, preceduto al primo e al secondo posto, rispettivamente, dalla famiglia e dall'amicizia. Ciò indica la presenza di una notevole problematica perché, conoscendo i nomi dei ragazzi che avevano risposto al questionario, mi sono chiesto a quale Dio pensassero; non di certo al nostro.

Probabilmente pensano a un "valore" astratto che può dare gioia, serenità, aiuto; a un "valore" buono che, magari, ha creato il mondo. Anche molti di quegli alunni che avevano indicato Dio al primo posto nella scala dei valori avevano smesso di praticare la religione dopo aver ricevuto la Cresima. Eppure, Dio è importante.

Il risultato dell'indagine apre alla speranza e ci stimola all'impegno: se per quei ragazzi è così importante Dio (sia pure dopo la famiglia e 1'amicizia), per noi diventa una responsabilità annunciare il Dio vero, la sorgente di acqua viva. Non permettiamo che si costruiscano "cisterne screpolate, che non tengono 1'acqua".

Abbiamo visto che, con il passare del tempo, la riforma di Giosia perde forza. E' un fatto abbastanza normale, avvenuto, del resto, anche nella storia della Chiesa per tante riforme attuate, che con il tempo hanno perso slancio. In questo senso sono concepibili alcuni attacchi di Geremia a questa riforma ormai in decadenza.

Lettura di Ger 5, 1-9

Il primo versetto richiama il mercanteggiamento di Abramo con il Signore per tentare di evitare la distruzione di Sodoma. Geremia dialoga stupendamente con Dio. L'immoralità dilaga; ognuno cerca il proprio interesse; il diritto divino non è più riconosciuto né dalla gente di bassa condizione né da coloro che dovrebbero guidare il popolo.

Dopo alcuni anni la riforma e il conseguente risveglio religioso perdono vitalità, si torna all'adorazione degli idoli, si commettono angherie verso il popolo.

Il II periodo della vita di Geremia corrisponde al regno di Joiakim.

Lettura di 7, 1-11

Siamo in un tempo di decadenza morale.

Il re si comporta esattamente come il nonno Manasse e si discosta, quindi, dalla via intrapresa da Giosia, suo padre.

Si tratta del primo grande attacco di Geremia alla sicurezza che il popolo aveva nella sua elezione da parte del Signore, a una religiosità ferma ad alcuni fatti materiali, a una sicurezza che è data dal tempio di Gerusalemme.

Geremia non è un dissacratore. Egli vuole soltanto mettere in guardia dall'uso sbagliato dei cardini della religiosità ebraica.

Che significa avere il tempio del Signore in Gerusalemme? Significa doversi purificare ogni volta che vi si entra; significa ricordarsi che Jahve vi è presente e ci giudica.

Allora, Geremia non sostiene che il tempio deve essere demolito, ma che non bisogna avere una fiducia quasi superstiziosa in quelle pietre (è questa una parte del messaggio di Gesù). Non sarà per rispetto al suo tempio (che di per sé non vale nulla) che Dio salverà Gerusalemme dalla distruzione.

In pratica, il Signore ci chiede un comportamento coerente con la nostra fede.

Alla luce di quanto detto è possibile comprendere correttamente il significato delle critiche di Geremia al tempio.

Lettura di Ger. 22, 13-19 ("Contro Joiakim")

Per capire 1'importanza del tempio e della reggia a Gerusalemme, pensiamo alle nostre città medioevali nelle quali i due edifici più importanti erano, da una parte, la cattedrale e, dall'altra, il palazzo del Comune o della Signoria, che rappresentavano rispettivamente il potere religioso e il potere civile.

Dopo il tempio il nostro profeta critica il re. Geremia si scaglia prima contro 1'emblema di una potenza, la reggia, e poi, più direttamente contro il re Ioiakim soprattutto per mezzo del paragone con il comportamento di suo padre Giosia. Notiamo, ancora una volta, che il profeta non ha riguardo alcuno per i potenti.

Lettura di Ger. 19, 1-11

Siamo davanti a uno dei tanti gesti simbolici dei profeti.

Lettura di Ger. 20, 1-6

Sono importanti questi due ultimi brani che si riferiscono al tempo in cui Geremia cominciava a parlare di Babilonia durante il regno di Ioiakim.

Ricordiamo che i Babilonesi, dopo aver sconfitto gli Egiziani, stavano ormai soppiantando gli Assiri e il profeta ritiene, quindi, imminente lo scontro fra il regno di Giuda e la crescente potenza babilonese.

Geremia capisce che la minaccia babilonese è sottovalutata anche per il fatto che Giuda sta attraversando un periodo di stabilità politica. Ecco perché, oltre al tempio e al re, Geremia critica i dirigenti politici che sottovalutano il pericolo incombente.

Allora, i tre grandi filoni della predicazione di Geremia durante il regno di Ioiakim sono: il tempio, il re, i dirigenti politici.

Comunque la sostanza del messaggio contenuto nelle parole del nostro profeta sta nell'invito alla conversione, poiché è imminente 1'arrivo di un castigo che sarà operato dai Babilonesi.

Lettura di Ger. 5, 12-13

Il popolo sta perdendo la fiducia nel Signore e nei suoi inviati e cerca la sicurezza nelle cose materiali.

Lettura di Ger. 17, 5-13

Forse è proprio 1'ambiente della steppa e del deserto (che si estende verso il Mar Morto) che Geremia ha presente nella stesura del v. 6.

Il nostro profeta non condanna i ricchi in quanto tali, ma critica coloro che accumulano ricchezze opprimendo il prossimo e che, quindi, non praticano la giustizia.

I responsabili di questa grave situazione di ingiustizia si possono ricondurre a tre categorie:

I - il re (primo responsabile) - vedi cap. 21, 11-12

II - i falsi profeti (cioè coloro che per servilismo dicono al re e al popolo soltanto quanto è loro gradito) - vedi cap. 23, 9-32

III - i sacerdoti (che usano il culto come strumento di potere personale e come mezzo di arricchimento) - vedi il cap. precedente.

Leggere cap. 16 v. 13 che si riferisce espressamente ai profeti e ai sacerdoti.

I re, i falsi profeti e i sacerdoti costituiscono una struttura che non permette al popolo di convertirsi, anzi lo induce a credere che la condotta iniqua intrapresa sia quella giusta. Questa situazione non consente di capire i desideri di Dio e rende inevitabile il castigo che sarà inflitto per mezzo dei Babilonesi.

Secondo i profeti nella commistione tra situazioni civili, religiose e politiche, tutto va letto alla luce divina, persino la scelta delle alleanze.

Il terzo periodo della vita di Geremia corrisponde al regno di Sedecia.

Come aveva previsto il profeta, avviene la seconda invasione da parte dei Babilonesi, quando ormai da alcuni anni una parte del popolo (le classi socialmente più elevate) non era più presente in Giudea a causa della prima deportazione.

La nuova situazione pone al profeta due interrogativi:

1 - la parte del popolo eletto rimasta in Giuda si rende conto, ora, che la sua elezione non è sufficiente per la salvezza?

2 - i deportati in Babilonia in quale Dio arriveranno a credere? Perderanno la fiducia in Jahve che li ha abbandonati?

Ma i rimasti in Giuda non intendono convertirsi, perché si ritengono i migliori in quanto salvati dalla deportazione. Da parte loro i deportati si sentono abbandonati dal Signore e si demoralizzano. Ecco, allora, la duplice reazione di Geremia:

1 - i rimproveri e gli incitamenti alla conversione per i superstiti nel territorio di Giuda;

2 - le lettere ai deportati; lettere di consolazione e di speranza nella fine dell'esilio.

Lettura di Ger. 24, 1-8 ("I due canestri di fichi").

Sedecia e il popolo rimasto in Giuda ritenevano che i fichi cattivi simboleggiassero i deportati in Babilonia; per il Signore, invece, i fichi buoni rappresenterebbero gli esiliati, mentre i fichi cattivi sarebbero costituiti proprio dal re e dal popolo in Giuda.

Lettura di Ger. 28, 1-17 ("L'alterco con il profeta Anania").

Sedecia è indotto alla ribellione contro il re di Babilonia ma Geremia si oppone.

In questo brano appare chiaramente la constatazione che tutto viene da Dio. Infatti, il re babilonese è uno strumento del Signore così come il re di Persia, Ciro, che liberò gli esuli (vedi Isaia). Dio si serve di Nabucodonosor per castigare i suoi figli ribelli con la distruzione del regno giudaico.

La motivazione di Geremia non è politica ma, prima di tutto, teologica. Nabucodonosor gode del favore di Dio che chiede la sottomissione di Giuda alla potenza babilonese. Molti hanno accusato il nostro profeta di essere al soldo dei babilonesi, ma ciò non appare proprio vero in quanto Geremia ha solo una visione teologica della realtà.

Il profeta, dopo la seconda deportazione, rimane in Giuda, visto con molto favore dai babilonesi. Contro i suoi consigli, il governatore Godolia viene ucciso da Ismaele e per timore di rappresaglie i congiurati fuggirono poi in Egitto portando con sé Geremia, del quale non si avranno più notizie.

Coordin.
00giovedì 15 novembre 2012 23:21

Geremia, 1'uomo e il profeta

L'epoca di Geremia

Il tempo in cui visse Geremia si presenta alla storia come uno dei periodi più tormentati nel quadro generale del Medio Oriente. Il regno di Giuda è tra due fuochi: l'Egitto e i babilonesi.

decadenza dell'impero Assiro

distruzione di Ninive (612) ad opera del nascente impero neobabilonese

L'introduzione al libro di Geremia colloca i fatti narrati, dall'anno tredicesimo del regno di Giosia (626 a.C.) alla distruzione di Gerusalemme (587 a.C.) ad opera di Nabucodonosor.

 

Gli ultimi re di Giuda

 

AMON (642-640) I

GIOSIA (1)

re riformatore (640-609)

 

IOACAZ (2)

(609)

 

(Eliakim) IOIAKIM (3)

(609-598)

 

IOIACHIN (4)

(598 - esilio)

 

(Mattanìa) SEDECIA (5)

(598-587)

distruzione di Gerusalemme

 

 

LE VICENDE DEGLI ULTIMI RE DI GIUDA SONO DESCRITTI NEL SECONDO LIBRO DEI RE DAL CAP. 22 AL CAP. 25

(1) Il re Giosia muore dopo trentun anni di regno e a soli trentanove anni di età, nel 609, all'inizio di una battaglia, mentre cercava di frenare la marcia del faraone Necao che si recava a dare il suo aiuto all'Assiria ormai avviata al disastro. La battaglia sfortunata ebbe luogo a Meghiddo, nella fertile paianura che congiunge il mediterraneo al giordano, a nord-est del momte Carmelo.

(2) Non sappiamo perché alla morte di Giosia il popolo abbia eletto re il figlio secondogenito, Ioacaz che aveva ventitré anni. Ma costui non ebbe tempo di assaporare la gloria del trono perché, dopo solo tre mesi dalla sua elezione, il faraone Necao di ritorno dalla inutile spedizione in aiuto all'Assiria, Io fece prigioniero e lo deportò in Egitto, dove morì.

(3) II faraone Necao nomina re il figlio primogenito di Giosia, Eliakim, cambiandogli però il nome in Ioiakim come segao di sudditanza. Giuda è sotto l'influenza egiziana. Successivamente il re babilonese Nabucodonosor mosse guerra contro l'Egitto e coinvolse anche il re di Giuda Ioiakim che diventò vassallo insofferente della potenza babilonese. Nel regno si formarono due partiti, uno filo-egiziano appoggiato apertamente dal re, e I'altro filo-babilonese che cercava di stabilire rapporti amichevoli con i nuovi padroni deI mondo. Nel 601 a.C. scoppió una rivolta contro Nabucodonosor.

(4) la ribellione di Ioiakim venne scontata da suo figlio Ioiachin. Appena salito al trono nel 598 a.C. si vide assediato a Gerusalemme dall'esercito babilonese che intendeva punire il regno di Giuda dal presente tentativo di rivolta. Il re diciottenne si arrese subito agli assedianti. Questo suo gesto gIi salvò la vita, ma non gli risparmiò la deportazione in Mesopotamia con alcune migliaia di suoi uomini migliori. Ioiachin rimase un prigioniero di riguardo a Babilonia.

(5) Nabucodonosor nominò re a Gerusalemme un terzo figlio di Giosia; il ventenne Mattanìa. Gli cambiò il nome in Sedecia per affermare che dipendeva da lui. Ma questo legame non fu sufficiente a garantire la lealtà di Sedecia verso chi lo aveva messo sul trono. Nel 593 a.C. a Gerusalemme si volse un incontro dei rappresentanti di diversi paesi vassalli di Babilonia per organizzare una rivolta che non avrà poi nessun seguito.

Nel 588 a.C. Sedecia si ribella. La risposta di Nabucodonosor è immediata: manda il suo esercito ad assediare Gerusalemme. L'assedio dura circa un anno e mezzo, interrotto soltanto da una breve pausa dovuta a un tentativo degli Egiziani di venire in aiuto a Sedecia. Alla fine di giugno del 587 a.C. Gerusalemme era ridotta agli estremi per la fame. I Babilonesi riuscirono ad aprire una breccia nelle mura e catturarono il re che tentava di fuggire. Sedecia fu costretto ad assistere all'uccisione dei propri figli e quindi fu accecato e condotto prigioniero a Babilonia. Nelle settimane successive Gerusalemme fu completamente distrutta. La popolazione valida fu condotta prigioniera a Babilonia, mentre la gente povera fu lasciata a sopravvivere nelle campagne. I Babilonesi nominarono un governatore della regione, un certo Godolìa che cercò di riorganizzare la vita di quelli che erano rimasti nella Giudea. Ma poco dopo costui fu ucciso. I superstiti, per evitare rappresaglie da parte dei Babilonesi, abbandonarono il paese e si stabilirono in Egitto.

In questo quadro di awenimenti complessi si inserisce la vita di Geremia Egli non fu un semplice spettatore ma un vero protagonista in dialogo e in contrasta con la gente, con i dirigenti e con i re. Immerso in avvenimenti politici, Geremia non fu però un politicante. La sua valutazione deg li eventi non nasceva da interessi umani ma da una visione religiosa della storia nella quale egli si era schierato al di sopre delle parti in lotta perché aveva scelto di essere dalla parte di Dio.

La vita del profeta

 

650 a.C. (?) Nascita di Geremia

626 chiamata ad essere profeta ( 1,4-10)

626-609 (?) attività prevalente a nord di Gerusalemme (2-6; 30-31)

609 messaggio a Ioacaz. (22,10-12)

discorso nel tempio (26; 7,1-15)

608 (?) messaggio contro_Ioiakim ~ (22,13-19) nella bottega del vasaio (18,1-17) la cintura di lino e i boccali (13,1-14) messaggi contro i profeti , (23,9-40)

605 Geremia rompe la brocca (19,1-15; 25,1-11) è arrestato, (20,1-6) il libro è bruciato dal re (36) messaggio contro l'Egitto (46,2-I2) messaggio a Baruc (45)

(620-590)(?) le “confessioni” (11,18-12,6; ecc.)

600 (?) messaggi contro le nazioni (25,15-38; 46,13-49,33)

598 la fedeltà dei Recabiti(35) messaggi a Ioiachin . (22,24-30; 13,18-19)

597 (?) i due cesti di fichi (24)

la lettera ai deportati e difficoltà per Geremia (29) messaggio contro gli Elamiti (49,34-39)

593 il “giogo~ di Babilonia e il contrasto con (27-28) Anania

592 (?) messaggio contro Babilonia

fatto gettare nell'Eufrate (51,59-64)

587 inizio dell'assedío di Gerusalemme (21,1-10; 34,1-7) gli schiavi liberati e ripresi (34,8-22; 37,3-10) Geremia è arrestato mentre esce da Gerusalemme (37,11-16) il profeta è trasferito nell'atrio della prigione(37,18-38,3) Geremia è liberato da uno straniero (38,4-13) e gli promette la salvezza (39,15-18) acquisto del campo del cugino (32-33)

586 ultimo incontro con Sedecia (38,14-28) Geremia è liberato dai Babilonesi (39,1-14) sceglie di restare in Giudea (40,1-6) Geremia e Baruc sono costretti ad andare in Egitto (42-43)

 

Coordin.
00giovedì 15 novembre 2012 23:23

Geremia - continuazione

Il messaggio di Geremia ha certamente dei tratti di originalità.

Nel primo Isaia avevamo visto la bellissima intuizione del "Dio con noi", pur restando Egli il "tre volte santo" e il "trascendente". Quell'intuizione verrà poi ripresa nella persona di Gesù.

Il libro, molto lungo, risulta composito anche dal punto di vista strettamente letterario con alternanza di prosa e di poesia. Inoltre sappiamo che i libri biblici si sono venuti a formare solitamente per "strati", tanto che una parte è sicuramente riferibile all'autore, mentre altre sono opera dell'interpretazione dei discepoli. Vi possono poi esser delle aggiunte o dei lavori redazionali ad opera, ad esempio, del teologo che riprende alcuni elementi e ne scarta altri perché vuole sostenere un'idea teologica. Allo schema della composizione per "strati" non fa eccezione il libro di Geremia nel quale risultano riconoscibili tre grandi blocchi sparsi.

1 - Un primo consistente blocco è riconducibile decisamente alla mano del profeta. Si tratta, in genere, di tutti i racconti scritti in prima persona. Intorno agli oracoli veri e propri di Geremia si può sviluppare tutta una serie di "piccole unità" (ad es. capp. 2; 26; 30; 31).

Lettura, come saggio, del cap. 26, 1-19.

Notiamo in questo brano (passatemi il parallelo) qualche cosa della Passione di Gesù: un uomo innocente viene condannato a morte; un uomo si autodifende perché non lo aiutano né i falsi profeti, né i sacerdoti né - tanto meno - i re. A Geremia resterà, come vedremo in altri passi, soltanto il Signore. E anche in questo frangente Dio si dimostra fedele, perché le parole che all'inizio incontravano ostilità in realtà faranno, poi, breccia nel popolo (v. 16). Gente di per sé profana intuisce che nelle parole di Geremia è presente effettivamente un messaggio di Dio.

La lettura del v. 19 ci fa ricordare la voce solitaria di Nicodemo nel sinedrio: "La nostra legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?" (Gv. 7,51).

Ecco, allora, 1'intuizione del popolo. La Chiesa deve stare molto attenta alla voce del popolo di Dio perché tante volte i laici, fedeli di Cristo, hanno quel "sensus fidei" che è conseguente al loro ruolo di battezzati (re, sacerdoti e profeti). In realtà è importante la corresponsabilità laicale, in quanto la Chiesa non appartiene al clero ma a Cristo e tutti noi siamo il suo "Corpo mistico". Questa è la Chiesa di sempre, riscoperta dal Concilio Vaticano II. Se fosse dipeso soltanto dai sacerdoti e dai falsi profeti Geremia sarebbe stato ucciso.

Lettura di Ger. 26. 20-24

Il personaggio dell'ultimo versetto, Safan (già incontrato in una precedente lettura), ci fa pensare al ruolo positivo della sua famiglia e di Geremia nell'attuazione della riforma di Giosia. Ricordiamo che il profeta si recò, addirittura, in missione nel territorio del nord. Risulta che il legame fra la famiglia di Safan e Geremia fosse ottimo, al punto che Achikàm - Figlio dello stesso Safan - si adoperò per salvare la vita al profeta. Probabilmente gli oracoli contenuti in questo capitolo si riferiscono al periodo in cui la riforma era già in decadenza e aveva ormai esaurito la sua spinta propulsiva.

2 - Un secondo blocco è costituito dagli oracoli riportati soprattutto da Baruc che, svolgendo funzioni di segretario di Geremia, era testimone oculare delle vicende del profeta.

Lettura di Ger. 29, 1-18

La "Lettera agli esiliati" è riportata da Baruc. Ricordiamo a proposito degli esiliati la similitudine dei due cesti di fichi. L'esilio non è causato da una serie di circostanze sfavorevoli o di alleanze sbagliate, ma è voluto in prima persona da Dio. Sarà poi una delicata questione interpretare la deportazione come un castigo o come un elemento positivo.

Sottolineo ancora una volta 1'estrema concretezza di questo profeta che non suscita facili illusioni (come i falsi profeti).

Era accaduto in quel tempo che il re babilonese avesse delle difficoltà esterne ed interne a causa di una guerra e della ribellione di una parte dell'esercito; difficoltà che Nabucodonosor risolse vincendo la guerra contro il re di Elan - almeno stando a delle tavolette babilonesi -, reprimendo la ribellione e ristabilendo 1'ordine all'interno del regno. Probabilmente questi eventi avevano suscitato negli esiliati la speranza di un possibile imminente ritorno in Giuda, speranza alimentata anche dai falsi profeti.

Ecco, allora, che Geremia invia una lettera ai deportati per annunciare che il ritorno in patria sarebbe avvenuto dopo settant'anni e che, d'altra parte, i rimasti in Giuda non avranno vita facile (vv. 17-18). Infatti, poco dopo si verificherà il secondo grande esilio. Il profeta è giudice del suo tempo e ne coglie i vari aspetti, non nasconde i problemi reali e invita a capire il vero progetto di Dio (e solo il vero profeta può capirlo) e ad entrare in sintonia con Lui.

Ricordiamo quando Geremia osteggiava 1'alleanza con gli Egiziani, non per opportunismo politico ma perché quell'alleanza non rientrava nel progetto di Dio, che in quel momento aveva concesso il suo favore a Babilonia.

Geremia è, dunque, un profeta che non vuole mai creare false illusioni.

3 - Un terzo blocco, di non facile identificazione e molto spesso sovrapposto al secondo gruppo, contiene tutta una serie di oracoli che possono riferirsi al movimento deuteronomista, ispiratore della riforma di Giosia.

In questi brani sono presenti alcuni termini tecnici, come spada - fame - peste, oppure espressioni tecniche, come "durezza di cuore" ossia la sclerocardia (vedere Mt. 19,8).

Si tratta solitamente di oracoli con uno schema abbastanza fisso e cioè:

a) 1'introduzione;

b) 1'esortazione all'ubbidienza;

c) la descrizione della disubbidienza;

d) 1'annuncio del castigo.

La tradizione deuteronomista riprende molto probabilmente alcune idee del profeta rielaborandole secondo il suo stile particolare. Teniamo presente che la tradizione deuteronomista sta alla base del libro del Deuteronomio con il ripensamento dell'Esodo attraverso il grande discorso di Mosè.

E il centro di quell'epoca non è solo la liberazione dall'Egitto ma il dono della Legge. Ecco, allora, degli oracoli che pongono al centro la fedeltà alla Legge. Il castigo sarà, perciò, la conseguenza dell'infedeltà al Signore.

Tale corrente di pensiero - teologica, spirituale ed etica - prende 1'avvio dalla riforma di Giosia e, quindi, è contemporanea del profeta Geremia.

Lettura di Ger. 11, 1-14 "Geremia e le parole dell'alleanza".

"Questa è la parola che fu rivolta a Geremia da parte del Signore" (v. 1). Si tratta di una locuzione tecnica tipica della tradizione deuteronomista.

Notiamo, dopo 1'introduzione, 1'esortazione all'obbedienza (vv. 3-7) e poi la descrizione della disubbidienza (vv. 9-10) seguite dall'annuncio del castigo (vv. 11-13).

A1 v. 8 ecco un'altra locuzione tecnica: "...la caparbietà del suo cuore malvagio", che si potrebbe anche tradurre: "la durezza del suo cuore".

Conclusioni

1 - Geremia è un uomo perseguitato e tormentato interiormente. Un uomo che, totalmente preso da Dio, vive con estrema sofferenza tutte le difficoltà che la chiamata divina comporta. Quanto gli accade non gli procura soltanto una sofferenza fisica ma porta a un livello di crisi (anche in senso positivo) il suo rapporto - che potremmo definire dialettico - con il Signore.

2 - Geremia è un uomo che ama profondamente il popolo, del quale condivide le disgrazie. Notiamo, appunto, la tenerezza del profeta verso gli esiliati che vengono paragonati al cesto dei fichi buoni.

L'invito alla conversione non è dettato da rivalse personali o da sete di potere, ma semplicemente dall'amore verso il popolo.

Comprendiamo, allora, come Geremia sia veramente sintonico con Dio: vive e dice le cose che vive e dice Dio. Il profeta insegna 1'amore per il popolo e gli si rivolge con la stessa forza e la stessa amorevolezza usate dal Signore.

S.Ignazio di Lojola, a proposito dei rapporti interpersonali e, in particolare, della correzione fraterna, diceva: per correggere devi amare; se non ami è meglio che tu taccia. Pensiamo, invece, a noi che spesso per dire la verità dobbiamo essere arrabbiati. Ricordo che S. Francesco di Sales (in un contesto diverso), riguardo alla direzione spirituale, veniva definito un uomo che aveva la mano di ferro guantata di velluto. La fermezza unita alla dolcezza.

3 - Geremia è un uomo tutto di Dio, un uomo a cui Dio vieta di sposarsi - e ciò costituiva un assurdo per il contesto culturale di allora -. Il profeta non si sposa e non ha figli perché, come dice bene il titolo del cap. 16, "La vita del profeta (è) come segno". Lettura di Ger. 16, 1-3.

Geremia pone la sua forza soltanto nel Signore e riconduce tutto a Lui, perfino la politica. E qui viene spontanea un'altra osservazione: quanto bisogna ascoltare per poter discernere. L'ascolto del Signore è importante; Geremia - come tutti i profeti - è 1'uomo dell'ascolto. Uno dei detti scolastici più belli recita: "Sile aut dic meliora silentio" (Taci o di' cose migliori del silenzio).

Se noi non ascoltiamo il Signore nella preghiera, se non abbiamo un rapporto di "ruminatio" con la sua parola, diciamo soltanto cose nostre.

Lettura di Ger. 20, 7-14

Penso che questa sia, accanto ad alcuni salmi, una delle preghiere più tragiche e più umane presenti nell'Antico Testamento. E' facile ricordare il salmo 22 ("Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?") che finisce con una grande professione di fede. Si, o Signore, tu sei il mio salvatore!

Lettura di Ger. 20, 15-18

L'amarezza di questa preghiera è dovuta alle difficoltà esterne e qualche studioso sostiene che sia stata composta da Geremia quando si trovava nella cisterna.

Dopo la grande certezza espressa nel v. 11 ("Ma il Signore è al mio fianco... "), arriva la disperazione: "Maledetto il giorno in cui nacqui..." (v. 14). Quest'uomo è vissuto veramente con fede incrollabile anche se qualche volta ha ceduto.

Comunque Geremia continua la sua missione, perché il Signore 1'ha catturato nonostante il profeta abbia fatto di tutto per sottrarsi alla sua presa.

Lettura di 31, 29-30 - "La retribuzione personale".

E' un brano molto importante, dettato dall'amore per il popolo.

Siamo arrivati, finalmente, alla responsabilità personale. Per il principio secondo il quale le colpe dei padri dovevano essere pagate dai figli, gli esiliati ritenevano che 1'esilio non potesse finire perché proprio loro sarebbero stati costretti ad espiare le colpe immani degli antenati. Qui il profeta aiuta a maturare, invece, la coscienza della responsabilità personale per cui la colpa dell'esilio ricade soltanto sugli esiliati. In tal modo ciascuno pagherà per le proprie colpe e non per quelle dei propri padri.

Teniamo ben presente che non siamo ancora in un contesto di retribuzione e di salvezza ultraterrena. XIX lezione

Geremia - continuazione

Geremia introduce 1'idea di una alleanza nuova della quale gli altri profeti non avevano ancora parlato.

Lettura di Ger. 31, 31-34

Si tratta di un'alleanza fondata non più sull'osservanza di precetti scolpiti su pietra (le tavole della Legge), ma di un'alleanza che è profondamente nel cuore di ciascuno. Dio non parla attraverso una serie di norme ma "a cuore a cuore": è un Dio che entra in noi. Come è importante, in prospettiva, un simile annuncio ascoltato da un popolo in esilio che può basarsi solamente su un rapporto intimo e profondo con il Signore e non sulla certezza di beni materiali! Il popolo ricorda ed osserva la Legge perché la porta nel cuore. E, allora, 1'alleanza di Mosè viene superata (ecco 1'intuizione) da qualcosa di infinitamente più profondo. Noi cristiani leggendo il brano con il"senno di poi" sappiamo che quel "qualcosa" di infinitamente più profondo è Cristo.

Dio cerca tutte le vie per salvare 1'uomo nella sua interezza. Viene in mente, quando si parla di cuore, che il Signore decide di parlare al cuore dell'uomo attraverso il cuore di Cristo. Nel cuore di Cristo, perciò, si uniscono il cuore di Dio e il cuore dell'uomo. Ecco la nuova alleanza che si presenta con orizzonti inimmaginabili per 1'Antico Testamento: il cuore di Dio e il cuore dell'uomo si fondono, diventano la stessa realtà nel cuore di Cristo. Si tratta dell'intuizione profetica.

La prima tappa della interiorizzazione della nuova alleanza consiste nel perdono dei peccati ed è realizzata da Gesù Cristo. In Lui il Padre ci libera dal peccato: Ecco, 1'Agnello di Dio che toglie "il Peccato" - proprio con la lettera P maiuscola - (e non "i peccati") del mondo. Solo dopo che Dio ha instaurato un clima di perdono e di riconciliazione totale si possono costruire rapporti di autentica alleanza. Infatti il nostro Peccato - grave - (quello che ancora oggi si definisce "mortale") rompe, per nostra colpa, 1'alleanza con il Signore.

E, allora, ritorna quanto mai opportuno il monito di Paolo: lasciatevi riconciliare con Dio, date spazio alla grazia, cioè ricorrete a tutto quanto il Signore ha messo a vostra disposizione per rientrare nell'alleanza. Ecco, quindi, la confessione con il perdono totale.

Ricordiamo, a questo proposito, la parabola del figlio prodigo in cui, prima di imbandire la festa, il padre ordina ai servi: "Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli 1'anello al dito e i calzari ai piedi." (Lc. 15,22), cioè ricostituite, anche visibilmente, nella sua dignità questo mio figlio che si è presentato come un ribelle fallito e sconfitto. E secondo alcuni studiosi la bella veste portata al figlio prodigo richiamerebbe la veste bianca del Battesimo e quella indossata dai neo-battezzati nella "domenica in Albis".

Concludo riaffermando che Geremia è il profeta della speranza, come tutti i profeti che abbiamo incontrato fino ad oggi.

Lettura di Ger. 31,35-36-38

Geremia predica negli anni precedenti alla distruzione di Gerusalemme e alla seconda deportazione e durante i primissimi tempi dell'esilio. Svolge, però, la missione a Gerusalemme in quanto non è mai stato deportato.

 

Coordin.
00giovedì 15 novembre 2012 23:26

Ezechiele

 

E' il primo profeta che parla agli esiliati da esiliato.

Lettura di Ez. 1, 1

Non si potrebbe datare meglio il libro date tutte le specificazioni contenute nel v. l: siamo nell'anno quinto della deportazione di Joiachin, tra il 593 e il 592 a.C., nella prima parte della deportazione.

Secondo alcuni studiosi 1'anno trentesimo potrebbe indicare 1'età del profeta (v. 1 ). Probabilmente Ezechiele era un ragazzo al momento della prima deportazione.

La seconda deportazione (586 a.C.), che si verifica dopo la distruzione di Gerusalemme e del tempio, abbatte le speranze dei primi esiliati, i quali credono in un rapido ritorno nella loro patria. Inoltre vacilla la certezza nell'elezione di Israele e, conseguenza ovvia, vacilla la sicurezza nella fedeltà di Dio

A questo proposito ho letto sull'Avvenire un commento a un'opera scritta da una psichiatra polacca sopravvissuta all'olocausto, in cui 1'autrice narra le sue vicende nel campo di sterminio di Auschwitz. Viene qui messa a confronto 1'esperienza di fede di questa donna con 1'esperienza di "non" fede vissuta invece dalla scrittore Primo Levi, il quale affermava che "se c'è Auschwitz non c'è Dio". A1 contrario, la dottoressa polacca sostiene che proprio perché c'è stato Auschwitz c'è Dio.

Penso che solo l'Olocausto degli anni '40 per il popolo ebraico sia paragonabile al dramma dell'esilio. L'esilio, però, pur essendo stato per certi aspetti un periodo buio, si è rivelato, in realtà, fecondissimo per la fede.

Non dimentichiamo che una delle opere più belle della letteratura ebraica è il "Talmud babilonese", un commento - soprattutto al Pentateuco - curato nelle scuole rabbiniche, che assieme ai testi ed altri elementi costituisce la "Mishnà", cioè la tradizione alla quale si attenevano, per esempio, i farisei. E il "Talmud babilonese" - più esteso rispetto agli altri - costituisce un frutto importante dell'esilio.

Lettura del salmo 126 - "Canto del ritorno"

Notiamo subito con quali bellissimi termini sia stato elaborato questo salmo.

Ecco, ad esempio, 1'esilio ha prodotto la certezza che il Signore ha operato grandi cose per noi: dopo averci esiliati ci ha - poi - liberati. E dal v. 4 comprendiamo che questo è il canto dei primi esiliati (gli altri deportati torneranno successivamente nella loro patria). Il tempo di sofferenza si è rivelato fecondo anche grazie alla presenza e all'opera grandiosa di Ezechiele, il primo profeta degli esiliati e, come loro, esiliato.

La narrazione di Ezechiele ci rimanda al territorio dei Caldei (Mesopotamia) e precisamente alle rive del canale Chebàr.

I primi 24 capitoli del libro ci descrivono in modo particolareggiato Gerusalemme dal punto di vista religioso, politico e sociale. Ci si domanda come il profeta potesse conoscere così bene tale situazione vivendo in esilio e perché non parli mai (nei primi 24 capp.) del re, che pure era stato deportato, né degli esiliati.

Gli studiosi formulano, al riguardo, quattro ipotesi:

I - 1 libro di Ezechiele sarebbe stato elaborato in realtà a Gerusalemme e successivamente rivisto a Babilonia. Non sono presenti, infatti, oracoli di speranza;

II - il nostro profeta avrebbe avuto un duplice ruolo di ministero e solo con la seconda deportazione si sarebbe trasferito a Babilonia;

III - altri ipotizzano un triplice luogo di ministero, per cui il profeta sarebbe rimasto a Gerusalemme fino al 586, poi si sarebbe rifugiato in un villaggio non identificato e soltanto in un terzo momento si sarebbe recato a Babilonia dove avrebbe ricevuto una

seconda vocazione;

IV - Ezechiele avrebbe svolto il suo ministero soltanto a Babilonia, ma con un particolare interessamento per gli israeliti rimasti in patria i quali (come risulta dal libro del profeta) avevano frequenti contatti con gli esiliati. Ezechiele, inoltre, riceveva spesso a Babilonia persone che gli recavano notizie sugli avvenimenti accaduti a Gerusalemme. E' questa 1'ipotesi più plausibile, sulla quale concorda la maggior parte degli studiosi.

Il profeta parla molto di Gerusalemme soprattutto per togliere ai deportati ogni illusione sulla brevità dell'esilio, come già aveva fatto Geremia. Infatti, egli parlava del comportamento riprovevole di coloro che erano rimasti in Giuda; comportamento che avrebbe avuto come conseguenza la distruzione della città stessa e del tempio.

Ezechiele, come Geremia, ha i piedi saldamente ancorati alla terra anche se lo sguardo è sempre rivolto al cielo, cerca di preparare le persone che il Signore gli ha affidato ad accogliere la volontà di Dio, a non crearsi false illusioni sulla brevità dell'esilio (come, invece, dicevano i falsi profeti). Questo è il senso del ministero profetico. Ricordo che tutta la "predicazione politica" di Geremia muoveva dal presupposto che gli ebrei non avessero ben chiara la volontà di Dio.

Ezechiele era figlio di un sacerdote e, probabilmente, egli stesso sacerdote. Infatti, nel suo libro dimostra una perfetta conoscenza della legislazione sacra e della centralità del

tempio di Gerusalemme, che la gloria del Signore abbandona. E se la gloria del Signore ha lasciato il tempio significa che quella costruzione è da considerare solo come un puro elemento architettonico. Ciò vuol dire che Gerusalemme e il tempio sono abbandonati al re di Babilonia che ne farà scempio.

Ezechiele era sposato e non risulta che avesse figli. Sappiamo dal suo libro che è il profeta con il maggior numero di visioni e che esplicita il suo ministero attraverso significativi gesti simbolici.

Dai suoi comportamenti si potrebbe desumere che fosse uno psicotico con problemi di schizofrenia e di delirio, con frequenti paralisi, con silenzi prolungati e inspiegabili. Potrebbe essere considerato un pazzo da coloro che leggono il suo libro senza rendersi conto di chi fosse un profeta e quale fosse il suo rapporto con Dio.

Paolo Villaggio in un suo libro, facendo un accenno a S. Teresa di Lisieux, dice di lei a proposito di una certa situazione: "prima di diventare completamente pazza". Per alcune persone chi ha con Dio un rapporto così intimo da avere dei voli mistici non può che essere considerato pazzo.

Le visioni simboliche di Ezechiele paiono come quelle di un pazzo per chi non crede in Dio. Se si parte dal presupposto che non esiste Dio non si può capire nulla di un uomo di Dio e in particolare di un profeta. Teniamo, poi, presente che allora il linguaggio e la comunicazione avvenivano più visivamente che verbalmente.

Ezechiele rimane in silenzio per giorni e giorni. Diventa muto all'inizio della sua missione (per un certo motivo) e poi a metà della missione stessa quando gli portano la notizia della distruzione di Gerusalemme.

E' difficile che oggi ci siano gesti profetici.

Chi sono i profeti, oggi. fra i religiosi? Colui che gestisce la comunità dei tossicodipendenti, il prete di marciapiede spesso presente in TV o il prete che resiste per cinquant'anni in una parrocchia di cinquecento fedeli? Non si sa.

Il battesimo ci ha reso profeti e noi dovremmo riscoprire questo ruolo profetico che è tipico di coloro che parlano (etimologicamente) al posto di Dio. E' poi opinabile "il come" si parli a nome di Dio.

Don Beretta, il parroco assassinato a Ponte Chiasso, era un profeta non perché accoglieva gli extracomunitari, ma perché è sempre stato fedelissimo al suo vescovo. E S.Francesco era un grande profeta perché nutriva uno sviscerato amore per la Chiesa.

I contenuti della predicazione di Ezechiele si dividono in due parti: prima e dopo la distruzione di Gerusalemme e del tempio (587 a.C.).

1 - A prima della caduta di Gerusalemme risalgono gli oracoli di condanna (gli esiliati non dovevano nutrire illusioni su un rapido rientro in patria).

2 - Dopo la caduta di Gerusalemme iniziano gli oracoli di salvezza (i deportati dovevano sperare).

La prima parte riguarda in modo particolare la città santa e la sua condanna inappellabile. In una situazione particolarmente difficile il Signore suscita un profeta.

Lettura della vocazione di Ezechiele in

Ez. 1, 4-6; 13-16; 22-23: 28.

La vocazione del profeta inizia con la grande visione del carro del Signore. Sappiamo che una delle interpretazioni più belle di questo capitolo è quella "extraterrestre".

Lettura di Ez. 2, 1-9

Nei vv. 4-5 leggiamo tutte le caratteristiche della vocazione profetica. Non importa se Ezechiele avrà successo; al Signore interessa soltanto che il profeta sia in mezzo al popolo.

Il v. 9 sarà ripreso nell'Apocalisse.

Lettura 3, 1-9

Quando il Signore affida un compito, un ministero, concede anche i mezzi per svolgerlo.

XX lezione

Ezechiele - continuazione

Nella lezione precedente avevamo notato la visione del profeta che, dopo aver mangiato il rotolo della Scrittura e aver raggiunto i deportati abitanti lungo il canale Chebàr, era rimasto "come stordito" (3,15).

Lettura di Ez. 3, 16-21

In questo brano, aldilà dell'immagine del profeta-sentinella, ossia di colui che avvisa gli altri del pericolo incombente, troviamo accennato un tema che sarà poi sviluppato nel prosieguo del libro e che già era stato espresso sinteticamente in Geremia: il tema della responsabilità personale. Il giusto e 1'ingiusto sono tali per le opere che compiono. Delle proprie opere, e non di quelle del padre, ciascuno - giusto o ingiusto - sarà chiamato a rispondere a Dio.

Ezechiele, inoltre, introduce 1'idea della corresponsabilità in base alla quale se io vedo una persona compiere azioni malvagie e non 1'ammonisco, tale persona sarà punita per le opere da lei commesse, ma a me - che non 1'ho avvertita - verrà chiesto conto della sua fine. Se, invece, 1'avrò avvisata non sarò ritenuto responsabile della sua sorte.

Secondo me è attualissimo questo principio oggi, in un tempo in cui appare oggettivamente difficile per molti discernere il bene dal male. Uno dei difetti peggiori del mondo attuale, come dice il Papa in diverse sue encicliche, è proprio quello di scambiare il male con il bene, e viceversa, ma sopratutto di cambiare nome al male in modo da farlo apparire o meno malvagio o addirittura un bene.

Io credo che il nostro ruolo di profeti neotestamentari, cioè di profeti che il battesimo ha reso tali, sia oggi anche questo: avvisare, ammonire. Il ruolo della sentinella appare particolarmente attuale. E sarebbe ben grave che un cristiano non avesse nemici, in quanto così amico del quieto vivere da non proclamare la verità del Vangelo.

I capp. 4-7 cominciano a rivelare il contenuto della prima parte del libro che, secondo un'indicazione di massima, comprende i capp. 1-24.

E la prima parte, il cui contenuto fondamentale consiste nella caduta e nella distruzione di Gerusalemme, trova appunto la sua introduzione nei capp. 4-7. Ezechiele, anzitutto, comincia a togliere agli esiliati 1'illusione di un imminente rientro sostenendo che Gerusalemme sarà distrutta. Quello che Dio manderà sarà un castigo che coinvolgerà tutto Israele (il territorio e il popolo rimasto) e non solo la città di Gerusalemme.

Lettura cap. 7

Sembra quasi una visione cosmica con annuncio del giorno del Signore.

Come tutti i profeti, Ezechiele fornisce delle indicazioni generali sull'idolatria, sulle ingiustizie soprattutto sociali (come il ricco che opprime il povero). Queste realtà che portano al giorno del giudizio sono messe in evidenza nei capp. 8-11. Ed è bello soffermarsi sulle specificazioni di Ezechiele, soprattutto riguardo all'idolatria.

Lettura di Ez. 8,1-18

E' interessante questo discorso sull'idolatria, ma soprattutto è interessante 1'atteggiamento dei settanta anziani che "vanno dicendo: Il Signore non ci vede...Il Signore ha abbandonato il paese..." (v. 12).

L'idolatria ha origine, in questo caso, da una incomprensione di Dio. Infatti, non si è più certi che il nostro è il Dio fedele. E, questa, è una bestemmia gravissima.

Al riguardo ricordiamo il salmo 115 che recita:

"Gli idoli delle genti sono argento e oro,

opera delle mani dell'uomo.

Hanno bocca e non parlano,

hanno occhi e non vedono,

hanno orecchi e non odono...

hanno mani e non palpano...

Sia come loro chi li fabbrica

e chiunque in essi confida" (vv. 4-8).

I settanta anziani bestemmiano gravemente ritenendo che il Signore sia come uno di questi idoli. Da un'affermazione così terribile si passa facilmente a un'altra: Dio non esiste. Ecco, la bestemmia d'Israele. Ecco, dice il Signore, stanno operando per allontanare la mia gloria dal tempio. Infatti, quegli oranti che si trovavano nel tempio di Dio semplicemente "...adoravano il sole" (v. 16), cioè una delle creature di Dio. Teniamo presente sullo sfondo il racconto della creazione (Genesi 1 ) secondo la tradizione (o la scuola teologica) sacerdotale, che nasce nel tempo dell'esilio.

La narrazione tende a sottolineare come tutte le realtà che gli altri popoli veneravano come divinità non fossero altro che creature del Signore.

Oltre all'idolatria, che sta diventando sempre più sfacciata, abbiamo visto le ingiustizie e i crimini che si commettono all'interno del Paese.

Inevitabilmente arriverà il castigo. Intanto si fa largo sempre di più 1'idea della responsabilità personale in quanto il castigo non colpirà in solido: saranno colpiti solo coloro che saranno stati infedeli.

Ezechiele riprende un concetto che abbiamo già notato in Isaia: la teoria del "resto" d'Israele. Un ceppo, un nucleo di fedeli, resterà.

Il Signore punirà il suo popolo, ma quel nucleo fedele, dal quale continuerà la progenie santa, dovrà rimanere.

Lettura di Ez. 9, 1-8 "Il castigo"

Nelle lettera "tau", ultima dell'alfabeto ebraico, i Padri della Chiesa hanno visto la croce. Mentre leggiamo ci vengono in mente le beatitudini, là dove si afferma: "Beati gli afflitti perché saranno consolati" (Mt. 5, 4). E per "afflitti" - che in Matteo hanno una connotazione più spirituale che in Luca - si intendono coloro che soffrono e piangono per tutti i peccati e gli abomini commessi nel mondo.

Appare d'obbligo anche un riferimento a S.Francesco d'Assisi che, prendendo lo spunto da questo brano biblico, ha scelto il "tau" come simbolo della croce e come segno della salvezza. Ricordo che la Basilica inferiore di Assisi ha la pianta proprio a "tau".

Viene, inoltre, spontaneo pensare alla Pasqua o, meglio, alla piaga dei primogeniti in Egitto. Mi interessa sottolineare, ancora, che il castigo non sarà inflitto a tutti perché si salveranno coloro che porteranno segnato in fronte il "tau", segno di salvezza.

Ricordiamo che anche nell'Apocalisse i salvati saranno proprio coloro che saranno trovati con il sigillo sulla fronte.

Lettura 10, 18-22

A causa di tutti i peccati d'Israele "La gloria del Signore uscì dalla soglia del tempio e si fermò sui cherubini" (v. 18).

Di conseguenza la città e il tempio sono destinati alla distruzione. Ma, nonostante tutte le infedeltà d'Israele, Dio rimane fedele: ecco, come è ricco di speranza il messaggio di Ezechiele!

Ma, se leggiamo il cap. 11, 14-21, scopriamo che la fedeltà del Signore si manifesta adesso nei confronti degli esiliati i quali, se avranno fiducia, se sapranno aspettare, "...saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio" (v. 20).

Dio - sempre e ancora fedele - ha trasferito la sua fedeltà da Gerusalemme al popolo in esilio.

A questo punto possiamo leggere 1'esilio babilonese quasi come un secondo esodo. Nel Sinai per quarant'anni il Signore ha formato il suo popolo; in Babilonia per circa cinquanta anni Dio ha riplasmato un popolo che era preda degli abomini e dell'idolatria.

Questo popolo viene purificato come 1'oro nel crogiuolo, fino a costituire un nuovo popolo non più con il cuore di pietra, ma con il cuore di carne.

Ci ricordiamo, allora, di quanto scritto da Geremia: la mia alleanza non più su tavole di pietra, ma scritta direttamente nel vostro cuore.

All'intuizione di un profeta segue 1'approfondimento dell'altro. Tuttavia è diverso il modo in cui ogni singolo profeta si pone alla scoperta di Dio.

I contemporanei, però, cercano di neutralizzare in ogni modo la parola del Signore. Ed Ezechiele, come tutti i profeti, non ha grande seguito né grande ascolto.

Vediamo, ora, alcuni modi usati per neutralizzare la parola di Dio. 1 - Lettura di Ez. 12, 21-23 e 26-27

Il profeta è oggetto di burla (ossia di incredulità): "Passano i giorni e ogni visione svanisce?"

Oggi c'è il rischio che la nostra religione sia ridotta a pura solidarietà; e i cristiani, allora, sono coloro che aiutano gli altri e sono tollerati purché non creino problemi con 1'annuncio della Parola.

2 - Lettura di Ez. 13, 1-6

Un altro modo è costituito dalla menzogna e dai falsi profeti che non suscitano speranze, ma inducono alle illusioni.

La menzogna squalifica i cristiani e crea confusione.

3 - Lettura di Ez. 14, 1 e segg. (siamo sempre al tempo dell'esilio).

La nostalgia, 1'attaccamento a realtà sacre del passato - ad es. al tempio e all'elezione di Gerusalemme - non permette di comprendere adesso la volontà di Dio, il quale chiede un culto nuovo. E' un modo che può dare 1'illusione di essere nel giusto e, quindi, più subdolo di altri.

Il profeta, di conseguenza, deve essere uomo dell'ascolto per poter comunicare anche agli altri la capacità di ascoltare. E gli esiliati dovranno imparare a cercare Dio nel cuore e non più nel tempio o in Gerusalemme: il cammino sarà faticoso.

4 - Lettura di Ez. 14, 12 e segg.

Un ultimo tentativo usato per annullare la parola di Dio è quello dell'intercessione. Qualcuno, cioè, riteneva che per la presenza di pochi giusti il Signore avrebbe dovuto risparmiare tutti. E' una tentazione, allora, credere nuovamente nell'elezione di tutto il popolo in quanto Dio non può venir meno a se stesso.

Sottolineiamo che il brano si intitola "Responsabilità personale"; il giusto e 1'ingiusto saranno trattati come tali..

Caduta anche quest'ultima obiezione si giunge alla conclusione che nulla può salvare Gerusalemme.

Lettura di Ez. 24, 15-24 "Prove personali del profeta".

Il segno più duro e più tremendo che Ezechiele deve dare al popolo è costituito dalla morte improvvisa della moglie. Quanto succede al profeta rappresenta 1'immagine di ciò che succede a Gerusalemme e il comportamento di Ezechiele è 1'immagine del comportamento di Gerusalemme. Infatti, il profeta - che non porta il lutto per la morte della moglie - rappresenta il popolo che, davanti alla propria morte spirituale e alla propria distruzione fisica, si comporta da indifferente.

Siamo all'apice anche spirituale per Ezechiele.

Ancora una sottolineatura. Il brano appare decisamente drammatico perché descrive la vicenda del profeta che, addolorato per la morte della moglie, accetterà 1'incarico affidatogli da Dio e profetizzerà per tentare, ancora un'ultima volta, di far capire al popolo ciò che sta per accadere: la distruzione di Gerusalemme.

Abbiamo così terminato la prima parte del libro di Ezechiele che parla della distruzione della città santa, già con qualche accenno alla speranza. Dio rinnoverà la sua alleanza con il popolo in esilio; e il popolo non dovrà preoccuparsi delle colpe dei padri.

 

Coordin.
00giovedì 15 novembre 2012 23:28

Ezechiele - continuazione

Nella seconda sezione del libro, ossia dal cap. 24 in poi, troviamo la c.d. "parte della speranza" .

Ormai non ci sono più possibilità di salvezza per Gerusalemme, che è stata distrutta deimitivamente. Bisogna ora evitare che il popolo in esilio passi al culto delle divinità straniere.

Infatti la situazione psicologica degli esiliati si presenta disastrosa, sia perché essi sono convinti che Dio non abbia mantenuto le promesse e sia perché sono presi da un dubbio: sarà vero il nostro Dio o saranno vere le altre divinità? In una concezione in cui non è contemplata una realtà ultraterrena di salvezza, in cui il favore di Dio viene dimostrato su questa terra, il popolo si chiede perché i Babilonesi siano vincitori e conquistino tanti territori, mentre Israele è sconiitto ed ha perso la Città e il tempio. Forte è la tentazione di considerare vere le altre divinità.

La stessa tentazione assale, a volte, anche noi quando siamo demoralizzati e ci chiediamo se Dio esiste realmente. Ed è una tentazione che può portare all'ateismo.

Nella seconda parte del nostro libro si possono leggere testi con contenuti molto diversi, tanto che alcuni presentano una salvezza incondizionata. Non occorre che vi preoccupiate di nulla: fedeli o infedeli che siate il Signore vi salverà.

Altri brani presentano, invece, una salvezza condizionata: dovrete rimanere fedeli e, allora, Dio vi salverà. Potremmo dire: sperate nell'insperabile e il Signore si manifesterà con i suoi fedeli, ma non con coloro che avranno adorato gli idoli stranieri.

Appare qui evidente uri evoluzione nella dottrina di Ezechiele, che consiste nel capire che 1'idea di una salvezza incondizionata potrebbe portare al lassismo.

Notiamo che, oggi, secondo alcuni aspetti fondanti della New Age, non ci si dovrebbe preoccupare di nulla perché ciò che conta è star bene con se stessi. In pratica: ricerca il tuo benessere; vivi con il tuo benessere.

Ecco, allora, che si fa strada in Ezechiele la concezione di una salvezza che si realizza a determinate condizioni.

In questa parte del libro il profeta condanna severamente i popoli che hanno contribuito alla distruzione di Gerusalemme. Infatti molti vicini, che avevano motivi di ostilità verso il popolo ebraico, colsero 1'occasione per collaborare con i Babilonesi. Anche in questo caso Ezechiele appare inflessibile perché ritiene che il Signore, dopo aver eletto il suo popolo ed essergli rimasto fedele, chiederà conto ai popoli stranieri delle offese recate a Israele.

Per sapere quanto il nostro profeta vuole comunicare agli esiliati leggiamo:

Ezechiele 18, 1-17 "La responsabilità personale".

Le colpe dei padri non dovranno più ricadere sui figli e ciascuno sarà responsabile unicamente delle proprie azioni. Non sono possibili giustificazioni per il popolo in esilio che deve prendere coscienza di trovarsi in quella situazione (anche) per propria colpa. Il Signore chiama comunque tutti alla conversione.

Ezechiele 33, 1-9 "Il profeta come sentinella"

Il ruolo del profeta è proprio quello di avvisare.

Ezechiele 33, 12-20 "Conversione e perversione"

Per alcuni di noi 1'incontro con Dio avviene in modo pacifico e dura per tutta la vita , mentre per altri accade - magari in modo drammatico - in un certo momento della vita e può avere fasi alterne. Dobbiamo lasciar fare al Signore: diamo tempo a tutti di arrivare a Lui. Possiamo "collaborare" sfruttando un'infinità di occasioni e pregando per chi è alla

ricerca di Dio.

Sottolineo ancora che Ezechiele è un portatore della parola divina.

La lettura del v. 13 ci ricorda il brano di Matteo (25,31 e segg.) riguardante il giudizio finale. Notiamo, anche, come sia attuale il v. 17 Una grave tentazione per gli esiliati consiste nel non credere nella giustizia di Dio (ci si trovava allora in un contesto di giustizia retributiva). Teniamo ben presente, comunque, che il profeta è colui che ammonisce e dice chiaramente quali sono le esigenze del Signore.

Ezechiele, inoltre, cerca di mettere in evidenza i responsabili della catastrofe al fine di evitare il ripetersi - in futuro - degli stessi errori. A proposito leggiamo 1'accenno contenuto in:

Ez. 22, 23-31

Dal v. 23 si prendono in considerazione coloro che sono ritenuti responsabili della grave situazione: i principi (cioè la casa reale), i sacerdoti, i capi del popolo, i falsi profeti e gli abitanti della campagna.

Leggere il cap. 34 nel quale Ezechiele mette sotto accusa i pastori (ossia i re). Infatti il pastore d'Israele è il re che, però, pasce per delega del Signore. E in questo capitolo il profeta sosterrà che si presenta ora una prospettiva nuova in quanto Dio si è stancato dei pastori d'Israele, prenderà Egli stesso il loro posto, sarà, cioè, il pastore del suo popolo dando inizio veramente a un mondo nuovo.

Lettura di Ez. 36, 24-28

La terra, i monti, tutto 1'universo rifioriscono, ma soprattutto, avverrà una fioritura

interiore. Ecco il rinnovamento che è, prima di tutto, opera di Dio.

Il popolo però è demoralizzato e non crede più alle promesse divine e, quindi, non nutre più la speranza. Ecco, allora, il notissimo cap. 37, di cui leggiamo i vv. 1-4.

A1 v. 3 si inizia a parlare del grande miracolo: sulle ossa inaridite si ricostituiscono i corpi che, poi, per opera dello Spirito riprenderanno a vivere. E il messaggio è chiaro: non bisogna abbattersi perché il Signore può fare risorgere le persone e le loro speranze.

Siamo di fronte, quasi, a una nuova creazione.

Lettura dei vv. 11-14

Evidentemente qui non è ancora presente la prospettiva della risurrezione così come è intesa da noi cristiani. Il profeta si riferisce in questi versetti al popolo che viene liberato dalla schiavitù del sepolcro.

Con il suo popolo, nuovamente riunito, il Signore stipula una nuova alleanza fondata nel cuore di ciascuno. Ecco la fedeltà di Dio.

Lettura dei titoli (descrizione del tempio futuro e delle sue adiacenze) dei capp. 40-42. Finalmente il tempio sarà ricostruito e rivedrà, per grazia di Dio, abitare la gloria del Signore (cap. 43). E nessuno potrà più distruggere il tempio nel quale il Signore adesso è tornato: ecco la speranza.

Dalla lettura del cap. 47 apprendiamo che dal tempio esce un immenso e stupendo fiume, ricco di acqua, che raggiunge le regioni più desolate e le fa ritornare alla vita. Il simbolismo dell'acqua nell'Antico Testamento ci richiama immediatamente la parola di Dio che dona la vita. Dal tempio, allora, uscirà la parola divina che mi piace pensare come il "logos" del Vangelo di Giovanni.

E proprio dal tempio di Gerusalemme - secondo la teologia di Luca - prende 1'avvio 1'evangelizzazione del mondo. Ricordiamo che il Vangelo di Luca inizia con 1'episodio dell'annuncio della nascita di Giovanni Battista al padre Zaccaria nel tempio e si conclude in Gerusalemme con 1'apparizione di Gesù agli Apostoli e con il loro invio nel mondo. E gli Atti degli Apostoli (seconda opera di Luca) iniziano in Gerusalemme con gli episodi dell'Ascensione, della Pentecoste e della partenza dei discepoli verso ogni parte della terra.

Ezechiele come portatore di speranza introduce un nuovo tipo di profetismo, quello dell'apertura del cuore dell'uomo al suo Dio.

Notiamo una differenza fra le visioni di Geremia e le visioni di Ezechiele. Le prime contengono immagini concrete (la caldaia che si rovescia, il mandorlo che fiorisce, ecc.) alle quali, però, il profeta riesce a dare un significato profondo, mentre le seconde sono tutte mistiche e sono spiegate da Dio. Infatti, Ezechiele aveva con Dio un contatto tutto particolare perché egli stesso era un mistico.

Potremmo, allora, affermare che Ezechiele è un veggente, un rappresentante del profetismo estatico al quale dobbiamo guardare con molta prudenza, ma che costituisce certamente una importante occasione di elevazione spirituale. Questo tipo di profetismo ci ricorda immediatamente 1'Apocalisse che è una rivelazione, una grande visione.

Teniamo, comunque, presente che non si diventa santi perché si hanno delle visioni, ma perché si esercita la carità in modo eroico. Tutte le visioni che vengono annunciate richiedono il vaglio prudentissimo della Chiesa.

 

Coordin.
00giovedì 15 novembre 2012 23:31

Il secondo Isaia

 

E" un libro che penso di consigliare alle persone depresse perché dalla sua lettura scaturiscono pace, serenità e indicibile gioia del cuore. Non per nulla nella versione della "Bibbia di Gerusalemme" si intitola "Libro della consolazione di Israele" (capp. 40-55). E io credo che le più belle espressioni bibliche su Dio, le immagini più belle del rapporto tra il Signore e 1'uomo e tra Dio e il suo popolo siano proprio contenute nel secondo Isaia.

Ritengo di esaminare in un paio di incontri il messaggio di Isaia 2 e di dedicare una lezione a una sezione particolare del testo, ossia ai "Canti del servo di Jahve". Sappiamo già che in questa parte del libro compare una figura messianica, il c.d. "Servo di Jahve" o "servo sofferente", che avrà una grandissima incidenza sulla vicenda di Cristo.

Ricordo due notizie già note, forse, a molti di voi: nel 1789 per la prima volta 1'esegeta tedesco Dobermeir formula 1'ipotesi che i capitoli dal 40 in poi siano opera di un autore diverso da Isaia. Però nel 1977 - quindi quasi due secoli dopo - Vincent, esegeta francese, sostiene invece che sia da abbandonare completamente tale ipotesi.

In realtà, come già detto in una lezione precedente, il libro di Isaia si deve dividere in tre testi, compilati in epoche díverse da persone diverse.

Non conosciamo nulla dell'autore del secondo Isaia (capp..40-55), anche se potrebbe essere presente qualche accenno autobiografico nei "Canti del servo Jahve". Sembra valida 1'ipotesi che 1'autore operi tra gli esiliati in Babilonia e che la composizione del libro sia avvenuta nel VI secolo a.C.. Potremmo forse restringere il periodo fra il 553, anno dell'ascesa del re Ciro di Persia - più volte menzionato - e il 539, anno della caduta di Babilonia.

Il profeta vive in un'epoca in cui 1'impero babilonese decade dopo una rapida crescita. A Nabucodonosor succedono re di poco conto e di breve durata. E, quando la situazione del regno diventa particolarmente difficile, prende il potere Nabonide il quale tenta di modificare il tessuto della società babilonese e, soprattutto, di cambiare la religione. Infatti sostituisce il culto di Sin a quello di Marduk, divinità riconosciuta in tutto 1'impero.

Proprio nella stessa epoca in Egitto viene compiuta un'analoga operazione dal faraone Amenofi IV il quale muta il proprio nome in Ekhnaton, impone il cambio della religione e instaura il monoteismo con il culto del dio sole, Aton. E' significativo il fatto che la prima notizia che abbiamo di Betlemme sia del tempo del regno del faraone che instaurò in Egitto il monoteismo per togliere il potere ai sacerdoti di Tebe.

In seguito Nabonide si allontana dalla capitale per otto anni e trasferisce il suo centro di potere in una piccola località agli estremi confini dell'impero lasciando a Babilonia un reggente, Baldassarre, per poter risolvere alcuni problemi legati alla difesa contro 1'ínsorgente minaccia persiana.

Nel frattempo Nabonide cerca di indebolire alcuni avversari favorendone altri, in particolare Ciro, un nobile appartenente al popolo dei Medi, istigandolo a ribellarsi al suo sovrano e a diventare re del suo popolo. In tal modo Nabonide si era coltivato la classica serpe in seno; infatti Ciro diverrà la causa della fine del suo regno.

Nabonide avverte il pericolo della potenza del nuovo re dei Medi e contro lui costituisce un'alleanza con il faraone e con il ricchissimo Creso, re di Lidia. Ciro, però, dopo aver sconfitto 1'esercito dei tre sovrani alleati, conquista la Lidia e la sua capitale Sardi e, successivamente, la Babilonia ed entra nella capitale nell'anno 539 a.C. senza colpo ferire, in quanto gli abitanti stessi gli avevano aperto le porte della città.

In questo complesso periodo storico si colloca il secondo libro di Isaia.

Il popolo d'Israele intanto coltiva la speranza, ma subisce anche disillusioni.

Lettura del Salmo 137 "Canto dell'esiliato".

Da questo salmo famoso ha preso spunto anche Salvatore Quasimodo per comporre una poesia stupenda sulla seconda guerra mondiale. Sono versetti drammatici che esprimono lo stato d'animo dell'esule.

E un brano cosi nostalgico diventa 1'imprecazione tremenda contro coloro che vengono reputati i responsabili della caduta di Gerusalemme. Pensiamo a ciò che doveva provare quel popolo, lontano dalla propria terra ed esposto al vituperio delle genti.

Si pone, però, un problema: Ciro ha vinto Babilonia perché le sue divinità sono le più potenti oppure perché è mandato da Jahve? Gli Ebrei si chiedono: è vero il dio che protegge le imprese del grande Ciro oppure il Dio che ci ha mandato in esilio e che, forse, per mezzo di questo re ci rimanderà in patria?

Ecco, allora, che la crisi de1 popolo diventa soprattutto religiosa e, quindi, profonda. Non si tratta di una crisi solo di nostalgia, ma di identità.

E quindi gli Ebrei si chiedono: in chi dobbiamo credere? Qual è il Dio vero che aiuta il suo popolo?

Nel "Cilindro di Ciro" (documenti trovati in una città della Mesopotamia) è scritto riguardo a Marduk, la principale divinità babilonese: "Marduk scrutò all'intorno tutti i paesi in cerca di un governante re e pronunciò il nome di Ciro, perché fosse il governatore di tutto il mondo. Lui gli fece prendere la strada di Babilonia camminando al suo fianco come un vero amico."

Questo testo dice chiaramente che colui che ha fatto sorgere e ha accompagnato Ciro nelle sue conquiste è Marduk e non certo Jahve.

Il messaggio del secondo Isaia è costruito sulla falsariga di quello dell'Esodo perché 1'autore prende come modello I'uscita del popolo dall'Egitto, i quarant'anni nel deserto e 1'entrata nella terra promessa e li riporta alla sua epoca.

Siamo , cosi, di fronte ad un secondo esodo con un altro Egitto (Babilonia), un altro deserto e un'altra terra promessa. Tutto ciò ci fa entrare in un altro contesto: 1'esodo dall'Egitto assume una dimensione universale.

Ricordiamo quanto detto 1'anno scorso a proposito dell'Apocalisse: anche se la persecuzione alla quale si riferisce I'autore avviene sotto Domiziano, il libro va ben oltre quell'epoca perché ci parla di ogni tempo in cui la Chiesa subisce una persecuzione. Il libro dell'Apocalisse è sempre attuale.

Per quanto concerne 1'Esodo potremmo affermare che si tratta di un evento di salvezza da definire trans-storico perché ha connotazioni universali. Infatti ha valore in ogni tempo e in ogni luogo in cui un popolo si trova nella situazione di rivivere una simile esperienza.

Proviamo a rileggere, allora, da questo punto di vista, 1'olocausto. I lager nazisti e 1'olocausto non possono, forse, essere definiti un nuovo esodo? E la conseguenza sarà il ritorno in massa nella terra promessa. Hitler non è paragonabile al faraone e al re babilonese, cioè a coloro che tenevano il popolo in schiavitù?

E il braccio potente di Dio che libera il suo popolo dalla schiavitù si può identificare in Mosè, in Ciro e negli Alleati che liberarono gli Ebrei dai campi di concentramento al termine della seconda guerra mondiale.

Vediamo, allora, come alla luce della teologia e, soprattutto, del mistero della salvezza debba essere interpretata la storia concreta. Dio ha accompagnato, protetto e guidato il suo popolo in ogni esodo.

Scopriamo cosi (contrariamente a quanto sosteneva Primo Levi) che il Signore era anche ad Auschwitz. Questa circostanza ha dato inizio a una riflessione nell'ebraismo - che lo avvicina un po' al cristianesimo - su un Dio che soffre.

Noi applichiamo gli eventi di salvezza all'oggi. Oggi Dio ci salva. Questo è il principio dell'Eucarestia: oggi Cristo patisce, muore e risorge per noi.

Raffrontiamo gli elementi del vecchio esodo con quelli del nuovo esodo.

1 - Il protagonista non è il popolo, ma Dio in entrambi gli esodi. II Signore agisce direttamente oppure attraverso un mediatore: prima Mosè, poi Ciro.

Lettura di Is. 41, 1-5

Siamo di fronte a testi inauditi per gli Ebrei in quanto Dio non si sta servendo di un membro del popolo - di un ebreo -, ma di uno straniero per salvare il suo popolo. E questo pagano diventa 1'inviato del Signore, 1'unto. Potremmo dire, forzando un po' íl concetto, il Messia che viene incaricato della salvezza del popolo.

Nel brano è presente la risposta all'interrogativo: chi anima la potenza di Ciro?

Non certo le divinità dei Babilonesi, ma il vero Dio che ha mosso il mondo per il piccolo popolo d'Israele.

Lettura di Is. 45, 1-7

Dio, in quanto detentore del potere, chiama Ciro per nome. Anche se non si conosce, il Signore può essere strumento della sua opera di salvezza. L'importante è credere che Dio guida, anche misteriosamente, la storia.

Lettura di Is. 48, 12-15 "Il Signore ha scelto Ciro".

Grandiosa è 1'ímmagine di Dio che ha potere su ogni cosa. Il Signore ha suscitato il re Ciro per poter liberare il suo popolo. Il profeta cerca nella storia la presenza divina.

Se guardassimo a ciò che accade attorno a noi, dal punto di vista strettamente umano non potremmo nutrire la speranza. Infatti, che speranza avrebbe il mondo senza la fede? Per questo siamo profeti di speranza per noi e per gli altri. Cerchiamo sempre di capire ciò che Dio vuole insegnarci attraverso la realtà.

In questo brano il Signore si presenta con un titolo stupendo che troviamo anche nel "Libro di Giobbe": Goel, il redentore.

Leggiamo in proposito:

Is. 49, 7.- Il redentore d'Israele~ ,

I s. 49, 26 - "II redentore e il Forte di Giacobbe";

Is. 54, 5 e 8

Dio è Colui che ti redime, che ti ridona la dignità, che ti salva.

Credo proprio che il secondo Isaia sia il libro profetico che più ci parla di Cristo.

2 - Sia il primo che il secondo esodo hanno fatto vivere la liberazione dalla schiavitù. In Egitto il protagonista era una persona, il faraone, mentre nell'esilio il protagonista era un'entità politica, Babilonia.

Lettura di Is. 47, 1-15 "Lamento su Babilonia". Ecco la realtà dalla quale Dio libera il suo popolo.

Nel ricorso di Babilonia agli astrologi e ai cartomanti possiamo vedere un parallelo con quanto avviene oggi.

Coordin.
00giovedì 15 novembre 2012 23:33

Deutero-Isaia - continuazione

Concludiamo oggi la parte generale riguardante il Secondo Isaia. Poi, per la prima volta quest'anno vi proporrò un esempio di esegesi prendendo in esame " I canti del servo di Jahvè". Cercheremo di comprendere ciò che il profeta ci vuole comunicare attraverso un testo tanto complesso.

Nella precedente lezione abbiamo notato che Dio si presenta come "Goel" (il Redentore) e abbiamo visto, inoltre, che il vero protagonista degli esodi è Dio e che un elemento comune ai due esodi è la liberazione dalla schiavitù (da Egitto e da Babilonia)

3-Un altro elemento comune alle due situazioni è il deserto che nell'esodo dall'Egitto si presentava come ostile in quanto considerato, soprattutto, il luogo delle tentazioni che mettevano a dura prova la fede di Israele. Il deserto veniva visto come un ostacolo nel rapporto tra Dio e il suo popolo, tanto che gli Israeliti rimpiangevano il benessere alimentare del quale avevano goduto in Egitto.

Nel secondo Isaia, invece, il deserto non viene affatto ritenuto un elemento ostile, anche perché era cambiata la situazione psicologica degli esiliati.

Leggiamo in proposito Is. 40,1-5 " Annuncio della liberazione".

Notiamo in questi famosi versetti, che i Vangeli riprendono per parlare di Giovanni il Battista, una particolarità. Infatti in Mt. 3,3 è scritto :" Voce che grida nel deserto; preparate la via del Signore....", mentre il nostro profeta nel passo corrispondente si esprime così : " Una voce grida : nel deserto preparate la via del Signore ....." (40,3).

Ciò conferma che vari testi dell'Antico Testamento sono stati rielaborati e interpretati nel Nuovo , come poi vedremo a proposito del" servo di Jahvé".

L'immagine del deserto presente nel brano profetico elimina già tutti gli ostacoli, perché proprio in questo luogo si preparerà il percorso che porterà il popolo da Babilonia nuovamente alla libertà.

Lettura di Is. 41,17-19 " Israele scelto e protetto dal Signore".

Il deserto rifiorisce perché le meraviglie del Signore sono infinite. E la terra arida, allora , assume per certi aspetti una connotazione singolare : mentre durante 1'esodo il deserto era molto ostile e luogo di prove tremende, nel ritorno da Babilonia diventa anticipazione del Paradiso . Percorrendo la lunga strada del ritorno gli Israeliti immaginano le delizie che troveranno in patria. Allora, il cammino verso la propria terra costituisce un duplice ritorno:

a) a Dio . Il popolo torna al suo Signore. E vedremo che il mediatore principale di questo ritorno sarà proprio il servo di Jahve;

b) a Gerusalemme.

Ma tale ritorno appare duplice anche in un altro senso; infatti, non è solo del popolo , ma anche di Dio, un Dio che condivide le sorti del suo popolo.

Il Deutero - Isaia ci presenta, in una prospettiva diversa da quella espressa in Ezechiele , 1'andarsene del Signore da Gerusalemme. Ora Dio si allontana per condividere le angosce e le sofferenze del suo popolo in esilio. E adesso il Signore ritorna con il suo popolo.

Leggiamo, allora, Is. 52,7-10 " Annuncio della salvezza"

Il secondo Isaia ci invita a non disperare mai ; anche se siamo angosciati il Signore è al nostro fianco. Ecco, il grande messaggio di speranza del profeta. Anche nella deportazione Dio è accanto al suo popolo e provvede a sostenerlo nelle difficoltà. Sappiamo che il cammino nel deserto ha come punto di arrivo Gerusalemme. E qui notiamo la ripresa - che ormai conosciamo bene - del tema davidico: l'elezione di Gerusalemme e l'elezione di Davide.

Leggiamo " la gioia del ritorno " in Isaia 49, 8-17

Nei vv. 16-17 troviamo un'immagine stupenda. Ecco, tornano in auge Gerusalemme e la dinastia davidica.

4 - Altro elemento comune ai due esodi : le resistenze.

Il piano divino viene, comunque, osteggiato. Ricordiamo che nell'esodo dall'Egitto si oppongono al disegno di Dio il faraone, il cosmo ( che è rappresentato dal Mar Rosso), la natura ( il deserto) il popolo stesso che resiste. Nella vicenda narrata da Isaia la resistenza , che sarà stroncata dall'arrivo di Ciro, è costituita da Babilonia.

Un altro ostacolo è rappresentato dalle divinità babilonesi non tanto perché esse si oppongono direttamente ( sono idoli costruiti dalle mani dell'uomo), quanto perché attirano il popolo. Potremmo dire che gli idoli si oppongono indirettamente a Jahve, perché il popolo dà loro credito e si chiede se 1'artefice vero della potenza di Ciro sia il Signore oppure Marduk.

Leggiamo ora su questo argomento Isaia 46.

Notiamo, infine, che il popolo stesso si oppone resistendo alla speranza e alla sua liberazione. Lettura Is. 40, 27-31 - " la grandezza divina" .

Il popolo si stanca e protesta, ha paura ( Is. 41,8 e segg. ); è cieco e sordo e, oltre tutto, nostalgico come abbiamo visto anche in Ezechiele ( cap. 43, 18-19) ; è ancora peccatore, falso e ostinato e, per di più, si crede abbandonato.

Sottolineo che il tema fondamentale del libro del Secondo Isaia è quello della speranza che si fonda esclusivamente su Dio e non su realtà umane.

Lettura di Is.55, 1-13. "Invito finale"

Il significato dell'espressione" i miei pensieri non sono i vostri pensieri" va letto nel contesto del Profeta Isaia in senso positivo, e cioè : i vostri sono pensieri di pessimismo, di paura, di scoraggiamento, di peccato, mentre i " miei pensieri" sono più grandi dei vostri.

Il brano vuole significare che il Signore opera meraviglie che noi non riusciamo nemmeno a immaginare. Cambia, allora, la prospettiva.

Il nostro Dio è incomprensibile perché ama troppo. Il nostro amore è talmente piccolo che non riusciamo a capire il Suo. L'uomo ha pensieri piccoli; Dio ha pensieri grandi. Teniamo presente che alla fine il Signore trionfa, che la Sua parola è efficace e non torna a Lui senza avere prodotto 1'effetto che si era proposto.

La nostra speranza è nell'onnipotenza e nella grandezza di Dio che rinnova continuamente la Sua alleanza ( con Noè, con Abramo, con Mosè, con Davide....). E nel Secondo Isaia sono presenti i riferimenti alle diverse alleanze.

La prospettiva del profetismo comincia a cambiare: non siamo più in un clima di giudizio e di punizione ( per sollecitare una conversione), ma in un clima di consolazione e di speranza. Dio, adesso, elargisce continuamente benefici al Suo popolo.

Consideriamo ora 1'aspetto più peculiare del Deutero-Isaia :" I canti del servo di Jahve " ( capp.42-49- 50 - 53 ) che ho riunito per praticità su un foglio (allegato.)

La prima difficoltà consiste nell'incerta delimitazione dei canti. Inoltre, secondo alcuni studiosi, tra i canti stessi sembrerebbe rientrare anche una parte del cap. 55.

Ed ora una premessa doverosa .

Avevamo detto a proposito dell'Oracolo dell'Emmanuele contenuto nel Primo Isaia ( " Ecco , la Vergine concepirà e partorirà un Figlio"....) che il Profeta intendeva riferirsi, da un punto di vista storico, al figlio di Acaz, ma dal punto di vista profetico ( cioè proiettato sul futuro messianico) a Gesù Cristo.

L'aspetto storico e quello profetico saranno ancora più evidenti nei Canti, anche perché risulta assai complicata 1'identificazione del servo di Jahve. Ci muoveremo sia sul piano storico immediato sia sul piano storico futuro che risulta dal significato dato a questi brani nel Nuovo Testamento.

Per intendere quanto sia difficile la comprensione dei Canti vediamo 1'opinione di alcuni biblisti: Mons. Ravasi nel volume " I Profeti" fornisce circa la lunghezza dei vari brani delle interpretazioni molto diverse da quelle di P. Grelot ( " I Canti del Servo del Signore"), mentre un altro studioso, Virgulin (" Isaia") è su posizioni analoghe a quelle di Ravasi.

Invece Schokel, uno dei più grandi biblisti del nostro secolo, nel suo volume " I Profeti" dà una spiegazione diversa da quella degli autori sopra citati. Interessante notare che Schokel riporta nel suo libro tutte le interpretazioni dei vari biblisti sull'argomento.

Inoltre, Benedetto Prete in un articolo pubblicato su " Rivista biblica" tiene come base per un commento a Mc. 10,45 (" ....dare la propria vita in riscatto di molti.") proprio la vicenda del servo di Jahvé.

Lettura dei " Canti" ( capp. 42-49-50-53) secondo la suddivisione riportata dalla Bibbia di Gerusalemme ( che è corrispondente all'opinione di Schókel).

Rileggeremo e analizzeremo, poi, ogni canto inserito o disinserito dal suo contesto immediato.

Un'ultima annotazione : Grelot aggiunge ai Canti sopra elencati i vv. 4 e 5 del cap. 55.

 

Deutero - Isaia - Continuazione

Come già accennato nella precedente lezione, nell'esame dei "Canti del servo di Jahve" terremo presenti due piani:

1) piano storico, in cui il servo dovrebbe essere un personaggio concreto dell'epoca dell'Autore;

2) piano metastorico (che va al di là della storia) del quale vedremo solo in seguito 1'interpretazione neotestamentaria con la citazione di vari brani che nel Nuovo Testamento ci parlano del Servo. Nell'ultimo incontro si era parlato anche della diversa delimitazione del primo Canto operata da alcuni studiosi.

Ricordo che i testi biblici scritti in ebraico sono stati tradotti in lingua greca dai famosi "Settanta" in Alessandria d'Egitto durante la diaspora, cioè molto prima di Cristo. Sappiamo che la Bibbia dei Settanta, tradotta appunto in greco, è diventata abbastanza normativa per il Nuovo Testamento, anch'esso scritto in lingua greca. Tale versione si rese necessaria per la constatazione che i testi in ebraico non erano ben compresi nel mondo greco della diaspora.

Esaminiamo ora alcuni problemi riguardanti i Canti:

1- Quanti sono i testi che si riferiscono al Servo di Jahve?

Il termine "ebed", servo, è usato nel Deutero-Isaia ben ventun volte; in alcuni casi risulta riferito in modo esplicito a Ciro, in altri al popolo di Israele.

Secondo certi interpreti, per delimitare i Canti dobbiamo vedere quanti brani si stacchino dal contesto in cui sono presenti; secondo altri è facile delimitare 1'inizio, ma appare assai difficile individuare il termine di ogni singolo brano, soprattutto perché alcuni testi - che secondo un'altra opinione non vanno tolti dal loro contesto - iniziano quando si parla di Ciro, quindi già di un servo.

2-A chi si riferiscono questi brani, posto che siano dei canti a sé stanti? A uno solo o a più personaggi, considerato che in tutto il libro sono presenti riferimenti sia a Ciro sia al popolo di Israele, indicati entrambi con il termine di Servo?

Se si ipotizza un personaggio unico, questo sarà una persona o una comunità? Vedremo poi che almeno un brano spinge chiaramente nel senso della comunità.

Nel caso, invece, si pensi ad un personaggio individuale, si tratterà di un re o di un profeta?

Ancora: il servo va collocato nel presente dell'Autore oppure è un personaggio enigmatico proiettato nel futuro? Realtà o speranza?

Se poi si pensa ad un personaggio concreto, esiste la difficoltà di identificarlo (sono già stati proposti circa trenta nomi).

E se è un personaggio futuro, di chi si parla?

Se si tratta di una comunità, questa si identifica con tutto il popolo di Israele (che assumerebbe così un ruolo particolare nei confronti di tutta 1'umanità) o soltanto con il "resto di Israele", cioè con quella parte del popolo che si è preservata integra e che svolge un ruolo nei confronti sia di Israele sia dell'umanità?

Vedremo in seguito che la soluzione più valida sarà molto probabilmente quella "mista": in alcuni tratti il Servo si identifica con una persona, con un individuo, e in altri con una comunità.

Questa interpretazione è applicata nel Nuovo Testamento.

 

Coordin.
00giovedì 15 novembre 2012 23:45

Esame del primo Canto

Subito appaiono alcune difficoltà relative alla sua delimitazione. Ravasi fa terminare il primo Canto (cap. 42) al v. 4, Grelot, invece, al v. 7. Per la Bibbia di Gerusalemme il canto finisce con il v. 9, mentre secondo Schokel arriva fino al v. 13.

Il nostro Canto consiste nella presentazione del Servo e, secondo soprattutto 1'interpretazione data da Grelot , si divide in due parti.

II misterioso personaggio viene presentato con un oracolo: è Dio stesso che parla. Lettura di Is. 42,1

Sono evidenti due elementi: "servo" ed "eletto". a) "Servo di Dio".

È un termine abbastanza diffuso nella Bibbia e può indicare diverse persone.

Si trova, per esempio, in Geremia 7,25 e in 1Re 1,18 per indicare un profeta, mentre nel libro dell'Esodo definisce Mosè. Inoltre in 2 Samuele 7 il titolo di "ebed" è applicato a re Davide. Quindi il Servo potrebbe essere un profeta, un patriarca o un re. Questi richiami ci saranno utili per capire la funzione di questo personaggio e il motivo per il quale la qualifica di Servo è stata attribuita a Mosè;

b) "Eletto".

Questo termine, mai applicato a un profeta, è stato attribuito a Israele, ai Leviti, a Davide, a Mosè e a Gerusalemme. Anche in questi casi abbiamo un riferimento sia a persone singole che a comunità

Nel secondo Isaia è presente qualche accenno al termine "eletto" riferito al popolo; ma nello stesso libro il popolo d'Israele viene presentato come cieco e sordo (in senso spirituale), il che è esattamente 1'opposto di come debba essere il Servo.

Potremmo già affermare che il primo canto probabilmente non si riferisce a un profeta, ma ad un re. Proviamo allora a cercare di identificare il personaggio attraverso la missione affidatagli.

Lettura di Is. 42,1b-2

Il personaggio ha delle caratteristiche non propriamente profetiche ("... non griderà...", "... non farà udire in piazza la sua voce. . . "), a meno che non si cominci ad inserirlo nel contesto nuovo del Deutero­Isaia che considera il profeta come colui che porta la speranza.

Lettura di Is. 42.3

Ecco, il nostro misterioso personaggio dovrà esercitare una funzione giudiziaria, che è compito tipico del re, il quale deve fare rispettare il diritto di Jhave. (Ricordiamo il Salmo 2, regale.)

Il Servo per svolgere la missione di portare il diritto alle nazioni ha ricevuto lo Spirito ("Ho posto il mio Spirito su di lui" v. 1).

Leggiamo in proposito Is. 11,1-4. "Il discendente di Davide".

Questo grande testo messianico - della linea del messianismo regale - ci parla dello Spirito che si posa esattamente su un re affinché realizzi il diritto di Dio applicato nel mondo.. D'altra parte questo Servo possiede anche altre caratteristiche, elencate nei vv. 3b e 4 (rilettura). Si tratta di un uomo che, pur essendo molto comprensivo, è fermo, fedele alla sua missione. E, notiamo, i modi di questa missione possono apparire strani per 1'Antico testamento, ma la fedeltà e la fermezza del Servo sono assolute fino a quando non avrà conseguito il suo scopo.

Ancora: "... e per la sua dottrina saranno in attesa le isole." (v. 4)

Nel contesto profetico, e non solo, si intendono per "isole" le parti più lontane della terra, abitate da popolazioni misteriose, che vengono viste come il paganesimo per eccellenza. Allora potremmo affermare che 1'umanità - ben oltre il popolo di Israele - sarà in attesa della dottrina di quest'uomo.

Qui ha inizio una dimensione universalistica riservata a un uomo che è portatore della dottrina di Jahve alle isole.

Nei vv. 5-7 (lettura) viene delineato lo scopo della missione. Infatti la parte centrale di questi versetti indica ciò che deve realizzare in sé il Servo, che deve essere "... alleanza del popolo e luce delle nazioni" (v. 6).

Notiamo che il Servo non viene definito come Mosè "intermediario dell'Alleanza" (infatti Dio si era alleato con il suo popolo per mezzo di Mosè). Ma, Mosè non è 1'Alleanza. Il Servo, invece, diventa alleanza del popolo. Avvertiamo che qui in controluce si vede già Gesù. Lui è 1'alleanza del popolo. E il Servo non è soltanto "alleanza del popolo d'Israele; ma diventa anche "luce delle nazioni". Ecco, ci troviamo su un piano diverso rispetto a Mosè ed anche a qualunque re. Di conseguenza il personaggio misterioso non può sicuramente essere identificato con Ciro, re di un popolo straniero, del quale il Signore si serve soltanto per liberare il suo popolo.

Ciro esplica una funzione eminentemente socio-politica, mentre il servo personifica 1'alleanza.

 

Al v. 6 l'espressione "... ti ho stabilito come alleanza..." costituisce una forzatura perché la traduzione esatta sarebbe "ti ho dato come alleanza del popolo". Ciò significa che "il dare" è un dono di Dio: il Signore regala questo Servo che è alleanza per il popolo, anche se il popolo stesso non lo merita.

Lettura di Is. 42,8-9

La missione del Servo di Jahve porterà a qualche cosa di totalmente nuovo.

Alla luce di quanto detto, possiamo sostenere che si tratta di un personaggio singolo, quindi difficilmente identificabile con Israele, con delle caratteristiche strettamente regali - ma che sembra già superarle perché è già lui stesso 1'alleanza - e che inizia ad avere anche una missione, che va ben al di là del popolo d'Israele in quanto è "luce delle nazioni" e " per la sua dottrina saranno in attesa le isole".

Secondo canto del Servo di Jahve

Mons. Ravasi delimita questo Canto ai versetti da 1 a 6 del cap. 49; la Bibbia di Gerusalemme ai versetti da 1 a 7; Grelot ai versetti da 1 a 9. Per ultimo Schokel amplia ulteriormente il Canto fino al v. 13.

Nel I Canto il Signore presenta il suo Servo, mentre nel II canto il Servo si autopresenta nei vv. 1-4 ed espone le credenziali che legittimano la sua missione.

Lettura di Isaia 49, 1-3

I tratti della vocazione del Servo richiamano Geremia 1,5 ("Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo...") e Apocalisse 1,16 ("... dalla bocca gli usciva una spada affilata a doppio taglio..."). È una vocazione dalle connotazioni chiaramente profetiche e non regali. L'autopresentazione del Servo sembrerebbe, infatti, portarci un po' lontano da quella fatta dal Signore nel I Canto. Il Servo di Jahve non si rivolge al popolo d'Israele, ma alle isole e alle nazioni lontane. In questa vocazione profetica è centrale il tema dell'annuncio, ma diventa anche essenziale la fiducia in Dio o, meglio ancora, la consapevolezza che il Signore protegge il suo Servo e lo ripone nella sua faretra. E se il servo è riposto nella faretra divina significa che la sua missione non è ancora iniziata; è come una freccia appuntita che il Signore non ha ancora scagliato.

II v. 3 risulta di difficile interpretazione per la presenza del termine "Israele", che per alcuni esperti è una glossa (un'aggiunta). Però va notato che tale parola è presente in tutti i manoscritti ebraici e nella traduzione dei "Settanta" e ciò significa che, se si trattasse pure di una glossa, sarebbe talmente antica da essere ormai entrata nel testo. La soluzione del problema non si presenta facile, perché indica una linea di interpretazione totalmente condivisa da sempre.

Di conseguenza il Servo del Signore si identificherebbe con tutto il popolo d'Israele. Quindi si tratterebbe di una comunità che svolge un ruolo profetico - stando al II Canto - oppure il ruolo regale di portare il diritto ovunque - stando al I Canto.

Secondo un'altra interpretazione, Israele potrebbe essere il capo del popolo che lo incarna totalmente, cioè sarebbe una persona con un ruolo talmente importante da diventare simbolo di tutta la comunità (per es. Giacobbe). Quindi in questa persona tutta la comunità si riconosce e viene riconosciuta.

Lettura di Isaia 49, 4-6

Al v. 6 leggiamo: " ... e ricondurre i superstiti di Israele" ma la traduzione più esatta sarebbe "... e ricondurre i preservati di Israele", il che darebbe all'espressione una connotazione spirituale. I "preservati" potrebbero identificarsi con il "resto di Israele".

Il Servo incontra delle difficoltà, ma non sappiamo se ciò avvenga prima o durante la sua missione. Se consideriamo letteralmente 1'espressione "mi ha riposto nella sua faretra" dobbiamo pensare a prima della missione, mentre se interpretiamo la faretra come protezione divina allora dobbiamo intendere il periodo della missione stessa.

Certamente le difficoltà precedono questo oracolo perché i verbi sono al tempo passato ("Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze..." - v. 4). Anche se il Servo ha fallito, il ~ignore rimane: "... la mia ricompensa presso il mio Dio." (v. 4). Di fronte alle difficoltà il Servo riafferma la propria fiducia assoluta nel Signore e nella Sua ricompensa. A1 v. 6 entra direttamente in campo Dio parlando al suo Servo, che ha la funzione di ricondurre al Signore Giacobbe non solo da un punto di vista socio-politico ma anche dal punto di vista della fede.

Secondo alcuni studiosi, Dio usa i due termini "Giacobbe" e "Israele" per ricomporre finalmente lo scisma dei regni del nord e del sud. Il popolo tornerà ad essere uno sia in senso socio-politico (finalmente riuniti in Palestina senza più divisioni) sia in senso spirituale e religioso (salvezza e luce per Israele ed anche per le nazioni). Ecco, allora, la duplice funzione del Servo di Jahve. Ma, soprattutto, Dio afferma che il compito del Servo torna ad essere una missione.

Le parole "luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino alle estremità della terra" (v. 6) diventano quasi una proposta di Dio, al di là di tutti i cedimenti umani.

Lettura di Isaia 49 7

È un oracolo di consolazione che comincia però ad introdurre il tema tremendo della sofferenza. La connotazione è chiaramente di una persona, ma certamente non si addice a Ciro (Mons. Ravasi, invece, sostiene che si riferisce proprio a re Ciro).

Nel nostro versetto appare evidente un misterioso connubio tra sofferenza e innalzamento. Nel "reietto delle nazioni" i re e i principi vedranno 1'opera di Dio che è fedele. Queste espressioni anticipano la vicenda di Gesù Cristo. Pensiamo al discorso di Gesù in Gv. 12,32: "Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me." e alle parole di Caifa in Gv. 11,49: "... come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera."

Attraverso la sofferenza del "reietto delle nazioni" si realizza ciò che Dio vuole: ricomporre il suo popolo, ma non più su un fondamento nazionale, bensì su base universale.

Lettura di Isaia 49 8-9

In questi versetti notiamo la riaffermazione di una missione che è in parte socio-politica ma, prima di tutto, spirituale.

Esiste il rischio di interpretare questo brano soltanto in chiave socio-politica, come è avvenuto, ad esempio con la deteriore "teologia della liberazione" che riteneva che la liberazione socio-politica dovesse coincidere con la realizzazione del regno di Dio sulla terra. E per giungere a tale fine erano giustificati anche i metodi violenti.

Teniamo ben presente che la liberazione fisica, sociale o politica non può mai essere il fine supremo.

XXV lezione

Deuterio - Isaia - continuazione Terzo canto del Servo di Jahve

Anche per il terzo canto si registrano diversità di opinioni riguardo alla lunghezza (per Ravasi vv. 4-7; per Grelot vv 4-9a e poi vv. 10-1 l, come per Sch~kel). Questo brano riprende una connotazione più strettamente profetica.

Lettura Is 50,4-11

Potremmo dire che il Servo parla ancora di sé. E questo parlare di sé ci fa pensare che ora - a differenza del I canto dove chiaramente il Servo era un re - il Servo stesso sia più vicino al profetismo. Infatti egli deve ascoltare la parola di Dio e, poi, comunicarla. Scopriamo, inoltre, che il Servo, mentre secondo i canti precedenti aveva incontrato delle difficoltà nello svolgimento della sua missione, adesso comincia ad essere perseguitato violentemente.

Le espressioni del terzo canto sembrano poter essere indirizzate difficilmente a una comunità in quanto qui il Servo ha una decisa connotazione personale; è una persona ("Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba, non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi." v. 6 .

Nei vv. 9 e 10 torna un oracolo profetico che termina con una minaccia, con 1'invettiva contro i nemici del Servo. Ecco, il Servo viene perseguitato ed il profeta ne prende le difese.

Quarto canto del Servo del Signore

Questo canto, sulla cui lunghezza concordano tutti gli studiosi, inizia al cap. 52, v. 13, e termina al cap. 53, v. 12.

Si tratta di versetti altamente drammatici. Infatti, nonostante le minacce del profeta, la persecuzione fisica raggiunge il suo apice nella morte del Servo.

In questo canto è evidente 1'unità fra due realtà apparentemente molto contrastanti: 1'umiliazione e la glorificazione. Anzi, proprio nell'umiliazione consiste la glorificazione. Proprio perché umiliato ed ucciso il Servo del Signore viene glorificato da Dio.

In questo brano sono riassunte, in pratica, le due grandi teologie presenti nel Nuovo Testamento:

1) la teologia giovannea (la Croce è il trono di Gesù, è il momento della gloria in cui Egli attira tutti a sé e riunisce tutti í dispersi d'Israele);

2) la teologia paolina che raggiunge uno dei suoi vertici nel cap. 2 della "Lettera ai Filippesí" (la "chenosis ", cioè 1'abbassamento, 1'umiliazione che in realtà diventa gloria).

Leggeremo in seguito i passi del N.T. in cui sono più esplicitamente citati i canti del servo.

Il nostro canto, privo della consueta introduzione, potrebbe essere diviso in due parti: la prima sembra un discorso pronunciato direttamente dal Signore, mentre la seconda contiene un discorso del profeta.

La prima parte si suddivide a sua volta in due parti: la prima costituita dai vv. 13-15 del cap. 52 e la seconda dai vv. llc-12 del cap. 53. Fra queste due parti si colloca il discorso profetico che sembra chiaramente un elogio funebre, un discorso pronunciato in onore di un morto.

Nel discorso di Dio il Servo ha funzione di intercessione per i peccatori e di espiazione in sé dei loro peccati. Ricordiamo a questo proposito 1'atto di offerta di S. Teresa di Lisieux che si offre, appunto, a Dio quale vittima di olocausto per la salvezza del mondo.

II nostro personaggio diventa come il capro espiatorio, del quale si parla nell'Antico Testamento, su cui venivano caricati tutti i peccati del popolo.

Lettura Is. 52, 13-15

Siamo nella glorificazione di un personaggio quasi irriconoscibile ("...tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto..." - v. 14) e nella dimensione universale dell'espiazione.

Lettura di Is. 53, 1lc_-12

"...egli si addosserà la loro iniquità...": ecco il capro espiatorio.

In proposito consiglio la lettura dei capp. 4 e 5 dell'esortazione apostolica "Salvifici doloris" nei quali Giovanni Paolo II commenta il quarto canto anche dal punto di vista del valore della sofferenza, che resta un mistero. Solo alla luce di Gesù possiamo dire qualche cosa sulla sofferenza. L'amore deve essere la nostra chiave di lettura del mistero della sofferenza perché Dio è amore.

La seconda parte del Canto contiene il discorso del profeta che si immedesima con il popolo (parla, infatti, in prima persona plurale). Si tratta di un discorso, più che altro sotto forma di elogio funebre del Servo che è morto, che ci aiuta a capire il significato autentico di questa morte che, apparentemente, sembrava una punizione divina.

Se leggiamo il libro di Giobbe notiamo che, a quell'epoca, la sofferenza in questa vita era considerata come la conseguenza del peccato in quanto non c'era ancora 1'intuízíone della risurrezione e, quindi, dell'Aldilà.

E' un discorso profetico: la sofferenza del Servo non rappresenta una punizione, ma un evento di salvezza, di gloria e non di umiliazione e di distruzione.

Nell'elogio funebre appena letto tutti i verbi sono espressi al passato per significare che il nostro personaggio è realmente morto e, quindi, si identifica con una persona ben precisa e non con una comunità.

Un'altra intuizione molto bella: la morte del Servo risulta necessaria per il compimento del progetto di salvezza di Dio. Anche questa constatazione ci apre qualche orizzonte perché il nostro vedere è molto limitato. Infatti, più ci si avvicina al Signore e più si riesce a vedere le cose in modo diverso. Se è vero che qualcuno può commettere anche dei delitti in nome di Dio, è altrettanto vero che costui non sa nemmeno dove abiti Dio. Ancora una riflessione: portare la fede significa umanizzare sempre di più la nostra vita. La Gaudium et Spes "recita: chi guarda a Cristo uomo perfetto diventa egli stesso più uomo "

Il Nuovo Testamento non ha il minimo dubbio sull'interpretazione dei quattro canti del Servo del Signore. E' un'interpretazione strettamente messianica, nel senso futuro del termine! ma è un futuro non indefinito ed escatologico, ma ben preciso che si realizzerà in Gesù Cristo. Quindi, secondo questa interpretazione, quando il profeta scriveva i canti intendeva riferirsi a Gesù Cristo.

Noi sappiamo che Giovanni cita ben raramente in modo esplicito 1'Antico Testamento, anche se, in realtà, il suo Vangelo ne è una citazione continua. In particolare ricordiamo che nei racconti della passione appare in filigrana il Salmo 22.

Lettura di alcuni brani del Nuovo Testamento che contengono citazioni dei Canti del Servo del Signore riferite a Gesù Cristo:

1 - Mt. 12, 15-21 "Gesù è il servo del Signore."

I farisei stanno già complottando contro Gesù perché guarisce gli ammalati ed è un po' polemico sul riposo del sabato.

Il brano di Isaia riportato viene chiaramente applicato a Gesù.

2 - Mt. 8, 16-17

L'interpretazione dell'evangelista è bellissima, molto profonda, non tanto in chiave spirituale sul peccato, ma proprio in chiave materiale con Gesù che elimina la malattia prendendola su di sé.

3 - Lc. 22, 37

Siamo nel contesto dell'Ultima Cena.

"E fu annoverato fra i malfattori..." - Qui Gesù applica a se stesso questa espressione.

4 - Atti 8, 26-38. "Filippo battezza un ministro etiope."

Notiamo la citazione di Is. 53, 7-8 che serve a Filippo per annunciare all'etiope la buona novella e per battezzarlo.

S - Prima lettera di Pietro 2, 18-25

Pietro in questo brano indica un ideale altissimo.

Troviamo ancora una serie di passi del N.T. in cui la terminologia usata da Isaia nei Canti viene applicata a Gesù:

1 - Mt. 3, 16-17 "Il Battesimo di Gesù."

Notiamo che "prediletto" ho lo stesso significato di "eletto" e "mi sono compiaciuto" corrisponde all'espressione contenuta in Isaia 42, l.

2 - Mc. 10, 45

Gesù dice di sé, parlando in terza persona: "Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere

servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti...".

3 - Lc. 9, 35 "La trasfigurazione." "Questi è il Figlio mio, l'eletto..."

Constatiamo che in tutti i brani citati Gesù viene indicato come colui che realizza le profezie contenute nei Canti del Servo del Signore.

Per inciso ricordiamo quanto detto nella lezione precedente sulla presenza del termine "Israele" nei Canti. Molto probabilmente i brani in cui si parla di Israele possono essere applicati ai discepoli e alla Chiesa, cioè al popolo messianico di oggi. Allora 1'interpretazione diventa messianica sia in senso personale (Gesù) sia in senso comunitario in quanto la Chiesa continua la missione di Cristo.

Lettura di altri passi del Nuovo Testamento:

1 - Mt. 5, 14 . 16 . 39

"Voi siete la luce del mondo..." (v. 14) e il Servo è "luce delle nazioni".

Notiamo, poi, al v. 391'applicazione ai discepoli della tematica della persecuzione.

2 - Atti 14, 19 in cui si parla della persecuzione di Paolo.

3 - Atti 26, 17 e segg. con citazioni esplicite di Isaia 42 (I Canto)

Ancora una volta constatiamo che i canti del Servo sono applicati dal N.T. sia a Gesù sia ai discepoli e alla comunità. Quindi, è chiaro che viene data un'interpretazione dei Canti stessi in chiave messianica, riferita sia alla persona di Gesù sia alla Chiesa, cioè alla comunità che rende oggi presente Gesù.

Nel prossimo incontro concluderemo questo ciclo di lezioni bibliche con un commento al libro di Giona, profeta del post-esilio. Vi anticipo che i profeti di quel periodo avevano atteggiamenti estremamente nazionalisti, senza alcuna apertura verso gli altri popoli.

 

Giona

Diamo per letto il libro di Giona e ci domandiamo se si tratti o meno di un racconto storíco. Non è un libro storico (nonostante la parvenza di storicità che gli è stata data) per diversi motivi, come:

1 - il protagonista, cioè il profeta Giona, in reattà potrebbe essere storico: infatti è nominato in 2 Re 14,23 e segg. (lettura).

Notiamo che Giona, di per sé, è riferibile all'epoca del re Geroboamo II (VIII sec. a.C.), ma vediamo anche che sono evidenti delle incongruenze: nel nostro libro, infatti, Ninive non è indicata come la capitale dell'Assiria;

2 - inoltre, a livello di pensiero sono presenti notevoli influssi di Geremia - profeta di un'epoca posteriore al sec. VIII - e di Gioele (anch'egli di epoca posteriore);

3 - in ogni caso non ci sarebbe molto da dire, per esempio, sull'estensione della città di Ninive "...di tre giornate di cammino..." (Gn 3,3) che appare del tutto irreale, come, del resto, sul pesce che ingoia Giona perché si tratta indubbiamente di una figura retorica molto usata, ma assai più tardi e, cioè, all'epoca di Alessandro Magno (IV sec. a.C.);

4 - per ultimo, notiamo un fatto storico di cui non abbiamo alcun sentore: la conversione di Ninive.

Tutti questi elementi inducono a pensare che non sia possibile dare un'interpretazione storica al nostro libro.

Alcuni studiosi considerano la narrazione di Giona come un'allegoria (vedremo in seguito attraverso la lettura di brani evangelici la differenza tra allegoria e parabola). Sappiamo che ogni elemento dell'allegoria ha una sua trasposizione nella realtà; è un simbolo che ci rimanda ad un altro anche nei minimi particolari.

Allora, Ninive diventa il mondo pagano; Giona la rappresentazione di Israele che si rifiuta di essere missionario e rifugge dalla missione che Dio gli affida; il malessere di Giona è il disagio del popolo che si ripiega su se stesso e non accetta che il perdono sia esteso ai pagani (siamo in un periodo di nazionalismo puro); il pesce rappresenta l'esilio che divora il popolo d'Israele. Il libro di Giona potrebbe però essere anche una parabola, cioè un racconto didattico (che vuole dare un insegnamento) in cui non necessariamente ogni elemento corrisponde alla realtà.

Per comprendere bene la differenza fra allegoria e parabola leggiamo in Mt. 13, 24-30 la "Parabola della zizzania" raccontata da Gesù, dal significato abbastanza preciso: fare capire che la zizzania e il grano cresceranno insieme fino alla consumazione dei tempi. Non dobbiamo scandalizzarci, quindi, per 1'esistenza dei malvagi in quanto arriverà anche per loro il momento del giudizio finale.

Sia per la "Parabola del seminatore" (Mt. 13, 3-9) sia per la "Parabola della zizzania" si tratta di un racconto fatto da Gesù e di una interpretazione autentica data dalla comunità alla parola del Signore. Ma questa interpretazione è allegorica; la "Parabola della zizzania" viene trasformata in allegoria.

Leggiamo, allora, in Mt. 13, 36-43 la "Spiegazione della parabola della zizzania". Questo brano ci dice che una parabola può essere interpretata legittimamente anche in chiave allegorica.

Sono state formulate alcune ipotesi sull'insegnamento contenuto nel libro di Giona, che può essere considerato come una parabola:

1 - indicare quale atteggiamento dovrebbe avere Israele nei confronti dei pagani;

2 - chiarire quale rapporto sia possibile fra 1'elezione del popolo e 1'universalismo. Se tutti i popoli sono chiamati alla salvezza, qual è il ruolo di Israele?

Un problema analogo, anche se per certi aspetti diverso, sarà affrontato da S. Paolo nella "Lettera ai Romani": ora che c'è la Chiesa, che senso ha il popolo d'Israele? L'elezione e la fedeltà alle promesse possono adesso venir meno? Certamente no;

3 - proporre con un invito quasi sapienzale, più che profetico, un universalismo contrapposto allo stretto nazionalismo.

Se quanto detto prima corrisponde a verità, possiamo datare il libro di Giona e collocarlo sicuramente nel post-esilio e molto probabilmente in un periodo immediatamente successivo ai libri di Esdra e di Neemia (sec. V a .C.), cioè nel tempo della ricostruzione materiale dello Stato d'Israele e della ricostruzione spirituale del suo popolo.

E' evidente, comunque, che "Giona" costituisce anche una reazione al sistema nazionalistico estremo di quell'epoca. A questo riguardo leggiamo Esdra cap. 9 "La rottura dei matrimoni con gli stranieri".

Il popolo d'Israele, i sacerdoti e i leviti, che avrebbero dovuto mantenere la purezza della stirpe, hanno contratto matrimoni con donne straniere e da queste hanno avuto figli, profanando "...la stirpe santa con le popolazioni locali" (v. 2 .

In questo capitolo è bello sottolineare come Dio resti accanto al popolo anche nei momenti difficili: "Nella nostra schiavitù il nostro Dio non ci ha abbandonati..." (v.9), anzi ha riportato il popolo alla libertà.

Notiamo, per inciso, come sia pericolosa anche oggi una lettura fondamentalista della Bibbia, il prendere - per esempio - questo brano (Esdra 9, 10 e segg.) alla lettera estrapolandolo dal contesto storico in cui è stato scritto.

Lettura di Esdra cap. 10

Si narra della cacciata, su iniziativa di Esdra, delle mogli straniere e dei figli da loro avuti.

Per molti commentatori il libro di Giona rappresenta proprio una reazione all'esasperato nazionalismo dell'epoca.

Lettura di due brani del Vangelo in cui viene citato Giona:

Mt. 12, 38-41 ("Il segno dí Giona") e

Lc. 11, 29-33 ("Il segno di Giona").

Due annotazioni a margine del primo brano:

- l'immagine del profeta che "...rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce..." (Gn. 2,1) diventa l'immagine della permanenza di Gesù nel sepolcro e, quindi; della sua morte e della sua resurrezione;

- la predicazione di Giona e la sua accoglienza da parte dei Niniviti diventano 1'esempio, per opposizione, della predicazione di Gesù, rifiutata non dai pagani ma dai suoi stessi concittadini.

Abbiamo, allora, un duplice segno:

1 - segno di ciò che Gesù farà e dirà;

2 - segno - al contrario - di ciò che Gesù sta vivendo, cioè 1'opposizione dei suoi.

Riprendiamo Luca 1l, 29-33 in cui manca il segno di Giona nel ventre del pesce, ma compare il secondo segno: "...come Giona fu un segno per quelli di Ninive, così anche il Figlio dell'uomo lo sarà per questa generazione" (v. 30).

Giona predica la conversione e viene ascoltato, mentre Gesù non è ascoltato anche se Egli è sicuramente superiore al nostro profeta. Di conseguenza, il peccato dei contemporanei di Cristo appare infinitamente più grande di quello commesso da Niniviti.

Il messaggio

Superficialmente potremmo affermare che quello di Giona è un messaggio molto bello di conversione e, conseguentemente, di perdono rivolto ai popoli pagani. Ma sostenere semplícemente questo significherebbe impoverire il nostro libro. Ninive non è solo il simbolo del paganesimo, ma da sempre è anche il simbolo dell'oppressione. La città con il suo re Sennacheri diventa la capitale dell'Assiria e, di conseguenza, 1'incarnazione

dell'oppressione. Quindi, i Niniviti e il loro re non sono soltanto dei pagani, ma gli oppressori del popolo eletto.

Allora il messaggio di Giona diventa sconvolgente: Dio ama e perdona anche gli oppressori e vuole la salvezza di chi opprime il popolo eletto.

Il racconto del profeta ci dice di una Chiesa (ovvero del popolo d'Israele) che deve portare la salvezza proprio a coloro che fino ad un momento prima, e magari ancora adesso, uccidono i suoi figli o li riducono in schiavitù.

Uno degli atteggiamenti peggiori di Giona - e qui questo personaggio potrebbe essere il simbolo del popolo d'Israele, ma anche di certe frange della Chiesa - consiste nel non accettare il perdono degli oppressori. Infatti si adira perché si sono convertiti i Niniviti che considerava meritevoli esclusivamente del castigo divino. Notiamo che gli abitanti di Ninive non si convertono al Dio d'Israele, ma si convertono nella loro condotta. Ai Niniviti il Signore non chiede di cambiare religione, ma di far cessare le ingiustizie sociali, di fare penitenza per i peccati commessi.

Sarebbe molto bello usare il libro di Giona per cercare di trovare dei valori comuni (Mt. 25) come 1'amore per il prossimo, la solidarietà fra gli uomini, un mondo di giustizia in cui non ci sia chi possiede troppo e chi ha meno di nulla.

Io credo che il nostro libro sia profetico sotto il punto di vista della possibilità di costruire un'umanità nuova, diversa.

"Giona" è 1'unico libro profetico scritto sotto forma di parabola, con un contenuto inaudito per 1'Antico Testamento. Infatti, ci vorrà Gesù con la sua vita e il suo insegnamento per portare esplicitamente alla chiarezza questi concetti.

In tal senso il nostro racconto, se pur breve, non appare secondario per un cattolico che vuole leggere 1'Antico Testamento e che vuole trovare quei semi che Gesù porterà poi a completa maturazione. Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi, sia i buoni che i cattivi. Ed Israele e la Chiesa, popoli eletti, non possono che accettare questa logica divina.

Ma, soprattutto, Giona è duro di cuore, cioè non vuole convertirsi alla logica della Croce, alla logica di un Dio che perdona i suoi crocefissori. E, allora, il libro in questione ci interpella non solo in quanto popolo di Dio (o come Chiesa), ma in quanto persone davanti all'amore "folle" del Signore.

Come reagiamo al pensiero che chiunque con un atto di pentimento all'ultimo momento può andare in paradiso?

Prendendo Giona come simbolo di ciascuno di noi, come ci comportiamo davanti alla missione che il Signore ci affida?

Ci saranno sicuramente tornati alla mente, leggendo questo racconto, i grandi "resistenti" della Bibbia, come Mosè e Gedeone.

Vediamo il libro di Giona come una sollecitazione che il Signore ci offre per essere portatori del suo amore che non ha limiti.

Il perdono di Dio su quale base sarà elargito? L'aderire a Cristo che significa?

Significa abbracciare il cristianesimo oppure avere quel riferimento ultimo all'Amore che sembrerebbe trasparire da diversi brani del vangelo, ma anche dal libro di Giona?

Io credo che la dottrina della Chiesa non opti (vedere il Concilio Vaticano II) tanto per un sincretismo religioso, quanto piuttosto intenda che i riferimenti a Cristo - che è il "dixit" del Padre - possano essere molteplici e anche impliciti. Ciò significa che dobbiamo continuare ad essere missionari perché la Chiesa ha ricevuto da Cristo un messaggio preciso, 1'evangelizzazione del mondo. Dobbiamo aiutare chi appartiene ad una cultura diversa ad arrivare già quaggiù alla pienezza di Cristo e ad attingere ai canali privilegiati di grazia di cui la Chiesa dispone, ossia i sacramenti.

Nei documenti del Concilio Vaticano II sicuramente si notano tali orientamenti.

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