COMMENTO DELLA LETTERA AGLI EFESINI

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Pagine: [1], 2
Credente
00giovedì 1 novembre 2018 18:50
Dal commento di Giuseppe Ricciotti


Credente
00giovedì 1 novembre 2018 18:51




Credente
00giovedì 1 novembre 2018 18:52




Credente
00giovedì 1 novembre 2018 18:59

DAL COMMENTO DEL MOVIMENTO APOSTOLICO
DELLA LETTERA DI S.PAOLO AGLI EFESINI

CAPITOLO PRIMO

INDIRIZZO E SALUTO

[1]Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, ai santi che sono in Efeso, credenti in Cristo Gesù:

Paolo è apostolo di Gesù Cristo. In quanto apostolo di Gesù Cristo egli scrive loro. In quanto parola di colui che nella Chiesa ha il posto di Cristo bisogna leggere quanto lui scrive.

Questa convinzione di fede dovrebbe sempre essere nel cuore di chi scrive e di chi legge.

Deve essere questa convinzione nel cuore di chi scrive, perché dica solo la volontà di Cristo Gesù, solo la sua verità, solo la sua dottrina, solo quella Parola che lo stesso Cristo gli ha consegnato il giorno in cui lo ha costituito suo apostolo nel suo gregge.

Se si ha questa convinzione, allora bisogna evitare che si dicano cose che non appartengono al cuore di Cristo, ma che sono del nostro cuore.

Perché questo avvenga è necessario che il cuore di Cristo sia il nostro cuore, lo Spirito di Gesù sia nel nostro spirito, i desideri di Cristo siano i nostri e la sua volontà la nostra.

Questo richiede un cammino nella santità di Cristo, in una perfetta obbedienza al Padre nostro che è nei cieli, in una sequela santa del Vangelo che ci è stato dato non perché venga annunziato, ma perché venga vissuto e mentre lo si vive lo si annunzi, lo si predichi, lo si proclami.

Questa stessa convinzione deve anche regnare nel cuore di chi riceve la parola degli Apostoli. Vi regnerà se c’è in essi desiderio di conoscere la verità, di ascoltare la vera Parola di Cristo Gesù, di vivere l’obbedienza perfetta a Dio che avviene e si compie solo nella conoscenza della vera Parola di Gesù Signore.

Quando non c’è desiderio di ascoltare e di vivere la vera Parola di Cristo Gesù, neanche si accoglie la Parola dell’apostolo come Parola di Cristo e quindi si vive solo un’appartenenza formale a Cristo, ma non sostanziale, perché l’appartenenza sostanziale a Cristo si ha solo nella vita secondo la sua Parola.

Questa convinzione, anche se c’è, muore nel cuore di chi ascolta, se l’Apostolo del Signore non vive la sua appartenenza a Cristo in modo totalizzante il suo essere, se non dice la Parola di Cristo Gesù nella sua piena e perfetta verità.

Questa è una delle cause per cui c’è quel distacco tra la Parola degli apostoli e i loro fedeli, tra pastori e pecore, tra guida e gregge. Il gregge non vede e non considera come suoi pastori coloro che non vede con i tratti e i lineamenti di Cristo Gesù e di conseguenza neanche ascolta la loro parola come Parola di Cristo. Avviene quel distacco di ascolto tra gregge e pastori che tanto danno provoca nella comunità cristiana. È il distacco di una vita senza più la Parola di Dio. È il distacco di una vita ricondotta nelle tenebre.

Che uno sia apostolo di Gesù Cristo non lo deve a se stesso, alle sue doti, alla sua bravura, alla sua volontà.

Essere apostolo di Gesù Cristo è solo un suo dono d’amore, una sua chiamata che ha la sua spiegazione non in noi, ma solo ed esclusivamente nell’amore di Dio. L’apostolo di Gesù Cristo, più di ogni altra vocazione, ha la sua origine nell’amore di Dio Padre, in quello stesso amore di salvezza e di redenzione che ha chiesto al Figlio l’incarnazione, la passione, morte e risurrezione per l’umanità che era precipitata nel peccato, che nella sua scienza e prescienza divina aveva già visto nel peccato e nelle ombre della morte.

Se non si vede una vocazione come una sorgente di grazia che ha il suo principio eterno nell’amore di Dio, mai si comprenderà a sufficienza la grandezza di essa. Dio associa l’apostolo al mistero della salvezza, mistero d’amore per il mondo intero che lui ha consegnato al suo Figlio unigenito.

La vocazione ad essere apostolo di Gesù Cristo deve essere sempre vista in quest’unico mistero di amore, in questo solo mistero di salvezza e di redenzione; bisogna sempre vederla in quest’unica e sola volontà di Dio che chiede al Figlio nell’eternità e nell’eternità ad ogni altro suo figlio adottivo, divenuto tale per opera dello Spirito Santo in Cristo, di volersi consegnare al suo amore di salvezza e di redenzione.

I destinatari della Lettera sono gli Efesini, chiamati santi. Paolo scrive ai santi che sono in Efeso e sono santi perché credenti in Cristo Gesù.

Anche la santità è partecipazione, anzi vocazione ad inserirsi nel mistero dell’amore di Dio, a divenire parte di questo amore eterno che si dona, che si comunica, che si fa in Cristo sacrificio per la salvezza del mondo.

La santità è solo di Dio. Tutti gli altri sono santi per partecipazione, per esposizione alla santità di Dio.

La santità di Dio sulla terra è Cristo Gesù. Ci si espone alla santità di Dio se si diviene una cosa sola con Cristo, in Cristo, per Cristo.

Chi deve operare questo mistero di unità perché si diventi santi è lo Spirito di Dio, lo Spirito Santo. È Lui che ci immette in questa comunione di vita con Cristo e in Cristo con Dio.

La santità, come la fede in Cristo Gesù, è una realtà dinamica, in progresso, in perfezione. Santi e credenti bisogna ogni giorno esserlo, si cresce in santità e in fede. La crescita nella santità e nella fede è la vita stessa sia della santità come della fede. Nel momento in cui non si cresce più in santità e non si cresce in fede, sia la santità che la fede sono morte in noi e noi siamo morti sia alla santità che alla fede.

C’è pertanto una responsabilità in chi è stato chiamato alla santità e alla fede in Cristo Gesù. È la responsabilità di chi ha ricevuto un dono di Dio e non deve farlo morire in lui, non deve nasconderlo nel suo cuore, anzi è chiamato a farlo fruttificare secondo tutta la potenza di grazia e di verità che Dio ha versato in noi al momento di concederci questi doni divini.

Così c’è anche da dire che questi doni sono dati al mondo, generalmente, per via ordinaria, dalla Chiesa in tutti i suoi membri, anche se la responsabilità nel conferire questi doni varia da persona a persona, in relazione al ministero che si svolge nella comunità.

L’apostolo del Signore in ordine alla santità e alla fede ha la stessa responsabilità di Cristo Gesù, perché suo vicario sulla terra, perché come Cristo è chiamato a morire per attrarre a Dio ogni uomo.

La sua è una responsabilità che si realizza con la sua crocifissione e morte, consegna al sacrificio, per amore della salvezza dell’umanità.

La sua è una vita donata, è il seme che cade in terra, muore, per produrre molti frutti, molti altri semi di vita eterna, di santità e di fede.

[2]grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo.

Poiché egli è apostolo di Gesù Cristo, per volontà di Dio, egli in nome di Cristo, con la sua autorità, in nome di Dio, con la sua autorità, augura e dona agli Efesini la grazia e la pace.

Di chi sono questa grazia e questa pace? Sono da parte di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo.

Dio lo ha mandato nel mondo per portare questi doni. I doni sono di Dio, ma è l’apostolo che li elargisce. Li elargisce perché Dio Padre e Cristo Gesù li hanno messi nelle sue mani perché sia lui a darli a quanti sono santi e credenti in Cristo Gesù.

La grazia è il dono della salvezza, della redenzione, della giustificazione, della carità, dell’amore. La grazia è tutto ciò che è dono di Dio e che discende sulla terra in virtù della morte e della risurrezione di Cristo Signore.

Augurare la grazia, dare la grazia è augurare e donare all’uomo la vita stessa di Dio. Dio è la grazia dell’uomo, perché Dio è la vita.

Quando la vita di Dio diventa la vita dell’uomo, l’uomo è in grazia, vive nella grazia, cresce in essa.

La pace invece è il frutto, uno dei frutti della grazia. È il ristabilimento dell’uomo nel posto che ha in Dio, in se stesso, negli altri fratelli, nell’intera creazione.

La pace è pertanto una vita che è senza il disordine del peccato, senza i frutti del peccato.

La pace è la vita che risplende tutta di verità, di luce eterna, di chiarezza di cielo, perché in essa non c’è la menzogna, non ci sono le tenebre, non c’è l’ambiguità e la stoltezza che la conduce.

La pace è la vita che viene ridonata interamente a Dio, perché a Dio essa appartiene, perché attraverso di essa si compia solo la volontà del Padre, volontà che il Padre ci ha manifestato tutta in Cristo Gesù. Consegnata a Dio, essa si fa e diviene un dono di pace per i fratelli, un dono d’amore, di benevolenza, di gioia, di serenità, di fratellanza, di ogni altro bene che è necessario all’uomo perché viva una esistenza degna della creatura che è stata fatta ad immagine e a somiglianza di Dio.

Tutti questi beni divini, questi grandissimi doni, sono posti da Dio nelle mani dei suoi apostoli. Sono essi incaricati di offrirli all’umanità intera.

Questa la loro responsabilità: quella di offrirli alla stessa maniera che fu di Cristo Gesù. Si offrono all’umanità alla maniera di Cristo, se la loro vita è offerta tutta al Padre per manifestare la sua gloria, in una obbedienza perfetta, che diviene il nostro cibo quotidiano.

Se questo avviene ed è fatto dall’apostolo, egli ha assolto il ministero dell’amore che gli è stato affidato. Egli è servo buono e fedele che è chiamato a prendere parte alla gioia del suo Signore.

Se questo non lo ha fatto, egli è responsabile dei mancati frutti che la grazia e la pace generano nel mondo. Di questo deve rendere conto a Dio il giorno in cui si presenterà al suo cospetto per il giudizio.

Quanti non hanno ricevuto il dono di Dio per omissione dell’apostolo del Signore, hanno la responsabilità che deriva loro dalla coscienza non formata, non illuminata dalla grazia, non resa perfetta dalla pace di Dio.

Quanti invece hanno ricevuto i doni della grazia e della pace, ma li hanno rifiutati sono responsabili dinanzi a Dio di questo rifiuto. A Dio dovranno rendere conto il giorno del giudizio, quando anche loro si presenteranno dinanzi a Lui per rendere ragione di ogni loro azione, decisione, omissione, opera, sia in bene che in male.

[3]Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo.

I versetti che seguono sono così pieni di contenuti essenziali nella verità della fede che bisogna che procediamo analizzando concetto per concetto e singola verità per singola verità.

Alla fine mettendo tutte le verità insieme, l’una accanto all’altra e l’una anche nell’altra, si evidenzierà in tutta la sua chiarezza, in tutto il suo splendore il mistero di Dio e dell’uomo, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, il mistero eterno che si vive in Dio, il mistero di salvezza, ma ancor prima di creazione e di grazia che si vive sulla terra. Si evidenzierà il prima della creazione e il dopo e tutto avrà significato nell’amore del Padre, nella redenzione di Cristo, nella santificazione dello Spirito Santo.

Benedetto sia Dio: Dio solo è da benedire, lodare, glorificare, magnificare, esaltare, celebrare, osannare, innalzare.

Dio è da benedire perché è il Santo, il Giusto, il Salvatore, il Redentore, il Liberatore, il Creatore.

Dio è da benedire perché nella sua essenza è carità infinita, eterna, carità che si riversa verso l’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza; carità che si dona e si comunica all’uomo per creazione, per redenzione, per giustificazione, per elevazione, per santificazione, per il dono della vita eterna.

La benedizione è la prima preghiera che deve innalzarsi dal cuore dell’uomo verso il cuore di Dio. L’uomo riconosce Dio in se stesso, lo riconosce e lo confessa nella sua divina essenza e lo benedice, lo dichiara bene, lo proclama bene. Dice che tutto ciò che Dio è e fa, è bene, è il bene, è il sommo bene, è l’eterno bene.

Al di fuori del bene che è Dio, che è in Dio, che viene da Dio, non c’è altro bene sulla terra, nell’universo, nell’uomo.

Benedire il Signore diviene pertanto proclamazione, attestazione, confessione che il bene si addice a Dio per natura, poiché Dio è il bene soprannaturale da quale ogni altro bene discende.

È dovere dell’uomo benedire il Signore; è retta confessione manifestare al mondo intero, ma prima di tutto alla propria coscienza, che la bontà è solo del Signore.

Purtroppo molti cristiani non elevano a Dio quest’inno di benedizione. Non lo elevano per due motivi: perché bestemmiamo il suo nome, lo maledicono. Ma anche perché attribuiscono a Dio tutto ciò che di non buono, di non santo, di non onesto, di non vero e non bello avviene nella vita, sulla terra.

Si rende così Dio autore di ciò che bene non è, bello non è, giusto non è. Si rende Dio autore di tutto il male che accade sulla nostra terra e questo è un grande peccato che non si addice a nessun cristiano.

La vocazione del cristiano è quella di benedire Dio, di confessare che tutto il bene discende da lui, di gridare al mondo che niente di non buono, di meno buono, di cattivo viene da Lui e questo in ragione della sua natura che è bontà eterna e divina, nella quale e dalla quale non può sorgere il male.

Padre del Signore nostro Gesù Cristo: Il Dio che si benedice è il Padre del nostro Signore Gesù Cristo. Dio è Padre; Gesù è il nostro Signore.

C’è in questa affermazione di Paolo una duplice confessione: si proclama che Dio è il Padre del nostro Signore Gesù Cristo, ma si riconosce anche che Gesù è il nostro Signore.

La paternità di Dio nei confronti di Cristo Gesù e nei confronti dell’uomo non è la stessa. Cristo Gesù è generato da Dio. Quella di Dio verso Cristo è una paternità di natura, di sostanza, di generazione eterna, di nascita dalla stessa natura.

Quella di Cristo Gesù è l’unica generazione di Dio, che avviene oggi, nell’eternità. L’altra paternità, quella verso di noi, è una paternità adottiva, di creazione, di elezione. Non è però una paternità per generazione, per partecipazione della propria natura, come avviene anche nella creazione tra gli esseri viventi.

Noi siamo stati creati da Dio, in tal senso Dio è nostro Padre, veniamo dalla sua Parola onnipotente. Cristo Gesù invece non viene dalla Parola onnipotente del Padre, lui è la Parola onnipotente, eterna, divina, increata del Padre.

Questa è differenza sostanziale tra noi e Cristo Gesù. Egli è di origine divina: Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato della stessa sostanza del Padre. Cristo e il Padre nella comunione dello Spirito Santo sussistono nell’unica natura divina.

Questa differenza di paternità dice anche differenza di figliolanza. C’è una differenza sostanziale, naturale tra la nostra figliolanza e quella di Cristo Signore. Questa differente figliolanza pone anche una differenza nell’incarnazione.

Colui che nasce dal seno di Maria è il Figlio eterno del Padre, Colui che il Padre aveva generato dall’eternità, nell’eternità. Ciò significa che Cristo è vero Dio e vero uomo, è il vero Dio che si è fatto carne ed è diventato vero uomo. Questo è il mistero di Cristo Gesù, differente dal nostro. Lui è Dio e uomo, vero Dio e vero uomo, nell’unica Persona: quella eterna del Verbo della vita.

Noi invece siamo semplicemente uomini. Siamo solo figli di Adamo per natura; di Dio possiamo solo essere figli di adozione.

Gesù Cristo è il nostro Signore. Gesù è Signore perché Dio. La signoria è proprio della natura divina. È anche Signore in quanto uomo, perché tale costituito da Dio al momento della sua incarnazione. Signoria che ora egli vive nel cielo, dove è assiso alla destra del Padre anche nella sua umanità, che risorta siede nel Cielo presso Dio.

Che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli: Il Dio che Paolo benedice ha benedetto gli uomini con ogni benedizione spirituale nei cieli.

Questa benedizione prima di tutto è il dono della creazione. Siamo stati creati dalla bontà di Dio. Da lui veniamo per un atto di creazione che è fuori della natura di Dio, anche se la nostra creazione è del tutto differente da quanto esiste nel creato, perché noi siamo stati fatti ad immagine e a somiglianza del Creatore.

Ci ha benedetti con la grazia della redenzione e della giustificazione che ha come finalità proprio quella di farci bene, di farci giusti, di farci santi, di elevarci alla dignità di figli suoi.

C’è la benedizione con la quale siamo stati creati buoni, ma c’è anche la benedizione della redenzione attraverso la quale siamo fatti santi, giusti, elevati alla dignità di figli adottivi di Dio.

C’è infine la benedizione della santificazione ed è quell’aiuto indispensabile e necessario che Dio riversa su di noi affinché possiamo raggiungere la gloria del Cielo, in modo da godere eternamente con Dio nel suo regno dei cieli.

In Cristo: Tutte queste benedizioni ci sono state donate in Cristo Gesù, che è la discendenza di Abramo nella quale Dio ha posto ogni benedizione. Cristo è il frutto benedetto della Vergine Maria, dal quale ogni benedizione si riversa sulla terra.

Cristo è la benedizione di Dio. In Cristo è ogni nostra benedizione. Chi vuole divenire benedetto, perseverare nella benedizione, acquisire di nuovo la benedizione smarrita, altro non deve fare che attingere in Cristo la benedizione di Dio e Cristo ce la dona attraverso il suo Santo Spirito, versato sugli Apostoli e sulla Chiesa perché crei in noi il desiderio, la volontà di lasciarci benedire da Cristo Gesù attraverso l’invocazione del suo Santo nome.

Cristo non può essere escluso dalla nostra storia neanche per un istante. Quell’istante in cui si esclude Cristo Signore, ci si autoesclude dalla benedizione di Dio. L’uomo non è più bene, non cammina verso il bene, la sua corsa si arresta nella sua umanità, ma l’umanità senza Cristo ha poco peso in cielo e ha poco peso sulla terra, come avrà poco peso di vita eterna, perché sarà condannata all’inferno per sempre.

[4]In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità,

Anche questo versetto contiene tre verità, che meritano di essere analizzate e presentate separatamente.

In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo: In questa prima frase appare chiaramente che il disegno di Dio sull’uomo è eterno, è nell’eternità, prima della creazione del mondo.

Prima c’è il progetto sull’uomo e poi viene la creazione del mondo; viene la creazione del mondo per attuare il progetto che Dio ha sull’uomo.

Se non partiamo da questa verità, diviene assai difficile comprendere il mistero di Cristo e lo si potrebbe anche comprendere e interpretare in modo errato, non vero, non del tutto esatto; si potrebbe accentuare una visione a discapito di un’altra; si potrebbe evidenziare una verità e tacerne un’altra, a motivo della prospettiva teologica secondo la quale il mistero di Cristo viene letto e interpretato.

Anche il mistero di Cristo, il mistero dell’Incarnazione del Verbo, trova il suo posto in questa elezione, in questa scelta prima della creazione del mondo.

Poiché in Dio non c’è il prima e il dopo, non c’è il prima della creazione e il dopo della creazione, sempre a livello di scienza e di conoscenza, il prima e il dopo esistono nella realizzazione del progetto, del disegno, della scelta.

Prima c’era il disegno, ma non la sua realizzazione; dopo c’è il disegno e la sua realizzazione. Ma Dio è nel disegno e nella sua realizzazione dall’eternità, nell’eternità. Solo con l’incarnazione Dio, in Cristo, si fa storia, tempo, progetto da realizzare, progetto realizzato.

Dio stesso, in Cristo, diviene parte di questo progetto, non solo in quanto autore di esso, ma anche in quanto attore. Lui è il creatore del progetto, è anche il redentore di esso, il suo salvatore.

Progettando la vocazione dell’uomo egli si fa parte di questa vocazione, si fa vocazione, diviene anche Lui un chiamato. Come? Assumendo la carne, facendosi uomo, divenendo Lui stesso progetto da realizzare nella storia. È questo il mistero che avvolge il nostro Dio ed è un mistero che sorpassa ogni umana intelligenza. Nessuno di noi può comprenderlo del tutto, neanche una scintilla di esso si riesce a penetrare con la sua umana intelligenza.

Con l’aiuto dello Spirito Santo questo progetto e il suo autore potranno divenire più chiari, più splendenti, ma per questo occorre una vera rivelazione di Dio, perché solo se il Padre lo rivela e il Figlio lo rivela e lo Spirito Santo lo rivela questo disegno di amore di Dio potrà essere compreso bene, anche se sempre in parte e non nella sua totalità, dai fedeli discepoli di Cristo Gesù.

Per essere santi e immacolati al suo cospetto: Viene qui specificata qual è la nostra vocazione, l’unica vocazione che è scritta nella nostra natura fin dall’eternità.

Questa vocazione ci chiama ad essere santi e immacolati al cospetto di Dio. Ci chiama a vivere conformemente alla nostra natura, che è natura fatta ad immagine e a somiglianza di Dio che è il Santo, il Senza Macchia, l’Immacolato.

La natura di Dio è carità eterna, infinita, divina, celeste. Essere santi e immacolati al suo cospetto significa vivere non di amore, ma essere perennemente inseriti nell’amore di Dio, essere nella sua carità, vivere la sua carità, essere ministri nel mondo di questa divina carità.

La santità è partecipazione in noi della santità di Dio, il solo Santo, il Santo, il senza Male.

In Dio non c’è male alcuno; nell’uomo, che è in Dio, che vive in Dio, che partecipa della natura divina, non deve esserci il male. In lui tutto deve essere bene, tutto deve fare bene, ma anche deve desiderare tutto il bene, in un amore che è dono totale della sua vita a Dio, perché solo nel dono della sua vita a Dio egli realizza il suo bene.

Donando la vita a Dio, in una obbedienza perfetta alla sua volontà, egli si ricolma del bene di Dio, perché Dio in questo scambio di vita diventa il dono per l’uomo. Dio dona tutto se stesso all’uomo, l’uomo dona tutto se stesso a Dio, in un dono perenne, eterno.

Questa è la santità cui è chiamato l’uomo fin dall’eternità. In fondo è la stessa santità che avvolge fin dall’eternità il Padre e il Figlio nella comunione dello Spirito Santo.

Che cosa è la santità divina se non questo mutuo dono del Padre al Figlio e del Figlio al Padre, dono totale, pieno, divino, eterno, senza né principio e né fine?

In questo stesso mistero d’amore e perché si compia in lui questo mistero d’amore, l’uomo è stato creato. Questa è la sua vocazione.

Non solo l’uomo deve essere santo, deve essere anche immacolato, senza macchia. In questo scambio di vita di niente si deve appropriare, tutto invece deve dare di sé a Dio.

Se egli si appropria anche di un solo istante, egli non è puro, non è immacolato, ha sottratto un tempo o più tempi o l’intero tempo della sua esistenza a Dio, l’ha consegnata a se stessa, l’ha data ad altri che non sono Dio.

L’esistenza dell’uomo è tutta per il Signore, per essere data a Lui. È in questo dono che l’uomo compie la sua vocazione, un solo istante sottratto a questa vocazione, è un istante di peccato, è un istante macchiato, è un istante che è uscito fuori della sua vocazione e per questo è un istante di male e non di bene, di morte e non di vita, di sottrazione e non di donazione ed offerta.

Nella carità: la carità è Dio, è la sua vita. L’uomo è chiamato ad essere santo e immacolato al cospetto di Dio, dinanzi a Dio, ma anche in Dio.

Da Dio l’uomo è uscito per creazione, per un dono di amore che non è generativo, ma creatore di una realtà fuori di sé. Ma questa realtà non è stata creata per rimanere fuori di Dio, è stata creata – ed è questa la specificità della creatura umana che la differenzia da tutte le altre creature che sono state create nell’universo – rivolta verso Dio, in cammino verso Dio, perché ricevesse attraverso il ritorno in Dio il suo compimento e la sua perfezione.

È come se l’uomo fosse creato da Dio non concluso in se stesso. Tutti gli altri esseri sono stati creati conclusi in se stessi, in se stessi hanno il fine della propria esistenza.

Con l’uomo questo non è avvenuto, con l’uomo non è così. Con l’uomo la creazione è solo l’inizio del compimento del suo essere che non è nell’uomo, ma in Dio. L’uomo è il solo essere creato che non si compie in sé, ma in Dio, ma si compie non attraverso un meccanismo automatico di ritorno nel Signore, si compie invece attraverso una volontà chiara, manifestata atto per atto, momento per momento, decisione per decisione di voler ritornare in Dio.

L’uomo è un essere che vive orientato verso la carità di Dio, ma vive nutrendosi di questa carità, alimentandosi di questa vita divina.

Nel momento in cui non potrà più alimentarsi di questa vita divina, di questa carità, perché volutamente, con decisione si è posto fuori, per lui è la fine del suo essere. Egli non si compie più, si è posto anche fuori del suo compimento e della sua realizzazione.

L’uomo per vivere deve nutrirsi di carità divina, è questo il suo alimento perenne. Verso la carità divina deve tendere, perché è in questa carità il suo compimento, la sua realizzazione eterna.

Questo compimento avviene nella sua forma perfetta nel cielo, quando diverremo una cosa sola, nel corpo e nell’anima, con Cristo Gesù, che è la carità del Padre, data per noi perché noi ritorniamo nella carità di Dio e verso la pienezza della sua carità e del suo amore camminiamo, manifestandola e realizzandola tutta in questo cammino del compimento della nostra vocazione.

[5]predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo,

Anche in questo versetto sono espresse due verità che meritano una trattazione separata:

Predestinandoci a essere suoi figli adottivi: Fin dall’eternità, Dio pensò l’uomo e lo pensò come un suo figlio. Lo ha pensato creatura e figlio. È questo un altro mistero che caratterizza l’uomo.

Egli non è stato voluto solo come creatura dinanzi a Dio, anche se fatta in un modo del tutto particolare. Egli è stato pensato allo stesso tempo creatura e figlio. È stato pensato come creatura con la vocazione ad essere figlio di Dio.

La predestinazione nella Scrittura è il disegno d’amore di Dio verso l’uomo. Dio ha un disegno d’amore e questo disegno non è soggetto all’approvazione dell’uomo.

Dio è il Signore dell’uomo, non è un suo partner, né un collega, o un amico, che insieme, in una discussione tra amici, anche se svolta nella santità, decidono cosa fare e cosa farsi, approvano questa loro decisione e poi iniziano a realizzarla nella loro vita, insieme. Con Dio non è così. Dio non sottopone il suo progetto sull’uomo all’approvazione dell’uomo. Egli lo stabilisce fin dall’eternità.

È Lui che decide di fare l’uomo e come farlo. Decide di farlo, decide di farlo a sua immagine e somiglianza, decide anche di farlo perché sia nella sua carità santo e immacolato, decide che lo vuole suo figlio.

Questa decisione, questa volontà, questo consiglio eterno di Dio con se stesso si chiama predestinazione.

Questa predestinazione però è in Dio, non nell’uomo. All’uomo, fatto ad immagine di Dio gli è stata data la volontà, altrimenti non sarebbe ad immagine di Dio, e gli è stato affidato il progetto da realizzare.

Il progetto uomo è da realizzare dall’uomo. Esso non è stato realizzato da Dio. Se fosse stato già realizzato da Dio, l’uomo non sarebbe più uomo. Sarebbe non un predestinato, ma un predeterminato, che è cosa ben differente.

Noi non siamo stati creati come figli di Dio, siamo stati creati ad immagine di Dio. Siamo però predestinati a divenire figli, ad essere figli adottivi di Dio.

Questa è l’altra vocazione dell’uomo. Se è vocazione, se è chiamata, deve essere l’uomo a volerla realizzare, deve essere l’uomo a portarla a compimento. Altrimenti non sarebbe vocazione, sarebbe semplicemente un dono datoci con la stessa creazione, come l’anima, il corpo e lo spirito, la volontà e i desideri.

Su questo ci sono molti errori oggi. Non si vede più la figliolanza adottiva di Dio come una vocazione. La si vede come un dono già conferito ad ogni uomo.

Non vedendola più come una vocazione, posta nelle mani dell’uomo, perché sia lui a dargli compimento, non si vede più neanche l’azione missionaria della Chiesa che ha come compito proprio quello di aiutare ogni uomo a realizzare a compiere questa sua vocazione.

Ma questa è solo ignoranza, grande ignoranza. A volte è anche mala fede e presunzione, che deriva da un volere annullare il progetto vocazionale di Dio sull’uomo. È come se ci si sostituisse a Dio e si decidesse per Lui, si stabilisse per Lui quello che è giusto e quello che non è giusto, ciò che è buono e ciò che non è buono.

Dire che ogni uomo è figlio adottivo di Dio è cambiare totalmente, radicalmente la vocazione dell’uomo. Noi siamo il progetto di Dio da realizzare, non il progetto già realizzato. Noi siamo la vocazione da portare a compimento, non la vocazione già portata a compimento.

Su questo bisogna essere seri, veri, convinti nella fede, altrimenti vanifichiamo tutta l’opera di Dio, perché annulliamo la sua volontà. Ora la sua volontà ci precede. Essa non è soggetta ai nostri sentimenti, alla nostra volontà, alle nostre decisioni, a quanto andiamo affermando.

Dire che siamo figli adottivi di Dio è una menzogna, una falsità, è un inganno, una illusione. Dire una cosa non è essere quella cosa. I molti teologi dicono oggi che l’uomo è già figlio adottivo di Dio, anzi neanche più si dice figlio adottivo, si dice semplicemente figlio – Figlio di Dio è solo Gesù Cristo –. Ma dirlo, non è farlo. Non siamo noi a fare un altro figlio di Dio; è lui che deve farsi, perché è sua la vocazione.

Posso anche dire che un uomo è sacerdote, che può consacrare. Ma quell’uomo sacerdote non è, perché il sacerdozio è una vocazione e la vocazione deve realizzarla la persona. Tutti gli altri possiamo aiutare a realizzarla, siamo inviati perché si aiuti a realizzarla, ma non possiamo né dirla, né proclamarla già realizzata, solo perché così piace a noi.

È questa la più grande stoltezza in teologia e in materia di fede; ragionare così, ma soprattutto così parlare e così predicare è da insipienti. È il segno che lo Spirito del Signore non abita in noi e non abitando in noi, noi siamo avvolti dalle tenebre, dalla menzogna anche circa le verità più elementari della nostra santa fede.

Per opera di Gesù Cristo: La predestinazione ad essere figli adottivi di Dio non può essere un atto di creazione. Questa predestinazione si compie per opera di Cristo Gesù e Cristo Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo per la nostra salvezza, per la nostra redenzione, giustificazione, santificazione, perché noi fossimo messi in condizione di ritornare nella carità di Dio, dalla quale siamo stati creati e nella quale siamo chiamati a vivere, per poter portare a compimento la nostra vocazione.

La figliolanza adottiva, che è la vocazione di ogni uomo, è solo in Cristo Gesù. Poiché la vocazione è nell’ordine della natura – l’uomo è questa vocazione -, poiché essa si realizza per opera di Gesù Cristo, per predestinazione ogni uomo è chiamato a riconoscere Cristo come il compimento della sua vocazione naturale. Ogni uomo, se vuole essere l’uomo pensato, voluto, progettato da Dio, deve volere Cristo, accogliere Cristo, pensarsi orientato in Cristo, chiamato da Cristo, formato in Cristo e da Lui.

Cristo Gesù diviene così la via perché l’uomo si faccia l’uomo secondo Dio. Chi esclude Cristo, chi lo rinnega, chi lo rifiuta, chi non lo accoglie, esclude, rinnega, rifiuta, non accoglie la sua vocazione e poiché questa vocazione è la vocazione scritta nella natura dell’uomo, quest’uomo si esclude dalla possibilità di divenire ciò che Dio ha progettato e voluto per lui.

Si è già detto che in questa faccenda non è consentito all’uomo alcuna decisione sul progetto. A lui è lasciata la volontà di attuarlo e quindi di farsi uomo secondo Dio, oppure di rifiutare la sua vocazione e condannarsi ad una morte, ad un non divenire, ad un non essere mai l’uomo pensato e voluto da Dio. Su questo principio bisogna essere chiari, forti, certi. La volontà di Dio non si può mai mettere in discussione e così mai si può discutere sul progetto.

Se la vocazione ad essere figli adottivi di Dio avviene per opera di Cristo Gesù, dobbiamo concludere altre due verità che sono anch’esse essenziali per comprendere il mistero di Dio e il mistero dell’uomo, o meglio per comprendere il mistero dell’uomo nel mistero e dal mistero di Dio.

Quando Dio pensò l’uomo, così come egli lo pensò, lo vide anche immerso nel peccato, nel rifiuto cioè di realizzare la sua vocazione.

È questa la prescienza eterna di Dio, che non ha bisogno della storia, per sapere cosa accade oggi, domani, sempre nella creazione che Lui ha voluto e quindi ha fatto. Secondo questa scienza eterna, o prescienza divina, Dio vide l’uomo, ma lo vide anche peccatore, fuori della sua carità.

Cosa fare? Non crearlo? Crearlo per lasciarlo perire nel suo non compimento? Oppure crearlo con la possibilità di metterlo in condizione di poter salvare se stesso?

Nella sua sapienza eterna Dio crea l’uomo, lo crea ad immagine di sé, gli dona la volontà per potersi orientare verso di Lui, sa però che l’uomo avrebbe fatto un cattivo uso di questa volontà e per questo motivo nel creare l’uomo, o meglio nel progettare l’uomo, pensa anche all’incarnazione del Figlio, per cui la creazione e l’incarnazione sono un unico mistero in Dio, un unico disegno, un’unica volontà di amore verso l’uomo.

Sono un unico disegno e un’unica volontà di amore, perché solo inserendo ogni uomo nell’amore di Cristo, in Cristo che si fa nutrimento d’amore per l’uomo, l’uomo è nella capacità di poter compiere il suo cammino vocazionale.

È questo il mistero dell’uomo che è insieme mistero dell’uomo e mistero di Dio, mistero di Cristo che si fa uomo, per farsi nutrimento dell’uomo, vita dell’uomo, verità dell’uomo, perché l’uomo raggiunga o venga messo in condizione di poter compiere la sua vocazione.

Sull’unità del mistero della creazione e della redenzione, del peccato e della salvezza, visti come unico atto della prescienza divina è opportuno ritornarvi e si ritornerà sull’argomento in altri passi, dove appare molto più chiaro e più evidente questo legame.

Per ora ci è sufficiente affermare e ribadire che è in Cristo il compimento dell’uomo e che Cristo è per ogni uomo, perché ogni uomo è predestinato ad essere figlio adottivo di Dio e questa figliolanza si compie per opera di Cristo Gesù.

Ogni uomo è finalizzato a Cristo, perché è in Cristo il fine di se stesso. Senza Cristo l’uomo non è figlio adottivo di Dio e se non è figlio neanche può vivere come figlio adottivo di Dio, non può vivere nella sua carità, non può vivere della sua carità, non può camminare verso il raggiungimento della carità eterna, nella quale è la pienezza del suo essere e della sua vita.

Il fine dell’uomo è Cristo, perché in Cristo si realizza il fine dell’uomo. Ma se in Cristo si realizza il fine dell’uomo e il fine dell’uomo è Cristo, c’è una vocazione da realizzare ed è quella di divenire cristiformi, di divenire Cristo, di essere con Cristo una cosa sola. Anche su questa verità si ritornerà a momento opportuno, man mano che il testo si farà più esplicito e Paolo ci avrà introdotto più in profondità nel mistero di Cristo e dell’uomo, o semplicemente nel mistero di Cristo, che è il mistero dell’uomo.

Per ora è sufficiente volere mettere nel cuore questa verità. È la verità che bisogna iniziare a predicare con fermezza, decisione, franchezza, senza timore alcuno, senza pensare a tutte quelle ambiguità di una diplomazia che è frutto in noi della carne, anziché dello Spirito. La via del rinnovamento del mondo, della sua capacità di umanizzarsi passa per Cristo e per Lui solo. Questa è la verità di cui tutti i cristiani dovranno convincersi. Da questa convinzione nasce poi la predicazione e l’annunzio di Cristo ad ogni uomo. La missione nasce dalla fede. Dove non c’è fede non c’è missione. Poiché abbiamo perso la fede in Cristo, anche la missione si sta perdendo, a favore di un teismo che lascia l’uomo nel suo peccato e nella sua morte.

[6]secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto;

In questo versetto sono tre le verità che emergono:

Secondo il beneplacito della sua volontà: In Dio non c’è alcuna necessità. Dio non crea per necessità e neanche l’incarnazione del suo Figlio diletto è una necessità.

In Dio c’è solo la volontà che è mossa dal suo amore e dalla sua eterna e divina saggezza.

Tutto ciò che avviene nell’ordine della creazione, dall’inizio alla fine, nel tempo e anche nell’eternità, avviene solo perché il Signore lo ha pensato e lo ha voluto. Anche se lo avesse pensato e non lo avesse voluto, niente si sarebbe compiuto, niente sarebbe avvenuto.

La libera volontà in Dio è nella creazione, nella redenzione, nell’elevazione dell’uomo, nell’eredità che Lui ci darà un giorno, se sulla terra avremo realizzato in noi l’immagine del suo Figlio Unigenito, Immagine del Cristo Crocifisso e Immagine del Cristo Risorto, se saremo morti al peccato e risorti con Lui a vita nuova.

Nessun determinismo in Dio, nessun obbligo, nessuna costrizione. Questa è la verità delle verità, sulla quale ogni altra verità si fonda.

Se non c’è determinismo in Dio, non c’è neanche determinismo nelle creature, nell’uomo in particolare. Anche nell’uomo c’è la volontà e tutto deve essere sottoposto e governato dalla volontà, che trova la sua forza nella saggezza e nella sapienza di cui il Signore lo ha dotato, creandolo.

Se siamo stati fatti ad immagine di Dio e in Dio non c’è costrizione alcuna, o determinismo, o obbligatorietà nel fare una cosa, ma c’è solo volontà e sapienza, decisione e operazione, così deve dirsi anche per l’uomo. Anche nell’uomo non c’è determinismo alcuno. Tutto invece è stato sottoposto alla sua volontà, sorretta e governata dalla sua saggezza.

Questo deve essere chiarito e specificato a motivo di certe affermazioni che sovente si fanno per giustificare i propri peccati e tutte quelle altre nefandezze che si commettono sotto il cielo. Nessuno può dire e deve dire sono fatto così. Ognuno invece deve porre la sua vita nella sua volontà e darle una direzione di giustizia e di bene, giustizia e bene che sono date all’uomo dalla sua sapienza, posta in lui dal Creatore.

Sempre la visione corretta di Dio fa nascere una visione corretta dell’uomo. Quando la teologia, o la fede decadono, e oggi siamo in piena decadenza teologica, decade anche il mistero dell’uomo. Di quest’uomo creato ad immagine di Dio se ne fa un oggetto, una cosa, un essere senza volontà e senza intelligenza, un essere condannato a porre degli atti che la sua coscienza gli rimprovera come errore morale, ma che lui è costretto a fare a causa della sua natura.

Questo in generale è il pensiero che l’uomo ha di sé. Un uomo senza volontà, un uomo senza saggezza. Un uomo senza potere di decisione. Un uomo determinato al male e al peccato, all’errore, all’ingiustizia, ad ogni altro genere di mistificazione della sua stessa umanità.

In questo molta colpa ricade anche sulla teologia che in qualche modo ha svenduto Dio alla carne dell’uomo; ha reso Dio inferiore alla nostra carne. La nostra carne è superiore a Dio. La nostra carne è invincibile, mentre la grazia di Dio è vincibile.

E questo a lode e gloria della sua grazia: Il mistero dell’uomo che si realizza completamente in Cristo Gesù, deve far sgorgare dal nostro cuore un inno di lode e di gloria che si innalza verso Dio, verso il Padre dei cieli.

Questa lode e questa gloria gli è dovuta per due ragioni: perché quello che ha fatto per noi è stupendamente grande, infinitamente esaltante, divinamente bello, umanamente impensabile e irrealizzabile.

Dal nulla ci ha creati. Dalla morte ci ha risuscitati a vita nuova. Questo è il primo motivo di lode e di gloria. È giusto dare la gloria e la lode a chi fa cose stupende e cosa più stupenda della nostra creazione e redenzione non esiste.

Il secondo motivo è questo: quanto avviene in noi è solo frutto della sua grazia, della sua benevolenza. Ma è una benevolenza continua, una grazia incessante che si riversa su di noi.

C’è una misericordia di Dio che si stende su di noi e che ci copre a modo di tenda. Solo chi non vuole può rimanere fuori della misericordia salvatrice e santificatrice del nostro Dio. Solo per propria colpa l’uomo può rimanere escluso dalla grazia della sua salvezza, che Dio ha preparato per noi in Cristo Gesù e che lui ci dona oggi e sempre in Cristo Gesù.

Noi oggi pensiamo poco alla grazia di Dio, che è grazia di redenzione e di salvezza. Pensiamo poco perché ormai la nostra struttura religiosa non è una struttura teologale, è una struttura immanentistica.

Tutto si risolve all’interno della nostra natura e della nostra umanità; tutto si concepisce a partire da noi, immersi in questo mondo.

La struttura teologica dell’uomo invece ci rivela che tutto discende da Dio e che in Dio tutto è possibile per l’uomo. È possibile la redenzione, è possibile la giustificazione, è possibile la santificazione ed è possibile anche il cammino perenne dell’uomo nella giustizia e nella verità.

Poiché tutto questo è un dono di Dio, il dono più grande che Dio ha fatto all’uomo, dono più grande di questo non esiste, né potrà mai esistere, nasce per l’uomo l’obbligo della lode e della gloria da tributare al Signore. Il Signore è da lodare, da glorificare perché grandi sono le sue opere, mirabili le sue azioni in favore degli uomini.

Ma di questa lode e di questa gloria l’uomo si dimentica. Neanche sa di essere un graziato da Dio, uno che è chiamato alla grazia nel suo Figlio diletto. Non lo sa perché rifiuta di saperlo, ma anche non lo sa perché coloro che sono stati incaricati di comunicare questa lieta notizia all’uomo, si sono dimenticati di farlo, non lo fanno, vivono anche loro fuori di questo grande movimento di glorificazione e di lode del loro Dio e Signore.

Fanno questo perché anche loro avvolti dall’immanentismo che ormai governa la faccia della terra. Immanentismo che fa sì che tutto è nell’uomo e tutto è dall’uomo e poiché tutto è dall’uomo e nell’uomo, di Dio non dobbiamo interessarci, non dobbiamo occuparci, non dobbiamo farcene carico.

Questo sta a significare che c’è una caduta morale assai grande ed è caduta teologale. L’uomo ha smarrito, anche il cristiano, l’origine del suo essere, del suo sussistere, del suo farsi.

Smarrito il principio che lo fa essere, l’uomo non è più. Quello che si sta costruendo è un obbrobrio, un mostro, un non uomo, un uomo nel quale non si riconosce più l’immagine e la somiglianza di Dio, che può essere ricostruita in lui solo dalla grazia.

Su questo dovremmo tutti riflettere, noi incaricati da Dio, da Lui inviati a portare il lieto annunzio della salvezza. La salvezza non è una sovrastruttura dell’uomo, è la ricomposizione del suo essere, è la riparazione del suo guasto, è la perfezione assoluta della sua vita, è il compimento della sua vocazione che avviene e si realizza tutta in Cristo Gesù. Avendo perso il senso della salvezza, abbiamo anche perso il dovere di lodare e di glorificare il Padre nostro che è nei cieli.

che ci ha dato nel suo Figlio diletto: La grazia di Dio, che ci crea, ci redime, ci eleva, ci salva, ci giustifica, ci conferisce l’eredità eterna, ci risuscita, è data in Cristo Gesù.

Questa è la verità, tutta la verità. Oltre questa verità non ci sono altre verità. Non esistono. Inutile cercarle, o cercarne altre, perché non ci sono.

In Cristo è la grazia. Cristo è la grazia di Dio data all’umanità intera.

Questa è la nostra fede, ma è la nostra fede perché è la verità di Dio. Se non fosse la verità di Dio e della storia non potrebbe essere la fede, perché non c’è atto di fede in un pensiero dell’uomo. L’atto di fede, essendo l’atto più razionale, più saggio, più intelligente che un uomo è chiamato a porre, deve avere il suo fondamento unico nella verità, verità che deve essere incontrovertibile, verità che deve possedere il suo fondamento nella storia, perché è la storia la via per l’affermazione della verità.

Anche di questa verità dobbiamo convincerci e convincerci subito, pena il fallimento del nostro essere cristiani e della nostra stessa missione nel mondo. Noi non crediamo in Cristo perché siamo cristiani. Siamo cristiani perché crediamo in Cristo. Ma crediamo in Cristo perché Cristo è la verità dell’uomo e questa verità si fonda sulla storia di Cristo che è divenuta storia dell’uomo.

È Cristo la storia di Dio nel mondo. È Cristo la verità di Dio sulla terra. È Cristo la verità dell’uomo, di ogni uomo.

Noi crediamo in Cristo perché la sua storia è divenuta nostra, la sua verità si è fatta nostra verità, nella nostra carne e nel nostro sangue.

Se non partiamo da questo evento di fede, che è evento storico, quindi evento di verità, noi rischiamo la nostra esistenza, poiché fuori di Cristo non c’è alcuna storia, alcuna verità, alcun compimento per l’uomo.

La grazia di Dio è in Cristo Gesù, è Cristo Gesù, è da Cristo Gesù ed è con Cristo Gesù. Fuori di Lui non c’è grazia. Se non c’è, nessuno la può trovare, nessuno la può fare sua, nessuno ha la possibilità di divenire quell’uomo progettato e voluto dal Signore fin dall’eternità.

La grazia di Dio è in Cristo non per un motivo contingente, di peccato; è in Cristo per un motivo di disegno eterno di Dio.

Dio ha concepito l’uomo possibile solo in Cristo Gesù. Senza Cristo, l’uomo non è possibile, mai sarà possibile. Che non sia possibile, che mai sarà possibile lo attesta la storia di ogni uomo che vuole farsi senza Cristo.

Se questa verità non diverrà la verità del cristiano, se il cristiano non inizierà a lasciarsi fare da Dio in Cristo Gesù, per opera del suo Santo Spirito, come farà il mondo a comprendere che solo in Cristo è la grazia che lo fa divenire uomo?

Tutto allora dipende dalla fede del cristiano in questa verità, ma dalla fede che trasforma la verità di Cristo in sua storia, attraverso una storia di morte al peccato che si fa storia di risurrezione a vita nova, nella giustizia e nella santità vera.

Da qui, dalla storia di Cristo che diventa nostra storia, dalla verità di Cristo che si fa nostra verità, dobbiamo partire se vogliamo essere testimoni e missionari di Cristo nel mondo. Ma nessuno potrà mai essere missionario se non diventa testimone. Testimoni si diventa solo se avremo operato perché la sua storia, la sua verità, siano la nostra storia, la nostra verità.

[7]nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia.

Nel versetto precedente Paolo aveva detto: E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto.

Ora specifica il contenuto di questa grazia, in una quadruplice affermazione:

Nel quale abbiamo: viene precisato che tutto si compie in Cristo Gesù, già identificato come il suo Figlio diletto.

In Lui, non fuori di Lui; per Lui, non fuori di Lui; da Lui, non fuori di Lui.

Ciò equivale a dire che la grazia che ci salva è in Cristo, ci è data per Cristo, ci viene da Cristo, ma è in Lui che bisogna attingerla. Si attinge in Lui, restando in Lui, non uscendo da Lui. C’è in questa puntualizzazione di Paolo tutta la dottrina di fede sull’incorporazione in Cristo, che avviene mediante il battesimo. Da Lui attingiamo la grazia, per Lui questa grazia ci è stata conferita, ma è in Lui che possiamo viverla e questo per sempre, non solo nel tempo, ma anche nell’eternità.

Su questa relazione dovremmo insistere maggiormente, anche perché oggi quasi tutti vedono la grazia come una elargizione che ci viene data, sì, per Cristo e da Cristo, ma sovente viene ignorato proprio che è in Lui che la grazia ci inserisce ed è in Lui che la si può vivere.

Questa affermazione di Paolo deve dare un’altra forma al nostro essere cristiani e la forma è quella cristica, quella cioè di essere e di divenire una cosa sola con Cristo, un solo mistero, una sola missione, una sola via di salvezza per tutto il genere umano.

Anche su questo c’è molto da dire. Man mano che Paolo ce ne offrirà l’occasione, saranno dati tutti quegli elementi che senz’altro ci consentiranno di approfondire la tematica teologica di grande portata ascetica e spirituale.

La redenzione mediante il suo sangue: la grazia si specifica ora come redenzione.

La redenzione è una delle forme o modalità attraverso cui si legge la salvezza operata da Cristo Gesù.

In sé la redenzione è riscatto, è ricompera di un bene che è stato perduto. Le vie e le forme per la perdita di questo bene sono molteplici. La via per riavere il bene è una sola: pagare il suo prezzo per intero. Il bene perduto ritorna in mano del suo proprietario attraverso il pagamento di un riscatto. Questa è in sé la redenzione.

Siamo stati comprati, è stato pagato il prezzo, è stato offerto il riscatto per noi. Chi ha offerto il riscatto e cosa ha dato per il nostro riscatto?

Chi ha pagato il riscatto è Cristo Signore. Cosa ha dato per il riscatto è il suo sangue. Il sangue di Cristo, cioè la sua vita, è stata data in riscatto perché noi ritornassimo in vita, dopo la morte subita a causa della prima caduta che Adamo commise nel Giardino dell’Eden.

Il prezzo come si può constatare è altissimo. È il sangue del Figlio di Dio donato al Padre per il nostro riscatto, per la nostra redenzione.

Il Figlio si offre al Padre per noi, dona la sua vita per noi, fa il regole del suo sangue per noi, si consegna alla croce per noi, per riscattarci dalla morte eterna e dalla colpa nella quale eravamo caduti a causa del primo peccato e delle innumerevoli trasgressioni che sono succedute a quella prima colpa.

Il sangue di Cristo è stato versato per noi, è stato consegnato al Padre; ma la redenzione è sempre in Lui che si compie.


Credente
00giovedì 1 novembre 2018 19:00

La remissione dei peccati: l’effetto della redenzione è la remissione dei peccati. È questo il primo frutto della redenzione di Cristo, della sua grazia, ma non è l’unico.


La remissione dei peccati ci apre la via ad una moltitudine di altre grazie, che verranno messe in risalto in questa ed in altre Lettere e che saranno presentate ma mano che il discorso di Paolo si chiarifica e si illumina di altre verità.


Cosa è in sé la remissione dei peccati? Essa è la cancellazione della colpa dovuta al peccato che l’umanità commise in Adamo. È anche la cancellazione della colpa e di ogni pena temporale dovuta ai peccati personali.


Dio non imputa più il peccato all’uomo, non lo imputa cancellandolo, rimettendolo, perdonandolo.


Quest’azione di Dio che rimette il peccato non deve essere concepita però come un atto puramente giuridico, di una assoluzione formale, mentre l’uomo rimarrebbe così come si è fatto, lacerato in se stesso, a causa del peccato di Adamo e dei suoi peccati personali.


La remissione dei peccati è propriamente la giustificazione. Dio rimette il peccato, ma giustificando il peccatore, santificandolo, sanandolo, elevandolo, nel dono dello Spirito Santo, che diviene in Lui ogni dono di grazia perché possa non solo vivere da giusto, ma di crescere nella giustizia fino alla perfetta conformazione a Cristo Gesù.


La remissione dei peccati è anche rinnovamento, nuova creazione dell’uomo. Paolo chiama tutto questo “mistero di morte e di risurrezione”. Nella remissione, che si realizza prima di tutto nel battesimo, l’uomo muore al peccato e risorge a vita nuova; muore l’uomo vecchio, nasce l’uomo nuovo, che dovrà essere guidato e condotto dallo Spirito di fede in fede, di verità in verità, di grazia in grazia, fino al raggiungimento della più alta perfezione che è la formazione in lui della vita di Cristo Gesù.


Secondo la ricchezza della sua grazia: è la giustificazione e l’elevazione della natura umana, che è anche partecipazione della natura divina, l’abbondanza, o la ricchezza della grazia con la quale il Signore ci ha avvolti come di un manto.


Siamo ora sotto la sua tenda di grazia e questa grazia comprende ogni dono celeste. Non solo: questa grazia è Dio stesso che si dona a noi.


Il Padre ci dona la sua paternità; il Figlio la sua figliolanza; lo Spirito Santo ci dona la sua verità, la sua comunione, la sua vita, la sua forza.


Dio si dona tutto all’uomo e si dona perché l’uomo si consegni tutto a Dio, perché è in questo dono totale la sua vita.


L’uomo non raggiunge lo scopo per cui è stato creato, non produce il suo vero frutto se non quando si è consegnato tutto al suo Dio, interamente, nei pensieri, nella volontà, nello spirito, nell’anima, nello stesso corpo.


Niente di lui gli deve appartenere, tutto deve essere consegnato al Padre, nel Figlio, per opera dello Spirito santo.


La grazia di Dio e Dio che è grazia dell’uomo opera questo ritorno dell’uomo a Dio, realizza il dono totale dell’uomo al suo Signore, al suo Dio, al suo Creatore, al Padre suo.


Dio si dona all’uomo, in Cristo, perché l’uomo, nello Spirito Santo, diventi ad immagine di Cristo. È questa la forza, la potenza, il fine della grazia. Ma la grazia da sola non è sufficiente. Occorre la volontà dell’uomo. Occorre che l’uomo continuamente invochi la grazia di Dio perché venga in soccorso della sua umana fragilità e debolezza; ma anche occorre che l’uomo costantemente, azione per azione, pensiero per pensiero, atto per atto, dia la volontà al suo Signore, gliela consegni, con una preghiera incessante, simile a quella di Gesù nell’orto degli ulivi.


Se manca il dono della volontà dell’uomo al suo Signore, la grazia diviene inefficace, non produce i suoi frutti e l’uomo è responsabile di ogni mancata fruttificazione. Di questo dovrà rendere conto a Dio nell’ultimo giorno quando si presenterà al suo cospetto per il giudizio.


[8]Egli l'ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza,


Siamo dalla grazia di Dio. Siamo nella grazia di Dio. Siamo per divenire grazia di Dio per i nostri fratelli, alla maniera di Cristo Gesù, che si fece grazia di Dio per l’umanità intera.


Questa grazia è stata riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza. Cosa vuole insegnarci Paolo con questa affermazione?


Dio agisce con noi sempre da Dio. Nella sua eterna sapienza ed intelligenza Egli ha pensato il bene più grande per ciascuno di noi. Lo ha pensato fin dall’eternità.


Il bene che Lui ha pensato per noi è quello di farci una cosa sola con il suo Figlio diletto, Gesù Cristo nostro Signore. Farci suoi figli d’adozione nel Figlio che Lui ha generato fin dall’eternità, in modo che vi sia un solo Figlio: Cristo Gesù e noi in Lui, come se fossimo realmente un solo Figlio.


Questa sapienza e questa intelligenza è divina, eterna e oltre questa via, altra non c’è, non esiste.


Dicendo Paolo che Dio ha abbondantemente riversato la sua grazia su di noi con ogni sapienza e intelligenza, dobbiamo anche comprendere che non si tratta di un pensiero fugace in Dio, alla maniera che succede con gli uomini, i quali a volte decidono, pensando solo per qualche attimo.


Dio mette nell’opera della redenzione e della salvezza tutto se stesso, vi mette tutta la sua sapienza e tutta la sua intelligenza. Ciò significa che Dio ha impegnato tutto se stesso in quest’opera mirabile.


Possiamo dire che questa della redenzione è l’opera di Dio e tutto il creato esiste perché si possa compiere quest’opera.


Dall’impegno di Dio che vi ha messo tutto se stesso nasce anche l’impegno dell’uomo che anche lui deve mettere tutto se stesso nell’opera della sua redenzione. Vi deve mettere il cuore, la mente, i pensieri, lo spirito, l’anima, anche il suo corpo deve essere tutto impegnato in quest’opera, se vuole che essa riesca, si faccia secondo la sapienza e l’intelligenza profusa da Dio in essa.


Come la redenzione dell’uomo è stato il lavoro di Dio, l’opera di Dio, così allo stesso modo deve essere l’opera dell’uomo. Non ci sono altre opere che l’uomo deve compiere. Ogni altra opera è solo funzionale a questa. È un mezzo, una via, uno strumento perché questa si possa compiere e compiersi nella maniera più corretta, più santa, più giusta; si possa compiere raggiungendo il suo scopo e la sua finalità che è quella di farci divenire una sola santità con Cristo Gesù.


È questa l’intelligenza dell’uomo e la sua sapienza: realizzare se stesso nella redenzione di Cristo, realizzare se stesso in Cristo e realizzare Cristo in sé.


[9]poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito


In questo versetto Paolo ritorna per sviluppare sotto altri aspetti quanto ha già detto precedentemente.


Tutto è nella volontà di Dio. Niente è per costrizione in Dio. Tutto è dalla sua eterna saggezza e intelligenza. Niente è in Lui frutto di una storia che si compie, come se la storia potesse modificare il disegno di Dio.


Se questo fosse possibile, Dio si troverebbe ogni giorno, ogni attimo a modificare il suo disegno eterno di salvezza, in ragione della cattiva volontà dell’uomo che ostinatamente si oppone alla redenzione e alla giustificazione che Lui ha pensato e realizzato per noi in Cristo Gesù.


Tutto è dalla volontà di Dio e tutto è nella sua sapienza e saggezza. Nessuno potrebbe mai solo immaginare questo mistero se Dio non glielo volesse rivelare, comunicare, annunziare.


Ora Dio, dal primo giorno in cui l’uomo ha peccato, altro non ha fatto che manifestare questo mistero, anche se con gradualità e con tempi assai lunghi. In questi ultimi tempi, con Cristo, lo ha manifestato in tutta la sua portata di redenzione e di giustificazione.


Non solo Cristo lo ha annunziato, realizzato, compiuto nel suo mistero pasquale, quanto anche ha incaricato gli apostoli perché andassero per il mondo intero a rivelare il mistero, a recare ad ogni uomo il lieto annunzio che lui è stato chiamato fin dall’eternità ad essere una cosa solo in Cristo Gesù e questo a gloria di Dio Padre.


Il mistero dal cielo discende sulla terra solo per rivelazione, per manifestazione. Sulla terra passa da un uomo ad un altro uomo solo per annunzio, per testimonianza, per predicazione.


Come Dio ha realizzato il mistero in Cristo Gesù e Cristo Gesù lo ha rivelato mentre lo attuava nel suo corpo e lo attuava rivelandolo, così anche la Chiesa è chiamata a questa duplice ministerialità, quella cioè di rivelare il mistero attraverso l’annunzio e la predicazione ad ogni uomo, ma anche di rivelarlo mentre lo compie e di compierlo mentre lo rivela.


La Chiesa deve operare alla stessa maniera di Cristo Gesù. Essa non può scindere rivelazione e attuazione, predicazione e realizzazione, annunzio e compimento del mistero che dice.


Quando queste due vie saranno divenute una sola via, è allora che il mistero viene fatto conoscere agli uomini; se queste due vie non saranno divenute una sola via, il mistero rimane velato, rimane oscuro. È come se la Chiesa non lo predicasse, come se non lo annunziasse agli uomini e questo si verifica perché non c’è questa unità mirabile di predicazione e di realizzazione; questo accade perché la Chiesa non vive alla maniera di Cristo Gesù.


Cosa ha rivelato il Signore in Cristo Gesù? Ciò che Lui aveva prestabilito nella sua benevolenza.


Abbiamo già chiarito con sufficiente dovizia ciò che significa prestabilire in Dio. Quello che ora dobbiamo ancora ribadire con maggiore chiarezza è quest’altro concetto che Paolo mette in evidenza: secondo quanto nella sua benevolenza aveva prestabilito.


Dio non prestabilisce semplicemente. Dio prestabilisce nella sua benevolenza. Cosa è la benevolenza? Lo dice la stessa parola: volontà di bene.


Questa benevolenza, o volontà di bene, è in Dio fin dall’eternità, quando l’uomo ancora non esisteva, non era stato concepito, non era venuto al mondo. Questa volontà di bene esiste nell’eternità quando ancora l’uomo non era né peccatore né giusto, perché semplicemente non c’era. È nell’eternità che si manifesta e si esprime la volontà di Dio.


Essa precede anche la stessa creazione dell’uomo. Essa è una benevolenza che trova solo in Dio la sua ragion d’essere, non la trova nella creazione, la quale ancora non era stata fatta.


È una benevolenza di purissimo amore, grazia assolutamente gratuita, amore che non solo crea, non solo redime, non solo giustifica, non solo salva, ma anche ci vuole costituire una cosa sola, un solo corpo con il suo Figlio diletto, Gesù Cristo nostro Signore.


La croce di Cristo Gesù ha in questa benevolenza di Dio la sua ragion d’essere, l’unica spiegazione di sapienza. Non ci sono altre giustificazioni di sapienza, fuori della benevolenza con la quale Dio ama l’uomo di un amore eterno.


Su questa benevolenza bisogna oggi impostare ogni annunzio di Dio, se si vuole che i cuori ritornino a Lui e si lascino abbracciare dal suo cuore di Padre, che fin dall’eternità ha pensato l’uomo e fin dall’eternità lo ha visto avvolto dall’abbondanza della sua grazia, frutto solo di un amore di benevolenza verso l’uomo ancora da creare.


[10]per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra.


Ora Paolo con parole assai semplici ci rivela qual è il disegno di Dio e quando esso si sarebbe compiuto per noi.


Per realizzarlo nella pienezza dei tempi: Il disegno di salvezza in favore dell’umanità è stato voluto da Dio fin dall’eternità. È nel Cielo, prima della creazione del mondo, che la saggezza e l’intelligenza di Dio, guidata dal suo amore, ha voluto Cristo redentore e salvatore dell’uomo.


Questo disegno si è però realizzato nella pienezza del tempo. Cosa ci vuole significare Paolo con questa sua espressione: “pienezza del tempo”, che usa anche nella Lettera ai Galati?


Il tempo è pieno quando è maturo; quando tutte le condizione sono favorevoli; quando ostacoli ed impedimenti non fanno fallire il fine per cui si compie una cosa; quando la disponibilità umana è nella sua perfezione; quando tutto coopera a che il disegno possa essere realizzato nel migliore dei modi.


Per l’incarnazione del Verbo della vita, del Figlio Unigenito del Padre, la pienezza del tempo venne allorquando storicamente Maria disse il suo sì all’Angelo che le annunziava il grande mistero.


In tal senso Maria è la pienezza del tempo, perché solo attraverso di Lei si sarebbe potuto realizzare il mistero dell’Incarnazione del Verbo.


Pienezza del tempo dice pertanto che la storia è pronta, è al suo punto ottimale perché Cristo possa compiere la sua missione di salvezza nel suo mistero di incarnazione, passione, morte, risurrezione.


La pienezza del tempo tuttavia non è un caso, un evento che prepara la storia; avviene nella storia, ma non è preparato dalla storia. La pienezza del tempo è Dio che la prepara, è Dio che la decide, è Dio che la vuole.


La pienezza del tempo Dio ha iniziato a prepararla da sempre, da subito dopo il peccato dell’uomo, quando ha iniziato a mettere nel cuore la speranza di una salvezza fuori di lui, ma che si sarebbe compiuta attraverso di lui.


Quando queste due realtà (fuori di lui e attraverso di lui) sono giunte a maturazione, proprio allora si è compiuta la pienezza del tempo.


L’umanità, sempre per grazia di Dio, ha dato la Vergine Maria, Dio ha dato il suo Divin Figlio; il suo Divin Figlio si è fatto carne nel seno della Vergine Maria. È in questa congiunzione tra il divino e l’umano, tra il tempo e l’eternità, tra Dio e la creatura, la pienezza del tempo.


Anche la pienezza del tempo è un mistero. Ma tutto ciò che Dio fa in favore dell’uomo è un mistero. La mente si inabissa in esso e da esso rimane come accecata, abbagliata. Appena appena riesce a coglierne una scintilla, non di più. Il resto, anche se nel suo limite, che resta sempre infinito, lo si raccoglierà nell’eternità, quando vedremo Dio faccia a faccia, così come egli è. Allora senza i veli del corpo, senza i limiti di una mente fatta di carne, riusciremo a comprendere qualcosa in più del mistero di Dio e sarà questa maggiore comprensione che costituirà il nostro canto eterno alla misericordia di Dio, che ha compiuto per noi un così grande prodigio: la nostra redenzione eterna.


Il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose: la creazione aveva come suo capo Adamo ed Eva. Queste sono le parole di Dio alla prima coppia dopo averla creata come coppia:


E Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.


Dio li benedisse e disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra. Poi Dio disse: Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde. E così avvenne.


Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno” (Gn 1, 26-31).


E ancora: Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato.


Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti.


Poi il Signore Dio disse: Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile. Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome” (Gn 2, 7-8.15-19).


Paolo qui non lo dice, ma c’è una mirabile unità tra creazione e redenzione. Questa unità viene espressa in Giovanni ed è lui che ci spiega il senso da dare alle parole di Paolo:


In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta.


Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto. A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,15.9-14).


Come si può constatare, il Verbo della Vita non è solo il capo della creazione. Egli è il suo autore, il suo fattore, colui per mezzo del quale essa vive. Non c’è vita se non per mezzo del Verbo della Vita.


Questa è la prima verità. Il mondo fu fatto per mezzo di Lui e nulla di ciò che esiste, può esistere senza di Lui. Nel disegno eterno di Dio la vita è nel Verbo, la vita è dal Verbo, la vita è per il Verbo.


Con il peccato, il mondo si è sottratto all’uomo, ma non al Verbo; l’uomo si è sottratto al suo principio eterno di vita, ma la Vita non si è sottratta nel continuare a dare il suo dono agli uomini.


Tutto ciò che vive, vive per un dono d’amore di Dio. Se il Verbo ritirasse la sua vita, tutto il mondo ritornerebbe nel nulla. Ma la vita non può tornare nel nulla. Neanche la creazione torna nel nulla. Infatti vi saranno cieli nuovi e terra nuova.


Nel disegno eterno di Dio c’è l’incarnazione, la redenzione, la glorificazione dell’uomo.


Con l’incarnazione, Cristo in quanto uomo, non solo perché Dio e datore della vita, è costituito da Dio, capo della creazione. Quindi capo dell’uomo, ma anche capo di tutto il creato.


Facendosi carne, la creazione è come se ritornasse nel Verbo dal quale era uscita. Essa è uscita dal Verbo per un atto della sua volontà. Non c’è emanazione, c’è creazione. Non esisteva, ora esiste per la parola onnipotente di Dio detta nel suo Verbo. C’era il nulla, dal nulla essa è venuta fuori, non da se stessa, ma per volontà di Dio.


Ora la creazione c’è, l’umanità pure. Il Verbo, facendosi carne ha portato la creazione nell’unità della sua persona divina, ma anche l’umanità, in un corpo particolare, in un uomo particolare, in una nascita particolare, l’ha assunta nell’unità della sua persona divina.


Con la risurrezione, l’intera creazione è stata spiritualizzata, poiché la “creazione” che era nel suo corpo, che era il suo corpo, è stata resa spirito da Dio onnipotente. Per cui nel corpo di Cristo che è tutto spirituale, tutta la creazione riceve per anticipazione ciò che sarà alla fine della storia, quando anche i nostri corpi risorgeranno e tutto il creato sarà trasformato dall’onnipotenza di Dio, per mezzo del Suo Verbo fattosi carne.


Cristo Gesù è vero capo dell’intera creazione, perché tutto avviene e si compie nel suo corpo di spirito, attraverso il suo corpo di spirito.


C’è come un miracolo già iniziato che avrà il suo compimento alla fine della storia. Ma Cristo Gesù è già il capo della creazione di Dio e lo è nella sua umanità.


È questo il mistero dei misteri. Mistero difficile anche da poter in qualche modo rendere partecipe in una spiegazione semplice. Paolo lo afferma, ma non lo spiega. Lo dice, ma non si ferma a contemplarlo a voce alta affinché anche noi possiamo gettare uno sguardo dentro.


Una cosa deve essere assai chiara: creazione e redenzione sono un unico mistero. Cristo è autore del mondo. Cristo è salvatore dell’uomo. Cristo è capo dell’intera creazione. Ogni essere creato guarda a Lui, vede in Lui lo scopo del suo esistere: esso esiste da Cristo, esiste in Cristo, esiste per Cristo. Cristo è la vita del mondo, la vita del mondo che è uscita da Cristo, o per creazione, o per redenzione, è vita se ritorna in Cristo attraverso un atto di volontà.


Quelle del cielo come quelle della terra: Cristo è capo non solo delle cose della terra, ma anche di quelle del cielo.


Come sia capo delle cose della terra sappiamo che lo è per creazione e per redenzione. Sia l’una che l’altra sono opera sua. La vita che è da Lui, in Lui si attinge, per Lui si vive. Come sia capo degli Angeli anche in quanto vero uomo e non solo vero Dio, questo è molto difficile da poter spiegare, poiché non c’è alcun passo nel Nuovo Testamento che ci possa aiutare a penetrare in questo mistero – ripeto – che Paolo annuncia, ma non spiega e sul quale dice poche parole.


Tuttavia volendo riflettere un poco, al lume delle altre verità di fede che si conoscono, possiamo affermare questo:


Egli è l’autore di tutto ciò che esiste, quindi anche degli Angeli del cielo, di queste creature che sono puri spiriti, cioè senza il bisogno di unirsi alla materia per potersi esprimere, per poter vivere. Essi sono senza il tempo, sono nell’eternità da sempre.


Come autore egli è il loro Signore, il loro Capo. Vengono da Lui, sono ordinati a Lui. Ma il Verbo della vita si è fatto carne, è divenuto uomo nel seno della Vergine Maria. La carne è unita al Verbo nell’unità della sua persona, in unione ipostastica. Una sola persona, due nature, un solo Verbo della vita nel quale sussiste il vero Dio e il vero uomo.


Il Verbo della vita è ora Verbo Incarnato e come Verbo incarnato egli esiste, come Verbo incarnato è anche capo delle cose invisibili, cioè degli Angeli del cielo.


Gli Angeli del cielo riconoscono non il Verbo come loro Capo, ma il Verbo Incarnato, il Verbo della sua umanità. Anche come vero uomo e non solo come vero Dio il Verbo Incarnato è capo degli Angeli. Questo è il mistero che si compie in Cristo.


Egli è naturale capo come Verbo Incarnato per il mistero dell’unione ipostatica. Altro è invece il ruolo della Vergine Maria, Madre della Redenzione. Ella invece è stata innalzata sopra gli Angeli a causa della sua divina Maternità. La Madre di Dio è regina degli Angeli e dei Santi.


Il Verbo della vita, Verbo Incarnato, invece è capo. La differenza è sostanziale. Siamo nel cuore del mistero. Avremo tutto un’eternità per poterlo comprendere e neanche ci basterà.


[11]In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati secondo il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà,


Si è detto che la vita è da Cristo, ma è anche in Cristo e per Cristo. Tale deve sempre rimanere, altrimenti non è vita, ma morte.


Cosa è l’eredità? È un particolare dono di grazia. È ciò che è del padre che viene data al figlio.


Nel nostro caso, è ciò che è di Dio che viene data a Cristo Gesù, in quanto vero uomo.


L’eredità è il cielo, la vita eterna, la partecipazione della divina natura. L’eredità è la beatitudine del paradiso, il godimento eterno di Dio. Questa eredità è solo di Cristo Gesù, poiché l’eredità è il dono del padre al figlio.


Essendo noi divenuti con Cristo una cosa sola, essendo stati fatti figli di Dio nel suo Figlio Gesù Cristo, l’eredità viene conferita anche a noi.


Ci viene conferita perché parte di Lui, una cosa sola con Lui. Ci viene conferita in Lui, non fuori di Lui.


L’eredità non è un diritto ma un dono, è il dono d’amore del Padre verso il Figlio suo Gesù Cristo ed è il dono al vero uomo che vive nel vero Dio.


Essendo noi parte di Lui, per la grazia che Dio ci ha fatto nel santo battesimo, il dono viene esteso anche a noi, ma non come diritto, sempre come un dono della misericordia di Dio, come dono della sua misericordia è la nostra incorporazione in Cristo Gesù.


Se però l’eredità ci è data in Lui, non fuori di Lui, questo deve significare che bisogna essere sempre in Lui, per poter beneficiare di questo dono eterno di Dio. Nel caso in cui uno si dovesse porre fuori di Lui, perde il diritto che Dio gli ha conferito di ereditare il regno di Dio.


Lo perde perché si è posto fuori di Cristo, non è rimasto in Lui. Si rimane in Cristo se si rimane nella sua Parola. Chiunque si pone fuori della Parola di Cristo, vive fuori di Cristo, perde l’eredità eterna, a meno che non vi rientri attraverso il pentimento e ricominci a vivere in Lui, per Lui e con Lui.


Questa è la Legge divina per ereditare il regno dei cieli. Per questo Paolo sovente ammonisce i cristiani che non erediteranno il regno dei cieli tutti coloro che vivono tagliati fuori da Lui.


Sono tagliati fuori tutti coloro che rientrano nel catalogo dei peccati che escludono dal regno dei cieli:


Quindi soggiunse: Ciò che esce dall'uomo, questo sì contamina l'uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo” (Mc 7,20-23).


E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia” (Rm 1,28-31).


O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio” (1Cor 6,9-10).


Temo infatti che, venendo, non vi trovi come desidero e che a mia volta venga trovato da voi quale non mi desiderate; che per caso non vi siano contese, invidie, animosità, dissensi, maldicenze, insinuazioni, superbie, disordini” (2Cor 12,20).


Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio” (Gal 19-21).


Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi; lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti. Si rendano invece azioni di grazie! Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro che è roba da idolàtri avrà parte al regno di Cristo e di Dio” (Ef 5,3-5).


Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria, cose tutte che attirano l'ira di Dio su coloro che disobbediscono. Anche voi un tempo eravate così, quando la vostra vita era immersa in questi vizi. Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca” (Col 3,5-8).


Sono convinto che la Legge non è fatta per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per i sacrileghi e i profanatori, per i parricidi e i matricidi, per gli assassini, i fornicatori, i pervertiti, i trafficanti di uomini, i falsi, gli spergiuri e per ogni altra cosa che è contraria alla sana dottrina”. (1Tm 1,9-10)


Chi sarà vittorioso erediterà questi beni; io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio. Ma per i vili e gl'increduli, gli abietti e gli omicidi, gl'immorali, i fattucchieri, gli idolàtri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. È questa la seconda morte” (Ap 21,7-8))


Tutte queste cose ci escludono dall’eredità eterna, perché nella vita ci tagliano fuori del corpo di Cristo.


Questo la Chiesa deve insegnare, se vuole giovare agli uomini. Perché anche questo è Vangelo, è annunzio della via che conduce al cielo, ma anche della via che esclude dal Cielo, perché ci esclude dal corpo di Cristo Gesù.


L’eredità del cielo è il dono che Dio ci ha fatto in Cristo fin dall’eternità. Ciò significa che noi siamo stati chiamati al cielo ancor prima della nostra stessa creazione. Siamo stati creati per il cielo, ma prima ancora siamo stati creati per essere una cosa sola con Cristo Gesù. La vocazione dell’uomo è Cristo. Il compimento dell’uomo è in Cristo, La vita eterna dell’uomo è da Cristo, si realizza in Cristo, in Cristo si compie per l’eternità.


Se questa è la vocazione dell’uomo, se Cristo è la vocazione dell’uomo, se siamo stati chiamati per essere in Cristo, ma anche da Cristo e per Cristo, si comprende qual è anche la sorte di chi è senza Cristo, ma soprattutto si comprende qual è la natura della missione della Chiesa.


Chi è senza Cristo è senza vocazione, quindi senza presente vero, senza futuro vero; senza presente completo, senza futuro realizzato nella sua piena perfezione.


Che sia così lo attesta la storia. Tutti coloro che vivono senza Cristo, non vivono in Cristo, non vivono una vita vera, non è una vita santa quella che si vive senza Cristo, perché è senza la sua grazia e senza la sua verità. Chi è senza Cristo non conosce la carità di Cristo, non ha la speranza di Cristo, non ha la verità di Cristo.


La Chiesa ha un solo obbligo: quello di aiutare ogni uomo a trovare Cristo, a vivere in Cristo, per Cristo e con Cristo.


Tutto nella Chiesa deve essere finalizzato a che ogni uomo possa incontrare Cristo, che è la sua vocazione naturale, è la vocazione scritta nel suo essere ancor prima di essere stato creato.


Questa è la predestinazione in Dio. È il disegno secondo il quale ha creato ogni uomo perché diventi una cosa sola, una sola eredità nel suo Figlio diletto.


Tutto questo implica un modo sempre nuovo di essere Chiesa di Dio e questo modo nuovo è quello che la vuole sempre in missione, sempre attenta a che essa stessa non perda il fine per cui è stata costituita.


La Chiesa però deve fare molta attenzione a che essa dia Cristo, ma dal di dentro di Cristo, non dal di fuori. Lo dia essendo essa stessa in Cristo, vivente per Lui, in Lui e con Lui.


È questo l’unico modo vero di essere della Chiesa ed è anche questo l’unico modo vero di svolgere la sua missione.


La missione della Chiesa nasce perciò dalla sua verità. Se essa non è vera non può condurre nella verità e la verità della Chiesa è essere essa per prima nel corpo di Cristo, in Cristo, nella sua Parola. Si è in Cristo se si è nella sua Parola. Chi non è nella sua Parola, neanche è in Cristo. Il suo essere per se stessa e per gli altri è vano.


Tutto è vano ciò che è fatto fuori di Cristo, senza di Lui.


[12]perché noi fossimo a lode della sua gloria, noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo.


Viene specificato ancora quel è il fine della creazione dell’uomo. Ogni uomo ha una sua vocazione naturale. Egli è stato creato da Dio per manifestare in eterno la gloria di Dio. Dio vuole che ognuno di noi sia a lode della sua gloria, sia la manifestazione della sua gloria. Come avviene questo? Solo nel compimento della propria vocazione. Solo nella realizzazione del fine per cui è stato creato. Ma qual è il fine per cui siamo stati creati? Quello di rendere gloria a Dio attraverso il dono della nostra volontà per il raggiungimento di questa vocazione che Dio ha scritto in ciascuno di noi.


Essere a lode della sua gloria vuol dire che ognuno di noi deve essere il “Cristo” visibile, nel Cristo invisibile. Deve essere la manifestazione al mondo del progetto e del disegno di Dio.


Se Dio ha scritto questo disegno nel cuore dell’uomo, nel suo essere più profondo, se la natura dell’uomo è questa vocazione, se la gloria di Dio è Cristo Gesù, perché egli è il suo Verbo fatto carne, se noi siamo a gloria di Cristo, dobbiamo esserlo visibilmente.


Invisibilmente non si può essere né a gloria di Dio, né a gloria della gloria di Dio che è Cristo Gesù.


Come si diviene visibilmente a gloria di Dio? Realizzando la propria vocazione nel modo più perfetto.


Manifesta Dio nel mondo, manifesta Cristo, il cristiano che realizza la sua vocazione e poiché la sua vocazione è quella di essere “Cristo” visibile del Cristo invisibile, egli ha l’obbligo di realizzare Cristo nella sua vita, se vuole essere a gloria di Dio, a gloria della gloria di Dio che è Cristo Gesù.


Divenire in tutto come Cristo Gesù, renderlo visibilmente presente in noi, oltre che compimento della nostra vocazione, è l’unica via per poter svolgere la missione tra i fratelli.


Questa non può essere mai svolta se non da Cristo, perché è di Cristo la missione di redimere, salvare, giustificare, elevare, condurre nel regno dei cieli.


Ma Cristo, prima ci ha fatti parte di sé, ci ha fatti suo corpo, sua vita, suo essere, ci ha resi membri del suo corpo, poi come membri del suo corpo, come sua vita, ci ha affidato la sua stessa missione, ma perché la realizziamo dall’interno di Lui, in Lui, con Lui, per Lui, la realizziamo divenendo ogni giorno Lui, poiché non potrà mai esserci alcuna difformità tra il corpo e le membra, tra il capo e le membra.


Cristo è la lode eterna di Dio, Cristo è anche la gloria eterna del Padre. Cristo nella sua umanità lodò e glorificò il Padre consegnandogli la vita, offrendogliela perché si manifestasse sulla terra la sua gloria: Dio è il Signore e Cristo lo riconobbe come suo Signore, donandogli la vita.


L’uomo diviene lode di Dio, gloria di Dio, allo stesso modo di Cristo: offrendo interamente la vita al Padre, riconoscendolo suo Dio e Signore, ma lo riconosce tale solo in una obbedienza perfetta alla sua volontà.


Quando questo accade, l’uomo si realizza, compie la sua natura. È uomo. Cristo è il vero uomo sulla croce. Lì avviene la piena realizzazione della sua umanità, perché lì avviene la consegna di sé al Padre.


Paolo in questo versetto fa anche un distinzione che è meritevole di un ulteriore approfondimento. C’è il prima e c’è il dopo nell’uomo perché c’è la storia della salvezza. Ora in questa storia della salvezza prima furono chiamati i discendenti di Abramo e Paolo è discendenza di Abramo. Ma essi furono chiamati a sperare in Cristo, come una primizia, come un segno, un vessillo innalzato sulle nazioni.


La loro chiamata non è finalizzata a loro stessi. La loro chiamata aveva un fine ben particolare: manifestare al mondo intero che Cristo, la speranza vera dell’umanità, la benedizione, la realizzazione dell’uomo, stava per venire. Era già stato annunziato, la via era già stata preparata. Si doveva solamente attendere che i tempi raggiungessero la loro pienezza perché egli apparisse in mezzo a noi.


Loro sono lo strumento di Dio. Sono il primo strumento. Ora è venuto il tempo che adempiano questa loro vocazione storica. Per mezzo di loro tutto il mondo deve essere portato a conoscenza di Cristo Gesù, tutto il mondo deve sapere qual è la sua vocazione, come realizzarla, in chi realizzarla.


Credente
00giovedì 1 novembre 2018 19:02

13]In lui anche voi, dopo aver ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza e avere in esso creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso,


In questo versetto vengono enunciate diverse verità ed è ben giusto analizzarle una per una, questo perché non si perda neanche una briciola della ricchezza di grazia che ci è stata data in Cristo Gesù, Signore nostro.


In lui anche voi: c’è un solo disegno di salvezza. Ad esso è chiamato ogni uomo. Giudei e Greci, credenti in Dio e pagani possono realizzare la loro vocazione solo in Cristo Gesù.


Non c’è alcuna differenza quanto a salvezza e a realizzazione della vocazione tra quanti sono stati gli strumenti umani scelti da Dio per portare a compimento in Cristo il suo disegno di amore, e quanti vengono dopo di Cristo.


La differenza la fa la nostra risposta, la nostra volontà, il nostro impegno, la nostra obbedienza allo Spirito Santo.


Paolo ci vuole dire in questo versetto la verità centrale del suo discorso: tutti siamo chiamati a Cristo, tutti ci realizziamo in Lui, in Lui ci compiamo sulla terra e nel cielo. L’Ebreo non ha alcuna superiorità sul pagano, né il pagano sull’Ebreo.


Questa verità è l’essenza della nostra fede, assieme all’altra dell’universalità. Tutti sono chiamati, veramente tutti. Nessuno è escluso. Ognuno, se vuole essere se stesso, può esserlo solo in Cristo Gesù.


Dopo aver ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza: è questa la via per realizzarsi, compiersi in Cristo Gesù.


L’ascolto è necessario, indispensabile. L’ascolto è l’unica via per accedere a Cristo Gesù.


Si deve ascoltare la parola della verità, si deve udire il Vangelo della salvezza.


Se questa è la condizione per accedere a Cristo, per essere suo corpo, è più che giusto che ci interroghiamo se noi veramente predichiamo il Vangelo, oppure con arte sublime lo sostituiamo con una nostra parola.


Ognuno sappia che ogni qualvolta il Vangelo viene sostituito con parole umane, si chiude la porta della salvezza per coloro che ascoltano la nostra predicazione.


Solo la parola di Dio apre le porte della verità, della giustificazione, della santificazione ai cuori. Se la parola di Dio non viene data, viene trasformata, annullata, modificata, cambiata, ridotta a niente, il mistero di Cristo non si compie in un cuore ed esso resta nella sua morte spirituale.


C’è pertanto una grandissima responsabilità che investe tutti i ministri della parola. Costoro devono essere scrupolosi amministratori della verità di Dio. Per il loro annunzio si compie la redenzione e la santificazione sulla terra e per il loro non annunzio si rimane immersi nelle tenebre del male, del peccato, della morte.


Per la predicazione la vita spunta sulla terra; per la non predicazione la morte trionfa. Tutto è posto allora nella bocca, e prima ancora nel cuore del predicatore della parola di Dio. Chi predica la Parola deve sempre camminare con il timore del Signore nel cuore. È assai facile cambiare parola; difficile invece è annunziare la Parola di Dio.


Per questo il ministro della Parola dovrà mettere ogni attenzione, soprattutto dovrà sempre e perennemente invocare lo Spirito Santo di Dio perché lo guidi, lo illumini, lo ispiri a parlare al cuore di coloro che incontra sul suo cammino. Se egli crescerà in santità, vivrà sempre nello stato di grazia, pregherà con devozione lo Spirito Santo, affiderà il suo ministero alla solerte cura della Vergine Maria, Madre della Redenzione, lui potrà sempre rimanere nel retto annunzio. Parlerà ai cuori secondo verità, secondo saggezza ispirata e quanti lo vogliono, possono aderire a Cristo e ricevere in Lui la salvezza di Dio.


Purtroppo c’è da lamentare che questo non avviene. Troppe parole umane nella scarsa e poca predicazione della parola di Dio. Ormai il Vangelo non si predica più. Non si predica perché non lo si crede l’unica via per accedere a Cristo Gesù.


Ormai molte altre vie sono state escogitate dall’uomo. Che queste vie non conducono a Cristo lo attesta il fatto che non avvengono conversioni, non si crea santificazione attorno a noi, non si cresce nella verità, non si cammina spediti sulla via della speranza, al fine di poter ereditare un giorno il regno dei cieli. Il fatto che l’umanità oggi viva fuori dei comandamenti, fuori delle beatitudini, fuori della Parola di Gesù, attesta la scarsa predicazione del Vangelo e l’assenza di verità in quelle poche parole di Vangelo che si dicono.


La Chiesa, se vuole aiutare l’umanità, deve riprendere secondo verità la predicazione del Vangelo. Deve iniziare dal ricordo e dall’annunzio del Vangelo. Se non farà questo, lavorerà invano, invano consumerà le sue energie, invano attenderà salvezza nel mondo, ma non ce ne sarà, perché la salvezza è dalla predicazione della Parola di Gesù.


La tentazione, sapendo questo, altro non fa che caricare i ministri della parola di tanti e tali assilli per le cose di questo mondo, che ogni momento è sottratto loro alla meditazione, alla contemplazione, allo studio del Vangelo, alla riflessione e al confronto dinanzi allo Spirito Santo, nel silenzio della mente e del cuore, al fine di ricevere da Lui la parola da dire.


Satana sa che la via della salvezza è l’annunzio della parola. Cosa fa perché questo non avvenga? Impedisce ai ministri della parola di avere contatto con la parola e con lo Spirito che dona il significato alla parola. Come opera tutto questo? Creando nei loro cuori l’attenzione per opere più urgenti, suscitando in loro il senso della misericordia per le situazioni difficili, impegnandoli in tutte quelle occupazioni nelle cose del mondo e del tempo che quando arriva la sera sono già esausti e nessuna volontà di mettersi un poco a riflettere viene loro. Così egli ha vittoria assoluta.


Satana tutto concede alla Chiesa, ai suoi ministri, anche il tempo per fare delle belle funzioni. Ciò che non concede loro è il tempo di formarsi, di istruirsi, di ascoltare lo Spirito Santo che parla al loro cuore. Concede loro il tempo di pensare, di immaginare, di ideare ogni cosa che riguarda la terra. Toglie ogni spazio a che si possa pensare le cose di Dio, quelle del cielo.


Il peccato dei ministri della Parola oggi è la dissipazione. Basta chiedere quante ore ogni giorno si dedicano allo studio della parola, della verità, del Vangelo, per sapere che non si studia, non si medita, non si legge il Vangelo.


Qual è il frutto? Una predicazione vana, inutile, infruttuosa. Meglio sarebbe se non si predicasse affatto, così almeno non si giustificherebbe il peccato dell’uomo attraverso una predicazione dove tutto viene giustificato, a volte anche i peccati più orrendi.


Questo succede perché non si è in comunione con la verità e la santità dello Spirito Santo e senza Spirito Santo forte dentro di noi, siamo capaci di trasformare tutto, anche le più semplici e le più elementari verità, che potrebbero dare una svolta ad un cuore, le modifichiamo e così impediamo l’accesso alla salvezza da parte di quanti sarebbero di buona volontà, sarebbero pronti ad ascoltarci e a cambiare vita.


E avere in esso creduto: la predicazione non è ancora salvezza, giustificazione, santificazione, elevazione di un cuore.


Perché vi sia la redenzione è necessaria la fede. La fede in che cosa? Non certamente la fede in Dio e neanche in Cristo Gesù o nello Spirito Santo.


La fede di cui parla Paolo è il Vangelo, la parola della verità, che ci dona il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.


Sembra una sottigliezza teologica questa, invece non lo è, perché è l’essenza stessa della fede.


La nostra fede non è in Dio, è nella parola di Dio. È la Parola che mi dona Dio, mi dice chi è Dio.


È la Parola che mi rivela il Cristo e lo Spirito Santo. È anche la Parola che mi traccia la via della vita.


Per questo motivo la fede è nella Parola. Tutto è dalla Parola. Quando diciamo la Parola non diciamo la Scrittura, diciamo la verità e la verità è dello Spirito Santo. È Lui che deve mettere sempre la verità di Cristo Gesù nei nostri cuori, ma prima ancora sulla bocca del ministro della Parola.


È sempre lo Spirito che guida di verità in verità e di fede in fede, ma verità e fede nella parola di Cristo Gesù.


La Chiesa, il cristiano, hanno una sola forza, che è onnipotente, creatrice: la Parola del Vangelo.


È con essa che si rinnova il mondo, i cuori, le menti, la società. Ma essa, per rinnovare il mondo, deve essere annunziata e creduta, ma in nessun modo potrà mai essere creduta se non è annunziata.


Avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso: nel momento in cui la vera parola viene annunziata, lo Spirito del Signore scende nel cuore di chi ascolta. Nella buona volontà l’uomo si può convertire, può aderire alla Parola, aderendo alla Parola, aderisce a Cristo, lo accoglie come suo Salvatore e Redentore.


La Parola da sola però non lo salva. Non gli dona la redenzione. Questa si acquisisce attraverso il sacramento del Battesimo. È in esso che l’uomo viene lavato dal peccato, purificato da ogni macchia, elevato a dignità divina, poiché viene reso partecipe della natura divina, è incorporato in Cristo, è fatto figlio di Dio, tempio dello Spirito Santo.


Dopo il battesimo la Chiesa dona lo Spirito Santo che suggella il cuore, la mente, i pensieri, tutto l’uomo nell’anima, nello spirito e nel corpo riceve il suggello dello Spirito Santo.


L’uomo ormai appartiene allo Spirito, è dello Spirito, è sua particolare proprietà. Lo Spirito lo muove, lo guida, lo conduce; lo Spirito è sua forza, sua intelligenza, suo consiglio, suo tutto.


Lo Spirito deve fare di lui un perfetto figlio del Padre, un vero discepolo di Cristo Gesù, un santo tempio della sua dimora.


Lo Spirito cui l’uomo rinato e rigenerato nel sacramento appartiene, dovrà condurlo nella parola di Cristo Gesù, perché la faccia la sua stessa vita.


Questa è la missione dello Spirito, la sua opera. Egli deve fare di ogni uomo un’obbedienza perfetta alla Parola di vita.


È lo Spirito che deve trasformare l’uomo in un essere tutto spirituale. È questa la novità cristiana.


Lo Spirito afferra l’uomo che si lascia condurre da Lui e da carnale lo rende spirituale, da figlio di Adamo ne fa un figlio di Dio, da un membro di Adamo ne fa un membro santo di Cristo.


Lo Spirito trasforma la natura di peccato dell’uomo in natura di verità e di carità.


Tutto ciò che di bene, di santo, di vero, di giusto avviene nel cristiano, avviene per opera dello Spirito Santo.


Questo però si compie finché il cristiano resta con la volontà proprietà dello Spirito e da Lui si lascia condurre, attraverso una invocazione costante, perché sia sempre Lui la guida della sua vita.


[14]il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato, a lode della sua gloria.


La vocazione dell’uomo è al cielo. Egli deve ereditare il paradiso. È questa la sua eredità eterna.


Guidato dallo Spirito, egli cammina verso il cielo, il cielo desidera, brama più di ogni altra cosa. Il cielo è Dio da contemplare, da amare; è Cristo nel quale vivere da risorto per l’eternità; è lo Spirito Santo, nel quale inabissarsi per entrare nella perfetta comunione d’amore e di verità con Dio Padre e con il Figlio. Il Cielo è anche la compagnia della Vergine Maria, degli Angeli e dei Santi, con i quali canteremo in eterno la misericordia di Dio, che ci ha amati a tal punto da concederci la sua stessa familiarità. Siamo suoi familiari, viviamo nella sua casa da figli, lo amiamo come figli, gioiamo da figli.


Qualcuno potrebbe obiettare: ma veramente il Signore ci dona tutti questi beni eterni? Non è forse questa una invenzione dell’uomo per ingannare i suoi fratelli e privarli della loro libertà su questa terra, con il pretesto di dare loro il cielo?


Paolo risponde che la garanzia che il cielo è vera ed è nostra. La garanzia è lo Spirito Santo che ci è stato dato, il quale non solo ci ha conferito il suggello, ci ha fatto sua proprietà, ma anche Dio lo ha dato a noi come caparra delle nostra eredità.


Sono due le verità che dobbiamo evidenziare. La prima ci insegna che la caparra è un istituto giuridico che dice passaggio di proprietà.


La cosa diveniva anticamente dell’altro, era sua proprietà, anche se ancora non era in suo possesso, nel momento in cui si dava la caparra.


La caparra consisteva in una piccolissima somma di denaro, anche un solo denaro, che segnava il passaggio avvenuto.


La cosa restava in mano a colui che la vendeva, o la donava, ma la proprietà non era più sua, era di colui che aveva dato la caparra.


La caparra però doveva essere accettata. C’è pertanto un dare la caparra e un’accettazione di essa. Se la caparra non era accettata, l’atto giuridico non si consumava e ognuno restava in possesso di quello che aveva.


Nel nostro caso, Dio ha dato lo Spirito Santo come caparra dell’eredità eterna. L’eredità eterna è nostra nel momento in cui noi accogliamo lo Spirito e viviamo secondo lo Spirito. Se non accettiamo lo Spirito e non viviamo secondo la sua mozione, la sua verità, la sua carità, è come se noi non avessimo accettato la caparra e quindi il regno dei cieli non ci appartiene, non è nostro, perché nostro non è lo Spirito Santo.


Che lo Spirito Santo sia nostro lo attesta il fatto che sotto la sua guida noi da esseri carnali diveniamo esseri spirituali, viviamo da veri figli di Dio, che fanno dell’obbedienza alla sua parola lo stile e la forma della loro vita.


Nessuno può vivere la Parola di Dio senza la forza dello Spirito Santo dentro di Lui; nessuno può essere uomo di verità e di carità senza lo Spirito Santo che lo illumina e lo incendia; nessuno può aspirare verso il Cielo se lo Spirito di Dio non è vivo dentro di Lui.


Lo Spirito pertanto non è solo caparra per il domani. Infatti non è la caparra che ci dona solo l’eredità eterna nel paradiso; è anche la caparra che ce la conferisce oggi, perché oggi Lui ci mette in comunione con Dio e con la sua carità, oggi ci dona la vita nuova, oggi ci risuscita con Cristo e in Cristo, oggi ci costituisce figli che tendono a raggiungere il Padre nella sua casa eterna.


È lo Spirito che opera in noi oggi la prova della verità dei doni che Dio ci ha promesso e che già ci ha conferiti nello Spirito Santo.


La verità e la carità che lo Spirito Santo crea oggi nel cuore è la prova, l’attestazione che Lui è il pegno della gloria futura che dovrà manifestarsi pienamente in noi.


Lo Spirito diviene così il nostro più grande e più intimo convincimento, la più grande prova della verità della parola del Vangelo. Lo Spirito è la prova vivente in noi che tutte le parole di Dio pronunciate per noi sono vere, sono vere perché per suo mezzo noi le viviamo, le osserviamo, le mettiamo in pratica. Nessuno potrà mai vivere una sola parola di Vangelo, se lo Spirito Santo non è vitalmente in Lui, con una mozione vitale perenne.


La completa redenzione avviene nella risurrezione della nostra carne. Allora veramente ogni parola di Dio trova il suo compimento ultimo, definitivo, eterno.


Solo con la risurrezione nostra ad immagine di quella gloriosa di Cristo, lo Spirito compie la sua missione tra noi.


Non terminerà la sua opera su di noi nell’eternità, perché sarà sempre Lui che dovrà realizzare in noi la perfetta comunione eterna con il Padre e con il Figlio.


Tutto questo è però un dono di Dio, un dono che precede la stessa creazione. È un dono senza alcun merito da parte dell’uomo. È questa la misericordia eterna con la quale Dio ha avvolto la sua creatura.


Si è già detto a sufficienza cosa significa che Dio ci ha fatti a lode della sua gloria. Si rimanda pertanto ai versetti precedenti.


Termina con queste parole l’inno Cristologico della Lettera agli Efesini, ma non termina l’esposizione del mistero di Cristo, dal quale, nel quale e per il quale è tutta la nostra vita.


Ancora Paolo non tutto ha detto ed è ben giusto che in ogni sua parola, con l’aiuto dello Spirito Santo, ci impegniamo a trarre fuori ogni verità su Cristo, essendo noi chiamati ad inserirci pienamente nel suo mistero e ci si inserisce con l’anima e con lo spirito, con i pensieri e con i sentimenti, con la volontà e con la conoscenza.


Cristo è tutto per noi. Ma noi siamo chiamati ad entrare nel suo tutto e per questo dobbiamo anche conoscerlo tutto.




SUPREMAZIA DI CRISTO

[15]Perciò anch'io, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell'amore che avete verso tutti i santi,

La fede è nel Signore Gesù. Credere nel Signore Gesù è aderire alla sua Parola, al suo mistero.

Credere nel Signore Gesù è fare il suo mistero nostro, la sua vita nostra, la sua vocazione nostra, la sua missione nostra, la sua storia di redenzione nostra storia di salvezza a beneficio dei nostri fratelli.

Cristo è Parola, è esempio, è modello, è sacramento di vita nuova. Cristo è via, verità e vita. Cristo è carità eterna, amore sino alla fine per l’uomo da redimere e da condurre nel regno eterno di Dio.

Credere in Cristo diviene e si fa dono di vita per i fratelli. La vita del cristiano che crede veramente in Cristo si trasforma in un dono di carità a beneficio della loro salvezza.

La fede in Cristo rende il cristiano Cristo, se lo costituisce Cristo, lo costituisce Cristo per intero, non in parte, o semplicemente in una fede pensata, ma non realizzata, vissuta, compiuta in ogni sua parte.

La fede in Cristo non rende solamente il cristiano cristiforme, lo rende Cristo che si immola per i fratelli, che vive per loro, come Cristo è venuto non per vivere per sé, ma per noi, per dare la vita in nostro riscatto.

Cristo è il dono d’amore che il Padre ci ha fatto per la nostra redenzione eterna. Con la fede il cristiano diventa Cristo, ma Cristo è già dono d’amore per la salvezza del mondo.

La carità pertanto verso i fratelli è il segno della verità della nostra fede. Chi crede veramente in Cristo Gesù? Chi fa della sua vita un dono d’amore per i fratelli, chi diviene riscatto per il mondo intero, chi si lascia immolare perché si abbia la vita e la si abbia in abbondanza.

C’è pertanto una sola via per credere e per misurare la nostra fede in Cristo Gesù: la carità attraverso la quale noi ci presentiamo dinanzi agli altri per servirli alla stessa maniera di Cristo Gesù.

C’è però da specificare che la carità che noi dobbiamo vivere è il dono dello Spirito che è stato versato su di noi. La misura della nostra fede non è la carità di Cristo, la carità di Cristo è il nostro modello, ma è il dono che lo Spirito ha versato in noi perché noi secondo questo dono e questa via ci mettiamo a servizio dei fratelli per essere con loro allo stesso modo di Cristo Gesù.

La prima carità da vivere è quella verso i santi, verso coloro cioè che sono corpo di Cristo, che vivono in Cristo. I santi sono i cristiani, i discepoli del Signore. Verso di loro c’è bisogno da parte nostra di una particolare carità, è la carità di una presenza amorevole che diviene all’occorrenza aiuto, sostegno, incoraggiamento, sollievo, soccorso, incitamento, esortazione a perseverare nel Signore, ogni altra spinta spirituale e materiale, perché si avanzi spediti verso il regno dei cieli, ma anche perché si perseveri sino alla fine nell’opera di verità, di carità e di speranza che il Signore ci ha affidato.

La fede come la carità sono visibili, se non sono visibili, non ci sono. Se uno non vede la nostra fede, essa non esiste; se non osserva la nostra carità, essa non esiste. Della fede e della carità si dà notizia agli altri.

Non siamo noi a dare notizia, sono gli altri che vedono e attestano, annunziano e proclamano, mettono in evidenza ciò che noi crediamo e il modo secondo il quale noi amiamo. Paolo riceve questa notizia bella. Gli Efesini credono in Cristo, amano i santi.

[16]non cesso di render grazie per voi, ricordandovi nelle mie preghiere,

Quando si ricevono notizie così belle, cosa si deve fare?

Ringraziare il Signore che opera il bene, opera per la salvezza del mondo. Ringraziare lo Spirito Santo che muove i cuori nella fede e nella carità. Ringraziare Cristo Gesù che attrae con la sua vita perché ogni altro faccia della propria vita un dono d’amore, la spenda interamente per la salvezza, la viva come un vero olocausto, un sacrificio perché il Signore conceda altra grazia, aggiunga grazia alla grazia di Cristo per la conversione del mondo intero.

Il rendimento di grazie è l’unica risposta giusta alla bella notizia che i cristiani vivono di fede in Cristo, di carità verso i fratelli.

È la risposta giusta perché si vive una dimensione di vera fede. Si vede in loro l’opera dello Spirito Santo, l’amore del Padre che agisce, la grazia di Cristo che trascina verso una crescita sempre più grande e verso il rendimento di una testimonianza autentica al Signore, che li ha ricolmati di sé.

Il rendimento di grazie libera l’uomo dalla superbia, dalla vanagloria, dall’orgoglio, da ogni forma di gelosia.

Sappiamo che è il Signore che opera tutto in tutto per il bene della comunità di quanti credono nel suo nome e per la salvezza del mondo intero e lo si ringrazia, lo si benedice, lo si loda.

Rendere grazie a Dio è l’attestazione che siamo nella verità della fede, della carità, della speranza. Quando invece non si rende grazie è il segno che ancora la carne non è morta in noi e regnano in essa i suoi frutti che non sono di vita, bensì di morte, per noi stessi e per tutta la comunità di Cristo Gesù.

È giusto che si educhino tutti i fedeli non solo a riconoscere e a confessare che è sempre lo Spirito Santo ad agire in ciascuno dei seguaci del Signore, ma anche ad elevare a Lui un inno di lode e di benedizione per tutto il bene che fa in favore dei credenti in Cristo Gesù e per la redenzione del mondo intero.

Su questo dobbiamo lamentare che non c’è libertà in seno alle comunità cristiane. Non c’è libertà, perché non vive in noi lo Spirito del Signore e per questo si è gelosi, superbi, arroganti, invidiosi, vanagloriosi. Questo nuoce molto alla nostra santificazione, alla santificazione della comunità, alla redenzione del mondo. Questo però attesta che siamo sotto il regime della carne e non dello Spirito. Attesta altresì che c’è poca crescita in santità, perché c’è poca educazione alla santità.

Non solo Paolo rende grazie a Dio per il bene compiuto. Egli prega per la comunità che vive in Efeso. Perché prega?

Oltre che di ringraziamento, di benedizione, di glorificazione, la preghiera è anche di impetrazione. Cosa chiede Paolo per gli Efesini, cosa domanda al Signore?

[17]perché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui.

Quanto noi conosciamo di Dio è sempre imperfetto. Da una conoscenza imperfetta nasce una carità imperfetta. Da una carità imperfetta nasce una missione imperfetta, da una missione imperfetta il mondo resta nella sua non conversione e nella sua tenebra.

Paolo sa che se gli Efesini riusciranno a crescere nella conoscenza di Cristo, il loro amore crescerà, la loro speranza crescerà assieme alla loro fede. Da questa crescita la missione riceverà nuovo slancio, ma anche la testimonianza a Cristo Gesù avrà un vigore sempre nuovo, come nuovo è il mistero di Cristo che si vive dinanzi ai loro occhi e alla loro mente.

Chi prega Paolo?

Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria”.

Perché Dio è il Dio del Signore nostro Gesù Cristo e perché è il Padre della gloria?

È il Dio del Signore nostro Gesù Cristo perché è il Padre di Lui. Padre in quanto Figlio generato da Lui. Generato nell’eternità, generato nel tempo. In quanto vero Dio è Padre, in quanto vero uomo è anche Signore. Il Padre è il Dio del Signore nostro Gesù Cristo in ragione di questa doppia nascita e doppia generazione.

È il Padre della gloria, perché tutto il bene che c’è nel mondo è opera sua, viene dalla sua volontà, dal suo cuore, dal suo essere, per creazione e per volontà.

Se poi per gloria si intende Cristo Gesù, che è l’unica Gloria del Padre, nella quale ogni altra gloria diventa e si fa vera, abbiamo qui indicata la vera paternità di Dio nei riguardi di Cristo Gesù.

Anche su questo ci si è già soffermati con dovizie di indicazioni teologiche ed è ben giusto che si ritorni su quanto precedentemente indicato. Vale la pena ora soffermarci sulla richiesta che Paolo fa a Dio nella sua preghiera.

Perché lo prega?

Vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui”.

Paolo chiede per gli Efesini uno spirito di sapienza e di rivelazione. Egli sa che la conoscenza di Cristo, e attraverso Cristo, del Padre e dello Spirito Santo non è frutto di una ricerca che parte dal cuore e dalla mente dell’uomo.

L’uomo ha un limite naturale che è invalicabile e questo limite è la sua carne che non vede l’invisibile; questo limite è anche il peccato che gli impedisce di vedere secondo verità anche le cose visibili. Ma anche senza il peccato è impossibile che un uomo possa gettare lo sguardo nel cielo e vedere Dio così come egli è. Questa impossibilità umana, aggravata quasi sempre dai peccati personali, è attestata anche dai fondatori di religione, i quali dipingono Dio secondo i loro schemi mentali, che sono assai differenti da quanto ci dice la rivelazione e la fede del vero Dio.

La conoscenza di Cristo è frutto dello Spirito di sapienza e di rivelazione che Dio riversa su di noi, in virtù della morte e della risurrezione di Cristo Gesù.

Lo Spirito viene dato perché invocato da noi, viene anche dato perché invocato da altri e in modo particolare da coloro che Cristo Gesù ha costituito sulla terra datori dello Spirito anche per via sacramentale.

Senza una preghiera accorata lo Spirito non è dato, senza una intercessione forte, egli non può operare dentro di noi a causa della nostra volontà che si chiude in se stessa e chiude l’uomo negli angusti limiti della sua immanenza. Sapendo questo, è cosa giusta, santa che ognuno invochi lo Spirito per se stesso, perché lo inondi di una sempre più profonda conoscenza del mistero di Cristo, ma anche lo preghi per gli altri, perché dia loro la stessa conoscenza che ha implorato da Dio per sé.

Posto il principio dell’impossibilità umana di conoscere secondo verità il mistero di Cristo, nasce l’obbligo della preghiera per noi e per gli altri.

La conoscenza del mistero di Cristo in un crescendo di verità in verità cambia tutta la vita di un uomo e con una sola vita che cambia la vita del mondo intero cambia.

D’altronde Paolo sa la potenza dello Spirito cosa riesce ad operare. Lui un tempo era nelle tenebre, non conosceva Cristo. Per una grazia particolare ha iniziato a conoscerlo. È cambiata la sua vita. È cambiata la vita del mondo intero con il cambiamento della sua vita.

Se lo Spirito discende dal cielo e dona la conoscenza del mistero di Cristo ad altre persone, non solo cambierà la vita di queste persone, ma con il loro cambiamento tutta la vita del mondo cambierà.

Lo Spirito pertanto è il dono più prezioso che bisogna invocare e non bisogna darsi pace finché il Signore non ci abbia esaudito, elargendo a noi e agli altri il dono del suo Santo Spirito.

La vita cambia se cambia la conoscenza di Cristo dentro di noi e la conoscenza di Cristo è frutto ed opera del suo Santo Spirito. Questa è la verità, l’unica, la sola.

[18]Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi

In Cristo, cosa deve conoscere il cristiano, posto il principio che è Dio che illumina gli occhi della nostra mente?

Lo Spirito deve farci comprendere:

A quale speranza vi ha chiamati: nessun uomo conosce ciò che Dio vuole fare di lui. Nessuno sa in verità qual è il disegno di Dio su di lui.

Non sapendolo, non può neanche realizzarlo. Non realizzandolo, nemmeno ne può gustare la bellezza.

Ciò che non si conosce, non si ama, perché non si gusta. Ora il disegno di Dio sull’uomo è di una grandezza tale che tutto l’universo è niente in paragone ad esso. Questa è la verità.

Come fa un uomo ad entrare in possesso di questa verità? Solo per grazia, solo per un dono da parte di Dio, solo per illuminazione interiore.

Questa illuminazione deve portare l’uomo a comprendere a quale speranza Dio ci ha chiamati. E la speranza è una sola: divenire una cosa sola con Cristo, realizzare Cristo in noi, realizzare noi in Cristo, fino a divenire cristiformi, fino a vestirci di Lui, fino ad avere la sua stessa figliolanza. Questa speranza, detta così, potrebbe sembrare una cosa da niente, vista però con gli occhi della mente illuminata dallo Spirito del Signore, è veramente l’insuperabile, poiché avvicina ogni uomo alle soglie della divinità, lo rende quasi dio, poiché lo riveste totalmente di Cristo Gesù, che è Dio.

Tutte le parole umane per descrivere questa speranza sono e rimarranno sempre inadeguate, imperfette. Se invece lo Spirito del Signore ce la fa gustare e comprendere attraverso il dono della sapienza e della conoscenza, noi vivremo una vita totalmente differente.

Paolo è prova di questo. Dopo che lui ha ricevuto questa grazia – come lui non ce lo dice – la sua vita è totalmente cambiata, a tal punto che considerava spazzatura tutte le cose della terra. Ciò che in uno spirito di carne si valuta come un tesoro inestimabile, il non plus ultra del bello, Paolo invece lo reputava una spazzatura. Questa è la differenza tra la sapienza divina e la sapienza carnale.

Che siamo nella sapienza carnale lo attesta il fatto che noi facciamo delle cose della terra il motivo della nostra gioia. È proprio la ricerca delle cose di quaggiù che tradisce la nostra non appartenenza alle cose del cielo.

Quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi: la speranza che per noi è piena assimilazione di Cristo nella nostra vita, fino ad essere immagine di Lui sulla terra e nel cielo, si configura ora come partecipazione alla gloria del cielo, quando saremo chiamati a vedere Dio faccia a faccia, così come egli è.

Cosa è il paradiso? Se noi pensassimo un poco a questa domanda, se ci mettessimo un poco a riflettere, dovremmo concludere che per noi il paradiso è il prolungamento di una qualche gioia che abbiamo assaporato sulla terra, portando la sua intensità al sommo e la sua durata senza fine.

Per molti di noi il paradiso è una gioia eterna, immensa, che non conosce alcuna limitazione al negativo, mentre conosce solo la sua espansione al positivo.

Il paradiso anche nella Scrittura è presentato come il sommo di un bene o che già si gusta, o che si desidera gustare. È presentato anche come l’assenza piena di ogni negatività compresa la morte e il dolore.

Paolo sa che tutte queste categorie umane, di positivo, negativo, sublimazione, negazione sono assai inadeguate.

Paolo infatti non descrive il paradiso, crea invece il desiderio di gustarlo già su questa terra, ma soprattutto muove il cuore ad una preghiera così intensa affinché il Signore ce lo faccia comprendere in modo che noi altro non facciamo che camminare verso di esso.

Il cristiano non vive più di speranza eterna, non cammina verso il paradiso, lo attesta il fatto come lui vede e considera la morte, sia la sua che quella delle persone che le sono care.

Il fatto che il cristiano abbia perso il significato della sua speranza e della gloria che lo attende nel cielo è assai rivelatore. Attesta che è venuto meno in quella che è la sua vocazione. E un cristiano senza vocazione, che cristiano è? Un cristiano che non attende più il compimento della sua speranza, che non progredisce verso il cielo, è un cristiano non cristiano, poiché è proprio del cristiano il distacco dalla terra per orientarsi esclusivamente verso il cielo.

Per questo motivo Paolo prega. Lui sa che se lo Spirito del Signore viene in noi, tutto cambia di noi, perché Lui in noi porta la realtà del cielo, porta Dio, Cristo Gesù, porta la sua sapienza eterna e con essa il cristiano può guardare il cielo secondo verità e solo da questa visione secondo verità potrà nascere in lui il cambiamento della vita.

Non è la paura dell’inferno che è capace di cambiare un uomo; è invece la speranza che lo Spirito Santo crea in lui e la comprensione che gli dona delle cose di lassù secondo verità.

[19]e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo l'efficacia della sua forza

Dal cielo Paolo ora ritorna sulla terra. Pensa sicuramente a ciò che il Signore ha fatto in lui, ha fatto di lui, quando lo afferrò con la sua luce sulla via di Damasco.

Se uno guarda a ciò che Dio ha fatto di lui, può invitare gli altri a credere nella potenza di Dio.

Se invece noi rimaniamo nel nostro stato abituale di essere governati dal regime della carne, come possiamo presentare agli altri la straordinaria grandezza della sua potenza?

La nostra fede spesso è ridotta ad una verità che è fuori di noi, che non agisce in noi, che non ci tocca, non ci cambia, non modifica la nostra condizione di uomini immersi nel peccato e nella morte.

Per Paolo invece la fede non è una realtà fuori dell’uomo, è una realtà che agisce dentro l’uomo. Agisce modificandolo, cambiandolo, rinnovandolo, rigenerandolo, facendolo divenire un’altra creatura.

Paolo è quest’altra creatura. Tra il Paolo persecutore e il Paolo apostolo di Gesù Cristo la differenza c’è, è visibile, tutti la possono osservare, vedere, studiare, analizzare.

Il Paolo apostolo e missionario di Gesù Cristo è il frutto della grazia di Dio, di questa straordinaria grandezza della potenza del Signore con la quale Dio lo ha preso, lo ha avvolto e trasformato, lo ha cambiato, facendone un altro uomo.

È proprio questa la straordinaria potenza di Dio: quella di fare di un uomo un altro uomo, totalmente differente dal primo uomo, di farne un uomo libero, vero, pieno di carità, ricco di speranza soprannaturale, servo dei fratelli, martire per amore per la gloria di Dio e la redenzione del mondo.

La potenza, la forza, l’incisività del cristiano nel mondo avviene e si manifesta quando egli viene costituito da Dio nuova creatura.

Ora Paolo sa che Dio solo è capace di fare questo. Ma sa anche che il cristiano non conosce questa straordinaria potenza della sua grazia. Non la conosce, perché non si è ancora lasciato trasformare da Dio.

Come potrà farsi trasformare? Se pregherà, se invocherà questa grazia, se chiederà allo Spirito Santo che la realizzi nella sua vita, se si disporrà con la mente, con il cuore, con lo spirito, con l’anima e con lo stesso corpo ad essere trasformato dalla potenza dell’Altissimo. Ma questa trasformazione non può avvenire senza che lui lo voglia e per questo deve pregare. Ma non può pregare se non avrà prima creduto che questa trasformazione è possibile.

Anche la fede è dono di Dio, la fede nella sua potenza. Anche questa fede si deve invocare attraverso la preghiera.

La preghiera è l’offerta della nostra vita a Dio, perché sia Lui a trasformarla, a riempirla di sé, a ricrearla, a dare il compimento della sua vocazione. La preghiera, frutto della nostra fede, è dono che l’uomo fa di se stesso a Dio perché Dio possa dare tutto se stesso all’uomo e Dio si dona all’uomo trasformandolo e ricolmandolo di Spirito Santo, perché sia Lui a iniziare la trasformazione dell’uomo e da uomo carnale farne un uomo spirituale.

Questa è la straordinaria potenza di Dio, che si manifesta nel cristiano che si consegna a Dio perché Dio si doni a Lui.

Questa verità non consente a nessuno di poter più affermare che tutto è dalla sua natura corrotta, debole, inferma, incapace di operare il bene, orientata e determinata al male, al peccato.

Questo potrebbe essere senz’altro vero se non ci fosse la potenza di Dio, potenza che ci è stata data, potenza che ci sarà sempre data, potenza sempre da invocare e da chiedere.

Nessuno pertanto dica: sono fatto così. È fatto così secondo Adamo. Può essere fatto diversamente secondo Cristo. Può, se vuole; può, se si consegna a Dio; può, se prega.

Paolo questo lo sa e prega il Signore per gli Efesini. Ciò che non fanno loro, lo fa lui, ma lui è un uomo tutto inabitato dallo Spirito Santo, tutto trasformato da Lui. Paolo sa qual è la straordinaria potenza e l’efficacia della sua grazia.

Lo sa perché lo ha vissuto sulla sua pelle, quando il Signore ha fatto di lui un uomo nuovo, diverso, totalmente nuovo, totalmente diverso.

[20]che egli manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli,

Che la potenza di Dio sia veramente efficace egli lo ha già manifestato. Chi vuole sapere ciò che Dio è capace di fare, deve volgere lo sguardo a Gesù Risorto.

Chi è Gesù Risorto? È la manifestazione della straordinaria potenza di Dio. L’onnipotenza di Dio, efficace e creatrice dal nulla, si manifesta interamente in Cristo Gesù risorto.

Gesù è nel sepolcro. Il suo corpo è di carne. Il suo corpo è avvolto dalla morte. Il suo corpo è senza vita.

Il Padre non solo gli ridona la vita. Il Padre lo trasforma da morto in vivente, da carne in spirito, da mortale in immortale, da corpo che si deturpa e si corrompe in corpo avvolto tutto dalla gloria di Dio, dal quale si sprigiona la gloria di Dio. Da corpo assunto sulla terra lo rende corpo che può vivere nel cielo, lo porta nel cielo e lo fa sedere alla sua destra. Questa è la straordinaria potenza di Dio.

Con questa stessa onnipotenza, efficace e creatrice, egli può intervenire nella vita degli uomini. Ad una condizione: che gli uomini si lasciano da Lui trasformare, risuscitare, rinnovare, elevare, santificare, fare una cosa sola con Cristo, una sola santità, una sola missione d’amore, una sola morte e una sola risurrezione.

Per questo non solo è richiesto all’uomo che si consegni, che si doni a Dio, perché sia Lui a compiere il suo disegno eterno. È richiesto anche che questa consegna sia fatta atto per atto, momento per momento, azione per azione e pensiero per pensiero.

Poiché la vita dell’uomo sulla terra è fatta di piccolissimi atti, di istanti singoli, ogni istante deve essere consegnato al Signore, ogni istante a Lui affidato attraverso la preghiera.

Possiamo pregare per noi e per gli altri. Per noi possiamo chiedere allo Spirito di Dio che prenda ogni nostro atto e lo santifichi perché in esso si manifesti solo la gloria di Dio, si compia cioè solo la sua volontà.

Per gli altri possiamo chiedere, come fa Paolo, che lo Spirito scenda nei cuori e sia Lui ad illuminarli, a guidarli, a cambiare la loro vita, perché anche loro la mettano nelle mani di Dio, l’affidino allo Spirito, perché realizzi attraverso di essa il disegno di salvezza scritto da Dio per ciascuna vita in particolare.

Questa preghiera non si fa se non c’è una fede convinta nell’onnipotenza di Dio creatrice ed efficace, creatrice e rinnovatrice non solo della nostra vita, ma di quella del mondo intero.

Per pregare secondo verità dobbiamo possedere una grande fede. Dio può tutto. Dio può tutto nel soggetto che si consegna a Lui.

In altre parole, noi dobbiamo essere come la Vergine Maria, nella casa di Nazaret, al momento dell’annunciazione. Dopo che l’Angelo le disse: “Nulla è impossibile a Dio”, ella rispose: “Avvenga di me secondo quello che hai detto”.

Questa fede manca in molti cristiani. Mancando la fede, manca anche la preghiera. Dio non può intervenire su di noi per cambiarci, non ci cambia perché noi non glielo chiediamo. Non glielo chiediamo, perché non crediamo.

La Chiesa ha un grave obbligo verso tutti i suoi figli: insegnare loro la fede, perché loro trasformino la fede in preghiera.

Leggiamo nel Vangelo secondo Marco (Mc 9,14-29):

E giunti presso i discepoli, li videro circondati da molta folla e da scribi che discutevano con loro. Tutta la folla, al vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo. Ed egli li interrogò: Di che cosa discutete con loro? Gli rispose uno della folla: Maestro, ho portato da te mio figlio, posseduto da uno spirito muto. Quando lo afferra, lo getta al suolo ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti.

Egli allora in risposta, disse loro: O generazione incredula! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me. E glielo portarono. Alla vista di Gesù lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava spumando.

Gesù interrogò il padre: Da quanto tempo gli accade questo?. Ed egli rispose: Dall'infanzia; anzi, spesso lo ha buttato persino nel fuoco e nell'acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci.

Gesù gli disse: Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede. Il padre del fanciullo rispose ad alta voce: Credo, aiutami nella mia incredulità.

Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito immondo dicendo: Spirito muto e sordo, io te l'ordino, esci da lui e non vi rientrare più. E gridando e scuotendolo fortemente, se ne uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: E` morto. Ma Gesù, presolo per mano, lo sollevò ed egli si alzò in piedi.

Entrò poi in una casa e i discepoli gli chiesero in privato: Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo? Ed egli disse loro: Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera.

Gli Apostoli non hanno pregato. Il miracolo non si compie. Perché non hanno pregato? Perché non hanno creduto che l’onnipotenza efficace e creatrice è solo dello Spirito Santo, essa non appartiene all’uomo.

Questo la Chiesa deve insegnare ai suoi figli: a credere in Dio onnipotente, il solo che può trasformare, rinnovare, santificare, elevare la loro vita. Il solo che li può risuscitare dalla morte, il solo che li può liberare dal dominio della carne, il solo che può dare loro la libertà nel bene. Questa è la nostra fede. Questa fede bisogna trasformarla in preghiera.

[21]al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro.

Il versetto or ora analizzato manifestava la straordinaria onnipotenza di Dio efficace e creatrice che aveva agito in Gesù, nel suo corpo, risuscitandolo dai morti.

Questo versetto ci manifesta ancora cosa è capace di fare l’onnipotenza di Dio, sempre efficace e creatrice.

Da un corpo che è nel sepolcro ne fa un corpo tutto spirituale, incorruttibile, immortale, glorioso.

Questo corpo che si riunisce all’anima e che ricompone il vero uomo nel vero Dio, nell’unica persona del Verbo della vita, che ora è Verbo Incarnato, viene elevato nel più alto dei cieli, è assiso alla destra del Padre.

Cristo Gesù è alla destra del Padre nel suo vero corpo, ma anche nella sua vera umanità, nel suo vero uomo che è anima e corpo insieme.

Il vero uomo che è in Cristo Gesù è posto al di sopra di ogni altra Potenza angelica. Egli è sopra i cori degli Angeli. Sopra i Santi. Egli è al posto di Dio. Questa è la straordinaria potenza efficace e creatrice del Padre.

Egli è stato posto sopra ogni altro nome che esiste sulla terra, sotto terra, nei cieli e negli inferi. Al di sopra di Cristo non esiste altra creatura. Tutto è stato posto sotto la sua Signoria. Egli è il Signore. È il Signore non solo in quanto vero Dio, è Signore anche in quanto vero uomo. Al vero Dio tutto è soggetto in ragione della sua Signoria che è di creazione. Tutto è stato creato per mezzo di Lui e tutto è soggetto a Lui. Al vero uomo invece tutto è soggetto perché l’onnipotenza di Dio, a motivo dell’unione ipostastica, ha fatto sì che il vero Dio fosse anche il vero uomo e il vero uomo fosse anche il vero Dio. Il Verbo della vita, Verbo Incarnato, è vero Dio e vero uomo, non un Dio e un uomo separati, ma un Dio e un uomo nell’unica persona del Verbo della vita.

È questo il mistero che solo l’onnipotenza di Dio, efficace e creatrice, ha potuto operare e l’ha operato solo in Cristo Gesù, solo nel Verbo della vita.

Questo versetto pertanto mentre afferma e ci conferma quanto è grande l’onnipotenza di Dio, ci rivela anche chi è in verità Cristo Gesù. È il nome più eccelso nella creazione di Dio. Non solo. Della creazione egli è il Signore e in quanto Signore tutto è sottomesso ai suoi piedi. Tutto a Lui obbedisce. Tutto deve riconoscerlo come suo Signore. Tutto deve confessarlo, ascoltarlo, prestare l’ossequio della consegna a Lui.

Se Lui è il Signore, noi siamo suoi. Se Lui è il Signore, noi gli apparteniamo. Se Lui è il Signore, Lui può intervenire nella nostra vita efficacemente, con una parola creatrice, che trasforma tutta intera la nostra esistenza.

Perché questo accada, dobbiamo credere, dobbiamo pregare. La nostra vita dipende dalla nostra fede, dalla nostra preghiera.

[22]Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa,

Il discorso è sempre teologico e Cristologico insieme. Chi opera è Dio. Su chi opera è Cristo Gesù.

Cristo Gesù è innalzato al di sopra di ogni creatura. Poiché tutto ciò che esiste, al di Fuori della Trinità beata, è tutto creato, Cristo Gesù ha tutta la creazione, ogni essere vivente e non vivente, animato e inanimato, corporeo e spirituale, visibile e invisibile, sulla terra e nel cielo e anche negli inferi sottomessi ai suoi piedi.

Sottomessi, si intende, in quanto Signore. Al Signore è dovuta l’obbedienza, la gloria. Dinanzi al Signore ci si inginocchia, si piega il capo. Il Signore si riverisce. La sua volontà è sovrana sopra ogni altra.

Cristo Gesù è stato anche costituito dal Padre a capo della Chiesa.

La Chiesa è la comunità di quelli che attraverso la fede in Cristo morto e risorto, passando attraverso il battesimo, sono stati costituiti nuove creature e radunati in un solo popolo, in una sola comunità, una sola famiglia.

Ebbene di questo solo popolo Cristo è il capo. Cristo è colui che lo governa, lo dirige, lo guida, lo conduce, lo pasce, lo illumina, lo corregge, lo porta dalla terra al cielo nei pascoli eterni.

Non c’è distacco tra Cristo e la Chiesa, non c’è separazione. Tra Cristo e la Chiesa regna unità, comunione, vita.

Nel Nuovo Testamento molte sono le immagini che traducono questa verità su Cristo. Tutte però dicono una sola verità: l’essere capo di Cristo è in ordine alla grazia e alla verità che si attingono perennemente in Lui. C’è pertanto un’unione di vita e di verità che si deve realizzare con Cristo capo e questa unita di vita e di comunione avviene in Lui, non fuori di Lui. È quanto Paolo ci manifesta attraverso la definizione di Chiesa come corpo di Cristo.

[23]la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose.

Questo versetto è alquanto difficile da spiegare secondo tutta la ricchezza di verità e di dottrina, di essenza, che Paolo ha voluto racchiudervi.

Il mistero di Cristo e della Chiesa va infinitamente oltre la nostra teologizzazione e ogni altra riflessione sistematica che uno può anche tentare di fare.

Ci sono però delle verità evidenti che ci aiutano a scoprire quelle meno evidenti. Una di queste verità evidenti è la dipendenza totale del corpo dal capo.

Un corpo distaccato dal capo non ha vita, così anche un capo distaccato dal corpo non ha vita.

Volendo applicare questa verità alla Chiesa e a Cristo, la vita di grazia da Cristo si riversa tutta nella Chiesa, per mezzo della Chiesa, si riversa nel mondo e si fa grazia di conversione, di santificazione, di rigenerazione, di salvezza.

Seconda verità: il corpo ha una sola vita. Non ci sono due vite: una per il corpo e l’altra per il capo.

La vita del capo deve divenire la vita del corpo, che si manifesta e si esprime attraverso tutte le sue membra.

Cristo è l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. La Chiesa deve divenire in Cristo l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo e lo deve divenire alla stessa maniera di Cristo Gesù: offrendo la sua vita a Dio per la redenzione dei suoi figli, di tutti i figli di Adamo perché diventino in Cristo, nel suo Corpo, figli di Dio.

Tra capo e corpo c’è pertanto una sola vocazione, una sola missione, una sola santità, un solo Spirito, una sola vita, una sola morte, una sola risurrezione, una sola abitazione nel cielo presso Dio.

In Cristo, nel suo corpo, siamo già assisi anche noi alla destra del Padre, anche noi siamo signori, ad una condizione, che diventiamo in Cristo una sola obbedienza d’amore al Padre per la redenzione del mondo.

La Chiesa è il corpo di Cristo. La Chiesa è la vita di Cristo sulla terra, la sua manifestazione. La Chiesa è l’azione di Cristo in mezzo agli uomini.

La Chiesa è anche la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose.

La Chiesa è la pienezza di Cristo. La Chiesa è la pienezza di Cristo, perché dona pienezza a Cristo.

La Chiesa dona a Cristo pienezza di opera. La Chiesa consente a Cristo di operare la redenzione del mondo fino all’ultimo giorno della storia.

La Chiesa è Cristo che nel suo corpo vive oggi la missione che il Padre gli ha affidato.

La Chiesa è il corpo che Cristo ogni giorno offre al Padre per la salvezza dell’umanità.

La Chiesa è la gloria di Cristo Gesù sulla terra. Per essa Cristo viene conosciuto, amato, adorato, obbedito, ascoltato, imitato, invocato.

La Chiesa è il corpo attraverso il quale tutta la vita di Cristo, la sua grazia, la sua verità, la sua esemplarità, si riversa sul mondo intero, affinché il mondo intero venga attratto al Padre.

La Chiesa è il sacramento di Cristo per la redenzione dei cuori. In questo senso la Chiesa è la pienezza di Cristo.

Come Cristo Gesù senza il corpo assunto dalla Vergine Maria, Madre della Redenzione, non avrebbe potuto compiere la redenzione del mondo, così senza il corpo che assume giorno per giorno da acqua e da Spirito Santo, sempre nel seno della Vergine Maria, costituita da Cristo Madre di tutti i viventi, Madre di tutti coloro che vengono generati alla fede, egli non potrebbe compiere ora la rigenerazione degli uomini. La sua salvezza mancherebbe di pienezza, di efficacia, di continuità storica.

La salvezza di Cristo senza la Chiesa sarebbe una salvezza accumulata nel cielo ma che non potrebbe mai essere riversata sulla terra, avendo Dio stabilito nel suo disegno di salvezza che la redenzione dell’uomo avvenga attraverso Cristo, nella sua umanità, e attraverso Cristo, nel suo corpo, che è la Chiesa.

Cristo però è ancora colui che si realizza interamente in tutte le cose.

Cosa significa questa espressione? Una mano per cercare una minima comprensione del pensiero di Paolo può venirci dal Vangelo di Giovanni.

Chi è il Verbo di Dio? È Colui per mezzo del quale tutte le cose furono fatte. Ma anche egli è la luce che è la vita di ogni essere che vive.

La vita dell’intera creazione è in Cristo Gesù, che è il Verbo della vita.

Ogni cosa, per essere, deve attingere da Lui la vita. Cristo è colui che dona vita ad ogni cosa.

Ogni cosa, per creazione, non per emanazione, manifesta Lui, è qualcosa di Lui, poiché viene dalla sua parola onnipotente, creatrice ed efficace.

Ogni cosa, per creazione, non per emanazione, esprime una virtù, una qualità divina, che è del Verbo della vita.

In tal senso Cristo Gesù si realizza interamente in tutte le cose. Non nel senso che Lui abbia bisogno delle cose per realizzarsi, ma che le cose interamente si realizzano in Lui, in Lui trovano il loro principio sia di essere che di divenire.

In Paolo c’è una visione nuova del rapporto che esiste tra il Verbo Unigenito del Padre che si è fatto carne nel seno della Vergine Maria e l’intera creazione.

Tutta la creazione da Dio, per Lui, è stata fatta; tutta la creazione, per Lui, viene redenta e ritorna a Dio.

In tal senso, poiché egli è la vita e la nuova vita dell’intera creazione, egli realizza se stesso interamente in tutte le cose, poiché in tutte le cose egli realizza il suo mistero che è mistero di vita eterna, mistero del dono della vita, mistero della redenzione e della santificazione della vita.

Da qui il principio: se Cristo non si realizza interamente in un uomo, questo resta irrealizzato, poiché la realizzazione di un uomo è la realizzazione dell’intera sua vita in quest’uomo, in tutti gli uomini, nell’intera creazione.

Su questa tematica si avrà modo di ritornare in altri passi dello stesso Paolo. Ora ci interessa affermare che Cristo è la vita dell’intera creazione. Cristo è anche la nuova vita dell’intera creazione. Cristo è la vita e la nuova vita di ogni uomo. Chi vuole realizzare se stesso, deve permettere che Cristo si realizzi interamente dentro di Lui. Quando Cristo si realizza interamente in un uomo? Quando fa di quest’uomo una vita donata al Padre suo che è nei cieli.






Credente
00giovedì 1 novembre 2018 19:03

PER OPERA DI GESÙ CRISTO


 


La parola dell’apostolo quando è Parola di Cristo Gesù? La parola dell’apostolo deve essere sempre Parola di Gesù. L’apostolo non può avere una sua parola, mai. Egli è di Gesù, si è consegnato a Lui, a Lui si è consacrato, da Lui si è lasciato investire della sua stessa missione, da Lui ha ricevuto la Parola da dire e anche le modalità secondo le quali dirla. Inoltre l’apostolo di Gesù non ha più una sua vita, non deve averla. In Lui deve vivere tutta la vita di Cristo. Se è Cristo che vive in Lui, se è Cristo che agisce in Lui, se è Cristo che opera in Lui, è anche Cristo che parla e che dice solo la sua Parola di salvezza, di redenzione, di giustificazione, di amore e di verità all’uomo, ad ogni uomo. L’apostolo di Gesù è chiamato alla più grande e più perfetta conformazione della sua vita a quella di Cristo. Se farà tutto questo, se come Cristo ogni giorno crescerà in grazia e in sapienza, crescerà in Cristo fino a diventare con Lui una cosa sola, la sua parola sarà sempre quella di Cristo Gesù, sarà una parola che salva e che redime l’uomo. Se questo non lo farà, perché vorrà conservarsi la sua vita, neanche la Parola di Cristo sarà più quella che lui dice, dirà una sua personale parola, ma questa non salva e non redime nessuno. Salva solo la Parola di Gesù, detta da Gesù, secondo le modalità di Gesù, che vive nell’apostolo.


Con i tratti e i lineamenti di Cristo Gesù. Presentarsi con i tratti e con i lineamenti di Gesù significa proprio questo: conformarsi in tutto a Cristo, divenire una cosa sola con Lui, in modo che sia Gesù a vivere nell’apostolo. Questo processo di assimilazione a Cristo richiede un impegno costante dell’apostolo perché dallo Spirito Santo si lasci impastare di grazia e di verità. Più sarà impastato di grazia e di verità, più sarà conforme a Cristo, più si presenterà dinanzi al mondo con i tratti e con i lineamenti del Signore Gesù. Questa conformazione deve raggiungere la crocifissione. È il tratto essenziale, che dona valore ad ogni altro tratto, perché esprime e rivela la piena sottomissione dell’apostolo alla volontà del Padre usque ad mortem.


La vocazione dell’apostolo: associazione al mistero dell’incarnazione per la redenzione del mondo. L’apostolo del Signore non ha altre vocazioni da svolgere, altre mansioni da compiere. Egli è associato in modo particolare alla vita di Cristo Gesù, al suo mistero, alla sua vocazione, alla sua missione, fino a divenire con Cristo un solo mistero di vocazione e di missione, ma anche un solo mistero di obbedienza e di crocifissione per la redenzione del mondo. Quando lui comprenderà ciò che il Signore ha fatto di lui, come lo ha unito al mistero del suo Figlio Unigenito, saprà anche che non è lecito vanificare il suo mistero attraverso la vanificazione della sua vocazione. E sempre si vanifica il mistero quando si dona alla vocazione apostolica un’altra dimensione, un’altra forma, che non sia quella vissuta da Cristo Gesù e sul modello e secondo l’esempio che ci ha lasciato Cristo Gesù. In questo la Chiesa deve fare molta attenzione a non confondere usi, forme, costumi, modalità di comprendersi, con la vocazione che le ha lasciato Cristo. È da Cristo che sempre bisogna partire e mai dagli uomini, anche se santi, santissimi. Ma il loro modo è un modo, non è il modo di vivere il mistero di Cristo.


La vita dell’apostolo è un seme che cade in terra. Si è già detto che l’apostolo non ha una sua vita propria. Egli ha consegnato tutto della sua vita a Cristo Gesù, perché Cristo ne faccia un altro se stesso da inviare nel mondo allo stesso modo secondo il quale il Padre ha inviato Lui nel mondo. Cristo Gesù è il seme che dal cielo è stato seminato sulla terra, sulla terra è morto, si è lasciato crocifiggere per obbedienza, per amore del Padre e per manifestare la sua gloria. Questa morte ha prodotto un seme di vita eterna per tutto il genere umano. L’apostolo del Signore è chiamato a continuare la morte di Cristo Gesù e la sua fruttificazione. Anche lui, come il suo Maestro e Signore, è chiamato a cadere in terra e lasciarsi morire per amore, per la gloria del Padre, in obbedienza a Lui. Sarà dalla sua capacità di morire per amore che frutti di redenzione cresceranno sulla terra e produrranno tanta conversione e tanta fede al Vangelo.


Tutto è nelle mani dell’apostolo. Tutto è nelle mani dell’apostolo, perché tutto Dio, tutto Cristo, tutto lo Spirito Santo, si sono messi nelle mani dell’apostolo del Signore. Ma l’apostolo del Signore è tutto questo, se tutto l’apostolo del Signore è nelle mani di Dio Padre, di Cristo Signore, dello Spirito Santificatore. Se lui non si consegna interamente a Dio, neanche Dio si dona interamente all’apostolo. Dio non potrà più agire per mezzo dell’apostolo, perché l’apostolo non si è dato interamente a Dio. Nella consegna totale a Dio è la redenzione e la santificazione del mondo; nella non consegna il mondo è abbandonato a se stesso, anche se l’apostolo lavora in esso. Il suo è un lavoro dell’uomo, non è, non potrà mai essere il lavoro di Dio Padre, di Cristo e dello Spirito in lui. Nella consegna è la santificazione del mondo; nella non consegna è la perdizione del mondo. La vera pastorale è nella consegna dell’apostolo al Signore. Il resto, tutto il resto, lo farà il Signore, come lo ha fatto in Cristo che si è consegnato totalmente al Padre nello Spirito Santo.


Dio bontà eterna ed infinita. La natura di Dio è bontà eterna ed infinita. Tutto ciò che è nel mondo nasce, per volontà, per creazione, da questa bontà eterna ed infinita. Solo il Figlio Unigenito nasce fin dall’eternità, cioè prima del tempo e della storia, da sempre, da Dio per generazione. Se tutto proviene dalla bontà eterna ed infinita di Dio, tutto porta in sé questa immagine di bontà. Ogni cosa è uscita buona dalle mani di Dio. Ogni cosa si è deturpata, a causa del peccato dell’uomo, che ha trascinato il creato nella sua corruzione. Con Cristo però anche il creato ha ricevuto nuova forma di essere nel suo corpo glorioso, incorruttibile, immortale, spirituale. Ad immagine del suo corpo di gloria e di spirito, di luce, dobbiamo pensare noi i cieli nuovi e la terra nuova, dove tutto manifesterà ed esprimerà la bontà eterna ed infinita del nostro Dio.


Benedetti in Cristo. Dio ci ha benedetti in Cristo. Cristo è la nostra benedizione. Ci ha benedetti in Cristo creandoci per mezzo di Lui: del Verbo della vita; ci ha benedetti in Cristo, ricreandoci per mezzo di Lui, cioè del Verbo della vita incarnato, morto, risorto, gloriosamente asceso al cielo. La benedizione con la quale Dio ci ha benedetti in Cristo Gesù non consiste solamente nell’averci fatti a sua immagine e somiglianza, quindi impastati della sua carità e del suo amore eterni ed infiniti, quanto piuttosto nell’averci chiamati ad essere in tutto simili e conformi all’immagine del suo Figlio Unigenito, fino a farci divenire con Lui un solo corpo, una sola vita, un solo mistero di morte e di risurrezione, ma anche di gloria eterna nel cielo. La benedizione di Dio in Cristo è elevazione in Cristo, immersione in Lui, nel suo mistero, partecipazione alla sua missione, compimento sulla terra e nel cielo del suo stesso mistero di grazia e di verità.


Tutto è nell’eternità. Il mistero dell’uomo non è stato pensato da Dio dopo la sua creazione. Il mistero dell’uomo è tutto pensato e voluto da Dio nell’eternità, prima della creazione dell’uomo. Non c’è un mistero pensato da Dio, distrutto dall’uomo, o rovinato, e poi, nella storia, un altro intervento di Dio, per salvare il suo primitivo progetto. Queste cose le fanno gli uomini che fanno le cose ma non sanno poi cosa le cose facciano. L’uomo agisce così perché non sa cosa avviene di tutto ciò che lui fa fra un istante. L’uomo è colui che deve correre sempre ai ripari, deve incessantemente lavorare per migliorare ciò che ha fatto, perché con l’opera delle sue mani altro non fa che rovinare se stesso e l’intero creato, oppure perché è così imperfetta che necessita di più grande perfezione, al fine di produrre ciò che per cui una cosa è stata pensata. Dio invece è eterna sapienza, intelligenza, eterna visione della storia e dell’uomo e questo ancor prima che l’uomo esista. Ancora prima della creazione Dio ha visto l’uomo e la sua vita reale, ha visto la sua volontà, la risposta al suo comando. Ha visto che l’uomo senza Cristo in Lui mai sarebbe potuto divenire quello che è chiamato ad essere. Ha visto che è necessaria la grazia della redenzione nello Spirito Santo perché l’uomo raggiunga la perfezione alla quale è stato chiamato, secondo il progetto di Dio. Dio ha visto Cristo come progetto unico dell’uomo, ma ha visto Cristo crocifisso come progetto dell’uomo e questo prima della creazione del mondo, prima dell’inizio della storia. Dio ha visto l’uomo in Cristo e ha visto Cristo incarnato come la perfetta immagine dell’uomo. Questo è il progetto di Dio e questa la vocazione dell’uomo: divenire ad immagine di Cristo.


Cristo è insieme progetto di Dio e salvatore del progetto. Dio non ha nella sua mente, nel suo cuore, nella sua volontà se non Cristo. In Cristo vede ogni cosa e anche l’uomo, per Cristo vede ogni cosa e anche l’uomo; con Cristo vede il creato e anche l’uomo. Cristo Gesù è l’unico progetto di Dio, in quest’unico progetto di Dio ogni uomo deve inserirsi se vuole divenire ciò che è stato chiamato ad essere prima della fondazione del mondo. Dio, creando l’uomo, lo ha anche visto nella sua disobbedienza; creando l’uomo, lo ha voluto redento e salvato in Cristo, per Cristo, con Cristo. Cristo è il fine, il progetto, lo scopo di ogni uomo. In Cristo è la realizzazione della vera umanità. Questa è la verità secondo la quale siamo stati fatti, questa è anche la verità da realizzare. Cristo è la nostra verità. È la verità di ogni uomo, perché ogni uomo è stato creato in questa verità, perché si facesse secondo questa verità, divenisse la verità di Cristo nella storia. Cristo è l’unico progetto di Dio, ma anche il salvatore del progetto di Dio a causa dell’uomo visto da Dio condannato alla morte eterna senza la sua immersione nella verità di Cristo, senza la redenzione di Cristo, senza il dono dello Spirito di Cristo. Senza Cristo l’uomo è visto fin dall’eternità in uno stato di morte. È questo il motivo per cui Dio ha pensato l’uomo possibile solo in Cristo Gesù, possibile però solo attraverso un atto di redenzione che è salvezza del progetto di Dio. La redenzione per la croce è pensiero eterno di Dio, perché visione eterna di Dio è la morte dell’uomo senza la redenzione di Cristo, senza la sua incarnazione, senza la sua immolazione sulla croce. È questo il mistero dei misteri, è il mistero che Dio vede fin dall’eternità, a causa della creazione dell’uomo, che è stato fatto ad immagine di Dio, dotato anche di volontà che avrebbe potuto dire di no a Dio e quindi distruggere il mistero dell’uomo. Dio però fin dall’eternità non ha voluto che l’uomo distruggesse il suo mistero e fin dall’eternità ha pensato ad un modo infallibile perché il mistero fosse salvo in eterno: ha pensato Cristo, ha pensato l’uomo in Cristo, lo ha pensato redento e salvato, ma anche reso una sola vita in Lui.


Vocazione: santi e immacolati. Da Dio in Dio nella sua carità. È manifestata in questa frase qual è la vocazione dell’uomo, di ogni uomo: essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità. L’uomo ha una sua vocazione naturale, costitutiva del suo essere. Egli viene dalla carità di Dio, in Dio deve ritornare, ma rivestito della sua carità. Questo non può avvenire se non attraverso l’accoglienza di Cristo Gesù, divenendo con Lui una cosa sola, una sola vita, una sola carità crocifissa per obbedienza al Padre dei cieli.


L’essere incompiuto dell’uomo. Questa vocazione ci porta e ci conduce ad un’altra verità che caratterizza la natura dell’uomo. Egli come essere creato è stato fatto perfetto da Dio, ma incompiuto. Gli è stata donata la perfezione da realizzare, da raggiungere. Solo in questa perfezione è il compimento della sua natura, solo in questa perfezione l’uomo diviene, si fa uomo secondo il disegno di Dio. Se creato perfetto, ma incompiuto egli è obbligato, se vuole essere se stesso, ad iniziare un vero cammino di santità al fine di raggiungere la perfezione cui è stato chiamato da Dio nell’atto stesso della sua creazione. Se questo non lo fa, l’uomo sarà semplicemente abbozzato, ma non compiuto, ha iniziato il cammino nella sua umanità, ma non l’ha portato a compimento.


Pensato creatura e figlio. L’uomo per compiersi ha bisogno di sapere qual è la perfezione cui lo chiama il suo Signore. Prima di tutto deve rendersi perfetto come creatura, sviluppando e portando a compimento tutte le potenzialità che Dio ha racchiuso nella sua natura, creandola. Tutto questo non può avvenire se non attinge continuamente in Dio la verità sul suo essere e sul suo divenire. È la rivelazione che ci manifesta come l’uomo deve raggiungere la perfezione di se stesso. Deve raggiungerla attraverso l’osservanza della volontà di Dio. È Dio, è la sua volontà l’unica norma della perfezione dell’uomo. Oltre che come creatura, l’uomo dovrà rendersi perfetto anche come figlio. Figlio di Dio per natura è uno solo: Cristo Gesù. La vocazione dell’uomo è quella di rendersi in tutto conforme all’immagine di Gesù, Figlio unigenito del Padre. Se manca questo compimento, egli non si realizza. La sua umanità è come abbozzata, ma non compiuta; non è compiuta perché non ha formato dentro di sé l’immagine del Figlio Unigenito del Padre. Se poi esce dalla volontà di Dio, l’uomo non solo rimane incompiuto; cade nella morte nel tempo, che poi si consumerà nell’eternità come privazione di Dio nei tormenti dell’inferno.


Cosa è la predestinazione. La predestinazione cristiana e cattolica dice una sola verità: Dio ha stabilito, prima della creazione dell’uomo, qual è la vocazione dell’uomo. Questa vocazione poiché concepita senza il concorso, o la volontà dell’uomo si chiama predestinazione. L’uomo fin dall’eternità è predestinato ad essere conforme all’immagine di Cristo Signore. Questa vocazione non si compie da sé, si realizza attraverso la partecipazione attiva e responsabile dell’uomo, chiamato in causa, perché tutto se stesso è stato consegnato alla sua volontà. Dove c’è in gioco la volontà dell’uomo non si può più parlare di predestinazione in senso assoluto, nel senso cioè che Dio abbia deciso quale sarà la sorte futura dell’uomo, indipendentemente dalla volontà dell’uomo. Noi siamo chiamati, ma tutto è stato posto nella nostra volontà. Se vogliamo, possiamo realizzare Cristo in noi; se non vogliamo, Dio non costringe ad amarlo, a compierci, a realizzare la nostra vocazione.


La missione della Chiesa è nella realizzazione della vocazione dell’uomo. Se ci chiediamo ora qual è la missione della Chiesa, la risposta non può essere che una sola: la Chiesa deve aiutare ogni uomo a conoscere la propria vocazione, a sceglierla, a realizzarla, offrendo sempre ad ogni uomo quegli aiuti di verità e di grazia che Cristo ha posto nelle mani della Chiesa perché da essa fossero dati ad ogni uomo. Se la Chiesa non aiuta gli uomini a realizzarsi compiendo in loro l’immagine di Cristo Gesù, essa ha fallito la sua missione. Può fare tutto per l’uomo, ma in verità non ha fatto e non fa niente.


In Cristo, per Cristo, con Cristo si realizza la vocazione di ogni uomo. È Cristo la vocazione dell’uomo, ma è anche in Cristo, per Cristo, con Cristo che questa vocazione si realizza e si compie. La Chiesa deve perciò impegnare ogni sua energia spirituale e fisica perché Cristo sia dato ad ogni uomo, sia dato nella sua verità, nella sua grazia, sia dato come modello di vita, come Sacramento, come esempio, come presente e come futuro eterno dell’uomo. Se Cristo non viene dato, ma viene dato altro, la Chiesa ha fallito la sua missione, è venuta meno al suo mandato. Per questo bisogna porre ogni attenzione, ogni prudenza, ogni intelligenza e ogni sapienza perché solo Cristo sia il dono della Chiesa all’umanità intera.


Creazione e redenzione: unico mistero, unico progetto. Si è già detto: Creazione e redenzione sono un unico mistero, un unico progetto divino per l’uomo. Così anche come il mistero di Cristo è il mistero dell’uomo, mistero tutto realizzato da Cristo, mistero tutto da realizzare nell’uomo. Su questo bisogna insistere con maggiore incisività. Oggi c’è come un’allergia al mistero di Cristo e tutto nella Chiesa a volte si riduce ad un’opera di umanesimo, cioè del fare del bene agli altri. Noi non siamo stati chiamati a fare del bene agli altri, siamo stati chiamati a farlo come Cristo l’ha fatto, a donare cioè la vita per la conversione dei cuori, ma donarla divenendo una cosa sola in Cristo Gesù. L’unico mistero, l’unico progetto di creazione e di redenzione poiché si compie solo in Cristo Gesù, è in Cristo Gesù che è possibile realizzarlo, attuarlo. Al di fuori di Cristo ogni altro progetto non è quello vero, anche se realizzato, non compie l’uomo. Questa è la verità.


Dalla fede la missione. Qual è oggi la fede della Chiesa in base alla sua missione? È sempre dalla fede che dobbiamo partire, se vogliamo assolvere secondo verità alla missione che il Padre dei cieli ci ha consegnato in Cristo Gesù. È anche vero che osservando i frutti della missione della Chiesa possiamo sempre risalire alla fede che la anima dentro. È giusto che si dica che oggi la Chiesa ha perso molto della sua fede. Spesso non è Cristo che essa propone, ma una morale. Non c’è possibilità alcuna di osservare la morale, se non in Cristo, ma la nostra morale è la vita di Cristo, la nostra fede è Cristo, la nostra verità è Lui, come anche la nostra vita è Lui, perché Lui è la nostra grazia. La crisi vera della Chiesa attuale è la sua fede. In molti discepoli del Signore non c’è autentica e vera fede in Cristo, nel suo mistero, nella sua verità, nella sua grazia, nella vocazione eterna dell’uomo, che è quella di realizzare Cristo nella propria vita. Questa fede bisogna oggi inculcare, donare, annunziare, profetizzare, altrimenti avremo sempre dinanzi ai nostri occhi un uomo non solo incompiuto, ma nella morte, che compie solo atti di morte, perché incapace di compiere atti di vita e di verità.


Grazia vincibile”, “carne invincibile”. C’è un errore che oggi serpeggia in molte menti, e abita in tanti cuori. Costoro pensano che sia difficile, se non impossibile vincere la loro carne. Per cui da un lato per loro abbiamo la carne che è invincibile, mentre essa è vincibile; e dall’altro abbiamo la grazia da loro dichiarata vincibile, inefficace, mentre in verità essa è una potenza capace di sconvolgere ogni via umana, fino a portare l’uomo nelle più alte vette della santità di Cristo. Se non invertiamo la nostra fede, se non crediamo che la carne è vincibile, mentre la grazia invincibile, a poco a poco riusciremo a giustificare ogni peccato e veramente la nostra carne sarà resa invincibile, ma per nostra volontà, per nostra responsabilità e non certamente perché così realmente è la nostra carne.


La salvezza non è una sovrastruttura. Così concepita la salvezza, non è una sovrastruttura, è vera e propria vocazione. Se vocazione naturale e soprannaturale, se vero compimento del proprio essere, ognuno è obbligato a lasciarsi salvare da Cristo Gesù, se vuole portare a compimento se stesso. Cristo è necessario all’uomo per il suo essere più che il suo stesso essere, poiché solo in Cristo l’essere dell’uomo diviene se stesso, si fa, si realizza e si compie secondo la sua naturale e soprannaturale vocazione. In tal senso possiamo affermare che l’uomo così come è stato concepito da Dio è solo possibile in Cristo Gesù. Chiunque è fuori di Cristo, è anche fuori del disegno originario di Dio. A questo deve provvedere la Chiesa, cui è stata demandata la missione di portare e di condurre ogni uomo a Cristo, perché in Cristo, per Cristo e con Cristo compia la vocazione, realizzi il suo essere, diventi l’uomo voluto e pensato da Dio fin dall’eternità. In Cristo il compimento avviene solo per redenzione, ma la redenzione suppone la predicazione di Cristo, ma anche l’accoglienza di Cristo. Non c’è redenzione, se manca la predicazione di Cristo, non c’è redenzione se non avviene l’accoglienza di Cristo, se non si diviene con Lui un solo mistero e una sola vita.


In Cristo per remissione. Cosa è la remissione. La remissione è il perdono del peccato, di ogni peccato, sia quello originale che attuale. La remissione è per Cristo, perché Cristo ha espiato per noi. È stato Lui che ha tolto il nostro debito, cancellato il nostro peccato. La remissione dei peccati è opera della ricchezza della grazia che Dio ci ha dato tutta in Cristo Gesù. La remissione avviene sulla croce. Questo deve insegnarci che ogni remissione ha un costo e il costo è la croce del Figlio di Dio Incarnato, è la croce di Dio. Dio nel suo Figlio diletto è morto perché noi avessimo cancellata la nostra colpa, espiato il nostro peccato, fossimo elevati a dignità divina ed eterna, attraverso la partecipazione dell’uomo alla natura divina. La remissione ci insegna che se il peccato è costato la croce di Cristo, ciò significa che ogni peccato costa la croce di Cristo. Chi ama Cristo libera Cristo dalla croce, perché ogni peccato è crocifissione di Cristo Gesù.


Dio impegna se stesso nell’opera della redenzione. Nell’opera della nostra redenzione Dio ha impegnato tutto se stesso, impegnando tutto il Figlio e lo Spirito Santo. Essa è però l’opera di Dio e dell’uomo; è l’opera dell’Uomo-Dio, ma anche deve essere l’opera di ogni uomo in Dio, cioè nell’Uomo-Dio. Anche questa verità è difficile da comprendere, da accogliere, da vivere. Si vorrebbe oggi la redenzione come sola opera di Dio. Questo è impossibile. Essa deve sempre rimanere unica opera di Dio, ma anche unica opera dell’uomo, fatta da Dio nel Dio-Uomo, fatta dall’uomo nel Dio-Uomo. Nel Dio-Uomo l’uomo e Dio compiono la redenzione dell’uomo. Anche questa verità oggi viene poco annunciata, poco proclamata. È come se Cristo, l’Uomo-Dio non fosse più necessario alla nostra redenzione, alla nostra partecipazione alla redenzione del mondo. Invece tutto è in Cristo che avviene. Dio opera in Cristo, l’uomo opera in Cristo, per l’uomo e Dio che opera in Cristo, per Cristo e con Cristo continua il mistero della redenzione nell’oggi della storia, fino alla consumazione dei secoli.


Il mistero per rivelazione. Rivelazione e compimento del mistero: una cosa sola. Chi vuole conoscere il mistero eterno che lo avvolge, può conoscerlo solo per rivelazione. Nella nostra coscienza c’è la nozione del bene, non del mistero; c’è tuttavia una sete a trascendersi sempre; ma questa sete se non viene abbeverata dal mistero conosciuto, perché rivelato, è una sete che va ad abbeverarsi a cisterne screpolate, piene di fango, che non contengono acqua. È quanto avviene all’uomo non avvolto da questo mistero, che si disseta con il peccato, non sapendo che il peccato è come l’acqua salata, più uno ne beve e più ha sete. Il sale aumenta la sete del corpo allo stesso modo che il peccato la sete dell’anima. Tuttavia c’è da puntualizzare che la rivelazione del mistero è vera conoscenza quando il mistero lo si compie, lo si realizza, si diviene con esso una sola verità e una sola grazia. Chi non entra nel mistero, chi non diviene una cosa sola con questo mistero, non conosce il mistero e anche se gli viene rivelato rimane una cosa estranea per lui.


Non è questione di bene. È questione di essere. La verità cristiana allora non è questione di bene, di fare questa o quell’altra cosa, è invece questione di essere, di divenire se stessi, di realizzare se stessi secondo il mistero che Dio ha predisposto per noi fin dall’eternità. Questa differenza dovrà sempre cogliere chi vuole aiutare l’uomo nel suo divenire e nel suo farsi. Chi propone all’uomo solo un bene da realizzare, non conosce il suo mistero, non lo vive, non si è addentrato in esso. Solo chi è nel mistero di Cristo, che è mistero dell’uomo, può presentare il mistero, al mistero può invitare, può anche aiutare l’uomo perché viva e si compie nel mistero di Cristo che è il suo unico e solo mistero.


Per benevolenza eterna. La pienezza del tempo. La benevolenza di Dio, il suo amore, la sua misericordia per l’uomo sono fin dall’eternità. Fin dall’eternità l’amore di Dio per l’uomo è di creazione, di redenzione, di vocazione ad essere ad immagine del Figlio suo. Questo amore però Dio lo riversa nell’uomo con la creazione, all’inizio del tempo e della storia; lo riversa con la redenzione e l’elevazione alla dignità di figli adottivi con l’Incarnazione, Passione, Morte, Risurrezione e Ascensione gloriosa al cielo di Cristo Gesù. Con Cristo il tempo si compie, è pieno. È pieno di grazia e di verità; in più, di santificazione e di elevazione. Nessun altro tempo deve attendere l’uomo, nessun’altra grazia e nessun’altra verità. Tutto l’amore di Dio gli è stato comunicato, consegnato, dato, elargito in tutta la sua magnificenza.


Cristo capo della creazione. Eredi in Lui. Cristo: vocazione eterna dell’uomo. È questo il vero mistero della creazione. La creazione è stata fatta per mezzo del Figlio. Cristo Gesù, Verbo Eterno del Padre, è la luce e la vita dell’intera creazione. Cristo Gesù, Verbo Eterno del Padre, che si fa uomo nel seno della Vergine Maria, è costituito da Dio Capo dell’intera creazione. La luce, la vita, la santificazione, la redenzione dell’uomo e della creazione è da Lui, in Lui, per Lui. Come Signore e Capo, attraverso il suo Corpo, egli deve condurre ogni cosa al Padre, deve consegnarla a Lui, perché presti a Lui l’adorazione di una obbedienza totale, piena, perfetta. Cristo è l’unico erede di Dio, erede nel senso che tutti i beni divini del Padre sono di Cristo, il Padre li ha consegnati a Lui. In Cristo, per Cristo, con Cristo, nel suo corpo, come suo corpo, anche i redenti sono costituiti eredi, perché in Cristo, con Cristo, per Cristo sono stati fatti figli del Padre. Figli nell’unico Figlio, nel suo Figlio Unigenito. Per questo motivo Cristo è la vocazione eterna dell’uomo. Ogni uomo è chiamato a Cristo, per vivere in Cristo, con Cristo, per Cristo, nel tempo e nell’eternità. Fuori di Cristo non c’è vita per l’uomo, per nessun uomo. La vita sia di creazione sia di redenzione è solo di Cristo, in Cristo, con Cristo, per Cristo, nel suo corpo trafitto e glorioso.


L’uomo: manifestazione della gloria di Dio. L’uomo, creatura di Dio, è chiamato a lasciarsi redimere da Cristo e santificare dallo Spirito Santo. La redenzione è la liberazione da ogni peccato, è anche l’elevazione alla vita di figli. La santificazione è l’immersione dell’uomo nella grazia santificante che deve renderlo a perfetta immagine di Gesù Signore. Vivendo come Cristo, santo e immacolato, nella grazia e nella verità di Dio, l’uomo rende gloria a Dio, perché lo proclama non solo Signore della sua vita, ma anche il suo Santificatore, il suo Redentore, il suo Salvatore. La vita dell’uomo che riconosce la grazia e la verità con le quali Dio lo ha avvolto, che nella grazia e nella verità conduce i suoi giorni, attraverso una perfetta imitazione del Signore, attesta e manifesta l’amore di Dio e quindi dona a Dio tutta la gloria che gli è dovuta. Egli è riconosciuto l’unico Signore della creazione, l’unico Signore della Redenzione, l’unico Signore di tutto il bene che l’uomo compie. L’uomo rende gloria a Dio quando lo riconosce come l’unica sorgente di vita e da quest’unica sorgente attinge la vita di verità e di grazia con la quale deve rivestire i suoi giorni sulla terra. È questa la gloria che Dio vuole.


Israele: strumento storico per la realizzazione del mistero nel tempo. San Paolo riconosce al suo popolo una gloria unica, che appartiene solo ad esso. Il popolo dell’alleanza è lo strumento storico attraverso il quale è stata possibile l’Incarnazione del Verbo della vita. Gesù è discendenza di Abramo, questa gloria nessuno potrà mai toglierla ad Israele. Il mistero della redenzione si è potuto realizzare perché il Signore ha chiamato Abramo, Abramo ha risposto e attraverso la sua discendenza della carne ha avuto nascita la discendenza secondo la promessa di Dio. Questa gloria ogni cristiano deve tributare al popolo dell’Antica Alleanza, pregando per esso, perché il Signore lo ricolmi della sua grazia e della sua benedizione, frutto della morte e della risurrezione di Cristo Gesù, perché tutto Israele riconosca Cristo Signore come la discendenza di Abramo, il Frutto benedetto, nel quale dovranno essere benedette tutte le tribù della terra, compreso lo stesso Israele.


Dall’ascolto la verità. Quale fede oggi nella Parola? Come si predica la Parola? Parola e Vangelo sono la stessa cosa? Per Paolo ci sono alcune verità che il cristiano mai deve dimenticare. La prima verità è questa: non c’è verità di salvezza se non dalla predicazione della Parola. La fede nasce dall’ascolto. La seconda verità è: la predicazione deve essere l’annunzio, solo l’annunzio della Parola di Dio. Anzi per lui, dopo l’esperienza di Atene, la predicazione è solo Cristo e questi Crocifisso, annunziato e proclamato come l’unico Salvatore, il solo Redentore dell’umanità. Se la Parola predicata è la via della verità, dobbiamo affermare che oggi c’è poca verità, perché c’è poca Parola annunziata. C’è un annunzio frammentario della Parola e quindi c’è una verità cristiana assai frammentata, spezzettata. La terza verità è questa: Vangelo e Parola non sono la stessa cosa: la Parola è il veicolo attraverso il quale si annunzia la buona novella. Il nostro Vangelo è Cristo, la sua croce, la sua morte espiatrice, la sua risurrezione salvatrice. Questo Vangelo vivo e vivente viene dato attraverso la Parola. Se la Parola non contiene il Vangelo vivo e vivente, essa non è Parola che genera la fede, perché non conduce a Cristo che è l’unico oggetto della fede per ogni uomo. La nostra fede è Cristo e questi Crocifisso. La fede è sempre oltre la Parola, anche se la Parola, compresa nella sua verità per opera dello Spirito Santo, detta i limiti della fede.


Parola e fede: via della salvezza. Parola e fede: suggello dello Spirito Santo. La Parola genera la fede quando è accolta nel nostro cuore. Parola e fede sono la via della salvezza. Se la Parola non viene seminata non c’è fede; se la fede non nasce nel cuore per opera dello Spirito Santo, la Parola rimane infruttuosa e non genera salvezza in noi. Parola e fede nello Spirito Santo sono pronunciate, sono accolte, sono fatte fruttificare. Se alla Parola e alla fede manca il suggello dello Spirito Santo non creano salvezza nei cuori, non fanno crescere in grazia e in sapienza coloro che l’ascoltano. Lo Spirito Santo è la vita della Parola e della fede.


Verità e Scrittura coincidono? Se verità e Scrittura coincidessero avremmo una sola verità come una sola è la Scrittura. Verità e Scrittura non coincidono a causa della comprensione della Scrittura. La Scrittura è il libro dello Spirito Santo. Lui lo ha scritto, anche se per mano di agiografi, Lui è il solo che lo possa leggere, il solo che lo possa anche interpretare. Lui è la verità della Scrittura. Chi va alla sua scuola, chi da Lui si lascia interpretare la Scrittura, entra nell’unica verità dello Spirito Santo; chi invece legge la Scrittura con la sola sua mente, con il cuore indurito dal peccato, costui non trova la verità dello Spirito nella Scrittura, troverà la verità del suo cuore e quindi la falsità che avvolge tutta intera la sua vita. La Scrittura tutti la possono leggere, non tutti però la comprendono, non tutti vedono la verità che è in essa contenuta. Vede la verità solo chi la legge con gli occhi dello Spirito Santo, con la volontà però di accoglierla nel suo cuore e di farla diventare sua vita. Questa è la via perché vi sia unità tra Scrittura e Verità. Fuori di questa via non c’è unità, c’è solo falsità che l’uomo dal suo cuore proietta nella Scrittura e l’attribuisce a Dio. Tutte le falsità nascono da un cuore inquinato dal peccato, da una mente superba che non vuole chinarsi per ascoltare cosa dice lo Spirito per la salvezza della sua anima e del mondo intero.


Caparra donata, caparra accettata. Caparra per oggi e non solo per domani. Lo Spirito Santo è stato costituito da Dio caparra della nostra salvezza. Dio ci ha acquistati per sé, ci vuole per sé, non domani, ma oggi; non solo nel regno futuro, ma anche in questo tempo. Oggi ci ha acquistati per Cristo, per fare di noi un dono per il Figlio Suo Unigenito. Che siamo di Cristo, che apparteniamo a Dio la certezza ci viene dallo Spirito che ci è stato donato, e ci è stato donato perché ci trasformi in esseri cristiformi, interamente ad immagine di Cristo. Lo Spirito ha il divino mandato di suggellarci in Cristo, suggellarci con Cristo, suggellarci per Cristo. È questo il “sacramento” che tutti dobbiamo ricevere, il “marchio santo”, della nostra appartenenza a Dio, a Cristo, per opera dello Spirito Santo. Lo Spirito ci suggella facendoci una cosa sola con Cristo, un solo corpo, un solo figlio in Lui, una sola vita, una sola eredità, un solo regno eterno per il nostro Dio e Signore. Tutto questo però non può compiersi senza la volontà dell’uomo. La caparra donata deve divenire caparra accettata, altrimenti lo Spirito non potrà portare a compimento il mistero di Cristo nel nostro spirito e nel nostro corpo e nella nostra anima.


Per entrare nel suo tutto dobbiamo conoscere tutto. Chi vuole penetrare o entrare nella pienezza del mistero di Cristo, deve farlo anche attraverso la via della conoscenza. Dobbiamo conoscere Cristo, la sua opera di salvezza e di redenzione, di giustificazione e di eredità di gloria racchiusa nel cielo. Questa conoscenza non è frutto che nasce dalla terra; è dono di Dio. Allo Spirito dobbiamo chiedere che ci rivesta della sua intelligenza, della sua sapienza e della sua scienza, perché possiamo conoscere Cristo come Lui lo conosce, amarlo come Lui lo ama, vivere della sua comunione di verità e di amore come Lui la vive nel cielo. Dalla preghiera una vita nuova nasce nella nostra mente, nel nostro cuore, nella nostra anima.


Crede in Cristo chi fa della sua vita un dono d’amore. Cristo è il dono d’amore di Dio all’umanità intera. Conosce Cristo chi fa della sua vita un dono d’amore a Cristo per l’umanità intera. Conosce Cristo chi gli offre la vita perché ne faccia un dono di salvezza, come Lui è il dono di salvezza del Padre in favore dei suoi fratelli secondo la carne. Se questa offerta dell’intera vita non viene fatta, noi non solo non crediamo in Cristo, neanche lo conosciamo secondo verità. Nel nostro cuore regna una falsa conoscenza di Cristo Gesù che non genera salvezza né per noi, né per il mondo.


Carità verso i santi. Carità e Spirito Santo. Fede e carità visibili. San Paolo vuole che la prima forma della carità sia verso i santi. Perché? Questi sono chiamati a portare Cristo nel mondo. Perché questa missione sia svolta secondo pienezza di verità e di grazia, i nostri fratelli secondo la fede, devono sentirsi amati da noi, da noi sorretti, da noi spronati, aiutati spiritualmente e anche materialmente. Si vive di carità verso i santi perché i santi possano dare al mondo intero la Carità di Dio, Cristo Gesù nostro Signore. La carità vera deve però riversarla nei nostri cuori lo Spirito Santo. Se ci distacchiamo dallo Spirito non possiamo più amare, perché saremo privi della sua vera carità con la quale amare i nostri fratelli nella fede. Infine sia la carità come la fede devono essere visibili dai nostri fratelli di fede e di carità. La prima visibilità della nostra fede e della nostra carità deve essere manifesta nella Chiesa di Dio. Attraverso questa visibilità si riceve forza, incoraggiamento, sprone, aiuto concreto perché si possa avanzare fino alla croce. Se manca questa visibilità, facilmente il peccato, l’errore, la menzogna, lo scoraggiamento prende posto nel cuore e a poco a poco lo allontana dall’opera della salvezza. Su questo c’è tutta una nuova pastorale da impostare: è la pastorale della visibilità all’interno delle comunità cristiane della nostra fede e della nostra carità.


Perché pregare e per chi? Pregare per comprendere. La nostra vita è dalla nostra fede che si fa preghiera. La preghiera è la fonte della vita di grazia e di verità. Tutto è in Dio, tutto è un dono della sua grazia. Tutto, indistintamente tutto deve essere a Lui chiesto attraverso una preghiera intensa, del cuore, perseverante, senza interruzione, convinta, che impegna tutta la nostra fede. La conversione è dono, la comprensione è dono, il progresso spirituale è dono, la santificazione è dono, le opere buone sono dono di Dio, la buona volontà è dono di Dio. Sia la vita spirituale, che materiale, del singolo, come della comunità, del mondo intero è dono dell’Onnipotente Signore, per Cristo, nello Spirito Santo. Questa è la nostra fede, questa la nostra certezza, questa anche la nostra verità, questo il nostro Vangelo. Si prega per ogni cosa e per tutti; sapendo che tutto discende dal Padre dei cieli, dinanzi a Lui ci si prostra e a Lui ogni cosa si chiede per la salvezza dell’anima e del corpo, nostra e dei nostri fratelli. Si chiede altresì ogni altro strumento, mezzo, forma, modalità, attraverso cui una più grande grazia di Dio si riversa in noi e nel mondo. Persone e cose tutto deve essere chiesto a Dio nella preghiera.


Tutto è per rivelazione. Dalla conoscenza di Cristo cambia la vita. Su questa tematica qualcosa si è già accennato. La mente umana non può penetrare il mistero di Dio, dell’uomo, della storia, del creato, dell’aldilà. Vita e morte, presente e futuro sono avvolti dal mistero. Il mistero solo Dio lo può svelare, solo a Lui si può chiedere di svelarcelo, di mostrarlo chiaro ai nostri occhi, agli occhi del nostro spirito. Il mistero per noi è Cristo Gesù. Mistero da realizzare tutto intero nella nostra vita. È chiaro che nessuna realizzazione sarà mai possibile senza una conoscenza perfetta dello stesso. Chi può rivelare Cristo al nostro cuore è solo lo Spirito Santo; a Lui bisogna rivolgersi perché ci dia l’intelligenza chiara del mistero da realizzare. Tutto cambia in una vita che conosce e realizza il mistero. Se la nostra vita non diviene la realizzazione del mistero di Cristo, fallisce, svanisce nel tempo, si perde nell’eternità. Per questo c’è una pastorale nuova che bisogna impostare nel popolo cristiano: questa pastorale nuova è l’insegnamento della rivelazione sul mistero di Cristo, perché ciascuno possa conoscerlo e conoscendolo lo attui secondo modalità che lo stesso Spirito Santo suggerirà al suo cuore e al suo spirito.


Qual è la speranza cristiana? La speranza cristiana deve essere una sola: realizzare sulla terra il mistero di Cristo, per viverlo tutto nella gloria del Cielo. Il nostro presente è Cristo, il nostro futuro è anche Cristo. A Cristo bisogna tendere, verso Cristo camminare, in Cristo inserirsi, per Cristo vivere, con Cristo realizzare Cristo in noi e fuori di noi, ma sempre attraverso la nostra opera evangelica. Tanto più forte è il desiderio nel cuore di realizzare Cristo, tanta più grande deve essere la speranza di portare a compimento quest’opera che è poi la nostra vocazione. Per questo urge che ognuno seriamente si impegni in questa realizzazione, non da solo, ma aiutato dai suoi molti fratelli nella fede. Insieme si conosce, insieme si prega per conoscere, insieme si realizza, insieme si cammina, insieme si aiuta il mondo intero a conoscere e a realizzare Cristo Gesù. È questa l’unica vocazione e l’unica missione che è stata affidata, consegnata da Dio ad ogni uomo.


Frutti della grazia. La potenza della grazia. Chi vuole produrre frutti di grazia, deve essere convinto nel suo cuore con convinzione di fede che tutto è dalla grazia di Dio. Deve altresì credere che la forza, la potenza della grazia è veramente irresistibile. Se non si parte da queste due convinzioni di fede, di tutto si fa un’immanenza, tutto si rovina, perché si cerca la soluzione in noi, nelle nostre risorse umane, ma non la si cercherà mai la soluzione là dove essa si trova, in Dio e nella potenza della sua grazia.


Chiesa: corpo di Cristo, vita di Cristo. Come si realizza Cristo in noi, in ogni cosa? Per vivere la nostra appartenenza alla Chiesa secondo verità dobbiamo possedere una dottrina chiara nel nostro spirito e soprattutto nel nostro cuore: la Chiesa è il corpo di Cristo, ma è il corpo di Cristo per vivere tutta intera la vita di Cristo, fino all’immolazione sull’albero della croce. È possibile vivere la vita di Cristo nel suo corpo, è possibile realizzare Cristo in noi e in ogni cosa? La risposta è un sì netto: è possibile realizzare Cristo. Lo si realizza però in un solo modo: compiendo la sua stessa obbedienza e per questo è necessario mettersi costantemente in preghiera e domandare allo Spirito Santo che muova il nostro cuore, la nostra volontà, i nostri pensieri nel cuore, nella volontà, nei pensieri del Padre nostro che è nei cieli. Cristo è l’obbediente; il cristiano è chiamato in Cristo ad essere anche lui l’obbediente. In questa obbedienza realizziamo la vita di Cristo, cooperiamo alla redenzione dei fratelli, perché viviamo la vita di Cristo, nel suo corpo, che è la Chiesa.




 


Credente
00giovedì 1 novembre 2018 19:05

CAPITOLO SECONDO


Gratuità della salvezza


[1]Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati,


Dall’eternità, dal mistero di Cristo pensato da Dio e realizzato dal Verbo Incarnato nella pienezza del tempo, Paolo passa ora alla storia concreta di ogni uomo. Qual è questa storia?


Essa è una storia di morte. Cristo è la vita. Cristo è la nuova vita. L’uomo ha perso la vita all’inizio del tempo, appena è stato creato e posto nel Giardino dell’Eden.


Questa vita non se la può dare da sé. La vita è il Verbo, e l’uomo non è il Verbo. Quindi l’uomo non è la vita. Avendo perso la vita, egli è senza vita, è semplicemente nella morte.


Questa è la verità. Oggi molti sono quelli che la negano. Dicono che l’uomo non è nella morte senza Cristo, mentre tutti gli atti che egli compie senza Cristo, attestano che lui è veramente nella morte, poiché i suoi atti sono atti di morte e non di vita.


Se non partiamo da questo principio di fede, non solo non comprendiamo chi è veramente Cristo, davvero ignoriamo la potenza della sua risurrezione che deve agire in noi, inganniamo anche l’uomo e lo inganniamo in nome della fede in Cristo Gesù e questo è un tradimento di Cristo e dell’uomo.


Si dice che l’uomo è nella vita, senza Cristo; si dice che Cristo è la vita, ma non dell’uomo. Si dice che l’uomo si deve realizzare in Cristo e poi si dice che Cristo non si deve realizzare pienamente in ogni uomo.


Così si distrugge il mistero di Cristo e il mistero dell’uomo e questo sta avvenendo ai nostri giorni, a causa di molta teologia che ignora totalmente il mistero di Cristo per rapporto alla vita che deve essere data agli uomini e così lascia l’uomo nella morte e poi pretende che quest’uomo operi frutti di vita.


Questa è la tentazione, o la seduzione cui soggiace oggi molta teologia e molti teologi, i quali parlano di Cristo in modo assai strano, falso, ambiguo e lo fanno in nome di un uomo che dicono essere in vita senza Cristo, mentre è semplicemente nella morte.


Paolo lo dice con chiarezza gli Efesini un tempo erano morti. La causa della morte è il peccato e la colpa. La causa della morte è prima di tutto il peccato originale, poi sono tutti gli altri peccati personali che un uomo nella morte commette. È proprio di colui che è nella morte commettere peccati gravi, aggiungendo peccato a peccato e colpa a colpa, aggravando ulteriormente la sua situazione di un essere votato alla morte che vive nella morte, a meno che non gli venga dato Cristo, il solo che libera dalla morte e reintroduce nella vita.


Non c’è uno stadio intermedio tra la morte e la vita. O si è nella vita e questo avviene solo in Cristo Gesù, o si è nella morte a causa del peccato. L’uomo senza Cristo è nella morte. Questa la sua situazione. Morte alla verità, morte alla grazia, morte alla vita eterna.


Se è nella morte, si può salvare senza la conoscenza esplicita di Cristo Gesù? Paolo ha una sola risposta: la salvezza viene dall’osservanza della legge che la coscienza detta all’uomo come bene e come male, il bene per farlo, il male per evitarlo. Questo vale quando Cristo non è stato annunziato, dal momento che si predica Cristo e l’uomo lo rifiuta, si rifiuta di credere in Lui, Dio gli domanderà conto del perché del suo rifiuto e lo giudicherà secondo la sua personale responsabilità, responsabilità che solo Dio può valutare e di conseguenza solo Lui può giudicare, assolvere, o condannare.


A noi interessa in questo primo versetto affermare che senza Cristo si vive nel regno della morte. Gli altri dicano quello che vogliono. La verità è questa e chi ama l’uomo deve partire necessariamente da questa verità.


[2]nei quali un tempo viveste alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle potenze dell'aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli.


Questo versetto è la continuazione e in qualche modo anche la spiegazione del mistero della morte che si è abbattuto sull’uomo.


Prima della conoscenza di Cristo gli Efesini vivevano nei peccati e vivevano alla maniera di questo mondo.


Erano cioè immersi nei peccati, senza che la loro coscienza in qualche modo potesse intervenire per liberare dal peccato che si commetteva.


Coscienza impotente, volontà impotente, ragione ed intelligenza impotenti, inefficaci. Questa è la reale situazione dell’uomo che vive nella morte.


Gli Efesini erano sotto il dominio del principe di questo mondo, al quale secondo le antiche credenze religiose veniva assegnato anche un posto. Esso agiva ed operava nelle bassi regioni dell’aria.


Ma questa è una credenza del tempo, alla quale gli uomini prestavano fede e che Paolo non smentisce perché questo non incide in nulla sul dominio e sulla potenza di satana sugli uomini senza Cristo che vivono nella morte.


Ciò che a Paolo interessa affermare è il fatto che gli uomini che vivono nella morte e come se si fossero consegnati interamente a satana. È lui che seguono e non la verità, il bene. Dietro di lui vanno e non dietro il Signore.


Questa è la reale situazione del mondo, inutile farsi illusione, oppure pensare diversamente.


Sono due i signori che si contendono l’uomo, uno vero e l’altro falso, uno signore di verità e di carità, l’altro signore di invidia, di inganno, di menzogna, di ambiguità e di ogni altra sorta di male. Questi signori sono uno legittimo e l’altro è un usurpatore di un posto che non è suo. Questi due signori sono Cristo e satana, Cristo e il principe di questo mondo.


Gli Efesini si sono sottratti al governo di satana e si sono posti nel governo di Cristo Gesù, che muove i cuori e li attrae al bene per opera del suo Santo Spirito.


Quanti invece non hanno Cristo, sono rimasti e rimangono sotto il potere di satana, che opera negli uomini ribelli. Chi sono gli uomini ribelli? Sono coloro che si oppongono alla verità e in modo particolare combattano il Signore della verità, che è la Verità, la Saggezza, la Sapienza eterna di Dio in questo mondo, Cristo Gesù Signore nostro.


La vera ribellione è l’opposizione a Cristo Gesù. Cristo è la vita. L’uomo è nella morte. Satana è il principe della morte. Cristo vuole l’uomo nella vita. Satana vuole l’uomo nella morte. Cosa fa perché non passi nella vita? Lo rende ribelle a Cristo Gesù, lo seduce e lo tenta perché rinneghi Cristo, lo combatta, lo rifiuti, si ribelli alla sua dottrina, si opponga risolutamente al suo Vangelo.


Ogni opposizione da parte dell’uomo al Vangelo della vita è il segno che satana ha preso possesso del cuore di quell’uomo e lo governa a suo piacimento e il piacimento di satana è uno solo: distruggere Cristo dai cuori, perché Cristo è l’unico che dona la vita e che riporta l’uomo in vita, liberandolo dalla schiavitù del peccato, risanandolo ed elevandolo a dignità divina.


[3]Nel numero di quei ribelli, del resto, siamo vissuti anche tutti noi, un tempo, con i desideri della nostra carne, seguendo le voglie della carne e i desideri cattivi; ed eravamo per natura meritevoli d'ira, come gli altri.


In questo versetto Paolo descrive qual è la situazione dell’uomo in generale, dell’uomo che è senza Cristo Gesù.


Prima di tutto non c’è distinzione quanto a morte tra Giudei e pagani. Chi è senza Cristo, chi non tende a Cristo, chi non guarda a Lui, anche solo con il desiderio della conoscenza della verità tutta intera, costui è nella morte.


Su questa verità non possono esistere dubbi, incertezze, ambiguità, malintesi, cattive interpretazioni, frasi che dicono e non dicono e mentre dicono fanno intendere il contrario.


Senza Cristo l’uomo è con i desideri della carne, segue le voglie della carne e i desideri cattivi.


È facile sapere se un uomo è con Cristo, o senza Cristo, se è nella morte o nella vita, se cammina nella verità o nella menzogna.


È sufficiente che lo si osservi nel suo rapporto con i desideri e le voglie della carne e con i desideri cattivi.


Se lui fa regnare nel suo essere la carne e i suoi frutti, le voglie della carne e i desideri cattivi, lui non è ancora stato afferrato dalla vita che è Cristo Gesù, che è in Cristo Gesù e che ci viene data per virtù del suo Santo Spirito.


I frutti della carne che noi operiamo attestano e manifestano che noi siamo senza Cristo. Cristo è la vita. Dove regna lui regna la vita. Satana è la morte. Dove regna lui, regna la morte. Chi è con Cristo entra nella vita e distrugge la morte e i suoi frutti di morte che vengono operati attraverso la carne. Chi è con Cristo entra nella vita e produce frutti di Spirito Santo in abbondanza.


Ed eravamo per natura meritevoli d'ira, come gli altri: Paolo con queste parole si riferisce direttamente ai Giudei, parla di se stesso, del suo popolo, che si è ribellato a Cristo Gesù, che non lo ha accolto.


Quando un figlio di Abramo non guarda a Cristo, non attende Cristo, non cammina verso di Lui, Lui non desidera, a Lui non guarda come una cerva assetata va in cerca dei corsi di acqua, è segno che anche lui segue il principe di questo mondo e si sta incamminando verso sentieri di morte.


Qual è il salario sia per il Giudeo che per il pagano che è sotto il principe di questo mondo? Egli per natura è meritevole d’ira. È meritevole cioè non di un giudizio di misericordia, ma di un giudizio di colpevolezza, di un giudizio di condanna.


È giusto che Dio riversi su di lui la sua ira e non la sua misericordia. Questo è lo stato dell’uomo senza Cristo, sia esso Giudeo che pagano.


Dicendo per natura meritevoli d’ira, non si intende la natura così come è stata creata da Dio. Si vuole invece significare la natura così come essa ha voluto farsi, cioè natura senza Dio.


Ora è proprio della natura senza Dio essere meritevole d’ira, cioè di condanna e la condanna altro non è che la continuazione della morte fisica e spirituale che si trasforma e si muta in morte eterna.


L’ira di cui è meritevole la natura è l’inferno. Questa è la situazione dell’uomo senza Cristo, dell’uomo che non cammina verso di Lui, dell’uomo che lo rifiuta, lo combatte, diviene ostile a Lui.


Ma Dio abbandona quest’uomo a se stesso? Lo lascia in balia del principe di questo mondo? Lo consegna per sempre alla morte, anche se per natura, perché così si è fatto, ha voluto farsi, vuole farsi?


La risposta di Paolo anche in questo è chiara, nitida, precisa, puntuale.


[4]Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati,


È, questa, la più bella definizione di Dio nei riguardi dell’uomo. Dio in se stesso, nella sua natura è carità, amore, misericordia eterna ed infinita, amore e misericordia che mai si esauriscono, mai vengono meno, mai si incrinano.


La misericordia è la natura di Dio, come la carità, come l’amore, la benevolenza ed ogni altra virtù.


Questa misericordia non se la conserva, non la tiene prigioniera nella sua natura divina, o all’interno della trinità delle persone divine.


Questa misericordia egli l’ha abbondantemente riversata su di noi. Lo abbiamo già detto: l’ha riversata per creazione e per redenzione, per rigenerazione e per elevazioni.


Nulla ha risparmiato Dio in misericordia. Egli ha trattato l’uomo con la ricchezza della sua misericordia. A giusta ragione Paolo dice che Dio è ricco di misericordia, ricco di amore, ricco di benevolenza, ricco di bontà e quindi ciò significa che egli è ricco di salvezza, ricco di perdono, ricco di compiacenza verso l’uomo peccatore, che egli vuole salvare.


La ricchezza della misericordia di Dio diviene in Paolo amore grande, grandissimo, amore eterno, divino.


Con questo amore egli ha amato l’uomo da sempre, lo ha amato ancor prima di crearlo e lo ha creato perché lo ha amato. Così lo ha redento ancora prima di crearlo, perché lo ha amato nel suo Figlio Unigenito, lo ha amato nella comunione dello Spirito santo.


La ricchezza della misericordia e il grande amore di Dio precedono la creazione dell’uomo, precedono il suo peccato, la sua trasgressione. L’amore e la misericordia di Dio sono l’habitat divino nel quale viene creato e redento l’uomo.


Se non partiamo da questo amore preveniente non comprendiamo niente del nostro Dio, non riusciremo mai a penetrare il mistero di Cristo.


L’amore di Dio in Cristo ci ha creati, l’amore di Dio in Cristo ci ha redenti, l’amore di Dio in Cristo, che egli effonde su di noi per opera dello Spirito Santo, è l’amore che ci strappa dal peccato e dalla morte e ci conduce nel regno della vita e dell’obbedienza che è ascolto e risposta all’amore che Dio ha per noi.


[5]da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati.


La verità ormai è chiara, limpida. Tutto il mondo è morto a causa del peccato. Per il peccato è morto il Giudeo e per il peccato è morto il pagano, senza alcuna differenza.


La vita ritorna sulla terra, nei cuori, nelle menti, nell’anima, nel corpo solo con Cristo.


Dio ci ha fatti rivivere con Cristo. “Con Cristo” è da intendersi anche per Cristo e in Cristo. Non ci può essere vita “con Cristo” che non sia anche “in Cristo” e “per Cristo”.


La vita è Cristo, la vita è da Cristo, si attinge in Cristo, si vive con Cristo, si vive per Cristo. Cristo è il fine dell’uomo. Ma anche la via della vita, la forma della vita, il corpo nel quale dobbiamo essere inseriti se vogliamo rivivere, se vogliamo ritornare in vita.


Tutto questo mistero che si compie in Cristo avviene per grazia, è grazia di Dio.


Questo dono di vita che è salvezza, è prima di ogni altra cosa una grazia che il Signore ci concede. Ce lo concede a motivo della sua misericordia.


Paolo ci ha già detto che Dio è ricco di misericordia ed è proprio in questa ricchezza che dobbiamo trovare il fondamento della nostra salvezza, il principio della grazia che ci salva.


Cristo è la grazia, il dono di Dio all’umanità intera. Né il Giudeo e né il pagano hanno fatto qualcosa per poter meritare questa grazia, d’altronde neanche avrebbero potuto fare qualcosa, dal momento che per natura erano solo meritevoli d’ira, ma anche per natura erano immersi nella morte e nel peccato.


Chi è nella morte e nel peccato non può meritare. Niente può fare per essere salvato. La salvezza è solo per un dono d’amore, per una particolare grazia di Dio, per la misericordia con la quale il Signore lo avvolge e lo salva.


Questa grazia di Dio conferisce all’uomo la salvezza. Cosa è la salvezza in sé stessa?


La salvezza è prima di tutto ritorno dell’uomo in vita. L’uomo ritorna ad essere l’uomo voluto da Dio, creata da Lui a sua immagine.


Prima di ogni cosa la salvezza è liberazione dal peccato e dalla morte, perché l’uomo sia messo in condizione di vivere la vita ricevuta da Dio, per mezzo di Cristo Gesù.


Poiché noi siamo chiamati a rivivere con Cristo, la nostra vita non è più quella che Dio ci aveva consegnato all’inizio, la nostra vita è ora Cristo Gesù. È Lui la vita di ogni uomo.


Ogni uomo per grazia non solo ritorna a vivere, ma anche riceve una nuova vita: quella di Cristo Gesù in lui. È ora Cristo la vita del cristiano, la vita dell’uomo. In questa vita ogni uomo deve essere introdotto e chi ama l’uomo fa tutto, allo stesso modo che lo ha fatto Cristo Gesù, perché la vita di Cristo diventi la sua propria vita. Chi ama l’uomo deve amarlo come Cristo donandogli non solo la vita di Cristo, ma anche la sua propria vita, perché possa vivere quella vita che Dio ora gli dona, gli vuole dare in Cristo Gesù.


[6]Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù,


La vita che Dio ci ha dato in Cristo, perché noi la viviamo con Cristo e per Cristo, si puntualizza ora come risurrezione e come ascensione in Cristo nel cielo, dove ora il cristiano è assiso, sempre in Cristo.


Cristo è la vita del cristiano. Tutta la vita di Cristo è stata data al cristiano, deve essere data ad ogni uomo.


Qual è la vita di Cristo? È una vita di morte, di risurrezione, di ascensione gloriosa al cielo, dove ora è assiso alla destra del Padre.


Ebbene, questa stessa vita, l’unica, Cristo l’ha data a quanti credono in Lui. Chi crede in Lui, attraverso il sacramento del battesimo, vive la sua morte al peccato e ad ogni altra disobbedienza, viene risuscitato ad una vita nuova, da viversi tutta alla maniera di Cristo Gesù, viene anche elevato nell’alto dei cieli, per sedere dinanzi a Dio, sempre in Cristo, per contemplare il volto del Padre, per gustare la sua presenza, per lodare l’opera della sua misericordia.


La risurrezione a vita nuova è vera risurrezione. Con il battesimo l’uomo cristiano non è più l’uomo secondo Adamo, è ora uomo secondo Cristo, ad immagine di Cristo, e porta in sé il germe della vita di Cristo.


Si tratta ora si sviluppare tutta la potenza della risurrezione che Cristo ha seminato in Lui. Questo sviluppo in quanto è possibile, in quanto il seme della vita nuova, della risurrezione è vero.


Se non fosse vero, non potrebbe neanche essere sviluppato, portato a maturazione. Poiché è vero, chiunque lo vuole, può, con l’aiuto dello Spirito Santo, portare ogni frutto di bene, di amore, di misericordia, di bontà, di benevolenza, di santità, di ogni altra virtù.


La vita di Cristo è stata tutta riversata in lui, per questo motivo egli è in grado di farla crescere e maturare.


Questa è la differenza sostanziale tra un cristiano e uno che non crede in Cristo Gesù. Chi non crede in Cristo Gesù non ha in sé il seme della risurrezione di Cristo. Non può sviluppare tutti i frutti di bene che il seme contiene in sé.


Chi non crede in Cristo Gesù può vivere, sempre con la grazia che Dio gli concede per i meriti di Cristo, sviluppare quella bontà naturale, che non è assolutamente la perfezione di santità a cui è chiamato ogni uomo in Cristo Gesù. Questo deve essere detto per motivi di verità, che sono motivi di fede, che sono il motivo della novità che Cristo è venuto a creare in noi, risuscitandoci in Lui a vita nuova ed eterna.


Su questa differenza dobbiamo fondare la nostra certezza: è possibile far morire in noi la vecchia natura. Essa può morire, perché una nuova è stata seminata e questa nuova natura è tutta ad immagine di Cristo Gesù, anzi è la natura di Cristo che è stata seminata in noi, perché noi la facciamo fruttificare, secondo tutta la forza della virtù che è nello Spirito Santo che ci è stato dato. Anzi è stato proprio Lui a seminare nei nostri cuori la nuova vita, quella di Cristo Gesù, che noi dobbiamo realizzare e portare a compimento.


Assieme alla risurrezione Gesù ci ha fatti salire anche nel cielo. Siamo in Lui accanto a Dio, presso Dio.


Questa elevazione nei cieli ci obbliga ora a vedere tutto sotto l’aspetto del cielo, dell’eternità, di Dio, dello Spirito Santo, di Cristo Gesù.


Il cristiano è uno che con lo spirito vive già nel cielo, a lui non resta che portare anche il suo corpo nel cielo, ma deve portarlo alla maniera di Cristo Gesù, facendone un sacrificio d’amore per la gloria di Dio Padre, per la redenzione dei suoi fratelli.


Questo è richiesto al cristiano. Questo il cristiano deve fare se vuole veramente vivere in Cristo, con Cristo, per Cristo, assiso alla destra del Padre.


[7]per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù.


Il concetto, la verità che Paolo esprime in questo versetto merita proprio di essere colta in ogni suo particolare, di essere evidenziata in tutta la sua bellezza.


Paolo ha detto già che tutto è grazia, tutto è dono della sua bontà, tutto proviene dalla sua misericordia, tutto si compie e si realizza in Cristo Signore.


Tutto questo noi lo conosciamo già, avendocene parlato con ogni dovizie fin dal principio di questa Lettera.


Paolo parla ora di un fatto che in verità ha già accennato, ma sotto altro aspetto. Dio vuole mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia, come, perché?


La straordinaria ricchezza della sua grazia è prima di tutto Cristo Gesù risorto. Nessuno può dare la vita, se non Dio.


Tutti gli uomini dovranno un giorno fare la differenza tra loro e Cristo Gesù. Questo vale anche per ogni fondatore di religione.


Tutti i fondatori di religione sono e giacciono nella morte, sono morti. Cristo invece è vivo, è presso Dio, è assiso alla sua destra.


Perché Dio ha solo risuscitato Gesù e non ha risuscitato gli altri? Oppure perché gli altri dei – che in verità non esistono – non hanno risuscitato coloro che hanno fondato il culto in loro?


Il motivo è semplice: perché solo Cristo è il Figlio di Dio, solo Lui è la vita degli uomini, solo Lui è il vero e l’unico Redentore, solo Lui è il solo salvatore e liberatore dalla morte.


Dio attesta questa verità liberando Lui per prima dalla morte, Cristo Gesù nostro Signore.


Gesù è l’unico vero Salvatore perché Lui non è nella morte come gli altri e non c’è salvezza se non dalla morte. Poiché egli è libero dalla morte e libera gli altri dalla morte, lui è il vero liberatore. Gli altri dicono parole, che non possono compiere. Gesù dice parole che può compiere, che compie in Lui e in noi, poiché Lui è risorto, Lui ci risuscita, oggi e nell’eternità, oggi nello spirito, nell’anima, domani anche nel nostro corpo, che renderà tutto spirituale, simile al suo.


Qual è la straordinaria ricchezza della sua grazia che Dio dovrà mostrare per i secoli futuri?


È certamente la ricchezza della risurrezione, ma non quella del corpo. Questa non è l’unica straordinaria ricchezza della grazia di Dio.


La straordinaria ricchezza è la forza della risurrezione di Cristo, la forza della vita di Cristo che immessa in un cuore è capace di trasformare questo cuore e renderlo in tutto simile a quello di Cristo, capace di amare, fino al dono supremo di sé.


La straordinaria potenza e ricchezza della grazia di Dio è la santità cristiana. Solo la grazia di Dio, in Cristo Gesù, è capace di fare i santi. Dio manifesterà domani la santità e questa canterà la straordinaria efficacia, potenza, grandezza della misericordia di Dio.


Sarà la santità dei cristiani che aumenterà il dolore dei dannati nell’inferno. Costoro vedranno quale straordinaria grazia il Signore aveva conferito loro e loro l’hanno usata invano, per niente. L’hanno nascosta nel loro cuore senza lasciare che essa potesse sviluppare il germe della santità.


La santità cristiana è la più grande prova nel mondo della risurrezione di Cristo Gesù e della nuova vita che la risurrezione crea nel cuore di chi crede e si lascia condurre dallo Spirito per divenire nel mondo il Cristo vivente che cammina in mezzo ai suoi fratelli per condurli alla salvezza.


[8]Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio;


In questo versetto sono due i concetti che bisogna evidenziare con particolare attenzione. Tutto il resto è già di nostra conoscenza.


Viene qui chiaramente espresso il legame che esiste tra fede e salvezza. Viene ancora una volta ribadito che la salvezza non è un frutto della terra, ma è un dono di Dio.


Che la salvezza non nasca da noi, lo si è già evidenziato e chiarito a motivo della morte nella quale l’uomo giace dopo il peccato. Su questo non c’è neanche più bisogno che ci si soffermi.


Merita invece una particolare attenzione il legame tra salvezza e fede. La salvezza dell’uomo avviene mediante la fede. La fede nasce dalla predicazione. La predicazione è il dono della Parola di Dio. La Parola di Dio è data dagli Apostoli. Gli Apostoli verificano che ogni parola che la Chiesa dona sia Parola di Dio, perché se è parola di uomini, essa non produce salvezza, perché non genera la fede in chi ascolta.


C’è un legame intrinseco tra Parola e fede, tra fede e salvezza, che deve essere sempre conservato, ma anche sempre posto in essere. Chi vuole creare salvezza in questo mondo deve avere lui per primo chiara la fonte della salvezza e la via per accedere ad essa, ma anche chi indica questa via.


Chi indica la via è la Chiesa, chi verifica che questa via sia quella giusta sono gli Apostoli. La via per accedere alla salvezza è la fede, la fede però è nella Parola di Cristo.


La Chiesa prima dona la Parola di Cristo, la parola di Cristo suscita la fede nel cuore; il cuore chiede la salvezza di Cristo, la Chiesa gli dona Cristo attraverso il sacramento del battesimo e gli altri sacramenti dell’iniziazione cristiana.


Quando questo legame viene conservato, verificato, corretto, se qualche errore si è infiltrato in esso, la salvezza si compie. Le porte della vita si aprono e molti entrano nella vita eterna che è Cristo, che è in Cristo, che è con Cristo e per Cristo.


Oggi invece siamo su di un piano assai distante, anzi siamo su di un piano totalmente contrario a questo, che Paolo ci manifesta, come una via per poter accedere alla straordinaria ricchezza che è contenuta nella risurrezione di Cristo Gesù.


Questo piano, opposto e contrario, è la scissione tra fede in Cristo e salvezza in Cristo. Si vorrebbe e si vuole la salvezza in Cristo Gesù, senza la fede in Lui, senza la predicazione, senza la Chiesa, senza gli Apostoli.


Questo è contrario alla retta fede. Questo pensiero non produce salvezza. Che questo pensiero sia erroneo lo attesta il fatto che esso non produce santità cristiana, non genera cristiformità nel mondo e tutto ciò che non genera cristiformità nel mondo, cristiformità visibile, non genera neanche salvezza, perché la salvezza è la risurrezione di Cristo che fruttifica nel cristiano, in colui che è passato attraverso la fede, si è immerso nel sacramento della morte e della risurrezione ed è rinato come nuova creatura, creatura cristiforme, chiamata ad essere simile in tutto a Cristo Gesù, nella morte e nella vita.


Se la Chiesa vuole essere incisiva nel mondo quanto a frutti di salvezza e di santità, deve correggere questo pensiero nei suoi figli. Deve iniziare a legare indissolubilmente fede in Cristo e salvezza in Cristo, fede in Cristo e Parola di Cristo, Parola di Cristo e retta predicazione, retta predicazione e verifica di essa attraverso il ministero dell’Apostolo.


Se non fa questo non fa niente, perché tutto il resto che fa non genera salvezza. Anche i sacramenti senza la fede, senza la Parola, non producono i frutti della santità cristiana in chi li riceve. Si riceve la santità nei sacramenti, ma senza Parola non si può operare in noi la santificazione della vita.


I mali che una tale teoria ha prodotto nel mondo sono infiniti e ci vuole un’eternità per poterli riparare, se basta.


Speriamo che quanti hanno responsabilità nella Chiesa comprendano questo e mettano tutta la loro autorità perché si ripristini questo legame, il solo che genera salvezza nel mondo: fede in Cristo e salvezza in Cristo sono una cosa sola e una cosa sola devono sempre rimanere. Chi le separa, non crea salvezza, ma distruzione; non semina vita, ma morte; non lavora per Cristo, ma per il principe di questo mondo. Chi le separa (fede e salvezza) altro non fa che operare contro Cristo, lavorare perché l’uomo resti e dimori nella morte.


Un errore morale, anche il più grave, al massimo può provocare scandalo! Può indurre qualcuno a commettere il peccato, ma sa che è peccato.


Questo errore invece giustifica l’assenza di fede e di Vangelo nel mondo. Questo errore fa ritornare l’uomo nelle tenebre e nella morte. Non solo. Tutto il mondo viene giustificato nelle sue tenebre e nella sua morte. Questa è la gravità. Contro questa gravità nessuno alza la voce, nessuna parla, tutti stanno in silenzio, lasciando che questa eresia si espanda per il mondo intero, senza più possibilità di poterla in qualche modo riparare.


Questo non è allarmismo, non è esagerazione. È la pura verità. È quel mondo che ha dimenticato il Vangelo e che vive senza il Vangelo e che senza il Vangelo vuole acquisire la salvezza.


Che il Signore venga presto a liberarci da questo errore e da questa eresia.


[9]né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene.


Paolo non vuole che qualcuno si illuda, che pensi male, che dica cose che non sono vere.


La salvezza non viene da noi. Potrebbe allora venire dalla nostre opere.


La salvezza non viene neanche dalle nostre opere. Non ci sono opere di vita quando l’uomo è nella morte a causa del peccato.


Il passaggio dalla morte alla vita e dal peccato alla grazia è solo per un dono della misericordia di Dio in Cristo Gesù.


Questa grazia e questa misericordia è necessaria all’uomo prima del battesimo, ma anche dopo il battesimo.


Se dopo il battesimo commette un solo peccato veniale, questo peccato non lo può espiare con le sue opere buone, questo peccato può essere solo perdonato, per misericordia e per grazia di Dio.


L’uomo nulla può fare per rimettersi il peccato. Questa è la verità. Poiché non si può perdonare un solo peccato, per sua opera, tutto egli deve attendere da Dio in ordine alla sua salvezza.


Questa discende solo dal cielo. Nessuno quindi può dire a Dio di aver fatto qualcosa perché gli debba concedere la salvezza, perché la salvezza dal principio alla fine e in ogni passaggio successivo è solo opera della misericordia e della grazia che Dio ci concede in Cristo Gesù.


Nessun vanto pertanto, nessuna gloria, né dinanzi a Dio, né dinanzi al mondo. Ogni gloria e ogni vanto devono essere nel Signore. Solo di Lui ci dobbiamo gloriare e solo per Lui, perché ha avuto pietà di noi e ci ha concesso il dono della salvezza in Cristo Gesù, Signore nostro.


Questo vale sia per i Giudei che per i pagani. Nessun merito del Giudeo per rapporto al pagano e nessun demerito del pagano per rapporto al Giudeo. Pagani e Giudei sono gli uni e gli altri nella morte, perché gli uni e gli altri sono figli di Adamo, e come tali sono sotto il regime del peccato, della disobbedienza, della trasgressione.


Gli uni e gli altri possono solo benedire, lodare, ringraziare, esaltare la misericordia di Dio che ha avuto pietà di loro e li ha salvati mediante la fede in Cristo Gesù.


[10]Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo.


Chi è il cristiano e cosa ha fatto di lui il Signore?


Il cristiano è l’opera di Dio. È solo opera di Dio ed è solo per opera di Dio.


Quest’opera da Dio è stata fatta in Cristo Gesù. Dio ci ha creati in Cristo Gesù.


All’inizio del tempo Dio ci ha creati fuori di Dio, anche se ci ha fatti a sua immagine e somiglianza, ma siamo fuori di Lui. Lui è Lui, noi siamo noi.


Ora invece, nella nuova creazione, noi non siamo fuori di Cristo, siamo creati in Cristo, per mezzo di Cristo, ma rimaniamo in Cristo, formiamo con Lui un solo corpo, siamo il corpo di Cristo presente nel mondo, siamo il corpo visibile di Cristo. Questa è la verità.


Se prima avevamo l’obbligo morale e spirituale di vivere secondo l’immagine e la somiglianza di Dio, che ci costituiva, ora quest’obbligo è più grande.


Se siamo in Cristo, dobbiamo essere anche come Cristo; se siamo in Cristo, dobbiamo vivere tutta la vita di Cristo, quella vita che Lui ha vissuto sulla terra, quella vita che è divenuta un sacrificio per il Padre suo a beneficio della nostra redenzione eterna.


Essendo noi in Cristo, essendo corpo di Cristo, siamo chiamati a compiere la vita di Cristo in noi. Cristo deve vivere la sua vita in noi, allo stesso modo che l’ha vissuto nel corpo che ha ricevuto dalla Vergine Maria, Madre della Redenzione.


Tutto questo Paolo lo dice attraverso una espressione che fa tutto risalire alla volontà di Dio: siamo stati “creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo”.


Cosa ha predisposto Dio e quali sono le opere buone che noi dobbiamo praticare?


Cristo è l’opera di Dio, la sua vita, la sua morte, la sua risurrezione. Noi siamo chiamati a realizzare la vita di Cristo in noi. Dobbiamo fare della nostra vita un sacrificio di gloria per il nostro Dio.


Come? Raggiungendo la più alta e più perfetta imitazione di Cristo. Si badi bene però: imitazione non nelle opere che Lui ha compiuto, perché quelle sono sue e solo sue.


Imitazione nell’obbedienza alla volontà del Padre. Poiché è lo Spirito Santo che ci mette in comunione con la volontà che il Padre ha su di noi, è giusto che sia Lui, lo Spirito di Dio, a guidarci atto per atto e momento per momento, alla realizzazione di Cristo in noi nella più perfetta obbedienza a Dio. Facendo così, noi realizziamo Cristo in noi, perché compiamo la sua obbedienza, compiamo l’offerta del suo corpo al Padre per la redenzione e la salvezza del mondo intero.


Come si può constatare la salvezza vera non è l’entrata dell’uomo nella grazia, ma è la realizzazione di Cristo in noi.


Un uomo è nella salvezza quando realizza pienamente l’obbedienza di Cristo in lui, quando fa del corpo di Cristo, ed è questa l’opera buona che Dio ha predisposto che noi facciamo, nel suo corpo, un’offerta per la gloria di Dio, e questo avviene solo nell’obbedienza alla sua volontà, per mozione e per guida dello Spirito Santo.


Credente
00giovedì 1 novembre 2018 19:06

GIUDEI E PAGANI UNITI IN CRISTO


[11]Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani per nascita, chiamati incirconcisi da quelli che si dicono circoncisi perché tali sono nella carne per mano di uomo,


Dalla verità di fede, che si attinge tutta in Cristo, Paolo ora passa alla verità della storia.


Quale era la storia dei pagani, degli Efesini, vissuta prima di fare l’incontro con il Vangelo di Cristo e quindi con Cristo Gesù?


Prima di tutto Paolo vuole che essi si ricordino ciò che erano prima di essere evangelizzati.


Ricordarsi ciò che si era prima è necessario per capire le differenze che le distinguono dagli Ebrei, ma anche per magnificare il Signore che li ha voluti inserire nel suo disegno di salvezza.


Gli Efesini devono ricordare che loro erano pagani per nascita. Loro non conoscevano il vero Dio. Loro adoravano divinità che non erano dei. Loro erano semplicemente idolatri. Questo significa: pagani per nascita.


Loro non erano neanche circoncisi, cioè adoratori dell’unico vero Dio. Incirconciso era un termine che significava semplicemente essere un pagano, non appartenente alla discendenza di Abramo.


Erano però i circoncisi che chiamavano incirconcisi i pagani. Paolo però qui puntualizza che la circoncisione non era opera di Dio, come la creazione di un cristiano. La circoncisione era solo opera di mano d’uomo, con tutto il valore che un’opera di mano d’uomo possa portare in sé.


Che la circoncisione valga, o non valga, ha poco significato in ordine a quanto lui vuole dirci.


Quello che conta è che c’è sempre una differenza tra il Giudeo e il pagano. Questa differenza non la fa l’uomo, la fa la grazia di Dio.


Mentre i pagani vivevano senza una grazia particolare, i Giudei questa grazia l’avevano. Era la grazia di conoscere la vera Parola di Dio, ma anche la grazia di conoscere il vero Dio e di attendere il vero liberatore. Su questo punto la differenza con i pagani c’è ed è anche grande. Questa differenza non può essere misconosciuta, o ignorata.


[12]ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio in questo mondo.


Cosa devono ricordare ancora gli Efesini?


Non essendo del popolo dei circoncisi erano senza Cristo.


Questo essere senza Cristo è da intendersi senza il cammino verso la benedizione promessa da Dio nella discendenza di Abramo, che è Cristo Gesù.


In che senso i pagani erano senza Cristo dal momento che la benedizione riguarda anche loro?


Erano senza Cristo, perché mentre dinanzi agli occhi degli Ebrei c’era sempre un punto di arrivo, un punto da raggiungere, questo non accadeva per i pagani. Loro non avevano questa promessa. La promessa era anche per loro, ma loro non camminavano per raggiungerla.


A loro la promessa può venire solo annunziata ed è nel momento in cui viene loro annunziata che possono farla propria. Prima vivevano come se la promessa non fosse mai stata fatta, perché non ne erano a conoscenza.


Erano anche esclusi dalla cittadinanza di Israele. Non vivevano cioè nella cittadinanza di Dio, poiché Dio non era il loro Signore, il loro Pastore, il loro Liberatore, il loro tutto.


La cittadinanza di Israele comporta tutti i benefici che provengono dall’Alleanza con Dio e dalla benedizione che Lui ha promesso alla discendenza di Abramo.


Mentre Israele per quasi duemila anni è vissuto accompagnato da questi favori divini, loro, i pagani, erano esclusi; camminavano anche loro verso Cristo, ma inconsciamente; attendevano Cristo, ma inconsapevolmente; Dio operava anche in loro, ma in modo velato, misterioso. Di tutto questo però loro erano ignari. Questa è la verità del Giudeo e del pagano.


Erano ancora estranei ai patti della promessa. La promessa è la benedizione, è la vita, è la salvezza, è la redenzione.


A tutto questo loro erano estranei, nulla sapevano, Dio ancora non li aveva resi partecipi di questo disegno eterno di salvezza, anche se questo disegno era per loro. Loro però non lo conoscevano. Non conoscendolo non avevano la forza di camminare con l’energia che suscita nei cuori una tale verità.


Erano senza speranza chiara, esplicita, erano senza vera attesa di una qualche liberazione. Vivevano e basta. Il loro futuro era nei loro mezzi, ma non in Dio; era nella loro opera, ma non nel Signore. Nulla attendevano da Dio, perché non avevano Dio in questo mondo.


Loro erano senza il vero Dio e poiché la speranza della salvezza viene dal vero Dio, loro non avevano alcuna speranza concreta. In che cosa avrebbero potuto sperare dal momento che non avevano il Dio della speranza, il Dio del futuro, mentre tutti i loro falsi dei erano dei del presente, e sovente più che del presente, erano dei del loro passato?


Questa situazione merita di essere presa seriamente in esame, perché questa situazione è la stessa, identica situazione che vivono tutti coloro che non hanno la conoscenza esplicita di Cristo Gesù, che nasce nei cuori e nelle coscienze, in seguito al retto annunzio e al dono della vera Parola di Dio.


Dobbiamo spiegarci in questo. Il disegno di salvezza di Dio è per ogni uomo. Ogni uomo avverte nel cuore un anelito di salvezza, che va oltre la sua storia particolare, quella storia immediata che vive e nella quale egli è immerso.


Questa è senz’altro la verità che è nel cuore di ogni uomo. Paolo però ci avverte che una cosa è camminare vedendo il faro nella notte buia e questo faro è Cristo Gesù, promesso e atteso, sperato e desiderato in modo chiaro, esplicito, a livello di coscienza, di intelligenza e di cuore, altra cosa è quell’inquietudine del cuore che attende qualcosa dal di fuori di sé, ma che non sa cosa attende di preciso.


Questa è una differenza abissale. I Giudei hanno potuto camminare in questa fede e in questa speranza, hanno potuto conoscere il vero Dio per grazia. Avrebbero dovuto farlo conoscere ad ogni uomo, perché per questo erano stati chiamati e non lo hanno fatto.


Che questo non succeda con i cristiani. Dare la conoscenza di Cristo ad un cuore è l’opera più grande, la carità più alta che si possa compiere.


Dare Cristo ad un cuore è accendere in esso la speranza della vita, è mettere il cuore nella vita, perché Cristo è la vita di ogni cuore. Questa è la verità.


I pagani si devono ricordare di ciò che erano, perché solo così possono apprezzare il grande dono della salvezza, possono continuamente lodare e benedire il Signore per le grandi cose che ha fatto per loro, a motivo della sua misericordia, anzi a motivo della ricchezza della sua misericordia.


[13]Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo.


Il prima conta solo per sapere qual è la differenza che distingueva i due cammini. Il prima non conta per rapporto al dopo. Il dopo è uguale, identico, per gli uni e per gli altri, senza differenza, senza distinzione, senza superiorità degli uni per rapporto agli altri.


Come avviene il dopo? Avviene in Cristo Gesù, grazie al sangue di Cristo.


La grazia che Dio ci concede non è gratuita. È gratuita per rapporto a noi. Non è gratuita per rapporto a Cristo Gesù.


Il Padre ci dona il merito di Cristo sulla croce, ci dona la sua vittoria, la sua risurrezione, la sua vita. Ciò che l’albero di Cristo Gesù ha prodotto come frutto di vita eterna, irrorato dal suo sangue, Dio ce lo concede come vita eterna a noi che abbiamo creduto in Cristo, che crediamo in Cristo, che vogliamo fare della sua vita la nostra vita. Questa è la prima verità. Diveniamo in Cristo, diveniamo però grazie al suo sangue, grazie al suo sacrificio, grazie al dono che Cristo ha fatto di sé al Padre sul legno della croce. Noi siamo il frutto dell’obbedienza di Cristo Gesù. La nostra redenzione, la nostra salvezza, la nostra vita eterna è costata a Cristo la sua vita in cima al legno della croce.


Cosa avviene nel dopo? Tutto ciò che è stato prima scompare. Con la fede, con la nostra creazione in Cristo, operata da Dio, la lontananza si fa vicinanza, l’estraneità familiarità, l’idolatria si trasforma in vera adorazione e obbedienza all’unico Dio e Signore, nasce nel cuore la speranza, si cammina e si avanza verso il regno eterno di Dio.


Siamo i vicini a Dio, siamo i suoi familiari. Siamo anche i vicini ai fratelli. In Cristo siamo costituiti un solo corpo, una sola vita, una sola realtà.


Prima eravamo stranieri e lontani da Dio e dai fratelli, oggi siamo vicini a Dio e ai fratelli. Siamo figli adottivi in Cristo Gesù, siamo amici gli uni degli altri e questo grazie alla nuova creazione che Dio ha operato in noi.


Questa è la nuova realtà. Questa realtà però bisogna costruirla giorno per giorno e si costruisce in un modo solo: cercando la nostra conformità a Cristo Gesù, attraverso la crescita in Lui che si compie per mezzo della nostra obbedienza alla sua Parola.


Una cosa è certa: quando l’uomo è in Cristo, è creato in Cristo, cambia anche il suo stato sociale e non solamente quello religioso.


Nella fede si vive non solo la paternità di Dio in modo nuovo, ma anche la fratellanza umana riceve un altro significato, si carica di una valenza nuova.


Questa valenza è data dal fatto che non solo siamo creati in Cristo, ma che in Cristo viviamo, operiamo, siamo; non siamo soli; siamo assieme agli altri, con i quali formiamo il Corpo di Cristo e per questo motivo finisce l’estraneità e inizia la vera comunione che è partecipazione alla sola vita di Cristo Gesù.


Questa comunione non è solo spirituale, è anche reale; è scambio di vita e di ogni mezzo che serve alla vita, perché questa sia vita secondo il volere di Dio. Tuttavia questa fratellanza non è data in modo automatico; è creata, ma non realizzata, è formata, ma non ancora storicizzata. Questa realizzazione e questa storicizzazione è posta nella volontà dell’uomo, il quale deve in tutto obbedire a Dio se vuole realizzare e storicizzare quanto è contenuto nel corpo di Cristo e che a modo di seme gli è stato già dato.


[14]Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia,


Come si può constatare Paolo ha sempre dinanzi agli occhi Cristo Gesù, il suo mistero. In Cristo e nel suo mistero vede l’uomo; in Cristo e nel suo mistero l’uomo si deve inserire, se vuole realizzare se stesso secondo verità.


Chi è allora Cristo Gesù? Cosa egli ha fatto per i due popoli, cioè per il popolo degli Ebrei e per il popolo dei pagani?


In se stesso Cristo è la nostra pace. Perché Cristo è la pace dell’umanità, la pace dell’uomo, o meglio di ogni uomo singolarmente preso?


Se è la pace di ogni uomo, ogni uomo se vuole la pace, la deve attingere in Cristo, ma in Cristo si attinge divenendo una cosa sola con Lui. Ciò significa che non c’è pace senza di Cristo, non c’è vera pace per coloro che non sono in Cristo Gesù.


La pace di Cristo è la vittoria sul peccato e sulla morte. Essa è pertanto liberazione dell’uomo dalla sua superbia, dalla sua concupiscenza, dalla sua idolatria, da ogni opera e frutto della carne.


La pace di Cristo è il ritorno dell’uomo in Dio, nella sua obbedienza, nel compimento della sua volontà.


La pace di Cristo è l’inserimento dell’uomo nella comunità dei suoi fratelli e nello stesso creato ma con un cuore nuovo, mondo, puro, votato alla giustizia e alla verità, spinto in avanti da una speranza che non è per le cose della terra, ma per quelle del cielo.


La pace di Cristo è il pieno dominio che l’uomo ha del suo corpo, del suo spirito, della sua anima. La pace è la consegna di ogni atto al Signore, perché sia lui a deciderlo e a compierlo secondo la sua divina volontà.


La pace che Cristo ci offre, la pace che è Cristo, è il riposizionamento dell’uomo nella volontà di Dio, con il dono della capacità, nello Spirito Santo, di compierla in ogni sua parte, anche nella più piccola, e in ciò che potrebbe sembrare insignificante per noi.


Creata la pace nel cuore dell’uomo, posto cioè ogni uomo nella volontà di Dio, dalla volontà di Dio si parte per vivere la nostra vita sulla terra. E qual è la volontà di Dio per noi?


Che riconosciamo Dio come il solo Signore cui è dovuta la nostra vita; che gli diamo la nostra vita perché Lui ne faccia uno strumento di amore.


A che serve la nostra vita a Dio? Per farne uno strumento di pace, per offrirla perché la pace scenda nel cuore degli altri uomini, perché ogni altro uomo, trovi la pace in Cristo, trovi Cristo, che è la sua pace e in Cristo trovi gli altri fratelli, cui deve la vita perché loro vivano sempre nella pace di Cristo. La vita del cristiano ha pertanto un solo scopo: fare di ogni uomo un figlio di Dio, fare di ogni uomo una sola famiglia, un solo popolo, il popolo e la famiglia di Dio sulla terra, perché sia il popolo e la famiglia di Dio nel cielo.


Tra i due popoli e non solo tra i due popoli, ma tra tutti i popoli e tra tutti gli uomini c’è un muro di separazione che li divide. Questo muro è l’inimicizia.


Cristo, che è la nostra pace, ha tolto questo muro di inimicizia. Lo ha tolto creando in noi un cuore nuovo, un cuore libero, un cuore mondo, un cuore puro e purificato dal peccato.


È il peccato che crea la divisione tra gli uomini. Cristo ha tolto il peccato, ha tolto di conseguenza anche il muro che separava gli uomini e li metteva gli uni contro gli altri.


Anche questa verità, e cioè la costruzione di un solo popolo, è avvenuta sacramentalmente in Cristo, avviene ogni qualvolta si celebra il sacramento del Battesimo, della Confessione, dell’Eucaristia. L’uomo viene lavato dal peccato, immerso nel corpo di Cristo, nutrito del corpo di Cristo, fatto una cosa sola con Cristo Gesù assieme agli altri che sono una cosa sola in Cristo.


Storicamente questo si realizza crescendo nell’obbedienza a Dio, facendo della Parola di Cristo la legge che governa e che regola la nostra vita.


Nel momento in cui ci si distacca dalla Parola, si cade dalla fede, si ritorna nel peccato, si vive l’inimicizia, si creano steccati tra gli uomini e tra i popoli, tra le nazioni e tra le razze, tra le lingue e tra le etnie di appartenenza. Non appena sorge il peccato nel cuore l’altro non si conosce più, l’altro è quasi sempre un nemico, spiritualmente parlando. È nemico l’altro, perché con il peccato io sono nemico dell’altro.


La Chiesa ha una grave responsabilità: quella di educare a crescere nella Parola ognuno dei suoi figli. Deve condurli, portarli quasi per mano a mettere in pratica ogni parola del Vangelo.


La pace del mondo è nel Vangelo. Chi si pone fuori del Vangelo, si pone fuori della via della pace, perché fuori del Vangelo non c’è Cristo e senza Cristo non c’è pace, essendo Cristo la pace dell’umanità.


Ogni qualvolta un uomo esce da Cristo, o non vi entra perché rifiuta Cristo, la pace non si costruisce sulla terra, si costruisce la guerra, perché si fomenta la divisione.


Ogni uomo che commette un solo peccato mortale crea la guerra in seno alla comunità degli uomini, perché Lui ha immesso in essa un principio di morte. Dove regna la morte regna la non pace, regna la guerra, la divisione, la discordia, il non amore, la non speranza, la non fede.


[15]annullando, per mezzo della sua carne, la Legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace,


In questo versetto Paolo sviluppa la verità precedentemente annunziata: Cristo è la nostra pace.


Come ha creato Cristo la pace tra Dio e l’umanità, tra uomo e uomo e tra popolo e popolo? Egli lo ha fatto per mezzo della sua carne. Nella carne di Cristo si è compiuto un duplice prodigio. Uno di distruzione del muro che separava gli uomini e l’altro di creazione di quell’unità mirabile che deve essere ora il nuovo statuto dell’umanità.


Nella sua carne è avvenuta la distruzione del peccato, della morte, di ogni sorta di inimicizia, sia con Dio che con gli uomini.


Nella sua carne ha creato un solo uomo nuovo. È come se Cristo facesse di tutti gli uomini una sola vita, un solo uomo, una sola realtà, un solo essere e per di più totalmente nuovo.


Attraverso questa duplice azione di distruzione e di nuova creazione Cristo Gesù ha fatto la pace.


Che abbia distrutto il principio generatore di inimicizia tra gli uomini che è il peccato, è verità contenuta in ogni pagina del Nuovo Testamento.


Anche ciò che Paolo pensa della Legge è cosa ormai assai nota. Basta un poco di familiarità con le sue Lettere, per cogliere in molte parti il significato che lui attribuisce alla Legge veterotestamentaria, che non coincide con l’alleanza al Sinai e quindi con i comandamenti.


Ora è giusto che ci si soffermi a riflettere su un nuovo concetto, o nuova verità, che compare per la prima volta, almeno con questa formulazione. Il nuovo concetto: “per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo”.


Qual è la verità che soggiace a questa espressione? Cosa esattamente ci insegna Paolo?


Dei duesi riferisce ai due popoli: il popolo degli Ebrei e l’altro dei pagani.


Creare in se stesso vuol dire che tutto ciò che avviene, si compie nel corpo di Cristo, nella sua carne, in quella carne che egli ha assunto dalla Vergine Maria, e che ora è nel cielo tutta splendente di luce divina e avvolta dalla stessa gloria di Dio.


Un solo uomo nuovo è questa l’assoluta novità e su questa dobbiamo ora riflettere. Colta questa verità nella sua essenza, tutta la vita cristiana riceve un nuovo significato.


Fino a questo momento si è sempre parlato di un solo corpo dalle molte membra. Con il battesimo si diviene corpo di Cristo. Ognuno conserva la sua identità di membro, ma questa identità non la può vivere se non all’interno dell’unico corpo, nel quale dona e riceve l’energia spirituale che gli consente di operare secondo la volontà di Dio e di realizzare il fine per cui è stato pensato fin dall’eternità.


Ora Paolo va ben oltre, infinitamente oltre. L’Uomo Nuovo è Cristo. È Lui e solo Lui l’Uomo nuovo nel quale ogni novità si acquisisce, si sviluppa, matura frutti di verità e di saggezza soprannaturali.


In Cristo, i due popoli divengono un solo uomo nuovo. Cosa aggiunge questa espressione all’altra, secondo la quale siamo un solo corpo in Cristo Gesù?


Questa espressione aggiunge il principio secondo il quale l’unità è così forte, così vitale, simile a quella che si crea nel matrimonio. Nel matrimonio un uomo e una donna divengono un solo soffio vitale, una sola vita, una sola realtà. Per cui diviene impossibile la vita nella separazione fisica dei coniugi, o nel divorzio.


Questo ce lo insegna il Signore per bocca del profeta Malachia. Ecco le sue parole che sono parole di fuoco contro il divorzio e la separazione:


Un'altra cosa fate ancora; voi coprite di lacrime, di pianti e di sospiri l'altare del Signore, perché egli non guarda all'offerta, né la gradisce con benevolenza dalle vostre mani. E chiedete: Perché? Perché il Signore è testimone fra te e la donna della tua giovinezza, che ora perfidamente tradisci, mentr'essa è la tua consorte, la donna legata a te da un patto.


Non fece egli un essere solo dotato di carne e soffio vitale? Che cosa cerca quest'unico essere, se non prole da parte di Dio? Custodite dunque il vostro soffio vitale e nessuno tradisca la donna della sua giovinezza.


Perché io detesto il ripudio, dice il Signore Dio d'Israele, e chi copre d'iniquità la propria veste, dice il Signore degli eserciti. Custodite la vostra vita dunque e non vogliate agire con perfidia” (Mal 2, 13-16).


Questa unità, è unità di solo essere. Con Cristo, nel momento in cui uno riceve il battesimo, forma una sola vita con l’altro. Non siamo più cellule, membri, con una vita propria, anche se da vivere nel corpo di Cristo Gesù.


Con la redenzione, che è creazione nuova, ognuno diviene una cosa sola, un solo essere vitale con l’altro, una sola realtà, una sola vita, una sola speranza, una sola carità, una sola fede, un solo mistero, una sola opera, una sola missione, un solo uomo nuovo, un solo soffio vitale, anche se la finalità non è quella del matrimonio, ma la stessa che fu di Cristo Gesù.


Questo solo uomo nuovo, poiché è divenuto un solo uomo nuovo, con l’unico Uomo Nuovo che è Cristo Gesù, è chiamato a vivere la sola missione di Cristo, con la stessa modalità di Cristo. Offrire la sua vita in riscatto perché il Signore continui per questo sacrificio e per questa offerta a fare di ogni uomo un solo uomo nuovo in Cristo Gesù e questo fino alla consumazione della storia, perché fino alla consumazione della storia l’Uomo Nuovo Cristo deve immolarsi nel suo corpo, in quest’unico solo nuovo uomo per la redenzione dell’umanità.


Questa è l’idea nuova, la nuova verità che scaturisce da questa espressione di Paolo. Il concetto è veramente grande, alto e profondo. Realizzarlo storicamente comporta la creazione di un solo soffio vitale con Cristo Gesù, perché è sempre Cristo il principio di vita eterna nel quale è possibile costruire ogni altra unità tra gli uomini.


Solo se Cristo diviene e permane quotidianamente questo principio di unità, è possibile a quanti sono in Cristo realizzare nella storia la finalità dell’uomo nuovo che è stato creato nel sacramento, altrimenti si è solo sacramentalmente una cosa sola con Cristo e tra di noi, ma non lo siamo vitalmente, perché vitalmente non siamo inseriti in Cristo Gesù Signore nostro.


Paolo ha un grande concetto di Cristo e della sua opera; ha anche un grande concetto della nuova realtà che si è venuta a creare tra gli uomini che sono divenuti un solo soffio di vita con Cristo. Ora è necessario che la potenza di questo principio nuovo che si è realizzato tra gli uomini sviluppi tutta la sua soprannaturale energia, perché solo così la storia sarà trasformata e si avvierà su sentieri di pace e di vera amicizia e fratellanza tra gli uomini.


Quando gli uomini non vivono più questa loro unità di solo soffio vitale, è il segno che si è caduti nella morte e ogni separazione da Cristo è morte e genera separazione con i fratelli, che è anche essa morte.


Chi è separato dal solo uomo nuovo, è caduto nella morte. È separato dai suoi fratelli, perché separato da Cristo. Questa è la verità della nostra fede.


Il cristianesimo che si vive quando si è separati da Cristo e dai fratelli è solo un cristianesimo di morte e non di vita. È una ritualità che genera solo illusioni.


[16]e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia.


Questo solo uomo nuovo vive però in un solo corpo. Questo corpo è quello di Cristo.


È giusto che si analizzi in profondità quanto Paolo ha appena affermato.


La riconciliazione avviene nel corpo di Cristo. Nel corpo di Cristo non solo avviene come dono iniziale, avviene anche come compimento di essa.


Il che significa semplicemente che la riconciliazione, perché produca frutti sulla terra, deve essere sempre vissuta secondo la legge, l’unica legge, che governa il corpo di Cristo.


In altre parole, non è sufficiente che i due popoli siano stati riconciliati, che siano stati fatti un solo nuovo uomo in Cristo Gesù, è altresì necessario che ogni singolo membro viva la legge del corpo di Cristo e questa legge è una sola: la perfetta obbedienza al Padre.


Senza l’osservanza di questa legge, l’inimicizia è distrutta in quanto a dono di Dio, ma non è distrutta in quanto a realizzazione dell’uomo.


All’uomo è dato in Cristo, nel suo corpo, il potere, la forza, l’energia divina di sconfiggere ogni inimicizia, ad una condizione che faccia della volontà di Dio l’unica regola della sua vita, del suo nuovo essere.


Questo spiega perché, pur essendo molti uomini inseriti in Cristo mediante il battesimo, pur avendo nel corpo di Cristo distrutto l’inimicizia, non la distruggono nelle proprie membra e nel proprio cuore, perché si sono allontanati dalla legge santa dell’obbedienza a Dio, che avviene solo nella vita conforme al Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo.


L’inimicizia si distrugge quando nella mente, nel cuore, nella volontà dell’uomo nuovo regnano i pensieri e i sentimenti di Cristo Gesù.


Gli altri non sono stati fatti uomini nuovi, non sono inseriti in Cristo. Costoro non hanno ancora la riconciliazione in Cristo Gesù. L’inimicizia da costoro non può essere vinta, perché Cristo non ha dato loro la sua vittoria, non li ha ancora fatti suo corpo. Questo non per volontà di Cristo, ma per volontà dell’uomo che non ha collaborato con Cristo affinché ogni uomo divenisse e divenga corpo di Cristo, uomo nuovo in Cristo, per ottenere la riconciliazione di Cristo.


Tutto questo Cristo lo ha ottenuto per noi mediante il suo sacrificio, per mezzo della sua croce, che è l’offerta della propria vita a Dio. La vita di Cristo offerta al Padre in sacrificio per noi, per la nostra riconciliazione, ci ha meritato questo grandissimo dono.


Cristo Gesù ha distrutto in sé ogni inimicizia dovuta al peccato, ha dato questa vittoria a tutti coloro che si inseriscono nel suo corpo, che divengono suo corpo. Non solo. Tutti costoro possono vincere in loro l’inimicizia, se mettono nel loro cuore e nella loro mente i sentimenti di Cristo Gesù e fanno del Vangelo l’unica regola della loro vita.


Questa è la legge, l’unica e sola legge. Altre leggi per distruggere l’inimicizia non esistono, non ci sono né in cielo, né sulla terra.


[17]Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini.


Questa vittoria, questa distruzione dell’inimicizia che regna nel cuore dell’uomo a motivo del suo peccato, si chiama pace.


Cosa è la pace? È la distruzione dell’inimicizia che ci faceva lontani da Dio, dai fratelli, da noi stessi, dal creato.


La pace deve essere data a tutti. Agli Ebrei e ai pagani. Ai vicini e ai lontani, cioè a coloro che prima erano vicini a Dio in ragione della loro discendenza da Abramo e a coloro che erano lontani, a motivo dell’idolatria che regnava e regna nei loro cuori.


Questa pace si annunzia, si predica, si proclama, si grida, si bandisce ad ogni uomo.


La via della pace è l’annunzio della pace, è il messaggio della pace, è il dire ad ogni uomo che la pace è possibile, ma che essa si trova solo in Cristo Gesù. È lì che si attinge ed è in Cristo che si vive.


Si attinge attraverso l’adesione alla predicazione del Vangelo, si vive mettendo in pratica ogni parola che è uscita dalla bocca di Cristo Gesù.


Se questo annunzio non viene operato, se questa verità non viene predicata agli uomini, non viene gridata ad essi, l’uomo non conoscerà mai la via della pace, ma di questo è responsabile colui al quale il messaggio è stato affidato e non lo ha fatto risuonare per il mondo intero.


La responsabilità è anche sua, se grida il messaggio della pace, ma ne cambia i contenuti, se sostituisce Cristo e al suo posto vi mette l’uomo, la sua razionalità, la sua forza di pensiero, di volontà, di impegno di sforzo. Mette anche al posto di Cristo la potenza di fuoco delle sue armi, pensando che siano queste a creare la pace tra gli uomini.


La pace dell’uomo è Cristo, è in Cristo, si vive per mezzo di Cristo, si realizza nel mondo con Lui, per Lui, in Lui.


La Chiesa non può tradire questo messaggio di pace, non può rinnegare il suo Signore, e fa questo ogni qualvolta lo sostituisce con un qualcosa che è nell’uomo e non è più in Cristo Gesù. Lo tradisce ogni qualvolta pone anche la giustizia come via della pace, ma fuori di Cristo, senza di Lui, fondando tutto sulla capacità razionale dell’uomo di pervenire alla pace e di realizzarla con i soli suoi mezzi umani.


Questa via è il rinnegamento di Cristo Gesù. Si è già detto qual è la via della pace. Essa, per tutti, indistintamente, è il loro inserimento nel corpo di Cristo. Con questo inserimento si riceve la capacità di distruggere l’inimicizia e di vivere l’amicizia con Dio e con i fratelli, nel creato di Dio, si riceve la vittoria di Cristo sull’inimicizia che dobbiamo fare nostra attraverso una vita conforme alla sua, con i suoi sentimenti che vivono nel nostro cuore e che governano ogni nostro gesto, opera, azione, pensiero.


La forza della Chiesa è Cristo, per Lui solo la pace scende nel mondo, perché solo Lui è la nostra pace, solo Lui la via della pace, solo in Lui la pace si costruisce attuando e vivendo la sua vita. È Lui anche la nostra possibilità, la forza in noi per vivere e costruire la pace.


[18]Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito.


Cosa ha fruttificato per noi la distruzione dell’inimicizia da parte di Cristo Gesù?


L’inimicizia prima che con noi stessi, con i fratelli, era con noi. Era l’inimicizia con Dio a generare l’inimicizia con i fratelli e con il creato, perché l’inimicizia con Dio aveva prodotto l’inimicizia con noi stessi, nel senso che tutto nella persona umana era e viveva nell’inimicizia.


La volontà viveva senza la razionalità, la razionalità senza la volontà, la concupiscenza governava il corpo e lo spirito, l’anima era nella morte e quindi non poteva esercitare il suo governo sull’intero uomo.


Ogni facoltà dell’uomo viveva contro l’altra e senza l’altra. Poiché Dio aveva predisposto con disegno mirabile che la vita all’interno del corpo umano fosse germinata dalla comunione tra corpo, spirito e anima, morta l’anima a causa del peccato, tutto nell’uomo è morto, perché è morto il principio della comunione, il principio della vita.


Non appena Cristo Gesù ha distrutto la nostra inimicizia con Dio, Dio ritorna ad essere il nostro Signore, la nostra vita, il principio della nostra vita, sempre però in Cristo, con Cristo, per Cristo nel suo corpo.


In Cristo, Dio diviene nostro Padre. Noi non siamo più stranieri, non siamo nemici, non siamo empi, non siamo morti. Siamo esseri viventi, ma soprattutto siamo stati fatti suoi figli in Cristo.


In Cristo possiamo tutti presentarci ad un unico Padre, al Padre nostro che è nei cieli, ma ci possiamo presentare come suoi figli, tutti come suoi figli, indistintamente, senza alcuna differenza.


Chi crea questa comunione, chi ci immette in questa comunione, che è la figliolanza di Cristo e la paternità di Dio, è lo Spirito Santo.


Lo Spirito Santo, che è la comunione d’amore tra Cristo e il Padre, ci inserisce in questa sua comunione eterna e ci dona la figliolanza di Cristo, ma anche la paternità del Padre. Lo Spirito Santo ci fa figli nell’unico Figlio Gesù Cristo e quindi noi abbiamo il diritto di chiamare Dio: Padre. È nostro Padre perché lo Spirito ci ha conferito la figliolanza di Cristo, avendoci fatti un solo corpo, una sola vita con Lui nelle acque del battesimo.


Questo è il prodigio, il miracolo spirituale, che si compie in noi per virtù dello Spirito Santo.


Questo miracolo è possibile perché Cristo lo ha realizzato per noi con il suo sangue versato sulla croce, quando ha distrutto l’inimicizia e ha ottenuto per noi il dono della pace che è ora figliolanza adottiva.


Per questo possiamo presentarci a Dio. Per questo possiamo chiamarlo Padre. Per questo gli altri sono nostri fratelli. Per questo gli altri sono in noi e noi in loro l’unico nuovo uomo creato in Cristo Gesù.


[19]Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio,


C’è una nuova realtà che è venuta a costituirsi in noi. Il passato è finito per sempre. Ciò che eravamo, non lo siamo più.


Non lo siamo costitutivamente, essenzialmente, naturalmente. È cambiato in Cristo lo statuto naturale dell’uomo.


Questo statuto è cambiato, perché l’uomo secondo Adamo è morto, è nato ora l’uomo secondo Cristo Gesù, l’uomo spirituale ha preso il posto dell’uomo carnale.


Se dunque è cambiato lo statuto, è anche cambiata la relazione con Dio e con i fratelli. Infatti ogni relazione cambia in base al cambiamento dello statuto. Ora il nostro statuto è quello di esseri nuovi, fatti ad immagine di Cristo, fatti in Cristo figli del Padre.


Anche Dio ha cambiato la relazione, perché con l’incarnazione del Figlio, è cambiata la relazione con l’umanità, con l’intera creazione, che ora è parte di Dio, perché in Cristo, è parte del Verbo Incarnato.


Da parte nostra questa relazione è di figliolanza in Cristo, da parte di Dio è di paternità in Cristo. In Cristo noi siamo figli di Dio, in Cristo Dio è Padre nostro. È Padre nostro perché Padre del Signore nostro Gesù Cristo.


Questa è la nuova relazione che si è venuta a creare tra noi e Dio in Cristo Gesù in un solo Spirito, che è lo Spirito di Cristo.


Questa nuova relazione esclude prima di tutto che noi possiamo essere stranieri e ospiti di Dio. Il figlio non può essere né straniero, né ospite. Non siamo più degli estranei per il Signore, anche se creati da lui a sua immagine e somiglianza.


Se non siamo estranei né ospiti a motivo della figliolanza adottiva, cosa ha fatto di noi lo Spirito in Cristo Gesù? Ci ha fatti concittadini dei santi, cioè degli Angeli, e familiari di Dio. È questa la nuova relazione che abbiamo con il cielo a motivo del nuovo statuto che Cristo Gesù ha scritto e realizzato per noi sull’albero della croce.


Abbiamo la cittadinanza celeste. Facciamo ora parte della città del cielo. Gli Angeli sono nostri amici, nostri concittadini. Senza alcuna differenza. Eppure loro sono stati creati per abitare il cielo, noi invece per abitare la terra. Ora invece il cielo è divenuta la nostra vera patria, la terra è solo un luogo di esilio, un luogo solo da attraversare per raggiungere la nostra patria, che è il cielo, la patria dei Santi.


Abbiamo cambiato patria. Questa patria già la pregustiamo nella speranza. Verso di essa siamo diretti. Dobbiamo raggiungerla. La terra è solo il deserto da attraversare imparando a vivere di sola parola del Signore. Questa è la nostra nuova realtà, il nostro nuovo statuto.


L’altra grande verità è questa: siamo diventati familiari di Dio. Questa è una dignità che non compete agli Angeli, perché loro rimarranno per sempre creature di Dio, sante, vere, giuste, perfette, puri spiriti, perché così sono stati creati, ma non potranno assurgere a questa dignità di essere veri familiari di Dio.


La famiglia comporta l’appartenenza allo stesso sangue, per generazione. Noi siamo generati dallo Spirito Santo, siamo fatti figli di Dio, siamo figli in Cristo, perché lo Spirito ci ha fatti corpo di Cristo.


Questa familiarità per generazione spirituale e per incorporazione non l’abbiamo con gli Angeli. Essi sono creature di Dio, sono creature nobilissime, sono puri spiriti, sono nella pienezza della gioia celeste, ma non hanno questa familiarità di generazione e di incorporazione con Dio.


Così l’uomo che è stato fatto di poco inferiore agli Angeli secondo il Salmo, è ora elevato sopra di essi quanto a familiarità con il Creatore e il Signore dell’universo.


Questo lo si può ricavare sia dal Salmo, che dalla Lettera agli Ebrei.


Il Salmo 8 così parla dell’uomo: “Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi? Eppure l'hai fatto poco meno degli Angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi; tutti i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna; Gli uccelli del cielo e i pesci del mare, che percorrono le vie del mare. O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra” (4-10).


La Lettera agli Ebrei (1,3-14) così commenta : ”Questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati si è assiso alla destra della maestà nell'alto dei cieli, ed è diventato tanto superiore agli Angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.


Infatti a quale degli Angeli Dio ha mai detto: Tu sei mio figlio; oggi ti ho generato? E ancora: Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio? E di nuovo, quando introduce il primogenito nel mondo, dice: Lo adorino tutti gli Angeli di Dio.


Mentre degli Angeli dice: Egli fa i suoi Angeli pari ai venti, e i suoi ministri come fiamma di fuoco, del Figlio invece afferma: Il tuo trono, Dio, sta in eterno e: scettro giusto è lo scettro del tuo regno; hai amato la giustizia e odiato l'iniquità, perciò ti unse Dio, il tuo Dio, con olio di esultanza più dei tuoi compagni. E ancora: Tu, Signore, da principio hai fondato la terra e opera delle tue mani sono i cieli. Essi periranno, ma tu rimani; invecchieranno tutti come un vestito. Come un mantello li avvolgerai, come un abito e saranno cambiati; ma tu rimani lo stesso, e gli anni tuoi non avranno fine.


A quale degli Angeli poi ha mai detto: Siedi alla mia destra, finché io non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi? Non sono essi tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati per servire coloro che devono ereditare la salvezza?


L’Incarnazione ha creato un nuovo ordine nell’intera creazione. Prima dell’Incarnazione: Dio, Angeli, uomini. Dopo L’incarnazione: Dio, il Verbo Incarnato, nel Verbo Incarnato quanti sono con Lui un solo corpo, gli Angeli, quanti non sono un solo corpo con Cristo Gesù.


Dobbiamo credere in questa familiarità, perché essa altro non fa che esaltare maggiormente sia l’Incarnazione del Verbo sia la redenzione che si compie nel suo corpo. Gli Angeli non sono assisi alla destra della Maestà divina. Gli uomini sono assisi a motivo del Corpo di Cristo che è assiso alla destra della Maestà divina.


Questa è la familiarità. Questa è la grande novità che si è venuta a creare nell’intera creazione di Dio. Questa anche la straordinaria grandezza della salvezza operata per noi da Dio in Cristo suo Figlio, nel suo corpo glorioso.


[20]edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù.


C’è il corpo invisibile di Cristo, ma c’è anche il corpo visibile. È un unico corpo, visibile e invisibile allo stesso tempo.


Per essere di Cristo Gesù bisogna essere nell’unico e nell’altro corpo, altrimenti non si è di Gesù Signore, non si appartiene a Lui, poiché si appartiene a Lui se si appartiene al corpo visibile e al corpo invisibile.


Il corpo visibile è la Chiesa, il corpo invisibile è Cristo Gesù, è il suo corpo glorioso nel quale veniamo inseriti mediante il battesimo. Ma divenendo corpo di Cristo, diveniamo anche corpo di Cristo visibile, diveniamo Chiesa di Cristo.


La Chiesa di Cristo Gesù ha un fondamento ben solido e questo fondamento è visibile. Per San Paolo questo fondamento ha due pilastri, che devono essere il basamento del cristiano. Inoltre c’è una pietra angolare sul quale questo basamento e questi pilastri poggiano che è lo stesso Cristo Gesù, Lui in persona. La Chiesa ha infatti come fondamento invisibile, come pietra angolare il Signore risorto, assiso al Cielo alla destra del Padre.


Qual è il ruolo degli Apostoli, quale quello dei profeti, quale quello di Cristo Gesù.


Gli Apostoli sono coloro che danno all’uomo la grazia e la verità di Cristo Gesù. Grazia e verità che conferiscono la salvezza, la redenzione, la giustificazione, la santificazione.


Senza gli Apostoli la Chiesa sarebbe senza verità. Ognuno potrebbe farsi la sua verità e di fatto dove non ci sono gli Apostoli con Pietro, non c’è verità. C’è una parvenza di verità, ma non c’è lo Spirito che guida la Chiesa verso la verità tutta intera. Su questo dobbiamo essere certi. Chi non ha questa certezza, non possiede neanche la verità di Cristo, essendo questa certezza verità di Cristo Gesù.


Le porte degli inferi non prevarranno dove c’è Pietro e dove ci sono gli Apostoli uniti in comunione gerarchica con Pietro.


Gli Apostoli, oltre la verità, devono dare anche la grazia e la prima grazia è lo Spirito Santo che essi conferiscono.


È lo Spirito che rende possibile la vita della Chiesa. Per lo Spirito si creano i testimoni di Cristo Gesù (sacramento della cresima); per lo Spirito alcuni uomini vengono costituiti continuatori dell’opera e della missione di Cristo, agendo nel suo nome e con la sua autorità (sacramento dell’ordine).


Lo Spirito lo conferiscono gli Apostoli. Gli Apostoli sono la vita della Chiesa. Sono la vita perché per loro la Chiesa può continuare la sua missione fino alla consumazione del tempo e della storia ed anche perché per loro vengono creati i testimoni del Risorto, coloro che annunziano Cristo attraverso l’esemplarità della loro vita, unitamente ad una parola vera che essi attingono sempre dagli Apostoli.


Sono gli Apostoli inoltre che danno la grazia dei sacramenti agli uomini, specie il Sacramento dell’Eucaristia, che è il sacramento dove ognuno in Cristo, mangia il fratello e diviene con Lui una sola vita.


Questo è solo un accenno a ciò che Paolo ci vuole dire affermando che i cristiani vengono edificati sul fondamento degli Apostoli.


La grazia, la verità, la vita della Chiesa è nel ministero Apostolico. La rigenerazione e la santificazione degli uomini è nel loro ministero. La preservazione da ogni errore è nel loro ministero. Il cammino nella verità di Cristo è nel loro ministero. Tutto ciò che riguarda la nostra salvezza è nel loro ministero.


I profeti invece sono coloro che hanno attinenza con la volontà attuale di Dio.


Essi non hanno relazione con la verità e la grazia. Questo è compito degli Apostoli.


Nel cammino per il compimento della verità, cosa vuole Dio realizzare, quale la via da percorrere, quali sentieri attuali Dio ha stabilito per i singoli e per la comunità, quali mezzi scegliere e quali iniziative intraprendere?


Tutte queste cose, tutto ciò che riguarda il cammino di verità nell’attualità di una volontà di Dio, questo è compito dei profeti. Sono loro la voce attuale di Dio per incarnare al meglio la verità della salvezza, per permettere alla grazia di operare i suoi frutti nella Chiesa e nel mondo.


Pietra angolare degli Apostoli e dei Profeti sui quali vengono edificati tutti i cristiani è Cristo Gesù.


La rigenerazione, la santificazione, il cammino verso il regno dei cieli attinge ogni energia da Lui. Lui è la fonte di tutto. Tutto questo è di di vitale importanza per l’intera esistenza della Chiesa.


Se la pietra angolare è Cristo, l’apostolo e il profeta che non si alimentano di Cristo, svolgono un lavoro vano, compiono un’opera inutile. Il loro lavoro, la loro opera viene ad essere privata della grazia e della verità che dona consistenza al loro ministero apostolico.


Questo ci indirizza verso una conclusione assai semplice: chiunque nella Chiesa di Dio ha un ruolo di responsabilità (Apostoli e profeti) devono ogni giorno verificare il loro radicamento vitale, di grazia e di verità, in Cristo Gesù.


Se questo radicamento viene ad essere smarrito, quanto essi operano non genera salvezza, perché non dona Cristo, in quanto Cristo non è in loro, perché loro non sono radicati in Cristo Gesù.


Questo spiega il fallimento di tanta pastorale. È una pastorale senza Cristo, perché chi la fa non è in Cristo, chi la opera non è radicato sul fondamento invisibile che è Cristo Gesù.


Si è radicati e fondati in Cristo quando si fa dell’obbedienza di Cristo la nostra obbedienza e del suo amore fino alla morte di croce il nostro amore e la nostra carità. Questa è la via della salvezza nel mondo. Questa anche la via per la santificazione dei cuori.


[21]In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore;


È Cristo l’unico fondamento. È in Lui che ogni costruzione cresce realizzando l’unico disegno di salvezza che il Padre ha pensato fin dall’eternità per l’uomo.


Una costruzione per essere costruzione di Dio deve poggiare su Cristo. Se non poggia su Cristo non è costruzione di Dio.


Perché possa poggiare su Cristo, deve prima poggiare sul fondamento degli Apostoli e dei profeti. Se non poggia su questo fondamento non può poggiare neanche su Cristo e quindi non è costruzione di Dio.


Questo deve essere affermato con chiarezza, al fine di evitare due pericoli gravi. Il primo è quello di costruire la casa di Dio su degli uomini e non su Cristo. Questa costruzione non è di Dio, perché non è costruita su Cristo Gesù, l’unica pietra angolare.


Il secondo pericolo è questo: costruire la casa di Dio su Cristo, ma senza volerla costruire sul fondamento degli apostoli e dei profeti. Anche questa costruzione non è di Dio perché manca ad essa la parte visibile, che è di garanzia, di certezza, essenziale, indispensabile perché si possa essere di Cristo Gesù.


Quando una costruzione cresce bene ordinata? Quando ogni parte, ogni membro, ogni cellula risponde alla volontà di Dio, adempie il progetto che Dio ha disegnato per lui fin dall’eternità.


Paolo ci dice che se una costruzione è in Cristo è anche una costruzione bene ordinata. È bene ordinata per un motivo assai semplice: se siamo veramente su Cristo, fondati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, noi cerchiamo solo la volontà di Dio, nella verità e nella grazia di Cristo Gesù. Questa ricerca, poiché fatta con la carità e nella verità di Cristo Signore, ci preserva dall’errore, ci fa evitare tutti i personalismi nella fede, perché ci conduce di verità in verità e di grazia in grazia.


Edificata in Cristo, in Lui che è il Signore, diviene tempio santo. Dio abita in esso. La sua gloria si manifesta in esso. Chi vuole incontrare il vero Dio, lo può incontrare perché lo troverà nel tempio vivo della sua gloria, che è la Chiesa di Dio.


La Chiesa di Dio è ora, deve essere ora, la visibilità di Dio, la presenza di Dio in mezzo al mondo. Questa è l’altissima vocazione che Cristo Gesù ha conferito alla sua Chiesa: quella di essere tempio di Dio in mezzo agli uomini, essere manifestazione della gloria di Dio tra le nazioni.


Questo avviene se la Chiesa edifica se stessa in Cristo, se Cristo diviene splendente di santità, di grazia e di verità, nel compimento perfetto della volontà del Padre che i profeti le fanno conoscere nella sua più grande attualità.


Cristo è il tempio di Dio in mezzo agli uomini, ma Cristo è tempio di Dio invisibile. Tempio di Dio visibile è la chiesa, è la comunità di tutti coloro che sono fondati in Cristo ma sul fondamento degli apostoli e dei profeti.


Una chiesa che diviene vero tempio santo di Dio manifesta il Signore e lo rende visibile tra gli uomini. Chi vuole incontrarlo, può; lo trova nel suo tempio santo che è la Chiesa.


[22]in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito.


Questa edificazione non è di un solo, non è di un popolo, non è dei Giudei e non dei pagani.


Questa edificazione è per tutti gli uomini. Ogni uomo, purché si lasci battezzare, diviene tempio Santo di Dio, ma lo diviene assieme agli altri, con gli altri, lo si divine anche per gli altri, poiché è agli altri che bisogna portare il lieto annunzio che Dio ha la sua dimora in mezzo agli uomini e questa dimora è la santa Chiesa che Cristo ha fondato sulla terra.


In questa edificazione non ci sono privilegi, non ci sono preferenze, non ci sono neanche scelte.


Tutti sono edificati, indistintamente, vengono edificati per mezzo dello Spirito Santo.


La via della edificazione sono i sacramenti, ma è anche la verità che la Chiesa dona a tutti i suoi figli e predica al mondo intero.


Se siamo edificati in Cristo, diveniamo dimora di Dio nel mondo. Dio abita in noi e noi lo manifestiamo, lo facciamo vedere. Come?


Mostriamo la sua grazia che agisce in noi e la sua verità che guida la nostra mente e illumina il nostro cuore.


In questo versetto c’è una particolarità che bisogna cogliere. Paolo parla di una edificazione d’insieme. Non è il singolo che viene edificato come dimora di Dio in mezzo al mondo per virtù dello Spirito Santo. Siamo edificati insieme, noi e gli altri, Ebrei e pagani. Siamo chiamati a fare una sola dimora, un solo popolo, un solo tempio, una sola casa.


Tutto questo dobbiamo farlo insieme. C’è pertanto una responsabilità personale di colui che viene edificato in Cristo Gesù per divenire dimora di Dio per mezzo dello Spirito.


Egli deve mettere ogni attenzione affinché eviti di farsi da solo. Se così dovesse avvenire, egli non realizzerebbe il disegno di Dio, poiché toglierebbe ordine al tempio del Signore.


Da questa verità nasce l’obbligo di profondere ogni impegno a crescere insieme, nonostante tutto.


Perché questa verità sia realizzata, bisogna anche lasciarsi martirizzare dalla Chiesa, ma mai rompere la comunione con essa, romperebbe la comunione con la dimora di Dio. Fuori della comunione ecclesiale, non c’è edificazione della dimora di Dio.


Il mondo non potrebbe più incontrare il Signore. Questo va detto contro tutti coloro che hanno voluto farsi dimora di Dio, ma ponendosi fuori della Chiesa, fuori del fondamento di Cristo, senza l’altro fondamento anch’esso essenziale, degli apostoli e dei profeti.


Tutti costoro, essendosi separati dalla Chiesa, si sono separati da Cristo, poiché è impossibile edificarsi su Cristo, senza l’edificazione sugli Apostoli e sui profeti, essendo questo il fondamento visibile di tutta la Chiesa, di tutta la dimora di Dio in mezzo agli uomini.


Questa verità vale contro tutte quelle tentazioni del quotidiano che ci portano ad affermare l’amore per Cristo, per il Signore, per lo Spirito Santo, ma senza la Chiesa e fuori di essa.


Ogni forma che non considera seriamente il fondamento degli apostoli e dei profeti, è una forma non santa, non vera, non buona, non giusta. Non è la forma di Cristo, non è la sua dimora in mezzo agli uomini, non è il suo tempio santo, edificato in mezzo al mondo dallo Spirito Santo.


Questa verità deve essere creduta, amata, difesa, annunziata. Spetta ad ogni discepolo di Gesù mettere ogni impegno, ogni volontà, tutto il cuore e tutta la mente perché mai venga a separarsi dal tempio santo di Dio, dalla sua dimora tra gli uomini.


Spetta ad ogni discepolo di Gesù invitare ogni altro discepolo di Gesù a non uscire dalla comunione che è la legge stessa del corpo di Cristo.


Purtroppo, specie ai nostri giorni, c’è tutta una corrente che pone il singolo al di sopra e contro la comunità, pone il singolo fuori della comunità. Si viene così a rompere quel principio vitale secondo il quale la dimora di Dio è una ed è fatta da noi e dagli altri insieme; è fatta da noi e dagli altri in modo bene ordinato e l’ordine è uno solo: il rispetto della volontà di Dio che ha predisposto per ciascuno qual è il suo ruolo all’interno di questa ordinata costruzione.


Oggi la Chiesa è lacerata nella sua unità e comunione. Questo è il segno evidente che essa non viene più edificata su questi due fondamenti: su Cristo e sugli Apostoli e sui profeti.


Che il Signore conceda a tutti la grazia di iniziare l’edificazione del suo tempio santo in mezzo agli uomini, secondo le regole e le norme da lui prestabilite prima della creazione del mondo e che ci sono state insegnate per portare vita eterna in noi e negli altri, nella comunità di Dio, nel suo popolo santo, nella sua dimora, nel suo tempio santo che è il luogo della presenza efficace di Dio in mezzo agli uomini.


Chi opera tutto questo è lo Spirito Santo di Dio.





Credente
00giovedì 1 novembre 2018 19:07

PER OPERA DI GESÙ CRISTO




Senza Cristo si è nella morte. La nostra vita è da Cristo Gesù, è in Cristo Gesù, è per Cristo Gesù. La vocazione dell’uomo è una sola: attingere la vita da Cristo, in Cristo, per Cristo, per viverla tutta in Cristo, per Cristo, con Cristo, nel suo corpo che è la Chiesa. Attraverso un atto di fede alla Parola di Cristo, nel sacramento del Battesimo, la vita di Cristo diviene vita del cristiano. Questa vita nuova ed eterna che lo alimenta deve crescere in Lui fino a divenire sempre in Cristo, con Cristo e per Cristo vita di ogni altro uomo. Il cristiano che è stato associato nel corpo di Cristo al mistero della redenzione, da uomo perfettamente redento e santificato, coopera con Cristo perché molti suoi fratelli conoscano Cristo. Per mezzo della testimonianza e della parola di Cristo che lui dona loro e per mezzo dello Spirito Santo che abita in lui, quanti ascoltano la Parola vengono toccati nel cuore perché aderiscano a Cristo Gesù, perché anche loro attingano in Lui tutta la vita eterna, necessaria per essere ad immagine del Figlio unigenito del Padre. Se il cristiano non coopera con Cristo, l’altro rimane nella morte. Che sia nella morte lo attestano i pensieri e le opere di morte che guidano la sua vita. L’uomo è chiamato da Dio a rivivere in Cristo, il cristiano è il corpo di Cristo attraverso il quale la vita di Cristo viene annunziata, offerta e consegnata ad ogni uomo. Se il cristiano è anche lui morto, perché non inserito vitalmente in Cristo, tutto il mondo assieme a lui muore. Il cristiano è un portatore di vita eterna tra gli uomini, uno che deve chiamare ogni uomo a vita nuova ed eterna. Se lui non svolge questa sua missione, tutto il mondo assieme a lui muore, muore perché lui non ha portato con sé lo Spirito Santo che tocca il cuore e riscalda l’anima perché aderisca a Cristo e attinga in Lui tutta la vita eterna, vita di grazia e di verità, che lo riportano e lo fanno esistere nella vera vita. Così ogni cristiano compie la volontà salvifica universale del Padre che vuole che ogni uomo riviva in Cristo e con Cristo.

Ribelli al Vangelo, ribelli a Cristo. Quando si dona Cristo secondo verità, quando si offre la grazia nella santità del cristiano, che vive nel corpo di Cristo e in esso cresce, e l’altro la rifiuta, costui esce dalla buona fede, entra nel rifiuto di Cristo. Rifiutando la Parola, rifiuta Cristo; rifiutando la grazia, rifiuta Cristo autore di ogni vita, ribellandosi al Vangelo, si ribella a Cristo, non lo accoglie come il Salvatore e il Redentore della sua vita. Chi rifiuta esplicitamente Cristo non conserva più la buona coscienza. Questa esiste finché Cristo non le viene presentato secondo le regole della sana, giusta, conveniente, santa testimonianza, accompagnata da segni e prodigi di grazia e di verità. Dopo si passa dalla buona coscienza al rifiuto esplicito di Cristo Gesù. La situazione spirituale è molto più grave di prima. È giusto ricordare che l’annunzio del Vangelo deve essere fatto alla stessa maniera di Cristo Gesù, nella santità e nella verità di una vita tutta obbediente a Dio, altrimenti non è vero annunzio e l’altro può anche avere delle ragioni umane per non credere ad un Vangelo non annunziato e non testimoniato secondo la regola di Cristo Gesù.

Ricco di misericordia. Chi è ricco di misericordia è il Padre di nostro Signore Gesù Cristo. È ricco di amore perché ci ha dato il suo Figlio Unigenito come Salvatore e Redentore, ce lo ha dato però dall’alto della Croce. Dove Abramo si fermò per volontà di Dio, Dio non si ferma per sua volontà. Il suo amore va altre quello di Abramo e di ogni altro uomo per noi. Ogni uomo deve la vita a Dio perché è sua. Dio non deve la vita a noi, perché Lui è Dio. Ebbene, proprio Dio ha dato la vita per noi, per la nostra salvezza. Se Dio ha dato la vita per noi in Cristo Gesù, suo Figlio, veramente egli è ricco di misericordia, di carità, di ogni bontà verso la creatura che ha fatto a sua immagine e somiglianza. Da questa ricchezza di misericordia ogni uomo dovrebbe lasciarsi avvolgere, in essa trasformare, affinché anche la sua vita diventi ricchezza di misericordia, di carità e di amore per il mondo intero.

La vita cristiana, frutto della vita di Cristo in noi, è la verità della nostra fede. Chi vuole sapere quanta fede abita nel suo cuore, deve esaminarsi nella vita di grazia e di carità, di amore, di speranza, di sollecitudine evangelica per i suoi fratelli. Chi, come Cristo, dona la sua vita per la salvezza del mondo, in piena e totale obbedienza a Dio, costui ama; ama, perché dona la sua vita; costui crede perché la nostra fede è una chiamata, una vocazione a dare interamente la vita a Dio per la salvezza dei nostri fratelli. È questa la logica della redenzione. Non se ne conoscono altre. La vita cristiana non è santità personale, è santità personale in vista della redenzione del mondo, in prospettiva di carità evangelica a beneficio del mondo intero. La nostra santificazione deve svolgersi alla stessa maniera di Cristo Gesù: deve essere uno strumento la santità, il veicolo dello Spirito, perché lo Spirito portato dalla nostra santità nel mondo, produca frutti di redenzione, di santificazione, di salvezza, di fede al Vangelo, di carità operosa.

La santità cristiana è la straordinaria ricchezza della grazia. La santità cristiana però non è un frutto che matura dalla nostra carne, come potrebbe essere il frutto per un albero, che attinge dal suolo le energie vitali. La nostra santificazione è un dono di Dio, discende dal Cielo, si attinge tutta nel corpo di Cristo, per mezzo del corpo di Cristo. Il corpo di Cristo è insieme la sorgente e la via attraverso cui la santità si riversa in un cuore. Il cristiano, corpo di Cristo, deve essere insieme strumento e via, altrimenti la santità non si attinge nel corpo di Cristo. Dio tutto ha donato. Ha costituito Cristo fruttificatore e portatore del dono nel mondo; ha costituito il discepolo di Gesù, in Cristo, con Cristo, per Cristo, fruttificatore e portatore del dono di santità, nel mondo. Se il cristiano fallisce nella sua missione, la santità non si genera nei cuori; non si genera perché manca colui che come corpo di Cristo, in Cristo, con Cristo e per Cristo, fa espandere la santità di Cristo nel mondo, crescendo lui per primo in grazia e in sapienza, in santità e in verità, in giustizia e in ogni altra opera santa, conformemente al Vangelo e alla legge nuova delle Beatitudini.

Fede in Cristo e salvezza in Cristo: una sola realtà. La salvezza: solo opera della misericordia di Dio (come dono). L’opera: realizzare Cristo. La salvezza è la realizzazione di Cristo in noi. Non c’è vera, autentica fede in Cristo Gesù se non si trasforma in vera, autentica opera di salvezza, di giustificazione, di santificazione. Chi veramente crede, veramente si santifica; chi non si santifica veramente, veramente non crede. Fede e santificazione non sono due realtà, sono una sola inscindibile verità, realtà, dono di grazia. Lo abbiamo già detto: tutta l’opera della redenzione, dalla proclamazione del Vangelo fino al raggiungimento della propria santificazione, è opera della misericordia di Dio, è un dono della misericordia di Dio. Questo dono però non può espandersi nel mondo se non attraverso una sola via: facendo sì che fede in Cristo e salvezza in Cristo, realizzazione di Cristo in noi siano una sola realtà. L’opera della fede e della salvezza è una sola: la realizzazione di Cristo in noi. Se non si parte da questa verità, tutto alla fine risulterà vano. È vana infatti ogni fede che non si compie in se stessa e si compie solo quando tutto Cristo è realizzato nel cristiano. Questa realizzazione è dono di Dio, ma posto nell’impegno, nella volontà dell’uomo, nel suo quotidiano lavoro di realizzazione di Cristo in lui. Oggi c’è una pastorale tutta sganciata da questa visione della fede e della salvezza. C’è una pastorale che vede ogni cosa come dono di Dio, ma come dono di Dio non vede la realizzazione di Cristo in noi, vede la salvezza finale, offerta a tutti come un dono di Dio, della sua misericordia, ma senza aver realizzato Cristo in noi durante la vita terrena. Pastorale più falsa, più deleteria non può esistere. Questa è la pastorale di satana per la rovina eterna delle anime; non potrà mai essere la pastorale del cristiano in Cristo, che realizza Cristo, che attende alla sua santificazione, come veicolo dello Spirito, per la redenzione del mondo.

Ricordare ciò che si era prima, perché? Il cristiano deve sempre ricordare ciò che era prima della venuta di Cristo nella sua vita. Deve ricordarlo perché dal suo cuore si innalzi un inno perenne di ringraziamento, di lode, di benedizione al Signore che lo ha salvato. Senza l’intervento di Dio nulla sarebbe mai cambiato nella sua vita; questa sarebbe stata una inutile ripetizione di atti e di azioni vane, inutili quanto al salto qualitativo, anzi cristico, cui essa è chiamata. E se Cristo non interviene direttamente Lui nella nostra vita, questa non cambia. Non c’è in noi alcuna risorsa naturale, di volontà, o di altro, capace di assimilare la nostra vita a quella di Cristo Gesù. Sapendo questo il cristiano deve pregare intensamente perché il Signore intervenga, lo trasformi, lo cambi, lo renda cristiforme in tutto, lo faccia uomo evangelico. Chi conosce se stesso sa che solo Cristo lo ha potuto cambiare, lo cambia, lo cambierà. Chi conosce Cristo non cessa di ringraziare il Signore per quello che ha già fatto, con insistenza lo invoca perché voglia continuare l’opera della sua trasformazione totale.

Differenza tra pagano ed Ebreo in ordine alla speranza. Dare la speranza, come? La differenza è abissale. Il pagano non ha speranza se non terrena, l’Ebreo invece ha una speranza nell’intervento diretto di Dio nella storia. L’Ebreo sa per l’esperienza che lui ha già fatto dell’Onnipotenza del suo Dio, che nulla è impossibile a Dio e che il Signore interviene nella nostra storia per farla nuova, per creare i Cieli nuovi e la Terra nuova. L’Ebreo sa, sempre per esperienza, che la storia può cambiare solo per intervento di Dio, ma sa anche che il Signore vuole cambiare la storia e per questo lo prega perché intervenga, faccia presto, dia una soluzione di verità, di giustizia e di santità ai nostri giorni. L’Ebreo sa che può nascere la verità sulla terra e anche la santità. Lo sa perché Dio queste cose l’ha fatte nascere per il suo popolo. Lo invoca perché continui a farle nascere ancora. Il pagano non ha questa speranza. La sua speranza è immanente, nelle opere degli uomini, non nell’onnipotenza e nella misericordia del Signore. Il cristiano, che si è inserito, nella speranza soprannaturale che ha creato Cristo Gesù per il mondo intero, in questa speranza cresce, verso questa speranza cammina, questa speranza annunzia. Come? Lasciandosi completamente fare nuovo dal Dio che viene per fare nuove tutte le cose. La novità del cristiano, reso tale dallo Spirito Santo, è la più grande predicazione sulla speranza. Dio può fare nuove tutte le cose. Da uomo nuovo attesta che la Parola di Dio è vera. Ad essa si può prestare fede.

Tutto cambia in Cristo, ogni relazione: passato, presente, futuro, terra. Cielo, fratelli, cose. È questa la verità delle verità che devono governare l’intera nostra storia. Tutto cambia in Cristo, perché cambia l’uomo in Cristo. L’uomo in Cristo si riveste di Cristo, si riveste delle sue virtù, in modo del tutto speciale si riveste di grazia e di verità. Con la verità vede ogni cosa nella sua intima essenza, la vede nella sua giusta relazione, la vede secondo giustizia e santità. Con la grazia è capace di operare secondo quanto visto nella verità. Ecco perché tutto cambia per un uomo che si è lasciato e si lascia interamente cambiare da Cristo Gesù. In quest’uomo c’è un pensiero nuovo, una mente nuova, una volontà nuova, un cuore nuovo, uno spirito nuovo, un’anima nuova, una forza nuova: la forza della verità e della grazia nel suo cuore.

Pace come liberazione. La vita del cristiano: strumento di pace. La pace si attinge in Cristo, si vive in Cristo. La pace è libertà dal peccato. Se non ci si libera dal peccato, non si può essere in pace. Anche un semplice peccato veniale turba la pace, come la turba ogni pensiero e ogni parola vana che risiede nel nostro cuore. Il cristiano è strumento di pace nella misura in cui toglie il peccato dal suo seno. Se non lavora per togliere il peccato, non può essere uomo di pace, né strumento della pace. Inoltre, assieme alla lotta contro il peccato, contro il vizio, il cristiano, se vuole costruire la pace deve conquistare tutte le sante virtù: sono esse concretamente che operano la pace in seno alla comunità cristiana e nel mondo intero. Si pensi a quanta forza di pace contenga in sé la virtù della carità. San Paolo dona la carità ai Corinzi come unica via possibile per costruire la pace in seno a quella comunità. Questo ci deve insegnare che la pace non può esistere senza la grazia; grazia e verità sono in Cristo, sono dono di Cristo che devono viversi in Cristo, nel suo corpo. Il cristiano si fa sempre più membro vivo e santo del corpo di Cristo, si riveste della sua grazia e della sua verità, si lascia impastare da Cristo di questi due doni divini, e lui diventa un operatore di pace in mezzo ai suoi fratelli. Ma se il cristiano non vive in Cristo, non può essere operatore di pace, non può perché fuori di Cristo la pace non esiste, perché fuori di Cristo manca la grazia e la verità, manca la santità, mancano le virtù soprannaturali, manca la vera giustizia, manca la carità, che in Cristo diviene dono della nostra vita, sacrificata sull’altare della croce, perché la pace di Dio si diffonda nel mondo intero.

Il peccato: come muro di divisione. Il peccato principio generatore di ogni inimicizia. L’inimicizia è prima di tutto dentro di noi. Lo si è già detto, è utile aggiungervi qualche altro concetto. Il peccato essendo morte dell’uomo, morte nel suo spirito, nella sua anima, nella sua mente, nella sua volontà, in ogni facoltà del suo essere, altro non fa che generare altra morte attorno a sé, nel cuore dell’uomo. È questa morte che c’è dentro che diventa causa delle morti che ci sono fuori di noi, ma che sono operate dalla morte che milita nelle nostre membra, nel nostro spirito, nella nostra anima. Chi vuole abolire le inimicizie che sono fuori di lui, deve abolire la morte che è dentro di lui. Nel momento in cui non solo abolirà la morte che è in lui, ma opererà perché tutta la vita di Cristo viva in lui, egli opererà in modo efficiente, efficace, perché la vita di Cristo che vive in lui si espanda attorno a lui nel mondo intero. Solo così l’uomo, da costruttore di inimicizia attorno a sé potrà divenire un costruttore di pace, di amore, di fratellanza, di fraternità nel mondo che lo circonda. Per questo però è necessario che si lasci inabitare dalla vita di grazia e di verità che sono in Gesù Signore.

La salvezza: opera di distruzione prima e poi di edificazione. Chi vuole la salvezza deve sapere che essa consiste di due momenti fondamentali, essenziali: la distruzione del peccato, l’edificazione nella grazia e nella verità. Nessuno potrà mai pensare di essere un edificatore di salvezza nel mondo, se non diviene un distruttore del peccato nel mondo. Ma distruggere il peccato degli altri non si può se non nella misura in cui lo si distrugge in noi; così anche nessuno potrà mai sperare di edificare, costruire, innalzare il regno di Dio negli altri se non lo avrà innalzato in se stesso e nella misura in cui lo innalza. Questa verità deve sgombrare la nostra mente da quell’errore fatale che ci fa pensare che sia possibile edificare il regno di Dio negli altri senza edificarlo in noi. Questa non è la verità di nostro Signore Gesù Cristo; non è questo il contenuto del suo Vangelo.

Un solo uomo nuovo. Un solo soffio vitale in Cristo Gesù. Un solo uomo nuovo in un solo corpo. Il nuovo statuto dell’umanità. Cristo è il solo uomo nuovo, è l’uomo nuovo, è il Nuovo Adamo che Dio ci ha dato perché in Lui e solo in Lui anche noi ci facciamo nuovi. Fuori di Cristo, senza di Lui, nessuna novità è possibile per l’uomo. Non è possibile, perché non esiste, non c’è. Noi siamo chiamati a formare con Cristo un solo corpo, di più: un solo soffio vitale, una sola vita, una sola morte, una sola risurrezione, una sola missione, un solo mistero sulla terra e nel cielo. È questo il nuovo statuto dell’umanità. Questa verità è talmente lontana dal cristiano di oggi, che questi neanche riesce più ad immaginarla. Cristo e lui sono due realtà distanti, lontane, due realtà che al massimo si incontrano come si incontra l’assetato e la fontana, ma poi l’assetato riprende il suo cammino e la fontana resta al suo posto, come una fonte di vita per chi ne ha bisogno. Al massimo è questa la concezione che oggi molti cristiani hanno di Cristo Gesù. Questa concezione non esprime la nostra fede, non è la nostra fede. Non c’è una grazia e una verità fuori di Cristo. La nostra grazia è Cristo, come la nostra verità è Cristo. Ma Cristo è grazia e verità per noi, se noi diveniamo una cosa sola in Lui. È questo lo statuto della nuova vita ed è lo statuto di tutta l’umanità, di ogni uomo di ieri, di oggi, di domani. Questa realtà di Cristo in noi e di noi in Cristo non si esaurisce su questa terra; essa mai si esaurirà perché continuerà nel cielo per tutta l’eternità.

Il cristiano sopra gli stessi angeli? Il cristiano è veramente sopra gli stessi angeli? Per creazione dobbiamo dire di no. Per creazione, come afferma la Parola di Dio, siamo stati fatti di poco inferiori agli Angeli. Per redenzione, per incorporazione in Cristo, divenendo con Lui una sola vita, un solo corpo, un solo soffio vitale, noi partecipiamo anche della sua signoria e in quanto tali abbiamo un’altra relazione con l’intero creato. Ad ogni modo cosa avverrà nel cielo, cosa avviene sulla terra, non ci è stato rivelato. Una cosa però è certa: La Vergine Maria, Madre della Redenzione, è stata costituita da Dio Regina degli Angeli e dei Santi. La Madre di Dio, la Madre di Gesù, la Madre di noi cristiani, è superiore agli Angeli per volontà di Dio, essendo stata fatta da Lui loro Regina. Questa è verità di fede. Non è teoria, o pensiero teologico. Non è neanche argomentazione e deduzione, come quella precedentemente accennata. Deduzioni e argomentazioni che sono legittime nella fede, altrimenti questa mancherebbe del suo sviluppo e del suo perfezionamento.

Corpo visibile e invisibile. Il fondamento visibile e invisibile dell’unico corpo. Radicati in Cristo. Il corpo di Cristo è visibile e invisibile insieme, è nella gloria del cielo e sulla terra, vive nella beatitudine eterna, ma è esposto continuamente alla legge del martirio e della croce. Il fondamento che ci fa un solo corpo con Cristo è anche visibile e invisibile: è la Chiesa che come Cristo e perché corpo di Cristo vive sulla terra e nel cielo, vive nella gloria eterna, ma anche nelle continue sofferenze a causa della salvezza che deve costruire in sé e nel mondo intero. Con il battesimo si viene radicati in Cristo. Diventiamo noi cristiani il suo corpo visibile sulla terra. La verità del corpo è una sola: non vi può essere disparità nella santità tra il corpo visibile e quello invisibile. Non può essere santissimo il corpo invisibile e peccatore il corpo visibile. Se così avviene, è il segno che di questo corpo siamo diventati rami secchi, pronti ad essere tagliati da Dio e gettati nel fuoco eterno. È dovere di ogni membro del corpo di Cristo, rendere anche visibili le virtù del corpo invisibile, rendere operanti le potenzialità del corpo invisibile, fare del corpo invisibile il corpo visibile e questo avviene solo nella grande santità del cristiano. Nella santità si abolisce il peccato dalla nostra vita e le virtù e le potenzialità di Cristo iniziano a manifestarsi attraverso la nostra vita, che deve essere tutta vita di Cristo in noi.

Apostoli e profeti. Il profeta, per svolgere in modo santo il suo ministero all’interno del corpo di Cristo, necessita del ministero dell’apostolo, il quale costituito da Cristo ministro della sua Parola e quindi della sua Verità, deve operare quel sano discernimento, perché nulla di umano, nulla di falso, nulla di non vero o di meno vero, o non perfettamente vero venga ad insinuarsi nel Vangelo di Cristo Signore. Chi è il profeta, il vero profeta, alla luce del Nuovo e anche dell’Antico Testamento? Il profeta è un uomo, una donna, assai particolari, costituiti da Dio portatori nel mondo della sua volontà attuale, che non è dono di nuova verità, di nuova giustizia, o nuova santità, ma è manifestazione della sua volontà in ordine al compimento, alla realizzazione della divina Parola di Gesù nell’oggi della storia. Se il profeta cammina senza l’apostolo il rischio è di immettere nella verità del Vangelo cose che non appartengono al Vangelo. Sarebbe la distruzione di tutto il Vangelo. Se invece è l’apostolo che cammina senza il profeta, il rischio è anche grande, assai grande; è quello di camminare un cammino che non è più dell’uomo; è quello di adagiarsi su verità che non sono più il cammino di Dio con l’uomo oggi; addirittura ci potrebbe anche essere il rischio di dare valore a ciò che oggi non ha più valore e significato; a quanto la storia ha già rigettato perché non lo riconosce più come appartenente a Dio, perché in verità è solo modo, forma, uso di cammini che Dio aveva indicato per il passato, ma che non sono più la volontà di Dio. Questa reciproca relazione ci deve insegnare che nella Chiesa non ci sono assoluti, non ci sono suonatori solisti; i solisti sono condannati al più grande fallimento e questo vale sia per il profeta senza l’apostolo, come anche per l’apostolo senza il profeta.

Dio è nel suo tempio santo: nella Chiesa. La Chiesa lo deve mostrare visibilmente. Nella Chiesa, ogni uomo è fatto tempio. Farsi martire della Chiesa, ma rimanere nella Chiesa. La Chiesa è la visibilità di Dio. Come Dio era tutto visibile in Cristo Gesù, così deve essere per la Chiesa. Nella Chiesa Dio deve essere visibile in tutto il suo splendore di grazia, di verità, di santità, di onnipotenza. Questa verità esige che ogni cristiano sia visibilità vera di Dio in mezzo al mondo. È questa la sua vocazione e quindi anche la sua missione. Se questa verità viene ignorata, non c’è alcuna altra possibilità per il cristiano di poter manifestare il Signore, di rivelarlo, di farlo vedere al mondo intero. L’evangelizzazione, quella vera, si fa manifestando il Signore, rivelandolo, mostrandolo operante in noi con la sua santità e la sua verità. Altre vie per evangelizzare sono dell’uomo, ma non conducono a Dio, al massimo potranno condurre agli uomini, ma a Dio certamente no, perché nessuna via conduce a Dio se non è via di manifestazione e di rivelazione di Dio attraverso la nostra vita. Il cristiano però in tutto si deve comportare come Cristo Gesù? Chi è Cristo Gesù? Il martire, il crocifisso del popolo del Signore. Ma è proprio mentre lo crocifiggevano che Lui manifestava loro il Padre suo, che attestava la sua misericordia, che rivelava loro il suo amore, la sua compassione, la sua pietà. Così deve dirsi del cristiano: il cristiano anche lui è chiamato a lasciarsi crocifiggere non solo dal mondo, ma anche da quanti si dicono e sono Chiesa di Dio. Deve lasciarsi crocifiggere da loro, perché anche loro hanno bisogno di vedere il Signore e lo vedono nella croce che il cristiano subisce da parte di chi è cristiano ma non conosce Dio. Subendo per loro e da loro la croce, il cristiano anche a loro manifesta il Signore. Se vogliono, anche loro possono vedere il Signore e aprire il loro cuore alla sua manifestazione. L’ostensione di Dio da parte del cristiano è l’unica via dell’evangelizzazione della Chiesa e del mondo. Per questo è richiesto al cristiano di essere lui e non altre cose l’ostensorio di Dio in questo mondo, nella Chiesa. Chi si incontra con siffatte persone, incontra Dio. Io mi sono incontrato con una persona ostensorio vivente di Dio e ho incontrato il Dio che mi ha salvato.





 


Credente
00giovedì 1 novembre 2018 19:10
CAPITOLO TERZO


PAOLO MINISTRO DEL MISTERO DI CRISTO

[1]Per questo, io Paolo, il prigioniero di Cristo per voi Gentili...
Paolo si definisce in questo versetto il prigioniero di Cristo. Prigioniero è colui la cui vita non è più nella propria volontà, ma nella volontà di un altro, nella volontà di colui che lo tiene prigioniero.
Al di là del fatto che Paolo fisicamente è in prigione, fisicamente non può più disporre della sua vita. Dagli Atti degli Apostoli sappiamo che spesse volte era stato imprigionato.
Le prime prigionie erano durate qualche giorno, la prima appena una notte. L’ultima prigionia raccontata dal libro degli Atti fu invece assai lunga e si concluse a Roma, non sappiamo però come e quando.
Paolo è prigioniero di Cristo Gesù perché a Lui si è consegnato. Tutto di sé ha dato al suo Signore. Mente, pensieri, cuore, volontà, corpo, la stessa anima ha consegnato a Cristo Gesù.
Cristo Gesù ha chiesto tutto di lui e lui glielo ha dato, si è consegnato nelle sue mani.
Cristo Gesù ha fatto di lui l’apostolo dei Gentili e lui visse, dopo la folgorazione sulla via di Damasco, andando di città in città tra i Gentili a predicare il Vangelo della salvezza.
Sappiamo sempre dagli Atti la sua volontà di recarsi fino a Roma, avrebbe voluto anche nella capitale dell’Impero raccogliere frutti di grazia, portando tante anime alla fede nel Signore Gesù, Salvezza e Redenzione anche dei Romani, e non solo degli Ebrei.
Per questo egli dice che è il prigioniero di Cristo Gesù per voi Gentili, è per i Gentili a motivo della scelta che Cristo ha fatto. Tutto questo appare chiaramente dalla sua vocazione che è mirabilmente testimoniata dagli Atti degli Apostoli.
Da quanto Paolo dice dobbiamo concludere una verità assai importante: chi vuole servire Cristo secondo verità deve farsi suo prigioniero. Deve perdere cioè volontà e sentimenti propri, per acquisire solo volontà e sentimenti di Cristo Gesù. Del resto è questo che egli esprime nella Lettera ai Galati, quando dice: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha date se stesso per me”.
La vive completamente compiendo la sua volontà, volontà che è il Vangelo della grazia, volontà che è anche la missione specifica che gli è stata assegnata da Cristo: consumarsi interamente perché i Gentili conoscano Cristo, conoscano il Vangelo della Salvezza, divenendo anche loro dei redenti e dei giustificati per opera dello Spirito Santo.
[2]penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro beneficio:
Paolo ha una missione particolare da svolgere. Questa missione gli è stata affidata direttamente da Dio.
Negli Atti viene messo in risalto questo incarico sia al momento del battesimo di Paolo da parte di Anania, sia quando lo Spirito Santo direttamente chiese alla Comunità di Antiochia che Barnaba e Paolo fossero separati per la missione scelta per loro da Dio.
“Rispose Anania: Signore, riguardo a quest'uomo ho udito da molti tutto il male che ha fatto ai tuoi fedeli in Gerusalemme. Inoltre ha l'autorizzazione dai sommi sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano il tuo nome. Ma il Signore disse: Va’, perché egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli, ai re e ai figli di Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome. (At 9,13-16).
“C'erano nella comunità di Antiochia profeti e dottori: Barnaba, Simeone soprannominato Niger, Lucio di Cirène, Manaèn, compagno d'infanzia di Erode tetrarca, e Saulo. Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse: Riservate per me Barnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho chiamati. Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li accomiatarono. (At 13,1-3).
La missione viene qui definita ministero della grazia di Dio in favore dei pagani, o come venivano chiamati dagli Ebrei: a favore dei Gentili.
Sarebbe assai bello se in ogni cristiano vi fosse questa stessa coscienza sulla missione ricevuta.
Indipendentemente dai destinati cui essa è rivolta e i destinati possono essere sia i vicini che i lontani, sia i credenti che i non credenti, ogni missione è un ministero della grazia di Dio.
Ci viene consegnata una particolare grazia che noi dobbiamo distribuire, consegnare, portare ai destinatari.
Sia la grazia che il destinatario è indicato da Dio. Sia nella grazia che nella destinazione di essa non può esserci autonomia.
Dio vuole la salvezza, la redenzione, la santificazione di una persona, chiama uno di noi, gli affida la grazia da consegnare e noi dobbiamo darla a colui al quale Dio ci ha inviati perché noi la diamo.
Se avviene uno scambio di grazia e di destinatari, la salvezza di Dio non si compie, quella persona chiamata alla giustificazione o alla santificazione per mezzo della grazia a noi affidata, rimane esclusa dal compimento in essa della volontà di Dio, ma con nostra grave responsabilità.
Su questa non autonomia da parte nostra nel conferire la grazia e nello scegliere i destinatari dovremmo meditare, pensare, riflettere. Paolo ci insegna che tutto deve discendere dal cielo. È Dio che ci deve dare la grazia da consegnare, ma anche ci deve indicare le persone cui egli ha già destinato la grazia e questo già fin dall’eternità.
Concepire così la missione cambia totalmente di significato la nostra consegna a Lui. Non c’è una consegna iniziale alla missione e poi tutto si svolge in autonomia da Dio. Ogni azione, ogni incontro, ogni relazione, ogni luogo devono essere voluti da Dio.
È Dio il Salvatore non l’uomo; è Lui che deve sempre inviarci per dare la sua grazia, è Lui che deve mandarci per compiere il ministero della grazia della salvezza.
Su questo proprio non ci siamo. C’è troppa autonomia da Dio. Tutto oggi è nella libera decisione dell’uomo il quale decide, propone, stabilisce, ordina, comanda, impone, determina, senza neanche premettere una preghiera perché sia Dio a dirigere i suoi passi, ma prima ancora i suoi pensieri, i suoi sentimenti, il suo cuore e la sua mente, perché sia Dio a volere e a decidere e non l’uomo.
Tante verità sono calpestate nel nostro rapporto con Dio. Poiché la salvezza è prima di tutto nell’obbedienza a Dio, cercare l’obbedienza è la prima regola della pastorale; la secondo regola è compiere fedelmente l’obbedienza; la terza è chiedere l’aiuto al Signore perché ci faccia sempre rimanere nella sua volontà dall’inizio alla fine e in ogni passaggio dell’azione.
[3]come per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero di cui sopra vi ho scritto brevemente.
Il mistero della grazia è stato affidato a Paolo da Dio. Questo lo sappiamo. Quello che potremmo ignorare è pensare che sia stato Paolo a decidere l’apertura del Vangelo, e quindi della fede, ai pagani.
Invece anche questo è da escludere categoricamente. Paolo non ha preso nessuna decisione. La decisione l’ha presa per lui il Signore, l’ha presa lo Spirito Santo, quando lo ha costituito apostolo dei Gentili.
Ma qual è il mistero che il Signore gli ha rivelato per rapporto ai pagani? Il mistero è uno solo: tutti, senza differenza, sono chiamati alla salvezza e la salvezza si realizza per la fede in Cristo Gesù.
I Gentili, quindi, possono accedere alla grazia della redenzione, che è riconciliazione, rigenerazione, santificazione, elezione alla dignità di figli adottivi di Dio, solo per fede, solo per la fede in Cristo Gesù.
Non necessitano di altro, non devono assoggettarsi a nessun’altra legge. La loro legge unica è Cristo Gesù e la fede in Lui è la via per accedere ai beni divini, che il Padre ci dona in Cristo, mediante lo Spirito Santo per il ministero della Chiesa.
Quando Paolo parla di rivelazione, intende una sola verità: è Dio, che dall’alto dei cieli, gli ha manifestato la via per chiamare i Gentili alla fede. È Lui che gli ha detto che c’è una sola via di salvezza, uguale per i Gentili e per i Giudei. È Lui che gli ha manifestato che i frutti della salvezza sono identici per gli uni e per gli altri, senza alcuna preferenza, o alcun vantaggio dei Giudei per rapporto ai Gentili. È Lui anche che di volta in volta gli indicava la strada da percorrere per andare incontro all’uomo da salvare.
Nella vita di Paolo chi guida, chi decide, chi ordina, chi predispone, chi invia è sempre il Signore. Chi dice cosa bisogna e non bisogna fare è il Signore. Tutto è volontà del Signore. Questo è il segreto della riuscita di Paolo nella missione. Questo deve essere il segreto di ogni altra missione che si svolge nella Chiesa a favore del mondo intero.
Se tutto deve discendere dall’alto, perché tutto deve essere compimento della volontà di Dio, è ben giusto che il missionario si metta in preghiera e invochi la manifestazione della volontà di Dio, la chieda con una preghiera lunga e accorata come sapeva ed era solito fare Gesù, mosso sempre dallo Spirito Santo in ogni sua azione pastorale.
[4]Dalla lettura di ciò che ho scritto potete ben capire la mia comprensione del mistero di Cristo.
Possiamo veramente capire la comprensione che Paolo ha del mistero di Cristo Gesù.
Tutte le sue Lettere altro non sono che la presentazione di questo mistero. Ogni Lettera ne coglie un aspetto, un particolare. Tutte le Lettere insieme danno la comprensione globale del pensiero di Paolo su Cristo Gesù.
Al di là della profondità abissale che avvolge la Persona di Cristo Gesù e ciò che Dio ha voluto fare di Lui, una cosa è assai semplice da capire. Cristo è il Salvatore del mondo, di ogni uomo e ci si salva per la fede in Lui.
Altra cosa essenziale in ordine alla salvezza è questa: la salvezza è dal Corpo di Cristo, che è la Chiesa, per virtù ed opera dello Spirito Santo.
Essa nasce concretamente dall’annunzio, dalla predicazione della Parola di Cristo, dall’adesione alla Parola e dai Sacramenti.
Anche questa verità così semplice oggi stenta ad essere compresa, eppure da Paolo viene espressa in ogni Lettera e sotto molteplici aspetti e contenuti di verità.
Sulla Persona di Cristo una cosa è chiara, evidente: Lui è la vita del mondo. La vita è da Lui, si vive in Lui, si vive con Lui. Quando si dice con Lui si intende con tutto il suo corpo, cioè con tutta la Chiesa.
Così anche la vita è dalla Chiesa, corpo di Cristo, si vive nella Chiesa, nel corpo di Cristo, si vive con la Chiesa, con tutti i fratelli che formano l’unico corpo di Cristo.
Questo per soffermarci solo con qualche cenno sul mistero che avvolge la Persona di Cristo. Sia in questa Lettera come nelle altre ci si è già soffermati a sufficienza al fine di precisare e di cogliere il mistero di Cristo Gesù in ogni sua più piccola parte, sapendo che ogni dettaglio, anche il più piccolo, avrebbe gettato una luce nuova sulla Persona di Gesù Signore, il Verbo Incarnato, l’Autore della vita. Da quanto emerge dagli scritti di Paolo, dobbiamo però confessare che il mistero di Cristo Gesù oggi da molti cristiani non è conosciuto, da molti è ignorato, da tanti è dimenticato, da tantissimi è stravolto.
Stravolgendo il mistero di Cristo Gesù, non conoscendolo, ignorandolo, dimenticandolo, necessariamente si vive un rapporto cattivo, assai cattivo con la propria salvezza, con la vita cristiana.
Se la nostra vita è da Cristo, se Cristo è conosciuto malamente, malamente è anche impostata la nostra vita.
Da qui la necessità di iniziare in seno al popolo cristiano una vera azione di formazione sul mistero di Cristo Gesù. Lo esige la vita cristiana che abbiamo ricevuto in dono, lo esige Cristo, perché in Lui noi siamo stati inseriti, formiamo il suo corpo, siamo la sua stessa vita.
È inconcepibile che colui che forma una sola vita con Cristo, non sappia chi è Cristo con il quale forma un solo corpo, non sappia il mistero che avvolge il corpo di Cristo, dal momento che ogni cristiano è questo corpo di Cristo.
Chi non conosce Cristo, non consce se stesso come cristiano; non sa cosa Cristo ha fatto di lui. Non può vivere come Cristo, perché Cristo da lui non è conosciuto.
[5]Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito:
Questo versetto merita di essere trattato con molta attenzione.
Chi legge l’Antico Testamento sa che c’è un solo disegno di salvezza da parte di Dio e questo disegno è orientato a inglobare tutti gli uomini.
Questo disegno si fa sempre più chiaro man mano che la Storia Sacra progredisce e ci si avvicina a Cristo.
Dalla prima pagina della Genesi, capitolo 3, fino all’ultima pagina dell’Antico Testamento, che è il profeta Malachia, viene manifestata questa volontà universale di Dio, rivolta ad ogni uomo.
“Allora il Signore Dio disse al serpente: Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Gn 3,14-15).
“Oh, ci fosse fra di voi chi chiude le porte, perché non arda più invano il mio altare! Non mi compiaccio di voi, dice il Signore degli eserciti, non accetto l'offerta delle vostre mani! Poiché dall'oriente all'occidente grande è il mio nome fra le genti e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome e una oblazione pura, perché grande è il mio nome fra le genti, dice il Signore degli eserciti” (Mal 1,10-11)
Questo solo a titolo e a modo di esempio. Basta leggere ogni altra pagina e si troverà incluso, o esplicitamente, o velatamente, il mistero della salvezza universale preparato da Dio per tutti i figli di Adamo.
Cosa cambia allora con Cristo Gesù? Quanto era velato è divenuto chiaro, manifesto, palese. Quanto era implicito, è divenuto esplicito. Quanto era sottinteso è ora detto con tutta chiarezza. Ciò che gli Ebrei non hanno mai voluto fare, perché chiusi nel loro mondo religioso, ora la Chiesa è chiamata a farlo, perché Dio ha rotto ogni struttura religiosa che non si confà al suo mistero di salvezza e di redenzione che Lui ha preparato per tutti i popoli.
La Chiesa da parte sua, anche se ha chiaro il mistero e la sua realizzazione, ha chiara la sua vocazione e la sua missione, deve prestare molta attenzione a che i suoi figli non si comportino alla maniera degli Ebrei e cioè che chiudano il mistero di Cristo in delle pratiche e in delle ritualità che lo penalizzino e non lo rendano vero in tutta la sua forza di trasformazione del mondo.
È questo un pericolo non sempre evitato e molti dei problemi che oggi oscurano il mistero di Gesù nascono dalla trasformazione della fede in religiosità.
È assai facile trasformare la fede in religiosità. Difficile, impossibile è operare il procedimento contrario: passare dalla religiosità alla fede.
Oggi in buona parte della Chiesa si vive di pura religiosità, c’è assai poca fede e quella fede che c’è sovente è anche una fede falsa, fondata su false verità, o è una fede ereticale, in quanto alcune verità si prendono e altre si lasciano, con grave danno del mistero di Cristo Gesù e quindi con grave pericolo della salvezza eterna di quanti aderiscono a Cristo e si lasciano battezzare nel suo nome.
La forza della Chiesa è nella conservazione pura, santa, immacolata del mistero della salvezza e delle vie stabilite da Dio perché questo mistero si compia. Se questo non avviene, neanche la salvezza si compie e a causa dell’uomo viene reso vano il mistero eterno di Dio, che ha comportato la morte in croce del suo Figlio Unigenito, del Verbo della vita che si fece carne per noi.
Qual è allora il mistero che ora la Chiesa conosce in tutta la sua portata salvifica?
[6]che i Gentili cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo,
Viene ora manifestato in ogni sua parte il mistero nascosto alle precedenti generazioni.
I Gentili, cioè tutti coloro che non sono discendenza di Abramo, quanti appartengono ad altri popoli,
in Cristo: nell’economia della salvezza, tutto ciò che avviene, avviene in Cristo Gesù.
Avviene in Lui nel triplice significato: in Lui, nel suo corpo; per Lui, a causa del suo sangue versato; con Lui, insieme a quanti formano l’unico suo corpo.
Al di fuori di questa triplice via non si realizza la salvezza nel suo pieno significato, nella sua perfezione ultima e definitiva. Neanche si realizza nella sua pienezza e definitività il disegno eterno di Dio, quello cioè di fare di ogni uomo il corpo di Cristo Gesù.
Sono chiamati a: nella redenzione si entra per vocazione, per chiamata. La chiamata poi necessita di una risposta.
La chiamata è di Dio. Essa è stata già fatta fin dall’eternità, poiché già fin dall’eternità Dio ha manifestato la sua volontà di farci un solo corpo in Cristo Gesù.
Questa chiamata ha iniziato però la sua storia nel tempo con la vocazione di Abramo, il padre nella fede, il padre chiamato da Dio perché nella sua discendenza fossero benedette tutte le tribù della terra.
Questa chiamata fu portata a compimento da Cristo Gesù, venuto sulla terra per chiamare ogni uomo alla conversione e alla fede al Vangelo.
Cristo Gesù ha affidato questa sua missione ai suoi Apostoli, sono loro che devono andare per il mondo intero a predicare il Vangelo, a chiamare ogni uomo perché in Cristo entri nel disegno eterno della salvezza che Dio ha preparato per Lui.
Il mistero eterno della salvezza, nella sua perfezione assoluta, che è la rigenerazione dell’uomo e il suo inserimento nel corpo di Cristo, sì da formare con Cristo un solo corpo, un unico corpo e quindi un unico e solo mistero di vita nuova, avviene attraverso una duplice azione dell’uomo: quella della chiamata e l’altra della risposta.
L’apostolo di Gesù deve andare per il mondo a chiamare a conversione e alla fede al Vangelo. Se lui non svolge questo suo ministero di grazia, la salvezza non si compie. Non si compie perché l’altro non sa che bisogna convertirsi e credere al Vangelo, non sa che Cristo Gesù è il suo Redentore e Salvatore.
Deve però farlo alla stessa maniera di Cristo Gesù: morendo per lui, offrendo la sua vita in sacrificio, perché il Signore aggiunga ciò che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo che è la Chiesa, e aggiunga nuovi membri al corpo del Signore Gesù. L’evangelizzazione del mondo si compie pertanto con potenza di parole di opere, si compie nella santità, si compie nel sacrificio della vita dell’evangelizzatore.
Per capire cosa deve fare l’apostolo del Signore è sufficiente guardare a Cristo Gesù, contemplare la sua vita, meditare il Vangelo, perché è in esso che rifulge Cristo come nostro modello nell’andare e nel chiamare ogni uomo a salvezza e a redenzione, attraverso la conversione e la fede al Vangelo.
Tutto non dipende però dall’apostolo di Gesù. Tutto poi dipende dal cuore di chi ascolta. Se questi si lascia muovere dallo Spirito, accoglie la Parola di vita, si lascia battezzare, si aggrega alla comunità dei credenti, la salvezza entra nel suo cuore e in essa cammina fino al suo completamento che avverrà solo il giorno della sua morte.
Fino a quel giorno dovrà con assiduità nutrirsi di Vangelo e del Pane Eucaristico, dovrà fortificarsi anche nella preghiera e nelle opere di carità fraterna. È questa la via per portare a compimento la salvezza, o il dono della salvezza ricevuto il giorno del battesimo.
Chiamata e risposta sono l’una e l’altra essenziali perché il disegno eterno di Dio possa vedere la luce nel cuore di un uomo.
Partecipare alla stessa eredità: non c’è differenza nella salvezza, non c’è privilegio di alcuni e neanche particolarità di trattamento.
Indistintamente Gentili ed Ebrei sono chiamati a partecipare alla stessa eredità. L’eredità è Cristo, in Cristo, con Cristo, è per Cristo. L’eredità della salvezza è Dio, in Dio, perché in Cristo, l’eredità è il regno dei cieli, il Paradiso di gloria, che Dio concede a tutti coloro che accolgono Cristo e in Lui vivono la sua stessa obbedienza, facendo della loro vita un sacrificio d’amore per il loro Dio e Signore.
Formare lo stesso corpo: il corpo è quello di Cristo Gesù. Un solo corpo, una sola vita, una sola Chiesa, una sola comunità di credenti in Cristo Gesù, un solo popolo, una sola discendenza, un solo Padre, un solo Spirito, un solo Figlio.
Vengono, nella salvezza di Dio, cancellate le appartenenze, le distinzioni razziali, vengono annullati tutti quei privilegi della carne che gli uomini hanno costruito per creare differenze, superiorità, schiavitù, asservimenti.
Nel corpo di Cristo c’è una sola vita e una sola dignità, nella più assoluta uguaglianza. Ciò che differisce nel corpo di Cristo non è la dignità, per tutti uguale, ma il dono e il ministero. I doni sono diversi, come diversi sono anche i ministeri. Ma il dono e il ministero è per il servizio, non per l’esaltazione della persona.
Il fatto che tra gli uomini regnano differenze nella dignità, divisioni nella concezione della persona umana, il fatto che alcuni uomini si credono superiori agli altri, è il segno manifesto che l’inserimento in Cristo è solo sacramentale, ma non vitale; siamo entrati nel suo corpo, ma senza conversione e senza fede al Vangelo.
Essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo: è quanto Paolo intende affermare in questa ultima parte della manifestazione del mistero. In Cristo si entra per mezzo del Vangelo, si vive la sua vita sempre per mezzo del Vangelo, si partecipa alla promessa ancora per mezzo del Vangelo.
Cosa significa questo? Significa che il Vangelo è la porta della vita, la porta per accedere a Cristo, entrare in Cristo, vivere in Cristo, rimanere in Cristo per tutta l’eternità.
Al Vangelo si crede; si crede accogliendolo; si accoglie vivendolo; si vive facendolo diventare nostra vita.
Nel Vangelo si cresce; si cresce amandolo, comprendendolo, ascoltandolo, annunziandolo, predicandolo, testimoniandolo.
Nel Vangelo si conduce ogni uomo. Il fine della missione cristiana è annunziare il Vangelo, perché l’altro si converta al Vangelo, creda al Vangelo, viva il Vangelo, diventi a sua volta un testimone del Vangelo.
La Chiesa non ha altra missione sulla terra se non quella di predicare il Vangelo, ma deve predicarlo, vivendolo.
Se una sola parola di Vangelo non è vissuta dai suoi predicatori, questi non sono ancora perfetti predicatori. Manca in loro la conformità della vita al Vangelo che predicano, manca la perfetta testimonianza che la Parola, tutta la Parola, può essere trasformata in vita dall’uomo.
Oggi invece si parla, si discute, si scrive, si predica, si annunzia, si dice, si studia, ma non il Vangelo. Il Vangelo serve solo per avvalorare qualche nostra idea ereticale ed è sempre eresia la scelta di una idea, o verità del Vangelo, senza la completezza della rivelazione e della verità in esso contenuta.
La Chiesa non può lasciare il Vangelo in mano a coloro che si sono distaccati da essa. Costoro hanno scelto il Vangelo, ma senza lo Spirito che è nella Chiesa. La Chiesa possiede lo Spirito, ma non il Vangelo. Loro possiedono il Vangelo, ma non lo Spirito.
Lo Spirito senza il Vangelo è senza la Verità, il Vangelo senza lo Spirito è anch’esso senza la Verità. La Verità la fa lo Spirito che legge il Vangelo, la fa la Chiesa che legge il Vangelo nello Spirito Santo e può leggere il Vangelo nello Spirito Santo solo se colui che lo legge vive in santità e cresce giorno per giorno in sapienza e grazia, sempre fortificato, corroborato, illuminato, guidato e condotto dallo Spirito di Dio.
Tutto avviene per mezzo del Vangelo e senza il Vangelo niente avviene. Ma il Vangelo è degli Apostoli, perché lo Spirito è degli Apostoli, gli Apostoli però sono della Chiesa e anche lo Spirito è della Chiesa, ma è della Chiesa degli Apostoli e quindi è della Chiesa degli Apostoli che vivono il Vangelo. Gli altri non hanno il Vangelo, perché non hanno lo Spirito della Chiesa, che è Spirito degli Apostoli.
[7]del quale sono divenuto ministro per il dono della grazia di Dio a me concessa in virtù dell'efficacia della sua potenza.
Chi è Paolo, come si definisce, come vede la sua missione per rapporto ai Gentili? Egli è stato costituito ministero del Vangelo.
Essere ministro del Vangelo significa essere servo della Parola di Dio. Il servo è colui che è sotto un’autorità che lo governa, lo comanda. Questa autorità che è sopra di Paolo è il Vangelo.
Il Vangelo è il Signore di Paolo. Al Vangelo Paolo ha consacrato tutta la sua vita. Paolo vive a servizio del Vangelo. Vive per annunziare il Vangelo, vive per testimoniare il Vangelo, vive per comprendere il Vangelo in modo da poterlo spiegare a coloro che non lo comprendono.
Anche Gesù spiegava la Parola ai suoi discepoli, quando questi non la comprendevano.
Paolo vive andando di luogo in luogo a predicare il Vangelo ad ogni uomo. Egli sa che il Vangelo apre la porta della salvezza e per questo spende tutta la sua vita consegnandola alla predicazione.
Se un uomo ascolta il Vangelo, la sua vita non sarà più la stessa, perché il Vangelo lo mette dinanzi alla scelta della sua vita, o sceglierà la salvezza, o la perdizione eterna.
Essere ministro del Vangelo non è stata una scelta fatta da Paolo. È invece un dono di grazia che Dio gli ha concesso. Questo passaggio merita un approfondimento, una spiegazione, una chiarificazione dottrinale.
L’annunzio del Vangelo è un dono di grazia fatto da Dio a quanti sono chiamati alla vita eterna, cioè ad ogni uomo.
Dono di grazia è anche colui che porta il Vangelo, che lo annunzia, che lo testimonia, che lo spiega.
Se è dono di grazia, deve essere Dio a concederlo, a donarlo, non se lo può donare l’uomo, altrimenti non è più un dono di grazia. La grazia discende dal cielo. Poter annunziare il Vangelo, poterlo spiegare, poter dire la verità in esso contenuta è un vero dono di Dio, fatto per amore della salvezza di tutti i suoi figli dispersi.
Questo dono è messo nel cuore dallo Spirito Santo. Ma sarebbe un dono inefficace, un dono che non produce frutti, se non ci fosse lo Spirito dentro di noi a farlo fruttificare, a renderlo efficace.
La potenza di Dio è sempre efficace, opera sempre, compie sempre ciò che dice, realizza ciò che promette.
Paolo può predicare il Vangelo con frutto perché il ministero lo ha ricevuto da Dio, è un dono della sua grazia. Può predicarlo sempre con frutto perché il dono di grazia opera in lui efficacemente.
La potenza di Dio che è lo Spirito Santo opera in lui efficacemente, sempre. Quando lui parla, lo Spirito converte. Quando lui annunzia, lo Spirito apre i cuori di molti alla fede. Quando lui predica il Vangelo della salvezza, molte anime sentono che quella è la verità che cercavano e si lasciano attrarre da essa. Ora tutto questo lo opera attraverso di lui con efficacia lo Spirito Santo di Dio.
Una verità deve essere chiarita, se si vuole comprendere quanto Paolo sta dicendo in questo versetto.
Lo Spirito opera con efficacia in lui, perché lui si lascia operare dallo Spirito, lo Spirito invoca perché lo muova e lo guidi; allo Spirito chiede la comprensione della verità e soprattutto chiede di poter conformare la sua anima alla verità compresa secondo la luce soprannaturale che lo Spirito riversa nella sua mente.
Questo ci deve far comprendere che da sola la Parola non dice niente; senza l’efficacia dello Spirito che opera in essa, è come se la parola non fosse pronunciata, anche se la diciamo, l’altro non la sente e se non la sente a che pro dirla? Ma perché non la sente, nonostante noi facciamo di tutto perché lui la senta?
Non la sente perché non è detta nello Spirito Santo e quindi è senza efficacia. È una parola muta. Non entra nelle orecchie, non penetra nel cuore, non scende nell’anima. Si ferma solo nell’aria e l’aria la porta via.
Un’altra verità ancora deve essere messa in evidenza. Non tutti possono predicare il Vangelo, perché questo dono di grazia non è dato a tutti.
Ognuno deve sapere quali sono i doni che il Signore gli ha concesso, perché sono quelli che lui deve dare e sono quelli che servono per l’utilità comune.
Se però uno ha tanto desiderio di predicare il Vangelo, di essere ministro della Parola, chieda a Dio questo dono, gli chieda che lo costituisca ministro del Vangelo, suo banditore, suo predicatore e il Signore nella sua immensa misericordia può anche concedergli questo dono, se non contrasta con quanto già si è assunto di vivere dinanzi alla comunità.
Questo ci deve far comprendere che il servizio nella comunità e nel mondo non dipende dalla nostra volontà, né dalla volontà degli altri.
Ogni servizio, ogni ministro è per volontà di Dio, è per un dono della sua grazia.
Questa verità di ordine teologico, deve trasformarsi in verità di ordine di spiritualità e soprattutto pastorale.
Gli errori, i vizi, i contrasti, i dissensi, ma anche i disservizi, i non servizi, i cattivi servizi nascono sempre quando alla volontà di Dio si sostituisce la volontà dell’uomo, nostra o degli altri.
Spetta a ciascuno di noi manifestare qual è il dono che Dio ci ha fatto, perché solo il dono di Dio ci è concesso di dare. Il resto non possiamo darlo, perché non lo abbiamo, perché il Signore non ce lo ha dato. Se lo vogliamo dare, non possiamo. Nessuno può dare ciò che non ha.
Questa legge divina non ammette deroghe, eccezioni. Non si può scavalcare, ignorare, negare.
È questa la legge della vita della Chiesa e del mondo, perché è la legge dello Spirito che governa la santità nella comunità ecclesiale.
Chi presiede la comunità ecclesiale, ha l’obbligo di discernere e di armonizzare i carismi, non quello di conferirli. Nessuno può conferire un carisma ad un altro, perché il dono di grazia discende solo da Dio ed è personale.
Gli errori che si commettono su questo campo in pastorale sono infiniti e imperdonabili, perché distruggono, anziché costruire la comunità ecclesiale.
[8]A me, che sono l'infimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia di annunziare ai Gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo,
Paolo sa chi lui era stato prima di essere afferrato da Cristo Gesù sulla via di Damasco.
Nella Prima Lettera ai Corinzi si paragona ad un aborto (1Cor 15, 3-10): “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.
In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono l'infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me”.
Nelle Prima Lettera a Timoteo (1Tm 1, 12-16): “Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al mistero: io che per l'innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede; così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.
Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna”.
In questa Lettera si definisce: l'infimo fra tutti i santi.
Paolo vede da un lato se stesso. Vede se stesso come il niente dinanzi a Dio nella Chiesa. Si vede come l’infimo, perché tutto ciò che è in lui è solo opera della misericordia di Dio.
Anzi possiamo dire che Paolo è solo opera della misericordia di Dio, uno dei frutti più belli della sua grazia.
D’altro canto però egli si è consegnato tutto alla grazia, niente che era in lui è stato sottratto a Dio e questo fin dal primo istante della sua vita.
Anche la consegna alla grazia è un frutto della grazia, è opera di Dio, per questo egli si considera l’infimo fra tutti i santi, fra coloro cioè che sono stati conquistati da Cristo e sono divenuti in Lui un solo corpo.
L’umiltà di Paolo è vera, autentica. Nasce da un cuore che sa cosa un uomo riesce a fare di male quando è fuori della grazia di Dio. Confessare che tutto è in lui opera di Dio, è questa la verità che lui vuole affermare.
Dicendo questo però ci vuole anche insegnare che la grazia può operare in ogni cuore. Per questo bisogna che il cuore una volta che è stato afferrato da Cristo sia totalmente consegnato a Lui, con tutta la nostra anima e il nostro corpo, perché il Signore ne faccia uno strumento di salvezza nel mondo. Paolo questo lo ha fatto, lo ha fatto per grazia di Dio e continua a farlo sempre perché Dio e il suo Santo Spirito agiscono ed operano in lui.
Tutto è grazia in Paolo: è grazia la sua vocazione ed è grazia la sua missione; è grazia la perseveranza in questa missione ed è grazia anche la modalità secondo quale la missione viene svolta; è grazia anche il campo dell’apostolato ed è grazia ogni conversione che si compie attraverso il suo ministero.
Paolo vede il suo ministero come grazia, la sua vocazione come grazia, il campo dell’apostolato come grazia, la stessa conversione dei Gentili è grazia di Dio, concessa al suo apostolato.
Per Paolo parlare di Cristo è grazia. È grazia perché non si può parlare rettamente di Cristo Gesù se non per una grazia particolare dello Spirito Santo. Infatti tutti coloro che non hanno questa grazia, che non la chiedono, che non la invocano quotidianamente dal Signore, tutti coloro che confidano nella loro scienza, anche teologica, parlano male di Cristo, perché di Lui pensano male, come pensano e parlano male della Chiesa e dell’uomo.
Parlano male perché non conoscono il mistero. Perché lo Spirito Santo non lo rivela loro.
Paolo non solo ha ricevuto la grazia di predicare ai Gentili, ha ricevuto la grazia di predicare le imperscrutabili ricchezze di Cristo.
Egli non parla semplicemente di Cristo, non annunzia Cristo restando fuori del suo mistero. Non guarda da lontano Cristo e poi ne parla agli altri, come se annunziasse qualcosa che è lontano, molto lontano da lui e da chi ascolta.
Come si è potuto comprendere, leggendo le sue Lettere, egli è calato nel mistero di Cristo fino a divenirne vitalmente parte, lui è parte di questo mistero, è ormai questo mistero, la sua vita è consegnata a questo mistero e il mistero lo ha conformato di sé, lo ha trasformato in mistero di Cristo, poiché membro del suo corpo, e come parte di questo mistero, dal cuore del mistero egli parla.
Se parla dal centro del mistero, egli riesce a dire ciò che altri neanche immaginano, e non immaginano, né possono immaginare perché loro sono fuori del mistero, sono fuori dello Spirito Santo che rende parte del mistero, che ci conforma al mistero, per questo motivo loro non possono neanche immaginare cosa è il mistero di Cristo Gesù.
I Gentili, cui Paolo si rivolge, hanno questo grande privilegio, questa grande grazia: non solo di conoscere Cristo Gesù, ma di conoscerlo secondo verità, in pienezza, dal centro del suo cuore e della sua vita, dal cuore di Dio e dal cuore dell’uomo, nella sua morte e nella sua risurrezione, prima dell’Incarnazione e dopo.
Lo conoscono non in superficie, ma in profondità. Conoscono anche ciò che di Cristo è comunemente non conoscibile, perché Paolo dona loro le imperscrutabili ricchezze di Lui.
Ciò che fa Paolo deve operarlo ogni buon operaio nella vigna del Signore. Tutti devono parlare di Cristo Gesù secondo la ricchezza della sua verità. Tutti dovrebbero predicare dalla profondità del suo mistero. Perché questo non avviene? Non avviene perché regna un distacco vitale tra Cristo e i suoi strumenti, regna come una separazione di vita.
Da un lato c’è la vita di Cristo e dall’altro la vita dei missionari. C’è un’autonomia dallo Spirito e da Cristo. Spesso la predicazione non è la presentazione di Cristo, bensì la presentazione del cuore del missionario nel quale non vive la ricchezza del mistero di Cristo.
Questa grazia si può e si deve invocare e devono invocarla tutti coloro che si sono assunti la responsabilità nella Chiesa di essere strumenti di Cristo per l’annunzio al mondo delle imperscrutabili ricchezze del suo mistero.
[9]e di far risplendere agli occhi di tutti qual è l'adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell'universo,
Non solo Paolo ha ricevuto la grazia di manifestare le imperscrutabili ricchezze di Cristo, ma anche di far risplendere agli occhi di tutti qual è l’adempimento di questo mistero.
C’è il mistero di Cristo e c’è la storia di questo mistero che si è compiuta in Cristo. Ma c’è anche la storia di questo mistero che ancora non si è compiuta, perché si deve compiere nel corpo di Cristo, che è la Chiesa.
Paolo ha un grande compito, uno straordinario ministero da assolvere. Egli in qualche modo deve mostrare al mondo intero, agli occhi di tutti, che il centro della storia è Cristo Gesù.
Tutto ciò che precede, guarda a Cristo come a colui che deve venire per dare compimento alle speranze; tutto ciò che segue, guarda a Cristo come ha colui che ha dato compimento alle attese dell’uomo. Ogni attesa dell’uomo trova il suo compimento in Cristo. Non c’è attesa che non trovi la sua soluzione in Cristo.
Cristo, in altre parole, è la risposta dell’uomo. Chi vuole trovare la risposta al suo essere e del suo essere uomo, la potrà trovare solo in Cristo Gesù.
Inoltre quanti vivono sulla terra devono sapere che la loro verità è Cristo, perché Cristo è il loro mistero, l’unico loro mistero.
Paolo, a tutti coloro che lo ascoltano, altro non dice se non Cristo, annunziato, atteso, realizzato, compiuto, da compiere, sulla terra e nel cielo, prima della creazione e nella creazione, oltre la creazione, nel cielo, nell’eternità.
Tutto questo Paolo lo fa con scienza di Spirito Santo, lo fa con tutta la sapienza e la saggezza di cielo che Dio ha versato nel suo cuore, che ha messo dinanzi ai suoi occhi. Chi sente parlare Paolo, deve confessare che Paolo parla descrivendo Cristo. È come se lo avesse sempre dinanzi ai suoi occhi e guardandolo e osservandolo con attenzione, lo presenta al mondo intero, perché ognuno possa accoglierlo e divenire parte di Lui.
Paolo in fondo insegna e manifesta, rivela e predica, annunzia e proclama come Dio ha dato compimento nella storia al mistero di Cristo Gesù che è mistero di salvezza, di redenzione, di santificazione dell’uomo.
Questo mistero, il mistero di Cristo, non è stato pensato o voluto da Dio, dopo il peccato dell’uomo. Esso era nascosto nella mente di Dio fin da sempre. Dall’eternità, prima che ancora l’uomo fosse creato, da Dio è stato pensato nel mistero di Cristo Gesù, nel mistero della sua vita.
Questa è la verità, la sola verità. Altre verità non esistono, se esistono, non sono verità di Dio. Sono un frutto della mente dell’uomo.
Il mistero nascosto è del Dio che è anche il creatore dell’universo. Una sola creazione, un solo creatore, un solo mistero di salvezza: per Cristo, con Cristo, in Cristo.
[10]perché sia manifestata ora nel cielo, per mezzo della Chiesa, ai Principati e alle Potestà la multiforme sapienza di Dio,
Chi deve manifestare il mistero è la Chiesa. Sappiamo chi è la Chiesa. È il corpo di Cristo.
Il mistero di Cristo non si manifesta fuori di Cristo, si manifesta dal di dentro di Cristo, dal suo corpo.
È solo dal di dentro del suo corpo che lo si comprende, è nel suo corpo che si vive, è per mezzo del suo corpo che si manifesta al mondo intero, si manifesta sulla terra e nel cielo, agli uomini e agli Angeli di Dio.
In questo versetto sono contenute due verità che meritano una qualche ulteriore puntualizzazione.
Si è già detto che la manifestazione del mistero avviene per mezzo della Chiesa. Questa è una verità che deve essere compresa nella sua vera essenza, altrimenti il fallimento della nostra missione è più che certo.
Essere Chiesa di Cristo non significa limitarsi al solo sacramento del battesimo o agli altri sacramenti, che conferiscono un particolare modo, o anche grado, di appartenere al corpo di Cristo, di ricevere e di svolgere dei particolari ministeri.
Sì, è Chiesa di Dio, che manifesta il mistero, quando si è membri vivi, vitali, santi del corpo di Cristo Gesù.
L’evangelizzazione è opera dei santi nella Chiesa; se non c’è santità, non c’è neanche evangelizzazione, perché senza la santità non opera lo Spirito di Dio su di noi, dentro di noi, attraverso di noi e noi stessi siamo fuori del mistero di Cristo, perché siamo membri morti del suo corpo.
Tutto il creato, compresi gli Angeli del cielo, devono conoscere la multiforme sapienza di Dio, devono conoscerla attraverso il ministero dell’apostolato, che svolto nella santità, produce frutti di santità in tutto il mondo.
Perché anche gli Angeli del cielo devono conoscere la multiforme sapienza di Dio? Perché anche loro devono lodare, benedire, ringraziare il Signore per l’amore profuso nell’intera creazione, attraverso il compimento del mistero di Cristo. In questo mistero anche la loro vita è cambiata, perché anche per loro Cristo è il capo, il re, oltre che il Signore e il loro Dio.
Con Cristo, Verbo Incarnato, tutta l’economia della salvezza è cambiata, ma è cambiata anche la vita in Dio, perché con il Verbo Incarnato, l’uomo è ora parte di Dio, in modo inseparabile e indivisibile. Questo è il mistero che gli Angeli devono conoscere perché anche loro per ciò che li riguarda, possano accoglierlo in ogni sua parte, anche in ciò che è ministero loro specifico per rapporto agli uomini da condurre alla salvezza.
Il loro ministero di salvezza è ora quello di condurre ogni uomo a Cristo Gesù, ogni uomo al suo mistero di morte, di risurrezione, di ascensione gloriosa al cielo.
Tutto il creato deve conoscere la multiforme sapienza di Dio. La sapienza di Dio è Cristo Gesù e tutta la sapienza di Dio si manifesta in Cristo.
Cristo è la rivelazione della sapienza di Dio. Cristo è anche il dono della sapienza di Dio.
Chi vuole attingere la sapienza, potrà trovarla solo in Lui e la può trovare in ogni sua manifestazione. Niente che è sapienza di Dio è fuori di Cristo; tutto ciò che è sapienza di Dio è solo e unicamente in Cristo Gesù.
Chi pertanto vuole conoscere chi è Dio, deve conoscerlo in Cristo; chi vuole conoscere lo Spirito Santo, deve conoscerlo in Cristo; chi vuole conoscere gli uomini, il loro mistero, deve conoscerli in Cristo; chi vuole sapere qualcosa sugli Angeli secondo verità, deve conoscerli in Cristo. Tutto è in Cristo e tutto si attinge in Lui, secondo sapienza e verità.
Ogni gesto di Cristo, ogni Parola di Cristo, ogni opera di Cristo, è manifestazione della sapienza di Dio.
Poiché Cristo è la sapienza di Dio, la multiforme sapienza di Dio, chi vuole conoscerla deve entrare in Cristo Gesù, ma anche chi vuole farla conoscere al mondo, agli Angeli e agli uomini, deve farlo dal di dentro di Cristo, dal cuore del suo mistero, divenendo una cosa sola con Lui.
Cristo solo la Chiesa lo può annunziare e solo quanti sono membri della Chiesa. Gli altri non conoscono Cristo, non possono conoscerlo, perché non sono una cosa sola con Cristo Gesù.
[11]secondo il disegno eterno che ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore,
Quanto avviene nella storia, quanto si è compiuto nella vita di Cristo Gesù, quanto anche avviene attraverso il corpo di Cristo che è la Chiesa, non nasce nel tempo, nasce prima del tempo, nasce nell’eternità.
Il disegno di redimere l’uomo, di farlo corpo del Signore Gesù, non è nato dopo il peccato di Adamo, nel giardino dell’Eden. Esso precede la stessa creazione dell’uomo ed è in previsione dell’attuazione di questo mistero d’amore che Dio ha creato l’uomo e lo ha creato pensandolo redento in Cristo Gesù.
Ci sono due verità che vengono espresse in questo versetto. La prima è quella già accennata e cioè che nell’eternità Dio ha deciso di salvare l’uomo.
La seconda verità è questa: Dio ha deciso di salvare l’uomo nel suo Figlio unigenito, nel Verbo della vita.
L’incarnazione del Verbo diviene così l’elemento conclusivo della stessa creazione.
La creazione ha ricevuto la sua definitività nel momento in cui il Verbo della vita si è fatto uomo. Ora tutto è compiuto quanto a creazione, si deve compiere quanto a speranza da realizzare, perché tutto il mondo e non solamente l’uomo deve partecipare alla grazia della salvezza e questa grazia per l’intera creazione è la formazione dei cieli nuovi e della terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia, la verità, la santità, nei quali ci sarà l’assenza totale del male.
Anche se si cerca di razionalizzare, o teologizzare in qualche modo queste affermazioni di Paolo, resta sempre intatto il mistero.
La teologia non è spiegazione del mistero, è semplicemente tentativo di illuminarlo e di offrirlo alla mente che lo crede già in una luce sempre più piena e più luminosa, perché lo ami di più, cresca in essa il desiderio di contemplarlo, ma anche di annunziarlo ai fratelli dopo averlo contemplato e meditato con la luce superiore, divina, che discende nel cuore per opera e virtù dello Spirito Santo.
Sì, dico questo perché sovente la teologia, o la ragione, hanno preteso di poter dire l’ultima parola sul mistero, desacralizzandolo e quasi riducendolo a misura di mente umana, mentre in realtà esso è al di là di tutte insieme le menti create, sia di quelle che ci hanno preceduto, come anche di quelle che ci seguiranno. Il mistero dell’Incarnazione del Verbo è il mistero dei misteri, poiché in esso viene illuminato di una luce particolare sia il mistero di Dio che quello dell’uomo.
Ma il mistero si accoglie, ci si inserisce in esso, lo si vive per intero, perché solo vivendolo crescendo di giorno in giorno in una santità sempre più grande, a poco a poco esso si chiarifica alla nostra mente e noi possiamo gettare in esso uno sguardo di fede più grande.
Ancora un’ultima riflessione sull’attuazione del mistero.
Questo mistero è stato attuato in Cristo Gesù, per quanto attiene alla sua parte, alla sua persona, alla sua umanità.
Ora resta l’attuazione che spetta al suo corpo, alla sua Chiesa. Anche questa attuazione deve essere portata a compimento e dura fino alla consumazione dei secoli.
Ognuno nella Chiesa deve mettere il suo personale convincimento che senza la sua opera quella di Cristo rimane infruttuosa, inattuata.
Ma se il mistero di Cristo rimane inattuato, esso è come se fosse stato pensato attuato invano in Cristo Gesù.
L’attuazione pertanto si compone di tre momenti essenziali: Cristo, la Chiesa, la singola persona.
Siamo certi che Cristo lo ha attuato alla perfezione, in tutto. Egli ha fatto tutta la volontà del Padre. Neanche un apice egli ha tralasciato perché il mistero si compisse nella sua interezza, in ogni più piccolo particolare.
La Chiesa molte volte si è lasciata tentare e quindi è venuta meno nell’attuazione del mistero di Cristo. Le tentazioni sono molteplici e varie. Esse vanno dalla mancata predicazione e testimonianza di vita, fino allo stravolgimento di ogni parola di Vangelo.
Altre volte la Chiesa si lascia tentare quando si arrocca su delle posizioni del passato, che non sono più incisive per il presente. Al presente alla Chiesa serve un solo convincimento: che è solo l’annunzio della Parola, secondo la sua interezza di verità che può salvare il mondo. Altre vie che si vogliono percorrere non sono di sicuro vie di salvezza, perché sono fuori dell’unica via che è Cristo Gesù.
Infine ciò che non ha attuato il mistero eterno di Dio spessissimo è stato il cristiano. Il cristiano manca nell’attuazione del disegno eterno di Dio ogni qualvolta viene meno nel suo cammino di santificazione.
Chi rinuncia alla santificazione, chi non la porta innanzi con costanza e perseveranza, chi si abbandona al vizio e alla non virtù, chi vive alla maniera del mondo dopo essere stato battezzato nell’acqua e nello Spirito Santo, costui certamente non attua il mistero di Dio.
Non attuano infine il mistero di Dio tutti quegli uomini che sono nell’incapacità fisica e spirituale di poter ascoltare la Parola del Vangelo; che da se stessi hanno deciso di non volerla ascoltare; così come non lo attuano tutti coloro che hanno deciso di fare a meno della Chiesa fondata su Pietro, percorrendo vie alternative per l’attuazione del mistero di Dio.
Chiunque voglia che domani non venga accusato dinanzi al Signore di essere stato omissivo nell’impegno che si era assunto dinanzi a Dio e agli uomini, deve imitare Paolo, mettere ogni impegno a che il Vangelo sia conosciuto da ogni uomo, nella volontà di attuarlo, in Cristo, per Cristo, con Cristo.
[12]il quale ci dà  il coraggio di avvicinarci in piena fiducia a Dio per la fede in lui.
Qual è il primo frutto dell’attuazione del mistero nella Persona del Verbo di Dio?
Siamo familiari di Dio. Questo ormai è lo statuto di coloro che sono stati costituiti in Cristo un solo corpo.
Come familiari di Dio non siamo più stranieri, estranei, forestieri, lontani, fuori della Casa di Dio.
Viviamo in essa come figli e quindi possiamo avvicinarci a Dio in piena fiducia.
Il coraggio, la forza di avvicinarsi a Dio in piena fiducia non è un fatto esteriore, un convincimento, che uno si dà da se stesso, oppure da altri, come avviene nelle cose umane.
Il coraggio ci è dato da un fatto interiore, da un cambiamento della nostra relazione con Dio. Questo cambiamento si chiama adozione adottiva, rigenerazione in Cristo, costituzione nuova che si acquisisce.
È per un fatto di nuova natura, di nuova ontologia, di un nuovo essere ricevuto che possiamo accedere a Dio in piena fiducia.
Anche la fiducia non è una relazione costruita su un rapporto di fedeltà, di mutua comprensione, di carità dimostrata, di fedeltà provata.
La piena fiducia è anch’essa un fatto di essere. È la fiducia del figlio verso il padre, del generato verso il generante, di colui che è stato voluto verso colui che lo ha voluto e lo ha voluto offrendogli una nuova vita.
È questa la novità cristiana. Il Dio Creatore, Signore dell’universo e dell’uomo in Cristo Gesù, per la fede e per atto sacramentale, è ora il Padre, il Padre che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita nel suo nome.
La piena fiducia si trasforma in invocazione, in preghiera, in implorazione, in richiesta di ogni grazia necessaria per poter compiere il nostro pellegrinaggio verso la città eterna, nella quale vivere per sempre con il nostro Padre celeste.
La piena fiducia è anche lode e benedizione, ringraziamento. La piena fiducia è soprattutto pietà filiale, che si trasforma in un ascolto perenne, in una obbedienza totale. Se c’è piena fiducia, questa deve essere reciproca; la fiducia non può essere a senso unico. Noi dobbiamo avere fiducia piena in Dio, Dio deve avere piena fiducia in noi.
Che Lui abbia dimostrato la sua fiducia nei nostri confronti lo attesta il fatto che ci ha amato a tal punto da darci il suo unico Figlio per la nostra rigenerazione a suoi figli di adozione.
Resta ora da dimostrare e mostrare a Lui tutta la nostra fiducia. Noi ci possiamo fidare di Lui, ma Lui deve anche potersi fidare di noi e si fida di noi se noi ascoltiamo ogni parola che esce dalla sua bocca e la mettiamo in pratica, se facciamo del Vangelo l’unica regola e norma del nostro rapporto con Lui e con i fratelli, da amare come Lui ci ha amati e ci ama e da condurre a Lui come li ha condotti il suo Figlio unigenito.
Come la nostra piena fiducia in Lui trova il suo fondamento nel suo amore; così anche la sua piena fiducia in noi deve trovare il suo fondamento nel nostro amore incondizionato, che è obbedienza perfetta alla sua volontà, che ci ha manifestato in Cristo Gesù e che ci può manifestare Lui direttamente, qualora volesse servirsi di noi per un ministero di salvezza.
In Cristo non solo l’uomo ha ritrovato il suo Creatore e Signore, ha ritrovato e ritrova il Padre che lo ama di vero amore. Questa è in verità la redenzione che Cristo è venuto a portare sulla terra.
[13]Vi prego quindi di non perdervi d'animo per le mie tribolazioni per voi; sono gloria vostra.
Dopo aver descritto e manifestato qual è il mistero di Cristo Gesù, nella sua persona, nella sua missione, nei suoi frutti, ora Paolo si rivolge direttamente agli Efesini e li esorta di non perdersi d’animo per le tribolazioni dalle quali è attualmente afflitto.
Le tribolazioni di Paolo sono per gli Efesini. Questo appare con chiarezza dalla frase in verità assai sintetica.
Prima di tutto c’è da dire che noi non conosciamo l’entità di queste tribolazioni. Gli Efesini certamente ne sono a conoscenza. Per noi invece tutto è avvolto dal mistero.
Noi rispettiamo Paolo. Cerchiamo di comprendere quello che dice in modo chiaro ed esplicito; ci fermiamo, arrestiamo il nostro pensiero dinanzi a ciò che lui non dice, ma che accenna semplicemente avvolgendolo di un velo impenetrabile.
Chi legge Paolo sa che a volte egli preferisce il silenzio su alcune cose, ama il mistero, sceglie la riservatezza, opta per gli accenni.
Bisogna rispettare il suo silenzio, non aggiungendo niente di più di quanto egli dice. È questa una regola santa, che ci consente di non cadere nell’invenzione pura o nella fantasia.
La teologia non è invenzione, non è fantasia, non è conoscenza di tutto il mistero, o di tutta la vita di Dio.
La teologia è comprensione della Parola di Dio. Se la Parola di Dio dice, il teologo commenta; se la Parola di Dio non dice, il teologo tace, anzi deve tacere, perché il silenzio dell’uomo dinanzi al silenzio di Dio o della sua Parola è obbligatorio, è un dovere grave di coscienza.
In questo versetto ci sono però tre cose sulle quali dobbiamo riflettere:
Vi prego quindi di non perdervi d'animo: Gli Efesini non si devono perdere d’animo, a causa delle tribolazioni di Paolo. La tribolazione fa parte della vita del missionario, come sono state parte della vita di Cristo. È attraverso la tribolazione che si salva il mondo, se queste vengono offerte al Padre dei cieli nella santità e nella purezza della coscienza e del cuore.
Dinanzi ad una tribolazione si prega il Signore perché dia la forza di poterla portare, oppure conceda la grazia della liberazione, se troppo dura e difficile da portare per noi.
Comunque la tribolazione non è mai troppo dura da non potersi portare, anche perché Dio non prova mai l’uomo al di sopra delle sue forze. Per questo è giusto che si chieda al Signore solo la forza di poterla portare per la redenzione e la salvezza del mondo intero.
La tribolazione non deve farci perdere d’animo; deve infondere forza, coraggio, determinazione al fine di portarla a compimento. Mentre se la tribolazione riguarda gli altri, per costoro bisogna che noi invochiamo il Signore chiedendo la forza che non soccombano, ma che possano offrirla tutta per la redenzione del mondo, oltre che per la personale santificazione.
Per le mie tribolazioni per voi: Paolo è nella tribolazione per gli Efesini. Egli soffre per loro, ma non a causa loro.
Quando la tribolazione è per un altro, essa produce sempre buoni frutti di conversione e di fede più grande nel Vangelo della salvezza.
Vivere la tribolazione per gli altri ci fa in tutto simile a Cristo, che ogni cosa la patì per noi, anzi la patì a posto nostro, invece nostra.
Ogni tribolazione sofferta per gli altri ci conforma a Cristo, ottiene una più grande grazia per la conversione dei cuori, produce in noi una elevazione in santità e una crescita in grazia. Diveniamo più resistenti al male e alla tentazione.
Poiché la tribolazione per gli altri è solo frutto di amore, di carità, essa attesta che siamo sulla buona strada per una più efficace santificazione.
Sono gloria vostra: Le tribolazioni di Paolo vissute per gli Efesini, sono gloria degli Efesini. Come?
È gloria il bene supremo, sommo. È gloria la carità che ci trasforma in olocausto di salvezza. È gloria l’offerta della nostra vita per gli altri, poiché il dono della vita è il sommo bene che l’uomo ha nelle sue mani e di cui dispone, per perderlo o per conservarlo.
Perderlo per amore è gloria, grande gloria.
Paolo vive le tribolazioni per gli Efesini. È come se desse loro un pezzo della sua vita, della sua storia, della sua opera, della sua missione.
Per questo è gloria loro. Gli Efesini ricevono da Paolo questo grande dono e per loro deve essere una gloria venire inseriti nel mistero della sofferenza di Cristo per mezzo dell’offerta della sofferenza di Paolo.
Qui Paolo ci insegna una grande verità. Non solo vuole che non ci perdiamo d’animo quando un cristiano soffre, sapendo che è questa la via per essere in tutto simile a Cristo Gesù. Ci dice che bisogna dare sempre un fine di salvezza alle nostre tribolazioni. Queste devono essere forti per gli altri, per la loro conversione, crescita nelle virtù, in una più grande santificazione.
Ci dice di considerare ogni tribolazione offerta per un altro, gloria dell’altro, perché per mezzo di essa il più grande bene si riversa sull’altro ed è questa la gloria.
L’altro viene riconosciuto nella sua dignità e vocazione e, perché questa dignità e vocazione raggiungano il loro splendore dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini, si offre per loro la tribolazione e ogni sofferenza.
Nell’offerta ciò che è tribolazione per gli uni si trasforma e diviene gloria per gli altri. Così è stato per Cristo Gesù, così deve avvenire per ogni suo discepolo.
Credente
00giovedì 1 novembre 2018 19:13

CAPITOLO TERZO






PAOLO MINISTRO DEL MISTERO DI CRISTO



[1]Per questo, io Paolo, il prigioniero di Cristo per voi Gentili...

Paolo si definisce in questo versetto il prigioniero di Cristo. Prigioniero è colui la cui vita non è più nella propria volontà, ma nella volontà di un altro, nella volontà di colui che lo tiene prigioniero.

Al di là del fatto che Paolo fisicamente è in prigione, fisicamente non può più disporre della sua vita. Dagli Atti degli Apostoli sappiamo che spesse volte era stato imprigionato.

Le prime prigionie erano durate qualche giorno, la prima appena una notte. L’ultima prigionia raccontata dal libro degli Atti fu invece assai lunga e si concluse a Roma, non sappiamo però come e quando.

Paolo è prigioniero di Cristo Gesù perché a Lui si è consegnato. Tutto di sé ha dato al suo Signore. Mente, pensieri, cuore, volontà, corpo, la stessa anima ha consegnato a Cristo Gesù.

Cristo Gesù ha chiesto tutto di lui e lui glielo ha dato, si è consegnato nelle sue mani.

Cristo Gesù ha fatto di lui l’apostolo dei Gentili e lui visse, dopo la folgorazione sulla via di Damasco, andando di città in città tra i Gentili a predicare il Vangelo della salvezza.

Sappiamo sempre dagli Atti la sua volontà di recarsi fino a Roma, avrebbe voluto anche nella capitale dell’Impero raccogliere frutti di grazia, portando tante anime alla fede nel Signore Gesù, Salvezza e Redenzione anche dei Romani, e non solo degli Ebrei.

Per questo egli dice che è il prigioniero di Cristo Gesù per voi Gentili, è per i Gentili a motivo della scelta che Cristo ha fatto. Tutto questo appare chiaramente dalla sua vocazione che è mirabilmente testimoniata dagli Atti degli Apostoli.

Da quanto Paolo dice dobbiamo concludere una verità assai importante: chi vuole servire Cristo secondo verità deve farsi suo prigioniero. Deve perdere cioè volontà e sentimenti propri, per acquisire solo volontà e sentimenti di Cristo Gesù. Del resto è questo che egli esprime nella Lettera ai Galati, quando dice: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha date se stesso per me”.

La vive completamente compiendo la sua volontà, volontà che è il Vangelo della grazia, volontà che è anche la missione specifica che gli è stata assegnata da Cristo: consumarsi interamente perché i Gentili conoscano Cristo, conoscano il Vangelo della Salvezza, divenendo anche loro dei redenti e dei giustificati per opera dello Spirito Santo.

[2]penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro beneficio:

Paolo ha una missione particolare da svolgere. Questa missione gli è stata affidata direttamente da Dio.

Negli Atti viene messo in risalto questo incarico sia al momento del battesimo di Paolo da parte di Anania, sia quando lo Spirito Santo direttamente chiese alla Comunità di Antiochia che Barnaba e Paolo fossero separati per la missione scelta per loro da Dio.

Rispose Anania: Signore, riguardo a quest'uomo ho udito da molti tutto il male che ha fatto ai tuoi fedeli in Gerusalemme. Inoltre ha l'autorizzazione dai sommi sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano il tuo nome. Ma il Signore disse: Va’, perché egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli, ai re e ai figli di Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome. (At 9,13-16).

C'erano nella comunità di Antiochia profeti e dottori: Barnaba, Simeone soprannominato Niger, Lucio di Cirène, Manaèn, compagno d'infanzia di Erode tetrarca, e Saulo. Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse: Riservate per me Barnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho chiamati. Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li accomiatarono. (At 13,1-3).

La missione viene qui definita ministero della grazia di Dio in favore dei pagani, o come venivano chiamati dagli Ebrei: a favore dei Gentili.

Sarebbe assai bello se in ogni cristiano vi fosse questa stessa coscienza sulla missione ricevuta.

Indipendentemente dai destinati cui essa è rivolta e i destinati possono essere sia i vicini che i lontani, sia i credenti che i non credenti, ogni missione è un ministero della grazia di Dio.

Ci viene consegnata una particolare grazia che noi dobbiamo distribuire, consegnare, portare ai destinatari.

Sia la grazia che il destinatario è indicato da Dio. Sia nella grazia che nella destinazione di essa non può esserci autonomia.

Dio vuole la salvezza, la redenzione, la santificazione di una persona, chiama uno di noi, gli affida la grazia da consegnare e noi dobbiamo darla a colui al quale Dio ci ha inviati perché noi la diamo.

Se avviene uno scambio di grazia e di destinatari, la salvezza di Dio non si compie, quella persona chiamata alla giustificazione o alla santificazione per mezzo della grazia a noi affidata, rimane esclusa dal compimento in essa della volontà di Dio, ma con nostra grave responsabilità.

Su questa non autonomia da parte nostra nel conferire la grazia e nello scegliere i destinatari dovremmo meditare, pensare, riflettere. Paolo ci insegna che tutto deve discendere dal cielo. È Dio che ci deve dare la grazia da consegnare, ma anche ci deve indicare le persone cui egli ha già destinato la grazia e questo già fin dall’eternità.

Concepire così la missione cambia totalmente di significato la nostra consegna a Lui. Non c’è una consegna iniziale alla missione e poi tutto si svolge in autonomia da Dio. Ogni azione, ogni incontro, ogni relazione, ogni luogo devono essere voluti da Dio.

È Dio il Salvatore non l’uomo; è Lui che deve sempre inviarci per dare la sua grazia, è Lui che deve mandarci per compiere il ministero della grazia della salvezza.

Su questo proprio non ci siamo. C’è troppa autonomia da Dio. Tutto oggi è nella libera decisione dell’uomo il quale decide, propone, stabilisce, ordina, comanda, impone, determina, senza neanche premettere una preghiera perché sia Dio a dirigere i suoi passi, ma prima ancora i suoi pensieri, i suoi sentimenti, il suo cuore e la sua mente, perché sia Dio a volere e a decidere e non l’uomo.

Tante verità sono calpestate nel nostro rapporto con Dio. Poiché la salvezza è prima di tutto nell’obbedienza a Dio, cercare l’obbedienza è la prima regola della pastorale; la secondo regola è compiere fedelmente l’obbedienza; la terza è chiedere l’aiuto al Signore perché ci faccia sempre rimanere nella sua volontà dall’inizio alla fine e in ogni passaggio dell’azione.

[3]come per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero di cui sopra vi ho scritto brevemente.

Il mistero della grazia è stato affidato a Paolo da Dio. Questo lo sappiamo. Quello che potremmo ignorare è pensare che sia stato Paolo a decidere l’apertura del Vangelo, e quindi della fede, ai pagani.

Invece anche questo è da escludere categoricamente. Paolo non ha preso nessuna decisione. La decisione l’ha presa per lui il Signore, l’ha presa lo Spirito Santo, quando lo ha costituito apostolo dei Gentili.

Ma qual è il mistero che il Signore gli ha rivelato per rapporto ai pagani? Il mistero è uno solo: tutti, senza differenza, sono chiamati alla salvezza e la salvezza si realizza per la fede in Cristo Gesù.

I Gentili, quindi, possono accedere alla grazia della redenzione, che è riconciliazione, rigenerazione, santificazione, elezione alla dignità di figli adottivi di Dio, solo per fede, solo per la fede in Cristo Gesù.

Non necessitano di altro, non devono assoggettarsi a nessun’altra legge. La loro legge unica è Cristo Gesù e la fede in Lui è la via per accedere ai beni divini, che il Padre ci dona in Cristo, mediante lo Spirito Santo per il ministero della Chiesa.

Quando Paolo parla di rivelazione, intende una sola verità: è Dio, che dall’alto dei cieli, gli ha manifestato la via per chiamare i Gentili alla fede. È Lui che gli ha detto che c’è una sola via di salvezza, uguale per i Gentili e per i Giudei. È Lui che gli ha manifestato che i frutti della salvezza sono identici per gli uni e per gli altri, senza alcuna preferenza, o alcun vantaggio dei Giudei per rapporto ai Gentili. È Lui anche che di volta in volta gli indicava la strada da percorrere per andare incontro all’uomo da salvare.

Nella vita di Paolo chi guida, chi decide, chi ordina, chi predispone, chi invia è sempre il Signore. Chi dice cosa bisogna e non bisogna fare è il Signore. Tutto è volontà del Signore. Questo è il segreto della riuscita di Paolo nella missione. Questo deve essere il segreto di ogni altra missione che si svolge nella Chiesa a favore del mondo intero.

Se tutto deve discendere dall’alto, perché tutto deve essere compimento della volontà di Dio, è ben giusto che il missionario si metta in preghiera e invochi la manifestazione della volontà di Dio, la chieda con una preghiera lunga e accorata come sapeva ed era solito fare Gesù, mosso sempre dallo Spirito Santo in ogni sua azione pastorale.

[4]Dalla lettura di ciò che ho scritto potete ben capire la mia comprensione del mistero di Cristo.

Possiamo veramente capire la comprensione che Paolo ha del mistero di Cristo Gesù.

Tutte le sue Lettere altro non sono che la presentazione di questo mistero. Ogni Lettera ne coglie un aspetto, un particolare. Tutte le Lettere insieme danno la comprensione globale del pensiero di Paolo su Cristo Gesù.

Al di là della profondità abissale che avvolge la Persona di Cristo Gesù e ciò che Dio ha voluto fare di Lui, una cosa è assai semplice da capire. Cristo è il Salvatore del mondo, di ogni uomo e ci si salva per la fede in Lui.

Altra cosa essenziale in ordine alla salvezza è questa: la salvezza è dal Corpo di Cristo, che è la Chiesa, per virtù ed opera dello Spirito Santo.

Essa nasce concretamente dall’annunzio, dalla predicazione della Parola di Cristo, dall’adesione alla Parola e dai Sacramenti.

Anche questa verità così semplice oggi stenta ad essere compresa, eppure da Paolo viene espressa in ogni Lettera e sotto molteplici aspetti e contenuti di verità.

Sulla Persona di Cristo una cosa è chiara, evidente: Lui è la vita del mondo. La vita è da Lui, si vive in Lui, si vive con Lui. Quando si dice con Lui si intende con tutto il suo corpo, cioè con tutta la Chiesa.

Così anche la vita è dalla Chiesa, corpo di Cristo, si vive nella Chiesa, nel corpo di Cristo, si vive con la Chiesa, con tutti i fratelli che formano l’unico corpo di Cristo.

Questo per soffermarci solo con qualche cenno sul mistero che avvolge la Persona di Cristo. Sia in questa Lettera come nelle altre ci si è già soffermati a sufficienza al fine di precisare e di cogliere il mistero di Cristo Gesù in ogni sua più piccola parte, sapendo che ogni dettaglio, anche il più piccolo, avrebbe gettato una luce nuova sulla Persona di Gesù Signore, il Verbo Incarnato, l’Autore della vita. Da quanto emerge dagli scritti di Paolo, dobbiamo però confessare che il mistero di Cristo Gesù oggi da molti cristiani non è conosciuto, da molti è ignorato, da tanti è dimenticato, da tantissimi è stravolto.

Stravolgendo il mistero di Cristo Gesù, non conoscendolo, ignorandolo, dimenticandolo, necessariamente si vive un rapporto cattivo, assai cattivo con la propria salvezza, con la vita cristiana.

Se la nostra vita è da Cristo, se Cristo è conosciuto malamente, malamente è anche impostata la nostra vita.

Da qui la necessità di iniziare in seno al popolo cristiano una vera azione di formazione sul mistero di Cristo Gesù. Lo esige la vita cristiana che abbiamo ricevuto in dono, lo esige Cristo, perché in Lui noi siamo stati inseriti, formiamo il suo corpo, siamo la sua stessa vita.

È inconcepibile che colui che forma una sola vita con Cristo, non sappia chi è Cristo con il quale forma un solo corpo, non sappia il mistero che avvolge il corpo di Cristo, dal momento che ogni cristiano è questo corpo di Cristo.

Chi non conosce Cristo, non consce se stesso come cristiano; non sa cosa Cristo ha fatto di lui. Non può vivere come Cristo, perché Cristo da lui non è conosciuto.

[5]Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito:

Questo versetto merita di essere trattato con molta attenzione.

Chi legge l’Antico Testamento sa che c’è un solo disegno di salvezza da parte di Dio e questo disegno è orientato a inglobare tutti gli uomini.

Questo disegno si fa sempre più chiaro man mano che la Storia Sacra progredisce e ci si avvicina a Cristo.

Dalla prima pagina della Genesi, capitolo 3, fino all’ultima pagina dell’Antico Testamento, che è il profeta Malachia, viene manifestata questa volontà universale di Dio, rivolta ad ogni uomo.

Allora il Signore Dio disse al serpente: Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Gn 3,14-15).

Oh, ci fosse fra di voi chi chiude le porte, perché non arda più invano il mio altare! Non mi compiaccio di voi, dice il Signore degli eserciti, non accetto l'offerta delle vostre mani! Poiché dall'oriente all'occidente grande è il mio nome fra le genti e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome e una oblazione pura, perché grande è il mio nome fra le genti, dice il Signore degli eserciti” (Mal 1,10-11)

Questo solo a titolo e a modo di esempio. Basta leggere ogni altra pagina e si troverà incluso, o esplicitamente, o velatamente, il mistero della salvezza universale preparato da Dio per tutti i figli di Adamo.

Cosa cambia allora con Cristo Gesù? Quanto era velato è divenuto chiaro, manifesto, palese. Quanto era implicito, è divenuto esplicito. Quanto era sottinteso è ora detto con tutta chiarezza. Ciò che gli Ebrei non hanno mai voluto fare, perché chiusi nel loro mondo religioso, ora la Chiesa è chiamata a farlo, perché Dio ha rotto ogni struttura religiosa che non si confà al suo mistero di salvezza e di redenzione che Lui ha preparato per tutti i popoli.

La Chiesa da parte sua, anche se ha chiaro il mistero e la sua realizzazione, ha chiara la sua vocazione e la sua missione, deve prestare molta attenzione a che i suoi figli non si comportino alla maniera degli Ebrei e cioè che chiudano il mistero di Cristo in delle pratiche e in delle ritualità che lo penalizzino e non lo rendano vero in tutta la sua forza di trasformazione del mondo.

È questo un pericolo non sempre evitato e molti dei problemi che oggi oscurano il mistero di Gesù nascono dalla trasformazione della fede in religiosità.

È assai facile trasformare la fede in religiosità. Difficile, impossibile è operare il procedimento contrario: passare dalla religiosità alla fede.

Oggi in buona parte della Chiesa si vive di pura religiosità, c’è assai poca fede e quella fede che c’è sovente è anche una fede falsa, fondata su false verità, o è una fede ereticale, in quanto alcune verità si prendono e altre si lasciano, con grave danno del mistero di Cristo Gesù e quindi con grave pericolo della salvezza eterna di quanti aderiscono a Cristo e si lasciano battezzare nel suo nome.

La forza della Chiesa è nella conservazione pura, santa, immacolata del mistero della salvezza e delle vie stabilite da Dio perché questo mistero si compia. Se questo non avviene, neanche la salvezza si compie e a causa dell’uomo viene reso vano il mistero eterno di Dio, che ha comportato la morte in croce del suo Figlio Unigenito, del Verbo della vita che si fece carne per noi.

Qual è allora il mistero che ora la Chiesa conosce in tutta la sua portata salvifica?

[6]che i Gentili cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo,

Viene ora manifestato in ogni sua parte il mistero nascosto alle precedenti generazioni.

I Gentili, cioè tutti coloro che non sono discendenza di Abramo, quanti appartengono ad altri popoli,

in Cristo: nell’economia della salvezza, tutto ciò che avviene, avviene in Cristo Gesù.

Avviene in Lui nel triplice significato: in Lui, nel suo corpo; per Lui, a causa del suo sangue versato; con Lui, insieme a quanti formano l’unico suo corpo.

Al di fuori di questa triplice via non si realizza la salvezza nel suo pieno significato, nella sua perfezione ultima e definitiva. Neanche si realizza nella sua pienezza e definitività il disegno eterno di Dio, quello cioè di fare di ogni uomo il corpo di Cristo Gesù.

Sono chiamati a: nella redenzione si entra per vocazione, per chiamata. La chiamata poi necessita di una risposta.

La chiamata è di Dio. Essa è stata già fatta fin dall’eternità, poiché già fin dall’eternità Dio ha manifestato la sua volontà di farci un solo corpo in Cristo Gesù.

Questa chiamata ha iniziato però la sua storia nel tempo con la vocazione di Abramo, il padre nella fede, il padre chiamato da Dio perché nella sua discendenza fossero benedette tutte le tribù della terra.

Questa chiamata fu portata a compimento da Cristo Gesù, venuto sulla terra per chiamare ogni uomo alla conversione e alla fede al Vangelo.

Cristo Gesù ha affidato questa sua missione ai suoi Apostoli, sono loro che devono andare per il mondo intero a predicare il Vangelo, a chiamare ogni uomo perché in Cristo entri nel disegno eterno della salvezza che Dio ha preparato per Lui.

Il mistero eterno della salvezza, nella sua perfezione assoluta, che è la rigenerazione dell’uomo e il suo inserimento nel corpo di Cristo, sì da formare con Cristo un solo corpo, un unico corpo e quindi un unico e solo mistero di vita nuova, avviene attraverso una duplice azione dell’uomo: quella della chiamata e l’altra della risposta.

L’apostolo di Gesù deve andare per il mondo a chiamare a conversione e alla fede al Vangelo. Se lui non svolge questo suo ministero di grazia, la salvezza non si compie. Non si compie perché l’altro non sa che bisogna convertirsi e credere al Vangelo, non sa che Cristo Gesù è il suo Redentore e Salvatore.

Deve però farlo alla stessa maniera di Cristo Gesù: morendo per lui, offrendo la sua vita in sacrificio, perché il Signore aggiunga ciò che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo che è la Chiesa, e aggiunga nuovi membri al corpo del Signore Gesù. L’evangelizzazione del mondo si compie pertanto con potenza di parole di opere, si compie nella santità, si compie nel sacrificio della vita dell’evangelizzatore.

Per capire cosa deve fare l’apostolo del Signore è sufficiente guardare a Cristo Gesù, contemplare la sua vita, meditare il Vangelo, perché è in esso che rifulge Cristo come nostro modello nell’andare e nel chiamare ogni uomo a salvezza e a redenzione, attraverso la conversione e la fede al Vangelo.

Tutto non dipende però dall’apostolo di Gesù. Tutto poi dipende dal cuore di chi ascolta. Se questi si lascia muovere dallo Spirito, accoglie la Parola di vita, si lascia battezzare, si aggrega alla comunità dei credenti, la salvezza entra nel suo cuore e in essa cammina fino al suo completamento che avverrà solo il giorno della sua morte.

Fino a quel giorno dovrà con assiduità nutrirsi di Vangelo e del Pane Eucaristico, dovrà fortificarsi anche nella preghiera e nelle opere di carità fraterna. È questa la via per portare a compimento la salvezza, o il dono della salvezza ricevuto il giorno del battesimo.

Chiamata e risposta sono l’una e l’altra essenziali perché il disegno eterno di Dio possa vedere la luce nel cuore di un uomo.

Partecipare alla stessa eredità: non c’è differenza nella salvezza, non c’è privilegio di alcuni e neanche particolarità di trattamento.

Indistintamente Gentili ed Ebrei sono chiamati a partecipare alla stessa eredità. L’eredità è Cristo, in Cristo, con Cristo, è per Cristo. L’eredità della salvezza è Dio, in Dio, perché in Cristo, l’eredità è il regno dei cieli, il Paradiso di gloria, che Dio concede a tutti coloro che accolgono Cristo e in Lui vivono la sua stessa obbedienza, facendo della loro vita un sacrificio d’amore per il loro Dio e Signore.

Formare lo stesso corpo: il corpo è quello di Cristo Gesù. Un solo corpo, una sola vita, una sola Chiesa, una sola comunità di credenti in Cristo Gesù, un solo popolo, una sola discendenza, un solo Padre, un solo Spirito, un solo Figlio.

Vengono, nella salvezza di Dio, cancellate le appartenenze, le distinzioni razziali, vengono annullati tutti quei privilegi della carne che gli uomini hanno costruito per creare differenze, superiorità, schiavitù, asservimenti.

Nel corpo di Cristo c’è una sola vita e una sola dignità, nella più assoluta uguaglianza. Ciò che differisce nel corpo di Cristo non è la dignità, per tutti uguale, ma il dono e il ministero. I doni sono diversi, come diversi sono anche i ministeri. Ma il dono e il ministero è per il servizio, non per l’esaltazione della persona.

Il fatto che tra gli uomini regnano differenze nella dignità, divisioni nella concezione della persona umana, il fatto che alcuni uomini si credono superiori agli altri, è il segno manifesto che l’inserimento in Cristo è solo sacramentale, ma non vitale; siamo entrati nel suo corpo, ma senza conversione e senza fede al Vangelo.

Essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo: è quanto Paolo intende affermare in questa ultima parte della manifestazione del mistero. In Cristo si entra per mezzo del Vangelo, si vive la sua vita sempre per mezzo del Vangelo, si partecipa alla promessa ancora per mezzo del Vangelo.

Cosa significa questo? Significa che il Vangelo è la porta della vita, la porta per accedere a Cristo, entrare in Cristo, vivere in Cristo, rimanere in Cristo per tutta l’eternità.

Al Vangelo si crede; si crede accogliendolo; si accoglie vivendolo; si vive facendolo diventare nostra vita.

Nel Vangelo si cresce; si cresce amandolo, comprendendolo, ascoltandolo, annunziandolo, predicandolo, testimoniandolo.

Nel Vangelo si conduce ogni uomo. Il fine della missione cristiana è annunziare il Vangelo, perché l’altro si converta al Vangelo, creda al Vangelo, viva il Vangelo, diventi a sua volta un testimone del Vangelo.

La Chiesa non ha altra missione sulla terra se non quella di predicare il Vangelo, ma deve predicarlo, vivendolo.

Se una sola parola di Vangelo non è vissuta dai suoi predicatori, questi non sono ancora perfetti predicatori. Manca in loro la conformità della vita al Vangelo che predicano, manca la perfetta testimonianza che la Parola, tutta la Parola, può essere trasformata in vita dall’uomo.

Oggi invece si parla, si discute, si scrive, si predica, si annunzia, si dice, si studia, ma non il Vangelo. Il Vangelo serve solo per avvalorare qualche nostra idea ereticale ed è sempre eresia la scelta di una idea, o verità del Vangelo, senza la completezza della rivelazione e della verità in esso contenuta.

La Chiesa non può lasciare il Vangelo in mano a coloro che si sono distaccati da essa. Costoro hanno scelto il Vangelo, ma senza lo Spirito che è nella Chiesa. La Chiesa possiede lo Spirito, ma non il Vangelo. Loro possiedono il Vangelo, ma non lo Spirito.

Lo Spirito senza il Vangelo è senza la Verità, il Vangelo senza lo Spirito è anch’esso senza la Verità. La Verità la fa lo Spirito che legge il Vangelo, la fa la Chiesa che legge il Vangelo nello Spirito Santo e può leggere il Vangelo nello Spirito Santo solo se colui che lo legge vive in santità e cresce giorno per giorno in sapienza e grazia, sempre fortificato, corroborato, illuminato, guidato e condotto dallo Spirito di Dio.

Tutto avviene per mezzo del Vangelo e senza il Vangelo niente avviene. Ma il Vangelo è degli Apostoli, perché lo Spirito è degli Apostoli, gli Apostoli però sono della Chiesa e anche lo Spirito è della Chiesa, ma è della Chiesa degli Apostoli e quindi è della Chiesa degli Apostoli che vivono il Vangelo. Gli altri non hanno il Vangelo, perché non hanno lo Spirito della Chiesa, che è Spirito degli Apostoli.

[7]del quale sono divenuto ministro per il dono della grazia di Dio a me concessa in virtù dell'efficacia della sua potenza.

Chi è Paolo, come si definisce, come vede la sua missione per rapporto ai Gentili? Egli è stato costituito ministero del Vangelo.

Essere ministro del Vangelo significa essere servo della Parola di Dio. Il servo è colui che è sotto un’autorità che lo governa, lo comanda. Questa autorità che è sopra di Paolo è il Vangelo.

Il Vangelo è il Signore di Paolo. Al Vangelo Paolo ha consacrato tutta la sua vita. Paolo vive a servizio del Vangelo. Vive per annunziare il Vangelo, vive per testimoniare il Vangelo, vive per comprendere il Vangelo in modo da poterlo spiegare a coloro che non lo comprendono.

Anche Gesù spiegava la Parola ai suoi discepoli, quando questi non la comprendevano.

Paolo vive andando di luogo in luogo a predicare il Vangelo ad ogni uomo. Egli sa che il Vangelo apre la porta della salvezza e per questo spende tutta la sua vita consegnandola alla predicazione.

Se un uomo ascolta il Vangelo, la sua vita non sarà più la stessa, perché il Vangelo lo mette dinanzi alla scelta della sua vita, o sceglierà la salvezza, o la perdizione eterna.

Essere ministro del Vangelo non è stata una scelta fatta da Paolo. È invece un dono di grazia che Dio gli ha concesso. Questo passaggio merita un approfondimento, una spiegazione, una chiarificazione dottrinale.

L’annunzio del Vangelo è un dono di grazia fatto da Dio a quanti sono chiamati alla vita eterna, cioè ad ogni uomo.

Dono di grazia è anche colui che porta il Vangelo, che lo annunzia, che lo testimonia, che lo spiega.

Se è dono di grazia, deve essere Dio a concederlo, a donarlo, non se lo può donare l’uomo, altrimenti non è più un dono di grazia. La grazia discende dal cielo. Poter annunziare il Vangelo, poterlo spiegare, poter dire la verità in esso contenuta è un vero dono di Dio, fatto per amore della salvezza di tutti i suoi figli dispersi.

Questo dono è messo nel cuore dallo Spirito Santo. Ma sarebbe un dono inefficace, un dono che non produce frutti, se non ci fosse lo Spirito dentro di noi a farlo fruttificare, a renderlo efficace.

La potenza di Dio è sempre efficace, opera sempre, compie sempre ciò che dice, realizza ciò che promette.

Paolo può predicare il Vangelo con frutto perché il ministero lo ha ricevuto da Dio, è un dono della sua grazia. Può predicarlo sempre con frutto perché il dono di grazia opera in lui efficacemente.

La potenza di Dio che è lo Spirito Santo opera in lui efficacemente, sempre. Quando lui parla, lo Spirito converte. Quando lui annunzia, lo Spirito apre i cuori di molti alla fede. Quando lui predica il Vangelo della salvezza, molte anime sentono che quella è la verità che cercavano e si lasciano attrarre da essa. Ora tutto questo lo opera attraverso di lui con efficacia lo Spirito Santo di Dio.

Una verità deve essere chiarita, se si vuole comprendere quanto Paolo sta dicendo in questo versetto.

Lo Spirito opera con efficacia in lui, perché lui si lascia operare dallo Spirito, lo Spirito invoca perché lo muova e lo guidi; allo Spirito chiede la comprensione della verità e soprattutto chiede di poter conformare la sua anima alla verità compresa secondo la luce soprannaturale che lo Spirito riversa nella sua mente.

Questo ci deve far comprendere che da sola la Parola non dice niente; senza l’efficacia dello Spirito che opera in essa, è come se la parola non fosse pronunciata, anche se la diciamo, l’altro non la sente e se non la sente a che pro dirla? Ma perché non la sente, nonostante noi facciamo di tutto perché lui la senta?

Non la sente perché non è detta nello Spirito Santo e quindi è senza efficacia. È una parola muta. Non entra nelle orecchie, non penetra nel cuore, non scende nell’anima. Si ferma solo nell’aria e l’aria la porta via.

Un’altra verità ancora deve essere messa in evidenza. Non tutti possono predicare il Vangelo, perché questo dono di grazia non è dato a tutti.

Ognuno deve sapere quali sono i doni che il Signore gli ha concesso, perché sono quelli che lui deve dare e sono quelli che servono per l’utilità comune.

Se però uno ha tanto desiderio di predicare il Vangelo, di essere ministro della Parola, chieda a Dio questo dono, gli chieda che lo costituisca ministro del Vangelo, suo banditore, suo predicatore e il Signore nella sua immensa misericordia può anche concedergli questo dono, se non contrasta con quanto già si è assunto di vivere dinanzi alla comunità.

Questo ci deve far comprendere che il servizio nella comunità e nel mondo non dipende dalla nostra volontà, né dalla volontà degli altri.

Ogni servizio, ogni ministro è per volontà di Dio, è per un dono della sua grazia.

Questa verità di ordine teologico, deve trasformarsi in verità di ordine di spiritualità e soprattutto pastorale.

Gli errori, i vizi, i contrasti, i dissensi, ma anche i disservizi, i non servizi, i cattivi servizi nascono sempre quando alla volontà di Dio si sostituisce la volontà dell’uomo, nostra o degli altri.

Spetta a ciascuno di noi manifestare qual è il dono che Dio ci ha fatto, perché solo il dono di Dio ci è concesso di dare. Il resto non possiamo darlo, perché non lo abbiamo, perché il Signore non ce lo ha dato. Se lo vogliamo dare, non possiamo. Nessuno può dare ciò che non ha.

Questa legge divina non ammette deroghe, eccezioni. Non si può scavalcare, ignorare, negare.

È questa la legge della vita della Chiesa e del mondo, perché è la legge dello Spirito che governa la santità nella comunità ecclesiale.

Chi presiede la comunità ecclesiale, ha l’obbligo di discernere e di armonizzare i carismi, non quello di conferirli. Nessuno può conferire un carisma ad un altro, perché il dono di grazia discende solo da Dio ed è personale.

Gli errori che si commettono su questo campo in pastorale sono infiniti e imperdonabili, perché distruggono, anziché costruire la comunità ecclesiale.

[8]A me, che sono l'infimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia di annunziare ai Gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo,

Paolo sa chi lui era stato prima di essere afferrato da Cristo Gesù sulla via di Damasco.

Nella Prima Lettera ai Corinzi si paragona ad un aborto (1Cor 15, 3-10): “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.

In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono l'infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me”.

Nelle Prima Lettera a Timoteo (1Tm 1, 12-16): “Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al mistero: io che per l'innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede; così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.

Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna”.

In questa Lettera si definisce: l'infimo fra tutti i santi.

Paolo vede da un lato se stesso. Vede se stesso come il niente dinanzi a Dio nella Chiesa. Si vede come l’infimo, perché tutto ciò che è in lui è solo opera della misericordia di Dio.

Anzi possiamo dire che Paolo è solo opera della misericordia di Dio, uno dei frutti più belli della sua grazia.

D’altro canto però egli si è consegnato tutto alla grazia, niente che era in lui è stato sottratto a Dio e questo fin dal primo istante della sua vita.

Anche la consegna alla grazia è un frutto della grazia, è opera di Dio, per questo egli si considera l’infimo fra tutti i santi, fra coloro cioè che sono stati conquistati da Cristo e sono divenuti in Lui un solo corpo.

L’umiltà di Paolo è vera, autentica. Nasce da un cuore che sa cosa un uomo riesce a fare di male quando è fuori della grazia di Dio. Confessare che tutto è in lui opera di Dio, è questa la verità che lui vuole affermare.

Dicendo questo però ci vuole anche insegnare che la grazia può operare in ogni cuore. Per questo bisogna che il cuore una volta che è stato afferrato da Cristo sia totalmente consegnato a Lui, con tutta la nostra anima e il nostro corpo, perché il Signore ne faccia uno strumento di salvezza nel mondo. Paolo questo lo ha fatto, lo ha fatto per grazia di Dio e continua a farlo sempre perché Dio e il suo Santo Spirito agiscono ed operano in lui.

Tutto è grazia in Paolo: è grazia la sua vocazione ed è grazia la sua missione; è grazia la perseveranza in questa missione ed è grazia anche la modalità secondo quale la missione viene svolta; è grazia anche il campo dell’apostolato ed è grazia ogni conversione che si compie attraverso il suo ministero.




Credente
00giovedì 1 novembre 2018 19:14

Paolo vede il suo ministero come grazia, la sua vocazione come grazia, il campo dell’apostolato come grazia, la stessa conversione dei Gentili è grazia di Dio, concessa al suo apostolato.


Per Paolo parlare di Cristo è grazia. È grazia perché non si può parlare rettamente di Cristo Gesù se non per una grazia particolare dello Spirito Santo. Infatti tutti coloro che non hanno questa grazia, che non la chiedono, che non la invocano quotidianamente dal Signore, tutti coloro che confidano nella loro scienza, anche teologica, parlano male di Cristo, perché di Lui pensano male, come pensano e parlano male della Chiesa e dell’uomo.


Parlano male perché non conoscono il mistero. Perché lo Spirito Santo non lo rivela loro.


Paolo non solo ha ricevuto la grazia di predicare ai Gentili, ha ricevuto la grazia di predicare le imperscrutabili ricchezze di Cristo.


Egli non parla semplicemente di Cristo, non annunzia Cristo restando fuori del suo mistero. Non guarda da lontano Cristo e poi ne parla agli altri, come se annunziasse qualcosa che è lontano, molto lontano da lui e da chi ascolta.


Come si è potuto comprendere, leggendo le sue Lettere, egli è calato nel mistero di Cristo fino a divenirne vitalmente parte, lui è parte di questo mistero, è ormai questo mistero, la sua vita è consegnata a questo mistero e il mistero lo ha conformato di sé, lo ha trasformato in mistero di Cristo, poiché membro del suo corpo, e come parte di questo mistero, dal cuore del mistero egli parla.


Se parla dal centro del mistero, egli riesce a dire ciò che altri neanche immaginano, e non immaginano, né possono immaginare perché loro sono fuori del mistero, sono fuori dello Spirito Santo che rende parte del mistero, che ci conforma al mistero, per questo motivo loro non possono neanche immaginare cosa è il mistero di Cristo Gesù.


I Gentili, cui Paolo si rivolge, hanno questo grande privilegio, questa grande grazia: non solo di conoscere Cristo Gesù, ma di conoscerlo secondo verità, in pienezza, dal centro del suo cuore e della sua vita, dal cuore di Dio e dal cuore dell’uomo, nella sua morte e nella sua risurrezione, prima dell’Incarnazione e dopo.


Lo conoscono non in superficie, ma in profondità. Conoscono anche ciò che di Cristo è comunemente non conoscibile, perché Paolo dona loro le imperscrutabili ricchezze di Lui.


Ciò che fa Paolo deve operarlo ogni buon operaio nella vigna del Signore. Tutti devono parlare di Cristo Gesù secondo la ricchezza della sua verità. Tutti dovrebbero predicare dalla profondità del suo mistero. Perché questo non avviene? Non avviene perché regna un distacco vitale tra Cristo e i suoi strumenti, regna come una separazione di vita.


Da un lato c’è la vita di Cristo e dall’altro la vita dei missionari. C’è un’autonomia dallo Spirito e da Cristo. Spesso la predicazione non è la presentazione di Cristo, bensì la presentazione del cuore del missionario nel quale non vive la ricchezza del mistero di Cristo.


Questa grazia si può e si deve invocare e devono invocarla tutti coloro che si sono assunti la responsabilità nella Chiesa di essere strumenti di Cristo per l’annunzio al mondo delle imperscrutabili ricchezze del suo mistero.


[9]e di far risplendere agli occhi di tutti qual è l'adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell'universo,


Non solo Paolo ha ricevuto la grazia di manifestare le imperscrutabili ricchezze di Cristo, ma anche di far risplendere agli occhi di tutti qual è l’adempimento di questo mistero.


C’è il mistero di Cristo e c’è la storia di questo mistero che si è compiuta in Cristo. Ma c’è anche la storia di questo mistero che ancora non si è compiuta, perché si deve compiere nel corpo di Cristo, che è la Chiesa.


Paolo ha un grande compito, uno straordinario ministero da assolvere. Egli in qualche modo deve mostrare al mondo intero, agli occhi di tutti, che il centro della storia è Cristo Gesù.


Tutto ciò che precede, guarda a Cristo come a colui che deve venire per dare compimento alle speranze; tutto ciò che segue, guarda a Cristo come ha colui che ha dato compimento alle attese dell’uomo. Ogni attesa dell’uomo trova il suo compimento in Cristo. Non c’è attesa che non trovi la sua soluzione in Cristo.


Cristo, in altre parole, è la risposta dell’uomo. Chi vuole trovare la risposta al suo essere e del suo essere uomo, la potrà trovare solo in Cristo Gesù.


Inoltre quanti vivono sulla terra devono sapere che la loro verità è Cristo, perché Cristo è il loro mistero, l’unico loro mistero.


Paolo, a tutti coloro che lo ascoltano, altro non dice se non Cristo, annunziato, atteso, realizzato, compiuto, da compiere, sulla terra e nel cielo, prima della creazione e nella creazione, oltre la creazione, nel cielo, nell’eternità.


Tutto questo Paolo lo fa con scienza di Spirito Santo, lo fa con tutta la sapienza e la saggezza di cielo che Dio ha versato nel suo cuore, che ha messo dinanzi ai suoi occhi. Chi sente parlare Paolo, deve confessare che Paolo parla descrivendo Cristo. È come se lo avesse sempre dinanzi ai suoi occhi e guardandolo e osservandolo con attenzione, lo presenta al mondo intero, perché ognuno possa accoglierlo e divenire parte di Lui.


Paolo in fondo insegna e manifesta, rivela e predica, annunzia e proclama come Dio ha dato compimento nella storia al mistero di Cristo Gesù che è mistero di salvezza, di redenzione, di santificazione dell’uomo.


Questo mistero, il mistero di Cristo, non è stato pensato o voluto da Dio, dopo il peccato dell’uomo. Esso era nascosto nella mente di Dio fin da sempre. Dall’eternità, prima che ancora l’uomo fosse creato, da Dio è stato pensato nel mistero di Cristo Gesù, nel mistero della sua vita.


Questa è la verità, la sola verità. Altre verità non esistono, se esistono, non sono verità di Dio. Sono un frutto della mente dell’uomo.


Il mistero nascosto è del Dio che è anche il creatore dell’universo. Una sola creazione, un solo creatore, un solo mistero di salvezza: per Cristo, con Cristo, in Cristo.


[10]perché sia manifestata ora nel cielo, per mezzo della Chiesa, ai Principati e alle Potestà la multiforme sapienza di Dio,


Chi deve manifestare il mistero è la Chiesa. Sappiamo chi è la Chiesa. È il corpo di Cristo.


Il mistero di Cristo non si manifesta fuori di Cristo, si manifesta dal di dentro di Cristo, dal suo corpo.


È solo dal di dentro del suo corpo che lo si comprende, è nel suo corpo che si vive, è per mezzo del suo corpo che si manifesta al mondo intero, si manifesta sulla terra e nel cielo, agli uomini e agli Angeli di Dio.


In questo versetto sono contenute due verità che meritano una qualche ulteriore puntualizzazione.


Si è già detto che la manifestazione del mistero avviene per mezzo della Chiesa. Questa è una verità che deve essere compresa nella sua vera essenza, altrimenti il fallimento della nostra missione è più che certo.


Essere Chiesa di Cristo non significa limitarsi al solo sacramento del battesimo o agli altri sacramenti, che conferiscono un particolare modo, o anche grado, di appartenere al corpo di Cristo, di ricevere e di svolgere dei particolari ministeri.


Sì, è Chiesa di Dio, che manifesta il mistero, quando si è membri vivi, vitali, santi del corpo di Cristo Gesù.


L’evangelizzazione è opera dei santi nella Chiesa; se non c’è santità, non c’è neanche evangelizzazione, perché senza la santità non opera lo Spirito di Dio su di noi, dentro di noi, attraverso di noi e noi stessi siamo fuori del mistero di Cristo, perché siamo membri morti del suo corpo.


Tutto il creato, compresi gli Angeli del cielo, devono conoscere la multiforme sapienza di Dio, devono conoscerla attraverso il ministero dell’apostolato, che svolto nella santità, produce frutti di santità in tutto il mondo.


Perché anche gli Angeli del cielo devono conoscere la multiforme sapienza di Dio? Perché anche loro devono lodare, benedire, ringraziare il Signore per l’amore profuso nell’intera creazione, attraverso il compimento del mistero di Cristo. In questo mistero anche la loro vita è cambiata, perché anche per loro Cristo è il capo, il re, oltre che il Signore e il loro Dio.


Con Cristo, Verbo Incarnato, tutta l’economia della salvezza è cambiata, ma è cambiata anche la vita in Dio, perché con il Verbo Incarnato, l’uomo è ora parte di Dio, in modo inseparabile e indivisibile. Questo è il mistero che gli Angeli devono conoscere perché anche loro per ciò che li riguarda, possano accoglierlo in ogni sua parte, anche in ciò che è ministero loro specifico per rapporto agli uomini da condurre alla salvezza.


Il loro ministero di salvezza è ora quello di condurre ogni uomo a Cristo Gesù, ogni uomo al suo mistero di morte, di risurrezione, di ascensione gloriosa al cielo.


Tutto il creato deve conoscere la multiforme sapienza di Dio. La sapienza di Dio è Cristo Gesù e tutta la sapienza di Dio si manifesta in Cristo.


Cristo è la rivelazione della sapienza di Dio. Cristo è anche il dono della sapienza di Dio.


Chi vuole attingere la sapienza, potrà trovarla solo in Lui e la può trovare in ogni sua manifestazione. Niente che è sapienza di Dio è fuori di Cristo; tutto ciò che è sapienza di Dio è solo e unicamente in Cristo Gesù.


Chi pertanto vuole conoscere chi è Dio, deve conoscerlo in Cristo; chi vuole conoscere lo Spirito Santo, deve conoscerlo in Cristo; chi vuole conoscere gli uomini, il loro mistero, deve conoscerli in Cristo; chi vuole sapere qualcosa sugli Angeli secondo verità, deve conoscerli in Cristo. Tutto è in Cristo e tutto si attinge in Lui, secondo sapienza e verità.


Ogni gesto di Cristo, ogni Parola di Cristo, ogni opera di Cristo, è manifestazione della sapienza di Dio.


Poiché Cristo è la sapienza di Dio, la multiforme sapienza di Dio, chi vuole conoscerla deve entrare in Cristo Gesù, ma anche chi vuole farla conoscere al mondo, agli Angeli e agli uomini, deve farlo dal di dentro di Cristo, dal cuore del suo mistero, divenendo una cosa sola con Lui.


Cristo solo la Chiesa lo può annunziare e solo quanti sono membri della Chiesa. Gli altri non conoscono Cristo, non possono conoscerlo, perché non sono una cosa sola con Cristo Gesù.


[11]secondo il disegno eterno che ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore,


Quanto avviene nella storia, quanto si è compiuto nella vita di Cristo Gesù, quanto anche avviene attraverso il corpo di Cristo che è la Chiesa, non nasce nel tempo, nasce prima del tempo, nasce nell’eternità.


Il disegno di redimere l’uomo, di farlo corpo del Signore Gesù, non è nato dopo il peccato di Adamo, nel giardino dell’Eden. Esso precede la stessa creazione dell’uomo ed è in previsione dell’attuazione di questo mistero d’amore che Dio ha creato l’uomo e lo ha creato pensandolo redento in Cristo Gesù.


Ci sono due verità che vengono espresse in questo versetto. La prima è quella già accennata e cioè che nell’eternità Dio ha deciso di salvare l’uomo.


La seconda verità è questa: Dio ha deciso di salvare l’uomo nel suo Figlio unigenito, nel Verbo della vita.


L’incarnazione del Verbo diviene così l’elemento conclusivo della stessa creazione.


La creazione ha ricevuto la sua definitività nel momento in cui il Verbo della vita si è fatto uomo. Ora tutto è compiuto quanto a creazione, si deve compiere quanto a speranza da realizzare, perché tutto il mondo e non solamente l’uomo deve partecipare alla grazia della salvezza e questa grazia per l’intera creazione è la formazione dei cieli nuovi e della terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia, la verità, la santità, nei quali ci sarà l’assenza totale del male.


Anche se si cerca di razionalizzare, o teologizzare in qualche modo queste affermazioni di Paolo, resta sempre intatto il mistero.


La teologia non è spiegazione del mistero, è semplicemente tentativo di illuminarlo e di offrirlo alla mente che lo crede già in una luce sempre più piena e più luminosa, perché lo ami di più, cresca in essa il desiderio di contemplarlo, ma anche di annunziarlo ai fratelli dopo averlo contemplato e meditato con la luce superiore, divina, che discende nel cuore per opera e virtù dello Spirito Santo.


Sì, dico questo perché sovente la teologia, o la ragione, hanno preteso di poter dire l’ultima parola sul mistero, desacralizzandolo e quasi riducendolo a misura di mente umana, mentre in realtà esso è al di là di tutte insieme le menti create, sia di quelle che ci hanno preceduto, come anche di quelle che ci seguiranno. Il mistero dell’Incarnazione del Verbo è il mistero dei misteri, poiché in esso viene illuminato di una luce particolare sia il mistero di Dio che quello dell’uomo.


Ma il mistero si accoglie, ci si inserisce in esso, lo si vive per intero, perché solo vivendolo crescendo di giorno in giorno in una santità sempre più grande, a poco a poco esso si chiarifica alla nostra mente e noi possiamo gettare in esso uno sguardo di fede più grande.


Ancora un’ultima riflessione sull’attuazione del mistero.


Questo mistero è stato attuato in Cristo Gesù, per quanto attiene alla sua parte, alla sua persona, alla sua umanità.


Ora resta l’attuazione che spetta al suo corpo, alla sua Chiesa. Anche questa attuazione deve essere portata a compimento e dura fino alla consumazione dei secoli.


Ognuno nella Chiesa deve mettere il suo personale convincimento che senza la sua opera quella di Cristo rimane infruttuosa, inattuata.


Ma se il mistero di Cristo rimane inattuato, esso è come se fosse stato pensato attuato invano in Cristo Gesù.


L’attuazione pertanto si compone di tre momenti essenziali: Cristo, la Chiesa, la singola persona.


Siamo certi che Cristo lo ha attuato alla perfezione, in tutto. Egli ha fatto tutta la volontà del Padre. Neanche un apice egli ha tralasciato perché il mistero si compisse nella sua interezza, in ogni più piccolo particolare.


La Chiesa molte volte si è lasciata tentare e quindi è venuta meno nell’attuazione del mistero di Cristo. Le tentazioni sono molteplici e varie. Esse vanno dalla mancata predicazione e testimonianza di vita, fino allo stravolgimento di ogni parola di Vangelo.


Altre volte la Chiesa si lascia tentare quando si arrocca su delle posizioni del passato, che non sono più incisive per il presente. Al presente alla Chiesa serve un solo convincimento: che è solo l’annunzio della Parola, secondo la sua interezza di verità che può salvare il mondo. Altre vie che si vogliono percorrere non sono di sicuro vie di salvezza, perché sono fuori dell’unica via che è Cristo Gesù.


Infine ciò che non ha attuato il mistero eterno di Dio spessissimo è stato il cristiano. Il cristiano manca nell’attuazione del disegno eterno di Dio ogni qualvolta viene meno nel suo cammino di santificazione.


Chi rinuncia alla santificazione, chi non la porta innanzi con costanza e perseveranza, chi si abbandona al vizio e alla non virtù, chi vive alla maniera del mondo dopo essere stato battezzato nell’acqua e nello Spirito Santo, costui certamente non attua il mistero di Dio.


Non attuano infine il mistero di Dio tutti quegli uomini che sono nell’incapacità fisica e spirituale di poter ascoltare la Parola del Vangelo; che da se stessi hanno deciso di non volerla ascoltare; così come non lo attuano tutti coloro che hanno deciso di fare a meno della Chiesa fondata su Pietro, percorrendo vie alternative per l’attuazione del mistero di Dio.


Chiunque voglia che domani non venga accusato dinanzi al Signore di essere stato omissivo nell’impegno che si era assunto dinanzi a Dio e agli uomini, deve imitare Paolo, mettere ogni impegno a che il Vangelo sia conosciuto da ogni uomo, nella volontà di attuarlo, in Cristo, per Cristo, con Cristo.


[12]il quale ci dà  il coraggio di avvicinarci in piena fiducia a Dio per la fede in lui.


Qual è il primo frutto dell’attuazione del mistero nella Persona del Verbo di Dio?


Siamo familiari di Dio. Questo ormai è lo statuto di coloro che sono stati costituiti in Cristo un solo corpo.


Come familiari di Dio non siamo più stranieri, estranei, forestieri, lontani, fuori della Casa di Dio.


Viviamo in essa come figli e quindi possiamo avvicinarci a Dio in piena fiducia.


Il coraggio, la forza di avvicinarsi a Dio in piena fiducia non è un fatto esteriore, un convincimento, che uno si dà da se stesso, oppure da altri, come avviene nelle cose umane.


Il coraggio ci è dato da un fatto interiore, da un cambiamento della nostra relazione con Dio. Questo cambiamento si chiama adozione adottiva, rigenerazione in Cristo, costituzione nuova che si acquisisce.


È per un fatto di nuova natura, di nuova ontologia, di un nuovo essere ricevuto che possiamo accedere a Dio in piena fiducia.


Anche la fiducia non è una relazione costruita su un rapporto di fedeltà, di mutua comprensione, di carità dimostrata, di fedeltà provata.


La piena fiducia è anch’essa un fatto di essere. È la fiducia del figlio verso il padre, del generato verso il generante, di colui che è stato voluto verso colui che lo ha voluto e lo ha voluto offrendogli una nuova vita.


È questa la novità cristiana. Il Dio Creatore, Signore dell’universo e dell’uomo in Cristo Gesù, per la fede e per atto sacramentale, è ora il Padre, il Padre che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita nel suo nome.


La piena fiducia si trasforma in invocazione, in preghiera, in implorazione, in richiesta di ogni grazia necessaria per poter compiere il nostro pellegrinaggio verso la città eterna, nella quale vivere per sempre con il nostro Padre celeste.


La piena fiducia è anche lode e benedizione, ringraziamento. La piena fiducia è soprattutto pietà filiale, che si trasforma in un ascolto perenne, in una obbedienza totale. Se c’è piena fiducia, questa deve essere reciproca; la fiducia non può essere a senso unico. Noi dobbiamo avere fiducia piena in Dio, Dio deve avere piena fiducia in noi.


Che Lui abbia dimostrato la sua fiducia nei nostri confronti lo attesta il fatto che ci ha amato a tal punto da darci il suo unico Figlio per la nostra rigenerazione a suoi figli di adozione.


Resta ora da dimostrare e mostrare a Lui tutta la nostra fiducia. Noi ci possiamo fidare di Lui, ma Lui deve anche potersi fidare di noi e si fida di noi se noi ascoltiamo ogni parola che esce dalla sua bocca e la mettiamo in pratica, se facciamo del Vangelo l’unica regola e norma del nostro rapporto con Lui e con i fratelli, da amare come Lui ci ha amati e ci ama e da condurre a Lui come li ha condotti il suo Figlio unigenito.


Come la nostra piena fiducia in Lui trova il suo fondamento nel suo amore; così anche la sua piena fiducia in noi deve trovare il suo fondamento nel nostro amore incondizionato, che è obbedienza perfetta alla sua volontà, che ci ha manifestato in Cristo Gesù e che ci può manifestare Lui direttamente, qualora volesse servirsi di noi per un ministero di salvezza.


In Cristo non solo l’uomo ha ritrovato il suo Creatore e Signore, ha ritrovato e ritrova il Padre che lo ama di vero amore. Questa è in verità la redenzione che Cristo è venuto a portare sulla terra.


[13]Vi prego quindi di non perdervi d'animo per le mie tribolazioni per voi; sono gloria vostra.


Dopo aver descritto e manifestato qual è il mistero di Cristo Gesù, nella sua persona, nella sua missione, nei suoi frutti, ora Paolo si rivolge direttamente agli Efesini e li esorta di non perdersi d’animo per le tribolazioni dalle quali è attualmente afflitto.


Le tribolazioni di Paolo sono per gli Efesini. Questo appare con chiarezza dalla frase in verità assai sintetica.


Prima di tutto c’è da dire che noi non conosciamo l’entità di queste tribolazioni. Gli Efesini certamente ne sono a conoscenza. Per noi invece tutto è avvolto dal mistero.


Noi rispettiamo Paolo. Cerchiamo di comprendere quello che dice in modo chiaro ed esplicito; ci fermiamo, arrestiamo il nostro pensiero dinanzi a ciò che lui non dice, ma che accenna semplicemente avvolgendolo di un velo impenetrabile.


Chi legge Paolo sa che a volte egli preferisce il silenzio su alcune cose, ama il mistero, sceglie la riservatezza, opta per gli accenni.


Bisogna rispettare il suo silenzio, non aggiungendo niente di più di quanto egli dice. È questa una regola santa, che ci consente di non cadere nell’invenzione pura o nella fantasia.


La teologia non è invenzione, non è fantasia, non è conoscenza di tutto il mistero, o di tutta la vita di Dio.


La teologia è comprensione della Parola di Dio. Se la Parola di Dio dice, il teologo commenta; se la Parola di Dio non dice, il teologo tace, anzi deve tacere, perché il silenzio dell’uomo dinanzi al silenzio di Dio o della sua Parola è obbligatorio, è un dovere grave di coscienza.


In questo versetto ci sono però tre cose sulle quali dobbiamo riflettere:


Vi prego quindi di non perdervi d'animo: Gli Efesini non si devono perdere d’animo, a causa delle tribolazioni di Paolo. La tribolazione fa parte della vita del missionario, come sono state parte della vita di Cristo. È attraverso la tribolazione che si salva il mondo, se queste vengono offerte al Padre dei cieli nella santità e nella purezza della coscienza e del cuore.


Dinanzi ad una tribolazione si prega il Signore perché dia la forza di poterla portare, oppure conceda la grazia della liberazione, se troppo dura e difficile da portare per noi.


Comunque la tribolazione non è mai troppo dura da non potersi portare, anche perché Dio non prova mai l’uomo al di sopra delle sue forze. Per questo è giusto che si chieda al Signore solo la forza di poterla portare per la redenzione e la salvezza del mondo intero.


La tribolazione non deve farci perdere d’animo; deve infondere forza, coraggio, determinazione al fine di portarla a compimento. Mentre se la tribolazione riguarda gli altri, per costoro bisogna che noi invochiamo il Signore chiedendo la forza che non soccombano, ma che possano offrirla tutta per la redenzione del mondo, oltre che per la personale santificazione.


Per le mie tribolazioni per voi: Paolo è nella tribolazione per gli Efesini. Egli soffre per loro, ma non a causa loro.


Quando la tribolazione è per un altro, essa produce sempre buoni frutti di conversione e di fede più grande nel Vangelo della salvezza.


Vivere la tribolazione per gli altri ci fa in tutto simile a Cristo, che ogni cosa la patì per noi, anzi la patì a posto nostro, invece nostra.


Ogni tribolazione sofferta per gli altri ci conforma a Cristo, ottiene una più grande grazia per la conversione dei cuori, produce in noi una elevazione in santità e una crescita in grazia. Diveniamo più resistenti al male e alla tentazione.


Poiché la tribolazione per gli altri è solo frutto di amore, di carità, essa attesta che siamo sulla buona strada per una più efficace santificazione.


Sono gloria vostra: Le tribolazioni di Paolo vissute per gli Efesini, sono gloria degli Efesini. Come?


È gloria il bene supremo, sommo. È gloria la carità che ci trasforma in olocausto di salvezza. È gloria l’offerta della nostra vita per gli altri, poiché il dono della vita è il sommo bene che l’uomo ha nelle sue mani e di cui dispone, per perderlo o per conservarlo.


Perderlo per amore è gloria, grande gloria.


Paolo vive le tribolazioni per gli Efesini. È come se desse loro un pezzo della sua vita, della sua storia, della sua opera, della sua missione.


Per questo è gloria loro. Gli Efesini ricevono da Paolo questo grande dono e per loro deve essere una gloria venire inseriti nel mistero della sofferenza di Cristo per mezzo dell’offerta della sofferenza di Paolo.


Qui Paolo ci insegna una grande verità. Non solo vuole che non ci perdiamo d’animo quando un cristiano soffre, sapendo che è questa la via per essere in tutto simile a Cristo Gesù. Ci dice che bisogna dare sempre un fine di salvezza alle nostre tribolazioni. Queste devono essere forti per gli altri, per la loro conversione, crescita nelle virtù, in una più grande santificazione.


Ci dice di considerare ogni tribolazione offerta per un altro, gloria dell’altro, perché per mezzo di essa il più grande bene si riversa sull’altro ed è questa la gloria.


L’altro viene riconosciuto nella sua dignità e vocazione e, perché questa dignità e vocazione raggiungano il loro splendore dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini, si offre per loro la tribolazione e ogni sofferenza.


Nell’offerta ciò che è tribolazione per gli uni si trasforma e diviene gloria per gli altri. Così è stato per Cristo Gesù, così deve avvenire per ogni suo discepolo.




 


Credente
00venerdì 2 novembre 2018 11:43

PREGHIERA DI PAOLO


[14]Per questo, dico, io piego le ginocchia davanti al Padre,


Non basta offrire la sofferenza, o la tribolazione per gli altri, per essere in tutto simile a Cristo Gesù.


Cristo Gesù non solo si è offerto per la redenzione del mondo, ha anche innalzato a Dio una preghiera ininterrotta sia per i suoi apostoli che per ogni altro uomo. Cristo Gesù ha pregato anche per i suoi crocifissori, chiedendo per loro perdono, chiedendo al Padre di aprire le porte della misericordia anche a loro, scusandoli, dicendo che non sanno quello che fanno.


Chi si prega? Sempre il Padre celeste. Ogni preghiera deve avere Lui come suo soprannaturale Termine.


Nessuna preghiera può essere indirizzata a qualcun altro sulla terra e nel cielo considerandolo come soprannaturale Termine. Tutti gli altri (Angeli e Santi) possono e debbono essere pregati, ma sempre come termini intermedi, come mediatori della nostra preghiera, o come strumenti di essa, perché questa possa raggiungere con più efficacia il Padre nostro Celeste.


Come Dio è ultimo soprannaturale Termine della nostra preghiera, così Cristo Gesù è l’ultimo soprannaturale Termine di ogni altra mediazione. Tutti possono essere considerati mediatori della nostra preghiera, ma tra noi e Cristo, perché portino la nostra preghiera a Cristo, poi sarà Cristo a portarla al Padre nostro celeste.


È questa la legge della preghiera. Se altre leggi vengono proposte, queste altre leggi non sono vere, sono false, errate, non buone, non giuste.


Piegare le ginocchia è segno di adorazione. È tuttavia un segno esterno, che potrebbe cambiare nel corso dei secoli.


Se cambia il segno, non deve però mancare la nostra adorazione. Nell’adorazione si riconosce il Padre dei cieli come nostro unico Signore, nostro Creatore, nostro Padre, nostro tutto, cui è dovuta la nostra vita e la vita si dona in una obbedienza perfetta alla sua volontà.


Paolo in questo versetto si rivolge a Dio che è Padre, è Padre ed è anche Dio, è Padre ed è il Signore, per questo piega le ginocchia e si prostra in adorazione.


Paolo ci dona così un grande insegnamento, a noi che spesso dimentichiamo l’assoluta trascendenza di Dio e quasi quasi ne facciamo uno al pari di noi, con una familiarità che dimentica il mistero di Dio, lo abolisce, come se la religione cristiana fosse abolizione del mistero divino.


La nostra fede innalza nel mistero, ma non abbassa il mistero; eleva nel mistero, ma non lo distrugge, non lo abolisce, non lo vanifica, non lo rende nullo. Questo dovrebbe insegnarci di stare dinanzi a Dio con quella compostezza dell’anima, dello spirito e del corpo, che anche esteriormente manifesta e fa trasparire l’adorazione che è dovuta al suo Santissimo Nome.


Insegnare il rispetto di Dio, la sua trascendenza, la sua divinità, la sua Signoria su di noi, non toglie nulla alla sua Paternità, anzi la manifesta e la rivela nella sua vera essenza.


Se prima c’era un rigorismo esagerato, oggi c’è un lassismo altrettanto esagerato. La virtù vuole che non si esageri e non ci si rilassi. La virtù vuole che il figlio onori il Padre celeste e questo onore traspaia anche nelle forme esterne attraverso le quali egli manifesta e vive questa relazione di pietà filiale.


[15]dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome,


Dio è il Padre, fonte di tutto ciò che esiste nei cieli e sulla terra, del visibile e dell’invisibile, dello spirito e della materia, dell’anima e del corpo.


Dio è fonte per generazione e per creazione, ma tutto da Lui ha origine, prende nome.


Per generazione è fonte solo del Verbo della vita, del suo Figlio Unigenito. Solo Lui è dalla sua natura per generazione. Il Verbo è generato, non creato, della stessa sostanza del Padre. Il Verbo è luce dalla luce del Padre, è Dio vero dal Dio vero che è il Padre.


Tutti gli altri esseri esistenti, dagli Angeli all’ultima particella infinitesimale, che è oltre l’atomo, compreso ogni essere vivente, è opera sua per creazione dal nulla.


Prima, da sempre, esisteva solo il Dio Trinità: Padre e Figlio e Spirito Santo.


Dal Padre, all’origine del tempo – quando, nessuno lo sa – per creazione, per la mediazione del Figlio, ogni altra cosa ha avuto origine.


La creazione implica la non esistenza della cosa. Prima c’è il nulla, o meglio non c’era nulla. C’era solo Dio e basta. Poi all’inizio del tempo le cose per creazione iniziarono ad esistere e tutto è per creazione ciò che è fuori di Dio.


Dio è Padre in senso lato, in quanto creatore. In quanto Creatore dal nulla ogni cosa viene da Lui. In tal senso: da Lui prende nome ogni paternità.


All’interno della creazione c’è però un regime nuovo che è dato dalla risurrezione di Cristo Gesù. Dopo che Cristo è morto ed è risuscitato, morto per i nostri peccati e risuscitato per la nostra giustificazione, c’è una paternità nuova di Dio ed è la paternità per adozione, che diviene per noi figliolanza di adozione.


In Cristo, generati dallo Spirito Santo, diveniamo veri figli adottivi di Dio. Siamo figli nel Figlio per una generazione spirituale, che è anche inserimento nel corpo glorioso e spirituale di Cristo Signore.


Anche questa nuova paternità e figliolanza prende il nome dal Padre dei cieli. È per sua volontà che noi siamo generati come suoi figli ed è sempre per sua volontà che noi possiamo accedere al trono della grazia chiamandolo Padre, Abbà.


[16]perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo interiore.


Paolo sa che tutto è dono di Dio. Sa anche che tutto bisogna chiedere a Lui.


Gesù nel Vangelo ci insegna che dobbiamo cercare prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia.


Cosa è il regno di Dio e la sua giustizia se non la conoscenza di Dio, del suo mistero, della sua volontà, perché in essi viviamo tutti i giorni della nostra vita?


Paolo chiede qualcosa di grande per gli Efesini. Chiede a Dio che voglia rafforzare potentemente con il suo Santo Spirito il loro uomo interiore.


Questo rafforzamento potente non deve avvenire per un giorno o per qualche ora, ma deve essere per sempre e deve compiersi secondo la ricchezza della sua gloria, cioè del suo amore, della sua misericordia, che è Cristo Gesù.


La gloria del Padre è Cristo. Il Padre deve, con la potenza dello Spirito Santo, rafforzare gli Efesini nel loro uomo interiore e l’uomo interiore è quello che è nato da acqua e da Spirito Santo ed è già inserito in Cristo.


Il Padre, sempre per opera dello Spirito Santo, deve rendere questo legame con Cristo indistruttibile, non solo a livello di essere, sia anche a livello operativo.


Il cristiano e Cristo devono essere potentemente un solo corpo, ma anche una sola vita, una sola missione, una sola opera di salvezza, una sola offerta, una sola crocifissione, una sola risurrezione, una sola abitazione nel cielo, oggi e sempre e per tutta l’eternità beata.


Paolo sa che la forza del cristiano è lo Spirito Santo; sa anche che la vita del cristiano è Cristo. Sa però che tutto è dalla volontà del Padre. È il Padre che deve operare attraverso il suo Santo Spirito il rafforzamento degli Efesini nell’uomo interiore ed è sempre il Padre che deve fare di Cristo e dei suoi discepoli una cosa sola a livello di essere e di operazione.


Se il Padre ogni giorno rafforza, vivifica, rende indistruttibile questo legame, gli Efesini produrranno frutti di vita eterna per se stessi e per il mondo intero, poiché con il loro vitale inserimento in Cristo e la potenza dello Spirito Santo che rinnova e fortifica il loro uomo interiore, l’opera di Cristo viene svolta secondo ogni esigenza di santità, il mondo vede la luce della verità e della grazia e mosso dallo Spirito che vive ed opera negli Efesini, accoglie la Parola ed entra nella vita.


La pastorale non è azione dell’uomo esteriore; è opera dell’uomo interiore, cioè dell’uomo nuovo, dell’uomo innestato in Cristo, che vive in Cristo, che compie l’opera di Cristo.


Paolo sa che l’uomo interiore non si fa una volta per tutte. Viene costituito nel battesimo, ma poi ha una vita che cresce e si sviluppa, ma anche che si arresta nella crescita e può anche morire.


Perché la vita nuova non muoia, ma cresca e produca frutti di salvezza, di vita eterna, di redenzione occorre che essa sia posta perennemente e potentemente in Cristo. Questo solo lo Spirito lo può fare, ma è solo Dio che lo può volere.


La preghiera rende pietoso e misericordioso il Signore, che opera quanto richiesto dai suoi fedeli servitori che già, sempre per grazia di Dio, sono una cosa sola in e con Cristo Gesù.


[17]Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità,


Viene ora ulteriormente specificato cosa significa essere rafforzati potentemente nell’uomo interiore.


Questo rafforzamento è l’abitazione di Cristo in noi, nel nostro cuore. Abitazione di grazia, di verità, di santità. Abitazione di morte e di risurrezione, ma anche di ascensione gloriosa al cielo.


Cristo deve realizzare il suo mistero in ognuno di noi. Personalmente ognuno è chiamato a realizzare Cristo.


Perché possa essere realizzato, Cristo deve abitare nel nostro cuore. La sua dimora però deve essere viva e vitale e questo avviene solo nella fede.


La fede in questo versetto si riveste di un concetto assai particolare. Essa è prima di tutto scienza e conoscenza nello Spirito Santo che la verità del nostro essere è solo in Cristo. È in Lui il nostro compimento, la nostra realizzazione, il nostro presente, il nostro futuro, sia nel tempo, che nell’eternità.


Questa fede è preliminare ad ogni altra verità che possiamo conoscere su Cristo Gesù, sul Padre e sullo Spirito Santo.


Per questa fede che ci fa confessare che solo in Cristo è la vita dell’uomo, anzi che solo la vita di Cristo è la vera vita che dobbiamo realizzare in noi – le altre, tutte le altre forme di vita, non sono vita, bensì morte – i cristiani chiedono a Dio che Cristo abiti nel loro cuore. Vi abiti però con la ricchezza e la potenza del suo mistero.


Vi abiti per rendere il suo mistero il nostro mistero e quindi tutta la nostra vita deve essere trasformata in mistero di Cristo Gesù. Per questo Cristo deve abitare, ma per abitarvi deve essere chiamato, per essere chiamato abbiamo bisogno di quella fede preliminare che è scienza e sapienza dello Spirito Santo che ci ha già convinti che solo Lui è la nostra vita e che solo il suo mistero è il nostro mistero.


Cristo è la carità del Padre; del Padre è l’amore, la misericordia, la pietà; del Padre è il perdono. Del Padre è il dono di salvezza per l’umanità intera. Questo è nella sua essenza il mistero di Cristo. Radicati in Cristo, siamo radicati e fondati nella sua carità, in questo suo mistero d’amore. Il mistero dell’amore di Cristo è anche quello del Padre. C’è un solo mistero d’amore che è del Padre e del Figlio e si vive nella comunione dello Spirito Santo.


Paolo chiede a Dio che il cristiano possa essere interamente trasformato nel mistero d’amore di Cristo Gesù, che è manifestazione dell’amore del Padre, della sua carità eterna.


Perché chiede questo? Lo chiede perché solo se il cristiano diventa un solo mistero d’amore in Cristo e con Cristo, egli può trasformarsi ed essere fatto un dono della carità del Padre per la salvezza del mondo.


Se invece il cristiano rimane fuori di questo mistero, se il suo uomo interiore non è potentemente configurato a Cristo Gesù, la sua vita non diviene quella di Cristo e quella di Cristo non si fa sua vita. C’è una separazione tra la vita di Cristo e quella del cristiano, ma se c’è separazione, non c’è compimento della missione di Cristo e il mondo resta nel suo peccato e nella sua morte.


Paolo illuminato dallo Spirito Santo è penetrato nel cuore del mistero della salvezza. La salvezza è dono della carità del Padre, la carità del Padre è Cristo crocifisso, non solo. La carità del Padre è il corpo di Cristo crocifisso per il mondo intero.


Il cristiano è corpo di Cristo, ma potrebbe esserlo solo sacramentalmente, ma non vitalmente. Se lo è solo sacramentalmente, ma non vitalmente, egli è oggetto della carità del Padre, ma non è ancora diventato, né può diventare soggetto che trasmette e vive la carità del Padre a favore del mondo intero.


Per questo è necessario che lo Spirito Santo lo faccia una sola vita con Cristo, una sola carità, un solo movimento d’amore, una sola missione di salvezza, una sola crocifissione. Questo significa radicarlo nella carità di Cristo, fondarlo in essa. Questo intende Paolo quando prega, perché Cristo per la fede abiti nei loro cuori: che faccia di ognuno di loro una crocifissione di carità e di amore per la redenzione del mondo intero.


[18]siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità,


Paolo sa che un cristiano che non comprende Cristo, sarà sempre una canna sbattuta dal vento.


Sa che un cristiano che non matura nella profondità della sua fede nel mistero di Cristo crocifisso, sarà esposto ad ogni tentazione.


Il primo venuto potrebbe tentarlo e lui con troppa facilità sarebbe in grado di abbandonare Cristo e di consegnarsi alla falsità e all’errore.


Se leggiamo la storia della Chiesa dobbiamo confessare che questo è vero. Per troppo tempo i cristiani sono stati abbandonati all’ignoranza, ad una conoscenza superficiale del mistero di Cristo, ad un rapporto sentimentale con Lui, ad una relazione non sufficientemente fondata sulla verità.


Qual è stato il risultato? Qual è tuttora il risultato? È sufficiente che qualcuno dica una parola di falsità, di menzogna, di errore su Cristo, ma con arte e con abilità satanica, che subito si abbandona la retta fede (anche se non formata) e ci si consegna alla falsità totale.


Come fare perché questo non avvenga? Come evitare la diserzione e il passaggio all’errore di molti cristiani, anche nelle sette e in altre religioni?


San Paolo suggerisce l’unica via giusta, quella cioè della conoscenza del mistero di Cristo Gesù.


Si tratta di iniziare seriamente la formazione del popolo di Dio, di introdurre i credenti nel mistero della salvezza.


Formazione e introduzione che devono avvenire su due livelli differenti, ma coessenziali, anzi necessari l’uno all’altro: della mente e del cuore, del pensiero e delle azioni, del dire e del fare, dell’idea e dell’opera.


Se l’opera non diviene la traduzione in atto dell’idea è un’opera falsa; se l’idea, però, non è il pensiero di Cristo che si traduce, anche se viene fatta l’opera, questa sicuramente non è l’opera di Dio.


Ora il cristianesimo vive male, per una ragione assai semplice. Manca il pensiero di Cristo nella mente del cristiano; a volte quando c’è, esso poi non viene tradotto in opera.


Cristo tradusse la verità in crocifissione, ma prima ancora la tradusse in assunzione del peccato dell’uomo per espiarlo nel suo corpo.


Senza formazione non c’è crescita nella verità e senza verità non c’è vita di fede. Senza vita di fede, tutte le fedi o credenze sono uguali. Passare dall’una all’altra diviene senza significato e lo si fa per una convenienza umana, che a volte è anche disumana, a motivo dell’abbandono della verità per immergersi nell’errore, propagandato come verità.


Altra verità che Paolo mette bene in evidenza è questa: i cristiani sono un popolo, una nazione santa, sono il corpo di Cristo. Insieme devono crescere nella conoscenza del mistero, insieme si devono aiutare in questa formazione, senza la quale il cristianesimo alla fine risulterà inadeguato, se non falso o erroneo nell’indicare delle vie di salvezza agli altri fratelli.


Crescere insieme nella verità oltre che esigenza derivante dall’essere una cosa sola in Cristo, è richiesto anche dal dovere di rendere testimonianza univoca a Cristo Gesù.


Cristo è uno, la verità è una, il popolo è uno, la testimonianza deve essere una, univoca, identica.


Senza formazione, senza introduzione del popolo di Dio nell’unico mistero, ognuno possiede una sua conoscenza, un suo personale modo di vedere Cristo e pertanto anche una personale testimonianza resa a Cristo, spesso in contraddizione e in opposizione con le altre.


Questa molteplicità di testimonianze equivoche, non vere, non esatte, perché non corrispondono alla verità del mistero, sono alla fine una non testimonianza a Cristo e spesso si trasformano in una contro testimonianza a motivo della lacerazione che operiamo nel mistero e di conseguenza nella verità. Chi le ascolta resta confuso, non sa cosa pensare, non è messo in condizione di scegliere l’unica verità, la sola che salva.


Negli Atti degli Apostoli è detto che Pietro lui solo parla, gli altri Apostoli sono presenti al suo discorso per rendere testimonianza alla sua verità.


Si dice una sola verità; questa viene testimoniata da molte persone, ma è sempre l’unica verità che si testimonia. Questa è la bellezza della nostra fede. È quella che viene comunemente chiamata: testimonianza corale.


Oggi proprio questa testimonianza è venuta meno. Ognuno è un detentore del suo Cristo, della sua verità, della sua pastorale, del suo discorso, dei suoi messaggi.


La cosa paradossale è che ci si vuole ad ogni costo accordare sulla pratica pastorale, che deve essere a discrezione del Responsabile di una comunità, ma mai si è pensato di accordare i nostri cuori sulla verità, sull’unica verità e sull’unico mistero di Cristo Gesù. Questa è la dissonanza che nuoce alla fede, anzi la distrugge se in qualche cuore essa è nata ed è sul punto di crescere.


Di Cristo dobbiamo conoscere tutto e sotto ogni aspetto. Questo si intende per profondità, larghezza e altezza del mistero. Niente del mistero deve essere lasciato inesplorato. Tutto bisogna sondare e tutto bisogna che venga assunto dalla mente e dal cuore.


[19]e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio.


Il mistero di Cristo è essenzialmente mistero d’amore. È un mistero che non conosce limiti, perché l’amore dell’uomo in Cristo è stato totalmente assunto dall’amore di Dio, dall’amore della Persona del Figlio di Dio.


Assunto dall’amore divino, l’amore umano è divenuto senza confini, neanche la morte l’ha potuto fermare. La morte che vince ogni cosa, dinanzi a Cristo si è dovuta arrendere, perché oggi Cristo continua ad amarci con il suo cuore umano, e ci ama anche nel suo corpo, con il suo corpo e il suo sangue, dato e sparso per noi, per la nostra redenzione eterna.


Paolo lo dice bene. L’amore di Cristo sorpassa ogni conoscenza. Quando la mente inizia a riflettere, a pensare, a meditare, ad argomentare e a dedurre sull’amore di Cristo Gesù, rimane senza parola e ogni cosa che dice su questo amore è sempre infinitamente poco, mentre ciò che rimane da dire è sempre finitamente assai.


Perché la conoscenza umana avverte il limite nel parlare dell’amore di Cristo Gesù? Perché da un lato abbiamo la creatura, dall’altro il Creatore, il Signore dell’uomo. Il Signore, il Creatore, per amare l’uomo si lascia crocifiggere dalla sua creatura.


Se fossimo in un rapporto di giustizia e di santità, di amicizia e di fratellanza, questa donazione della vita, si potrebbe anche in qualche modo comprendere, anche se rimane sempre incomprensibile il perché di questo gesto di Dio che si fa uomo per redimere l’uomo.


Chi dona la vita è il Santo, il Giusto, l’Innocente. La dona per l’empio, il nemico, il disobbediente, per colui che lo ha rinnegato, rifiutato, per colui che lo ha considerato un suo rivale, un invidioso. Gesù dona la vita per il suo carnefice, il suo uccisore, il suo traditore, il suo rinnegatore, colui che lo rifiuta, lo sputa, lo percuote, lo flagella, lo crocifigge, lo insulta, lo tenta.


Questo amore è al di là della conoscenza umana, perché è al di là della nostra mente. In questo amore più la mente si inabissa e più rimane ai margini, è come se lo sfiorasse appena.


A volte anche nei testi del Nuovo e dell’Antico Testamento questo amore viene descritto, ma il mistero rimane.


Paolo chiede a Dio che sia Lui a rivelarlo al nostro spirito, a metterlo nel nostro cuore, a informare di questo mistero tutta quanta la nostra vita.


Quando, per una particolare grazia, lo Spirito del Signore informa una vita dell’amore di Cristo, questa vita cambia, si trasforma, diviene un’altra vita. È questo il miracolo dello Spirito Santo, quando mette nel nostro cuore la conoscenza dell’amore di Cristo Gesù.


Quando questo amore è riversato nel nostro cuore, quando la nostra vita è stata informata di esso, quando la nostra mente è illuminata dal mistero di Gesù, avviene qualcosa di veramente inaudito: l’uomo si sente ricolmo, sazio, non cerca più niente, ha tutto, anche se gli rimane ancora di trasformare la sua vita nel mistero dell’amore di Cristo che è stato riversato nel suo seno.


Tutta la pienezza di Dio è nel mistero dell’amore di Cristo, chi è entra in questo mistero, entra in tutta la pienezza di Dio e trova la pace.


È questo il segreto dei santi. Loro sono entrati nel mistero di Cristo e tutta la pienezza di Dio è entrata nel loro cuore. Il mondo per loro non esiste più, non può più esistere, perché il mondo appartiene al vuoto, Cristo invece è la pienezza. È possibile avere bisogno di ulteriori vuoti nel cuore, da attingere nel mondo, mentre in esso c’è tutta la pienezza di Dio che è l’amore di Cristo Gesù? È possibile attaccarsi e attardarsi per le cose del mondo, che sono il vuoto assoluto, mentre nel nostro cuore c’è tutto l’amore di Cristo, che è la pienezza divina, oltre la quale nulla più esiste che possa desiderare un uomo?


Il vuoto del cuore è vuoto di Cristo, vuoto del suo amore, vuoto della pienezza di Dio, vuoto di cielo, vuoto di conoscenza, vuoto di verità, vuoto di formazione, vuoto di informazione.


Questa è la reale situazione nella quale vive oggi il cristiano. Egli è cristiano, ma senza la pienezza di Dio, senza il mistero di Cristo, senza la forza dello Spirito Santo che lo spinge verso Cristo, verso Dio.


La responsabilità è di tutti coloro che non danno Cristo, non danno il mistero, non danno la verità, non danno la grazia e neanche danno la Parola, perché anche questa sovente è data male e trasformata, alterata, annullata.


Non dimentichiamo che la pienezza della conoscenza è solo dono dello Spirito. Essa non è frutto di studio, di riflessione, di meditazione. Queste cose sono ottime in sé, ma ci aiutano solo a sapere ciò che ancora non sappiamo del mistero di Cristo Gesù, ci aiutano a scoprire il nostro stato attuale nella conoscenza della Rivelazione.


Tutto si deve conoscere di Dio, ma tutto si conosce per rivelazione, per un dono soprannaturale, per una particolare grazia divina.


Questa è la verità. Non per nulla tutto quanto stiamo dicendo in queste pagine altro non è che un commento ad una preghiera di Paolo, ad una invocazione che dal suo cuore si innalza verso il cuore di Dio.


Se tutto avviene e si compie per rivelazione, è giusto che lo si chieda al Signore, ma che nessuno lo chieda se non ha anche il desiderio di divenire parte viva di questo mistero, crocifisso con Cristo crocifisso.


Il mistero è uno; se è uno a livello di mente, deve essere anche uno a livello di cuore; se è uno a livello di cuore, deve essere anche uno a livello di crocifissione. Se è uno a livello di crocifissione, sarà anche uno a livello di risurrezione e di ascensione gloriosa al cielo, al momento della risurrezione dei corpi.


Il mistero conosciuto, perché rivelato, deve essere anche compiuto e lo si compie sulla croce. Chiedere la conoscenza del mistero è chiedere di essere crocifissi come Cristo Gesù. È questo il compimento in noi del suo mistero ed è questo il compimento in Lui del nostro mistero.


[20]A colui che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che già opera in noi,


Chi è Dio. Dio è infinitamente oltre l’uomo. È oltre la sua preghiera, oltre la sua mente, oltre la sua volontà, oltre il suo cuore.


Dio è divinamente e onnipotentemente oltre, l’infinito è la misura che ci separa da Dio.


Essendo Dio oltre il nostro cuore e la nostra mente, egli deve operare per noi secondo il suo cuore e la sua mente, non secondo il nostro cuore e la nostra mente. Sapendo Lui cosa è il meglio per noi, ad ogni nostra preghiera è il meglio che deve concederci, perché la nostra mente immagina, pensa il meglio, ma il nostro meglio non è mai il meglio di Dio. Il nostro meglio è pensato da noi, è desiderato da noi, ma ciò che noi pensiamo, ciò che noi vogliamo non è mai ciò che vuole e che pensa il Signore.


Per questo è giusto che nel confessare la superiorità dei desideri di Dio e dei suoi pensieri nei nostri riguardi, anche nell’invocare qualcosa da Lui, che è secondo noi giusto e santo, alla fine ci si abbandoni totalmente a Lui, ci si consegni a Lui, perché sia Lui a fare di noi ciò che è conforme ai suoi desideri e al suo disegno eterno secondo il quale da sempre ci ha pensato e anche voluto.


Su questo dovremmo essere un po’ più attenti quando ci mettiamo in preghiera di richiesta o di impetrazione di grazie particolari. Dobbiamo sempre lasciare alla sua sapienza eterna e al suo arcano consiglio che trasformi la nostra preghiera nel bene più grande per noi. Questo è il segreto della preghiera del cristiano. Lui può chiedere tutto, ma sopra ogni cosa deve lasciare alla sapienza divina di decidere qual è la cosa più santa e più giusta che realizzi il suo disegno di salvezza in Cristo Gesù Signore nostro.


La potenza che già opera in noi, è prima di tutto la sua grazia, ma è anche lo Spirito santo. È Lui la forza del credente in Cristo, la sua energia, il suo dinamismo, la sua mozione, ma anche la sua illuminazione e la sua preghiera.


Lo Spirito deve far sgorgare la nostra preghiera in accordo e in comunione con i pensieri e la volontà di Dio; poiché questo non sempre è possibile a motivo del nostro poco essere nello Spirito del Signore, è giusto che almeno si lasci a Dio di decidere il meglio per noi e secondo questa decisione agire nei nostri riguardi. Anche questa è via di santificazione.


Tuttavia dobbiamo in questo caso chiedere la grazia al Signore di accogliere sempre la sua volontà e secondo questa volontà partecipare al compimento del mistero di Cristo nel nostro cuore e nella nostra vita.


[21]a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen.


A Dio non si innalza solo una preghiera di richiesta; Dio non si implora soltanto perché ci venga in aiuto, anche se l’aiuto è il fine più nobile da dare alla nostra vita: realizzarla pienamente, in tutto, secondo il mistero di Cristo Gesù.


Lo si prega prima di tutto per glorificarlo e lo si glorifica riconoscendolo Signore, Creatore e Redentore della nostra vita; lo si glorifica attribuendo a Lui ogni opera, ogni azione, ogni pensiero di bene che viene elaborato dalla nostra mente. Tutto è da Dio.


Dio è il Signore. Dio è l’autore di ogni bene che si vive sulla terra. Dio è il redentore dell’uomo. Dio è il suo Salvatore. Tutto questo lo ha compiuto in Cristo Gesù, nel suo mistero di amore, che è anche mistero di amore crocifisso e risorto.


L’opera di Dio deve risplendere nella Chiesa e in Cristo; deve risplendere in tutta la sua luminosità.


Come Cristo, anche la Chiesa, che è il corpo di Cristo, è la gloria di Dio in mezzo a noi, perché è la sua opera di santità che deve generare santità nel mondo.


Dicendo Paolo che a Dio deve essere la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli, vuole intendere prima di tutto che c’è un solo mistero attraverso cui tutta la gloria del Padre si manifesta: questo mistero è Cristo, questo mistero è Cristo nel suo corpo.


Cristo e la Chiesa sono un unico mistero. Da quest’unico mistero, che è la gloria di Dio, perché è la sua opra, deve salire a Lui la gloria.


Può salire ad una sola condizione: che la Chiesa senta la responsabilità di essere un solo mistero in Cristo e lo realizzi alla stessa maniera di Cristo Gesù, facendosi obbediente a Dio fino alla morte e alla morte di croce in ognuno dei suoi figli.


La gloria che da Cristo sale al Padre è la sua obbedienza, il compimento della sua volontà. Così Cristo ha glorificato il Padre. La Chiesa glorifica il Padre alla stessa maniera di Cristo, se fa tutta la volontà del Padre, se offre se stessa in ognuno dei suoi membri come sacrificio e olocausto di salvezza e di redenzione per il mondo intero.


Altre vie perché dalla Chiesa si innalzi la gloria a Dio non se ne conoscono, non ci sono, perché non esistono. Inventarle sarebbe un lavorare invano e un consumare inutilmente le nostre energie spirituali.


Questa gloria non deve innalzarsi per un giorno, ma per tutti i giorni. Finché sole e luna brilleranno nel cielo la Chiesa dovrà essere lo strumento sulla terra per l’innalzamento a Dio di ogni gloria.


La Chiesa esiste per obbedire al Padre in una obbedienza in tutto simile a quella di Cristo Gesù.


L’amen sigilla la preghiera, donandole certezza, fermezza, solidità e stabilità. È come se la nostra preghiera, con l’amen, fosse resa invincibilmente forte e sicura.


L’amen è il sigillo, la firma della nostra fede, del nostro amore, di ogni nostra convinzione.


Chi dice l’amen deve avere nel cuore una sola certezza: è così. Basta. Ma anche: così avverrà, ne sono certo, sono convinto e lo credo per l’azione dello Spirito Santo dentro di me.


L’amen diviene così l’impegno della nostra vita a realizzare quanto è stato detto nella preghiera.




 


Credente
00venerdì 2 novembre 2018 11:45

PER OPERA DI GESÙ CRISTO


Paolo, prigioniero di Cristo. Paolo è prigioniero di Cristo per un duplice motivo: perché è nel carcere a causa del Vangelo che predica; ma anche perché egli a Cristo ha dato e consegnato interamente la sua vita. Chi è il prigioniero? Colui che non può disporre più della sua vita; essa è consegnata nelle mani di altri. Paolo non dispone più in niente della sua esistenza. Quanto è in lui: spirito, anima e corpo sono proprietà di Cristo Gesù. Cristo Gesù si è fatto prigioniero di Paolo, nel senso che si è messo pienamente, completamente nel cuore di Paolo, vive attraverso il cuore di Paolo; Paolo si è consegnato interamente a Cristo, egli vive tutto nel cuore di Cristo. È il cuore di Cristo la prigione di Paolo ed è il cuore di Paolo la prigione di Cristo. Cristo e Paolo sono una sola vita. Sono l’uno per l’altro.


Missione come ministero di grazia. La grazia ha i suoi destinatari. Ogni missione che l’apostolo di Gesù svolge, deve intenderla e viverla come ministero di grazia, di misericordia, di verità, di santità. L’apostolo del Signore deve essere sempre cosciente che in lui non può esistere alcuna autonomia né da Dio, né da Cristo, né dallo Spirito Santo, né dalla verità, né dalla grazia e neanche dalle modalità che furono di Cristo Gesù. L’apostolo di Gesù è apostolo di Gesù finché darà al mondo intero i doni che Dio gli ha consegnato di dare; se non dona ciò che Dio gli ha dato, ma autonomamente decide di dare altro, egli non è più apostolo di Gesù. Cosa è non si sa. Si sa che non è più apostolo del Maestro. Il suo legame con la volontà di Dio deve essere così forte, così radicato in lui, che non deve pensare neanche dove e a chi dare la grazia e la verità. La grazia ha già i suoi destinatari e questi destinatari è Dio a presentarli all’apostolo. Neanche in questo l’apostolo ha scelte in autonomia. L’apostolo è apostolo finché rimane un ascoltatore perenne di Dio, uno che è mosso costantemente dallo Spirito. Se si distacca dall’ascolto e dalla mozione dello Spirito, egli non è più apostolo di Cristo.


Per la Chiesa, nella Chiesa, con la Chiesa. L’apostolo del Signore, inoltre, dovrà sempre ricordarsi che lui non è solo, non è il solo. Egli è costituito parte di un tutto. Egli è Chiesa, lavora a servizio della Chiesa, svolge la sua missione nella Chiesa e con la Chiesa, vive il suo mandato come un membro del corpo di Cristo assieme agli altri membri che hanno altre mansioni da svolgere sempre a beneficio della salvezza del mondo intero. L’anima da salvare non è dell’apostolo, è di Dio e Dio può decidere che sia un altro a salvarla e lui deve lasciarla all’altro. Sarebbe anche questa autonomia da Dio scegliere le anime da salvare, mentre chi decide la nostra opera missionaria e apostolica non siamo noi, ma è sempre il Signore. È la Chiesa lo strumento di Cristo, è la Chiesa il suo corpo, è la Chiesa che ha il divino mandato di portare la salvezza al mondo intero, è sempre la Chiesa la sola a cui sono state affidate tutte le anime, di tutti gli uomini. Nella Chiesa però ognuno svolge il ministero che gli è stato affidato da Dio e così realizza la salvezza delle anime, ma nella Chiesa, per la Chiesa, con la Chiesa. La salvezza è un ministero ecclesiale, non personale. Se fosse personale, si potrebbe vivere anche fuori della Chiesa. Invece nulla deve avvenire fuori della Chiesa, perché nessuno da solo può salvare un’anima. Anche perché dopo ogni conversione l’anima si consegna alla Chiesa, perché sia dalla Chiesa nutrita, custodita, salvata, protetta, aiutata a progredire fino al raggiungimento della Patria nei cieli. È questa l’ecclesiologia che ci deve sempre sorreggere, altrimenti ci costituiamo strumenti di Dio in autonomia dagli altri e dalla Chiesa e la Chiesa non può più salvare attraverso noi che non ci sentiamo Chiesa, o che non affidiamo alla Chiesa le anime.


Mistero velato. Mistero svelato. Ogni ministero è per volontà di Dio. Paolo ministro del mistero di Cristo. Il mistero di Dio è tutto svelato in Cristo Gesù. Niente più Dio deve svelare del suo mistero. Questo mistero svelato rimane però velato per la stragrande maggioranza degli uomini e anche molti tra coloro che ne hanno sentito parlare, lo conoscono male e male lo vivono. Questa è la realtà di fede dell’uomo. Dio associa degli uomini alla missione del suo Figlio Gesù perché siano nel mondo coloro che svelano il mistero di Cristo, annunziandolo, insegnandolo, predicandolo, illuminandolo in ogni sua parte. Paolo di questo mistero di Cristo è un ministro eccellente. A questo mistero, al mistero di Cristo egli ha consegnato tutta la sua vita. Ogni suo respiro è per far conoscere Cristo al mondo intero. Ogni sua azione è per portare il Vangelo, lo svelamento del mistero ad ogni uomo. Per questo egli vive e per questo opera, si affatica, soffre: perché Cristo sia fatto conoscere ad ogni uomo.


Rompere ogni struttura religiosa che non si confà con il mistero. La Chiesa di Dio in ogni sua componente ha l’obbligo e la responsabilità di rompere con ogni struttura religiosa che non manifesta più il mistero nella sua verità più pura, oppure lo nasconde, o addirittura lo trasforma, cambiandolo nella sua stessa natura. Può la Chiesa operare in tal senso? Può intraprendere un cammino pastorale nuovo? Lo può ad una condizione: se i suoi figli, se coloro che sono chiamati a Dio a svelare al mondo il mistero di Cristo, come Paolo, si lasciano completamente imprigionare dal cuore di Cristo, fino a divenire un solo cuore, due cuori in uno, un solo cuore in due. Se con Cristo non c’è partecipazione viva al suo mistero, se il mistero di Cristo non diviene la nostra vita, come lo fu in Paolo, inutile sperare nella novità pastorale. Questa consisterà sempre in ripetizioni di strutture religiose e anche di fede, che nascondono la fede, anziché rivelarla in tutta la sua potenza di grazia e di verità. Oggi c’è tanta ignoranza del mistero di Cristo. Si accrescono le strutture religiose, ma queste altro non sono che il nascondimento del mistero di Cristo, di Dio e della Chiesa.


Tutto è per vocazione. Come Dio chiama? Si chiama per essere come Cristo: per dare la vita. Si è detto già che nella nostra fede non c’è alcuna autonomia da Dio, né prima né dopo. Tutto è da Dio, prima e dopo; tutto è con Dio, prima e dopo; tutto è per il Signore, per la sua gloria, prima e dopo. Essere salvati, essere nella Chiesa, essere corpo di Cristo, svolgere all’interno del corpo questa o quell’altra missione: è vocazione da parte di Dio. Se non è sua chiamata, se è per nostra volontà, è il fallimento. Non c’è Dio dove non c’è compimento della volontà di Dio. Le vie attraverso le quali Dio chiama sono misteriose, invisibili ad occhio umano, impensabili allo stesso uomo chiamato. Ogni uomo deve essere attento, molto attento, con l’orecchio proteso verso il cielo, pronto a rispondere ad ogni chiamata che viene dal Signore. Per questo gli occorre la capacità di ascoltare, di vedere, di percepire, di leggere e di interpretare i segni che Dio sparge sui suoi passi. Per questo urge una vita di santità, una disponibilità interiore ad ascoltare e ad accogliere la voce di Dio. Quando Dio chiama, chiama perché si diventi conformi a Cristo Gesù, nell’ascolto e nel dono della vita. Dio chiama perché gli venga consegnata la nostra vita per l’opera alla quale ci ha destinati. La volontà è di Dio, il campo è di Dio, l’opera è anche di Dio, tutto è di Dio. Di Dio è anche la scelta dell’opera che singolarmente dobbiamo svolgere nel suo campo. Niente deve essere vissuto in autonomia, o perché a noi una cosa sembra buona. La bontà di una cosa è Dio che deve deciderla, volerla, stabilirla, mai il chiamato. Il chiamato si deve consegnare interamente nelle mani di Dio, farsi suo prigioniero, come Paolo si è fatto prigioniero di Cristo per l’opera dell’evangelizzazione del mondo.


Per mezzo del Vangelo. Il Vangelo è la porta di tutto. La missione della Chiesa dare il Vangelo. La salvezza del mondo si compie per mezzo del dono del Vangelo. Si accoglie il Vangelo, lo si vive: questa è la vocazione dell’uomo; se questa è la vocazione dell’uomo, questa deve essere anche la missione della Chiesa. Come può un uomo essere salvato, se la Chiesa non gli dona il Vangelo da vivere? Oggi tutta la nostra pastorale è una sostituzione del Vangelo. Non si dona più il Vangelo, si donano parole di uomo, pensieri di uomo, decisioni di uomo, riflessioni di uomo, piani di uomini che non vivono il Vangelo. Se il Vangelo è la porta e la via della salvezza, come è possibile arrivare a tanta stoltezza da mettere da parte il Vangelo e pensare di operare salvezza in questo mondo? Se si è entrati in questa stoltezza, è perché anche noi siamo usciti dalla sapienza del Vangelo ed esce dalla sapienza del Vangelo chiunque non sceglie il Vangelo come sua ultima e prima via e porta della salvezza.


Vangelo, Spirito Santo, Chiesa. Dono di grazia: predicazione del Vangelo. Perché si dia il Vangelo, occorrono due soggetti, non uno; occorrono la Chiesa e lo Spirito Santo; occorre la Chiesa mossa, guidata, illuminata dallo Spirito Santo. Se la Chiesa, o il soggetto nella Chiesa, si distacca dallo Spirito, non c’è più dono del Vangelo, perché chi deve far comprendere il Vangelo alla Chiesa è lo Spirito Santo. È lo Spirito il perenne Maestro da ascoltare e chi è senza lo Spirito come fa a mettersi in ascolto delle sue spiegazioni sapienziali, dottrinali, di verità in verità verso la verità tutta intera del Vangelo? Nessun ascolto sarà possibile se non si cammina con lo Spirito nel cuore, nella mente, nei pensieri, nell’anima, nello stesso corpo, chiamato ad una santità sempre più grande. Chi è nel vizio non ascolta lo Spirito, chi non ascolta lo Spirito per sé non può ascoltarlo per gli altri.Il Vangelo è il primo dono di grazia che la Chiesa deve fare al mondo intero. Se non fa questo dono di grazia, che è la porta di ogni altro dono di Dio, ogni altro dono di Dio è ricevuto invano.


Quando la grazia opera efficacemente in noi e attraverso di noi? È grazia la consegna di altra grazia. La grazia opera efficacemente in noi quando trasforma la nostra mente, il nostro cuore, la nostra anima. La grazia agisce quando c’è vera conversione. Se non c’è vera conversione, cambiamento dei nostri pensieri, per pensare secondo il Vangelo di Cristo, la grazia non agisce secondo la sua soprannaturale potenza dentro di noi. Se non agisce in noi, non può agire neanche negli altri. La misura della grazia che agisce negli altri è data dalla grazia che opera in noi conversione, fede, carità, speranza, vera santificazione. Dare la grazia agli altri, la grazia della conversione e della fede, è un frutto della nostra grazia. Noi attingiamo la grazia in Cristo Gesù, la trasformiamo in grazia di santificazione e di fede al Vangelo in noi; questa grazia che trasforma la nostra natura, produce un altro frutto di grazia che aiuta l’uomo nel suo cammino verso Cristo, lo aiuta perché possa ascoltare secondo verità il Vangelo, al Vangelo aderire con semplicità di cuore, nel Vangelo fondare la propria esistenza impegnando ogni sua energia. Pertanto chi vuole dare la grazia della fede, della conversione, della santificazione al mondo, deve vivere di conversione, di fede, di santificazione, sviluppando tutta la potenza di rinnovamento e di cambiamento della grazia di Cristo in ordine alla propria vita.


Storia del mistero non ancora compiuto. Compiuto in Cristo. Non ancora compiuto nella Chiesa. Si è già detto che il mistero di Dio è Cristo Gesù. Cristo Gesù è però il mistero di Dio pienamente compiuto. In Lui vi è pienezza e definitività di compimento. Niente più del suo mistero Dio deve compiere in Cristo Gesù. Questo mistero non è però compiuto interamente nella Chiesa. La Chiesa ha un solo obbligo: compiere il mistero pienamente in ognuno dei suoi figli, attraverso ognuno dei suoi figli che compiono il mistero di Cristo, mettersi a disposizione degli altri figli che non lo compiono e del mondo intero, perché ognuno entri a far parte del mistero di Cristo e lo compia in ogni sua parte, in tutto. È questa la missione della Chiesa. Le altre non le sono state date. Se le svolge, le svolge autonomamente da Dio. Nell’autonomia non c’è compimento del mistero, non c’è vita secondo il mistero. Il mistero è prima di tutto e di ogni altra cosa obbedienza a Dio. Le tre fasi dell’attuazione del mistero: Cristo, Chiesa, singolo. In Cristo è perfettamente concluso. Nella Chiesa e nel singolo si deve compiere ogni giorno.


La teologia di Paolo. Descrizione di Cristo. Dipinto di Cristo. L’uomo pensato nel mistero di Cristo. Cristo è la risposta dell’uomo. Chi vuole conoscere, deve conoscere in Cristo.


Quando Paolo fa teologia, egli altro non fa che descrivere Cristo, dipingere Cristo, ritrarre Cristo. La teologia di Paolo è la raffigurazione quasi visibile del mistero che si è compiuto in Cristo Gesù. Anche l’antropologia di Paolo è un dipinto di Cristo. Per Paolo non c’è uomo se non in Cristo, non c’è uomo se non vive secondo Cristo, se non fa della vita di Cristo la sua vita, secondo la pienezza del suo mistero. Dio e l’uomo non possono essere conosciuti secondo verità se non in Cristo Gesù. Ma conoscere Cristo per Paolo non è avere una qualche scienza di Lui; conoscere Cristo ha un solo significato: immergersi nella sua morte e nella sua risurrezione, per viverle nella propria vita, morendo totalmente al peccato, risuscitando totalmente alla vita nuova secondo lo Spirito che ci è stato donato. Chi è nel peccato non conosce Cristo; chi non si libera dei vizi non conosce Cristo, non lo conosce perché Cristo è morto al peccato, è morto per togliere il peccato dal mondo. Chi non vive nella santità non conosce Cristo, perché Cristo è venuto per darci il suo Spirito di santità per trasformarci in uomini santi, uomini cioè che fanno solo la volontà del Padre. Conosce Cristo chi diviene una cosa sola con Lui, un solo mistero. A partire da Paolo sappiamo dunque cosa è la teologia: la comprensione sempre più vera del mistero di Cristo, e dal mistero di Cristo, la conoscenza sempre più vera, del mistero di Dio e dell’uomo. Ma il mistero ci è stato rivelato. La teologia è la comprensione del mistero rivelato, non di un mistero pensato dall’uomo, voluto dall’uomo, immaginato dall’uomo. Questa non è teologia. Il teologo deve possedere grande intelligenza e raffinata sapienza di tacere dinanzi al silenzio di Dio. Se lui parla dove Dio ha taciuto, egli si rivela semplicemente uno stolto. Teologia e mistero rivelato e compiuto in Cristo sono una cosa sola. Portare autonomia nella teologia dal mistero rivelato e compiuto in Cristo, anche questo è errore grande. Non si genera salvezza, né redenzione nei cuori nell’autonomia.


L’incarnazione è la conclusione della creazione (ascensione gloriosa al cielo). Possiamo affermare che la creazione si è conclusa con l’incarnazione del Verbo della vita. Il disegno di Dio ha avuto la sua perfezione. Tuttavia con l’incarnazione non si è concluso il cammino della creazione verso la sua pienezza ultima e definitiva, che avverrà con la risurrezione gloriosa dei corpi dei giusti e con la creazione dei cieli nuovi e della terra nuova.


La tentazione della Chiesa, la tentazione del singolo. La tentazione sia del singolo, che dell’intera Chiesa è la stessa che ha subito Cristo nel deserto: quella di uscire dalla volontà di Dio, dalla missione che Dio ha affidato loro, per fare altre cose, viste come più necessarie per l’uomo. Chi vuole sapere quali sono le tentazioni dalle quali sempre guardarsi, in ordine però alla missione da svolgere, è sufficiente che si legga il Vangelo e si veda ogni tentazione subita da Gesù: erano sempre un volerlo portare fuori dalla missione che il Padre gli aveva affidato. Cristo Gesù superava le tentazioni perché in continua crescita in grazia e in santità. Così deve essere per chi vuole nella Chiesa e per la Chiesa stessa superare le tentazioni: deve mettere ogni impegno a fare della santità la sua unica condizione di essere nel mondo. Se non avrà impegnato ogni energia nella crescita in grazia e in verità, non solo non avrà la forza per superare la tentazione, non avrà neanche la capacità di scorgerla. Cadrà in essa, pensando di fare una buona azione. Non salvano le buone azioni volute dall’uomo; chi salva è solo il compimento della volontà del Padre.


Il valore di una tribolazione. La tribolazione per gli altri. Nella sofferenza di Cristo per mezzo della sofferenza di Paolo. La tribolazione ha un duplice valore di salvezza: rende perfetto il nostro spirito, lo affina per il compimento della volontà di Dio; produce un frutto di grazia di conversione e di santificazione per il mondo intero. La tribolazione nella santità, poiché vissuta in intima unione con quella di Cristo, fa della nostra tribolazione la tribolazione di Cristo e della tribolazione di Cristo la nostra, una sola tribolazione, in un solo corpo santo, per la conversione e la santificazione del mondo intero. La tribolazione che salva è quella che nasce dal compimento della volontà di Dio; non salva il mondo quella tribolazione che è il frutto dei nostri peccati, dei nostri vizi, delle nostre stoltezze. Questa tribolazione serve però per la nostra purificazione, a condizione che lasciamo la via della stoltezza ed entriamo in quella della saggezza e della verità di Cristo Gesù.


Termine ultimo e soprannaturale della preghiera: il Padre. Tutti gli altri termini intermediari. Cristo ultimo e primo soprannaturale termine di ogni mediazione. Ogni preghiera che dal cuore del cristiano si innalza verso il cielo ha come suo termine ultimo il cuore di Dio. È lì il termine di ogni nostra invocazione. Tutti gli altri (angeli e santi) sono termini di mediazione, sono strumenti che devono portare la nostra preghiera nel cuore del Padre perché venga esaudita. Sono strumenti però che non portano solo la nostra preghiera, alla nostra preghiera aggiungono la loro grazia; rivestono la nostra preghiera con i loro meriti perché questa venga esaudita. Dio non vede noi dietro di loro, vede loro dietro la nostra preghiera. Loro presentano la nostra preghiera in nome loro, come la Madre di Gesù non presentò la richiesta del miracolo del vino in nome degli sposi, ma nel suo nome di Madre di Cristo. Questo è importante che si sappia, se si vuole dare alla preghiera quel giusto peso che la innalzi fino al trono di Dio con le garanzie per il suo esaudimento. Cristo Gesù nella mediazione ha un ruolo del tutto particolare: Egli è il termine ultimo di ogni altra mediazione: Angeli, Santi, la Madre di Dio, Gesù, il Padre. Questo è l’iter celeste della nostra preghiera. Inoltre Cristo Gesù ha un’altra sua specialissima particolarità: ogni preghiera che l’uomo innalza al cielo, egli l’avvolge nel mistero della sua morte e della sua risurrezione e così rivestita la porta personalmente al Padre, come sua personale preghiera. Sono gli Angeli e i Santi che chiedono alla Madre di Dio, è la Madre di Dio che chiede a Cristo, è Cristo che personalmente chiede al Padre, ma chiede presentando tutto con i segni del suo mistero di morte e di risurrezione. Il nostro compito, quando preghiamo, è quello di metterci in comunione di grazia e di santità con il Cielo, perché se siamo senza la grazia santificante, siamo esclusi dalla comunione e fuori della comunione non c’è alcun esaudimento di preghiera. Gli sposi e la Madre di Gesù erano in comunione di amore e di amicizia. Per loro Maria ha chiesto il miracolo al Figlio.


Innalzarsi nel mistero, non abbassare il mistero. C’è una tentazione che da sempre si abbatte sugli uomini di Chiesa, specie sui ministri della Parola. Essa spinge i predicatori del Vangelo o a ridurre tutto in una questione di morale, oppure a banalizzare il mistero, quasi a negarlo, in nome di una semplicità mortificante. Ora se Dio ha rivelato il mistero, vuole che il mistero venga annunziato, non altro; se Dio ci ha manifestato il suo disegno di salvezza in Cristo, è dal mistero di Cristo che ogni predicazione prende avvio. È giusto, santo, salutare innalzare l’uomo nel mistero di Cristo, aiutandolo perché lo comprenda, anziché abbassare il mistero e i contenuti di esso con una riduzione mortificante. La vita vera di ogni uomo è nel mistero di Cristo conosciuto, accolto, compreso, predicato, annunziato, realizzato nella propria vita. Molti errori di predicazione nascono proprio dall’abbassamento del mistero di Cristo, o dalla sua vanificazione nella predicazione. Una pastorale attenta ai problemi dell’uomo deve fare della conoscenza del mistero di Cristo il suo punto forte, il suo punto di partenza e di arrivo. Chi predica Cristo, salva l’uomo; chi non predica Cristo, in nessun caso potrà salvare l’uomo perché la salvezza dell’uomo è nel suo inserimento nel mistero di Cristo Gesù.


Ogni paternità per creazione, per generazione, per adozione, è solo da Dio. Tutto è da Dio, tutto discende su di noi per una sua particolare grazia che ci viene donata in Cristo, per Cristo, con Cristo. Anche la paternità di Dio, sia essa di creazione, di generazione, o di adozione ha la sua sorgente eterna in Dio Padre. Se tutto è da Dio Padre e tutto è per grazia di Dio, anche se storicamente ogni grazia di Dio si riversa sull’uomo attraverso Cristo, è anche in Dio che bisogna attingerla, a Dio bisogna chiederla, chiederla per noi e per gli altri. Questo però ci deve insegnare una grande verità di ordine teologico: se tutto è da Dio, niente è dalla terra; se tutto è dalla trascendenza, nulla è dall’immanenza. Bisogna allora che ci convinciamo con profonda convinzione di fede che non c’è figliolanza alcuna che non discenda da Dio, in Cristo, per lo Spirito Santo. Poiché la salvezza del mondo si compie e si realizza solo nella vita secondo la figliolanza (per noi è solo per creazione e per adozione), a Dio dobbiamo chiedere la grazia della santificazione di ogni figliolanza; e sempre a Dio dobbiamo fare ricorso se vogliamo che noi e gli altri possiamo sviluppare tutta la divina potenzialità che Dio ha racchiuso nella figliolanza data ad ogni uomo (per creazione), o a cui è invitato ogni uomo (adozione).


Un solo mistero d’amore Cristo e il cristiano. Il cristiano oggetto e soggetto della carità del Padre. Mente e cuore. Potentemente rafforzati nell’uomo interiore. C’è un’altra verità che sempre deve dimorare nella mente e nel cuore del cristiano. Non ci sono due amori che da Dio si riversano uno in Cristo e l’altro nel cristiano. C’è invece un solo amore: l’amore che Dio ha versato tutto nel suo Figlio Gesù, nello Spirito Santo, e che dal Figlio nello Spirito Santo viene donato tutto al Padre, anche attraverso la donazione totale dell’intera sua vita di vero uomo e non solo di perfetto Dio. Siamo chiamati, i cristiani, a lasciarci tutti inabitare da questo unico amore, in modo da riversarlo tutto in Cristo, nello Spirito Santo, perché Cristo, nello Spirito Santo, lo riversi in Dio; così anche dobbiamo riversarlo tutto in Cristo, perché sia Cristo, attraverso lo Spirito Santo, a riversarlo in ogni uomo bisognoso di salvezza e di redenzione. Quando il cristiano avrà compreso che l’amore con il quale egli deve amare Dio e i fratelli è l’amore di Cristo, egli capirà che non può amare secondo Dio, se non è inserito vitalmente in Cristo. Ora Dio ha rafforzato potentemente il cristiano nell’uomo interiore; è necessario però che l’uomo interiore potentemente rafforzato voglia farsi strumento dell’amore di Cristo e la via è una sola: consegnare la vita a Cristo, perché se ne serva esclusivamente per la salvezza del mondo. Questa consegna avviene quando ci si lascia interamente governare dalla sua Parola e nella preghiera si cerca la conoscenza della volontà attuale di Dio per viverla in ogni sua parte, anche a prezzo della nostra vita del corpo. Solo così è possibile che l’unico amore di Cristo viva interamente in noi e attraverso noi si riversi nel mondo, al fine di santificarlo. Su questo la pastorale tace. Neanche un pensiero, un’idea. È come se Cristo fosse inesistente quanto a mistero. Ci serve solo per qualche grazia; ma la grazia di Cristo non è il mistero di Cristo e non è il suo amore che noi dobbiamo realizzare in noi e nel mondo?


Quando la testimonianza è univoca? La dissonanza nella fede. Cosa è in verità la fede? Insieme, tutti per una testimonianza univoca. Cristo è uno, il suo mistero è uno, la sua redenzione una, la sua parola una. Se c’è una unità alla sorgente, se l’acqua è una alla sua origine, perché poi diviene molteplice quando raggiunge gli uomini? Se la verità è una, perché ci sono tante differenti comprensioni di Cristo Gesù? Perché c’è dissonanza e discordanza nella fede, se la fede è una, come una è la verità, una la grazia, uno è Cristo Signore? Il problema non è nell’uomo, il problema vero è nello Spirito Santo. È lo Spirito il solo che immette gli uomini nella conoscenza vera di Cristo Gesù. Quando lo Spirito Santo non abita nell’uomo, nel suo cuore e nella sua mente non abita più la verità. Abita l’idea di Cristo, ma non la verità di Cristo e non può abitare nessuna verità di Cristo, se non vi abita la sua santità, la sua grazia, la sua carità. L’unica fede, l’unica verità, l’unica comprensione vera del mistero di Cristo solo lo Spirito può darla, ma anche solo lo Spirito può farcela accogliere e viverla. Quanti sono senza lo Spirito non donano il mistero vero di Cristo, ma anche non possono accogliere il mistero vero. Rimangono con idee più o meno belle, più o meno a misura d’uomo; ma queste idee non potranno mai divenire la verità sul mistero di Cristo Gesù. La fede non è ciò che l’uomo pensa su di Dio. Questa è idea. La fede è l’accoglienza nel cuore della Parola di Cristo, che è una ed unica, compresa e vissuta alla luce dello Spirito Santo che abita in noi. Se vogliamo tutti offrire al mondo una testimonianza univoca, dobbiamo essere tutti ricolmi di Spirito Santo. Nello Spirito che parla a noi e agli altri, a noi per noi e per gli altri, agli altri per noi e per loro, comprendiamo l’unico linguaggio dello Spirito e non vediamo la parola degli altri differente, dissonante, diversa da quella che lo Spirito ha detto a noi, la vediamo solamente come un’aggiunta da fare a ciò che ha rivelato a noi, perché la sua rivelazione in noi sia perfetta, completa. La testimonianza deve essere come quella dei quattro Vangeli. Tutti contengono tutto il mistero di Cristo, ma ognuno mostra un aspetto particolare di questo mistero che deve essere letto e compreso alla luce degli altri aspetti. Tutto il mistero è in un solo Vangelo. Ogni aspetto del mistero dice tutto il mistero. Ma la completezza del mistero in ogni suo aspetto è solo nei quattro Vangeli. Non ci sono quattro Cristo, né quattro misteri, né quattro aspetti del mistero. C’è un solo mistero visto da quattro angolazioni differenti, ma che dicono tutte e quattro l’unico mistero. Così deve essere sempre per ogni presentazione, comprensione e annunzio del mistero di Cristo Gesù.


L’infinità dell’amore di Cristo. La vita cambia solo se formata e informata dall’amore di Cristo Gesù. L’amore di Cristo è il suo mistero. Mistero di Cristo e amore eterno e incarnato, crocifisso e risorto, per la salvezza dell’umanità sono una sola cosa. Questo amore di Cristo è infinito, da solo può abbracciare l’estensione di tutta la storia e salvare ogni uomo. Dio però ha associato l’amore di Cristo all’amore del cristiano e vuole che sia l’infinito amore di Cristo nel cristiano a redimere e a salvare il mondo. Quando veramente il cristiano è inserito nell’amore di Cristo? Quando quest’amore riesce a trasformare la sua vita. Una vita che non si trasforma è segno che in essa non vive l’amore di Cristo. Spinto dall’amore di Cristo tutto è capace di fare per Cristo il cristiano; tutto è capace di lasciare pur di guadagnare Cristo e il suo amore sempre più grande. L’amore di Cristo ha la stessa forza che ha avuto in Cristo l’amore del Padre. Per amore del Padre Cristo Gesù si lasciò innalzare sull’albero della croce; per amore di Cristo, spinto dal suo amore, che abita potentemente in lui, anche il cristiano è disposto a lasciarsi crocifiggere. È questa libertà che crea l’amore, libertà dalla nostra vita, dal mondo, dalle cose, dalle situazioni, dagli avvenimenti, dagli onori, dalle cariche, da ogni altra cosa che non sia la sola esclusiva volontà di Dio. Una pastorale che non insegna l’amore di Cristo, che non inserisce nell’amore di Cristo, è una pastorale fallita già in partenza, perché è una pastorale impotente, incapace, infruttuosa, inoperosa, vana. L’uomo è chiamato a dare tutta intera la sua vita per rimanere ancorato nel mistero dell’amore di Cristo Gesù.


La pienezza di Dio è l’amore di Cristo. Vuoto del mondo e pienezza di Cristo. Tutto è nell’amore di Cristo, tutto riceve significato da questo amore, tutto si riveste di forza, di perseveranza, di santità, di verità, di grazia, di fortezza. Ogni dono spirituale attinge la forza nell’amore di Cristo. Senza l’amore di Cristo in noi tutto è vuoto, vuoto assoluto. È vuota l’anima, è vuoto il corpo, è vuoto lo spirito. Senza l’amore di Cristo è vuota la Chiesa, sono vuote le comunità e ogni altra realtà. L’amore di Cristo riempie di verità ogni cosa, perché l’amore di Cristo è la verità assoluta nella nostra storia. Chi vuole portare novità nel mondo, deve farlo attingendola nell’amore di Cristo, perché l’amore di Cristo è la sola novità di cui ha bisogno il mondo. Ogni altro amore umano senza l’amore di Cristo è vuoto, inutile, vano, inefficace, inconsistente. Oggi ci chiediamo il perché di tante situazioni di divisione, di separazione, di rottura, di incomprensione, di inimicizia, di ogni altra distanza di peccato che viene a crearsi tra gli uomini. La causa è una sola: la totale mancanza dell’amore di Cristo che guida i passi dell’uomo. C’è il nulla assoluto, il vuoto totale dove non si attinge costantemente all’amore di Cristo Gesù. L’amore di Cristo è tutto per l’uomo. È questo il segreto dei santi, dei martiri, dei testimoni della fede, di ogni uomo impegnato per la salvezza del mondo. Solo chi è ricolmo dell’amore di Cristo può iniziare a portare amore in questo mondo; gli altri non lo possono, perché ne sono completamente privi. Anche in questo la pastorale dovrebbe riflettere molto, specie quando essa è fatta di ritualità, di formule, di fiori e di incensi, di processioni e di altre mille devozioni popolari, ma tutte prive e vuote dell’amore crocifisso di Gesù Signore. Un prete non dovrebbe spendere neanche un minuto della sua missione dove si respinge l’amore di Cristo, oppure dove esso è fortemente ignorato volutamente, perché si vuole altro. Altro non appartiene al prete, perché il prete ha una sola vocazione da compiere: ricolmare e riempire il mondo intero con l’amore attinto in Cristo Gesù e fatto fruttificare sul suo personale albero della croce.


Per dono dello Spirito Santo. Chiedere per divenire parte del mistero, compimento di esso. Un unico mistero: Cristo e la Chiesa. Cristo e la Chiesa sono stati costituti da Dio un solo mistero di salvezza. Sono un unico mistero di amore. In questo mistero si entra per opera dello Spirito Santo in seguito alla predicazione del mistero di Cristo, operato dalla Chiesa; ma anche si rimane in esso per opera dello Spirito Santo, in seguito alla vita del cristiano vissuta conformemente al mistero di Cristo Gesù. Entrare nel mistero e compierlo è opera dello Spirito, non senza però l’opera dell’uomo, o meglio l’opera della Chiesa, prima, e poi, dello stesso cristiano sempre in comunione con la Chiesa prima e dopo. Lo Spirito è sempre pronto, è sempre in attesa di poterci inserire in Cristo e di trasformarci nel suo mistero. Chi manca è la Chiesa, oppure il cristiano. Manca la Chiesa se non annunzia il Vangelo, se tace la divina Parola, se la trasforma o l’annulla; manca il cristiano se non si lascia trasformare in mistero attraverso la partecipazione della sua volontà che si fa impegno concreto e preghiera perseverante perché lo Spirito ci trasformi nel mistero di Gesù Signore.


L’infinito è la misura che ci separa da Dio. Il meglio dell’uomo, il meglio di Dio. Quando noi pensiamo, pensiamo sempre secondo la misura della nostra mente, limitata, non vedente, cieca, inquinata da molti pensieri di peccato. Abbiamo un pensiero molto finito, molto corto, assai poco profondo, sovente pensiamo alla stessa maniera in cui vedono i nostri occhi: solo quello che è a portata di mano e spesso neanche questo pensiero riusciamo a fare, perché accecati dai nostri peccati, chiusi nel nostro egoismo, invischiati nella melma dei nostri innumerevoli vizi. L’infinito è la misura che separa la nostra mente da Dio. Come cogliere l’infinito e secondo l’infinito di Dio pensare ed agire. Come convincerci che il meglio dell’uomo non è mai il meglio di Dio e che tra il meglio che l’uomo pensa tale e quello che Dio vuole c’è lo stesso abisso che separa il cielo e la terra, l’oriente dall’occidente? La risposta non può essere che una sola: liberare la mente dal male, dal peccato, dal vizio, poiché sono questi gli agenti inquinanti che allontanano lo Spirito Santo dal farlo abitare in essa. Chi vuole vedere, pensare, agire secondo Dio deve ricolmare la sua mente dello Spirito di Dio e lo Spirito è Spirito di verità e di santità. Non può lo Spirito abitare in noi se noi rifiutiamo la sua verità, non vogliamo impegnarci per realizzare la sua santità. Lo Spirito è la nostra vista, la nostra parola, il nostro discorso, la nostra mente, il nostro tutto. Tutto deve essere Lui di noi. Se non è tutto, non è niente; se Lui è niente in noi, noi siamo niente in Dio e niente nel mondo. È questo il fallimento della pastorale che non vuole impostarsi sulla grazia e sulla verità; è anche il fallimento di quella pastorale che prende il pensiero dell’uomo come metro per giudicare la volontà di Dio. Di queste cose ne facciamo molte, tante quante bastano per lasciare il mondo e noi stessi nei nostri peccati, ma in una struttura di fede, anch’essa rovinata, che ha proprio come fine quella di togliere il peccato.


L’amen il sigillo della volontà, con la vita. L’amen di Cristo al Padre è il sigillo dei chiodi con i quali si è lasciato inchiodare sull’albero della croce. Questo è il suo vero, perfetto amen, amen di tutta una vita sigillata con altri molteplici amen, ma tutti conducenti a questo amen finale: l’amen del dono totale della propria vita al Padre per la redenzione e la salvezza dell’umanità. Il cristiano che dice amen nella liturgia, deve sapere che con esso impegna tutta intera la sua vita, la crocifigge sull’albero della volontà di Dio, la crocifigge realmente e non solo spiritualmente. Anche in questo la pastorale è chiamata a cambiare; anche la liturgia deve divenire insegnamento a come abbracciare la croce, a come lasciarci crocifiggere su di essa. Ma né l’una e né l’altra hanno l’amen come crocifissione; l’una e l’altra ce l’hanno semplicemente come una risposta, un sigillo liturgico. È loro compito, loro specifico mandato, far sì che ogni amen liturgico si trasformi in un amen di vita e ogni sigillo di preghiera divenga un sigillo di vita, con la vita, offerta al Signore per il compimento della sua volontà.


Credente
00venerdì 2 novembre 2018 18:21
CAPITOLO 4

APPELLO ALL’UNITÀ



[1]Vi esorto dunque io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto,

Ogni verità ha il suo corrispettivo nell’azione. Se siamo stati costituiti parte del mistero di Cristo Gesù – è questa la nostra verità – ne consegue che dobbiamo realizzare in noi questo mistero e dobbiamo realizzarlo in ogni sua parte e ogni giorno della nostra vita.

Paolo ha esposto la verità; ha pregato perché entrassimo, per rivelazione, con la mente e con il cuore in questa verità. Ora c’è la parte che spetta direttamente a noi. Qui nessuno può più niente; chi può, è solo la nostra volontà. Questa deve essere consegnata a Dio, perché sia il suo Santo Spirito a muoverla per il compimento del mistero che Dio ha preparato per noi fin dall’eternità, che Cristo Gesù ha realizzato con la sua morte e la sua risurrezione e che lo Spirito del Signore ha creato in noi, rigenerandoci e facendoci un solo corpo in Cristo.

Gli Efesini sanno cosa il Signore ha fatto di loro. Ogni giorno devono pregare perché il mistero sia rivelato al loro spirito in maniera sempre più piena e questo perché possano realizzarlo in ogni sua parte e secondo tutta la potenza d’amore in esso racchiuso.

Prima Paolo si è rivolto a Dio, lo ha invocato per gli Efesini. Ora si rivolge agli Efesini e ricorda quali sono i loro compiti, il loro dovere, la responsabilità che incombe sulla loro vita.

L’esortazione è una parola d’amore che sgorga dal cuore ed è la parola più alta di bene che si possa volere per qualcuno.

L’esortazione nasce solo da un cuore che ama, che vuole il bene, che desidera la realizzazione dell’altro nella verità, nella santità, in una parola, nella volontà di Dio. Con l’esortazione si vuole per l’altro il compimento della volontà del Signore.

La volontà del Signore è però nella volontà e nell’impegno dell’uomo, anche se volontà e impegno umani possono essere vissuti secondo verità solo con l’aiuto e il conforto dello Spirito Santo.

Ma devono essere dati allo Spirito, altrimenti Lui non può intervenire. Non può lo Spirito di Dio muovere un cuore che ha deciso di essere irremovibile, né può condurre e introdurre nel mistero di Cristo Gesù una vita che è determinata a starsene fuori per sempre.

Qui il mistero della volontà di Dio viene a scontrarsi con il mistero della volontà dell’uomo che oppone un netto rifiuto allo Spirito Santo, senza che questi possa fare qualcosa per renderla docile alla sua mozione e alla sua ispirazione. Il mistero delle due volontà è il più difficile, il più arduo da comprendere. Una cosa è certa: l’inferno è la manifestazione più alta della libertà della volontà dell’uomo di decidersi per il bene o per il male, per il paradiso o per l’inferno.

Su Paolo prigioniero del Signore si è già detto tutto quanto era da dire all’inizio del capitolo precedente. Poiché altri elementi nuovi non esistono, è opportuno passare avanti, per trattare altre verità e altri argomenti.

A che cosa esorta Paolo: a comportarsi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto.

Qual è questa vocazione ricevuta? È la loro chiamata a formare un solo corpo in Cristo Gesù, quindi una sola vita, una sola santità, un solo mistero di morte e di risurrezione e una sola obbedienza al Padre nostro celeste.

Comportarsi in maniera degna significa far trasparire la santità di Cristo in ogni nostro pensiero, parola, opera, azione, comportamento, desiderio, relazione.

Tutto ciò che è nell’uomo: mente, cuore, anima, sentimenti, relazioni, opere, gesti, comportamenti, sensazioni, tutto, ma proprio tutto, deve far trasparire la santità di Cristo che è nel suo corpo.

Tutto deve divenire una traduzione in vita della volontà di Dio, che ci comanda di amare allo stesso modo in cui ha amato Cristo, facendosi olocausto e vittima sacrificale sul legno della croce.

[2]con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore,

Paolo vuole che il cristiano non decida lui da solo qual è la maniera degna di comportarsi. Ne detta le regole essenziali.

Chi pertanto vuole comportarsi in maniera degna della vocazione ricevuta deve agire:

Con ogni umiltà: il cristiano deve vedere se stesso e gli altri nella volontà di Dio. Deve accogliere la volontà di Dio su di lui, deve rispettare la volontà di Dio su gli altri, anzi egli deve compiere la volontà di Dio su di lui come servizio ai fratelli, come aiuto prestato perché anche loro possono fare ciò che Dio comanda.

L’umiltà è di fondamentale importanza nell’esercizio della propria vocazione. Con essa tutta la nostra persona è a servizio della volontà di Dio e quindi a servizio della vocazione. Sappiamo cosa il Signore ci chiede e diamo tutto il nostro sì perché ciò che è volontà sua su di noi si compia.

L’umiltà è la virtù della creatura dinanzi al suo Creatore, Signore e Dio. Con essa ci si vede totalmente dipendenti dalla sua volontà e dalla sua grazia, si accoglie la volontà e la grazia, per poter rispondere alla vocazione che Lui ha stabilito per noi fin dall’eternità.

Mansuetudine: la mansuetudine è quella serenità interiore che ci fa vivere di sola misericordia verso i nostri fratelli.

La mansuetudine è docilità allo Spirito Santo, alla sua mozione, ad ogni suo desiderio. In tutto ci si consegna e ci si abbandona allo Spirito di Dio e ogni cosa viene fatta senza aprire bocca.

La mansuetudine è anche rispetto e silenzio dinanzi a Dio al quale si obbedisce con la gioia nel cuore, sapendo che tutto quanto avviene su di noi e attorno a noi, ha un solo fine: la nostra santificazione.

La mansuetudine è virtù che ci fa conservare sempre la padronanza di noi stessi e ci fa evitare anche la più piccola ribellione interiore, e non solo esteriore.

E pazienza: La pazienza è la forza che viene dallo Spirito di Dio, come d’altronde ogni altra virtù, con la quale assumiamo la storia e la portiamo sulle nostre spalle.

Noi sappiamo che la storia si cambia solo per conversione e per fede la Vangelo. Sappiamo che essa non può modificarsi se non attraverso il nostro sacrificio, l’offerta della nostra vita a Dio, in tutto come ha fatto Cristo Gesù.

Per questo la prendiamo sulle nostre spalle, così come essa è, per redimerla, santificarla, condurla nella giustizia, ma consegnando noi stessi alla volontà di Dio, esponendo la nostra vita anche alla morte, perché sappiamo che solo nel sacrificio della nostra vita per amore a Dio e ai fratelli, sarà possibile cambiare la storia per conversione e per fede al Vangelo.

La pazienza è il peso della croce che mettiamo sulle nostre spalle per la salvezza del mondo, per la conversione dei cuori, per il ritorno nella giustizia di ogni uomo. La croce, per essere di salvezza, deve essere portata con amore, senza ribellarsi, senza mai stancarsi, ogni giorno cominciando da capo. Tutto questo è la pazienza.

Sopportandovi a vicenda con amore: il cristiano vive nel corpo di Cristo, vive nella comunità degli uomini. Vive da imperfetto, in mezzo a molte imperfezioni.

Per poter vivere insieme bisogna accettarsi nelle imperfezioni. Non si accettano le imperfezioni, né le nostre, né quelle dei fratelli.

Si accetta il fratello che è imperfetto al pari di noi e con lui si cammina eliminando ogni giorno le imperfezioni, in modo da raggiungere la più grande santità.

Accettarci da imperfetti non è la stessa cosa che accettare le imperfezioni. L’altro si accetta, si accoglie perché parte di noi. Le imperfezioni devono essere abolite, perché rallentano, o impediscono che si possa compiere il cammino verso il regno di Dio, ostacolano a che si possa conformare la nostra vita a quella di Cristo Signore.

Per questo è giusto che ci si aiuti vicendevolmente, mentre ci si sopporta da imperfetti, ad eliminare ciò che ci rende dissimili da Cristo Gesù.

[3]cercando di conservare l'unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.

L’unità che Paolo chiede agli Efesini è soprattutto e prima di tutto l’unità dei sentimenti.

Paolo vuole che i cristiani abbiamo tutti gli stessi sentimenti e quali sono questi sentimenti: quelli di Cristo Gesù.

Vuole che essi abbiano un solo modo di pensare e qual è questo modo? Quello di Dio, manifestato in Cristo Gesù e che viene reso presente al nostro spirito per mezzo dello Spirito Santo.

Pace e unità, per Paolo, camminano insieme. La pace è la ricerca dell’armonia e della comunione all’interno della comunità.

La pace è possibile se non è il pensiero dell’uomo quello che regna in seno alla comunità, ma il pensiero di Dio.

Il pensiero di Dio è uno. Uniformandoci tutti al pensiero di Dio, regna la pace. Se invece si persegue il pensiero dell’uomo, nasce il dissidio, perché ognuno ha i suoi pensieri. Sui pensieri degli uomini non si può trovare l’unità, perché sono assai contrastanti gli uni dagli altri.

Nessun uomo è disposto ad abbandonare i propri pensieri per accogliere i pensieri di un altro. E poi dovremmo tutti abbandonare i propri pensieri umani, per accogliere il pensiero umano di uno solo.

Questo è veramente impossibile, anche perché ci sono nell’uomo sempre quei rigurgiti di superbia che lo spingono a mettersi in contrapposizione e in alternativa agli altri.

Invece accogliendo solo il pensiero di Dio, che è uno, tutti abbiamo l’unico punto di riferimento, che è fuori di noi, che è il solo vero, santo e giusto, che è quello che porta salvezza, giustificazione e redenzione, e la pace veramente scende in seno alla comunità.

Poiché il pensiero di Dio è il pensiero di Cristo e il pensiero di Cristo è stato manifestato nel suo Santo Vangelo, in ogni comunità cristiana siamo tutti chiamati a fare del Vangelo l’unico punto di riferimento per tutti, indistintamente.

A questo ci dobbiamo educare, formare, istruire. A questo ci dobbiamo prima ancora convincerci.

La Chiesa di oggi e di domani potrà trovare la sua forza di unità solo nel Vangelo. Solo il Vangelo, compreso e vissuto sotto la mozione e l’illuminazione dello Spirito Santo, potrà essere il punto d’incontro per tutti coloro che si professano cristiani.

Ma ritornare al Vangelo richiede un impegno di conversione forte; soprattutto richiede una volontà decisa e determinata a convertire anche le nostre tradizioni, anche quelle più sante, al Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo.

La via della pace, dell’unità, dell’armonia, della comunione in seno alla comunità di quanti si professano cristiani non può avvenire se non partendo da questa unità dello spirito, che può avvenire solo se si prende il Vangelo come unica norma, una regola, unico pensiero sul quale ogni altro pensiero dovrà conformarsi, uniformarsi, annullarsi, estinguersi, morire.

Non c’è altro futuro per la Chiesa se non questo. Non c’è altra speranza se non nel Vangelo.

Ma oggi il Vangelo è dimenticato. Non si ricorda più. Non si annunzia più. Ciò significa che ogni cristiano si è fatto legge a se stesso, cammina per se stesso; si è fatto verità a se stesso e si propone come verità al mondo intero.

Ma la nostra verità è Cristo. Il cristiano che si fa verità a se stesso, è senza conversione e senza fede al Vangelo. È questa la situazione di molti cristiani.

Questa situazione non promette nulla di bene. Siamo senza futuro di pace; siamo senza alcuna possibilità di poter creare unità nell’unità dello spirito.

[4]Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione;

Perché dobbiamo conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace? Perché nel battesimo è avvenuto di noi qualcosa di divinamente grande.

In Cristo siamo stati fatti un solo corpo e un solo spirito, una sola realtà con un solo pensiero, una sola mente, una sola volontà: quella di Dio sopra ciascuno di noi.

Noi non siamo più corpi, siamo un solo corpo: quello di Cristo Gesù. Nel corpo di Cristo regna un solo spirito: quello di Cristo Gesù. È il suo pensiero quello che deve muoverci.

Qual è il suo pensiero? Quello del Padre. Ciò che il Padre pensa, Cristo pensa. Ciò che il Padre vuole, Cristo vuole.

Nel corpo non possono più regnare pensieri diversi, differenti, difformi, contrastanti, alternativi. Perché il corpo di Cristo è uno e in questo corpo è sempre regnato un solo pensiero: quello del Padre. Il corpo è uno, questo corpo è stato governato da una sola volontà: quella del Padre che Cristo Gesù ha fatto interamente sua.

Il corpo è uno, questo corpo ha una sola vocazione: immolarsi, consumarsi, lasciarsi crocifiggere per la conversione dei cuori, la salvezza delle anime, il ritorno a Dio di ogni uomo.

C’è una sola vocazione e anche una sola speranza. Qual è la speranza del cristiano? Quella di entrare con Cristo nella gloria del cielo con il suo corpo risorto e avvolto dalla gloria del Padre.

Ma qual è la via per ottenere tutto questo? Una sola: lasciarsi crocifiggere con Cristo, per compiere la glorificazione del Padre; morire per donare la vita al Padre per la salvezza del mondo.

Se il corpo è uno, il pensiero è uno, la vocazione è una, la speranza è una, la modalità è una, uno deve essere anche il cammino, una la via: il Vangelo, la Parola di Dio, che ognuno dei cristiani si impegna ad osservare in ogni sua parte, comprendendola però nello Spirito che è stato dato alla Chiesa, vivendola insieme agli altri e con gli altri.

Se tutto è dal Vangelo, tutto nel Vangelo, tutto per il Vangelo, perché il Vangelo è Cristo, il Vangelo è il Padre, diviene obbligatorio iniziare proprio dal Vangelo e nel Vangelo ricondurre la nostra vita.

Il Vangelo deve essere la legge per il discernimento e l’ermeneutica di ogni realtà sia nella Chiesa che fuori. Il Vangelo deve essere la luce che illumina ogni nostra decisione, ogni nostro pensiero, ogni nostra volontà.

Il Vangelo deve essere l’unica Parola che la Chiesa deve proferire. Al di là del Vangelo non ci sono altre parole che meritano di essere dette dalla Chiesa.

Come di Cristo non si conoscono altre Parole se non quelle contenute nel Vangelo, come di Cristo non ci sono Parole di Vangelo e parole profane, di non Vangelo, così deve essere per ogni cristiano.

Il cristiano non può avere due parole: una di verità e l’altra di menzogna, una di salvezza e l’altra di perdizione, una sacra e l’altra profana, una di serietà e l’altro di scherzo.

Una deve essere la Parola nel cristiano, come una è la Parola di Cristo, la Parola del Padre.

[5]un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo.

Perché la nostra Parola deve essere una? Perché uno è il Signore. Noi non abbiamo più Signori, né nel cielo, né sulla terra.

Se il Signore è uno, una è anche la volontà, uno è anche il pensiero, una è anche la Parola.

Una è anche la comprensione della Parola dell’unico Signore. È qual è quest’unica comprensione della Parola dell’unico Signore? La croce di Cristo Gesù. La croce è l’interpretazione unica di quest’unica Parola ed è interpretazione che sfida i secoli e la storia; è l’unica interpretazione che va al di là del tempo, poiché viene dall’eternità e nell’eternità consuma la sua storia, senza per questo potersi esaurire, o cambiare di significato.

Se la croce è l’unica vera interpretazione della Parola di Dio, l’unica ermeneutica possibile, l’unica vera teologia, il cristiano crocifisso è il libro di testo perché il mondo studi Cristo.

Il mondo apre questo libro, che è il cristiano crocifisso, lo legge, lo studia, lo approfondisce e se vuole, con l’aiuto e la forza dello Spirito Santo, può anche lui scegliere di aderire a quest’unica Parola, con quest’unica interpretazione, e divenire anche lui libro di studio per tutti coloro che vengono a contatto con lui.

Alla sola Parola del solo Signore con l’unica interpretazione si può rispondere in un solo modo: con la fede, che è una ed unica.

Quando Paolo dice che una sola è la fede, non vuole parlare della “fides qua”, che è quella fede personale, la personale risposta alla Parola, che deve crescere e nella crescita o decrescita si differenzia dalla fede degli altri.

Potremmo avere in uno una fede grandissima e nell’altro una fede morta. In questo caso la fede è diversa, perché diversa è l’intensità con la quale si aderisce alla Parola.

La fede è una sola, perché uno solo è il Pensiero di Dio, Cristo Gesù Signore nostro e una sola è la Verità del Padre, Cristo Gesù Signore nostro.

Ora, se una è la Parola, uno è il Pensiero, uno è Cristo, la nostra adesione deve essere necessariamente una. Non possiamo aderire ad altro se non all’unico Cristo e all’unica Parola, nell’unico Vangelo della salvezza.

Questo significa che quando ci sono differenti confessioni nella fede, si è cambiato soggetto e oggetto della fede.

Se si va a scoprire cosa si crede, ci si accorge che l’oggetto della fede è diverso e per questo è anche diversa la confessione che si fa.

Mentre una deve essere sempre la fede e una sola. Chi cambia la fede, cioè l’oggetto, non è più nella vera fede. Non è semplicemente nella fede.

O la fede è una e rimane una, o non è più fede. Sono senza fede tutti coloro che hanno cambiato l’oggetto della loro fede.

Così anche dicasi per il battesimo. Il battesimo è uno perché uno è il frutto del battesimo: la nostra incorporazione a Cristo Gesù.

Tralasciamo tutti gli effetti che il battesimo produce, perché sono contenuti, anche se non espressi, nella nostra incorporazione a Cristo, nel nostro essere costituiti un solo corpo in Cristo, per Cristo e con Cristo.

Se il battesimo fa tutti un solo corpo, un solo spirito, come è possibile che nel solo corpo dimorino e si esprimano più spiriti, più pensieri, più verità, più parole, più interpretazioni dell’unica Parola di Dio?

Un solo battesimo che produce un solo frutto: la nostra crocifissione in Cristo per la redenzione e la salvezza del mondo. Chi diviene un solo corpo in Cristo si è già consegnato alla crocifissione per la redenzione del mondo; di lui il Padre ha fatto già un’offerta e un olocausto di salvezza. Dinanzi a questa verità, il resto non ha più senso, perde di significato, scompare.

Si può essere in dissidio nel corpo di Cristo per cose di questo mondo, di questa terra, dal momento che noi abbiamo già crocifisso il mondo e la terra nel nostro corpo per la santificazione del mondo e della terra?

Se siamo in dissidio, in contrasto, è perché non viviamo ciò che siamo, non siamo ciò che Cristo ha fatto di noi in Lui. Il modo come professiamo la nostra fede attesta il nostro rapporto con Cristo, se è vero, oppure è semplicemente falso. La non unità dei cristiani attesta che loro con Cristo hanno un rapporto falso. Hanno una interpretazione falsa di Cristo, una teologia falsa di Cristo, un’ermeneutica falsa del suo mistero (Falsa = o non vera, o parziale, o del tutto umana).

La divisione nasce sulla falsità; l’unità nasce sulla verità. Non sulla verità degli uomini, bensì sulla verità di Dio.

[6]Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti.

Al di là di tutto questo, che è a fondamento dell’obbligo e della necessità di costruire e di edificare la comunità dei credenti in Cristo, c’è un’altra verità sempre di ordine soprannaturale che deve togliere ogni dubbio, pulire la mente da ogni errore, sgombrare il cuore da ogni residuo di falsità.

Paolo ha detto che c’è un solo Signore. Il solo Signore è Cristo. Sopra di Cristo c’è il Padre.

Dio è uno solo ed è il solo Padre di tutti. Qui la paternità non può essere interpretata come paternità adottiva in Cristo, perché questo tipo di paternità è solo per i battezzati.

Si tratta invece di una paternità morale, di creazione, non di generazione. La paternità per generazione sacramentale è solo per i cristiani, cioè per quelli che sono nati da acqua e da Spirito Santo.

Per tutti gli altri Dio è anche Padre, ma in senso morale, nel senso cioè che tutti provengono da Lui, anche se per sola creazione e non per generazione.

Proveniamo tutti da un solo Dio, questo Dio è il nostro unico Creatore, il solo Redentore, il solo Salvatore di tutti.

Questo unico Dio che è Padre di tutti, è anche al di sopra di tutti. Ciò significa che ogni altro uomo è sotto di Lui, è chiamato all’obbedienza a Lui, è chiamato alla fede nella sua Parola che avviene attraverso la conversione e l’adesione a Cristo Gesù.

Se tutti siamo sotto di Lui, tutti siamo obbedienti a Lui. Se ognuno è nella sua obbedienza, allora ciò che uno fa, lo fa per comando di Dio, per sua volontà.

La volontà di Dio è la nostra vita, perché la nostra vocazione è quella di compiere la volontà di Dio.

Non solo dobbiamo compiere personalmente la volontà di Dio, dobbiamo essere di esempio e di sprone agli altri perché la compiano, la osservino e qual è la volontà di Dio su di noi, se non quella di essere in tutto conformi all’immagine di Cristo Gesù Crocifisso?

Quando c’è disaccordo, non c’è neanche volontà di Dio; se non c’è compimento della volontà di Dio, non c’è neanche vocazione, non c’è fede, non c’è verità in noi.

Paolo ci dice in questo versetto un’altra verità. Tutto ciò che si fa di bene, di santo, di giusto, di vero è opera di Dio dentro di noi.

È Lui che agisce per mezzo di noi. La nostra azione è il frutto della sua grazia, della sua ispirazione, della sua mozione.

Può uno che è mosso da Dio agire contro la mozione di Dio nei fratelli? Se lo fa non è certamente mosso da Dio, ma dalla sua concupiscenza, dalla sua superbia, dalla sua non fede, non verità, non amore, non giustizia.

Costui è mosso dal peccato che abita in lui, ma non certamente da Dio.

Infine Paolo ci invita a riconoscere la presenza di Dio in ogni altro uomo. L’altro uomo è degno di essere amato, servito, ascoltato, sopportato, aiutato, confortato, sollevato, perché in lui è presente Dio.

È presente perché fatto ad immagine e a somiglianza di Dio. È anche presente con il suo soffio vitale, perché se Dio non fosse presente nell’uomo, questi sarebbe senza vita, sarebbe nella morte.

C’è una presenza viva di Dio in ogni uomo, oltre che presenza di grazia, con la quale lo attira a sé.

Anche se dobbiamo dire che la presenza di Dio non è percepita a causa del nostro peccato che oppone resistenza a Dio, contrasto e rifiuto, a volte anche assoluto.

Questo però mai deve avvenire in coloro che sono stati fatti una cosa sola in Cristo Gesù. Se questo avviene è veramente la morte alla grazia e alla verità, morte alla conversione e alla fede, morte anche allo Spirito che non può più agire in noi e attraverso di noi.

Quando in una comunità sorgono divisioni, o non c’è unità, allora è giusto che ci si esamini sulla fede, perché sicuramente è la fede che è in crisi e se è in crisi la fede anche l’amore e la speranza sono in crisi, tutto è in crisi.

Lavorare sull’amore, o sulla speranza, quando è in crisi la fede, è perdere semplicemente tempo.

Quando Cristo è venuto in mezzo a noi ha iniziato propria dalla fede, dal ristabilire la vera fede nei cuori. Chi vuole cooperare alla salvezza, alla redenzione dell’uomo, chi vuole creare l’unità nelle comunità cristiane, deve partire dalla fede.

Oggi invece si parte da una ricerca di giustizia, di pace, di solidarietà, cose tutte che lasciano i cuori, le comunità e il mondo nel loro peccato e nella loro non fede. Sul peccato e sulla non fede non si può edificare l’unità nella comunità, né la comunione tra i membri dell’unico corpo di Cristo Gesù. Questa verità deve essere proclamata a tutti i livelli, in ogni circostanza, in ogni istituzione. Perché sarà questa verità che ci salverà, poiché sarà questa verità che ci spingerà a lavorare perché la vera fede sia portata in ogni cuore.

La crisi del mondo attuale è crisi di fede, crisi di verità, crisi di Cristo, crisi di Spirito Santo, crisi di Dio.

[7]A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo.

Paolo lascia ora la questione di principio, sulla quale fonda il suo discorso sull’unità cristiana ed entra nella storia, nella situazione concreta del singolo credente.

Dio opera tutto in tutti. Come opera? Cosa opera? Quando opera?

La grazia di Dio è infinita e universale, divina ed eterna, onnipotente e creatrice, salvatrice e redentrice, operatrice di ogni bene e di tutto il bene.

Questa è la grazia in sé. È stata data tutta questa grazia ad ognuno? No.

Questa verità deve essere a fondamento per la costruzione dell’unità e della concordia nella comunità.

Cosa deve insegnarci questa verità? La grazia ad ognuno non viene data nella sua universalità e totalità. Non tutti hanno l’unica grazia nella sua onnipotenza di operazione.

Ognuno ha di questa grazia una misura, una porzione. È sempre l’unica grazia, ma di quest’unica grazia a noi viene data una misura, una quantità limitata.

Qual è il limite della grazia? Paolo lo dice con una espressione ermetica, anch’essa bisogna di ulteriori chiarificazioni.

Ci dice che la grazia è data secondo la misura del dono di Cristo. Cristo si dona a ciascuno di noi e nella misura del suo dono ci è data anche la grazia di Dio.

La grazia è particolare, perché particolare è il dono di Cristo a noi.

Questa verità ci conduce a vedere ogni grazia in Cristo, per Cristo e con Cristo. Ci conduce anche a pensare che non c’è grazia che non sia in relazione al dono che Cristo fa di sé a noi.

Infine ci deve portare a concludere che non c’è grazia se non per vivere il dono di Cristo. Il dono di Cristo è anch’esso grazia, ma si può vivere solo se c’è una particolare grazia di Dio che discende dal cielo.

Al di là di questa interpretazione del pensiero di Paolo – ce ne potrebbero essere anche altre; questa non è esclusiva – la verità che soggiace al pensiero di Paolo è questa: se ognuno non possiede tutta la ricchezza e la potenza della grazia, se ognuno possiede la grazia secondo la misura del dono di Cristo, ciò deve significare che nessuno può fare tutto nella comunità, ma ognuno si deve limitare a sviluppare, a far cresce e maturare la grazia che gli è stata concessa.

Cosa comporta questo? Comporta un limite ben preciso, che nessuno deve oltrepassare, pena il fallimento della sua opera. Comporta anche il rispetto dell’altrui grazia, anzi richiede la nostra disponibilità a metterci a servizio della grazia dei fratelli perché questa produca frutti di vita eterna.

Volere agire senza la grazia di Dio è peccato di superbia, ma è anche rovinare la comunità cristiana.

Chi ha il mandato di guidare una comunità cristiana deve pertanto adoperarsi perché ognuno sappia cosa deve fare e faccia solo questo.

Per questo urge una educazione alla grazia, come avviene per l’educazione alla fede. In questo campo siamo assai carenti. Alla grazia non si educa, anzi spesso c’è una diseducazione che pone problemi seri e gravi in seno alla comunità, perché la lacera all’interno di essa proprio a motivo di questa educazione mancata, non data, presupposta, ignorata e a volte anche rifiutata.

Perché si educhi alla grazia è necessario che si viva la virtù dell’umiltà. È la sola virtù che ci consente di vivere ognuno secondo la misura del dono di Cristo, ma anche di aiutare gli altri e di lasciarsi aiutare dagli altri perché questo avvenga e si compia in ogni momento e per ogni circostanza.

Il futuro di una comunità è in questa educazione. Chi la tralascia, non si cura della comunità, l’abbandona a se stessa e ai capricci del cuore di ognuno.




Credente
00venerdì 2 novembre 2018 18:24

[8]Per questo sta scritto: Ascendendo in cielo ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini.


Paolo fonda il conferimento del dono della grazia, di ogni dono di grazia, nell’ascensione al cielo di Cristo Gesù.


L’ascensione secondo Paolo comporta due eventi di grazia: la distruzione dei nemici dell’uomo che sono la morte e il peccato; il conferimento di ogni dono di grazia, perché ognuno e tutti insieme possano realizzare la loro vocazione, che è una sola: conformarsi a Cristo, divenire offerta santa per il Padre, produrre frutti di conversione e di fede per il mondo intero.


C’è da specificare tuttavia che i doni sono stati prodotti da Cristo con il suo sacrificio, questi doni sono il frutto della sua obbedienza al Padre. È la passione il momento della fruttificazione di Cristo Gesù. L’ascensione al cielo è invece il momento della distribuzione.


Ogni dono di grazia è stato maturato da Cristo sulla croce, nella sua morte, per obbedienza al Padre, ma è stato distribuito con la sua gloriosa risurrezione.


Per noi questo deve significare che se si vuole produrre un dono di grazia per il mondo intero, e ogni dono di grazia ci è stato conferito perché lo facciamo fruttificare, dobbiamo anche noi come Cristo dire il nostro sì a Dio, compiere la nostra obbedienza alla sua volontà.


Qual è questa obbedienza alla sua volontà, se non prima di ogni altra cosa sviluppare il dono di grazia che ci è stato concesso, lasciando e operando che anche gli altri dicano il loro sì a Dio e obbediscano al pari di noi all’unico Padre dal quale ogni dono discende?


Se un solo dono di grazia per colpa nostra non viene messo a frutto, neanche il nostro dono fruttifica. Noi siamo fuori dell’obbedienza, fuori della fruttificazione del dono. Quanto facciamo non serve per la salvezza del mondo, perché il mondo lo salva il nostro dono di grazia che è frutto del dono che Cristo ci ha fatto e che noi abbiamo fruttificato secondo la misura della grazia che ci è stata data.


Come si può constatare, nasce una nuova visione dell’obbedienza a Dio e questa obbedienza è nella fruttificazione del dono di Cristo Gesù. Cosa che avviene nella nostra totale obbedienza a Dio, in tutto come quella di Cristo Gesù.


[9]Ma che significa la parola “ascese”, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra?


Questo versetto è di pura Cristologia. Non c’entra direttamente con la questione della grazia.


Perché Cristo ascenda, è necessario che prima discenda. Cristo è asceso con la sua risurrezione dai morti. È disceso con la sua incarnazione, quando si è fatto carne nel seno della Vergine Maria.


Per discendere doveva prima esistere ed esisteva non come vero uomo nel vero Dio, ma solo come vero Dio, persona distinta dal Padre, nell’unità del Padre e dello Spirito Santo, unità che è data dalla sola natura divina, nella quale sussistono il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.


[10]Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose.


Non c’è alcuna differenza tra colui che discese e colui che ascese. Lo stesso che discese è anche colui che ascese.


La differenza è nella modalità che è anche sostanziale e non puramente formale e nella finalità.


Colui che discese è essenzialmente differente da colui che ascese. È sostanzialmente differente perché nella discesa assunse la natura umana e da Verbo Unigenito del Padre, divenne Verbo Unigenito del Padre, Incarnato.


L’incarnazione è unità sostanziale che modifica l’essere stesso del Figlio di Dio. Prima non era Verbo Incarnato, ora è Verbo Incarnato. Secondo la celebre espressione patristica: Quo erat non amisit, quod non erat assumpsit.


Ciò che era non lo lasciò, ciò che non era lo ha assunto. Questa assunzione della carne è assunzione che si regge su ben quattro principi: indivisibilmente, inconfondibilmente, inseparabilmente, irreversibilmente, secondo le regole dell’unione ipostatica sancite e stabilite dalla Chiesa, al fine di comprendere secondo verità il nuovo mistero che si è venuto a formare con l’incarnazione del Verbo.


In tal senso discende come Verbo, sale come Verbo Incarnato, ma sale come Verbo Incarnato Crocifisso e Risorto, passato attraverso la morte, ma vincitore della stessa.


La finalità è anche diversa, a motivo della Persona del Verbo che è stata modificata sostanzialmente dall’Incarnazione.


Nella sua umanità e non solo nella sua divinità Cristo Gesù è stato costituito al di sopra di tutte le cose e deve riempirle con la sua grazia, grazia che è data alla sua umanità e non solo in ragione della grazia increata che è la sua divinità, dalla quale e per la quale il mondo è stato fatto per creazione.


Come tutte le cose vengono riempite della sua grazia? Le vie, o modalità sono due: personalmente, portando la sua natura umana alla spiritualizzazione del corpo. Nella natura umana di Cristo, spiritualizzata, tutta la creazione viene riempita di questa nuova grazia.


Questa spiritualizzazione sarà perfetta alla fine, quando saranno creati i cieli nuovi e la terra nuova e saranno fatti ad immagine del corpo glorioso di Cristo Signore.


Come all’inizio del tempo l’uomo è stato fatto ad immagine di Dio, a sua somiglianza, alla fine del tempo, tutto sarà trasformato ad immagine di Cristo, del suo corpo glorioso e spirituale, incorruttibile e immortale.


La spiritualità e l’incorruttibilità sarà data alla nuova creazione di Dio. Questo è il prodigio che ci attende. Per i dannati ci sarà la piena spiritualizzazione del loro corpo, ma non ci sarà la glorificazione di esso, perché saranno esposti all’ignominia, all’infamia e alla morte eterna.


L’altra via è quella dell’uso santo di ogni cosa attraverso il cristiano. Nella santità del cristiano anche la creazione viene riempita di santità. Così il cristiano attinge la santità in Cristo Gesù, la trasforma in propria santificazione e come frutto di verità, di grazia, di amore, la riversa sull’intero creato, il quale riceve nuova vita dalla vita nuova che il cristiano ha attinto in Cristo Gesù, nel suo corpo. È questo il mistero che deve realizzarsi nella creazione.


Nella Lettera ai Romani è scritto che anche la creazione attende di liberarsi dalla caducità nella quale l’ha costretta il peccato dell’uomo. Se il peccato espone alla caducità, la grazia di Cristo eleva anche la creazione, perché immette in essa una corrente di vita nuova, spirituale, santa.


La vera ecologia la fanno i santi. Quanti non sono santi non possono fare ecologia, perché non immettono nella creazione la grazia, la verità e la santità di Cristo Gesù.


[11]E` lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri,


Paolo ha detto che “a ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo”. Ora passa a trattare alcune di queste grazie. Non prende in esame lui le grazie che sono direttamente date a beneficio della persona, per lo svolgimento della sua vocazione e quindi per la santificazione personale, anche se ogni grazia ha un valore universale, comunitario.


Ogni dono di Dio produce dei frutti che direttamente sono gustati da chi li produce; ma indirettamente essi portano un beneficio a tutta la comunità dei credenti e al mondo intero. Ma di questo Paolo ancora non si interessa.


Egli prende qui in esame le cinque grazie che servono perché la Chiesa di Cristo possa svolgere la sua missione nel tempo. Possiamo definire queste cinque grazie, le grazie dalle quali ogni altra grazia riceve consistenza, energia, sviluppo, maturazione, fruttificazione.


Sono le cinque grazie che servono indistintamente a tutta la comunità, a tutta la Chiesa. Senza queste cinque grazie la Chiesa non si può edificare, la missione non si può svolgere, con una sola conseguenza: la Chiesa finisce il suo mandato e il mondo rimane per sempre nelle tenebre. Apostoli, profeti, evangelisti pastori e maestri: ecco ciò che serve perché la Chiesa venga generata, cresca, progredisca, fruttifichi, aggiunga nuovi figli. Ecco ciò che serve perché il mondo possa essere condotto nella Chiesa e una volta nella Chiesa, inizi il suo cammino verso Cristo, nello Spirito Santo, per raggiungere il Padre nostro che è nei cieli.


Gli apostoli hanno il posto di Cristo Gesù, sono i suoi vicari sulla terra. Essi devono governare la Chiesa pascendola di verità, di grazia, nel dono dello Spirito Santo. Senza di essi la Chiesa va alla deriva, perché manca in essa la potestà di governo, di guida, di vigilanza, di sorveglianza, di discernimento. Senza l’apostolo non c’è né verità e né grazia.


I profeti sono coloro cui Dio manifesta la sua volontà in ordine al cammino storico della Chiesa. Senza di loro, anche se possiede la verità, la grazia, lo Spirito Santo, la Chiesa manca di incidenza tra gli uomini. È come se ci fosse una brocca d’acqua piena di acqua zampillante, fresca, dissetante e la si lascia nella brocca. Questa è la Chiesa se fosse fatta solo di apostoli e non di profeti.


Il profeta, parlando in nome di Dio, dice agli apostoli e all’intera Chiesa, dove dirigere i propri passi, per portare agli uomini la salvezza di Cristo Gesù. La Chiesa ha bisogno della voce viva di Dio, di Cristo, dello Spirito Santo, che la conduca su una via storica, poiché storico è l’uomo, cui essa deve rivolgersi. I profeti sono questa voce viva.


È povera quella Chiesa nella quale non sorgono profeti. Mentre per tutto il resto ci si può formare e la mansione può essere anche donata dalla stessa Chiesa (apostoli, maestri, pastori, evangelisti) i profeti non si fanno. Non c’è alcuna scuola di profezia nella Chiesa, né la Chiesa può costituire qualcuno suo profeta.


Il profeta è la manifestazione dell’assoluta trascendenza di Dio, della sua divina libertà che chiama chi vuole, quando vuole, come vuole e gli conferisce il dono di conoscere attualmente, oggi, nell’ora storica la volontà di Dio.


Gli evangelisti sono i predicatori del Vangelo, gli annunziatori di esso; sono coloro che vanno per terra e per mare e annunziano la buona novella, la predicano, la proclamano.


Essi sono l’eco della voce di Cristo Gesù che risuona nel mondo. Per il loro ministero il mondo intero ascolta la Parola della salvezza e se vuole può ritornare al suo Signore.


Gli evangelisti sono i missionari del Vangelo. Essi sono i piedi della Chiesa. Mentre il profeta è l’occhio, l’evangelista è il piede. Con l’occhio vede la Chiesa la via di Dio, con gli evangelisti la percorre.


Se manca il profeta non vede l’uomo da salvare. Se manca l’evangelista non porta la lieta novella, anche se ha visto chi deve essere salvato e come salvarlo.


I pastori sono coloro cui è affidata la cura di una comunità. La comunità deve essere nutrita di verità, di grazia, nella santità. I Pastori, per il dono della consacrazione sacerdotale, sono costituiti per dare questi doni divini. Devono però farlo sempre in comunione gerarchica con gli Apostoli, i primi responsabili di ogni pecorella che appartiene all’ovile del Signore Gesù.


Se manca il pastore, la comunità soffre la fame spirituale, la sete della parola. Non viene dissetato, non viene sfamato e come conseguenza c’è solo la morte spirituale.


I Maestri sono coloro invece che devono formare il popolo di Dio ÿÿlla ÿÿnoscenza del Vangeÿÿÿÿneÿÿa ÿÿmpreÿÿÿÿne dellaa ÿÿa à.


Il Vangelo, le verità della saÿÿezza vengono annunziate, proclamate, predicate. Occorre poi tutto quel lavoro spirituale di conoscenza della verità, di armonizzazione della verità, di deduzione e di argomentazione all’interno della verità.


Questo lavorio è di competenza dei Maestri. Sono loro che devono offrire ad ogni credente la comprensione del mistero di Cristo Gesù, per quanto questo possa essere operato a motivo del contenuto del mistero di Cristo Gesù che sorpassa ogni umana sapienza, intelligenza e conoscenza. Tuttavia la mente umana pone problemi, esige spiegazioni, la verità merita di essere armonizzata, ben disposta. È questo il lavoro che devono svolgere i Maestri.


Anche la loro opera non è in autonomia. Niente che si vive nella Chiesa è autonomo. C’è un legame dottrinale e operativo, di origine e di sviluppo, di verifica e di discernimento che ci lega gli uni gli altri.


La colonna che genera, che porta, che verifica, che discerne, che sigilla è però sempre l’apostolo del Signore. Questo significa aver il posto di Cristo in seno alla comunità e nel mondo.


Se ognuno deve agire nella Chiesa in relazione al dono di grazia conferito da Dio, in Cristo Gesù, per opera dello Spirito Santo, bisogna mettere ogni attenzione a che si faccia solo ciò che è sviluppo e fruttificazione del dono.


Questo purtroppo non accade. Spesso succede che tutti fanno tutto. Il Maestro fa il Pastore e il Pastore fa il Maestro. Qual è la conseguenza: che non si è né Maestri e né Pastori secondo il cuore di Cristo Gesù.


La prima riforma da fare nella Chiesa è proprio il rispetto del dono di Dio. Questa riforma non possono farla gli altri per noi; ognuno di noi deve sapere cosa fare come risposta al dono di Dio e limitarsi solo a questo.


San Pietro ce lo insegna negli Atti. Lui deve dedicarsi al ministero della parola e alla preghiera. Lui si rispetta nel dono di Dio, si fa rispettare. Crea i diaconi e come sono stati creati i diaconi, si può creare ogni altro ministero (non ordinato s’intende) ma è pur sempre un ministero necessario alla vita della comunità nella grazia di Dio.


Altra osservazione da fare è questa: spesso succede che il Maestro venga chiamato Profeta. Il Profeta non è Maestro e il Maestro non è Profeta. Il Profeta manifesta la volontà di Dio per l’oggi della sua Chiesa. Il Maestro insegna e spiega la volontà di Dio che il Profeta gli manifesta. L’Evangelista la comunica al mondo intero. L’Apostolo la verifica nella sua conformità al Vangelo della salvezza; il Pastore farà sì che sulla volontà di Dio manifestata si incammini la comunità, dando quelle indicazioni pastorali perché si attui in ogni sua parte.


Su questo proprio non ci siamo: siamo tutti Apostoli, Profeti, Evangelisti, Pastori e Maestri. Tutti facciamo tutto, se non lo facciamo per via sacramentale a causa della sua impossibilità, lo facciamo a livello operativo, di decisione, di parola, di comportamento.


Sulla necessità di rispettarsi e rispettare la grazia di Dio non si insisterà mai abbastanza; sulla necessità che ognuno deve attingere dalla grazia dell’altro, chiunque esso sia, mai si parlerà a sufficienza.


La forza, la vitalità, l’energia, il dinamismo di una comunità cristiana è in questa comunione di grazia e di carisma. Nessuno deve sentirsi menomato se si serve della grazia dell’altro per il suo ministero. La riuscita della sua missione sta proprio nel servirsi della grazia degli altri, di ogni grazia che il Signore ha concesso agli altri perché lui possa attingere e servirsene.


Che il Signore ci conceda tanta umiltà, ma veramente tanta, perché non solo a livello di coscienza, ma anche operativamente, la grazia dell’altro sia per noi sempre la fonte presso cui attingere per il compimento secondo giustizia del nostro ministero. Il Signore ha disposto che la sua grazia non scenda direttamente da Lui su di noi, vuole invece che scenda su di noi indirettamente, attraverso i fratelli. La grazia di Dio per noi è nei fratelli che ci stanno accanto. Ogni fratello è una grazia di Dio. Saperlo vedere come grazia di Dio in ciò che veramente e realmente lui è una grazia, è il dono più grande che Dio ci possa concedere. È il dono che ci arricchisce e arricchendo noi arricchisce tutta la comunità. Bisogna però sempre saper discernere il dono vero dell’altro, dal dono apparente, o dal falso dono. Anche questa è grazia che Dio concede agli umili, ai puri di cuore, a tutti coloro che vogliono fare solo la sua volontà.


[12]per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo,


Viene qui specificato, quanto in qualche modo si è già anticipato nella meditazione del versetto 11.


Qual è il fine di tutti questi ministeri nella Chiesa (ordinati e non)?


Si è già detto che tutto è grazia di Dio. Si è anche detto che la grazia di Dio non passa direttamente da Dio a noi. Passa invece indirettamente: da Dio ai fratelli, dai fratelli a noi.


I fratelli sono il pozzo d’acqua viva dove attingere la nostra acqua, se vogliamo che il nostro dono, il dono che Dio ha dato a noi, fruttifichi in abbondanza.


Il nostro dono non serve a noi, serve ai fratelli; il dono dei fratelli non serve a loro, serve a noi. Dio dona a noi per loro, dona a loro per noi.


La prima regola riguardo ai doni o ai carismi è sapere quale dono è stato dato a noi e quale ai fratelli.


Non possiamo sapere quale dono è stato dato ai fratelli, se non conosciamo con precisione qual è il nostro dono. La conoscenza di sé, dei doni di grazia di cui siamo stati arricchiti, è obbligatoria per ogni credente.


È anche obbligatorio saper chi sono gli altri, di quali doni il Signore li ha arricchiti, cosa possono fare e cosa non sanno fare, perché privi della grazia di Dio.


Il motivo della necessità e dell’obbligatorietà di conoscerci e di conoscere gli altri è a motivo della finalità per cui un dono ci è stato dato dall’Alto.


Il dono è nostro, ma per rendere idonei i fratelli a compiere il loro ministero. Compiendo ognuno il proprio ministero si edifica il corpo di Cristo.


L’edificazione del corpo di Cristo è la finalità ultima del dono. Ma il corpo di Cristo non si edifica se i fratelli non sono resi idonei a compiere il ministero e come si rendono idonei? Attraverso il nostro dono, che deve essere posto a loro disposizione, perché se ne servano sempre, ogni qualvolta avvertono la necessità, l’urgenza richiesta per la vita del loro dono.


Si badi bene che Paolo dice: per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero. Non si tratta di un di più, di un di meglio, di un favore, di una nostra benevola elargizione, di un qualcosa che è per noi e solo per un motivo di carità viene posto nelle mani dei fratelli.


Paolo parla chiaro: i fratelli sono resi idonei nel compimento del loro ministero, solo se mettiamo a loro servizio il nostro dono. Se il nostro dono viene riservato solo a noi, loro non compiono il loro ministero e noi siamo responsabili dinanzi a Dio della loro omissione.


Loro non operano, non possono operare, omettono di operare, fanno altro a causa del dono che non è stato dato loro. Di questo un giorno dobbiamo rendere conto a Dio. Come bisogna rendere conto a Dio ogni qualvolta noi abbiamo fatto altro, anziché sviluppare bene il nostro dono, o carisma, necessario perché l’altro servendosene potesse edificare il regno di Dio.


Per fare un esempio: se uno è acqua come dono e non irriga i campi, i campi non producono, ma la colpa è dell’acqua che non ha irrigato.


Questo significa: rendere idonei i fratelli a compiere il ministero. L’acqua rende il campo produttivo. Senza acqua il campo non produce, non perché non buono, ma perché gli manca un dono essenziale, indispensabile, necessario.


Così dicasi nel campo dei doni di grazia: per svolgere bene il suo ministero:


L’apostolo ha bisogno del profeta, del maestro, dell’evangelista, del pastore.


Il profeta dell’apostolo, del maestro, dell’evangelista, del pastore.


Il maestro dell’apostolo, del profeta, dell’evangelista, del pastore.


L’evangelista, dell’apostolo, del profeta, del maestro, del pastore.


Il pastore dell’apostolo, del profeta, del maestro, dell’evangelista.


È questa l’unica via per l’edificazione del regno di Dio sulla terra, perché è questa l’unica forma attraverso cui la grazia di Dio discende sulla terra.


[13]finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo.


In questo versetto Paolo rivela il fine da raggiungere attraverso l’uso ordinato dei doni di grazia che Dio concede alla sua Chiesa, in maniera stabile e permanente.


Questo fine è:


Tutti dobbiamo arrivare all’unità della fede: tutti siamo chiamati a professare l’unica fede, l’unica verità, l’unico mistero, senza differenze, senza alterazioni, senza contraffazioni, senza nulla aggiungere e nulla togliere a quanto ci è stato rivelato.


Se una è la Parola di Dio, una deve essere anche la sua comprensione, una la verità che scaturisce da essa, una la spiegazione.


Perché allora non si arriva all’unità della fede? Perché spesso i cinque ministeri si vivono disordinatamente, o non si vivono affatto.


O non si hanno gli apostoli, o i profeti, o i maestri, o gli evangelisti. È sufficiente che uno solo di questi ministeri non venga “vissuto”, perché la verità non risplenda più nella comunità cristiana.


L’unità della fede è essenziale. Nell’unica comunità di Cristo Gesù deve regnare una sola verità. Tutti la devono professare, tutti la devono vivere, tutti la devono annunziare, tutti la devono testimoniare, tutti per essa devono dare la vita.


Questa è la legge della comunità. Se vi sono due verità, più verità, molte verità, la comunità non testimonia più la sua fede. Il mondo mai potrà aprirsi alla verità, perché non sa quale sia la verità che salva, avendone ogni membro una sua propria verità, sulla quale fonda la sua vita e spesso in contraddizione con le altre verità.


Per sapere se siamo nella verità di Cristo è sufficiente esaminarsi sull’unità del servizio di questi cinque ministeri: dove ne manca uno solo, quando in una comunità un solo ministero tra questi cinque non viene “vissuto”, siamo fuori della verità. Questa comunità non cammina nella verità.


Se un membro della comunità non è servito contemporaneamente da questi cinque ministeri, costui non cammina nella verità. Cammina in una verità soggettiva che lo salva, se la responsabilità non è sua; mentre se lui dovesse rifiutare uno di questi ministeri, la verità che professa non lo salva, a causa del rifiuto che ha fatto della legge della verità che deve sempre governare ogni comunità di Cristo Gesù.


All’unità della conoscenza del Figlio di Dio: l’unità nella verità è necessaria perché la rivelazione ci dona la verità, ma la verità per noi è Cristo Gesù.


C’è un solo Cristo. Un solo Redentore, un solo Salvatore, un solo Messia. La nostra fede in Cristo non è adesione alla sua Parola e basta. La nostra fede è in Lui, è inserimento in Lui, è divenire in Lui una sola missione di salvezza e di redenzione per il mondo intero.


Cosa comporta la fede in Cristo? Comporta divenire come Lui, farsi un sacrificio di morte e di risurrezione, per la morte al peccato del mondo e per la sua risurrezione a vita nuova.


Cristo è uno. Il suo mistero è uno. La sua vita è una. La sua opera è una. Poiché uno è Cristo, una deve essere anche la vita del suo corpo, che è la Chiesa.


Non può esserci difformità tra Cristo e il suo corpo, tra Cristo e la sua Chiesa. Questa deve esprimere Cristo nella sua essenza di vita che è una sola.


Per questo è giusto che vi sia l’unità nella conoscenza di Cristo. Ognuno deve tendere verso questa unità; per essa deve abbandonare ogni sua idea, pensiero, riflessione, immaginazione, fantasia su Cristo.


Quando il cristiano si sarà liberato da tutti i pensieri personali su Cristo e avrà abbracciato la verità della rivelazione, la verità sull’unico mistero di Gesù, egli potrà manifestarlo al mondo nella sua essenza. Il mondo vedrà Cristo in lui, se vuole, può accoglierlo. Lo potrà accogliere perché lo vedrà in ogni altro discepolo del Signore, i quali singolarmente e tutti insieme manifesteranno un solo Cristo, un solo mistero, una sola redenzione, una sola salvezza, perché tutti compiranno l’unico sacrificio di Cristo Gesù, perché ognuno in Cristo diverrà un sacrificio d’amore per la salvezza dell’umanità intera.


Per raggiungere l’unità della conoscenza di Cristo Gesù, ogni cristiano deve rinnegare se stesso, abbandonare la sua mente, il suo cuore, lasciarli perdere, perché solo Cristo, la sua verità, il suo mistero si formi in essi.


L’ecumenismo non può partire da alcune verità di principio, come la giustizia e la pace nel mondo, o altre verità accolte da tutte.


Paolo in questo versetto ci dice due cose, anzi quattro: l’unità è nella fede e la nostra fede è in Cristo Gesù; l’unità è nella conoscenza del mistero di Cristo e la conoscenza del mistero di Cristo è conoscenza di Cristo; l’unità è finalizzata alla realizzazione in noi dell’uomo perfetto e l’uomo perfetto è Cristo Gesù. Nella misura in cui conviene alla piena maturità in Cristo altro non può significare, come vedremo in seguito, che la traduzione in nostra vita della vita di Cristo Gesù, deve essere fatta secondo la grazia che ci è stata data.


Non ci può essere vero ecumenismo che prescinda dal mistero di Cristo. Fissato il pensiero su Cristo, cercata la sua verità, individuata la sua essenza, che è fuori di noi, non in noi, e la si può trovare se la si cerca lasciandosi aiutare dai cinque ministeri che governano la Chiesa, ognuno è obbligato a lasciare, a gettare fuori della sua mente e del suo cuore tutto ciò che non appartiene a questa essenza e mettervi la pura verità di Cristo Gesù.


È questo un cammino che domanda libertà dal passato e dal presente, dalle tradizioni e dalla stessa storia, dai peccati e dalle omissioni, da ogni altra stortura umana che nel corso dei secoli si è venuta a infiltrare nella verità di Cristo Gesù.


Anche certe modalità di tradurre in vita la comprensione del mistero devono essere abbandonate, tralasciate, dimenticate, sotterrate. Lo esige l’unità della fede, lo richiede l’unità della conoscenza del mistero di Cristo Gesù.


Questo può avvenire se si inizia a vivere il Vangelo, tutto il Vangelo. Sono convinto che ci debba essere un altro modo di fare ecumenismo. Questo altro modo non è la discussione sulle grandi verità. È iniziare concretamente a vivere il messaggio delle beatitudini in ogni sua parte, in ogni sua richiesta ed esigenza, in ogni desiderio in esso manifestato.


Le beatitudini vissute producono santità nel cuore e nella santità lo Spirito del Signore può operare agevolmente, può con facilità muovere le menti, riscaldare il cuore, rafforzare la volontà perché si abbandoni ciò che non appartiene a Cristo, si assuma solo ciò che è conforme all’essenza e alla verità di Cristo Gesù. Questa è la via nuova dell’ecumenismo. Le altre vie sono assai difficili da percorrere, perché fanno troppo affidamento sulla capacità dell’uomo di pervenire alla verità, ignorando che essa è dono dello Spirito Santo ad ogni uomo di buona volontà.


Chi non è nella buona volontà per vivere le beatitudini, come potrà essere di buona volontà nel cercare di comprendere il mistero di Cristo? Se le cose facilmente comprensibili non le vive, perché non le accetta, come farà ad accettare e a vivere le cose difficili?


In questo ci può venire in aiuto la finalità che viene raggiunta e che deve essere raggiunta sull’unica fede e sull’unica conoscenza del mistero di Cristo Gesù:


Allo stato di uomo perfetto: il cristiano è chiamato a riproporre Cristo Gesù nella sua vita. Questa è la nostra vocazione.


Man mano che si cresce in questa “proposizione”, si diviene in tutto simili a Lui. Si vive come Lui. Ma qual è la peculiarità della vita di Cristo? Quale la sua perfezione?


Il compimento della volontà del Padre, lasciandosi muovere e condurre dallo Spirito Santo.


Qual è la volontà del Padre su ogni cristiano: che si accolga l’essenza di Cristo e la si viva in ogni sua parte di verità, in ogni sua più piccola manifestazione. Il cristiano tutto deve vivere di Cristo, anche se deve viverlo in misura del dono ricevuto e per dare compimento al dono ricevuto.


Questa perfezione, questa imitazione di Cristo, questa riproposizione di Cristo non sarà mai possibile se manca la conoscenza della verità su Cristo, se si vivono differenti comprensioni e interpretazioni del suo mistero.


Volendo vivere allo stato di uomo perfetto, e l’uomo perfetto è Cristo, volendo compiere la sua perfezione nella nostra vita – è questo l’obbligo di ciascuno – ciascuno è obbligato a cercare il vero Cristo, è anche obbligato a sceglierlo una volta che lo ha trovato, è obbligato infine a farlo conoscere agli altri, ad annunziarlo loro, perché anche loro lo scelgano e si conformino alla sua essenza.


C’è un doppio procedimento nella realizzazione della nostra finalità: si parte dalla conoscenza di Cristo che si possiede per realizzare in noi l’uomo perfetto, Cristo Gesù, l’obbediente alla volontà del Padre.


Ma anche si parte da una obbedienza sempre più puntuale, più pronta, più sollecita alla Parola del Vangelo e man mano che si cresce in santità, nella realizzazione dell’uomo perfetto, lo Spirito ci guida e ci conduce per una comprensione sempre più chiara, più nitida, più libera, più vera del mistero di Cristo Gesù.


Credente
00venerdì 2 novembre 2018 18:25

Nella misura che conviene alla piena maturità in Cristo: il cristiano nel realizzare in lui l’uomo perfetto, non può pensare, né immaginare di essere in tutto come Cristo Gesù.


C’è una differenza sostanziale tra noi e Lui che non possiamo mai colmare. Noi possiamo realizzare l’uomo perfetto solo in Lui, con Lui, per Lui. Possiamo realizzarlo nella misura che conviene alla piena maturità in Cristo.


Cosa ci vuol dire Paolo con questa espressione? In Cristo ognuno deve raggiungere la piena maturità.


Questa maturità non è assoluta come quella di Cristo e della Madre sua, oltre la quale non è possibile andare.


La nostra piena maturità in Cristo ha un limite, è il limite della misura convenevole. Ma qual è la nostra misura convenevole? La risposa Paolo ce l’ha già data, quando ha affermato che ad ognuno è concessa una particolare grazia di Dio, al fine di edificare il corpo di Cristo, che è la Chiesa.


La misura convenevole è pertanto lo sviluppo del dono ricevuto, la messa a frutto della grazia di Dio che ci è stata concessa. Questo conviene a noi fare e secondo questa convenienza si raggiunge la piena maturità in Cristo.


La maturità in Cristo è piena, ma personale; è piena perché la grazia concessa deve sviluppare ogni sua energia di santificazione e di edificazione del corpo di Cristo. Su questo non possono esserci dubbi.


È personale, quindi differisce dalle altre maturità, perché il dono della grazia è personale. Nessuno può agire, se non in misura del dono ricevuto. Ciò che non è dono ricevuto non può essere messo a frutto.


La maturità pertanto, pur restando piena maturità, differisce, è diversa l’una dall’altra, a motivo del dono diverso che ci è stato dato. È maturità piena perché qualunque dono noi abbiamo ricevuto, questo dono per una via personale, unica, deve condurci alla morte di Cristo, al fine di produrre frutti di vita eterna per il mondo intero.


Tutti siamo chiamati a compiere in noi il mistero della morte e della risurrezione del Signore, ma attraverso un dono di grazia e quindi per la via di una missione differente, personale, unica.


Se questa è la nostra vocazione, perché si è ridotto il cristianesimo all’osservanza di qualche legge morale? Perché non c’è più il legame vitale con Cristo? Perché Cristo non è più l’uomo perfetto che dobbiamo realizzare in noi realizzando noi stessi in Lui?


Questo accade, è accaduto, accadrà sempre, in ragione della separazione tra vita morale, vita santa, vocazione del cristiano e Cristo Gesù.


Se vogliamo invertire la tendenza, dobbiamo partire non dalle esigenze della vita morale, ma dalla vocazione del cristiano.


Bisogna sapere qual è la nostra vocazione e allora inizieremo seriamente a pensare a Cristo Gesù.


Se la mia vocazione è quella di realizzare in me l’uomo perfetto, Gesù Cristo nostro Signore, è giusto, anzi indispensabile che io conosca Cristo, ma che lo conosca secondo verità.


Inoltre se devo realizzare la piena maturità in Cristo è obbligatorio che pensi la mia vita nella vita di Cristo e secondo questa vita iniziare a costruire la mia vita in Cristo Gesù e la vita di Cristo Gesù in me.


Da questa via dobbiamo partire se vogliamo raggiungere l’unità. La vocazione può aiutarci, ci deve aiutare a scoprire Cristo, a realizzare Cristo. Per fare questo dobbiamo amare la nostra vocazione e seguirla offrendo per la sua realizzazione, il suo compimento perfetto la nostra vita sul legno della croce.






[14]Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l'inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell'errore.

Perché è giusto, anzi doveroso, più che doveroso, obbligatorio raggiungere l’unità della fede e della conoscenza di Cristo Gesù? Perché dobbiamo costruire in noi l’uomo perfetto secondo la misura che conviene alla piena maturità in Cristo?

La salvezza viene dalla stabilità del nostro cammino, dalla perseveranza nella verità. La salvezza ci viene dalla realizzazione di Cristo in noi e di noi in Cristo.

Quale stabilità, quale perseveranza vi può essere nell’errore, nella falsità, nelle dottrine degli uomini che soffiano come vento sulla nostra testa e che cambiano di giorno in giorno, modificando le forme esterne, ma restando intatte le strutture interne, che sono nella totale assenza di verità e del mistero della salvezza di Cristo Gesù?

Quando non si è ancorati sulla verità di Cristo, che per noi è la roccia eterna sulla quale costruire la nostra casa, non appena soffia qualche vento di dottrina umana, subito l’uomo si lascia afferrare da esso.

La verità è l’unica roccaforte che ci protegge dall’inganno degli uomini. L’unica verità che ci salva dalla menzogna umana, è la conoscenza dell’essenza e del mistero di Cristo Gesù.

Quando non si progredisce nella conoscenza di Cristo, l’uomo, i suoi inganni, le sue astuzie, le sue ambiguità, ogni altro ritrovato di mente umana, che è sempre ingannevole e astuto, riesce a trascinarci nell’errore, è capace di stringerci nelle sue spire.

La Chiesa per un certo tempo ha lasciato di formare i suoi fedeli nella conoscenza di Cristo. Si è limitata a dare delle indicazioni di ordine assai pratico. Qual è il risultato? Molti dei suoi figli sono dei transfughi, dei disertori. Stanno abbandonando il cristianesimo per rifugiarsi nelle sette.

Qual è il rimedio contrario perché si ritorni nel cristianesimo e si abbandoni le sette? Nessuno valido, perché tutti i ritrovati della scienza teologica e pastorale sono tutti concepiti nella non formazione al mistero di Cristo Gesù e alla conoscenza secondo verità della sua Persona e della sua opera.

In questo siamo tutti responsabili, in quanto abbiamo contribuito tutti a formare un cristiano senza Parola di Cristo, il che equivale a formare senza Cristo.

Si chiede al cristiano l’osservanza di qualche principio morale, ma si dimentica di manifestargli, di rivelargli, di insegnargli qual è la sua missione, secondo quale misura realizzarla, qual è il fine della sua vita e cosa Cristo significhi per lui, anzi deve necessariamente significare, se vuole entrare lui nella salvezza e cooperare in Cristo perché altri vi entrino.

Invece c’è una sola via per evitare al cristiano il suo totale dissanguamento spirituale, la caduta e la morte spirituale nell’errore che è preludio di morte eterna, di dannazione nell’inferno, riservato a tutti coloro che hanno rinnegato Cristo e non lo hanno confessato dinanzi agli uomini.

Questa via è il ricordo della Parola. Nella Parola c’è il mistero di Cristo, c’è la conoscenza di Cristo, c’è la vocazione dell’uomo, c’è la sua santificazione, c’è la protezione dall’errore e dall’ambiguità delle dottrine degli uomini. Tutto è nella Parola e dalla Parola dobbiamo partire, se vogliamo costruire attorno al cristiano una torre di bronzo contro ogni attacco di certi venti impetuosi di dottrine umane e di falsità, ambiguità, ipocrisie, che dove passano distruggono più che le cavallette delle piaghe d’Egitto.

Il ricordo della Parola solo la Chiesa lo può fare. Il modo vero per farlo è che essa stessa entri nella Parola: l’ascolti, la viva, l’annunzi in ognuno dei suoi figli.

In questo versetto viene espressa una verità che dobbiamo tenere sempre a mente.

Nell’uomo che propaga la falsità non c’è ingenuità. C’è astuzia, quindi intelligenza orientata, finalizzata, all’inganno, all’errore. L’inganno e l’errore spesso sono studiati, meditati. Non sono spontanei, ma riflessi.

Questo va detto contro ogni facile giudizio di giustificazione di tutti coloro che non solo sono caduti in questo errore, ma che poi si sono fatti e si fanno strumenti per la sua propaganda.

Quando c’è propaganda, c’è astuzia. Quando c’è inganno c’è astuzia. L’astuzia è peccato contro l’uomo e offende gravemente Dio.

Chi è facile a giustificare e quasi a dichiarare “santo” l’inganno, l’astuzia, il vento di dottrine, è già lui stesso fuori del mistero di Cristo Gesù. Questa è la verità che si può facilmente constatare, appurare, verificare, vedere, osservare.

Possiamo quindi non essere sballottati. Se lo diveniamo, la responsabilità è solo nostra, è anche di quanti non ci hanno formati nel mistero di Cristo Gesù.

[15]Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo,

In queste parole è racchiuso tutto il cammino di ascesi del cristiano.

Il cristiano deve vivere secondo la verità. La verità è la volontà di Dio, manifestata tutta in Cristo Gesù.

Per il cristiano non c’è altra verità al di fuori della volontà di Dio. Poiché la volontà di Dio è stata tutta resa manifesta da Cristo Gesù e in Cristo Gesù, non c’è altra volontà di Dio se non in Cristo Gesù.

Dio è carità, amore. La volontà di Dio è carità, amore. La verità di Dio altro non è che la sua volontà che si fa dono d’amore per noi, in noi altro non è se non la nostra volontà di trasformare in amore la verità ricevuta.

Poiché la verità ricevuta è Cristo crocifisso, la nostra carità, la nostra verità è trasformare in Cristo la nostra vita in un atto perenne di amore.

La verità Dio ce l’ha trasmessa sotto forma di amore. Cristo carità e verità del Padre si è dato a noi interamente. Il cristiano lo riceve, lo trasforma in sua propria vita e trasforma la sua propria vita in un dono di verità e di amore per il mondo intero. Questo significa vivere la verità nella carità.

Potremmo tradurre: vivere di Cristo in Cristo, vivere la Parola di Cristo secondo la modalità di Cristo, o semplicemente vivere il nostro dono d’amore per il Signore nella verità che ci ha insegnato Cristo dall’alto della croce.

La verità di Cristo è la sua croce. La croce trova la sua forza nell’amore. Per amore Cristo si consegna alla croce. Questa è la carità nella verità e la verità nella carità.

La verità e la carità non la detta la coscienza. La detta il Vangelo. È quella l’unica regola scritta di come si vive la carità nella verità e la verità nella carità.

Non ci sono cose particolari che il cristiano deve fare, cose particolari che deve evitare.

Tutto ciò che non è conforme alla verità del Vangelo non è per lui, non potrà mai divenire regola di carità, di amore, di servizio.

Ogni cosa che l’uomo fa, deve essere informata di verità, deve avere come unico fine la stessa carità di Cristo Gesù.

Per questo in ogni cosa che il cristiano fa, deve mettere la verità e la carità di Cristo, tenendo sempre fisso lo sguardo verso Cristo, tendendo verso di Lui, verso di Lui anche crescendo.

Il cristiano cresce verso Cristo, tende verso di Lui se in ogni cosa vi mette la carità di Cristo e la sua verità.

È questo l’impegno cristiano che dura tutta una vita. Non un giorno, non due giorni, ma sempre. Sempre verso Cristo, vivendo la verità nella carità, facendo ogni cosa secondo questo principio di vita, avendo dinanzi agli occhi la forma di Cristo, il suo esempio, facendo di Lui il nostro unico modello.

Ma Cristo Gesù non è solo il nostro esempio, il nostro modello, l’unica immagine perfetta di come si vive la verità del Padre secondo l’immensità del suo amore, che giunge fino a dare la vita per Lui.

Cristo è anche il nostro capo. Sappiamo cosa Paolo intende dire con questa espressione: noi siamo il corpo di Cristo. Cristo è il capo di questo corpo.

La volontà nel corpo è del capo. È da esso che ogni membro riceve il pensiero, la mozione della propria azione.

È sempre il capo che coordina ogni movimento e tutti i movimenti delle singole cellule, dei singoli membri.

Se un membro non riceve più energia dal capo, è un membro che non vive più la vita del corpo. È un membro ammalato. Ma il cristiano non solo deve vivere una vita piena di verità e di carità nel corpo di Cristo, in questa vita deve raggiungere la perfezione che fu di Cristo, deve raggiungere il dono totale di sé a Dio per amore, per obbedienza.

[16]dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità.

Tutto si riceve dal capo. Il capo regola e orienta tutta la vitalità del corpo. Ma il corpo che ha di particolare? Come funziona? Ogni cellula, ogni membro forse cammina per se stesso senza alcun riferimento con le altre cellule, con le altre membra? Anche a proposito del corpo conosciamo il pensiero di Paolo, che qui riassume brevemente.

Prima di tutto bisogna dire che il corpo è una realtà armoniosa, compaginata e connessa. Possiamo tradurre: ogni membro non riceve l’energia direttamente dal capo, per poter svolgere la sua particolare funzione, la riceve dalle altre membra. Per cui ogni membro è necessario all’altro per ricevere l’energia e per donarla. Ogni membro è dall’altro e per l’altro. Questa la prima specificità del corpo di Cristo Gesù.

La seconda verità è questa: il fine del corpo non si raggiunge attraverso l’attività di una sola cellula, o di un solo membro. Il fine il corpo lo raggiunge attraverso la compaginazione e la connessione di tutte le sue membra, di tutte le sue cellule. Ogni membro e ogni cellula aiutano il corpo a raggiungere la sua finalità nella loro comunione di vita.

La collaborazione è la vita del corpo. L’isolamento, la solitudine, la separazione, la scissione, l’invidia, la gelosia, la superbia e ogni altro peccato, altro non fanno che impedire al corpo di raggiungere la finalità, che è una sola: manifestare al mondo tutta la verità e tutta la carità crocifissa di Cristo Gesù.

Tuttavia c’è ancora una specificità, o particolarità che dobbiamo evidenziare: ogni membro, anche se riceve energia e vita dagli altri membri, deve dare al corpo e quindi agli altri membri, la sua particolare energia, la sua particolare vita, il frutto dell’energia e della vita che il Signore ha posto in esso, perché la sviluppi, la faccia crescere, la porti a maturazione.

Non si dimentichi mai la legge della vita delle cellule o delle membra del corpo di Cristo. Ognuno ha ricevuto un particolare dono di grazia, una particolare manifestazione della verità e della carità di Cristo Gesù, ognuno deve esercitare un suo particolare ministero ed è il frutto di questo ministero che bisogna dare ai fratelli, perché crescano in modo da edificare se stessi nella carità.

Per intenderci: se l’apostolo non opera il discernimento nella verità, tutto il corpo cresce nell’errore; se il profeta non indica al corpo la via da percorrere, quella voluta da Dio, il corpo è senza cammino attuale; se il maestro non spiega, non insegna la verità, il corpo anche se cammina e pur essendo guidato dall’apostolo del Signore, ad un certo momento potrebbe trovarsi su una via, sulla via di Dio, ma non corroborato, non sorretto dalla verità di Cristo Gesù.

Il corpo è chiamato ad edificare se stesso nella carità. Ogni membro nel corpo di Cristo deve edificare se stesso nella carità. Perché questo avvenga è necessario che ognuno mentre edifica se stesso nella carità, impegni ogni sua energia perché doni agli altri il frutto della sua grazia, senza la quale tutte le altre cellule, o membra, sono privati di quella forza di vita senza la quale diviene impossibile potersi edificare nella carità e cooperare all’edificazione di tutto il corpo nella carità.

Nessuno nella Chiesa può pensare di essere sufficiente a se stesso. Nessuno si edifica da se stesso, o edifica solamente gli altri, senza aver bisogno per se stesso degli altri. Chi avesse un tale pensiero, sappia che non è nella verità di Cristo Gesù, non è inserito vitalmente nel suo corpo. La sua appartenenza al corpo di Cristo è vana e il suo lavoro inutile.

Chi vuole costruire se stesso nella carità, deve edificarsi nella verità e la verità è una sola: il carisma dell’altro è la nostra vita, perché è in esso il germe della carità che deve essere fruttificata in noi e attraverso noi.

Che il Signore conceda ad ogni membro del corpo di Cristo l’umiltà di volersi servire della verità dell’altro, del ministero e del carisma dell’altro, perché il suo personale carisma produca frutti di salvezza per il mondo intero.



LA SANTITÀ CRISTIANA



[17]Vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani nella vanità della loro mente,

La fede in Cristo Gesù, nella suo mistero di morte e di risurrezione, l’essere suo corpo, aver ricevuto una vita nuova, comporta una differenza sostanziale con quanti ancora non sono cristiani, con coloro che sono rimasti nella loro vecchia natura, nell’uomo vecchio.

La prima differenza tra il cristiano e il pagano – chiunque esso sia, a qualunque estrazione religiosa appartenga – è nella conoscenza della verità.

Il non cristiano, il pagano, non possiede la verità, non ha conoscenza. Anche se adora un Dio, la conoscenza che egli ha di Dio è fortemente carente in tutto.

Il Dio che costoro adorano non è il Dio vero, vero nella sua natura, vero nella sua creazione, vero nel rapporto con gli uomini, vero nella relazione con il futuro dello stesso uomo e vero per quanto attiene al nostro passato, sempre considerato in relazione con Dio.

Si pensi oggi a quella falsa teoria che vuole che le tre grandi confessioni monoteistiche (Ebraismo, Cristianesimo, Islamismo) pongano una base comune per la creazione di una super religione sopra confessionale.

Si eliminerebbero le differenze, si accetterebbe ciò che ci accomuna. Ma cosa ci accomuna, se non la pura idea che esiste un solo Dio, mentre tutto il resto che fa la differenza è diverso, inconciliabile, distante quanto il pensiero di Dio, del vero Dio, dista dal pensiero dell’uomo?

Chi salva l’uomo? Se non c’è l’Incarnazione del Verbo –perché non c’è il Verbo di Dio in quanto persona sussistente, distinta dal Padre e dallo Spirito Santo, sussistente però nell’unica natura divina che è del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo – chi libera l’uomo dal peccato e dalla morte?

Se non c’è lo Spirito Santo, anche Lui persona sussistente, distinta dal Padre e dal Figlio, chi conduce l’uomo nella pienezza della verità, nella comprensione del mistero di Dio e dell’uomo? Nessuno. La fede nella Trinità è la verità irrinunciabile e poiché questa fede fa la differenza e distanzia la religione cattolica da tutte le altre confessioni e su questa fede che il cristiano deve edificare se stesso nella carità. Per questa fede deve essere capace di perdere anche la vita del corpo.

Cosa è allora la vanità della mente, da cui Paolo vuole che il cristiano si guardi?

La vanità della mente è proprio questa: costruire tutta un’esistenza fondata dalla falsità, o su una conoscenza di Dio e dell’uomo parziale, lacunosa, distorta, contorta, addirittura falsa, dannosa per colui che la segue.

Il cristiano ormai deve sapere una cosa sola: la verità della sua vita è Cristo Gesù. Le altre verità devono divenire vere in Cristo, finché non raggiungono Cristo rimangono nella loro parzialità che rende parziale anche la riuscita dell’uomo. Poiché questa verità parziale è fatta per una parte di verità e per 99 di falsità, chi non è nella verità di Cristo Gesù, altro non può che avanzare nella storia con una mente vana.

Perché la mente è vana? Perché ciò che suggerisce all’uomo è senza consistenza, quindi senza vera umanità, e quindi senza autentica salvezza.

Il cristiano non può vivere così, non deve vivere. Egli deve essere ormai un uomo che fa della verità di Cristo la sua corazza, la sua veste, il suo presente, il suo futuro, la vita sulla terra e quella nel cielo.

Tutto, il cristiano deve fare della verità di Cristo. Egli è chiamato a intessere la sua vita di Parola di Cristo.

[18]accecati nei loro pensieri, estranei alla vita di Dio a causa dell'ignoranza che è in loro, e per la durezza del loro cuore.

Il cristiano è colui che conosce il vero Dio e nel vero Dio ha la vera conoscenza di se stesso. Chi sono invece i pagani?

Sono accecati nei loro pensieri: i pensieri dei pagani non sono verità, sono tenebra. Non è il pensiero di tenebra che acceca i pagani. Sono invece i pagani che generano pensieri di tenebra e quindi restano accecati negli stessi pensieri che concepiscono.

La loro cecità essenziale produce pensieri di tenebra, in questi pensieri rimangono impigliati, in questi stessi pensieri rimangono accecati.

Il pensiero dovrebbe liberare il pagano dalle tenebre. Ma la tenebra che è in lui altro non produce se non pensieri di tenebra. E così la sua natura di tenebra produce pensieri di tenebra e i pensieri di tenebra altro non fanno che rinsaldare il pagano nella sua tenebra.

È tenebra, pensa tenebra, diviene sempre più tenebra. Questa è la cecità nella quale si trovano, vivono, pensano, agiscono.

Perché in loro c’è solo tenebra?

Estranei alla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro: la risposta di Paolo è semplice, lineare, essenziale.

L’ignoranza che è in loro, che è ignoranza della verità, li fa estranei alla vita di Dio.

L’uomo è stato creato per riflettersi in Dio, compiersi in Lui, realizzarsi nella sua verità. Questa è la vocazione dell’uomo.

Il pagano è senza il vero Dio. Il Dio che adora è un pensiero della sua mente, un’idea inventata da lui. Questa idea, questo pensiero spesso è pura idolatria, altre volte è una assai pallida e povera idea di ciò che è Dio in se stesso, in quest’idea molte sono le difformità dall’essenza del vero Dio che non le conformità.

Si pensi all’essere di Dio che uno e trino, uno nella sostanza, trino nelle persone. La Trinità è sconosciuta dalla totalità del mondo religioso. Il politeismo è la negazione del vero Dio. Il monoteismo è l’affermazione imperfetta e quindi non vera dell’unico Dio, che è sì unico, ma in tre Persone.

È questo il motivo per cui essi sono estranei alla vita di Dio. Non conoscono Dio, non partecipano della sua vita. Non si vedono in Lui, perché non hanno Lui. Non avendo il vero Dio, non hanno neanche il vero uomo. Solo il vero Dio dona il vero uomo, se non si ha il vero Dio impossibile avere il vero uomo. Si è prigionieri di un falso Dio ma anche costruttori di un falso uomo. Questo produce l’ignoranza del vero Dio e la non partecipazione alla sua natura.

E per la durezza del loro cuore: come se l’ignoranza da sola non bastasse, viene ad aggiungersi anche la durezza del cuore.

Alla mente si aggiunge il cuore. Ciò significa una cosa sola: impossibilità di scrivere nella coscienza la nozione di Dio secondo verità a motivo del rifiuto che il cuore di pietra oppone alla rivelazione, all’annunzio del Vangelo, alla proclamazione dell’unica via della vita che è Cristo Gesù nostro Signore, il Figlio dell’Altissimo che si fece carne nel seno della Vergine Maria.

La durezza del cuore dice impermeabilità ad ogni annunzio di verità. Per cui non solo si è prigionieri della propria falsità, questa prigionia diviene elemento che respinge la verità a motivo del cuore duro che dice l’essenza dell’uomo pagano. Costui si è costruito un involucro così duro che neanche la verità più pura riesce a romperlo per entrare in esso.

Chi lo può rompere è solo la grazia dello Spirito Santo, la sua Onnipotenza, la sua forza irresistibile. Solo per virtù dello Spirito di Dio questo cuore si scioglie e si apre alla verità.

Perché lo Spirito operi si richiede il sacrificio del cristiano, il dono della sua intera vita a Dio, data in espiazione dei peccati, offerta per la remissione della colpa, sacrificata perché un cuore si apra alla verità e accolga Cristo come sua unica via per accedere alla verità, alla vita, alla grazia che lo salva.

Il cristiano diviene così il martello dello Spirito per spaccare un cuore di pietra, mettere in esso la verità di Cristo, scioglierlo e farlo di carne.

Il cristiano è martello dello Spirito solo se sacrifica la sua vita per la salvezza dell’altro, solo se la dona interamente a Dio, in tutto come ha fatto il Figlio suo Gesù Cristo nostro Signore.

La grazia della redenzione del mondo è stata posta da Dio tutta in Cristo Gesù, in Cristo capo e in Cristo corpo. Se il corpo non diviene il martello dello Spirito, questi non opera, perché senza martello egli non può aprire un cuore e mettervi dentro Cristo Signore con la sua grazia di salvezza e di redenzione.

Quanti oggi affermano che è solo la grazia di Dio che salva dicono bene. Ma la grazia di Dio non è Dio, direttamente. La grazia di Dio è Cristo Gesù, è Cristo capo e Cristo corpo. La grazia di Dio è nella vita offerta, sacrificata, immolata del cristiano, corpo di Cristo, per la salvezza dei suoi fratelli.

L’uomo è la salvezza dell’uomo, ma solo se diviene in Cristo sacrificio di obbedienza perfetta al Padre, per la sua gloria. La gloria resa al Padre si trasforma in grazia di salvezza per il mondo intero.

Solo il cristiano che diviene un sacrificio, un olocausto per la gloria del Padre, si trasforma in un martello di salvezza posto nelle mani dello Spirito Santo per sconvolgere un cuore e dare ad esso la vita eterna che è Cristo Gesù.

La conversione del mondo è quindi in misura della santità cristiana. Più cristiani santi e più uomini fatti nuovi dallo Spirito di Dio. Più cristiani che divengono sacrificio e oblazione nel mondo per la gloria del Padre e più grazia di salvezza scende sulla terra, sempre in Cristo, per Cristo e con Cristo, per la conversione e la salvezza di molti.

Se il cristiano non si sacrifica, non si offre, non diviene olocausto per la gloria del Padre, il mondo resta nella sua ignoranza di Dio. Poiché l’ignoranza di Dio provoca anche ignoranza sull’uomo, questa ignoranza genera e partorisce una vita umana indegna dell’uomo, non consona all’uomo, perché è una vita impostata sulla falsità della conoscenza del suo essere e di conseguenza nell’immoralità. Su questo Paolo è chiaro. La storia conferma quanto egli dice.

[19]Diventati così insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza, commettendo ogni sorta di impurità con avidità insaziabile.

In queste poche parole è descritta la storia immorale dell’uomo senza Cristo, come sua unica fonte di vita.

Diventati così insensibili: l’insensibilità è alla verità, al bene, al giusto, a ciò che è conforme alla natura creata ad immagine e somiglianza di Dio.

Questa insensibilità è totale e avvolge l’uomo in ogni suo pensiero, idea, proposito, sentimento.

Questa insensibilità è irreversibile per natura. Non solo è irreversibile. Ogni giorno cresce, avvolgendo l’uomo sì da soffocarlo. Il risultato lo si può immaginare.

Si sono abbandonati alla dissolutezza: abbandonarsi ha un solo significato: lasciarsi totalmente andare, senza alcuna resistenza di volontà.

Questo abbandono, questa consegna non è al bene, ma al male; non è neanche al male, è al male totale, cioè alla dissolutezza.

La dissolutezza è lo scioglimento dell’uomo da ogni regola morale. Non solo non ci sono regole, non c’è semplicemente il male. Nella dissolutezza, il male è la sola regola che guida l’uomo.

Questo è vero. È vero perché lo attesta la Parola di Dio. È vero perché la storia è la più alta attestazione e la più precisa conferma che la Parola di Dio è vera.

Chi osserva la vita di coloro che non sono cristiani deve confessare che per la stragrande maggioranza di loro non c’è più regola morale. Questo non vale solo per i pagani, per quelli cioè che non hanno conosciuto Cristo o che non vogliono conoscerlo, vale anche per i cristiani che hanno scelto di abbandonare Cristo, che si sono distaccati da Lui, che vivono come se Cristo non esistesse.

Anche per loro non c’è più alcuna regola morale. La dissolutezza è la loro unica legge di vita, l’unica regola di ogni loro comportamento.

Chi è senza Cristo, anche nella Chiesa, non vede, perché anche lui è prigioniero dei pensieri della sua mente, che sono pensieri di tenebra e non di luce. Chi non vede il male e la dissolutezza che c’è intorno a sé, è senz’altro senza Cristo, perché solo Cristo è la luce che ci permette di vedere il male e la sua gravità.

La minimizzazione del male attesta che noi siamo poco inseriti in Cristo Gesù, la sua luce che squarcia le tenebre del male non è in noi e anche noi siamo ciechi, camminiamo in un mondo di ciechi spirituali e giustifichiamo la cecità morale e veritativa, così altro non facciamo che incrementare il male che è nel mondo anche con l’autorità del nome di Cristo che è in noi.

commettendo ogni sorta di impurità: lo scioglimento da ogni regola morale, l’abbandono al male, ha un effetto devastante sul nostro corpo. Questo serve soltanto per commettere ogni sorta di impurità. Senza Cristo, il nostro corpo è senza freno. Le passioni prendono il governo e lo schiavizzano.

Un corpo senza Cristo è un corpo schiavo delle passioni. La sovrana che le governa tutte è l’impurità.

Cosa è l’impurità? L’impurità è l’uso del corpo solo come strumento di piacere, di godimento immediato, in ogni campo e in ogni settore.

L’impurità è peccato contro la sacralità del nostro corpo che non è stato creato per il godimento e il piacere, ma per la gloria di Dio.

L’impurità è l’uso non santo, non buono, non giusto, non onesto, non convenevole, non modesto, non morigerato, non sobrio, non casto, non virtuoso del nostro corpo.

L’impurità è l’uso peccaminoso che facciamo del nostro corpo, nella trasgressione di ogni comandamento non solo del sesto o del nono.

Oggi l’impurità è stata costituita legge del nostro vivere sociale, statuto di progresso e di civiltà. Essa ha tanti nomi: omosessualità, pedofilia, matrimonio dello stesso sesso, libere convivenze, divorzio, scambio del partner, e tante altre diavolerie che è solo una vergogna pronunziarle.

Tutte queste cose non solo si commettono, le si approvano anche e le si dichiarano legge di progresso e di civiltà tra i popoli.

Questa è la prigionia dell’uomo senza Cristo. Non solo il suo cuore di pietra genera queste cose. Il suo pensiero, la sua mente gliele giustifica. È così l’uomo senza Dio genera pensieri e desideri iniqui. I pensieri e i desideri iniqui giustificano l’opera iniqua da lui compiuta, in una spirale senza salvezza.

con avidità insaziabile: ma c’è un’altra verità che fa ancora più paura. Il corpo dell’uomo è soggetto all’abitudine e l’abitudine, si sa, non produce godimento, piacere.

Perché il corpo possa provare piacere, godimento, è necessario che si cambi, che si creino nuove fonti di godimento e di piacere.

Poiché queste nuove fonti non sono dal male verso il bene, ma dal male verso un male sempre più grande, c’è come un’avidità insaziabile che conduce il corpo di male in male, in una cosa che è inarrestabile.

Ciò vuol dire che c’è un crescendo nella conoscenza del peccato e del male che non ha confini. Per l’uomo non c’è limite al suo male, non c’è confine alla sua prigionia.

Più si inabissa nel male e più ha bisogno di male per sussistere. L’assuefazione dell’uomo al male, al piacere, crea in lui un’avidità sempre più grande e sempre più insaziabile, il cui frutto è ancora avidità e sempre più avidità.

È proprio questo l’abbandono dell’uomo alla dissolutezza, all’impurità: la ricerca continua di nuove fonti di godimento, essendo quelle finora usate incapaci di soddisfare la sua sete di piacere, la sua fame di peccato.

Senza Cristo, la sorte dell’umanità è veramente di prigionia e di morte; è di prigionia in prigionia sempre più grande e di morte in morte sempre più avvolgente ogni respiro dell’uomo. È ben triste la storia dell’umanità senza Cristo. È ben più triste però pensare che i cristiani non vedano la gravità di questo male e in qualche misura lo giustifichino anche, come se fosse un fatto di natura, un fatto cioè che è connaturale all’uomo e quindi in qualche modo anche giustificabile: è fatto così, è così. Ma Cristo è venuto perché l’uomo non sia così. I Santi lo attestano, perché loro non sono stati così, non sono così, non saranno così.

Chi giustifica il male del male è anche prigioniero; chi dice che l’uomo è così, lo dice perché anche lui è così e non sa o non vuole che Cristo lo liberi, non chiede che Cristo lo liberi, non fa nulla perché sia liberato da Cristo.




Credente
00venerdì 2 novembre 2018 18:27

[20]Ma voi non così avete imparato a conoscere Cristo,


C’è una differenza sostanziale tra la conoscenza di Dio che hanno i pagani e la conoscenza di Cristo che possiedono i cristiani.


Se la conoscenza differente genera anche una vita differente, perché per molti degli Efesini non si riscontra una reale differenza di vita?


Perché molti degli Efesini hanno una vita in tutto uguale a quella dei pagani che non conoscono Dio?


La prima cosa che Paolo ribadisce è questa: l’insegnamento che lui ha dato di Cristo è vero e santo. Il Cristo che lui ha annunziato e presentato loro, anzi reso presente attraverso la sua vita, è il vero Cristo di Dio, il vero Dio e la sua è la vera Parola della salvezza. Perché allora il vero Cristo non genera dei veri uomini, differenti per pensiero, per comportamento, per scelta di vita, per costumi esemplari, per totale governo di ogni loro passione dai pagani?


Non è sufficiente che venga annunziato e testimoniato il vero Cristo perché i costumi cambino, le vite cambino, i comportamenti e i pensieri cambino. Non è sufficiente imparare a conoscere Cristo secondo verità, perché un uomo sia diverso da un altro uomo e neanche basta essere immersi nella sua morte e nella sua risurrezione perché la condotta vuota di un tempo scompaia.


Cosa è allora che fa la differenza tra l’uomo cristiano e l’uomo pagano?


[21]se proprio gli avete dato ascolto e in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù,


Mentre nel versetto precedente Paolo affermava il fatto di una conoscenza avvenuta, ora manifesta come realmente questa conoscenza si realizza nell’uomo.


La via della conoscenza di Cristo è l’ascolto di Lui. Per ascoltare Lui che parla al nostro spirito, dobbiamo proclamare la sua Parola. Noi diciamo la sua Parola secondo verità e Lui parla al nostro cuore secondo verità. Se noi non diciamo la sua Parola secondo verità, neanche Lui può parlare al nostro cuore secondo verità.


Occorre per questo che coloro che annunziano la Parola mettano ogni impegno a che per il loro ministero risuoni sempre vera la Parola di Cristo Gesù. Se questo non avviene non c’è vera conoscenza di Cristo. Ogni altra cosa per far conoscere Cristo è una via insana, vana, addirittura pericolosa, perché potrebbe e di fatto crea nella mente un falso Cristo.


Essere istruiti in Lui ha un significato di vera mistagogia. È la nostra introduzione nel suo mistero, nella sua vita.


Istruiti”, in questo contesto, non è più apprendere qualcosa della sua verità, del suo mistero. Istruire è essere formati di Lui, è assumere la sua vita in noi in modo che Lui prenda in sé la nostra vita e diventiamo una sola vita, in un solo corpo.


È questo stupendo mistero di unità che deve essere creato tra Cristo e noi e questo non può avvenire se non, ancora una volta, attraverso la Parola. Vivendo tutta la Parola di Cristo Gesù, Cristo prende dimora in noi e noi in Lui. C’è come una abitazione di Lui in noi e di noi in Lui. Quest’abitazione fa sì che si venga a creare una sola vita.


È questa sola vita l’istruzione che è richiesta al cristiano. Egli si deve lasciare istruire da Cristo, si deve lasciare formare in Lui, deve assumere la sua forma, il suo mistero, la sua vita, la sua missione, la sua obbedienza, la sua passione, la sua morte, la sua risurrezione.


Questa istruzione non può avvenire per un puro sentimento, né per pensiero e volontà umana, che decide cosa assumere di Cristo e cosa lasciare, cosa prendere e cosa trascurare.


Questa formazione di Cristo in noi ha una regola obbligata, un sentiero già tracciato; sentiero e regola sono la sua Parola. Non si conoscono altre vie perché Cristo possa essere formato in noi, se non attraverso la nostra formazione nella sua Parola, che deve tradursi in dimora di noi nella Parola e della Parola in noi e questo avviene quando facciamo della Parola di Cristo Gesù l’unica regola della nostra verità e della nostra vita.


Ecco perché Paolo tiene a precisare che l’istruzione del cristiano in Cristo avviene secondo la verità che è Gesù, ma la verità che è in Gesù è il suo mistero di morte e di risurrezione, è l’abitazione in Cristo di tutta la volontà del Padre.


C’è pertanto un solo modo per istruirsi secondo verità: lasciarsi formare dalla verità che è in Cristo Gesù. Questa verità Gesù l’ha fatta Parola e ce l’ha comunicata nel suo Vangelo. Il Vangelo è l’unica via della nostra istruzione in Cristo, perché il Vangelo è la sola verità di Cristo, il suo solo mistero.


[22]per la quale dovete deporre l'uomo vecchio con la condotta di prima, l'uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici


La verità di Cristo in noi non ci trasforma per una sorta di efficacia sacramentale. Il sacramento crea l’uomo nuovo, porta la grazia nel cuore dell’uomo, dona lo Spirito Santo, ci fa dimora della Santissima Trinità, ci costituisce anche un solo corpo con Cristo, ci rende partecipe della natura divina. Tutto questo fa il sacramento.


Però il Sacramento da solo non è sufficiente a far sì che l’uomo viva tutta questa novità di vita, crescendo in essa fino alla perfetta realizzazione di Cristo in Lui.


Occorre per questo l’impegno della volontà dell’uomo. Questo impegno deve accompagnare ogni azione del cristiano, ogni suo pensiero, ogni suggestione della mente, ogni sentimento del suo cuore.


C’è una responsabilità dell’uomo che deve essere assunta pienamente e questa responsabilità consiste nel mettere la volontà perché venga raggiunto il fine nuovo che è venuto a crearsi nella sua carne il giorno in cui è divenuto credente e si è lasciato battezzare nella morte e nella risurrezione di Cristo Gesù.


La volontà è chiamata a deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima. Il che significa che bisogna abbandonare tutte quelle azioni peccaminose che erano giustificate da noi a causa della nostra non conoscenza di Dio.


Ora conosciamo Cristo, il vero uomo, l’uomo perfetto, sappiamo che ci dobbiamo fare ad immagine di Lui e quindi la prima regola per formarci di Lui è quella di deformarci dell’uomo vecchio con tutto ciò che l’uomo vecchio comporta nei pensieri e nelle opere, nei sentimenti e nelle omissioni.


Tutto ciò che è uomo vecchio – essenzialmente per uomo vecchio si intende un uomo che vive senza Dio, vive come se Dio non esistesse, vive nella completa assenza nella sua vita della Parola del Signore – deve essere deposto per sempre, in modo abituale, non saltuario, occasionalmente. L’uomo vecchio che bisogna abbandonare è quello che si corrompe dietro le passioni ingannatrici. Tutto ciò che è passione tradisce una vita vissuta lontano dalla conoscenza della vera Parola di Dio.


La passione non edifica l’uomo nuovo. Non salva neanche l’uomo vecchio. Uccide l’uomo nuovo che è nato nelle acque del battesimo e corrompe l’uomo vecchio, riducendolo a volte in una totale deformazione della sua essenza e della sua umanità.


Le passioni sono ingannatrici, perché mentre promettono gioia e felicità all’uomo, altro non seminano nella sua carne se non morte. Il frutto della passione è la morte.


Mentre essa promette vita, l’uomo vi crede e si lascia irretire, altro non fa che seminare morte attorno a sé. Questa è la realtà del cristiano che non pone seriamente la sua volontà per l’edificazione in Lui di Cristo, la fonte della vita dell’uomo nuovo, operato in lui dallo Spirito Santo.


Come si può constatare nella nostra fede due sono i soggetti agenti, sempre: sia nella redenzione che nella edificazione dell’uomo nuovo: Dio e l’uomo, la grazia e la volontà umana, lo Spirito Santo e l’impegno dell’uomo; il Vangelo e la sua accoglienza; la grazia e il suo sviluppo nel nostro cuore.


Se uno di questi due elementi manca, l’uomo nuovo non si sviluppa, anche se è nato, ben presto morirà; l’uomo vecchio trionferà anche nel cristiano e lo condurrà ad una sicura morte, morte nel tempo che si concretizzerà come morte eterna, nell’inferno, per sempre.


[23]e dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente


Per costruire l’uomo nuovo occorre partire dalla mente. Il Vangelo parte dalla mente dell’uomo. Gli chiede di cambiare mente: questo è il significato della parola conversione, in greco: metanoia, oltre la mente.


Oltre la mente ha però un significato ben preciso: bisogna andare oltre ogni mente umana, se si vuole raggiungere ed entrare in possesso della verità di Cristo Gesù, verità dinamica e per nulla statica, verità che obbliga l’uomo a trascendersi sempre, ad abbandonare ciò che ha fatto ieri per entrare nella volontà di Dio che oggi ci viene comunicata attraverso il suo Santo Spirito.


Non c’è alcuna possibilità per rinnovare la nostra mente, se non l’abbandono della nostra mente, per assumere la mente di Dio.


Ora la mente di Dio si assume solo attraverso una via: togliendo i nostri pensieri e mettendo i suoi. Ma i pensieri di Dio sono tutti contenuti nel suo Santo Vangelo. Rinnovare la nostra mente significa pertanto abbandonare le nostre parole e mettere al loro posto le parole di Dio, la Parola di Dio, Parola che lo Spirito Santo ci offre ogni giorno secondo la sua eterna verità: verità completa, perfetta, santa.


È questo un lavoro che mai finisce. Dura tutta una vita. Ogni giorno ci dobbiamo confrontare con la Parola di Gesù, esaminare quanto viviamo di essa, perché è il nostro inserimento vitale in essa, che attesta e rivela quanto in verità noi siamo rinnovati o ci siamo lasciati rinnovare nella nostra mente.


Finché la mente non sarà cambiata, l’uomo vecchio spadroneggerà sempre su di noi e ci trascinerà in una concupiscenza senza limiti, in un peccato che non conosce frontiere, in una avidità che mai si sazierà. È proprio questa la caratteristica del peccato: la sua insaziabilità.


La vita spirituale ha delle regole. Queste regole bisogna che vengano osservate. Una di queste regole è quella di nutrire quotidianamente la nostra mente di Parola del Signore. Solo così la nostra mente cambia, si rinnova, va oltre se stessa, abbandona se stessa e al suo posto viene messa la mente di Dio, che è purissima verità di amore e di salvezza eterna.


[24]e rivestire l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera.


Messa nella nostra mente la mente di Dio, cambiati i nostri pensieri con quelli del Signore, contenuti nel suo Santo Vangelo, bisogna iniziare a rivestire l’uomo nuovo.


L’uomo nuovo è sì quello creato dallo Spirito Santo nel battesimo. Ma anche l’uomo nuovo, l’uomo vero, è Cristo Gesù.


Il cristiano è chiamato a rivestire l’uomo nuovo, rivestendo Cristo Gesù. Come avviene questa vestizione?


Prima di tutto viene qui manifestata la via attraverso cui è possibile fare l’uomo nuovo.


L’uomo nuovo lo fa il Signore. Lo fa per mezzo del suo Santo Spirito. Lo fa nel sacramento del battesimo mediante l’opera di mediazione della Chiesa.


Quest’uomo nuovo che dobbiamo rivestire è pura creazione, anzi pura nuova creazione. Non è opera nostra, è opera di Dio, non nasce dalla terra, discende dal cielo.


In questa nuova creazione l’uomo è fatto secondo Dio, nella giustizia e nella santità vera.


È creato secondo Dio, perché viene fatto secondo il disegno eterno che Dio ha sull’uomo e il disegno eterno è uno solo: fare ogni uomo ad immagine di Cristo Gesù, fare di ogni uomo un’immagine vivente del Figlio suo. Questa è la volontà eterna di Dio sull’uomo.


Quest’uomo nuovo è creato nella giustizia e santità vera. È reso partecipe della divina natura – è questa la santità vera –; è scritta nel suo cuore dallo Spirito Santo la legge, la volontà di Dio, che dovrà guidarlo per tutti i giorni della sua vita.


La legge, la giustizia, secondo la quale egli dovrà camminare è la volontà di Dio, sulla volontà di Dio lo muove e lo conduce lo Spirito del Signore, che è posto in lui, che si posa su di lui in modo stabile e permanente.


L’uomo nuovo è stato rivestito il giorno del battesimo. L’uomo nuovo Cristo Gesù deve essere rivestito ogni giorno e lo si riveste conformandoci a Lui, lasciandoci muovere dal suo Spirito perché si compia ogni Parola che Dio ha scritto per noi e vuole che noi la compiamo in ogni sua più piccola manifestazione di verità e di giustizia. C’è un’azione che è tutta posta nella volontà dell’uomo. Il risultato dipende dal suo impegno, dal suo quotidiano lavoro, dall’impegno che viene profuso in quest’opera tutta finalizzata a rivestire l’uomo nuovo.


La nuova vita si riceve in dono, bisogna però farla crescere e fruttificare. La crescita e la fruttificazione sono anch’esse dono di Dio, dipendono però dalla volontà dell’uomo, dal suo impegno, dal suo lavoro.


Non lo si dimentichi: Dio e l’uomo insieme per la redenzione, la giustificazione, la santificazione dell’uomo. Dio e l’uomo insieme per la redenzione, la giustificazione, la santificazione del mondo intero.


Dio c’è sempre con il suo dono di grazia e di verità, con il dono di Cristo e dello Spirito Santo. Sovente manca l’uomo, manca la sua volontà, il suo impegno, il suo costante lavoro.


È sempre a causa dell’uomo che l’opera della salvezza o viene impedita, o ritardata, o espletata male, o fallisce del tutto. Se un solo uomo si perde nel mondo, non è certo per mancanza di grazia da parte di Dio; si perde perché colui che è stato incaricato a portare la grazia e la verità, divenendo lui stesso grazia e verità per i suoi fratelli, è venuto meno in questo compito.


Lui che avrebbe dovuto presentarsi ai fratelli rivestito dell’uomo nuovo, trasformato in Cristo, l’Uomo nuovo, si è invece presentato da uomo vecchio, impedendo così alla grazia di poter agire efficacemente per la salvezza.


[25]Perciò, bando alla menzogna: dite ciascuno la verità al proprio prossimo; perché siamo membra gli uni degli altri.


Come si costruisce concretamente l’uomo nuovo e come si vive da uomini nuovi?


Ci sono delle cose che rivelano se siamo nella verità o nella falsità, se abbiamo rivestito l’uomo nuovo, oppure agiamo ancora secondo l’uomo vecchio.


Il cristiano è uomo nuovo perché è passato dalle tenebre alla luce e dalla menzogna nella verità.


Cosa è la menzogna e cosa è la verità, dal momento che il cristiano deve bandire dalla sua vita la menzogna?


La menzogna è l’inganno perpetrato ai danni del fratello. Il fratello è da amare, rispettare, servire nel bene con la parola e con le opere.


Quando si causa un danno al fratello per mezzo di una parola falsa, non lo si ama, non lo si serve, non lo si aiuta nel suo farsi e divenire in tutto simile a Cristo Gesù.


Invece il prossimo è da aiutare servendolo con una parola sempre santa, che non solo gli indichi il cammino della vita, ma anche lo aiuti nelle cose umane, della terra, a realizzare se stesso secondo la volontà di Dio.


La menzogna deve essere bandita nelle relazioni tra cristiani non solo per motivi di ordine morale, ma anche di ordine teologico, anzi di ordine Cristologico. I cristiani in Cristo formano un solo corpo, in Cristo sono membra gli uni degli altri. Dire una menzogna al fratello, allontanarlo dalla verità, provocargli un danno morale, spirituale, materiale, non è un danno provocato a lui, a colui cui la menzogna viene proferita, il danno è provocato a tutto il corpo e di conseguenza anche colui che dice la menzogna, che inganna il suo prossimo, inganna se stesso, mente a se stesso, porta fuori della verità se stesso.


La menzogna, come ogni altro peccato che il cristiano commette contro gli altri, è un danno provocato direttamente a se stesso, in quanto corpo di Cristo e quindi membro di colui al quale il danno è stato arrecato.


In questo versetto ci sono però due obblighi. Oltre quello di bandire la menzogna, c’è l’altro che ci chiama a dire la verità al prossimo.


Cosa intende dirci Paolo richiamando questo obbligo? Vuole dirci una cosa assai semplice: il cristiano deve volere il bene del fratello, tutto il bene, il più grande bene. Ora non c’è bene se non nella verità. Non c’è carità se non nella verità. Non dire la verità al fratello è nascondergli la via della vita, la via del suo bene, la via della salvezza.


Come può uno amare il fratello, se gli nasconde la via della vita e della salvezza? Se non lo aiuta concretamente, almeno con la parola, a trovare la via della vita e della salvezza?


Quest’obbligo non è una piccola cosa. È una grande cosa. In questo obbligo è la vita dei fratelli. A volte basta una parola per salvarli e non la si dice loro. Siamo responsabili della loro non vita, della loro non riuscita, di ogni difficoltà nella quale si imbattono a causa di quest’obbligo non osservato.


Quest’obbligo stravolge tutte le nostre relazioni sociali. Queste relazioni il più delle volte sono fatte sulla menzogna, sull’inganno. Sempre però sono impostate sul nascondimento della verità.


La parola del cristiano è via di vita e di salvezza. Il cristiano può essere anche il più povero tra i più poveri, però potrebbe salvare il mondo se si decidesse ad avere sempre una parola di verità sulla sua bocca.


La verità è la ricchezza del cristiano e con essa può fare ricco il mondo. Dire la verità, dirla sempre, in ogni circostanza, impostare le nostre relazioni sulla verità, è il modo di Cristo di vivere la carità.


[26]Nell'ira, non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira,


L’ira è la perdita del controllo delle nostre azioni. Parola e gestualità sfuggono alla nostra razionalità, alla volontà.


Nell’ira l’uomo non è più uomo, perché non è più nel governo di se stesso.


Paolo concepisce che uno possa adirarsi per dei motivi gravi, possa cioè alterare la sua voce e i suoi gesti, ma qual è il limite di questa alterazione?


Vengono qui poste due condizioni all’ira: la prima è che non si superi il limite oltre il quale c’è il peccato. Per questo occorre un serio dominio di sé, perché anche con la lingua non si dicano parole sconvenienti, disdicevoli per un cristiano.


Le parole sconvenienti vanno dall’ingiuria, dall’insulto (si pensi alla parola di Gesù che ci proibisce di chiamare stupido, stolto un nostro fratello), fino alla bestemmia, peccato gravissimo contro Dio.


I gesti a volte possono provocare gravi danni che vanno dalle lesioni alla persona fino ad infliggere la morte (o in modo diretto o in modo indiretto) con conseguenze che lasciano strascichi per tutta la vita.


La seconda condizione vuole che subito dopo l’alterazione si ritorni nella normalità dell’esistenza. Per questo chi si è lasciato prendere dall’ira, deve nel più breve tempo possibile ritornare nella sua pacatezza e serenità e ristabilire ogni contatto interrotto con i proprio fratelli.


La via ordinaria del cristiano è la pace, la serenità, la tranquillità nelle relazioni. Tutto il resto non è via secondo Dio. Se a causa della non ancora raggiunta perfezione si dovesse cadere in un qualche peccato, anche lieve, nelle relazioni, è giusto che si ripari al più presto e il più presto per Paolo è nella stessa giornata. Domani potrebbe essere tardi. Un altro giorno potrebbe divenire impossibile. Un altro ancora irreversibile.


[27]e non date occasione al diavolo.


Cosa è l’occasione data al diavolo? È quell’occasione propizia per la sua tentazione e quindi per la nostra caduta nel peccato.


Se si legge questa esortazione di Paolo alla luce di quanto ha detto finora: menzogna e ira, l’occasione che si dona al diavolo è questa: infrangere i rapporti della comunione che devono sempre regnare in seno all’unico corpo del Signore Gesù.


Se un fratello scopre che l’altro fratello lo inganna, non gli dice la verità, tiene nascoste cose necessarie per la sua vita, lo tiene lontano dalla fonte della vita, questo fratello che si sente ingannato perde la fiducia nel fratello che lo inganna. Qual è il risultato? Viene a crearsi nel corpo di Cristo una spaccatura, uno scisma, una divisione. Un fratello è contro l’altro fratello perché si sente defraudato in qualcosa da costui.


Se invece riguarda l’ira, si perde la fiducia nell’altro che si adira, perché non lo si giudica un uomo paziente, misericordioso, accogliente, benevolo, padrone di sé, libero dalle cose di questo mondo.


È vero che chi subisce il torto o della parola, o dell’ira dovrebbe essere superiore a queste cose. Ma anche che è superiore, anche se si trova impegnato in un cammino di perfezione, satana potrebbe approfittare per inoculare nel suo cuore un veleno di morte, un veleno di giudizio, di condanna, un veleno di rottura della comunione e di diffidenza perenne.


Sono proprio queste cose che turbano il buon andamento di una comunità.


Nessuno conosce l’astuzia di satana, così perfida e malvagia, da approfittare anche di una cosa anodina, senza importanza, minima, senza significato alcuno, per iniettare nel cuore il dubbio sull’altro, il giudizio sfavorevole, la condanna, la riprovazione. Queste sono cose tutte che rompono la comunione, perché creano nel cuore un pensiero contrario alla carità, all’amore, alla stima, alla fiducia.


Su questo bisogna prestare la più grande attenzione. La vigilanza non è mai troppa. A volte anche una parola detta così, per semplicità, dona occasione al diavolo di portare nel nostro cuore dei sentimenti contrari verso il fratello. In questo caso, quando l’altro non c’entra per niente, perché siamo noi che non siamo sufficientemente formati, forti, liberi, chi ci può aiutare è senz’altro la preghiera innalzata immediatamente alla Vergine Maria, Madre della Redenzione.


Il suo aiuto è determinante, indispensabile, per vincere l’occasione data al diavolo di tentarci, attraverso una sola parola vana che è uscita dalla nostra bocca. Il suo aiuto ci toglie dall’occasione e ci riporta in un cammino assai normale, soggetto sempre alle insidie e alla tentazione del principe di questo mondo. Ma anche questo cammino ordinario si deve percorrere con l’aiuto della Vergine Maria. Lei è garanzia sicura di vittoria sul diavolo e i suoi angeli.


[28]Chi è avvezzo a rubare non rubi più, anzi si dia da fare lavorando onestamente con le proprie mani, per farne parte a chi si trova in necessità.


Il furto è l’appropriazione di una cosa non nostra contro la volontà del padrone, che deve essere sempre esplicita, mai implicita. In morale è definito: “ablatio rei alienae invito domino”. L’asportazione della cosa degli altri senza la volontà del padrone.


Ciò che non è nostro, mai deve poter divenire nostro per nostra sola volontà. Può divenire nostro per volontà libera, mai costretta, mai raggirata, o ingannata, del padrone.


Le modalità del furto sono infinite. Esse vanno dalla invisibilità dell’azione, ad un’azione eclatante di paura, o di terrore, che può finire anche nello spargimento del sangue.


Non importa come avviene l’azione, importante è sapere che la cosa degli altri non ci appartiene, non può appartenerci, non ci apparterrà mai. La cosa è dell’altro è rimane sempre dell’altro. “Res clamat dominum”. Ogni cosa richiede e domanda il suo signore, il suo padrone.


Per quanto riguarda la gravità del peccato: il furto rimane sempre furto e va dal peccato veniale se la cosa asportata è di lieve entità, fino a raggiungere il peccato mortale in materia grave.


È giusto ricordare che il furto si ripara solo con la restituzione.


Al peccato del furto possono aggiungersi altri peccati. I comandamenti violati generalmente sono il quinto e il decimo.


Qui la gravità si misura in base all’azione commessa e quindi va giudicata caso per caso.


Il cristiano non può rubare, oltre che non deve. Non può per un fatto assai semplice: egli nella sua nuova costituzione, nella nuova rigenerazione, è l’uomo che dona, non l’uomo che prende. È l’uomo che dona tutto se stesso ai fratelli; è l’uomo che si fa sacrificio, oblazione, vittima d’amore per gli altri.


Il furto, più di ogni altro peccato, contraddice palesemente la sua nuova costituzione. Egli è l’uomo del dare, del dare se stesso, del consumare la sua vita per gli altri, dell’immolare se stesso per la salvezza del mondo. A questo è chiamato il cristiano. Per questo motivo egli non può rubare.


Inoltre c’è sempre per lui il comandamento delle origini: “ti guadagnerai il pane con il sudore di tua fronte”. Questo comandamento non è stato abolito, non sarà mai abolito.


Chi non mangia il proprio pane lavorando onestamente con le sue mani, commette un furto, prende ciò che non è suo, che non gli appartiene e così facendo contraddice in modo sostanziale il suo nuovo modo di essere in Cristo.


Paolo però vede anche il lavoro in funzione del corpo di Cristo. In questo corpo ci sono cellule che possono lavorare e cellule in necessità, che sono fisicamente impossibilitate a svolgere una qualsiasi attività.


Il cristiano è chiamato non solo a lavorare per sé, è anche invitato a lavorare per gli altri, a fare parte di quanto possiede alle altre membra del corpo di Cristo.


Ancora una volta siamo ricondotti alla nuova essenza che è stata creata in noi dallo Spirito nel santo battesimo. Siamo stati rigenerati, ma anche fatti e costituiti membra del corpo di Cristo.


Nel corpo di Cristo c’è una sola legge: quella della comunione e della solidarietà. Questa legge è reale, non ideale, di pura fantasia o di immaginazione. È legge che obbliga a sostenere chi è in difficoltà, nel bisogno, che versa in necessità.


Essendo noi un solo corpo, la necessità è del corpo, non della singola cellula e chi lavora è sempre il corpo, non la singola cellula. Ora è dovere del corpo sovvenire alle necessità della singola cellula ed è dovere della singola cellula sovvenire alle necessità dell’intero corpo.


Questa è la legge che bisogna vivere all’interno del corpo del Signore, perché questa è la verità che governa tutto il corpo di Gesù.


È questa l’unica straordinaria potenza per la creazione di relazioni sante tra gli uomini. Se il cristiano non vive la sua nuova essenza, egli non può dirsi corpo di Cristo. È corpo di Cristo, ma cellula morta. La vita di Cristo non passa più attraverso di essa, non si ferma in essa e non raggiunge il mondo.


È questa la contraddizione cristiana che dobbiamo evitare, se vogliamo essere testimoni incisivi nella storia, tra gli uomini.


Un non credente che vede ogni giorno il cristiano calpestare la sua essenza, perché vive in una perenne contraddizione con essa, e la contraddizione è sempre di peccato, come potrà credere nel Signore Gesù?


Se colui che è suo testimone ne mostra una immagine falsa, chi potrà mostrare quella vera a colui che non crede?


Su questo bisogna riflettere. Noi oggi abbiamo tutto incentrato sulla carta la nostra verità.


La verità del cristiano non deve essere sulla carta, ma sulla carne; non deve essere su un testo di teologia, ma prima di tutto nella testa del cristiano e nel cuore, per essere nell’anima, nei sentimenti, in tutto il suo corpo. Finché la nostra verità sarà sulla carta, nessuna possibilità ci sarà mai di rendere vera testimonianza a Cristo Gesù.


La rivoluzione cristiana inizia quando si passa dalla carta alla carne e dal testo alla testa e quindi al cuore e allo stesso corpo, passando per ogni suo sentimento. La carne è la via della salvezza, la via della vita.


[29]Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto, parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano.


Il discepolo di Gesù deve possedere il perfetto controllo della sua bocca. Chi controlla la bocca controlla il cuore. Il cuore puro genera una bocca pura; la bocca pura è segno di un cuore puro.


Il cristiano deve imitare il suo Maestro anche nell’uso della lingua. La volontà di Gesù la conosciamo: “Sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Mt 5,37).


Questo è stato detto a proposito del giuramento. C’è anche un’altra parola di Gesù che merita di essere ascoltata: “Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde.


Perciò io vi dico: Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. A chiunque parlerà male del Figlio dell'uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro.


Se prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono; se prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo: dal frutto infatti si conosce l'albero. Razza di vipere, come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? Poiché la bocca parla dalla pienezza del cuore. L'uomo buono dal suo buon tesoro trae cose buone, mentre l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae cose cattive.


Ma io vi dico che di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato” (Mt 12, 30-37).


La parola di Gesù è verità. Cuore e parola sono intimamente connessi. La parola può distruggere un uomo. Ne basta a volte una sola.


C’è un comandamento che è posto a salvezza dell’uomo: l’ottavo: “Non dire falsa testimonianza”, nel quale sono contemplate tutte le altre parole che possono nuocere ai fratelli: calunnie, giudizi temerari, mormorazioni, pettegolezzi, dicerie ed altro.


Paolo raccoglie tutto in una espressione: “Parola cattiva”, e si intende ogni parola dell’uomo che arreca un danno al fratello, ogni parola inutile, vana, insensata, vuota, non pesata, non misurata, ambigua, a doppio senso, triviale, scurrile, grassa, zozza e via dicendo. È parola cattiva ogni parola che va oltre il sì e oltre il no, raccomandati, voluti da Cristo Gesù, specie se ferisce in qualche modo l’8° comandamento. Perché questo non accada non è la bocca che bisogna pulire, ma il cuore, perché è il cuore la sede di ogni parola che esce dalla nostra bocca.


San Giacomo dice addirittura che la sede della parola cattiva è la geenna del fuoco : “Fratelli miei, non vi fate maestri in molti, sapendo che noi riceveremo un giudizio più severo, poiché tutti quanti manchiamo in molte cose. Se uno non manca nel parlare, è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo.


Quando mettiamo il morso in bocca ai cavalli perché ci obbediscano, possiamo dirigere anche tutto il loro corpo. Ecco, anche le navi, benché siano così grandi e vengano spinte da venti gagliardi, sono guidate da un piccolissimo timone dovunque vuole chi le manovra. Così anche la lingua: è un piccolo membro e può vantarsi di grandi cose. Vedete un piccolo fuoco quale grande foresta può incendiare!


Anche la lingua è un fuoco, è il mondo dell'iniquità, vive inserita nelle nostre membra e contamina tutto il corpo e incendia il corso della vita, traendo la sua fiamma dalla Geenna. Infatti ogni sorta di bestie e di uccelli, di rettili e di esseri marini sono domati e sono stati domati dalla razza umana, ma la lingua nessun uomo la può domare: è un male ribelle, è piena di veleno mortale.


Con essa benediciamo il Signore e Padre e con essa malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio. È dalla stessa bocca che esce benedizione e maledizione. Non dev'essere così, fratelli miei!


Forse la sorgente può far sgorgare dallo stesso getto acqua dolce e amara? Può forse, miei fratelli, un fico produrre olive o una vite produrre fichi? Neppure una sorgente salata può produrre acqua dolce. Chi è saggio e accorto tra voi? Mostri con la buona condotta le sue opere ispirate a saggia mitezza.


Ma se avete nel vostro cuore gelosia amara e spirito di contesa, non vantatevi e non mentite contro la verità. Non è questa la sapienza che viene dall'alto: è terrena, carnale, diabolica; poiché dove c'è gelosia e spirito di contesa, c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni. La sapienza che viene dall'alto invece è anzitutto pura; poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia.


Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace.


Da tutto il capitolo 2° che è stato riportato si può notare quanta attenzione è richiesta al discepolo di Gesù nell’uso della lingua. Questo a motivo del male che essa può generare in seno alla comunità degli uomini.


Ma già l’Antico Testamento (Sir 28,13-26) aveva messo in guardia gli uomini dall’uso della lingua:


Maledici il delatore e l'uomo di doppia lingua, perché fa perire molti che vivono in pace. Una lingua malèdica ha sconvolto molti, li ha scacciati di nazione in nazione; ha demolito forti città e ha rovinato casati potenti. Una lingua malèdica ha fatto ripudiare donne eccellenti, privandole del frutto delle loro fatiche. Chi le presta attenzione non trova pace, dalla sua dimora scompare la serenità.


Un colpo di frusta produce lividure, ma un colpo di lingua rompe le ossa. Molti sono caduti a fil di spada, ma non quanti sono periti per colpa della lingua.


Beato chi se ne guarda, chi non è esposto al suo furore, chi non ha trascinato il suo giogo e non è stato legato con le sue catene. Il suo giogo è un giogo di ferro; le sue catene catene di bronzo. Spaventosa è la morte che procura, in confronto è preferibile la tomba.


Essa non ha potere sugli uomini pii, questi non bruceranno alla sua fiamma. Quanti abbandonano il Signore in essa cadranno, fra costoro divamperà senza spegnersi. Si avventerà contro di loro come un leone e come una pantera ne farà scempio.


Ecco, recingi pure la tua proprietà con siepe spinosa, lega in un sacchetto l'argento e l'oro, ma controlla anche le tue parole pesandole e chiudi con porte e catenaccio la bocca. Stà attento a non sbagliare a causa della lingua, perché tu non cada davanti a chi ti insidia”.


Sia l’Antico che il Nuovo Testamento vedono la straordinaria capacità di distruzione che possiede la parola dell’uomo. L’uso della lingua per il male è vietato al cristiano in tutto. Questa è la regola. Altre regole non esistono.


È pertanto “parola cattiva” ogni parola che genera un danno al fratello, anche lieve, anche se è di scandalo dei piccoli, anche se è un turbamento del suo spirito a causa di una nostra parola, che per noi potrebbe essere parola innocente, gli altri potrebbero anche giudicarla male.


La prudenza nell’uso della lingua deve essere piena, totale. Per questo è necessario chiedere allo Spirito Santo che metta sulle nostre labbra sempre una parola buona, saggia, clemente, sobria, vera, opportuna, creatrice di verità e di pace nel cuore dell’altro.


Un Sacerdote, che è bocca di Cristo Gesù, è obbligato in ragione della sua configurazione a Cristo, a parlare in tutto come Cristo, ma per questo gli è necessario anche il cuore di Lui.


Paolo dona anche lui una regola circa l’uso della parola. Bisogna che ogni nostra parola sia una parola di edificazione, una parola di salvezza, una parola che porti verità e pace nei cuori.


Chi deve essere edificato nei cuori è Cristo Gesù. La nostra parola è di edificazione se è una parola di Dio, proferita in Cristo Gesù, con l’assistenza quotidiana dello Spirito Santo.


Tuttavia bisogna possedere nel cuore una certezza: il cristiano è responsabile di ogni sua parola che non ha contribuito a edificare Cristo nei cuori dei suoi fratelli, che non ha operato per un radicamento della verità, che non ha operato il rinnovamento di un cuore.


La parola del cristiano deve essere creatrice al pari di quella di Dio. Cosa deve creare la parola del cristiano? Essa deve creare nuovi i cuori, le menti, gli spiriti. Deve aiutare ogni uomo a pensare e a volere secondo Dio e per questo è necessario che dalla sua bocca escano solo parole di verità, di giustizia, di pace, di misericordia, di scusa, di perdono, parole di santità, di amore, di comprensione, di sano discernimento. Queste sono le parole buone che fanno bene al cuore e alla mente di chi ascolta.


Ma Gesù ci dice che il santo avrà una parola santa, mentre il cattivo avrà una parola cattiva. La parola è la misura della santità di un uomo.


Se dobbiamo operare un giudizio di verità sul cuore dell’uomo del nostro tempo, dobbiamo dire che è frivolo, sporco, lussurioso, mendace, di parte, incapace di verità e di carità.


Immerso soprattutto nelle cose della terra, senza alcuna capacità di elevarsi verso il cielo. Quello dell’uomo odierno è un cuore che non vede Dio, quindi un cuore non puro. Se il suo cuore non è puro, neanche le sue parole saranno pure.


Le parole è evidente che non sono pure, manifestano e rivelano pertanto un cuore anch’esso impuro.


Credente
00venerdì 2 novembre 2018 18:28

30]E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, col quale foste segnati per il giorno della redenzione.


Quando si rattrista lo Spirito dentro un cristiano?


È assai facile saperlo: quando il cristiano agisce difformemente da ciò che è lo Spirito in sé.


Lo Spirito di Dio è: verità, sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, conoscenza, scienza, pietà, timore del Signore.


Lo Spirito di Dio è Spirito che dona la vita.


Lo Spirito di Dio è lo Spirito che deve formare Cristo nei nostri cuori.


Lo Spirito di Dio deve condurci verso la verità tutta intera.


Lo Spirito di Dio deve creare in noi il cuore nuovo, la mente nuova, l’anima nuova, i sentimenti nuovi. Tutto deve fare nuovo in noi. Questa è la sua opera.


Lo Spirito del Signore è comunione, unità, armonia, libertà.


Ogni qualvolta il cristiano agisce difformemente dall’essenza divina che è lo Spirito Santo, egli lo rattrista. Lo rattrista perché lo costringe all’inazione, o ad un’azione imperfetta.


Lui è dentro di noi per fare attraverso noi nuovo il mondo, nuovi i cuori, nuove le menti, nuove le anime, nuovi i sentimenti, nuovi i rapporti, nuove le comunità, nuove le relazioni, tutto egli deve fare nuovo, riempiendolo di verità e di carità e noi invece altro non facciamo che tutto vecchio: vecchi facciamo i cuori e le menti, vecchi facciamo i sentimenti, vecchie le anime e ogni altra cosa.


Facciamo tutto vecchio perché o lo lasciamo nel peccato, o contribuiamo a che il peccato si radica, come erba velenosa, nel cuore dei fratelli.


Lo Spirito non può gioire per questa nostra opera cattiva. Egli si rattrista. Potrebbe attraverso noi operare nel mondo santità e giustizia, mentre le nostre membra che sono a suo servizio per l’opera della salvezza, altro non fanno che operare iniquità.


È sempre un’opera di iniquità quella che non crea salvezza attorno a sé, anzi contribuisce a che l’uomo non solo rimanga nel peccato, ma anche a radicarsi ancora più profondamente in esso.


[31]Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità.


Paolo ci ha invitato a non usare mai una parola cattiva. Ora ci offre alcuni comportamenti, in cui necessariamente la parola non è buona.


Il cristiano non deve conoscere:


Asprezza: l’asprezza è il contrario della dolcezza, della mitezza, della calma interiore, della posatezza. L’asprezza dice violenza di parole e di fatti. Essa è non controllo delle nostre azioni. L’aspetto violento prende il posto all’affabilità che deve sempre governare il cristiano nei suoi rapporti con il mondo intero.


Il cristiano deve sempre controllare ogni suo comportamento; non solo, deve renderlo anche dolce e affabile. Quando questo avviene, egli è un perfetto imitatore di Cristo Gesù. Diviene un uomo che può parlare ai fratelli, può relazionarsi con loro, perché li tratta sempre come persone che hanno una loro dignità, che non può essere mai lesa, anche quando sono in contrasto con quanto noi diciamo, affermiamo, vogliamo.


L’asprezza non considera che “nessuno è nostro schiavo”. Tutti siamo soggetti a Dio e solo a lui bisogna rendere domani conto.


Sdegno: Lo sdegno è un sentimento forte di ripulsa contro i fratelli, dei quali non condividiamo il loro modo di agire.


Vorremmo una totale loro sottomissione alla nostra volontà. Questo non avviene e allora ci separiamo da loro, ci allontaniamo, li trattiamo come un corpo ostile, estraneo, nemico, come un corpo che ci dona fastidio.


Lo sdegno è il fastidio del nostro spirito per qualcosa che vorremmo fosse di nostro gradimento, mentre in realtà non lo è.


Anche nello sdegno dimentichiamo che noi non siamo i padroni dei fratelli. Noi siamo i loro servi. Siamo a loro servizio per il dono della verità e della grazia. Il resto non è più di nostra competenza.


Ira: L’asprezza e lo sdegno sono la porta dell’ira. Mentre con l’asprezza e lo sdegno l’uomo ha ancora il possesso delle sue azioni, con l’ira perde questo possesso.


L’uomo non si controlla più. Non controlla le parole, non controlla i suoi gesti, le sue opere.


Qualsiasi cosa fa, potrebbe divenire assai pericolosa, perché non ne misura più la gravità.


Molti a causa dell’ira hanno commesso orrendi misfatti.


Il cristiano invece deve possedere sempre il dominio di sé. Neanche una parola deve uscire dalla sua bocca, senza averne prima pesata la gravità. Dei gesti neanche si deve parlare. Nessun gesto è consentito al cristiano che non sia per il bene, anzi per un bene sempre più grande.


Clamore: è quel chiasso inutile, tutte quelle parole vane che vengono gridate attorno a noi. È quel vocio infernale attraverso il quale si vuole ottenere ragione, mentre in verità non si è nella giustizia secondo Dio.


Fare chiasso attorno a sé non è la via del cristiano. La via del cristiano è il silenzio, è la preghiera, è il totale affidamento a Dio della sua causa, è la mitezza e la semplicità del suo spirito.


La verità non sta nell’alzare la voce, nel gridare, nel fare rumore. La verità è nella parola che si dice e basta. La verità ha la forza di imporsi da se stessa. Da se stessa, per virtù dello Spirito Santo, penetra in un cuore e lo conquista.


E maldicenza: Mentre l’asprezza, lo sdegno, l’ira, il clamore riguardano il comportamento sbagliato. Il principio potrebbe essere anche santo, quello che si vuole difendere, mentre il metodo, la via, le scelte pratiche per la difesa non sono sante, nella maldicenza non è santo il principio.


Nella maldicenza c’è un male in sé che bisogna evitare. È il male è dire male degli altri.


Al cristiano non è consentito dire male di nessuno. Lui non è giudice di nessuno e nessuno deve cadere sotto la sua lingua.


Dire male è peccato grave. La maldicenza potrebbe raggiungere la calunnia e quando si arriva alla calunnia, c’è anche l’obbligo della riparazione.


Cosa impossibile da fare, perché le parole che escono dalla bocca, dal vento vengono sparse nell’intero universo.


Il cristiano deve mettere ogni attenzione al fine di evitare ogni parola di male contro il fratello, da quella quasi senza importanza all’altra molto più grave e dalle conseguenze incalcolabili.


La nostra società, che è società della parola, nella quale di tutto si parla, su tutti si sparla, deve sapere che con la parola si salva una persona e con la parola la si distrugge. Oggi i mezzi di comunicazione hanno un impatto devastante sulle folle. Per questo bisogna essere altamente saggi e prudenti prima di proferire una sola parola.


Oggi la maldicenza sembra essere divenuta uno stile di vita, un modo di essere, di relazionarsi, di comportarsi. Paolo invece ci avverte che la maldicenza deve essere bandita da noi.


La bocca del cristiano deve dire la verità, deve condurre alla verità, deve astenersi anche di altre parole buone che nel momento sono inutili, perché non c’è dall’altro lato una persona che sia disposta ad accoglierle.


Con ogni sorta di malignità: La maldicenza è dire male dell’altro. Si dice male perché l’altro ce lo consente, in quanto ciò che opera è male, o almeno da noi viene giudicato un male.


Nella malignità invece il male viene creato dal cuore. Lo si inventa e poi lo si attribuisce alla persona.


Nella malignità il cuore è cattivo, pensa e inventa cose cattive sugli altri, trasforma questa invenzione in parola, la proferisce, la dice dinanzi al mondo intero, provocando nei fratelli dei danni incalcolabili. Quando si arriva a questo è il segno che il nostro cuore è diventato di pietra, perché solo un cuore di pietra, non scalfito dalla grazia di Dio, vuole il male per i suoi fratelli, questo male lo pensa e lo dice, lo diffonde.


La malignità affonda le sue radici nel nostro cuore maligno. La malignità è di satana e trova la sua forza di penetrazione nelle menti solo per mezzo della menzogna. Ma tutta la malignità è menzogna, perché è desiderio di male contro i nostri fratelli.


È quanto avvenne nel Giardino dell’Eden. Satana, maligno e malvagio, disse male di Dio, mentendo ad Eva. Questa lo ascoltò e fu la rovina dell’umanità intera. La malignità ha il suo motore potente nell’invidia.


[32]Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.


Il cristiano non solo non deve fare il male, deve soprattutto operare il bene. Non dire male è solo l’inizio del cammino verso la realizzazione di Cristo in noi.


Una cosa che Paolo raccomanda è la benevolenza e la misericordia.


Nell’uomo mente e cuore devono essere una cosa sola: la mente deve volere il bene, il cuore deve attuarlo; la mente lo vede, il cuore lo realizza, lo compie. La mente lo discerne, il cuore lo pone in essere.


L’uomo è benevolo, solo quando si pone dinanzi ai suoi fratelli con un solo desiderio: il bene del fratello. Il cristiano non può volere altro per i suoi fratelli, se non il bene.


Il bene però deve volerlo sotto ogni aspetto e deve essere il bene di tutta la persona. L’altro deve essere visto solo come oggetto di bene. Questa è la benevolenza. Quando un cristiano raggiunge questa maturità, egli è sulla via dell’imitazione di Cristo Gesù.


Con la misericordia, il bene voluto, desiderato, bramato, si trasforma in opera, in impegno concreto.


Il misericordioso è colui che concretamente mostra l’amore ai fratelli e lo mostra compiendo opere di carità.


Uno è vero discepolo di Gesù se l’opera di carità la compie senza guardare in faccia a nessuno, anzi bisogna essere misericordiosi proprio nei confronti di coloro che nulla possono fare per noi.


Gesù ci insegna di essere misericordiosi come è misericordioso il Padre nostro celeste e la misericordia del Padre è verso tutti, buoni e cattivi, cristiani e pagani, credenti e atei, religiosi e infedeli.


Solo alla sera della vita, presentandoci al suo cospetto, ci è chiesto di rendere ragione della carità che abbiamo vissuto, perché sarà la carità che ci aprirà le porte del regno dei cieli.


Un’opera grande di misericordia è il perdono dei fratelli, se in qualche cosa ci avessero offeso. Sul perdono bisogna dire due cose: esso è l’opera tipicamente cristiana. Il cristiano è colui che perdona tutto, indistintamente, senza guardare in faccia colui che lo ha offeso.


La seconda cosa è questa: se dobbiamo perdonare i fratelli come Cristo ha perdonato noi, o come il Padre ha perdonato noi in Cristo, se Cristo è il nostro modello e l’unica via del perdono nel mondo, allora bisogna aggiungere che perdonare gli altri è anche offrire la vita per gli altri perché Dio perdoni il loro peccato e conceda loro la grazia della salvezza eterna.


Senza una grazia particolare l’uomo difficilmente conosce il perdono. La carne non ha come legge il perdono, bensì la vendetta, il desiderio di giustizia e altro.


Senza l’inserimento in Cristo nella volontà di realizzare in tutto e per tutto la sua vita dentro di noi, diviene impossibile morire per l’altro, perché ottenga il perdono dei suoi peccati. Come Cristo si offre la vita per il perdono.


Questo è lo specifico cristiano e solo il cristiano che realizza tutto di Cristo nella sua vita raggiunge quest’altissima perfezione: dare la propria vita perché l’altro venga perdonato da Dio, dopo averlo noi perdonato e offerto la vita per il suo ritorno nella verità di Dio, nella sua grazia e nella sua benevolenza.


Se lo scopo del cristiano è quello di offrire la propria vita per il perdono dei fratelli, si comprende come ogni altro atto di misericordia è solo propedeutico a quest’ultimo atto supremo, ma anche come sia anticristiano comportarsi con sdegno, clamore, asprezza, ira, maldicenza, malignità.


È anticristiano perché la redenzione, la salvezza, la giustificazione, l’elevazione dell’altro nel mistero di Cristo Gesù passa attraverso il dono della nostra vita.


Si dona la vita fisica perché l’altro abbia una vita spirituale solida e intensa. Questo è il valore della vita del cristiano sulla terra: farne un sacrificio, un’oblazione, un’offerta sacra al Signore, perché sia cancellato il peccato del mondo e sia aperta la via della salvezza ad ogni uomo di buona volontà.







Credente
00venerdì 2 novembre 2018 18:29

PER OPERA DI GESÙ CRISTO




Cosa è l’esortazione. Volontà di Dio volontà dell’uomo. L’esortazione è una parola di persuasione, di invito, di incitamento perché la persona che ci sta di fronte scelga e decida di compiere la volontà di Dio, al fine di realizzare il bene che il Signore ha stabilito che lui faccia. Perché vi sia esortazione secondo Dio è giusto che si separi la volontà di Dio dalla volontà dell’uomo. Il cristiano è obbligato ad aiutare i suoi fratelli di fede e non di fede a cercare la volontà di Dio per compierla tutta nella loro vita. In questa sua opera egli si può servire della persuasione, ma anche della correzione fraterna. Si serve della persuasione quando il suo intento è di orientare, guidare, spronare, incitare al bene secondo Dio; è invece correzione fraterna quando ci si trova dinanzi ad un peccato e con il ricordo della volontà di Dio lo si invita a non farlo più. Ci troviamo invece dinanzi alla tentazione quando la nostra parola è un invito bello e buono fatto all’altro perché compia la trasgressione della volontà di Dio. La persuasione è arte difficile da esercitare. Con essa bisogna entrare nel cuore del fratello, nella sua volontà, nel suo spirito, nella sua anima, e dal di dentro, con la forza della parola, operare perché si compia solo la volontà di Dio nella maniera più perfetta. È evidente che chi può persuadere è solo lo Spirito Santo, perché ogni discepolo del Signore deve vivere nella più grande santità, se vuole che le sue parole siano quelle dello Spirito Santo e le parole dello Spirito Santo siano sue nell’opera della persuasione dei cuori a compiere una sempre più grande giustizia.

In maniera degna. Le regole della vita cristiana. Accettarsi da imperfetti non è accettare l’imperfezione. Siamo tutti chiamati a comportarci in maniera degna del Vangelo. La maniera degna è una sola: vivere secondo il Vangelo, senza tralasciare di compiere nessuna parola. Per questo è giusto che si osservino delle regole, in verità assai semplici, ma che possono aiutare senz’altro a raggiungere una maniera sempre più degna alla quale ci chiama San Paolo. Una di queste regole vuole che non si sottovaluti nessun peccato veniale. Dobbiamo dichiarare guerra ad ogni peccato veniale che commettiamo: nei pensieri, nelle opere, nelle parole, nelle omissioni. Se non iniziamo dal peccato veniale, non riusciremo a vincere neanche il peccato mortale e prima o poi cadremo in esso, secondo l’adagio scritturistico: chi disprezza le piccole cose, a poco a poco cadrà nelle grandi. Bisogna lottare nel nostro spirito contro ogni più piccola imperfezione. Accettare di essere imperfetti, non significa accettare l’imperfezione come regola di vita. Significa invece camminare ogni giorno verso una più grande conformazione a Cristo. Se invece accettiamo l’imperfezione come regola morale del nostro essere cristiani, siamo già disposti a commettere anche i più gravi peccati. La volontà che non si arresta dinanzi ai piccoli peccati, non riuscirà ad arrestarsi neanche dinanzi ai grandi. Prendere coscienza di questa semplice regola spirituale significa iniziare fin da subito un vero cammino di crescita nella fede, nella speranza, nella carità.

Lo stesso modo di pensare. Sul pensiero di Dio. Il Vangelo è il futuro della Chiesa e dell’umanità. Perché tutto è nel Vangelo? Siamo invitati da Paolo ad avere uno stesso modo di pensare. C’è un unico modo per pensare tutti la stessa cosa: fondare ogni nostro pensiero, ogni nostra idea, ogni nostra volontà sul pensiero di Dio. Siamo chiamati a mettere nel nostro cuore il pensiero di Dio e secondo questo pensiero iniziare a volere, a parlare, ad agire. Ora è bene che si dica che Dio non ha un pensiero nascosto e un pensiero rivelato: Dio ha un solo pensiero: quello che ci ha rivelato in Cristo, che ha anche compiuto in Lui. L’unico pensiero del cristiano è il Vangelo; è in esso che si trova la nostra verità, la nostra santità, la nostra pace, la nostra gioia. Nel Vangelo c’è tutto; c’è il futuro di bene della Chiesa e della società. Nel Vangelo c’è tutto questo perché il Vangelo è Cristo morto e risorto, morto per i nostri peccati, risorto per la nostra giustificazione. Il Vangelo è la grazia e la verità di Cristo Gesù. Il Vangelo è il dono che Dio ha fatto a noi di Cristo, perché in Cristo, con Cristo, per Cristo, iniziamo la nostra conformazione a Lui. È Cristo il pensiero di Dio per noi, pensiero rivelato in tutta la sua potenza di verità sull’albero della croce. Dalla croce dobbiamo partire per imparare a pensare secondo Dio, per aiutare i fratelli a pensare secondo Dio. Cristo è uno, la croce è una, il cristiano pensa secondo i pensieri di Dio quando anche lui sale sulla croce del compimento della volontà del padre.

Uno è Cristo, uno è il corpo. Di Cristo abbiamo solo parole di Vangelo. Cristiani di una sola parola. L’unità nei pensieri nasce anche dall’altra verità già più volte manifestata: uno è Cristo, uno è il pensiero di Dio. Ma anche uno è il corpo di Cristo, una deve essere anche la croce di Cristo: è la croce del suo corpo. È il suo corpo che deve conformarsi alla volontà del Padre. La volontà del Padre è una sola. Il corpo è uno solo, come anche la croce deve essere una sola: quella dell’unico corpo di Cristo. Chi esce dall’unica croce di Cristo, esce dall’unica volontà di Dio, dall’unico suo pensiero. Costui si fa una croce e un pensiero tutto suo, che è difforme dal pensiero e dalla croce che regnano nel corpo di Cristo. Così nascono le divisioni, le separazioni, ogni altro scisma o rottura della comunione. Inoltre Cristo nella sua vita terrena ha avuto solo parole di Vangelo. Non si conosce nessuna parola di Cristo che non sia parola di Vangelo. Così deve essere di ogni cristiano: lui non può avere una parola di Vangelo e una di non Vangelo. I cristiani devono essere uomini di una sola parola: della sola parola di Vangelo. Per imitare Cristo in questa regola così semplice dovremo crescere come Lui in sapienza e grazia. È infatti lo Spirito Santo che cresce dentro di noi che a poco a poco ci libera da tutte le parole profane e da tutti i pensieri non di Dio, perché si abbia il solo pensiero di Dio nella mente e la sola parola di Dio nel cuore. Se non si cresce in santità, non si ha il pensiero di Dio nella mente e sulle labbra escono i pensieri del nostro cuore indurito, cattivo, pieno di peccati e di imperfezioni morali.

Unica vera interpretazione della Parola: la croce di Cristo. Unica comprensione del Vangelo: la croce di Cristo. Il cristiano è il libro di Cristo. Chi vuole sapere qual è l’unica vera interpretazione della Parola di Cristo sappia che essa è la croce di Cristo, come anche la croce di Cristo è l’unica vera comprensione del Vangelo. Il Vangelo si legge, si interpreta, si comprende dall’alto della croce. Ma cosa è la croce di Cristo? È il dono della sua vita al Padre in olocausto e in sacrificio per manifestare al mondo la sua gloria. Il cristiano inizia a salire sulla croce quando non lavora più per la sua gloria, ma per l’unica gloria per la quale vale proprio la pena lavorare: per la gloria del Padre nostro che è nei cieli. Lavorando per la gloria del Padre, iniziando a salire sulla croce, il cristiano inizia a divenire il libro di Cristo, il suo Vangelo vivente ed operante nella storia. Chiunque può vederlo e se vuole può iniziare a comprendere cosa è in verità il Vangelo. Se il cristiano non diviene il libro di Cristo, della sua croce, il mondo mai potrà sapere cosa sia in verità la croce di Cristo e mai potrà aderire ad essa, in un vero atto di conversione e di fede al Vangelo, che è fede nella croce, come dono della propria vita al Padre perché la sua gloria si manifesti e trionfi nel mondo.

Il battesimo ci fa vittima e olocausto di salvezza per il mondo intero. Il resto è senza significato. Il battesimo, inserendoci in Cristo, ci costituisce un solo corpo con Cristo. Il corpo di Cristo è il corpo dell’olocausto, dell’oblazione, del dono totale al Padre, per rendergli gloria, per manifestare che la nostra vita è interamente sua e a Lui bisogna che venga consegnata con la partecipazione libera della nostra volontà. Essere nel corpo di Cristo, essere un solo corpo, è anche essere un solo sacrificio, è divenire un solo olocausto: quello di Cristo in noi e il nostro in Lui, in quanto solo corpo. Questo significa anche ricevere il battesimo. Insegnare a compiere questo mistero di solo ed unico sacrificio, è il compito di chi nella Chiesa ha il ministero dell’annunzio. È un ministero però sovente assai trascurato. I risultati sono di una vita cristiana totalmente separata da Cristo. Se uno guarda il cristiano e poi guarda Cristo, guarda Cristo e il cristiano con un solo sguardo d’occhio, non dovrebbe notare alcuna differenza, anzi non dovrebbe poter discernere chi è Cristo e chi è il cristiano, dovrebbe vedere un solo corpo, un solo sacrificio, un solo olocausto, una sola offerta, una sola obbedienza, un solo dono d’amore a Dio Padre per la sua gloria e la redenzione dei fratelli. Se non vede questo, tutto il resto che vede è senza significato di salvezza, perché vede separatamente Cristo, ma non vede il corpo di Cristo come Cristo, vede un altro corpo e un altro Cristo.

Paternità di natura, di adozione, morale, di creazione. Sulla paternità di Dio spesso si ha avuto occasione di parlare. È giusto che si ribadisca che ogni modalità nella paternità comporta una essenzialità totalmente differente. Spesso non si vuole cogliere la modalità, per non volere specificare l’essenza che soggiace; oppure spesso si nega una paternità, perché l’essenza verrebbe a contraddire tutto il nostro modo di pensare, di credere, di operare. Si pensi a quanti negano la paternità di natura, di generazione tra Cristo e il Padre. Le conseguenze sono di totale distruzione del mistero di Dio, del mistero di Cristo, del mistero dell’uomo. Riflettere sulle conseguenze di una negazione, o di una affermazione deve aiutarci a scoprire qual è il differente modo nostro di relazionarci con Dio e con i fratelli.

Se Dio muove me, se Dio muove l’altro, ognuno deve riconoscere nell’altro la mozione di Dio. Per Paolo all’origine di ogni movimento di grazia e di verità che avviene nel corpo di Cristo c’è il Padre dei cieli e l’opera dello Spirito Santo. Se tutto è dalla volontà di Dio, ogni cristiano è obbligato a discernere nell’altro ciò che Dio opera, perché quanto viene operato da Dio è per la sua crescita in sapienza, in grazia, in verità. Se omette questo discernimento, il rischio è uno solo: confondere ciò che viene dall’uomo con ciò che viene da Dio, rifiutare ciò che viene da Dio e che è fonte della sua crescita spirituale, per abbeverarsi a cisterne vuote, piene di fango, che non contengono acqua. O ci si nutre di Dio, o degli uomini. Non ci sono alternative. O facciamo nostro il pensiero di Dio, oppure quello degli uomini. Non ci sono alternative, né vie di fuga, o di neutralità. O siamo pienamente con Dio, o pienamente con gli uomini. Per essere con Dio dobbiamo volere discernere l’opera di Dio ovunque si manifesti, ovunque Dio è all’opera. Questa è la legge per la nostra crescita ordinata in grazia e in santità.

Risolvere prima di ogni cosa la crisi di fede. È fede l’adesione della nostra volontà alla parola del Vangelo, accolta come unica via della nostra realizzazione. Siamo e saremo nel tempo e nell’eternità, se siamo nel Vangelo; non saremo nel tempo e nell’eternità se ci poniamo fuori del Vangelo. Il Vangelo è l’unica legge della vita presente e futura. Poiché non siamo più in questa fede, è giusto che prima di ogni altra cosa risolviamo questa nostra crisi di fede. Se entriamo nel Vangelo, tutto prende significato, tutto acquisisce valore di verità, di santità, di giustizia, di salvezza. Se non entriamo nel Vangelo, quanto facciamo, indistintamente tutto, è opera vana, non serve né al nostro presente, né al nostro futuro, né alla nostra salvezza, né a quella dei nostri fratelli. Né sarà mai possibile risolvere le altre crisi, se non si risolve questa. Dalla fede tutto riceve nuova luce e più intensa verità; senza fede, tutto rimane nel buio, anche se ci affanniamo a dare una nuova faccia a ciò che operiamo; è facciata di sola ipocrisia, non di verità, non di grazia, non di giustizia, perché non siamo nel Vangelo, nella fede, nella parola di Dio.

Grazia e dono di Cristo. Educazione alla grazia. Grazia: momento della fruttificazione, momento della distribuzione. La nostra grazia è Cristo e sono i frutti che la sua presenza in noi genera e produce. Tutto in noi è frutto di Cristo, tutto è suo opera. Cristo opera ed agisce per mezzo del suo Santo Spirito, che invia in noi perché formi Lui, Cristo, nei nostri cuori, perché faccia sì che Lui, Cristo, fruttifichi ogni dono d’amore, di verità, di speranza. Bisogna, è urgente che si educhino i cristiani alla grazia. Tutto è grazia, tutto è dalla grazia, ma anche tutto è per grazia. Tutto è dono, è il dono d’amore di Dio per noi, in noi, con noi. Educare alla grazia deve avere anche un altro significato: ogni volta che Cristo viene dentro di noi, viene perché produca frutti di vita eterna. Ogni invocazione di Cristo in noi, ogni volta che lo riceviamo sacramentalmente, viene e lo riceviamo perché produca frutti di verità, di santità, di giustizia. Non solo per noi, ma per il mondo intero. Il cristiano, ogni volta che riceve Cristo, per preghiera o per sacramento, deve disporsi a produrre verità e giustizia sui suoi passi; l’altro coglie il frutto del cristiano, riceve, attraverso il suo frutto, l’albero che lo ha prodotto: Cristo Gesù, e se crede, se vuole, anche lui può entrare in questo mistero di grazia dal quale e nel quale è tutta la vita del mondo intero.

Il profeta: la voce viva di Dio di cui ha bisogno la Chiesa. Il ministero profetico straordinario, non quello direttamente battesimale, è essenziale alla Chiesa. Lo si è già detto. Per mezzo di esso conosciamo la volontà attuale di Dio, sappiamo cosa il Signore ci chiede, possiamo dirigere i nostri passi con sicurezza, sapendo ciò che è gradito al Signore. Il profeta è luce attuale di Dio; illumina la strada sulla quale incamminare la Chiesa perché vada incontro a Dio e ai fratelli secondo la più attuale verità del Vangelo. Il vero profeta è sempre frutto dell’opera dello Spirito Santo.

Grazia indiretta: da Dio, ai fratelli, per noi. Da Dio a noi per i fratelli. Essere dono per gli altri. Essere dal dono degli altri. La grazia di Dio: Cristo capo e corpo. Grazia sacramentale e volontà. Quando diciamo che la grazia di Dio si riversa su di noi, spesso omettiamo di aggiungere che non sempre la grazia viene direttamente. Spesso avviene indirettamente, attraverso i fratelli, costituiti da Dio dono della sua grazia per noi. I fratelli sono grazia di Dio per noi, ma anche noi grazia di Dio per i fratelli. Occorre allora educarci a vederci insieme un dono di grazia. Da questa educazione una vita nuova nascerà di sicuro nella Chiesa e nel mondo. Altra specificazione in ordine alla grazia è questa: bisogna accettare se stessi di essere dal dono di grazia degli altri. Questa è umiltà. Bisogna farsi dono di grazia per gli altri: questa è vera responsabilità di farsi santi. Infine si deve aggiungere che sia noi che gli altri siamo un solo corpo in Cristo, per far sì che ogni uomo diventi ciò che noi siamo: corpo del Signore Gesù. Per questo però non è più sufficiente la nostra grazia; questa è preparatoria all’altra grazia, quella che discende direttamente da Dio nei sacramenti della salvezza. Anche questa grazia però bisogna accogliere e attraverso la partecipazione della nostra volontà bisogna che si trasformi in un dono di Dio per il mondo intero. Nessun sacramento potrà mai fruttificare in noi i suoi frutti di vita eterna, se manca la partecipazione della nostra volontà, del nostro spirito, del nostro cuore, di tutto di noi.

Cristo è uno. Chi è Cristo. Da Cristo bisogna partire. In Cristo una sola conoscenza, una sola vita. Cristo e il nostro passato tutto da abbandonare. La nostra fede ci insegna con verità assoluta che Cristo è uno: nella divinità, nell’umanità, nell’opera, sulla terra, nel cielo, nella Chiesa, nel singolo cristiano, nella creazione, nella redenzione, nella santificazione. Se Cristo è uno: tutto si fa in Lui, tutto si fa per Lui, tutto si fa con Lui. Cristo è il culmine cui pervenire, ma anche l’inizio da cui partire. Si parte da Cristo per arrivare a Cristo; si arriva a Cristo per ripartire nuovamente da Cristo. Cristo è la fonte dei nostri pensieri, della nostra conoscenza, del nostro amore, della nostra verità, della nostra sapienza, della nostra speranza, del nostro vivere e del nostro morire, sulla terra e nel cielo tutto è Cristo per noi e per noi tutto è in Cristo. Con Cristo bisogna vivere una sola vita: la vita di Cristo in noi. La nostra vita deve essere quella di Cristo, quella di Cristo deve essere la nostra vita, perché con Lui siamo un solo corpo e quindi una sola vita. Nel corpo non possono esservi più vite: una nostra e una di Cristo. Una volta che si è in Cristo, tutto ciò che è prima di Lui bisogna considerarlo spazzatura, perché ha valore per noi solo Cristo e solo ciò che è in Cristo. Se quest’abbandono non c’è, se per noi ha valore qualcosa che è fuori di Cristo, o non ha valore tutto ciò che è in Cristo: la nostra conversione è vana, la nostra fede non vera, la nostra carità inesistente, la nostra speranza nulla, dal momento che speriamo che qualcosa fuori di Cristo possa avere un qualche valore per noi.

Dall’obbedienza alla conoscenza; dalla conoscenza all’obbedienza. Cristo l’uomo perfetto da realizzare in noi. Se Cristo è tutto per noi e tutto è per noi in Cristo; se fuori di Cristo nulla è più per noi, come possiamo raggiungere questa perfetta unità di vita con Cristo, sì da non potersi più distinguere la nostra vita da quella di Cristo? La via è assai semplice: si ama Cristo e quindi lo si conosce per mezzo della Parola. S’intende: non la parola ascoltata, o letta, ma la Parola fatta obbedienza. Nell’obbedienza cresce la nostra conoscenza di Cristo; nella conoscenza di Cristo che cresce c’è una forte volontà di più grande obbedienza. Si obbedisce per conoscere Cristo, si conosce Cristo per obbedire. Un solo atto di obbedienza matura in noi una più forte conoscenza di Cristo e una più forte conoscenza di Cristo matura ancora più forte obbedienza. Una cosa deve radicarsi nel cuore: Cristo è l’uomo perfetto, è l’unica perfezione da realizzare in noi. Se realizziamo Cristo, compiamo la nostra vita; se Cristo non viene realizzato la nostra vita cristiana è come un aborto, è stata concepita, ma non è stata portata alla luce della vita piena in Cristo Gesù. Perché realizziamo Cristo, dobbiamo conoscerlo; si conosce obbedendo; si obbedisce conoscendo Cristo. In questo processo spirituale di conoscenza e di obbedienza Cristo si forma in noi e noi raggiungiamo la perfezione cui ci ha chiamato il Signore prima della creazione del mondo.

Qual è la nostra vocazione? Fondare ogni cosa sulla Parola detta da Cristo. La parola torre e muro di bronzo contro gli errori. Vocazione è dare una direzione alla propria vita, una finalità, un senso, un significato, la cui decisione non è né nella nostra volontà, né nei nostri sentimenti, né nel nostro cuore, né nella nostra anima. Non è in noi, perché è in Dio, che è il Signore della nostra vita. La vocazione di un uomo è prima della sua creazione, prima della sua nascita, prima del suo stesso concepimento. Il Signore fin dall’eternità ci ha voluto per un fine, uno scopo. Questo fine, questo scopo è uno solo: realizzare Cristo nella nostra vita; divenire con Lui una sola cosa; in Lui, per Lui, con Lui lavorare con ministeri diversi, anche essi pensati da Dio per noi, alla edificazione del suo Regno di pace e di luce, di verità e di carità, sulla terra. Nessuno può vivere la vocazione particolare, il suo specifico ministero, se non vive la sua vocazione universale. La vocazione universale si vive in un solo modo: fondare la nostra esistenza, l’intera nostra esistenza sulla Parola detta da Gesù. Ogni Parola di Vangelo che mettiamo in pratica è una forza potente che scende nel nostro cuore e nella nostra volontà e ci orienta verso il compimento dell’altra vocazione: l’espletamento del ministero particolare anche questo voluto da Dio fin dall’eternità. L’una e l’altra vocazione: quella universale e quella particolare si vivono se la grazia di Dio è in noi, agisce in noi, è invocata costantemente su di noi. Senza grazia di Dio nulla è possibile; perché la grazia è l’anima dell’una e dell’altra vocazione. Infine chi vuole perseverare nella vocazione particolare deve crescere nella vocazione universale; se non cresce nella vocazione universale, a poco a poco tralascia il compimento anche della vocazione particolare. Chi vive di Parola del Signore, chi ogni giorno realizza Cristo in lui attraverso il compimento della Parola, è come se fosse avvolto da una tenda di luce, da un muro di fuoco, da una porta di bronzo, da una torre altissima contro ogni errore di falsità e di menzogna che attaccano la sua vita. Tutto è nella Parola ascoltata, vissuta, annunziata; tutto è nella santificazione che è la vita nostra nella Parola e la vita della Parola in noi.

La verità nella carità. La comunione è la vita del corpo. Cosa è la verità? La verità è la natura stessa di Dio. Dio è verità: sommo ed infinito bene. Questo sommo ed infinito bene è bene che si dona. Questa è la carità. È il bene che si dona, che si comunica, che si partecipa agli altri. Il dono è la natura stessa della carità, perché la carità è dono. Ma cosa dona Dio? Dona se stesso, comunica qualcosa di sé. Nella creazione ci ha partecipato la vita facendoci a sua immagine e somiglianza; nella redenzione ci ha donato se stesso in Cristo Gesù dall’alto della Croce. Il dono più grande di Dio per noi è Cristo Crocifisso, perché in Cristo Crocifisso è l’annientamento di Dio per amore. In Cristo Dio si lascia consumare totalmente dal suo amore per noi; in Cristo Dio non ha più nulla da poterci dare. Se Dio volesse amare di più l’uomo, non potrebbe, perché oltre la sua morte per amore, nulla può essere dato all’uomo. Inoltre in Cristo non solo è morto per noi, per noi anche è risorto per renderci partecipe di questa nuova vita. Infine nell’Eucaristia si è fatto cibo e bevanda di vita eterna, perché la nostra vita fosse tutta assimilata dalla sua e resa divina. Tutto l’essere di Dio è stato donato in Cristo. Questa è la carità. Si comprende allora che a partire da Dio non esiste carità se non nel dono del proprio essere, della propria vita ai fratelli. Le cose non sono la carità cristiana, sono la carità cristiana nel momento in cui diventano annientamento di noi per innalzare l’altro, si fanno nostra morte perché l’altro viva, diventano nostro abbassamento perché il fratello sia innalzato. Cristo è uno. Quanti fanno parte del suo corpo, nel suo corpo diventano una sola verità. Sono costituiti una sola natura di bene. Questo bene però deve divenire carità; la verità che si fa carità costruisce il cristiano ad immagine di Cristo, a somiglianza di Dio. Ora nel corpo di Cristo vige una sola legge: divenire olocausto d’amore, fino alla consumazione di sé, per la salvezza dei fratelli, perché anche i fratelli diventino veri, si facciano verità della stessa verità di Dio e di Cristo, e trasformino questa verità in carità. È l’unica legge che il cristiano deve conoscere: farsi verità in Cristo, trasformarsi in carità, in Cristo, alla maniera di Cristo.

La vanità della mente dei pagani. La parzialità nella verità fa parziale l’uomo. L’ignoranza di Dio costruisce un falso uomo. La vanità della mente dei pagani è una sola: costruire la propria esistenza sul niente veritativo. Il niente veritativo porta al niente dell’esistenza, a sciupare un’intera vita per il nulla nella storia e per la perdizione eterna nell’aldilà. L’uomo si nutre di verità, nella verità cresce, nella verità si fa. Più grande e più forte è un lui la verità e più la sua vita acquisisce consistenza, valore. La verità è la vita dell’uomo. Tanta è la verità in un uomo, tanta è la sua vita. La nostra vita è dalla verità di Dio. Al contrario più parziale è nell’uomo la verità e più parziale sarà la sua vita, fino a divenire non più vita, ma vera morte nella storia e nell’eternità. Dio è la verità. Ad immagine della verità di Dio siamo stati fatti. Veniamo per creazione dalla sua verità. Per sapere la nostra verità dobbiamo necessariamente conoscere la verità di Dio. Se Dio non è conosciuto, neanche l’uomo si conosce; se Dio è conosciuto falsamente, anche l’uomo si conosce falsamente, falsamente si realizza, falsamente vive e falsamente muore. Dove non c’è vera conoscenza di Dio c’è sicuramente un uomo falso ed è falso ogni uomo che non è vitalmente inserito nella verità di Dio.

La differenza la fa la Trinità e il mistero dell’Incarnazione. Tra Cristianesimo e ogni altra religione la differenza la fa il mistero della Trinità e dell’Incarnazione, con tutte le altre molteplici verità che questi due misteri comportano nella vita dell’uomo. Se non si parte da questi due misteri, nulla si comprende di Dio e nulla dell’uomo, si vive nella falsità e per chi vive da falso, tutto diventa senza specificazione, tutto è indeterminato, perché la falsità è indeterminazione e non potrebbe essere altrimenti. Basta pensare a quanti si separano dalla verità della nostra fede: subito o distruggono il mistero della Santissima Trinità, o il mistero dell’Incarnazione. Quasi tutti hanno un mistero dell’incarnazione parziale, lacunoso, incompleto, vago, a volte inesistente. Se il mistero dell’incarnazione in ogni sua manifestazione, nel suo prolungamento che è la Chiesa, viene avvolto dalla falsità, l’uomo che vive in questa falsità è anche lui falso, perché solo il mistero dell’Incarnazione rimette l’uomo nella verità. La differenza di fede dice differenza di verità, ma anche la negazione di una verità di fede dice negazione di una verità sull’uomo. Chi nega l’incarnazione, nega la Trinità, nega anche il mistero dei sacramenti, della Chiesa e ogni altra verità intimamente connessa con il mistero. Così facendo lascia totalmente l’uomo nella sua falsità.

Natura di tenebra, pensieri di tenebra; pensieri di tenebra, natura di tenebra. La durezza del cuore rende impermeabili alla verità. Chi ha una natura di non verità, quindi di tenebra, possiede anche pensieri di tenebra; viceversa chi ha pensieri di tenebra, si è anche costruita una natura di tenebra. Pensieri e natura sono gli uni i frutti e l’altra l’albero. Quando la natura è di tenebra è necessario un vero miracolo perché un uomo si apra alla verità. Deve cambiare natura. Questo cambiamento di natura è detto cambiamento del cuore. Lo Spirito del Signore deve togliere dal nostro petto il cuore di pietra e al suo posto mettere un cuore di carne. Il cristiano per questo non solo deve pregare molto, deve anche offrire tutta intera la sua vita perché dal suo sacrificio la grazia di Cristo Gesù discenda nei cuori e li trasformi.

Il cristiano martello dello Spirito. Quando lo Spirito si rattrista. Il cristiano di fronte al mondo deve essere il martello dello Spirito Santo. Deve infrangere con la sua parola ogni muro di falsità, di ambiguità, di parzialità nella verità, di errore e di ogni altra menzogna che si è introdotta nel cuore dell’uomo che deturpa la sua natura e la rende sempre più di pietra. Purtroppo anche il cristiano sovente si lascia avvolgere dalla falsità, dall’errore. Quando questo avviene, egli altro non fa che combattere contro lo Spirito di verità con il quale è stato unto il giorno del Battesimo, rattristando lo Spirito. Il cristiano, che è tempio dello Spirito Santo, quindi tempio di verità e di santità, si trasforma in un tempio di menzogna, di falsità, di errore. Il mondo che dovrebbe vederlo come purissima luce di verità e di salvezza, lo vede invece come tenebra di errore e di perdizione. Questo cambiamento della natura di luce, operata in lui dalla grazia, in natura e corpo di tenebra, proprio del corpo che è il tempio dello Spirito Santo, altro non fa che rattristare lo Spirito. È rattristato perché costretto ad abbandonare il suo tempio per cederlo alla menzogna e alla falsità.

Insensibili, dissoluti, impuri, avidi, insaziabili. Gesù è venuto perché l’uomo non sia così. Deformarci dell’uomo vecchio per formarci dell’uomo nuovo. Passioni ingannatrici. Perdonare come Cristo. La natura, così come essa si è fatta, a causa del suo peccato, produce ogni sorta di frutti cattivi. Sono questi frutti le opere della carne. Gesù è venuto perché l’uomo cambi la sua natura, cambi se stesso, cambiando il suo cuore, la sua mente, la sua volontà, la sua anima. Tutto deve cambiare nel cuore per mezzo della grazia di Cristo Gesù. Con il peccato ci deformiamo nuovamente dell’uomo nuovo per formare in noi l’uomo vecchio; con il pentimento, la grazia, l’ascolto della Parola, nuovamente deformiamo l’uomo vecchio e ricostruiamo in noi l’uomo nuovo. Se questo uomo nuovo non prende potentemente possesso in noi, non cresce fino ad eliminare completamente l’uomo vecchio, l’uomo vecchio è sempre portato a seguire le sue passioni ingannatrici, le passioni della sua vecchia natura, che lo conducono di peccato in peccato e di concupiscenza in concupiscenza. Il segno che stiamo costruendo in noi l’uomo nuovo è dato dalla grande capacità di perdono. Chi sa perdonare come Cristo attesta al mondo intero che in lui sta nascendo l’uomo nuovo; chi invece ancora non sa perdonare, rivela ai fratelli che ancora il vecchio uomo ha una grande preponderanza in lui. Con la grazia, invocata con insistenza, senza interruzione, chiedendo al Signore che ci plasmi di grazia e di verità, allo stesso modo che ha plasmato Adamo con la polvere del suolo e poi spiri in noi il suo Santo Spirito di verità e di carità, noi saremo sicuri di poter costruire in noi l’uomo nuovo, in tutto simile all’Uomo nuovo Cristo Gesù.

Conoscenza per mistagogia. Per mezzo della Parola. Cristo è per noi l’unico punto di riferimento della nostra novità. Se agiamo come Lui siamo nuovi, se non agiamo come Lui siamo invece nella nostra vecchia natura. Per agire come Cristo bisogna conoscerlo. Ora Cristo si conosce attraverso due vie: per mezzo della Parola del Vangelo, che si ascolta, si medita, si studia, si analizza, con la quale giorno per giorno ci si confronta, ma anche per mezzo di un’altra via ancora più eccellente, superiore a quella della Parola. Cristo si conosce attraverso la via della mistagogia, attraverso cioè l’immissione nostra nel suo mistero per opera dello Spirito santo, fino a divenire con Lui un solo mistero di morte e di risurrezione, per una obbedienza perfetta al Padre dei cieli. Questa conoscenza diretta è dei mistici e dei santi. Essa è opera dello Spirito del Signore nella loro anima e nel loro cuore. Allo Spirito dobbiamo rivolgerci, chiedendo che ci faccia non solo conoscere Cristo secondo verità, ma anche che ci faccia mistero nel suo mistero, vita della sua vita, nella sua vita. Questa preghiera bisogna elevarla ogni giorno, perché è da questa grazia che nasce l’uomo nuovo.

I due soggetti della salvezza. L’uomo nuovo opera la redenzione. I soggetti della salvezza sono insieme Dio e l’uomo; sono il Dio-Uomo. Questi due soggetti per il mistero dell’unione ipostatica sono mirabilmente uno solo: è il Dio-Uomo, Cristo Gesù Signore nostro. Non due soggetti, ma un unico soggetto, che è insieme Dio e Uomo, vero Dio e vero Uomo, nella sola persona del vero e purissimo Dio che è il Verbo della vita. Senza Dio e senza Uomo non c’è redenzione. Come allora l’uomo che non è Dio, non è in Dio, può operare la salvezza, la redenzione dei suoi fratelli? La risposta è una sola: attraverso il battesimo viene inserito nel corpo di Cristo e partecipa della legge che avvolge il corpo di Cristo. La salvezza non la opera più come persona singola, distaccata da Dio e da Cristo, la opera come corpo di Cristo. È Cristo, l’Uomo-Dio che opera la salvezza, ma la opera attraverso il cristiano che è il suo corpo e quindi il cristiano che vuole operare la salvezza, deve operarla nella verità e nella santità del corpo di Cristo. La verità del cristiano è il suo essere nuova creatura, la carità del cristiano è l’offerta di se stesso come nuova creatura per la redenzione del mondo. Se il cristiano non diviene nuovo, non è nella verità; nella falsità non si può offrire salvezza, perché il corpo di Cristo è verità. Ma anche senza carità non si può operare salvezza, perché la salvezza è il dono di noi stessi a Cristo, perché Egli ci consegni al Padre in sacrificio e olocausto di obbedienza per la redenzione del mondo.

Metanoia: oltre, sempre oltre: mente, ieri, uomini, cose, istituzioni, ritualità. Quando si parla di metanoia, si intende una cosa sola, in verità assai semplice da capire. È metanoia l’abbandono totale della nostra mente. L’uomo non pensa più con i suoi pensieri, bensì con i pensieri di Dio. Così deve avvenire anche con il suo cuore: non deve amare con il suo cuore, ma con il cuore di Cristo, che è il cuore di Dio. Quando si inizia a pensare secondo Dio si è infinitamente oltre tutto ciò che è dell’uomo, della terra, della storia, delle tradizioni, del passato; oltre tutto ciò che potrebbe essere prevedibile o pensabile. Tutto questo non interessa più all’uomo. All’uomo interessa una cosa sola: cosa pensa il Signore, cosa desidera il Signore, cosa vuole il Signore, cosa ama il Signore. La metanoia richiede la totale libertà dalla propria mente; libertà compresa però come abbandono della mente, perché solo Dio deve regnare in essa. Chi vive di metanoia è libero da persone, da luoghi, da istituzioni, da ritualità, da formalità, da convenienze, da tutto ciò che è frutto e pensiero della mente. Ciò che la mente ha pensato, pensa e penserà deve essere oggetto di libertà. Tutto invece ciò che Dio vuole deve essere oggetto di amore e di desiderio, perché lo si realizzi in pienezza di verità e di carità.

Dare occasione al diavolo. Si dona occasione al diavolo, quando ci si mette nella condizione di essere tentati, quando ci si mette nella tentazione, poiché si ci lascia conquistare dalle occasioni prossime di peccato. Il cristiano deve vigilare sulla sua condotta al fine di esercitare la prudenza cui lo chiama il suo Signore e Maestro. Ma la prudenza è dono attuale dello Spirito Santo, a Lui bisogna chiederla, se si vuole evitare ogni tentazione. Il cristiano deve capire che se sfida il pericolo, in esso di certo cadrà e che se maneggia la pece, di certo si imbratta, si sporca. Così è di colui che si mette nell’occasione di peccare. Egli altro non fa che invitare il diavolo a tentarlo. La sua caduta è certa, immediata, irreparabile.

Il cristiano è uomo che dona. Verità di carta, verità di carne. Dalla carta alla carne. Chi è il cristiano? È uno chiamato a consegnarsi totalmente a Dio, a darsi totalmente a Dio. Datosi e consegnatosi a Dio, è Dio poi che lo dona al mondo per la sua salvezza. Cristo che viene in questo mondo si consegna interamente al Padre: “Ecco io vengo, o Padre, per fare la tua volontà”. Così anche si consegna la Vergine Maria, Madre della Redenzione: “Ecco la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola”. La consegna è a Dio. Poi Dio secondo i disegni imperscrutabili della sua volontà ci dona interamente all’uomo perché gli diamo a nostra volta Cristo, la verità, lo Spirito Santo; gli diamo noi stessi per aiutarlo a ritrovare se stesso, ritrovando Dio, la sua verità, la sua carità, la sua misericordia. Il cristiano deve dare all’uomo la verità e la grazia. Non deve dare però una verità e una carità di carta. Deve dare se stesso, divenuto verità e carità in Cristo Gesù. La verità di carta non attrae, non salva, non redime; la verità di carne attira, salva, conquista i cuori, li converte, li porta a Dio. Per questo è necessario che il passaggio dalla verità di carta alla verità di carne avvenga prima nel nostro cuore, perché solo nella misura in cui avviene nel nostro cuore avverrà, sempre con la grazia di Cristo, nel cuore dei fratelli, inciderà profondamente nella loro vita, perché la libererà dalla falsità e la immetterà in una verità e carità sempre più grandi.


Credente
00venerdì 2 novembre 2018 18:30

La sede delle parole cattive. Il cristiano: l’uomo della parola creatrice. Dalle parole non sante al cuore non santo. È il cuore cattivo la sede delle parole cattive. La parola cattiva mostra che il nostro cuore è cattivo, ambiguo, appartiene all’uomo vecchio, non all’uomo nuovo. Il cristiano è l’uomo dal cuore nuovo, rinnovato, puro, santo, giusto; il cristiano è l’uomo dal cuore cristico, tutto di Cristo e della Madre sua. Se il suo cuore è di Cristo e di Maria, è il tempio dello Spirito Santo, sulle sue labbra devono stare solo parole di verità, parole creatrici, che portano la verità nei cuori e quasi la creino dentro, sempre però per opera dello Spirito Santo. Se questo non avviene, se le parole del cristiano non sono sante, manifesta e attesta al mondo intero che neanche il suo cuore è puro e santo. Le parole sono lo specchio del cuore. È sufficiente notare, osservare come uno parla, per misurare la santità del suo cuore. Vigila sulle parole, chi vigila sul cuore. Chi non purifica il cuore, non chiede allo Spirito Santo che gliene metta uno tutto nuovo, fiammante di verità e di carità, dirà sempre parole vane, che non producono salvezza in questo mondo; anzi distruggono quel poco che c’è, dove c’è.


Scomparire, perché? Ognuno di noi deve sapere quando fare una cosa e quando è il momento di non farla più, di essere in un luogo e quando di non esserlo più, quando esercitare un ministero e quando finire. Questo però non deve deciderlo l’uomo, bensì il Signore. È Lui il solo che può governare la vita del cristiano, se il cristiano gli ha offerto la sua vita. E il Signore con la sua somma saggezza, con la sua infinita sapienza, sa come governare la vita di quanti gliel’hanno consegnata. Uscire di scena, lasciare un’opera, un lavoro, una situazione, una mansione è il segno della libertà di Cristo che è divenuta libertà del cristiano. Restare o andare, camminare o sostare, ripartire o continuare non deve essere mai l’uomo a deciderlo; deve essere lo Spirito Santo a volerlo e lo Spirito Santo lo vuole ma è sempre l’uomo a discernere i segni della presenza della mozione dello Spirito nella sua vita. Per questo bisogna pregare senza interruzione perché sia sempre lo Spirito al timone della nostra vita e mai noi stessi. Lui faccia di noi ciò che gli è gradito per la gloria del Padre suo e per la redenzione del mondo. La salvezza non sempre è nel rimanere e l’obbedienza non è sempre nel partire. Rimanere e partire, salvare obbedire devono essere sempre grazia e volontà di Dio, in Cristo Gesù, per mezzo dello Spirito Santo.






CAPITOLO QUINTO





LA NUOVA VITA IN CRISTO



[1]Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi,

È questa la nostra regola morale, l’unica regola.

Siamo figli carissimi di Dio. Come tale dobbiamo comportarci. Non basta però comportarsi come figli carissimi, bisogna imitare Dio.

L’imitazione necessita di contemplazione, di visione, di studio, di conoscenza. Più si conosce Dio e più lo si può imitare. Per conoscerlo bisogna frequentarlo.

Come si frequenta il Signore, come lo si conosce?

Gesù lo afferma con chiarezza. Il Vangelo di Matteo ha una parola inequivocabile:

In quel tempo Gesù disse: Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te.

Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.

Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero” (Mt 11,25-30).

La conoscenza di Dio è un dono di Cristo Gesù, che si ottiene mediante la frequentazione di Cristo.

Quando si conosce Dio? Quando Cristo ce lo rivela. Quando Cristo ce lo rivela? Quando avremo preso il suo giogo sopra di noi.

La via della conoscenza di Dio è la vita secondo la Parola di Cristo Gesù. Si conosce la Parola, la si vive. Man mano che penetriamo nella Parola, Cristo ci illumina con il mistero del Padre, ci fa conoscere il Padre. Conoscendo il Padre noi lo possiamo imitare.

Cosa ci ha detto già Cristo Gesù del Padre? Possiamo imitare il Padre da quanto è già in nostro possesso, crescendo in questa imitazione fino ad arrivare ad avere quella conoscenza tutta fondata sullo Spirito Santo che guida i nostri passi per il compimento di ogni volontà attuale di Dio sulla nostra vita? Possiamo con quanto conosciamo avviare un serio cammino di perfezione imitativa fino a raggiungere il sommo dell’imitazione, che sicuramente consisterà nel dono totale di noi stessi a Dio, alla stessa misura in cui Lui nel suo Figlio diletto si è dato totalmente a noi?

La risposta è affermativa. Possiamo imitare il Padre partendo da quanto Cristo Gesù ci ha già rivelato di Lui, da quanto conosciamo dallo studio della Parola della Scrittura.

Da quanto già conosciamo chi è il Padre?

La risposta semplice è questa: Il Padre è colui che ha fatto ogni cosa per amore dell’uomo. In questa opera d’amore ha impegnato tutto se stesso nel suo Figlio diletto, consegnandolo alla morte di croce per amore.

Farsi imitatori di Dio, quali figli carissimi, ha pertanto questo primo significato: fare ogni cosa per amore dei fratelli, consegnare la nostra vita alla morte di croce per la loro salvezza.

Si imita il Padre se si fa della nostra vita un dono d’amore, un sacrificio e un’oblazione per la redenzione dell’uomo.

Se per la nostra redenzione il Padre ha dato il suo Figlio unigenito, per la stessa redenzione dona ogni altro suo figlio carissimo. Perché Dio si possa donare all’opera della salvezza, è necessario che noi ci doniamo e ci doniamo allo stesso modo in cui Lui si è dato a noi: totalmente, senza riserve. Lui non ha risparmiato il suo Figlio Unigenito, noi non dobbiamo risparmiare la nostra vita.

È questa la prima imitazione di Dio. Per Paolo imitare Dio inizia con la libertà da ogni peccato, sia mortale che veniale, sia nel nostro corpo sia fuori di esso, sia con parole che con opere e omissioni.

L’imitazione di Dio inizia dalla ricerca della sua santità. Dio è il Santo, il cristiano lo imita nella santità. Dio è la carità, il cristiano lo imita nella carità. Dio è la verità, il cristiano lo imita nella verità. Dio è il dono d’amore, il cristiano lo imita facendosi dono d’amore per il mondo intero.

[2]e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.

Viene ora specificato dettagliatamente cosa vuol dire per Paolo imitare il Signore.

Dio è carità, amore eterno, amore che si dona. L’uomo deve camminare nella carità. Anche lui deve donare se stesso.

L’immagine da imitare è quella di Cristo Gesù. Gesù è dall’amore eterno di Dio. Per amore del Padre e dell’uomo si fece carne. Nella carne ha dato tutto se stesso.

Il cristiano è chiamato ad amare, facendosi anche lui dono, donando tutto se stesso, alla maniera di Cristo Gesù e qual è la maniera di Cristo Gesù?

Egli si è offerto a Dio in sacrificio di soave odore, si è fatto cioè vittima d’amore per il Padre suo in nostro favore.

Farsi vittima significava venire uccisi davanti al Signore sia come sacrificio per il peccato, sia come sacrificio di comunione tra Dio e l’uomo.

Cristo si è fatto l’uno e l’altro sacrificio. Si è fatta vittima di espiazione per i peccati del mondo intero; si è fatta vittima di comunione, cioè eucaristia, cibo e bevanda di vita eterna per ogni uomo.

Il cristiano, se vuole camminare nella carità di Dio e di Cristo, anche lui deve farsi vittima per il peccato e vittima di comunione. Deve cioè consumare se stesso, divenendo un sacrificio, un dono di Dio per il mondo.

Concretamente questo come si realizza? Facendosi obbediente a Dio anche lui fino alla morte e alla morte di croce; vivendo ogni cosa per amore, facendo della sua vita un dono d’amore per gli altri.

Cristo non visse per se stesso, visse per noi, per noi nacque, per noi morì, per noi è risorto, per noi è asceso al cielo.

Il cristiano che vuole imitare Cristo Gesù deve vivere solo per amore, per fare della sua vita un dono d’amore ai fratelli, ma compiendo in tutto la volontà di Dio, perché è solo nell’obbedienza a Dio che si diventa vittima e sacrificio di salvezza per il mondo intero.

La finalità che ha dato Gesù alla sua vita – ne ha fatto una vita per noi – questa stessa finalità deve essere data dal cristiano alla sua vita.

Allora non si tratta di fare qualcosa per gli altri e qualcosa per se stesso; si tratta invece di vivere per gli altri, ma si può vivere per gli altri solo compiendo la volontà di Dio, perché è il Signore il nostro Padrone ed è sempre Lui che decide come la nostra vita debba essere spesa per gli altri, come debba essere sacrificata per la salvezza del mondo intero.

Oggi che l’uomo vive senza alcun riferimento a Dio, vive come se Dio non esistesse, diviene per lui difficile amare, anzi impossibile.

Cristo si è fatto strumento della carità del Padre, si è messo nella sua volontà. Il cristiano anche lui è chiamato a farsi strumento della carità del Padre; anche lui pertanto deve mettersi nelle mani del Padre, alla maniera di Cristo Gesù, come suo corpo, mosso e guidato solo dallo Spirito Santo.

Può farsi strumento nelle mani di Dio solo chi rinnega se stesso, si annulla nei suoi pensieri, fa della volontà di Dio la sua volontà e del comando del Signore il sentiero su cui camminare per salire sul monte del suo sacrificio.

[3]Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi;

Diventa impossibile imitare Dio, alla maniera di Cristo Gesù, se prima non si libera la nostra vita da tutto ciò che non è amore.

Prima bisogna mettere ogni impegno, ogni sforzo, ogni attenzione a pulire la nostra vita da tutto ciò che non è amore, ma egoismo, non è libertà ma schiavitù del peccato, non è sacrificio ma sottrazione della nostra vita a Dio per consegnarla al peccato e alla morte.

Se non c’è un vero cammino di liberazione dal male, la nostra vita sarà sempre sottratta alla carità di Dio e consegnata all’egoismo del peccato.

Il peccato toglie la nostra vita a noi stessi e ne fa uno strumento di male per noi stessi e per il mondo intero.

La carità è dono della nostra vita a Dio perché ne faccia uno strumento di amore a beneficio del mondo intero.

Il peccato distrugge, disgrega, causa morte, provoca distruzione. La carità invece edifica, innalza, costruisce, salva, genera vita eterna in tutti coloro che si lasciano conquistare da essa.

Il primo peccato a cui dobbiamo sottrarre la nostra vita è la fornicazione, che è l’uso del corpo fuori del matrimonio, santamente celebrato dinanzi a Dio e agli uomini, nella forma che per noi è solo quella canonica. Tutte le altre forme non sono conosciute dalla Chiesa come matrimonio valido dinanzi a Dio.

Nessun rapporto sessuale è consentito al cristiano se non quello tra un uomo e una donna santamente uniti in matrimonio davanti a Dio. Ogni altro rapporto è fornicazione. È fornicazione tra uomo e donna; mentre è abominio – così lo definisce il Signore se commesso tra uomo e uomo, o tra donna e donna – peccato cioè gravissimo, di gravità inaudita. L’omosessualità è uno dei peccati più gravi che insudiciano la terra.

L’impurità invece è anche all’interno del matrimonio, se si vive il rapporto fuori di quelle che sono le regole sante e la prima regola è quella di non fare della persona umana un oggetto di soddisfacimento dei propri istinti sessuali.

L’impurità ha un campo molto vasto; se unita poi alla cupidigia, come in questo caso, abbraccia ogni genere di desiderio che non sia il desiderio di compiere solo la volontà di Dio.

Ogni attaccamento disordinato a cose, persone, anche al proprio corpo, è peccato grave dinanzi a Dio. Da ogni desiderio cattivo, da ogni concupiscenza, da ogni altra volontà che contrasta i comandamenti e le beatitudini il cristiano si deve astenere, perché è già peccato solo il desiderare le cose cattive, o anche desiderare le cose buone, ma fuori dell’ordine stabilito da Dio.

Anche il desiderio di una cosa buona potrebbe essere cupidigia, se va oltre le nostre reali possibilità, o se non serve direttamente e necessariamente alla conduzione bene ordinata della nostra vita.

Queste cose non solo non bisogna farle, neanche se ne deve parlare. Ci si deve astenere dal parlarne, perché la parola dell’uno potrebbe suscitare nel cuore dell’altro il desiderio cattivo e quindi lo potrebbe orientare verso il male.

Molti vizi, che poi vengono attribuiti alla natura, sono solo cattive abitudini prese proprio a motivo del desiderio o dello scandalo provocato da altri, da una parola detta, da un gesto fatto, da una tentazione subita e alla quale si è ceduto, anche se in primis non si conosceva la gravità del male che si stava commettendo, specie quando si è ragazzi e ancora si vive in uno stato di non perfetta padronanza della propria coscienza.

Ogni cristiano è obbligato, per quanto dipende da lui, ad astenersi da ogni parola su questi argomenti, specie quando è detta per scherzo o per burla, o anche per far ridere.

In questo argomento bisogna osservare la più stretta scrupolosità e questo al fine di evitare di insinuare malizia e desideri cattivi, specie in quelli che sono ancora piccoli nella fede.

I santi devono parlare di santità, non è consentito loro parlare del peccato e soprattutto non è consentito loro scherzare sul peccato.

Su quanto offende gravemente il Signore non si può ridere, né scherzare. Si scherzerebbe e si riderebbe su Dio.

[4]lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti. Si rendano invece azioni di grazie!

Dall’azione e dal desiderio si era passati alla parola. Paolo ci chiede di essere vigilanti nel parlare di certi peccati che si commettono.

Ora ci chiede una totale santità nelle parole che diciamo.

Volgarità, insulsaggini, trivialità: è quel linguaggio assai grasso, condito in abbondanza con parole di bassa lega che non meritano di stare sulla bocca di un figlio di Dio.

È anche quel linguaggio vano, misero, fatto di pettegolezzi, di giudizi affrettati, di frase scombinate, di parole non vere, non sante. Anche questo linguaggio non è degno di stare sulla bocca di un figlio di Dio.

La santità del linguaggio manifesta la santità del cuore. Per questo occorre mettere ogni attenzione a che il nostro linguaggio sia sempre puro, vero, giusto, onorato, di alto livello. Il nostro linguaggio deve essere sempre di salvezza, di redenzione, di santificazione.

Deve essere un linguaggio che manifesta Dio, lo rivela, lo rende desiderabile.

Non si insisterà mai abbastanza sulla forza che contiene in sé la parola: per essa si possono fare santi, ma anche peccatori; per essa si può elevare una persona e per essa la si può anche abbassare. Il cristiano deve fare della sua parola uno strumento di salvezza, di redenzione, di santificazione, di manifestazione di Dio, sempre, in ogni momento.

La parola del cristiano deve essere pura sempre, anche a motivo dello scandalo dei piccoli. Un adulto potrebbe dire una parola, insignificante per lui, ma provocatrice di sensazioni non buone per l’altro.

Per questo urge fare molta attenzione ad ogni parola che esce dalla nostra bocca. Lo richiede la santità della nostra condizione, lo esige la condizione del fratello che deve essere condotta nella santità e in essa rimanere per sempre.

Anche se non è direttamente peccato, è sempre sconveniente per il cristiano una parola non santa sulla sua bocca, specie quando si esce dall’ambiente assai ristretto e si entra nella folla, dove c’è ogni genere di persone.

Cosa deve fare della sua parola il cristiano? Uno strumento per rendere grazie a Dio. La parola serve al cristiano per elevare i fratelli nella verità, per lodare, benedire, ringraziare, esaltare il Signore.

La santità è esigente. Esige che ci si liberi anche di una parola che non si addice sulla bocca di uno che ama il Signore e che per questa parola potrebbe essere giudicato male.

Che il Signore ci conceda questa santità, ma che prima ci convinca dell’esigenza della sua santità e di tutti i suoi obblighi nei riguardi del mondo intero.

[5]Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro che è roba da idolàtri avrà parte al regno di Cristo e di Dio.

Il regno dei cieli è fatto solo per i santi, per coloro che hanno messo ogni impegno per raggiungere la loro santificazione.

Quanti non hanno messo nessun impegno a liberarsi dal peccato e a edificare se stessi nella carità di Cristo, fino al raggiungimento della più alta perfezione, costoro non possono entrare nel regno dei cieli.

Non entreranno, perché durante la loro vita non sono voluti entrare nella santità di Cristo Gesù, non hanno voluto vivere da santi nel suo corpo santissimo.

Alla fornicazione e all’impurità che esclude dal regno dei cieli, come anche alla cupidigia Paolo ora vi aggiunge anche l’avarizia.

Fornicatori, impuri, avari, cupidi non entreranno nel regno dei cieli. Ma cosa è l’avarizia che esclude dal regno di Dio?

L’avarizia è l’uso disordinato delle cose di questo mondo, anzi è il non uso ordinato del denaro e delle ricchezze del mondo.

L’avaro racchiude il suo cuore nelle sue ricchezze, ne fa un oggetto di possesso e di contemplazione e pensa che in esse e nella loro contemplazione è la sua vera gioia.

L’avaro non solo non usa per il proprio bene o per il bene dei suoi familiari le ricchezze che possiede. Non le usa, più ne ha e più ne vuole, ma per contemplarle, per sentirsi al sicuro, per beatificarsi della loro vista. Lui gioisce quando vede i suoi tesori. Questa è la vita dell’avaro e poiché più ha e più vuole avere, l’avarizia è la negazione assoluta della carità.

La carità è vivere una vita interamente per gli altri con ogni bene che si possiede. L’avarizia è invece sottrarre la vita agli altri e i beni che si possiedono solo per la nostra sete di possesso.

È questo il motivo per cui l’avaro non entra nel regno dei cieli.

Peccato che oggi la morale si è contraffatta a tal punto da non insegnare più queste cose.

Se la Chiesa non riprende in mano il vero insegnamento della verità, dei vizi e delle virtù, di ciò che ci conduce nel regno e di ciò che ci esclude, noi lavoriamo invano, per nulla consumiamo le nostre energie. Facciamo una cosa inutile quando non liberiamo gli uomini dai vizi e non costruiamo in essi le sante virtù.

Paolo definisce idolatri coloro che fanno queste cose. Perché sono idolatri e cosa è l’idolatria?

L’idolatria è l’adorazione del nulla. L’idolatria è anche la fondazione della nostra vita sul nulla. L’idolatria è dare al nulla la potestà di governare la nostra vita.

La vita non è piacere, ma rinunzia; non è avidità, ma libertà da ogni desiderio; la vita non è possesso, ma donazione, elargizione.

La vita non è nelle cose ma in Dio; non è nelle persone, ma in Dio: non è in noi stessi, ma in Dio; non è nel nostro corpo, ma nel corpo di Cristo; non è sulla terra, ma nel cielo.

Quando noi facciamo delle cose, delle persone, di noi stessi, del nostro corpo o del corpo degli altri, della stessa terra una fonte di vita per noi, noi siamo semplicemente idolatri.

Adoriamo il nulla e pensiamo che esso sia fonte e principio di gioia per noi. La gioia è solo nel Signore, nella verità, nella rinunzia, nell’abnegazione, nel sacrificio, nel dono della nostra vita a Dio, dopo averla liberata da ogni vizio e da ogni peccato, perché ne facciamo uno strumento per la sua gloria e per la redenzione del mondo intero.

[6]Nessuno vi inganni con vani ragionamenti: per queste cose infatti piomba l'ira di Dio sopra coloro che gli resistono.

C’è un’azione che è nel cristiano e che è peccaminosa. Questa azione deve essere espulsa dalla sua vita.

C’è anche un’azione del cristiano che dalla sua vita potrebbe provocare danni nella vita degli altri.

È regola di santità evitare tutto ciò che con parole e azioni, o anche con omissioni, potrebbe recare un danno spirituale nei fratelli.

Per questo è giusto che il cristiano valuti ogni pensiero, ogni parola, ogni opera, ogni omissione, in modo che niente possa intralciare per causa sua, neanche per inavvertenza, il cammino di santità dei suoi fratelli nella fede.

Questo è obbligo permanente, che mai viene meno, Né in privato e né in pubblico. È obbligo anche che fa la sua santità. Se l’amore è donazione totale per l’altro, se la carità è privazione per arricchire l’altro, chi vuole amare sino in fondo si deve privare anche di una parola o di un gesto, per amore dell’altro, per carità. È carità volere la santità dell’altro. Ma è anche carità costruirla sempre nell’altro, anche a costo della nostra morte, figuriamoci poi se dobbiamo privarci dal dire parole o fare altro che potrebbe in qualche modo essere di intralcio all’opera di santificazione di Dio nel cuore dei fratelli anche attraverso la nostra strumentalità.

Di questo dobbiamo essere certi, anzi più che certi.

Ma c’è un’azione che dagli altri si riversa su di noi. Come ci dobbiamo comportare di fronte ad una simile azione?

Ci sono vani ragionamenti che giungono al nostro orecchio. Paolo ci dice di non lasciarci ingannare.

Perché questo non avvenga, è necessario possedere una certezza infallibile: è vano ragionamento tutto quanto non è Parola di Dio o spiegazione di essa secondo la fede della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Quando non si possiede questa certezza infallibile, neanche si percepisce che il ragionamento è vano e facilmente gli si presta fede.

Con quale risultato? Quello della perdita della nostra anima. Si smarrisce la via della verità e ci si inoltra su sentieri di morte.

È ragionamento vano ogni parola che non genera salvezza, non produce santità in noi, non ci radica indistruttibilmente nella verità, non provoca in noi il desiderio di amare Dio.

Inoltre il vano ragionamento, se ascoltato, turba il buon andamento della nostra vita spirituale, perché insinua nella mente pensieri non buoni, non santi, non giusti, non onesti, non veri.

La mente viene sopraffollata di tante idee non buone che tolgono spazio a quelle buone e vitali. Meno idee vane si mettono nel cuore e più spazio c’è in noi per accogliere la verità di Dio.

Oggi c’è una pioggia battente di ragionamenti vani che bussano alla porta del nostro cuore e della nostra mente. Beato quell’uomo che sa tenersi lontano da essi. La sua anima ne riceve un beneficio non indifferente. Non viene turbata nella sua ricerca e meditazione della verità.

Il ragionamento vano diventa anche mortale, quando attraverso di esso, direttamente, non solo indirettamente si toglie la verità di Dio dal cuore e dalla mente e al suo posto si mette la falsità, la menzogna, l’inganno su Dio e sulla sua verità di salvezza.

Questo fece il diavolo nel Paradiso terrestre, questo fanno tutti i seminatori di falsità e di scandalo nel mondo.

I seminatori di falsità ci sono stati e ci saranno sempre; coloro che spargono pensieri e ragionamenti vani sulla terra come il seminatore semina il suo seme nel campo ci sono stati e ci saranno sempre; coloro che provocano scandalo e seminano strage di peccato nella mente e nel cuore, ci sono stati e ci saranno sempre, fino alla consumazione del mondo.

Chi deve guardarsi è il cristiano, l’uomo di Dio, il fedele discepolo di Gesù. Paolo è assai esplicito: spetta a noi non lasciarci ingannare. Questo è il nostro dovere.

La via e la regola perché questo non accada è già stata detta: procedere sempre con una verità infallibile nel nostro cuore e la vittoria sarà di sicuro nostra.

Se c’è un pericolo di non salvezza per coloro che si lasciano abbindolare, c’è già una sentenza di morte eterna su tutti coloro che resistono al Signore e con ogni mezzo cercano di distogliere dalla verità e dalla giusta adorazione quanti già credono e sono convertiti al Vangelo della grazia.

Tutti questi seminatori di vanità, di falsità, di inganno, di ambiguità, di imbrogli dottrinali, di confusione veritativa e di ogni altro attentato alla purezza della fede, sappiano che per loro la sentenza è già scritta: su di loro incombe l’ira di Dio e la sua ira, se non viene placata con una conversione e con degni frutti di penitenza, ha una sola sentenza: la morte eterna per tutti coloro che praticano queste cose.

Inutili farsi illusioni: costoro possono sfuggire alla legge degli uomini, possono farla franca dinanzi a quanti ci governano su questa terra; non possono però sfuggire al giudizio di Dio che giudica ognuno secondo giustizia perfetta e dona a ciascuno secondo le sue opere.

Per costoro, o conversione e penitenza, oppure la dannazione eterna nell’inferno. Questa è la sorte per tutti coloro che attraverso la loro parola distolgono un cristiano dall’amare Dio secondo verità e giustizia, in tutto conforme alla parola che Lui ha dato nel suo santo Vangelo e che giorno per giorno ci illumina a comprendere e a interiorizzare per opera del suo Santo Spirito.


Credente
00venerdì 2 novembre 2018 18:32

7]Non abbiate quindi niente in comune con loro.


Paolo ha una parola chiara, inequivocabile, senza bisogno di alcuna spiegazione. È anche una parola che taglia netto, che recide senza possibilità di appello.


Con tutti coloro che vengono per distogliere il nostro cuore e la nostra mente dal pensare rettamente del Signore e dall’amare Dio come si conviene, secondo le regole che Cristo Gesù ci ha lasciato sulla terra, bisogna non avere niente in comune.


La loro via e la nostra sono inconciliabili, per questo è giusto che ognuno percorra la sua via, senza alcuna comunione, se non quella da parte nostra di annunziare loro il Vangelo della salvezza.


È giusto però che ci si chieda il motivo di queste due vie separate. La ragione è una sola: è difficile che la nostra verità penetri nel loro cuore, è facile che la loro menzogna o vanità invada il nostro cuore.


Ognuno deve avere delle sue vie per la salvezza della propria anima. Essendo questa il bene più prezioso, come preservarla dalla vanità, dalla falsità, dall’ambiguità, dall’errore, dagli scandali, da tutto ciò che la distoglie dalla verità di Cristo e di Dio?


Paolo dona una via infallibile: separarsi in modo definitivo, percorrere due vie diverse. Stare lontani da ogni familiarità. Non intavolare neanche il discorso. Parlare loro attraverso la santità della nostra vita.


Oggi si potrebbe dire che questa indicazione di Paolo valeva per quei tempi, non certamente per i nostri che sono evoluti, liberi, dove c’è la circolazione delle idee, dei pensieri, degli uomini e delle cose.


Questo è senz’altro vero. È altrettanto vero che il mondo si è introdotto nei pensieri cristiani e ha banalizzato il Vangelo, mentre il Vangelo è riuscito veramente a cambiare poco dei cuori.


Il mondo ci ha insegnato che non si può più camminare con il Vangelo. Noi non siamo riusciti ad insegnare al mondo che non si può procedere con falsità, errori, vanità, futilità e cose simili. Il mondo ha distrutto noi, noi non siamo riusciti neanche a scalfirlo. Questa è la verità che si constata. Il mondo è riuscito a farci abolire Cristo dalla nostra vita. Noi però non siamo riusciti ad abolire la falsità dalla loro vita.


Se si vuole essere incisivi nel mondo, lo si può ad una sola condizione: che si rimanga fortemente ancorati nella verità del Vangelo, che ognuno consideri il Vangelo come l’unica parola vera di vita vera.


Fatto questo e resosi impermeabile alle idee del mondo, ognuno potrà prendere la via che vuole, purché faccia molta attenzione a non cadere nella trappola della falsità che è così subdola che ci accorgiamo di essere caduti dentro solo quando saremo nel fuoco eterno.


Se si conoscesse la scaltrezza, la finezza, la sottigliezza del vano ragionamento, diremmo che Paolo in questa versetto vede bene. Poiché noi il male non lo conosciamo, allora non sappiamo neanche i suoi effetti nefasti su di noi. Pur essendo nel male e pur subendo i suoi influssi negativi, viviamo come se il male non esistesse e come se tutto fosse parola di verità.


Questa è la tragedia morale e spirituale nella quale è immerso il popolo di Dio. Si può fare qualcosa a condizione che iniziamo a vivere nella fede e fare della difesa della fede lo scopo unico della nostra vita.


So di certo che su questo punto molti non sono d’accordo con Paolo. Purché salvino la loro anima dall’inferno eterno, pensino come vogliono, purché pensino sempre secondo il Vangelo e la verità di nostro Signore Gesù Cristo.


[8]Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce;


La condizione dell’uomo senza Cristo è tenebra, cioè non conoscenza della verità, che genera una vita intessuta di ignoranza di Dio, quindi di tanta idolatria e di conseguenza di tantissima immoralità.


La morale, lo si ricordi bene, è un frutto prodotto dall’albero uomo. Se l’albero uomo è tenebra, è idolatria, lui agirà secondo questa tenebra e questa idolatria. Chiuderà la sua vita nell’ambito del suo corpo, di questo tempo, su questa terra e farà sì che nessun ostacolo venga a frapporsi tra lui e la sua concupiscenza, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia, accidia, superbia.


Se invece l’albero è giustizia e verità in Cristo Gesù – poiché solo in Cristo è possibile attingere la giustizia e la verità secondo Dio – lui agirà secondo questo suo nuovo essere.


Paolo è anche su questo punto esplicito, chiaro, inequivocabile. Prima di conoscere Cristo, prima di aderire a Lui attraverso la fede, prima di lasciarsi immergere nelle acque del battesimo, l’uomo è tenebra: la verità non abita in lui, questo significa essenzialmente essere tenebra, ma se non c’è la verità, non c’è neanche la sana moralità. Lui è tenebra e genera e produce frutti di tenebra, frutti che danno la morte a tutti coloro che ne mangiano.


Con il battesimo, in seguito alla conversione, generata in noi dalla Parola del Vangelo, il cristiano è divenuto luce in Cristo Luce. Questa la sua nuova realtà.


La luce è Cristo, solo Lui. Non ci sono altre luci nel mondo, né piccole, né grandi. Quanti partecipano della luce lo fanno perché sono inseriti vitalmente in Cristo Gesù. Non basta essere stati immersi nel battesimo per essere luce nel Signore. Il battesimo ci ha costituiti luce, figli della luce, ma in Cristo Gesù.


Si è luce nel Signore se si rimane in Cristo. Se non si è in Cristo, neanche si può essere luce nel Signore. Ma come si rimane ancorati vitalmente al Signore?


La risposta di Paolo è perentoria: si rimane ancorati nel Signore attraverso il comportamento, l’azione, le opere che si fanno.


Non sono i pensieri, le idee, i buoni propositi, le dichiarazioni di intenzioni, neanche la conoscenza della verità che ci fa essere figli della luce.


Siamo stati fatti figli della luce nel battesimo, cresciamo come figli della luce negli altri sacramenti. Viviamo però come figli della luce, se compiamo le opere della luce.


L’azione diviene essenziale per rimanere in Cristo. Tant’è che Gesù stesso pone come principio unico per rimanere in Lui la sua Parola che dimora in noi e la sua Parola dimora in noi se la trasformiamo in nostra vita, in nostra carne.


O meglio, se trasformiamo la nostra vita, la nostra carne in Parola, cioè in verità, in opera di Parola e di verità, in opera che nasce dalla Parola e dalla verità. Questa è l’unica via per essere nel mondo luce nel Signore.


[9]il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità.


È il frutto che determina e fa crescere il nostro essere luce nel Signore. Paolo nulla lascia alla libera volontà del singolo. Non è il singolo che deve determinare quali sono le opere della luce, o i suoi frutti.


I frutti della luce li determina la fede, li stabilisce la Parola di Dio. I frutti sono stabiliti da Dio e non da noi. Questo è il primo principio sul quale bisogna fondare e costruire la nostra vita.


Dico questo perché oggi è l’uomo che pretende definire tutto, stabilire tutto, decidere tutto, determinare tutto. Oggi l’uomo si è sostituito a Dio. Non è più Dio il Signore dell’uomo, ma è l’uomo che si è fatto signore di se stesso. È l’uomo che di volta in volta determina e stabilisce il bene e il male. È lui che dice ciò che lo fa luce e ciò che lo fa tenebra.


Questo non sarà mai possibile per un cristiano. Il cristiano riceve tutto dall’alto e lo riceve nella sua completezza di verità e di dottrina. Nulla in quanto a legge morale e di verità è lasciato alla sua libera interpretazione o decisione.


La verità discende dal cielo, la giustizia viene da Dio, il sano comportamento lo riceviamo come un dono dall’Altissimo.


Su questo ci sarebbe tanto da dire, anche in seno alla Chiesa, dove c’è tanta confusione perché ognuno dei suoi membri pensa lui al posto di Dio qual è la via migliore di tutte per essere luce nel Signore.


La via non possiamo pensarla noi. La via discende dal cielo. Viene da Dio. La Chiesa ha solo il dovere di comprenderla, di osservarla, di insegnare a tutti i suoi figli come accoglierla e come osservarla. Se la Chiesa esce da questo suo compito specifico, è la sua rovina e la rovina di tutti i suoi figli. Però su questo non ci siamo proprio, perché manca quella sana umiltà che ci fa inginocchiare dinanzi a Dio per chiedere umilmente che ci faccia comprendere le sue vie, non le nostre, perché le possiamo percorrere sino alla fine.


Paolo ora indica tre vie obbligatorie al cristiano se vuole essere figlio della luce, se vuole essere luce nel signore.


Egli deve produrre frutti di:


Bontà: il cristiano produce un frutto di bontà se ciò che fa è intrinsecamente bene. Non è bene ciò che l’uomo vuole che sia bene; è bene ciò che il Signore ha detto che è bene ed è bene tutto ciò che è conforme alla sua natura.


Il bene in Dio non è determinato dalla volontà, ma dalla natura. È anche determinato dalla volontà, ma la volontà in Dio è conformità perfettissima alla sua natura divina.


Il cristiano pertanto deve fare solo ciò che è bene in sé. Poiché la legge del bene è data dai comandamenti e dalle beatitudini, fuori dei comandamenti e delle beatitudini, non c’è bene.


Se il cristiano opera al di fuori dei comandamenti e delle beatitudini egli non opera il bene, non fa frutti di bontà. Egli non vive da figlio della luce.


Su questa verità ci sarebbe tanto da dire a motivo del fatto che oggi il cristiano non solo ha scelto di porsi al di fuori della legge della bontà, quanto ha deciso di attribuire alla volontà di Dio il male che lui fa, dichiarandolo un bene.


Così facendo si commettono due misfatti: si compie il male, lo si dichiara bene, lo si attribuisce alla volontà di Dio. Dio viene così proclamato autore del male morale, lui che è bontà eterna ed infinita.


Chi fa questo non sono i pagani; sono invece proprio i cristiani e questa mentalità è così radicata nelle menti, che risulta assai difficile annunziare lo stesso Vangelo. Questa è la più grave difficoltà della pastorale e molti pastori sono così ciechi da non vedere il baratro morale nel quale molti cristiani sono precipitati, senza più possibilità di risalita.


Giustizia: quando si parla di giustizia, si intende la volontà di Dio. È pertanto opera e frutto di giustizia solo il compimento della volontà di Dio.


C’è una volontà di Dio manifestata nel Vangelo che ogni cristiano deve compiere ed è il fondamento del nostro edificio spirituale e c’è una volontà di Dio per ogni singola persona e che ogni singola persona è obbligata a conoscere al fine di produrre degni frutti di giustizia.


L’una e l’altra volontà bisogna assolvere se si vuole rimanere nella giustizia perfetta, se si vuole essere veramente e perfettamente figli della luce.


Anche a proposito della giustizia c’è tanto da dire. A stento si è disponibili a vivere qualche parola di Vangelo, difficile, se non impossibile diviene accogliere la volontà di Dio sulla singola persona e portarla a compimento in ogni sua parte, secondo il desiderio di Dio.


È frutto di giustizia seguire la propria vocazione, che è personale. Chi non segue la propria vocazione, manca nella giustizia, perché il Signore non può essere suo Signore in tutto, Signore di tutta intera la sua vita. Dio è il Signore di ogni vita e può disporre di essa secondo il suo arcano e misterioso disegno di salvezza e di amore. Spetta all’uomo confessare che Dio è il Signore accettandone la volontà che ha su di Lui e compiendola in ogni sua parte.


La vera educazione cristiana inizia là dove si comincia a formare un uomo, chiunque esso sia, ad accogliere la volontà che Dio ha su di lui. Si educa così un uomo a riconoscere il diritto divino che Dio ha sulla sua persona. Questa formazione deve essere quotidiana, perché anche nei più piccoli gesti della vita dobbiamo sempre operare nella ricerca della giustizia. Cosa vuole il Signore anche attraverso il compimento di un gesto senza significato?


Così facendo, non solo si rimane figli della luce, si cresce nella luce, si diventa luce del mondo, si illuminano i fratelli e questi possono vedere il Signore.


Verità: il terzo frutto da produrre nasce dalla verità. Cosa è la verità? È verità ciò che corrisponde alla natura di Dio, che è sommo bene.


Tutto ciò che non corrisponde al bene non è verità, non si può compiere. Se lo compie, si trasforma in tenebra, ritorna ad essere ciò che era un tempo.


Se non compie la verità il cristiano passa dalla luce alle tenebre; mentre se compie la verità avanza dalle tenebre alla luce, fino ad abbandonare per sempre il regno della luce e divenendo lui stesso luce nel Signore.


Se è verità per l’uomo ciò che edifica la sua natura creata ad immagine e somiglianza di Dio, se è verità ciò che edifica il cristiano che è stato fatto ad immagine e a somiglianza di Cristo Gesù, dobbiamo confessare che oggi l’uomo e anche il cristiano non si edificano nella verità, praticano invece la menzogna, danno frutti di falsità e di errore sostanziale.


C’è molta, moltissima depravazione anche in campo cristiano. Ciò significa che lo stesso cristiano non conosce, non sa cosa è la verità.


Non sa che lui è stato fatto ad immagine di Dio e che la sua natura ha dei percorsi obbligati, dei sentieri stabiliti da Dio, che non sono solo per il cristiano, sono per ogni uomo, poiché non è il cristiano che è stato fatto ad immagine di Dio, ma l’uomo.


È l’uomo, ogni uomo, obbligato a percorrere la via della verità, perché la verità è natura del suo essere, della sua vita.


Qui ci sarebbe tutto un discorso da fare sulla legge naturale, sulla verità naturale. Ma per fare questo discorso occorre da parte di tutti che si accetti un solo principio: non è l’uomo che si è fatto, non è l’uomo che si fa. L’uomo è stato fatto, continuamente, ogni giorno, viene fatto da Dio, se da Lui si lascia fare. Questa è la prima verità sull’uomo: la sua natura non è da lui, ma da un Altro; la sua natura non è lui a farla, è Dio se lui lascia che il Signore la faccia, o gliela faccia.


Per l’uomo di oggi tutto ciò che comporta l’affermazione che l’uomo non si fa da sé, ma è fatto da un altro; non si è fatto, ma è stato fatto; non è stato fatto semplicemente – anche questo comporterebbe una verità oggettiva – ma è stato fatto ad immagine e somiglianza di Dio, tutto questo viene respinto, rifiutato, dichiarato non vero, non giusto, non buono. Ci troviamo dinanzi alla tentazione di sempre, di quella che è stata la prima e che sarà anche l’ultima dell’ultimo uomo che vivrà su questa terra: volere essere come Dio.


Cosa significa volere essere come Dio? Significa pretendere stabilire il bene e il male. Ma questo non significa essere come Dio, ma più di Dio.


Dio non può stabilire cosa è il bene e cosa è il male, partendo dalla sua volontà. Il bene e il male si definiscono partendo invece dalla sua natura che è bontà infinita.


L’uomo è andato oltre lo stesso potere divino: lui invece arbitrariamente definisce il bene e il male, dichiara bene il male e male il bene. Questo Dio non lo può fare. L’uomo lo può fare a motivo della sua natura che si è corrotta, il giorno del primo peccato e in questa natura corrotta vive, dichiarando bene il male e male il bene, senza alcuna difficoltà.


Dinanzi a questa completa autonomia da Dio, nelle grandi come nelle piccole cose, dinanzi ad un uomo che si è fatto Dio, Signore e Padrone della sua vita, dinanzi ad un uomo che determina lui ciò che è bene e ciò che è male, cosa può fare la pastorale?


Può fare ben poco, anche perché la pastorale oggi neanche conosce questo problema. È così cieca che non vede la vera piaga in cui versa il popolo di Dio. A volte sembra di trovarci nell’Antico Testamento, al tempo del profeta Geremia.


Ecco il lamento di Dio sul suo popolo e sui suoi pastori: “Perché dal piccolo al grande tutti commettono frode; dal profeta al sacerdote tutti praticano la menzogna. Essi curano la ferita del mio popolo, ma solo alla leggera, dicendo: Bene, bene! ma bene non va.


Dovrebbero vergognarsi dei loro atti abominevoli, ma non si vergognano affatto, non sanno neppure arrossire. Per questo cadranno con le altre vittime, nell'ora del castigo saranno prostrati, dice il Signore.


Così il Signore: Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri del passato, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre. Ma essi risposero: Non la prenderemo!


Io ho posto sentinelle presso di voi: Fate attenzione allo squillo di tromba. Essi hanno risposto: Non ci baderemo!”. (Ger 6,13-17).


La verità discende dal Cielo. È la volontà di Dio manifesta, è la sapienza che deve muovere i nostri atti. La verità è l’opera dello Spirito di verità nel cuore dell’uomo. Se l’uomo vive in peccato, non ha lo Spirito di verità, non ha la verità. Nel suo cuore regna solo la menzogna.


[10]Cercate ciò che è gradito al Signore,


È questa la regola suprema del retto agire.


C’è la persona che agisce, ci sono gli uomini dinanzi ai quali si agisce, c’è il Signore. Ogni azione può essere fatta per piacere a se stessi, per piacere agli uomini, per piacere al Signore. Di queste tre modalità, una sola è quella giusta. È azione in sé buona solo quella che viene fatta per il Signore, o è fatta perché è gradita a Lui.


Le altre due modalità sono viziate, perché tolgono ogni gloria a Dio e quando si toglie la gloria a Dio, l’azione, anche se è buona in sé, viene rovinata dalla vanagloria, o dalla superbia.


È gradito al Signore solo il compimento della sua volontà. Il compimento della volontà del Signore ancora però non è opera buona, se non viene fatta per la sua gloria.


Anche l’opera più bella, più vera, più santa, fatta per la gloria degli uomini, non è opera gradita al Signore, perché non è fatta per la sua gloria, ma per la nostra.


Inoltre perché un’opera sia gradita al Signore deve essere fatta bene, dall’inizio alla fine; deve essere bella, cioè senza macchia e senza rughe di imperfezioni; deve anche essere una cosa in sé buona, perfetta, altrimenti tutto ciò che facciamo non viene gradito dal Signore.


Il Signore non gradisce ciò che è imperfetto, impuro, non santo, non buono, non giusto, non bello.


Il Signore non gradisce tutto ciò che è macchiato da secondi fini, da cattive intenzioni.


Il Signore non gradisce quando l’uomo non dona con la larghezza del suo cuore, della sua mente, della sua intelligenza e dei suoi sentimenti.


Il Signore non gradisce quando un solo pensiero non buono, anche di paura, di timore, di dubbio, di incertezza, dovesse interporsi tra Lui e l’opera da compiere.


Il Signore non gradisce ciò che viene fatto in fretta, arrangiato, in modo superficiale, senza attenzione, da distratti, arruffando e imbrogliando il tutto.


Il Signore non gradisce tutto ciò che viene intaccato dalla vanagloria e dalla superbia dell’uomo che opera.


Il Signore non gradisce se non ciò che è fatto con tutto il cuore, tutta la mente, tutta l’anima, tutte le forze.


Il Signore gradisce tutto ciò che è fatto secondo la legge del primo comandamento dell’amore: “amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze, con tutto te stesso”.


Il Signore gradisce ciò che è fatto al prossimo secondo la legge della carità: “amerai il prossimo tuo come te stesso”, e: “ciò che volete che gli uomini facciano a voi, fatelo anche voi a loro, perché questa è la legge e questi sono i profeti”.


Secondo l’interpretazione più comune è detto che il Signore non gradì l’offerta di Caino, mentre gradì quella di Abele a causa dello scarto offerto dal primo e dalle cose migliori offerte dal secondo: “Adamo si unì a Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino e disse: Ho acquistato un uomo dal Signore. Poi partorì ancora suo fratello Abele. Ora Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo. Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore; anche Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. Il Signore disse allora a Caino: Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dòminalo” (Gen 4,1-7).


In Malachia c’è un grande lamento del Signore, il quale vorrebbe addirittura che si chiudessero le porte del suo tempio, a motivo di certi sacrifici impuri e imperfetti: “Il figlio onora suo padre e il servo rispetta il suo padrone. Se io sono padre, dov'è l'onore che mi spetta? Se sono il padrone, dov'è il timore di me? Dice il Signore degli eserciti a voi, sacerdoti, che disprezzate il mio nome. Voi domandate: Come abbiamo disprezzato il tuo nome? Offrite sul mio altare un cibo contaminato e dite: Come ti abbiamo contaminato? Quando voi dite: La tavola del Signore è spregevole e offrite un animale cieco in sacrificio, non è forse un male? Quando voi offrite un animale zoppo o malato, non è forse un male? Offritelo pure al vostro governatore: pensate che l'accetterà o che vi sarà grato? Dice il Signore degli eserciti.


Ora supplicate pure Dio perché abbia pietà di voi! Se fate tali cose, dovrebbe mostrarsi favorevole a voi? Dice il Signore degli eserciti. Oh, ci fosse fra di voi chi chiude le porte, perché non arda più invano il mio altare! Non mi compiaccio di voi, dice il Signore degli eserciti, non accetto l'offerta delle vostre mani! Poiché dall'oriente all'occidente grande è il mio nome fra le genti e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome e una oblazione pura, perché grande è il mio nome fra le genti, dice il Signore degli eserciti.


Ma voi lo profanate quando dite: La tavola del Signore è contaminata e spregevole ciò che v'è sopra, il suo cibo. Voi aggiungete: Ah! che pena! Voi mi disprezzate, dice il Signore degli eserciti, e offrite animali rubati, zoppi, malati e li portate in offerta! Posso io gradirla dalle vostre mani? Dice il Signore. Maledetto il fraudolento che ha nel gregge un maschio, ne fa voto e poi mi sacrifica una bestia difettosa. Poiché io sono un re grande, dice il Signore degli eserciti, e il mio nome è terribile fra le nazioni” (Mal 1, 6-14).


Nell’uno e nell’altro caso non si fa ciò che è gradito al Signore.


Pensiero, cuore, mente, anima, spirito, sentimenti, corpo, tutto dell’uomo deve respirare bontà, misericordia, amore, verità, giustizia, santità, perché l’opera che si compie non venga viziata da errore o da imperfezioni, o dal peccato.


Il santo fa cose sante ed è gradito al Signore. Il peccatore non fa cose sante, non può essere gradito al Signore.


È come se un ladrone potesse fare un’opera buona con i soldi rubati. Con tutto ciò che è furto non si può fare cosa gradita al Signore. Eppure molte cose si fanno per essere graditi agli uomini e si pensa di essere anche graditi al Signore con il provento dei furti e delle ingiustizie.


Tutto ciò può accadere, quando l’opera non si fonda sulla santità della persona.


Per piacere al Signore non occorre semplicemente fare un’opera buona, occorre che l’opera buona sia fatta bene, secondo le regole della verità, della giustizia, della bontà, della santità della persona. Occorre che sia fatta solo compiendo la volontà di Dio e perché salga a Lui la più grande gloria. Dio si compiace e gradisce solo quell’opera che lo riconosce come il Signore, l’unico Signore della propria vita e a Lui si presta un’obbedienza perfetta, un ascolto totale che è dono pieno della nostra vita a Lui per manifestare nel mondo la sua gloria.


[11]e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente,


Le opere infruttuose delle tenebre sono tutte quelle opere che non sono illuminate dalla luce e dalla verità del Vangelo.


Sono opere delle tenebre perché sono impastate di male morale. In esse non c’è la volontà di Dio, anzi sono contro la volontà di Dio.


Sono infruttuose perché non solo non producono alcun bene su questa terra, né per noi, né per gli altri, ma neanche per l’eternità producono bene.


Queste opere generano solo morte, morte sulla terra e morte nel cielo; morte nel tempo e morte nell’eternità.


Ciò significa che ogni opera che l’uomo compie trasgredendo la volontà di Dio non produce alcun frutto di bene, anzi è madre di tanto male sia spirituale, sia morale, sia fisico, sia personale che collettivo.


Questa verità deve essere insegnata ad ogni cristiano, il cristiano poi la deve insegnare ad ogni uomo. Dal male non nasce il bene. Dal male nasce e si propaga solo il male. Questa è la verità ed è verità assoluta, senza eccezioni e senza deroghe.


Non solo al cristiano è richiesto di non partecipare a queste opere, di non collaborare perché vengano poste in essere, quanto si chiede a lui di condannarle apertamente.


Qui bisogna che si spenda una parola sulla condanna aperta delle opere infruttuose delle tenebre.


Bisogna chiedersi cosa si deve intendere per condanna aperta e quali sono le vie, o le forme perché questa condanna venga fatta.


La prima condanna delle opere delle tenebre è l’insegnamento del Vangelo, l’annunzio della verità della salvezza, la proclamazione della Parola di Cristo Gesù. Se non si predica il Vangelo non c’è vera condanna aperta delle opere delle tenebre, perché solo il Vangelo è luce e solo la luce del Vangelo può condannare le opere infruttuose delle tenebre.


La Chiesa è stata inviata nel mondo per predicare il Vangelo. Quest’obbligo non tramonta mai, mai passa di moda, mai diviene desueto.


La luce della Chiesa è il Vangelo. Il cristiano che sa ricordare il Vangelo, che lo sa annunziare condanna le opere delle tenebre e lo fa in modo aperto, palese, dinanzi al mondo intero.


Il secondo modo di condannare le opere delle tenebre è quello di non commetterle. Ma questo non basta. Bisogna rifiutarsi di commetterle dicendo anche il motivo per cui non si possono commettere e il motivo è uno solo: sono contro la verità di Dio, contro la sua volontà, offendono gravemente il Signore, provocano un danno irreparabile sull’intera umanità.


Ogni opera infruttuosa delle tenebre provoca un danno sull’umanità intera. Eva commise un solo peccato. Le conseguenze le sta portando l’umanità intera e anche il Figlio di Dio le ha portate fin sulla croce, anche se lo ha fatto per noi e non per Lui, poiché Lui era innocente, era il Santo e il Giusto.


Il terzo modo è la correzione fraterna, fatta secondo la regola evangelica. Altre regole non esistono se si vuole correggere il fratello che ha peccato.


Il quarto modo è senz’altro il più difficile da praticare. Si condannano apertamente le opere infruttuose delle tenebre spendendo ogni energia alla formazione nostra e dei fratelli.


Formare è assai difficile. Nella formazione bisogna spendere tutta una vita. Ma cosa è la formazione se non una costante opera di luce perché il formando veda il male sotto ogni aspetto, anche il più visibile, alla luce di una verità che si fa sempre più netta e più precisa, perché è la stessa verità di Cristo che viene a prendere possesso nel nostro cuore?


Formare richiede pazienza, disponibilità, costanza, perseveranza, attenzione, conoscenza della verità, sano discernimento, capacità di intuizione, libertà interiore, spirito di osservazione e di lettura della storia.


Per formare si richiede il cuore di Cristo Gesù, mite, paziente, umile, assetato della verità, affamato di volontà del Padre. Si domanda la luce dello Spirito Santo che con esattezza infallibile separa verità ed errore. È necessario infine lo stesso amore del Padre che consegna e dona il suo Figlio unigenito perché noi tutti fossimo introdotti nella conoscenza della verità.


Quando la Trinità abita nel cuore del cristiano – e vi abita se il cuore ha iniziato un vero ed autentico cammino di santificazione – questi è mosso e guidato da Dio e tutto opera conformemente alla volontà di Dio.


Formare un cuore è introdurlo nella volontà di Dio, non nella nostra che facciamo passare per volontà di Dio, ma nella volontà che Dio ci ha rivelato e che la Chiesa quotidianamente è chiamata ad insegnarci.


Al di là di tutto bisogna sempre ricordarsi però che il non formato non può formare, il non vero non può dire la verità, il non santo non può santificare e chi pratica le opere delle tenebre non può condurre alcuno nella luce.





Credente
00venerdì 2 novembre 2018 18:35

[[12]poiché di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlare.


In questo versetto viene manifestata la gravità delle opere delle tenebre.


Da quanto Paolo dichiara c’è da pensare che si tratti di una immoralità tale che è senza più limiti.


Nella Lettera ai Romani in qualche modo ci ha parlato di questa immoralità, senza naturalmente scendere nei particolari, senza specifiche descrizioni. Ci ha indicato quasi tutte le forme del male che nascono dall’idolatria, ma non è andato oltre. In questo versetto puntualizza la gravità di queste opere. Sono così immorali che parlarne, il solo parlarne è una vergogna. Narrare di queste opere, o scendere nei particolari è vergognoso.


C’è il peccato che è trasgressione della legge che Dio ha scritto nel cuore di ognuno e che ha anche dato positivamente nei comandamenti e ci sono altre forme di male, che vanno ben oltre i comandamenti,


Molte di queste opere sono legate al corpo dell’uomo, alla lussuria, alla lascivia. In tante di queste opere cattive il corpo viene usato solo come strumento di godimento sessuale e in più contro natura.


Poiché l’uomo mai si sazia del male, più ci si concede al male e più il male non produce effetto, poiché c’è come una assuefazione allo stesso male.


Occorre per questo un male sempre più grande, una lussuria sempre più sfrenata, un uso del corpo che va oltre i limiti dello stesso peccato.


C’è come un vortice nel quale si precipita e dal quale si è come consumati, annientati. Lo stesso uomo alla fine diviene preda del male che lo consuma e lo uccide.


Quando un uomo è preda del mistero dell’iniquità, non c’è più scampo per lui. L’unica via di soluzione è l’abbandono totale al male.


Per questo bisogna sempre vigilare che mai si oltrepassino certi limiti, oltre i quali non c’è più ritorno. Non c’è più ritorno, non perché la grazia di Dio non è più donata. La grazia di Dio c’è sempre, ma perché l’uomo ormai è preda definitiva del male, è prigioniero del suo peccato, è schiavo dei suoi abomini e delle sue nefandezze.


Come ovviare a che non si cada nel baratro del male? La via è una sola: formare fin dalla più tenera età al dominio di se stessi, al governo del proprio corpo. Invitare alla preghiera, perché la grazia di Dio ci preservi dal cadere nella lussuria e negli altri vizi.


È solo per grazia di Dio che siamo preservati dal male. Nella grazia bisogna sempre crescere e abbondare. Questa è la via perché il male non abbia il sopravvento su di noi e non ci consumi.


Bisogna che la santità e non il vizio prenda possesso del nostro cuore. Se lo Spirito del Signore comincia a guidare un cuore fin dalla sua più tenera età, di sicuro il male starà lontano da questo cuore e la grazia lavorerà per una sempre più grande santificazione.


[13]Tutte queste cose che vengono apertamente condannate sono rivelate dalla luce, perché tutto quello che si manifesta è luce.


Individuare il peccato, condannarlo apertamente, è la giusta opera che bisogna fare, se si vuole lavorare perché il male venga sconfitto, eliminato.


Il cristiano è chiamato a camminare nella luce, ad operare nella luce, a divenire luce, perché lui in Cristo è stato costituito luce del mondo e sale della terra.


Portare alla luce il male, dichiararlo male, condannarlo come male, in nome della luce della verità, è l’opera più urgente da fare.


Viene qui indicato tutto un programma di educazione che urge realizzare, portare a compimento e il programma è questo: dire con chiarezza ciò che è bene e ciò che è male; dire esplicitamente ciò che è conforme alla verità di Dio e ciò che è difforme, perché contrario e in opposizione a ciò che il Signore comanda; dire che certe cose non si possono fare, perché contraddicono essenzialmente la natura dell’uomo, la cui vocazione è quella di essere e di realizzarsi ad immagine e a somiglianza di Dio in questo mondo.


La forza di certe forme di peccato sono le tenebre, l’oscurità, il nascondimento, il falso pudore, il tenerle nascoste, la non sufficiente illuminazione, la paura di dichiararle male, peccato, contrarie alla legge di Dio.


C’è stata tutta un’educazione fondata sul silenzio, che altro non produceva e non generava che vizi sempre più grandi.


Portare certe cose alla luce è desiderio di eliminarle per sempre dalla nostra vista, è volontà di estinguerle dalle nostre comunità; è anche dire con precisione che non si possono fare, perché non è giusto che le si facciano.


Tuttora si è avvolti di un falso pudore. Chi è preposto alla formazione non dona sufficienti informazioni su quanto è da fare e quanto è da evitare. Mentre si lascia alla cattiva informazione, informazione per il peccato e non per la santità, su ciò che si deve fare per immergersi sempre più nel male e nel peccato.


Su certe tematiche morali occorrerebbe molta più sensibilità, non certamente a livello di una informazione maliziosa e deleteria, che altro non fa che produrre danni in chi la riceve; ma di quella saggezza e intelligenza nello Spirito Santo che sappia guidare perché non si scivoli verso il male, ma sempre si rimanga nel bene, anzi nel bene si progredisca, fino alla sconfitta totale del male.


Tante cose si possono comprendere solo alla luce dello Spirito Santo. È Lui la nostra unica Luce, ma anche l’unica nostra Forza che ci preserva dal male e ci introduce in un bene sempre più grande, fino al completo e perfetto dominio del nostro corpo.


Sperare in una formazione alla vita, nella verità e nella grazia di Cristo Gesù, omettendo il ricorso alla Spirito Santo è opera vana.


Niente di buono, di bello, di santo si può compiere nel mondo senza la luce di verità che porta nei nostri cuori lo Spirito del Signore.


È lo Spirito Santo la forza della Chiesa, perché è Lui la sua perenne mozione, la sua Guida, il Datore della vita e della verità.


[14]Per questo sta scritto: Svègliati, o tu che dormi, dèstati dai morti e Cristo ti illuminerà.


I commentatori pensano che questo versetto sia un frammento di un qualche inno battesimale.


Di certo la luce è legata in modo del tutto particolare al battesimo. Ma prima ancora alla notte di Pasqua, la cui liturgia presenta Cristo Luce del mondo.


Il sonno, dal quale ci si deve svegliare, sono le tenebre, la non verità, l’ambiguità, la vanità, l’inganno, la falsità nella quale versa quasi sempre la nostra vita. Se non ci si sveglia da questo sonno, tutta la nostra esistenza viene vissuta in modo stolto. Si dona valore a ciò che valore non ha, mentre non lo si dona a tutto ciò che ha valore e ha valore solo la salvezza della nostra anima, per possedere la quale è giusto perdere il mondo intero.


Tutti coloro che non camminano nella verità sono addormentati, sono avvolti dalle tenebre. La loro vita è priva di vero, autentico significato.


Si sogna un mondo diverso quaggiù e ci si adopera per procurarselo, a volte anche facendo il male e rinnegando la giustizia, ma poi quando si aprono gli occhi alla verità, ci si accorge che tutto è stato una chimera, un brutto sonno.


La speranza è che non ci si svegli nell’eternità, poiché allora sarà impossibile qualsiasi forma di conversione, dal momento che la nostra entrata nell’eternità ratifica la nostra scelta e le dona compimento eterno, nel bene o nel male, con Dio o con il principe di questo mondo.


È compito primario della Chiesa svegliare ogni uomo, chiamandolo ad abbandonare il sonno della falsità ed entrare nella vita sveglia della verità.


Se si osservano i comportamenti degli uomini senza la verità, veramente dobbiamo confessare che il loro è vero e proprio sonno, ma è un sonno assai pericoloso, perché potrebbe condurli nel sonno eterno della dannazione eterna.


Che la Chiesa abbia questa forza di ricondurre ogni uomo alla verità. Ma questo non può essere fatto se non da coloro che sono già svegli, che vivono nella verità, che hanno fatto della verità la loro veste, che hanno abbandonato le opere delle tenebre e compiono solo le opere della luce.


La morte invece è quella dell’anima, provocata dal peccato che si commette. Ogni peccato conduce l’anima nella morte, perché la priva della grazia santificante e quindi l’anima precipita nella morte, che si trasformerà in morte eterna, se non si converte e non inizia un cammino di vera fede nel Vangelo della grazia.


Quando l’uomo è nel sonno, cioè vive una vita lontana da Dio, come se Dio non esistesse, come se Cristo non fosse il suo Redentore, vive una vita senza verità e senza grazia, quando è nella morte, cioè quando la divina carità non è più la vita della sua anima e tutto in lui è confusione, dissidio, concupiscenza, superbia ed ogni altra separazione, per cui ogni sua facoltà cammina per se stessa e per di più senza la giustizia che la guida, occorre che qualcuno lo svegli, lo riporti in vita.


Chi deve riportare l’uomo in vita è la Chiesa. Tutti partecipano della missione profetica, regale, sacerdotale di Cristo Gesù, ma chi ha la responsabilità diretta di svegliare coloro che dormono sono gli Apostoli.


A loro Cristo Gesù ha affidato la sua verità e la sua grazia. Loro hanno tutta la responsabilità diretta dell’evangelizzazione, della missione, della proclamazione del Vangelo. Tutti gli altri sono chiamati a rendere testimonianza a Cristo con la parola e con le opere.


C’è pertanto nella Chiesa una duplice responsabilità: degli Apostoli che devono viverla nel nome e con l’autorità di Cristo Gesù. A loro si associano come primi collaboratori i Sacerdoti.


Tutti gli altri hanno una responsabilità di testimonianza, di santità, di conformità della loro vita al Vangelo. Hanno la responsabilità di manifestare Cristo che vive in loro per mezzo della Parola che loro vivono in ogni sua parte.


Chi deve illuminare però è Cristo Gesù e Lui illumina con la verità e con la grazia. La grazia e la verità devono essere consegnate nella loro più alta purezza. Se si modifica la verità, se si apporta cambiamento nella grazia, Cristo non può più illuminare.


La responsabilità sia degli Apostoli sia di ogni altro fedele laico è una sola: consegnare al mondo, secondo il proprio specifico ministero, la grazia e la verità di Cristo Gesù, senza alterazione, senza cambiamenti, senza modifiche. Integralmente Cristo ha dato i suoi doni a noi, integralmente dobbiamo noi darli al mondo intero.


Ogni modifica, anche la più piccola, trasforma il dono e lo rende non più dono di Cristo Gesù. Cristo non può più illuminare.


Cristo Gesù potrebbe anche illuminare direttamente, come ha fatto con Paolo sulla via di Damasco, però poi si ha sempre bisogno della Chiesa per confermare nella verità, per far crescere in essa tutti coloro che sono stati illuminati direttamente da Cristo Signore.


La via immediata non esclude la via mediata, anzi ad essa rimanda, rinvia, perché accolga colui che Cristo ha illuminato e completi l’opera della santificazione e anche dell’illuminazione.


È un grande obbligo quello che grava sulle nostre spalle e che noi ci siamo assunti. Per noi il mondo si sveglia dalla morte e per noi continua il suo sonno di peccato e di allontanamento da Dio. Per noi un uomo entra nella luce e per noi rimane nelle tenebre. Per noi si edifica il regno di Dio e per noi si incrementa il regno di satana, del principe di questo mondo. Tutto è dal nostro lavoro, dalla nostra fede, dalla nostra vita santa. Cristo illumina se noi svegliamo, se noi destiamo quelli che giacciono nella morte.




VIRTÙ CRISTIANE



[15]Vigilate dunque attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti, ma da uomini saggi;

Ognuno, dopo che è stato illuminato da Cristo Gesù, deve camminare sempre alla sua luce, con la sua grazia.

Egli deve vigilare che ogni suo comportamento, ogni sua azione, ogni gesto, ogni parola, ogni sentimento, ogni relazione – è questa la condotta – sia sempre illuminata dalla verità di Gesù, sia fatta con la forza della grazia di Cristo Gesù.

C’è pertanto una responsabilità che è della persona e di nessun altro. La responsabilità di vigilare è solo nostra, è prima di tutto nostra, è dopo tutto anche nostra. Questa responsabilità è indelegabile. Nessuno può vigilare per noi. Questa è la verità.

È questo il principio più santo per la salvezza di ogni uomo e in ogni campo, non solo nel campo della fede, o della moralità.

Ad ognuno bisogna annunziare questa responsabilità, ognuno deve essere anche formato in questa responsabilità.

La vita è della persona e chi è responsabile della propria vita è la persona che la vive. La vita tutta è nelle sue mani. La persona può distruggerla, la persona può edificarla, la persona può dirigerla a destra, come a sinistra, la può condurre nella vita, ma anche la può trascinare nella morte.

La persona la può elevare in dignità, ma può anche degradarla. La prima e la più grande responsabilità di un uomo è quella della sua vita.

Questo non si insegna. Anzi c’è oggi una mentalità diffusa secondo la quale o la nostra vita dipende interamente dagli altri, oppure che su di essa c’è un destino cieco che determina ogni cosa che in essa accade.

Questo principio è contro la nostra fede, che insegna che tutto è nella responsabilità della persona. Tutto è in aiuto alla persona. Niente è in sua sostituzione. Tutto deve cooperare al bene della persona. Niente può sostituirsi alla persona. Questa è la verità.

Paolo invita i cristiani a vigilare attentamente sulla loro condotta. Perché?

Loro possono dirigersi nel bene, o nel male, seguire Cristo o abbandonarlo, ascoltare la sua voce o quella della tentazione. Solo la persona è sempre con la persona. Gli altri non sono con la persona. Come fanno a vigilare, come fanno a scorgere la tentazione, come fanno a impedire il peccato?

Se uno non vigila, è in balia del male, non del bene. L’uomo è inclinato al male; verso il bene cammina solo con la forza della grazia e seguendo la luce di Cristo Gesù. Questa è la situazione dell’uomo.

Se uno non vigila attentamente, immediatamente si trova spostato sulla via del male, che lui percorre quasi naturalmente, illudendosi di essere nel bene, mentre in realtà altro non sta facendo che rinnegare Cristo e uscire dalla sua grazia, dopo essere uscito dalla sua verità, o viceversa: uscire dalla verità, dopo essere caduto nel peccato.

C’è un comportamento che è da uomini stolti e uno che è da uomini saggi. Il comportamento dell’uomo stolto è quello senza verità, senza volontà di Dio, senza giustizia e senza comandamenti.

Il comportamento dell’uomo saggio invece consiste nel ricercare sempre la volontà di Dio per compierla in ogni sua parte santamente, con tutta la carità che abita nel suo cuore, con tutta la forza dello Spirito che dimora in lui.

È questo l’unico comportamento consentito al cristiano. L’altro comportamento è il rinnegamento del suo cristianesimo e della sua appartenenza a Cristo Gesù.

La saggezza nasce però in noi attraverso due vie, che noi siamo obbligati a intraprendere: la via della preghiera e l’altra dell’ascolto della Parola di Gesù, che gli Apostoli ci trasmettono.

Se una di queste due vie viene omessa, tralasciata, inesorabilmente si scivola nella stoltezza.

È facile sapere se una comunità cristiana cammina nella stoltezza, o nella sapienza. È sufficiente interrogarsi quanta catechesi viene fatta e quanta preghiera viene elevata a Dio.

Se una persona non frequenta un corso di catechesi, se non prega, non può vivere di saggezza, perché lo Spirito Santo non la illumina, la Parola del Signore non governa la sua mente.

[16]profittando del tempo presente, perché i giorni sono cattivi.

A che serve il tempo che il Signore concede a ciascuno? Per Paolo non c’è dubbio: il tempo ci è dato per completare la nostra santificazione, per espletare il viaggio verso il cielo nella più grande saggezza.

A questo serve il tempo, non ad altro. Allora, se il tempo ci è dato perché noi realizziamo la nostra santificazione, ci facciamo ad immagine di Cristo Gesù, perché i cristiani vivono il tempo dedicando quasi interamente alle cose della terra? Perché non c’è in loro aspirazione verso il cielo?

La risposta è una sola: perché non c’è formazione adeguata, non c’è illuminazione sufficiente, perché anche il singolo si lascia facilmente tentare, perché non persevera sulla via della verità, perché l’inclinazione al male non si può vincere senza la preghiera personale.

Cristo Gesù ci ha dato tutto. Tutto quanto è necessario perché noi raggiungiamo il regno dei cieli è stato messo nelle nostre mani. Dio non può fare più altro. Il resto appartiene al singolo, alla persona. Paolo che sa questo, invita i cristiani a profittare del tempo presente, a sfruttarlo bene, a impiegarlo bene e come si impiega bene il tempo se non dedicandolo interamente alla costruzione del nostro uomo interiore?

Come si profitta del tempo, se non impegnandolo perché noi possiamo raggiungere il cielo ma nella più grande santità?

Il vero cristiano lo si vede dall’uso del tempo. Se non ha tempo per il Signore, non potrà mai essere un buon cristiano.

Non è un buon cristiano, perché non si serve dei mezzi che Dio gli ha fornito perché cammini spedito verso il regno dei cieli e questi mezzi sono: la preghiera, l’ascolto della Parola, le opere di misericordia, una vita intessuta tutta di carità, allo stesso modo che lo fu la vita di Cristo Gesù.

Fare della vita una scala per salire al cielo: è questa la regola della vita. Le altre regole sono tutte sbagliate, perché non conducono al cielo, ci fanno rimanere ancorati su questa terra.

Altra verità enunciata in questo versetto: i giorni sono cattivi. Perché i giorni sono cattivi e non santi?

Il giorno è in se stesso cattivo, perché da se stesso – poiché l’uomo vive nel regime del peccato – non conduce alla santità, alla verità, alla purezza, alla grazia, alla carità, all’amore, alla pazienza, alla perseveranza.

I giorni sono cattivi perché anche essi sono stati inquinati dal peccato dell’uomo. Tutto ciò che è nella creazione è stato inquinato dal peccato. I primi ad essere inquinati dal peccato sono stati gli Angeli. Gli Angeli hanno inquinato Eva, Eva ha inquinato Adamo, da Eva e da Adamo l’inquinamento di peccato è passato alla terra, al tempo, ai giorni.

Perché si liberino i giorni dalla cattiveria del peccato, occorre la santità del cristiano. Cristo ha santificato il cristiano, il cristiano è chiamato a santificare tutta la realtà creata. Come? Portando in essa la sua santità.

I giorni non sono cattivi oggi, saranno sempre cattivi, perché in essi c’è il germe del peccato e della morte. Ogni giorno è un giorno di morte per l’uomo e se l’uomo è senza Cristo i giorni altro non producono che cattiveria, morte, lutto, peccato, pianto.

Il cristiano porta nei giorni la santità di Cristo Gesù e questi si rischiarano di verità, di santità, di gioia, di pace, di serenità, di tanto amore e tanta carità, si riempiono di speranza.

Anche questa è vocazione del cristiano: liberare i giorni dalla loro cattiveria e condurli nella verità e nella santità di Cristo Gesù. Se il cristiano non lo fa, i giorni rimangono nella loro cattiveria e generano cattiveria, perché è l’uomo che la genera, l’uomo che è senza Cristo e senza Dio.

Anche questa è altissima responsabilità del cristiano: lui è chiamato ad essere la speranza del mondo, la speranza dei giorni. Sarà tutto questo se profittando del tempo presente, che è un tempo di morte, saprà profondere in esso tutta la verità e la carità che sono in Cristo Gesù. Così operando, lui porterà pace nel mondo e darà nuova speranza ai cuori.

La speranza è questa: il male si può vincere, la cattiveria dei giorni si può vanificare, annullare, la risurrezione di Cristo Gesù può abitare sulla terra e con essa la vittoria sul peccato e sulla morte.

[17]Non siate perciò inconsiderati, ma sappiate comprendere la volontà di Dio.

Paolo dopo aver enunciato il principio, dona anche la regola pratica perché lo si possa attuare.

Dobbiamo profittare del tempo presente, dobbiamo vincere la cattiveria dei giorni. Come?

Prima di tutto siamo esortati a non essere inconsiderati. Cosa significa esattamente essere inconsiderati?

Semplicemente essere di coloro che agiscono d’impulso, per sentimento, senza meditazione, riflessione, ponderazione, discernimento.

Si è inconsiderati quando si segue ogni idea che passa per la mente, ogni suggestione che l’altro ci invia, ogni indicazione che ci viene offerta da questo o da quello. Su questo punto bisogna dire che c’è molta superficialità, anche in campo pastorale e per questioni assai delicate.

Succede a volte che la prima proposta che viene fatta dal primo venuto, subito la si accetta, senza la necessaria valutazione, senza alcun discernimento. La si accetta come se fosse Parola di Dio.

Non appena poi si cerca di realizzarla, ci si accorge che non risolve nessun problema, nessuna questione riceve un esito buono.

Tutto questo accade perché non si riflette, non si pensa, non si operano quei dovuti discernimenti, perché non si vuole conoscere la situazione nella quale vive il popolo di Dio in una storia e in un luogo particolare.

L’agire da inconsiderati è il peggiore dei mali nella pastorale. Per questa imprudenza, perché proprio di imprudenza si tratta, si perdono anni di lavoro e quanto si fa risulta alla fine inutile, vano, infruttuoso.

Chi vuole vincere la cattiveria dei giorni deve essere prudente, saggio, intelligente oltre misura, discreto, attento osservatore della realtà, capace di tradurre il messaggio nel contesto culturale nel quale vive, soprattutto deve sempre evitare di pensare che ciò che è stato utile altrove sia utile anche nel luogo dove sorge lo stesso problema, ma con persone e con un retroterra culturale assai differente e diverso.

Su questo non ci sono dubbi. La parola del primo venuto non può costituire principio di azione e di operazione pastorale. La prima proposta, suggerita da questo o da quello nei consigli di vario genere, non può essere considerata la soluzione del problema.

Occorre che si ascoltino tutte le proposte, tutte le idee. Poi colui che ha la responsabilità della decisione, deve mettersi dinanzi a Dio e nella preghiera lunga ed accorata chiedere al Signore che sia Lui a operare quel sano discernimento necessario per rispondere alle attese di Dio e degli uomini.

A volte un mese di preghiera non è sufficiente e neanche due. A volte per certe decisioni da prendere occorre che si rifletta e si preghi a lungo, anche più mesi se necessario.

Soprattutto è però urgente che mai si decisa perché si è ascoltata questa o quell’altra proposta. La metodologia è una sola: si ascolta, si prega, si discerne, si prega, se necessario si ascolta nuovamente, si discerne, si prega e infine si decide.

Non essere inconsiderati è solo la parte negativa. La parte positiva consiste invece nel saper comprendere la volontà di Dio. Ma come si comprende la volontà di Dio?

La prima regola per la comprensione della volontà di Dio è conoscere la volontà di Dio.

Oggi questo è divenuto impossibile, perché la volontà di Dio non si conosce, perché non si conosce il Vangelo. C’è una parvenza di conoscenza evangelica, ma in verità il Vangelo non si conosce. Non lo si legge, non lo si medita, non lo si studia, non lo si considera come l’unica vera Parola di Dio dalla quale partire per dare significato di salvezza ad ogni altra parola che ascoltiamo.

Poiché senza Vangelo si è anche senza volontà di Dio. Chi è senza volontà di Dio non può mai comprendere la volontà di Dio, poiché la comprensione è susseguente alla conoscenza.

Si conosce la volontà di Dio, la si comprende. Se non la si conosce, non la si può neanche comprendere.

Poiché oggi il mondo ha dimenticato la Parola di Gesù, del Figlio della Vergine Maria, Madre della Redenzione, inutile sperare in una comprensione di essa.

Bisogna prima partire dalla conoscenza e la si conosce se la si annunzia, se la si ricorda. Una volta che questo è avvenuto, occorre tutta una metodologia e tutto un lavoro susseguente per la sua comprensione.

La prima forma per la comprensione della Parola e quindi della volontà di Dio è la catechesi. Questa forma di impartire l’insegnamento e la comprensione della Parola è indispensabile. Si può fare tutto nella Chiesa, ma se non si fa catechesi, si rimane sempre senza comprensione della volontà di Dio. Quanto si opera è solo pensiero dell’uomo, sua volontà, ma non certamente volontà di Dio.

Tutte le altre forme, compreso lo studio della teologia, sappiano che daranno la volontà di Dio all’uomo e la sua comprensione, se partiranno dall’ascolto della Parola. Qualsiasi insegnamento al popolo di Dio che non parte dalla Parola, è un insegnamento che non dona la volontà di Dio e quindi è un insegnamento vuoto, vano, se non dannoso e altamente pericoloso.


Credente
00venerdì 2 novembre 2018 18:37

Tutti, indistintamente tutti, siamo obbligati a conoscere e a comprendere la Parola di Dio.


Non solo l’annunzio, ma anche l’insegnamento è opera essenziale per la Chiesa. Questo sta a significare che tutti quei movimenti, associazioni e gruppi ecclesiali, che non insegnano secondo verità a comprendere la volontà di Dio, ma dicono soltanto la Parola, non lavorano secondo metodologie evangeliche, lavorano erratamente e quindi di sicuro provocano un grave danno spirituale e morale in tutti i loro membri.


Su questo bisogna essere espliciti. Tutti possono annunziare, ma non tutti possono insegnare. L’insegnamento richiede sapienza, dottrina, intelligenza, conoscenza, studio, riflessione, meditazione, costante aggiornamento, confronto, ascolto della fede della Chiesa, risposta concreta ed essenziale alle domande degli uomini.


Sarebbe sufficiente adottare queste due vie indicate qui da Paolo per operare il più grande rinnovamento in seno alle comunità ecclesiali.


Per adottare queste due vie occorre una grande educazione alla preghiera, alla riflessione e allo studio e questo costa sacrificio, abnegazione, rinnegamento.


È un fatto però: nelle comunità non si insegna più la volontà di Dio, non si aiutano i fedeli a comprenderla, a conoscerla, a sceglierla come loro via per la realizzazione della verità e della giustizia nella vita degli uomini. Questa è la grande tragedia che avvolge le nostre comunità.


Operare una svolta si può, a condizione che lo si voglia e soprattutto che ci si impegni consacrando la nostra vita perché questo avvenga.


[18]E non ubriacatevi di vino, il quale porta alla sfrenatezza, ma siate ricolmi dello Spirito,


Da sempre vino e ministero sono considerati incompatibili. Così anche vino e vita cristiana.


Nella Sacra Scrittura c’è un comandamento particolare che riguarda i sacerdoti. Così il Levitico: “Il Signore parlò ad Aronne: Non bevete vino o bevanda inebriante né tu né i tuoi figli, quando dovete entrare nella tenda del convegno, perché non moriate; sarà una legge perenne, di generazione in generazione; questo perché possiate distinguere ciò che è santo da ciò che è profano e ciò che è immondo da ciò che è mondo e possiate insegnare agli Israeliti tutte le leggi che il Signore ha date loro per mezzo di Mosè” (Lev 10,8-11).


Lo stesso insegnamento ci è dato da Paolo: E` degno di fede quanto vi dico: se uno aspira all'episcopato, desidera un nobile lavoro. Ma bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità, perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? Inoltre non sia un neofita, perché non gli accada di montare in superbia e di cadere nella stessa condanna del diavolo. E` necessario che egli goda buona reputazione presso quelli di fuori, per non cadere in discredito e in qualche laccio del diavolo.


Allo stesso modo i diaconi siano dignitosi, non doppi nel parlare, non dediti al molto vino né avidi di guadagno disonesto, e conservino il mistero della fede in una coscienza pura” (1Tm 3,1-9).


Non è l’uso del vino che viene qui condannato, ma l’abuso, l’uso eccessivo, o il suo uso in un tempo inopportuno, quale quello immediatamente prima di presentarsi per esercitare il ministero.


Circa il buon uso del vino così lo stesso Paolo scrive a Timoteo: “Smetti di bere soltanto acqua, ma fa’ uso di un po’ di vino a causa dello stomaco e delle tue frequenti indisposizioni” (1Tm 5, 23).


Viene condannata l’ubriacatura, cioè l’eccesso, o il molto vino, perché gli effetti dell’alcool sono disastrosi. Essi privano dell’uomo dell’intelligenza, della volontà, del cuore, della mente, dei sentimenti.


L’alcool fa di un uomo un non-uomo, perché lo mette in condizione di non poter più governarsi, auto dirigersi, disciplinarsi, volere, decidere, pensare, discernere, operare.


In più, poiché libera la mente da ogni freno, da ogni timore, da ogni legge, conduce alla sfrenatezza, cioè a comportarsi senza più regole morali. Il peccato si impossessa dell’uomo e lo guida e lo conduce oltre gli stessi limiti del male.


È, quello dell’alcool, un vizio che fa molte vittime. È anche un vizio che difficilmente si vince.


Anticamente c’erano delle feste pagane durante le quali si faceva abuso dell’alcool al fine di creare un’atmosfera di orgia e di ogni altra intemperanza.


Questa tradizione non è finita neanche ai nostri giorni. In molte circostanze ci si abbandono all’alcool con le conseguenze che si possono immaginare.


Il cristiano, chiamato ad essere temperante in tutto, è obbligato a usare sia le bevande alcoliche che ogni altra cosa in modo che nessun danno né fisico né morale scaturisca per la sua persona.


Il cristiano è responsabile di ogni cosa che fa e di tutto deve rendere domani conto a Dio, anche dell’uso delle cose.


Se poi l’alcool si dovesse abbinare al ministero nella Chiesa, è peccato gravissimo, perché si svilisce il ministero e ciò sicuramente risulterà dannoso per le anime, non fosse altro che il cattivo esempio che si dona agli altri.


Dove c’è il cattivo esempio, lo scandalo, il disagio di un’anima, il ministro ordinato deve porre doppia attenzione. Niente deve essere da lui operato che in qualche modo sia di intralcio alla grazia di Cristo e alla sua verità.


Il cristiano invece deve essere sempre ricolmo di Spirito Santo, cioè dei suoi doni e in modo speciale della virtù della sapienza, che è in se stesa prudenza, giustizia, fortezza e temperanza.


Chi possiede lo Spirito, chi è ricolmo di Lui, da Lui è anche governato perché non cada nell’intemperanza.


Chi cade nella stoltezza, o nell’insipienza manifesta ed attesta che in lui lo Spirito Santo non agisce, perché non è sufficientemente forte, perché non invocato con insistenza e frequentemente, perché l’uomo non ha relazione con Dio, attraverso una preghiera incessante che chiede che nella sua vita si faccia solo la sua volontà e la volontà di Dio è anche la padronanza di noi stessi e una vita tutta intessuta delle sante virtù.


[19]intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore,


C’è un modo per stare insieme. C’è il modo della festa pagana, nella quale, chi si riuniva, veniva trascinato quasi sempre nell’orgia e nella sfrenatezza, come anche oggi avviene in molte feste che si vivono e c’è quello cristiano, che è il modo della gioia tutta spirituale, gioia intensa, piena, che avvolge l’uomo ed è per lui come un anticipo di eternità.


Quella pagana è la gioia che nasce dal peccato ed è una gioia amara, che porta alla rovina un uomo, una donna, colui che vi partecipa. Quella pagana è una gioia che l’uomo trova nella carne, nel male, nel vizio, nella trasgressione, nella materia che priva l’uomo della sua vera essenza, che lo fa non uomo. L’altra invece, quella cristiana, è una gioia che discende dal cielo.


È la gioia dei figli di Dio che si intrattengono con il loro Padre celeste, che con Lui si intrattengono con salmi, inni e cantici spirituali.


È la gioia del cuore, dello spirito, nella quale è chiamato a partecipare in una maniera santa anche il corpo.


È la gioia degli uomini virtuosi che sanno che solo in Dio è la pienezza del loro essere e solo da Lui l’aspettano e per questo si mettono in comunione con Lui, ma si tratta di una comunione in cui si esprime la gioia, perché è una comunione che si realizza in modo festoso e cioè inneggiando a Lui con salmi, inni e cantici spirituali.


C’è un modo santo di incontrarsi dei cristiani. Questo modo santo è uno solo: non incontrarsi semplicemente tra di loro, ma incontrarsi tra di loro con Dio.


I cristiani formano sulla terra la famiglia di Dio, sono il corpo di Cristo, il tempio dello Spirito Santo, sono la casa spirituale nella quale abita Dio di una presenza di verità e di santità.


Ora è possibile che un cristiano possa incontrarsi con un altro cristiano, senza che insieme si incontrino con Dio, dal momento che l’uno e l’altro sono il tempio di Dio sulla terra, sono figli in Cristo dell’unico Padre che abita in loro, sono anche il corpo di Cristo e le sue membra e quindi sono sempre intimamente, vitalmente, veritativamente una cosa sola con Cristo Gesù?


Tutto ciò che si fa tra cristiani ed esclude in modo “materiale” e non solo formale la presenza di Dio è peccato.


Per il cristiano non ci sono più tempi sacri e tempi profani, non ci sono più tempi in cui deve vivere con Dio e tempi in cui Lui è senza Dio.


Lui e Dio, in Cristo Gesù e nello Spirito Santo, sono diventati una cosa sola: una sola famiglia, un solo tempo, una sola vita, una sola realtà spirituale, e nel corpo di Cristo anche una sola realtà spirituale.


È possibile allora che vi possa essere un solo momento in cui il cristiano possa estromettere Dio dalla sua vita?


Da qui il grande principio morale che bisogna osservare sempre: tutto ciò che estromette Dio dalla vita di un cristiano, sia come singolo, sia come comunità, è peccato, non si deve fare, non si può fare, perché lo vieta la nuova realtà che si è venuta a costituire in noi nel momento del battesimo.


Qualsiasi cosa fa il cristiano, lo fa in Dio, in Cristo, nello Spirito Santo. Di questo bisogna essere convinti. Secondo questa convinzione bisogna agire sempre.


[20]rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.


Altra verità che qui viene annunziata è la seguente. Tutto ciò che l’uomo è, fa, opera nel bene è dono di Dio, discende da Lui. Tutto è un dono del suo amore, in Cristo, per opera dello Spirito Santo. In modo particolare questo deve essere detto dal cristiano, il quale da Dio ha ricevuto una nuova identità, una nuova essenza, poiché mirabilmente è stato reso partecipe della natura divina, con una personale relazione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.


Il modo giusto di vivere questa nuova essenza è quello di rinnovarla costantemente in Dio attraverso la richiesta di una sempre più grande grazia, necessaria, anzi indispensabile, perché quanto è avvenuto in noi possa crescere e produrre ogni frutto di verità e di santità.


Questa necessità di una sempre più grande grazia fa del cristiano un orante perpetuo. Egli sa che tutto deve discendere da Dio e tutto a Lui chiede, anche le più piccole cose, anche gli aiuti per vivere minuti e secondi conformemente al dono ricevuto.


Ogni grazia ricevuta deve però far salire a Lui un inno di benedizione, di ringraziamento, di lode e di esaltazione del nostro Dio.


Questo fa sì che per ogni cosa si chieda a Dio il suo aiuto e per ogni aiuto in ogni cosa si innalzi a Lui l’inno della nostra lode e del nostro ringraziamento.


In tal modo il cristiano tiene il cuore sempre fisso nel cielo: per chiedere la grazia necessaria al suo nuovo essere per crescere e abbondare in ogni opera buona, per ringraziare e benedire il Signore per ogni ulteriore dono di grazia che ci concede.


Poiché il dono di grazia da parte di Dio deve accompagnare ogni attimo della nostra vita, ogni attimo dell’uomo deve essere vissuto nella preghiera di impetrazione e di ringraziamento. Si chiede e si ringrazia; si ringrazia e si chiede, per ringraziare e per chiedere ancora.


Questa preghiera non la può fare chi ha dimenticato il fine della sua vita, chi tralascia l’opera della sua santificazione, chi non mette a frutto la grazia che il Signore gli ha concesso.


Su questo c’è molto da dire. Oggi si prega poco, poco si ringrazia il Signore perché poco si sviluppa la grazia ricevuta. Il segno che si preghi poco è anche il segno che ci si santifica poco.


Bisogna educare il cristiano all’opera della propria santificazione. Dalla necessità e urgenza di santificarci, ed è santificazione fare ogni cosa secondo la volontà di Dio e nella sua volontà, nasce anche l’urgenza della preghiera, sapendo che senza preghiera la grazia ricevuta non si sviluppa e non fruttifica.


Dalla necessità della propria santificazione scaturisce il nostro inno di ringraziamento a Dio, perché il cuore che si apre alla santità, è un cuore nel quale abita lo Spirito con la sua luce eterna e chi è illuminato dalla luce eterna dello Spirito, vede che tutto è possibile per grazia, tutto è dalla grazia, tutto deve trasformarsi in un dono di grazia a Dio e agli uomini.


Il rendimento di grazie, come ogni richiesta di grazia, deve avvenire in Cristo, per Cristo, con Cristo.


Siamo noi corpo di Cristo. Chi deve invocare Dio per noi e chi deve ringraziarlo è il nostro Capo, Cristo Gesù Signore nostro. Mai si deve dimenticare ciò che Dio ha fatto di noi nel battesimo. Ci ha fatti corpo di Cristo, ma anche ha costituito Cristo nostro Capo. Dal Capo ogni energia spirituale deve diffondersi nelle membra, dalle membra ogni energia spirituale deve raggiungere il Capo.


Il Capo è tra le membra e Dio. A Dio porta le esigenze delle membra, alle membra porta i doni di Dio. A Dio porta il ringraziamento delle membra, alle membra porta l’esaudimento da parte di Dio.


La mediazione di Cristo Gesù non è una mediazione artificiale, o di semplice volontà, perché così Dio ha stabilito.


La mediazione di Cristo è una mediazione “fisica”, “spirituale”, dalle membra al Capo e dal Capo alle membra. È quindi una mediazione necessaria, come è necessaria la mediazione nel corpo del capo per rapporto ad ogni singolo membro.


[21]Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo.


In questo versetto Paolo dona la legge perenne che deve governare i rapporti tra i cristiani.


Ogni cristiano è membro del Corpo di Cristo, Cristo è suo “naturale” Capo. Dal capo ogni membro riceve l’energia di grazia e di verità per espletare la sua “funzione”, il suo “ministero” a beneficio di tutto il Corpo.


Che significa allora essere sottomessi gli uni agli altri nel timore del Signore?


Prima di tutto significa che non c’è sottomissione di alcuni e di altri no. Ognuno è sottomesso agli altri, per cui tutti sono sottomessi.


Il Corpo di Cristo è l’unica realtà esistente in cielo e sulla terra dove si vive di completa sottomissione, ma si vive di una sottomissione reciproca.


Ognuno è sottomesso all’altro e quindi tutti sono sottomessi. Però la sottomissione non è arbitraria, è nel timore di Cristo.


Cosa significa essere sottomessi nel timore di Cristo? Significa una cosa assai semplice: ognuno riceve da Cristo una particolare grazia da dare ai fratelli, a tutti i fratelli che sono nel corpo di Cristo.


Tutti sono sottomessi al dono di questa grazia. Poiché questa grazia è indispensabile per lo svolgimento della loro “funzione”, o “ministero” nel Corpo di Cristo, se non si sottomettono sempre e in ogni circostanza a ricevere da loro la grazia, essi rimangono senza e quindi non possono essere vivi e vitali nel corpo di Cristo.


Ciò significa che senza sottomissione, non c’è vita per alcuno. La vita è nel ricevere la grazia dagli altri. Cristo Gesù ha costituito gli altri grazia e dono di grazia per noi. Se la grazia non l’attingiamo in loro, noi restiamo senza; se restiamo senza, siamo senza vita, poiché la grazia è la vita del nostro ministero, della nostra funzione all’interno del corpo di Cristo, il nostro ministero muore, non lo possiamo assolvere in nessun caso.


Questa legge è universale, avvolge tutti. Ognuno è dalla grazia dell’altro, perché Cristo ha costituito l’altro fonte della mia vita. Questa è la verità e questa è la legge della sottomissione reciproca. È sufficiente allora osservare come noi consideriamo gli altri, per sapere qual è la vita del nostro carisma, del nostro ministero. Chi è solo con se stesso, non vive, non opera, non si santifica, non santifica il Corpo di Cristo.


Dove non c’è sottomissione, non c’è vita. Questa è la sola legge che deve regnare nel Corpo di Cristo Gesù. In essa è la vita del mondo, perché in essa è la nostra vita e la nostra santificazione.


È facile allora sapere che grado di santità c’è in una persona: è sufficiente osservare il grado di sottomissione nei confronti dei fratelli. Sono i fratelli la via per la nostra crescita in grazia e in santità, perché sono essi la via attraverso cui il dono di Dio discende su di noi e in noi.





Credente
00venerdì 2 novembre 2018 18:38

RAPPORTO TRA I CONIUGI




[22]Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore;

La legge generale viene ora applicata al contesto ben definito del matrimonio.

Per comprendere il pensiero di Paolo bisogna subito precisare che la sottomissione di cui si parla è una sottomissione teologica. Essa non ha nulla a che fare con tutte le teorie antecedenti e susseguenti della dichiarazione di schiavitù fatta dell’uomo alla donna.

La sottomissione di cui parla Paolo non si deve leggere in contesti socio-culturali, bensì solo nell’ottica della rivelazione più pura della volontà di Dio che presiede alla creazione dell’uomo e della donna.

Quando Dio creò l’uomo e la donna li creò ad immagine di sé: “E Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra.

Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra.

Poi Dio disse: Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde. E così avvenne” (Gen 1, 26-30).

Se si legge con attenzione il brano non c’è alcuna sottomissione, c’è perfetta uguaglianza tra l’uomo e la donna, anche se differente è la missione e quindi anche la formazione corporea dell’uno e dell’altra.

Donde nasce allora la sottomissione? Nasce dall’essere l’uomo e la donna ad immagine di Dio. Nella natura divina c’è la perfetta uguaglianza nella natura e nelle Persone divine, c’è tuttavia la processione che distingue le Persone e le definisce nella loro differenza (che non è di natura, che è una e la sola, ma nelle persone).

Il Padre non è generato. Il Figlio è generato dal Padre. Lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio.

In Dio non c’è sottomissione, c’è invece processione e la processione è essenziale, perché è in essa che si colgono le differenze nelle Persone.

L’uomo nella creazione ha il posto di Dio, del Padre. La donna deve riconoscere questo posto che Dio ha affidato all’uomo. È questo un mistero che nessuna mente umana potrà mai scoprire. Il mistero si accetta, si vive per fede, vivendolo si realizza in esso la propria santificazione e la santificazione di tutta la famiglia.

Sottomissione teologica significa riconoscere all’uomo nella famiglia il posto di Dio Padre e Dio Padre nella Trinità è colui dal quale tutto riceve vita e sussistenza.

Dal Padre nella famiglia deve sgorgare la vita per tutta la famiglia, anche se la vita, per essere veramente tale, è una vita che dal padre si riversa tutta intera sulla moglie e dalla moglie ritorna nel marito e dal marito e dalla moglie si espande sui figli.

Bisogna riportare il mistero di Dio in seno alle famiglie cristiane. Questo mistero non toglie nulla all’uguaglianza dell’uomo e della donna e al loro reciproco amore, dona però costante riferimento alla trascendenza, alla volontà di Dio, al mistero che si compie in questa unità di sola carne, che è in tutto ad immagine dell’unità che si vive nella Trinità beata.

Oggi, in un mondo secolarizzato, banalizzato, ridotto ad istinti, è assai difficile far discendere il mistero nella famiglie cristiane; ma è da questo mistero che la vita riprende a svilupparsi, a crescere, ad ampliarsi.

È da questo mistero che nasce la santità sia dell’uomo che della donna, perché già si è detto che la sottomissione è reciproca ed è in Cristo Gesù.

Paolo ora specifica il suo pensiero di sottomissione reciproca. Poiché il suo è pensiero di Spirito Santo, è la verità sulla quale si deve fondare ogni giusta relazione tra i coniugi cristiani.

[23]il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo.

L’Antico Testamento conosceva la creazione dell’uomo ad immagine di Dio e in Dio aveva stabilito il primo fondamento della famiglia umana.

Il Nuovo Testamento conosce il mistero di Cristo Gesù che è mistero di incarnazione, passione, morte e risurrezione del Signore.

Paolo vuole che ogni relazione all’interno del matrimonio cristiano si viva guardando a Cristo e alla Chiesa.

Chi è Cristo Gesù? È il capo della Chiesa. Cosa ha fatto Gesù per la Chiesa? L’ha salvata, redenta, giustificata, santificata. L’ha liberata dalla schiavitù nella quale era immersa a causa del primo peccato e di ogni altro peccato che ogni uomo ha commesso in seguito.

La Chiesa è da Cristo. È da Cristo quanto a salvezza e redenzione. È da Cristo, ma anche in Cristo. La Chiesa è il corpo di Cristo.

La Chiesa vive, se è in Cristo, se rimane in Cristo, se abita in Cristo, se perennemente dimora in Lui, legata al suo amore, alla sua misericordia, al suo sacrificio.

Questa stessa relazione Paolo stabilisce tra l’uomo e la donna, dicendo che il marito è capo della moglie.

Ma quando si vuole specificare cosa si intende per capo, non si dona alcuna definizione teologica, si presenta un punto di confronto e di similitudine.

Il marito è capo della moglie allo stesso modo che Cristo è capo della Chiesa.

Alla sottomissione teologica, si viene ad aggiungere una sottomissione Cristologica. La sottomissione teologica si specifica e si definisce come sottomissione Cristologica, cioè in Cristo e sul suo modello.

La relazione che deve intercorre è quella tra il capo e le membra. La Chiesa è il corpo di Cristo, Cristo è capo della Chiesa. Nel matrimonio cristiano l’uomo e la donna divengono un solo corpo, di questo corpo l’uomo è il capo. È questo il mistero che si consuma nella celebrazione del matrimonio tra due battezzati.

Questa verità è necessario che rimanga sempre presente all’interno della coppia cristiana, se si vuole che la santità regni in essa e per mezzo di essa si espanda nel mondo intero.

Dicendo che il marito è capo della donna e che l’uomo e la donna sono un solo corpo, si vuole intendere che la vita discende da Dio attraverso il capo e dal capo si riversa su tutto il corpo. La grazia della santificazione dell’uomo e della donna uniti in matrimonio discende da Dio, si riversa sul capo, dal capo raggiunge tutto il corpo, che sono l’uomo e la donna.

[24]E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto.

Qual è la sottomissione della Chiesa nei confronti di Cristo Gesù?

È una sottomissione di grazia e di verità, di redenzione e di salvezza, di amore e di giustizia. È una sottomissione di vita.

La vita della Chiesa è interamente dalla vita di Cristo Gesù. Cristo Gesù è la fonte di ogni grazia, di ogni verità, di ogni giustizia; è anche la fonte di ogni cammino passato, presente e futuro della Chiesa.

Tutto è da Cristo, tutto è in Cristo, tutto è per Cristo.

Se tutto è da Cristo, da Lui bisogna attingerlo, da Lui ottenerlo. A lui ci si deve rivolgere perché diventi nostro. La sottomissione della Chiesa è una sottomissione di preghiera, di orazione costante, di invocazione perenne del suo Sposo.

La Chiesa deve comportarsi con Cristo Gesù allo steso modo che si comportò Maria, la Madre sua, alle nozze di Cana. Manca il vino, chi lo può dare è solo Cristo. A lui bisogna chiederlo con preghiera forte, potente, certa.

Se tutto è in Cristo, in Cristo bisogna anche dimorare, abitare, essere, se si vuole usufruire dei suoi doni di grazia e di verità. Ma essere in Cristo, dimorare in Lui è abitare nella sua Parola. La sottomissione della Chiesa è sottomissione di ascolto.

Se la Chiesa vuole vivere deve sapere ascoltare il suo Sposo; deve ascoltarlo spogliandosi di ogni pensiero, di ogni idea, di ogni suggestione, sentimento. Di tutto si deve spogliare la Chiesa di ciò che appartiene a lei, perché essa si deve rivestire solo ed esclusivamente della Parola di Cristo Gesù.

Non solo da Cristo e in Cristo, ma anche la Chiesa è per Cristo. Per Cristo ha un duplice significato. Tutto ciò che la Chiesa ha e possiede in grazia e verità è stato dato a lei grazie al sacrificio di Cristo sulla croce. Questa è senz’altro la prima verità che relaziona la Chiesa a Cristo Gesù.

La seconda relazione è questa: la Chiesa, se vuole essere Chiesa di Dio, deve vivere per Cristo, cioè deve finalizzare la sua vita a Cristo.

Come Cristo Gesù visse relazionandosi sempre al Padre e finalizzando ogni cosa alla gloria del Padre così è per la Chiesa. Essa deve vivere per la gloria di Cristo, perché la gloria di Cristo sia innalzata nel mondo per mezzo di essa.

Quella della Chiesa è una sottomissione a Cristo, ma di fine. La Chiesa vive per la gloria di Cristo Gesù. Realizzando la gloria di Cristo nel mondo, essa innalza se stessa nella medesima gloria. Come Cristo innalzò la gloria del Padre e divenne parte di questa medesima gloria, così dicasi per la Chiesa.

Nel momento in cui essa eleva Cristo e la sua gloria nel mondo, Cristo la riveste della stessa gloria che la Chiesa gli ha conferito. Così mentre la Chiesa lavora per la gloria di Cristo, essa si riveste della medesima gloria e cresce di gloria in gloria, perché avanza di verità in verità e di grazia in grazia.

Allo stesso modo le mogli, dice Paolo, siano sottomesse ai mariti. È questo un mistero che si può solamente vivere. Solo se lo si vive, lo si può comprendere; perché solo lo Spirito Santo lo può rendere comprensibile al nostro spirito, ma lo rende comprensibile nel momento in cui lo si vive e ci si abbandona ad esso.

Una cosa deve essere certa: Dio riversa la sua vita nella famiglia attraverso l’uomo. È Lui che ha costituito fonte di grazia e di benedizione per tutta la famiglia. Ma questa grazia e questa benedizione discendono solo se c’è sottomissione d’amore, di ascolto, di riverenza, di rispetto.

Paolo ci dice che ogni famiglia deve essere una immagine viva del mistero di Cristo e della Chiesa. È un mistero d’amore la famiglia, ma anche un mistero di sottomissione.

[25]E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei,

Se la famiglia è chiamata ad essere vera immagine del mistero che si vive tra Cristo e la Chiesa, in questo mistero due sono i soggetti: Cristo e la Chiesa. La Chiesa deve essere sottomessa a Cristo – è il secondo soggetto – ma Cristo che è il primo soggetto cosa deve fare per la Chiesa?

La risposta di Paolo è assai chiara. Cristo Gesù è colui che ha amato la sua Chiesa. Come l’ha amata? Donando se stesso per lei.

Cristo Gesù non ha dato qualcosa di sé alla Chiesa, ha dato se stesso, l’intera sua vita e l’ha data dall’alto della croce, l’ha data sacrificando tutto di sé per la Chiesa.

L’amore nel mistero di Cristo è oblazione, sacrificio, offerta, olocausto di sé. Questo ha fatto Cristo e in questo modo ha amato la sua Chiesa.

Chi vuole sapere cosa ha fatto Cristo Gesù per la sua Chiesa deve guardare la croce, in essa deve poggiare tutta la sua fede. È dalla croce che tutto si comprende e senza croce niente si comprende, niente si conosce del mistero dell’amore di Cristo per la Chiesa.

Anche all’interno del matrimonio bisogna portare il mistero di Cristo e lo si porta in un solo modo: se il marito ama a tal punto la sua donna da imitare in tutto Cristo Gesù.

Bisogna comprendere l’azione di Cristo, se si vuole comprendere ciò che deve fare il marito per amare la moglie.

La Chiesa non esisteva, Lui è morto per darle la vita, per chiamarla in vita, per costituirla Chiesa di Dio.

È l’amore di Cristo che costituisce la Chiesa. Possiamo affermare che la Chiesa è impastata dell’amore di Cristo Gesù e questo amore è il dono totale di sé.

Così deve amare il marito la moglie. Dio gliel’ha data come un dono d’amore, per i meriti di Cristo Gesù. Una volta che l’ha ricevuta come un dono d’amore, il marito deve offrirsi in sacrificio a Dio, deve spendere tutta la sua vita, come Cristo, perché questo dono che Dio gli ha dato, possa esprimere tutta la vitalità di grazia e di verità a beneficio della famiglia, vitalità che il Signore le ha concesso, poiché tutto è dono di Dio.

La moglie nella famiglia si alimenta dell’amore del marito. Il marito accresce il suo amore, morendo la stessa vita di Cristo Gesù.

È questo il mistero che si vive all’interno della coppia cristiana. Il marito deve pensarsi ad immagine di Cristo e compiere per la moglie tutto ciò che ha compiuto Cristo per la sua Chiesa.

La moglie deve perennemente alimentarsi di questo amore, se vuole manifestare i doni di grazia e di verità di cui Dio la ha arricchita.

[26]per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola,

La santità della Chiesa è dalla santità di Cristo Gesù, dalla sua obbedienza al Padre, dal compimento della missione che il Padre gli ha affidato.

Questa santità, storicamente, si acquisisce nel battesimo, quando l’uomo rinasce da acqua e da Spirito Santo. Questa santità poi si alimenta attraverso l’ascolto della Parola. Vivendo ogni Parola che è uscita dalla bocca di Cristo, la santità acquisita nel battesimo, dono di Cristo per opera dello Spirito santo, diviene albero grande che produce molti frutti.

Cosa è la santità? Essa è partecipazione della divina natura. Nel battesimo ogni uomo viene reso partecipe della natura di Dio, in Cristo Gesù, nel suo corpo, per opera dello Spirito Santo.

Questa partecipazione iniziale però non è sufficiente alla santità. Questa partecipazione è il cambiamento della natura dell’uomo. Poi è necessario che il nuovo albero che è nato da acqua e da Spirito Santo, inizi il suo sviluppo, la sua crescita, la sua maturazione, la sua fruttificazione.

Questa crescita avviene se l’uomo si alimenta di Cristo, che è il Pane della vita nell’Eucaristia, ma che è anche il pane della verità, nella sua Parola.

Eucaristia e Parola sono l’alimento dell’uomo nuovo: Parola ed Eucaristia è Cristo Gesù.

Cristo non fu necessario alla Chiesa. Cristo è necessario alla Chiesa, perché lui è la vita della Chiesa. La Chiesa è dalla sua vita, ma anche la vita di Cristo è dalla vita della Chiesa.

Questa verità oggi è assai dimenticata. Ci si è come allontanati da Cristo. Cristo non è più la nostra vita. Al massimo è qualche dono di grazia contingente che ci serve per vivere la nostra vita, non la sua, dal momento che la nostra vita non è più la sua.

Invece dobbiamo fermamente credere che la sua vita è la nostra e che noi viviamo per completare nella storia la sua vita che è vita di grazia e di verità, ma è anche una vita che si realizza e si compie nella morte, cioè nel dono totale di noi stessi a Lui, perché Lui possa realizzare il progetto d’amore del Padre a favore del mondo intero, di ogni uomo.

[27]al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata.

La vita di Cristo è la vita della Chiesa. La vita della Chiesa che è vita di Cristo serve per compiere e completare la vita di Cristo per la redenzione del mondo. Questa è la verità.

La Chiesa può essere la vita di Cristo, se Cristo le dona quotidianamente la vita. Se per un istante Cristo non le dona la vita, la Chiesa rimane senza vita vera. Però se la Chiesa non accoglie la vita che Cristo le dona, se non la chiede, non la invoca, non la implora, rimane ugualmente senza vita vera.

Ma se si pone fuori della vita di Cristo, la vita della Chiesa non è vita, ma morte. Senza Cristo la Chiesa muore. Muore perché senza vita.

Cristo Gesù è il dono di vita per la sua Chiesa. Egli ogni giorno rinnova il suo sacrificio, la sua passione, morte e risurrezione per la sua Chiesa.

Nel cielo, dall’eternità, intercede per la sua Chiesa presso il Padre con una preghiera incessante.

È per questo dono di grazia e di verità, è per questa preghiera che la Chiesa continua la vita di Cristo nel mondo. Se per un solo istante Cristo non innalzasse presso il Padre la sua preghiera di intercessione per la Chiesa, se per un solo giorno non rinnovasse, non attualizzasse il memoriale della sua morte e risurrezione, la Chiesa ritornerebbe nella morte, nella non esistenza.

Non può esistere la Chiesa se non nella vita di Cristo Gesù e questa vita è un dono perenne. Cristo vive per donarsi alla Chiesa. È venuto sulla terra per farsi dono d’amore per la sua Chiesa, dono d’amore sulla croce.

È salito al cielo per farsi intercessione eterna in favore della sua Chiesa. Egli vive il suo sacerdozio per la Chiesa, perché tutta la sua vita passi nella vita della Chiesa e la vita della Chiesa diventi in tutto vita di Cristo Gesù.

Questo significa fare bella, santa, immacolata, senza macchie, senza rughe la Chiesa.

Chi è santo e immacolato è solo Cristo Gesù. Chi è senza macchia e senza rughe spirituali è solo Cristo Gesù. Chi è perfetto al cospetto del Padre è solo Cristo Gesù.

Divenendo Cristo, perché la Chiesa è Cristo, in quanto è il Corpo di Cristo, essa acquisisce i tratti spirituali del suo Maestro e Signore.

Perché la Chiesa sia tutto questo occorrono due azioni: l’azione di Cristo che è lì tutta per la Chiesa e l’azione della Chiesa, che deve volere divenire bella, santa e immacolata al cospetto del suo sposo.

Come la Chiesa coopera alla sua bellezza? Come lavora per farsi bella dinanzi a Cristo Gesù? Mangiando di Lui e vivendo per Lui. Mangia di Lui mangiando l’Eucaristia, vive per Lui realizzando ogni Parola che è uscita dalla sua bocca, cioè dalla bocca di Cristo Gesù, che è bocca del Padre e manifestazione della sua volontà.

Questa è però la via della fede e solo nella fede si può realizzare il mistero. Oggi purtroppo c’è una via tutta razionale, umana, senza mistero, ma anche senza vita.

Cristo è fuori della Chiesa e la Chiesa è fuori di Cristo, perché si è fuori della fede, fuori del mistero, fuori dell’Eucaristia e della Parola, quindi fuori della vita di Cristo.

Cristo non è più la vita della Chiesa. Questo è il dramma del nostro tempo. Fuori del mistero, fuori di Cristo, fuori della sua vita, cosa si può realizzare? Niente. Se la Chiesa esiste per portare a compimento la vita di Cristo ed essa è senza Cristo e senza la sua vita, almeno nella maggior parte dei cristiani, come potrà realizzare il mistero? Vie umane non esistono. Esiste solo la via di Dio ed è su di essa che bisogna ritornare.

Non si può ritornare senza la fede nel mistero. Bisogna quindi partire dal mistero e dalla fede in esso. È questa la prima grande riforma che la Chiesa deve operare in se stessa, se vuole ridivenire ciò che Cristo l’ha fatta, quando l’ha generata e partorita sulla croce e poi le ha dato la vita nelle acque del battesimo.

Siamo chiamati tutti a fare qualcosa di grande: a far vivere la vita di Cristo oggi, in noi, in mezzo al mondo. Da questa vita vissuta interamente in noi è la vita dei fratelli. Questa fede deve radicarsi nel nostro cuore, deve prendere la nostra mente, deve conquistare ogni fibra del nostro essere, se vogliamo realizzare la nostra missione.

Se non passiamo attraverso la fede, tutto ciò che facciamo è inutile. È la vita di Cristo vissuta interamente in noi che porta salvezza nel mondo. La nostra vita non ha questo potere. Essa è semplicemente morte. Questo noi siamo dinanzi a Dio, senza la vita di Cristo Gesù in noi.

[28]Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso.

Paolo ora ritorna al principio dell’unità che è venuta a crearsi tra l’uomo e la donna.

Nel matrimonio validamente celebrato – e per i cristiani l’unico è quello canonico, posto cioè in essere ottemperando tutte le disposizioni della Chiesa – l’uomo e la donna vengono fatti un solo corpo, una sola vita.

Il profeta Malachia dice che vengono costituiti un solo soffio vitale, un solo respiro.

Questo è il mistero che si compie, per cui non c’è più il corpo della donna o dell’uomo, c’è un solo corpo che è il corpo della donna e dell’uomo, in una unità inscindibile, inseparabile. Solo la morte può separare questa unione, perché con la morte il corpo è sottratto alla vita.

Se la propria moglie è divenuta il proprio corpo, qual è la conseguenza che bisogna trarre? Essa è una sola: il marito che ama la propria moglie, ama se stesso, perché lui e la donna sono un corpo solo.

Le modalità di questo amore però sono stabilite da Cristo Gesù. L’uomo deve amare la propria donna allo stesso modo in cui Cristo ha amato la sua Chiesa e abbiamo già preso in considerazione le modalità di Cristo che sono il dono di tutto se stesso; la sua intera vita Cristo Gesù l’ha data per farsi la Chiesa santa, bella, immacolata, senza né macchia e né ruga, né alcunché di simile.

C’è il dovere di amare la propria moglie. C’è un solo amore, che è per se stesso, per il proprio corpo. C’è infine la modalità di questo amore che è fino al dono supremo, totale di sé.

In fondo Paolo vede il matrimonio cristiano come una vera crocifissione, un vero sacrificio, un’oblazione perfetta, un dono di tutto se stesso che l’uomo fa alla donna e anche la donna fa all’uomo.

Siamo partiti dalla sottomissione della donna all’uomo. Chiediamoci: se l’uomo ha il dovere di amare la donna come Cristo ha amato la sua Chiesa, se deve vedere nella donna il suo proprio corpo, se la croce è l’unica forma di amore possibile, in che cosa consiste allora la sottomissione della donna nei riguardi dell’uomo?

Lo abbiamo già detto: è una sottomissione teologica, Cristologica. È cioè una sottomissione in ordine alla creazione e alla redenzione. La famiglia deve riprodurre sulla terra l’immagine della Trinità e l’immagine della Chiesa. Ora sia nella Trinità che nella Chiesa c’è un principio dal quale tutto deriva. Nella Trinità è il Padre, nella Chiesa è Cristo. L’uomo nella famiglia ha il posto del Padre e il posto di Cristo Gesù.

È questo l’ordine soprannaturale che bisogna costruire. Tutto ciò che è opera di Dio deve essere ad immagine della Trinità, in modo speciale l’uomo che è stato creato ad immagine della Trinità ed è stato creato ad immagine della Trinità come famiglia e quindi nella famiglia si deve vivere l’immagine di Dio perché la famiglia è stata fatta ad immagine di Dio.

È questo il mistero che bisogna ogni giorno vivere all’interno della famiglia cristiana. È questo il mistero che prima di tutto bisogna accogliere, accettare e poi impegnarsi per vivere.

Certo non è facile riproporre l’immagine della Trinità nella famiglia cristiana, ma è questo l’unico modo per renderla famiglia secondo Dio.

La donna non deve riconoscere il marito come il principio dal quale dipende tutta intera la sua vita soprannaturale; prima di tutto deve fare un atto di fede in Dio che così ha voluto e stabilito.

La sottomissione è solo in ordine alla vita soprannaturale e a tutto ciò che bisogna che venga rivestito di soprannaturalità. Per tutto il resto, c’è quella uguaglianza fondamentale, la stessa uguaglianza che regna nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo.

[29]Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa,

Paolo dona ora il principio della Legge Antica che regolava il rapporto d’amore tra gli uomini.

Il comandamento della carità esigeva che si amasse il prossimo come uno ama se stesso.

Nel matrimonio non si ama la donna come se stesso. Si ama la donna perché è il proprio corpo. Nel matrimonio cristiano bisogna togliere il come e bisogna specificare che chi ama la propria donna, ama se stesso, perché la donna è il proprio corpo, la propria vita.

L’amore verso se stesso è la misura dell’amore cristiano. Anche Gesù pose l’uomo misura dell’amore. “Quanto volete che gli uomini facciano a voi, voi fatelo loro, perché questa è la legge e questi sono i profeti”.

Anche questo comandamento, che è a fondamento dell’amore, bisogna che venga inserito nella modalità di Cristo Gesù.

Bisogna amare la donna come la propria carne. Questo è il comandamento. Bisogna amare la donna perché è il proprio corpo.

La forma però di questo amore non è più l’uomo. L’uomo non è più misura dell’amore nel sacramento del matrimonio. Misura del vero amore è Cristo Gesù ed è la sua offerta di vita, il suo sacrificio, la sua consumazione sulla croce che viene data a modello all’uomo perché allo stesso modo ami la sua donna. Ma se bisogna amare alla maniera di Cristo Gesù la croce diviene l’unica via possibile di amore coniugale. Con una specificità che bisogna cogliere: l’amore di Cristo è amore redentivo, prima di tutto; poi è amore che innalza e che purifica. L’amore di Cristo prima espia, rigenera e poi santifica.

Se l’amore dell’uomo verso la donna deve essere vissuto allo stesso modo di Cristo Gesù, dobbiamo subito aggiungere che anche quello dell’uomo per la sua donna deve essere un amore che espia il peccato, innalza e santifica la donna. Ciò significa semplicemente che l’uomo deve essere il santificatore della sua famiglia e in modo speciale della sua donna, attraverso il sacrificio totale di sé. Egli si deve consumare in questo amore e nulla deve tralasciare perché per il suo sacrificio la santità penetri nella sua casa.

In tal senso la sottomissione della donna è anche una sottomissione di santità, di elevazione spirituale. È questo un mistero veramente grande, impossibile da comprendere e soprattutto da accettare da quanti non amano Dio, vivono fuori del suo amore, non conoscono Cristo e non sanno che la sua croce è la nostra redenzione, la nostra giustificazione, santificazione e salvezza eterna.

[30]poiché siamo membra del suo corpo.

È posto in questo versetto il principio perenne dell’amore coniugale del marito verso la donna.

L’uomo e la donna sono membra del corpo di Cristo Gesù. Anche se fossero separati, perché senza il matrimonio che li fa una sola carne, sarebbero sempre uniti in Cristo, perché suo corpo, sue membra.

Qual è la legge che si vive nel corpo di Cristo? La stessa che è del capo? La legge del capo è quella di dare la vita perché le sue membra la ricevano in abbondanza.

Qual è la legge delle membra? Quella di dare la vita l’una all’altra perché l’altra abbia la vita in abbondanza.

Per cui per legge del corpo di Cristo, sia il marito che la donna devono darsi la vita reciprocamente, con una differenza. Il marito deve dare la vita come Cristo per la sua donna. Egli è rivestito di una responsabilità di priorità. È Lui che deve santificare con la sua vita la donna, la donna santificata, offre la vita per il marito, perché diventi in Cristo un’offerta gradita a Dio.

È così il marito santifica la donna come Cristo ha santificato e santifica la Chiesa. La donna santificata dal marito santifica se stessa e il marito, allo stesso modo che fa la Chiesa, rendendo il corpo di Cristo santo e immacolato nella storia, dinanzi ad ogni uomo.

Se questa è la legge dell’amore dell’uomo verso la donna e della donna verso l’uomo, può questa legge essere vissuta senza che l’uomo e la donna entrino nel mistero di Cristo e della Chiesa e lo costituiscano il loro mistero?

Possono l’uomo e la donna vivere ad immagine di Dio senza amare Dio e il suo mistero trinitario, senza entrare nella comunione della vita divina per opera dello Spirito Santo?

Possono l’uomo e la donna realizzare il mistero dell’amore redentivo di Cristo Gesù senza far parte di questo mistero vitalmente, spiritualmente, operativamente e non solamente perché battezzati in Cristo?

Il problema del matrimonio non è solamente problema coniugale, è prima di tutto problema teologico, poi Cristologico e poi ecclesiale.

Se non si risolve il problema in sede teologale, non lo si potrà mai risolvere in sede sociale, giuridica, morale.

Questo deve essere detto con fermezza, chiarezza, determinazione, fortezza. Oggi si è voluto liberare l’uomo da Dio. Però è giusto che si assumano anche le conseguenze di certe scelte di fede.

Senza Dio non c’è l’uomo; senza il mistero trinitario non c’è mistero coniugale che tenga; senza il mistero di Cristo e del suo amore di croce, non si comprende il sacrificio che è richiesto ai cristiani e ad ogni altro uomo di amare fino alla morte di croce.

Chi vuole salvare il matrimonio cristiano, deve introdurre i coniugi nel mistero trinitario, in quello Cristologico e in quello ecclesiale. Se questo non avviene, neanche il matrimonio lo si potrà conservare nella sua unità e nella sua santità.

Oggi l’uomo è senza Dio, senza Cristo, senza la Chiesa. Qual è il risultato? È anche senza matrimonio indissolubile, fedele, casto, santo.

[31]Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola.

Questa è la legge di sempre che è posta a fondamento del matrimonio. In questa legge ci sono due verità che meritano un’attenta analisi.

Con il matrimonio l’uomo e la donna lasciano la famiglia d’origine. Devono lasciarla non solo fisicamente, quanto operativamente, essenzialmente, costitutivamente.

La lasciano perché non sono più membri della famiglia d’origine. Loro ora hanno una propria famiglia, che li costituisce immagine separata sia dell’amore che regna in seno alla Trinità e sia dell’altro amore che è quello di Cristo per la sua Chiesa.

Prima si era immagine di Dio e di Cristo perché facenti parte di una famiglia. Ora si è immagine perché si è costituiti in famiglia autonoma, separata.

Se si è costituiti famiglia autonoma e separata dalle famiglie di origine, la nuova famiglia deve essere retta dalla legge che governa ogni famiglia e la legge è una sola: ogni famiglia è autonoma e separata dall’altra, è uguale in dignità all’altra, partecipa dei diritti e dei doveri che sono propri di ogni famiglia.

Non c’è nessuna differenza tra le due famiglie. Sono uguali in dignità, ma distinte in quanto a personalità. La personalità dell’una non è la personalità dell’altra.

Questo sovente non avviene. La famiglia d’origine diventa spesso un rifugio, altre volte la propria famiglia. Così altro non si fa che decretare la morte della nuova famiglia costituita.

Molte famiglie oggi sono in sofferenza perché non viene costituita la nuova famiglia operativamente, essenzialmente, responsabilmente, decisionalmente, spiritualmente. C’è come una paura ad essere famiglia autonoma con propri diritti, doveri, responsabilità, decisioni, orientamenti. C’è come un timore ad essere coppia che vive tutto ma in modo separato dalla famiglia d’origine.

In questo caso c’è molto infantilismo, molta irresponsabilità, molta influenza, molte intromissioni, ma anche molte fughe e molti rifugi verso la famiglia d’origine. Se si vuole salvaguardare il disegno di Dio sulla famiglia, bisogna che tutto questo venga risanato, riveduto, riequilibrato, soprattutto santificato e non può esserci santificazione della famiglia se non inserendola in tutto nel piano della creazione e della redenzione.

L’altra verità difficile oggi da accettare è questa: l’uomo e la donna uniti in matrimonio formano una sola carne per sempre, finché morte non separa.

L’uno, una volta che il matrimonio è stato celebrato nella sua forma valida, è sempre carne dell’altra e viceversa. Si è venuto a creare un solo essere, non più due, in modo irreversibile. Per cui anche se per volontà il matrimonio viene distrutto, è distrutto solo in apparenza, perché in realtà, nell’essenza rimane sempre il solo corpo.

È questo il motivo per cui non è possibile la celebrazione di un secondo matrimonio tra persone divorziate, sposate con matrimonio valido.

La loro unione è semplicemente adulterio, se uno o tutte e due erano sposati; è fornicazione se manca il matrimonio. È nell’uno e nell’altro caso concubinaggio. Questa è la realtà e quindi la verità dei fatti.

Per questo bisogna affermare che il matrimonio non è un semplice contratto, un patto, o una comunione tra due volontà che decidono di fare una cosa assieme e per il tempo che desiderano stare assieme.

Una volta che il matrimonio è stato posto in essere, esce dalla volontà dei contraenti il patto, e diviene un fatto di natura, di essere, diviene un fatto che non è più soggiacente alla volontà di coloro che lo hanno posto in essere.

[32]Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!

Il mistero del matrimonio è veramente grande. È grande perché contiene in sé due misteri: il mistero dell’unità e della trinità di Dio; il mistero dell’amore di Cristo per la Chiesa, che è mistero di incarnazione, passione, morte e risurrezione.

Questi due misteri non possono essere manifestati ed espressi dal matrimonio se non attraverso la fede e la carità.

Sono queste due virtù il fondamento, la base, le colonne del matrimonio cristiano. Per questo è più che urgente formare i coniugi e tutti i cristiani nella conoscenza perfetta del mistero del Dio uno e trino e del mistero di Cristo Gesù, perché poi dovranno esprimerlo, manifestarlo, viverlo nella vita familiare.

Si è già detto in grande linee l’essenza dei due misteri ed è sufficiente per la comprensione di quanto Paolo ha voluto rivelarci di ciò che avviene nel sacramento del matrimonio, come bisogna vivere in esso, qual è la fede che deve precederlo, quale la carità che deve accompagnarlo.

Tuttavia anche in questo versetto Paolo vuole che mai si dimentichi il riferimento a Cristo da parte dei coniugi cristiani.

Essi saranno se stessi, realizzeranno il mistero che si è compiuto in essi, se sapranno guardare costantemente al mistero di Cristo e della Chiesa, se avranno sempre dinanzi ai loro occhi la croce di Cristo Gesù.

È dalla croce, ma salendo su di essa, che si vive il matrimonio cristiano. L’uomo per amore deve lasciarsi anche crocifiggere. Questa è la sua vocazione.

La donna deve lasciarsi interamente santificare dall’amore del marito e per il marito. Anche questo è mistero, come è mistero il fatto che la Chiesa debba ricevere tutto da Cristo e vivere ogni cosa in Cristo e per Cristo.

Ma se si abolisce il mistero, cosa resta nella nostra vita? Un’unione di due corpi, non di due vite, che può essere sempre separata nel momento in cui un corpo si è stancato dell’altro, si è stufato di esso, oppure cerca qualcosa che l’altro corpo non può più dargli.

Questa è la triste realtà di una vita posta fuori del mistero di Dio e di Cristo Gesù. La Chiesa, se vuole svolgere il mandato che Cristo le ha affidato, deve riportare ogni suo figlio nel mistero di origine, lo deve fare divenire parte di questo mistero, ma anche vita di esso. Questa è la sua missione; non se ne conoscono altre.

[33]Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito.

Se Cristo e il suo amore per la Chiesa è l’unico modello da incarnare, non può esserci che una sola raccomandazione: ogni uomo deve amare la propria moglie come ama se stesso. È il suo corpo, la sua vita, il suo soffio vitale.

Si è anche detto che l’amore verso se stesso è uno dei modelli del vero amore; l’altro modello è quello di Cristo.

Quando Paolo ha scritto questa Lettera, il Vangelo di Giovanni non era stato ancora scritto. È infatti nel Vangelo secondo Giovanni che l’amore di Cristo Gesù viene assunto come unico modello di amore.

Bisogna allora che l’uomo ami la donna allo stesso modo che Cristo ha amato la sua Chiesa. Ma Cristo per amare la sua Chiesa si è fatto suo servo; si è anche fatto sacrificio d’amore per essa sull’albero della croce.

Amare la propria moglie come se stesso bisogna allora che venga interpretato come Cristo ha amato se stesso e Cristo ha amato se stesso perdendo la sua vita per amare se stesso e l’ha persa per farne dono alla sua Chiesa.

Penso che unendo i due passi del Vangelo è possibile avere una idea chiara, netta, precisa, di come si deve amare:

Leggiamo in Matteo: “Allora Gesù disse ai suoi discepoli: Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l'uomo potrà dare in cambio della propria anima? Poiché il Figlio dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi Angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue azioni” (Mt 16,24-27).

Mentre in Giovanni così è scritto: “Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto.

Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: Signore, tu lavi i piedi a me? Rispose Gesù: Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo. Gli disse Simon Pietro: Non mi laverai mai i piedi! Gli rispose Gesù: Se non ti laverò, non avrai parte con me. Gli disse Simon Pietro: Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo! Soggiunse Gesù: Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti. Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: Non tutti siete mondi.

Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri.

Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica.

Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 1-17.34-35).

Per fare questo, oltre la fede e la carità, occorre la grande virtù dell’umiltà. Si accoglie il mistero di Dio e ci si pone a totale suo servizio, vedendo nella moglie Cristo, che ha dato la vita per noi, perché anche la moglie è corpo di Cristo, al quale bisogna dare tutta la vita, perché vi sia un solo mistero: quello di Cristo che si vive interamente nel suo corpo.

La donna invece è chiamata ad essere rispettosa verso il marito. Paolo la invita a vedere il mistero che si compie nella sua vita attraverso la vita del marito e accoglierlo per realizzarlo secondo verità e giustizia.

Deve farlo allo stesso modo che lo fa la Chiesa. Questa è rispettosa verso Cristo Gesù se si lascia interamente santificare dal suo Sposo divino.

Rispetto”, in tal senso, ha un solo significato: guardare con occhio di fede il marito, accogliere la grazia che viene da lui, come la Chiesa guarda con occhio di fede Cristo Gesù e accoglie la grazia che dal capo discende in tutto il corpo.



 


Credente
00venerdì 2 novembre 2018 18:40

PER OPERA DI GESÙ CRISTO


Imitatori di Dio. Come? Nell’Antico Testamento si era imitatori di Dio nell’amore verso tutti, indistintamente. Nemici e amici, familiari ed estranei, della stessa tribù, dello stesso popolo, ma anche appartenenti alle genti, tutti dovevano essere amati perché Dio ama tutti. Anzi Dio è definito nell’Antico Testamento: il Dio amante della vita. Nel Nuovo Testamento c’è un solo modo per imitare Dio: consegnare tutto di noi alla morte e alla morte di croce per la salvezza del mondo. Come Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio perché chiunque crede in Lui abbia la vita nel suo nome, così ogni cristiano deve consegnasi interamente a Dio, perché sia Dio a farne un dono di salvezza per il mondo intero. Imitare Dio è lasciarsi crocifiggere come Cristo, è lasciarsi fare da Dio un dono di amore per il mondo intero.


Neppure se ne parli. Perché è giusto astenersi dal parlarne? A che serve la parola del cristiano? Il cristiano è chiamato ad essere santo. A differenza dell’Antico Testamento, secondo il quale la santità consisteva nell’amore, nel Nuovo Testamento la santità è lasciarsi fare nuovi da Dio nella natura, che viene rigenerata da acqua e da Spirito Santo. La santità perciò è novità di vita, trasformazione della nostra vita: la santità è nuova natura, nuova essenza, perché è partecipazione della natura divina. La santità è anche partecipazione della vita di Cristo, con il quale si diventa un solo corpo. Tutta la natura del cristiano deve manifestare la nuova creatura che è stata generata in lui: il cuore, i pensieri, la lingua, i sentimenti, lo stesso corpo devono manifestare la loro novità di essenza. Per questo è giusto che il cristiano dica, pronunzia, proferisca sempre una parola santa. Deve astenersi dal dire ogni parola che non è santa, che non genera santità, che non conduce alla santità, che non dice la santità di Dio e dei fratelli. La parola del cristiano deve essere sempre una parola ricca di verità, di carità, di compassione, di misericordia, di amore, di salvezza, di vita eterna.


Santità esigente. La santità è esigente, perché è santità della natura, non dell’atto singolo, del fatto in sé. Tutto ciò che il cristiano fa, deve essere santo, perché lui è stato fatto santo da Dio. Egli pertanto deve sempre rimanere nella sua nuova natura, da nuova creatura deve agire, da nuova essenza deve operare. Poiché ha ricevuto una nuova vita, deve produrre frutti secondo questa nuova vita. Egli ha abbandonato per sempre la sua vecchia natura, in essa mai più vi deve ritornare. Questa è l’esigenza della santità cristiana. Rimanere ed operare sempre nella verità secondo la quale è stato fatto dallo Spirito Santo.


L’idolatria, cos’è? L’idolatria è cambiamento di Dio: dal Dio vivo e vero, dal Dio che ha fatto l’uomo a sua immagine, che lo ha redento e santificato in Cristo Gesù, si passa ad un Dio fatto dall’uomo, che è nella volontà dell’uomo. Il Dio Signore ha una Parola di verità e di amore sull’uomo e l’uomo se vuole la vita deve ascoltare la Parola, obbedendo ad essa. Ogni qualvolta si esce dalla Parola, dal Vangelo, ogni qualvolta non c’è più obbedienza, si è in un rapporto idolatrico con il Signore, perché il Signore non è più il Signore. Signori del Signore siamo noi, oppure siamo noi Signori del Dio che ci siamo costruito e fatto. Nell’idolatria l’uomo prende il posto di Dio. Nella fede Dio ha il posto di Dio e l’uomo il posto dell’uomo. Dio dona la sua Parola di vita, l’uomo ascolta la Parola di vita data da Dio. In questa obbedienza è la vita dell’uomo. L’idolatria è solo via di morte e si è sempre nell’idolatria quando si è senza Parola di Dio da osservare.


Dov’è la fonte della gioia? La fonte della nostra gioia è Dio, ma non è Dio in assoluto, è Dio nella sua Parola. Quando si osserva la parola si accede alla gioia che Dio ha posto in essa; quando ci si allontana dalla Parola, ci si allontana anche dalla fonte della vera gioia. Si vive solo nella morte quando non si vive la Parola del Signore. Questa è la verità che sempre deve accompagnarci, specie in questo tempo dove si è assai tentati di trovare la gioia fuori della Parola di Dio: negli uomini, o nelle cose. Gli uomini, le cose, l’intera creazione non è fonte di gioia. Nel creato c’è solo stordimento dei sensi, appagamento della concupiscenza, ma questi, appagati, generano solo morte, perché dietro ogni appagamento c’è sempre il peccato e il peccato non può essere mai fonte di gioia, perché il peccato genera solo morte: morte spirituale, morte fisica, morte sociale, morte delle famiglie, dei popoli, del mondo intero.


Spetta a noi non lasciarci ingannare. La tentazione viene per ingannare il cristiano, per farlo retrocedere dalla via della verità e della carità e immergerlo nella vita peccaminosa di un tempo, quando anche la sua natura era corrotta e lacerata dal peccato e da ogni male. È obbligo del cristiano non lasciarsi ingannare né dall’errore, né dalla menzogna, né dalla tentazione. È suo dovere evitare quanto lo distrae e lo allontana dalla verità, dalla carità, dalla fonte della verità e della carità. Gesù gli ha insegnato come fare: trovarsi anche lui un Orto degli Ulivi e sprofondarsi in una preghiera intensa, fatta con sudore di sangue, perché lo Spirito del Signore si posi nuovamente su di lui, lo afferri, lo liberi dalla tentazione, lo muova e lo conduca verso un bene più grande. La tentazione si vince con una duplice arma: con l’arma della conoscenza integrale della volontà di Dio, con la preghiera incessantemente elevata al Signore, perché diventi luce e forza nell’ora della prova. Chi omette di crescere in sapienza, chi trascura di crescere in grazia, chi tralascia la preghiera costante, costui è già preda della tentazione. Costui non deve cadere in tentazione; non c’è tentazione per lui, perché lui è già fuori della verità e della carità di Cristo Gesù.


Niente in comune. Nella comunione con il mondo, il mondo ha distrutto il Vangelo. Il cristiano è tentato dal mondo. La tentazione più subdola è quella di entrare in una comunione con il mondo. Tra il cristiano e il mondo nulla deve essere in comune. Il cristiano è chiamato ad essere nel mondo, ma a non essere mai del mondo. Anzi tra il mondo e il cristiano c’è un rapporto di mutua distruzione: il cristiano è chiamato a distruggere il mondo, perché diventi regno di Dio; il mondo vuole distruggere il cristiano ad ogni costo, perché diventi nuovamente suddito del principe di questo mondo, cioè di satana e dei suoi satelliti. Entrare in comunione con il mondo nei pensieri e nelle opere, significa essere già del mondo, perché nessuno può fare le opere del mondo, se non divenendo mondo. Nella comunione con il mondo, si lascia il Vangelo, si diventa mondo; si abbandona la verità, si è della falsità.


Figli della luce. Il cristiano è figlio della luce, non delle tenebre; come figlio della luce, come figlio del Vangelo si deve sempre comportare. Mai egli deve smettere di essere luce nel Signore. Smette di essere luce quando si consegna alle tenebre del mondo per compiere le opere delle tenebre. Questa verità mai dovrebbe essere dimenticata dal cristiano, mai lui dovrebbe perdere di vista la sua vera essenza. La novità che è stata creata in lui deve divenire il faro dell’esistenza verso il quale essere attratto. Se farà questo rimarrà sempre nella luce, anzi nella luce progredirà e andrà di luce in luce, fino al raggiungimento in Cristo della luce di Dio, che è luce eterna ed increata, con la quale dovrà il giorno della risurrezione essere rivestito anche nel suo corpo.


Tutto è dall’alto per il cristiano. Se il cristiano vuole crescere come figlio della luce, vuole essere servo fedele e obbediente, desidera fare bene ogni cosa, aspira a mettere in pratica ogni Parola che è uscita dalla bocca di Dio deve sempre ricordarsi che lui è da Dio per creazione, per un atto di amore e di misericordia; è da Cristo per redenzione; è dallo Spirito Santo per santificazione. La nuova vita che gli è stata data egli deve sempre alimentarla in Dio, in Cristo, per opera dello Spirito Santo. Se per un istante si distacca da Dio, da Cristo e dallo Spirito Santo, diviene come un’erba che è distaccata dalla terra. La sua fine è certa. Non ci sarà più vita per essa. Per miracolo potrebbe essere possibile ad un’erba vivere e prosperare strappata dal terreno, per il cristiano invece questo non sarà mai possibile. Nessuno può distaccarsi vitalmente da Dio e vivere. La vita del cristiano, la sua nuova vita è da Dio, in Cristo, per opera dello Spirito Santo. Da Dio, in Cristo, per opera dello Spirito Santo, bisogna perennemente attingerla. Il legame con Dio è vitale, è essenziale, è perenne. Non può essere disciolto neanche per un solo istante.


Dio fa l’uomo. Come Dio. Dio è il creatore dell’uomo, Dio è anche il suo santificatore. Chi vuole essere fatto, si deve lasciare fare da Dio. Dio però non vuole fare un uomo a metà, non vuole iniziare e poi non continuare. Dio vuole fare dell’uomo un altro se stesso, ci vuole fare ad immagine di sé, ad immagine di Cristo, nella comunione di verità e di santità dello Spirito Santo. Il cristianesimo non è fare qualche cosa di buono, il cristianesimo è lasciarsi fare bene da Dio, è desiderare di divenire verità e carità di Dio nel mondo, è volontà sempre rinnovata di farsi amore crocifisso alla maniera di Cristo Gesù. Il cristiano non è colui che si pone dinanzi alle cose da peccatore, da uomo vecchio, per fare cose nuove, cose sante, secondo la volontà di Dio. Questo non è il cristiano. Il cristiano è colui che vuole farsi lui santo, vuole farsi lui ad immagine di Dio, a somiglianza di Cristo Gesù, vuole lui lasciarsi trasformare dalla carità e dalla verità dello Spirito Santo, per agire come Dio, operare come Cristo, vivere come lo Spirito Santo, divenire comunione di verità e di carità per il mondo intero. Se sarà come Dio, il cristiano agirà come Dio; se invece resterà nella sua vecchia natura, agirà da uomo vecchio e anche se farà cose buone, le farà da uomo vecchio, per piacere all’uomo vecchio, per servire gli uomini vecchi, come lui è vecchio. Da lui non potranno mai sorgere cose nuove, cose sante, cose vere, cose che creano comunione di verità e di santità nel mondo.


Quando la pastorale è cieca. È sempre cieca quella pastorale che non cerca mai la causa dei suoi fallimenti. È cieca anche quella pastorale che dona soluzioni non evangeliche ai problemi visti come veri. È cieca quella pastorale che dopo aver iniziato un programma evangelico, non lo segue, anzi lo fa morire, come se la salvezza delle anime fosse un gioco da abbandonare quando comporta delle difficoltà, o richiede degli impegni maggiori. È cieca quella pastorale che fa esperimenti sulle anime. L’anima non è un oggetto da laboratorio; non si possono perdere dieci anni con un progetto pastorale e alla fine dichiarare il suo fallimento. La pastorale è sempre cieca quando è fatta da un uomo cieco, quando è fatta cioè da un uomo in cui non vi è lo Spirito del Signore che muove il suo cuore e la sua volontà solo nella ricerca della salvezza delle anime. La pastorale è sempre cieca quando chi la compie non offre a Dio la propria vita in sacrificio e in olocausto per la conversione dei cuori. La pastorale è cieca quando è frutto di tradizioni, di abitudini, quando è consuetudine, quando non è perenne novità nella grazia e nella verità operata in noi dallo Spirito Santo. La pastorale è cieca quando si dimentica che il mistero di Cristo è l’unico oggetto del suo dire e che inserire ogni uomo in questo mistero è la finalità di ogni suo agire.


Non partecipazione e condanna aperta. Il cristiano vive nel mondo, è nel mondo, ma non è del mondo. Il suo non essere del mondo deve consistere in una non partecipazione alle opere del mondo. Ma questo non è sufficiente perché non sia del mondo. Perché non lo sia veramente, lo deve attestare attraverso due modalità differenti, ma complementari. Lo deve attestare con la vita, non partecipando alle opere peccaminose del mondo. Lo deve anche manifestare attraverso una presa di posizione chiara, nitida, puntuale, precisa, quotidiana di condanna aperta di tutte le opere del mondo. Se una di queste due modalità viene meno, viene meno anche l’essere cristiano nel mondo, ma non del mondo. Si diviene sempre del mondo quando in qualche modo si approvano le opere del mondo e si approvano ogni qualvolta che verso di esse non c’è una condanna aperta, esplicita, circostanziata; ogni qualvolta non c’è una separazione con la parola e con le opere. Su questa aperta condanna e non partecipazione alle opere del mondo è tutto il fallimento della nostra pastorale. Noi prestiamo servizi pastorali al mondo perché resti mondo, li prestiamo al cristiano ma perché viva del mondo e delle sue opere.


Educazione fondata sul silenzio. Chiamati a destare dal sonno il mondo intero. Spesso la nostra educazione cristiana è tutta fondata sul silenzio, sulla non presa di posizione, di non aperta condanna di fronte alle opere del mondo. Noi che siamo chiamati a svegliare dal sonno dell’errore e del peccato il mondo intero, spesso ci facciamo complici del peccato e dell’errore, quasi lo giustifichiamo, a volte anche lo propagandiamo, lo diffondiamo. Il silenzio dinanzi al peccato è grave omissione; come anche è omissione lasciare che il mondo dorma il suo sonno di morte spirituale, quando Gesù Signore è proprio venuto per svegliare noi e attraverso noi il mondo intero da ogni letargo di peccato, di trasgressione della legge di Dio, di ignoranza di Dio e di non conoscenza della verità che è via al cielo. Grande è la responsabilità del cristiano, ma anche grande è la sua omissione. Per la sua parola e il suo esempio il mondo può prendere coscienza del suo peccato. Se non lo fa, se tace, se si ritira dal mondo, se non manifesta la via della verità e della grazia, il mondo cade sempre più nel peccato, ma di questo peccato del mondo il Signore domanderà conto al cristiano.


L’uomo è responsabile della sua verità. La salvezza della propria anima è stata affidata da Dio alla singola persona. Ogni altro è di aiuto per la sua salvezza; nessuno però lo può sostituire in questo compito così delicato, così difficile, così puntuale, tanto da richiedere un costante impegno e un programma spirituale assai serio, se si vuole conseguire il regno dei cieli con Cristo in Dio. La responsabilità circa la propria anima, dice anche responsabilità circa la verità. Poiché la salvezza viene dalla verità, è giusto che ognuno sia responsabile della verità che abbraccia, che rifiuta, che ritarda ad apprendere e a conoscere, che non vuole mettere in pratica per avere la vita eterna. Così ognuno è anche responsabile dell’arresto della verità nel suo cuore, nella sua mente, nel suo spirito. La verità, o il cammino verso una verità sempre più grande, sempre più intera, perfetta, deve essere proseguito dal cristiano senza interruzione e una volta conosciuta la verità, quella vera, autentica, che lo salva e lo santifica, deve essere disposto anche a versare il suo sangue pur di rimanere nella verità e di compiere il suo cammino in essa sino alla fine. Per niente e per nessuna cosa un uomo che ha conosciuto la verità si deve lasciare tentare sì da desistere da essa, sì da interrompere il cammino intrapreso. Di questa interruzione, di questo abbandono la responsabilità è solo della persona che lo attua. Gli altri non c’entrano. Gli altri c’entrano se non gli danno la verità nella sua pienezza, se tralasciano di obbedire al Signore che vuole che si predichi il Vangelo e solo il Vangelo.


Approfittare del tempo presente. I giorni sono cattivi. Essere inconsiderati. A che serve il tempo presente? Serve per costruire la nostra eternità. Questo è il fine del tempo. Anche perché il tempo nel quale si vive è veramente cattivo, perché è frutto del peccato dell’uomo. Si è sconsiderati ogni qualvolta ci si serve del tempo per peccare, per non compiere la volontà di Dio, per attardarci in questo deserto della vita senza minimamente preoccuparci di avanzare verso l’eternità con una degna condotta di vita, nella santità e nella verità. La santificazione dell’uomo è nel tempo. Il cristiano deve approfittare di ogni attimo, niente deve sciupare del tempo, neanche un secondo, perché anche un secondo gli serve per costruire ed edificare la sua eternità beata. Raggiungerà il regno dei cieli chi saprà fare del tempo una scala per salire verso Dio e per discendere verso il fratelli; sale verso Dio per attingere da Lui verità e carità, discende verso il prossimo per donare ad ogni uomo la verità e la carità che ha attinto nel Signore.


Annunziare. Insegnare. Conoscenza e comprensione. L’evangelizzazione avviene attraverso diversi momenti. Il primo momento è senz’altro quello dell’annunzio. Si proclama il mistero, lo si dice in modo univoco a tutti. Ma poi non tutti hanno compreso, non tutti comprendono la stessa cosa. È compito dell’evangelizzatore armarsi di santa pazienza e iniziare un vero cammino di insegnamento, di spiegazione, di illuminazione. Il mistero annunziato deve essere mistero compreso e per questo occorre l’insegnamento, la spiegazione, le delucidazioni, ogni altra opera didattica perché nessun dubbio rimanga nella mente e soprattutto nel cuore. Su questo oggi non ci siamo proprio. Prima di tutto perché non si annunzia più il mistero di Cristo Gesù, in secondo l’uogo perché non c’è più una spiegazione che si confà al mistero annunziato. Anche nel campo della teologia c’è come una separazione tra mistero e comprensione del mistero, perché c’è un allontanamento dalla parola della salvezza. Chi vuole evangelizzare deve seguire la stessa regola di Cristo Gesù: deve mettere ogni intelligenza, ogni sapienza, ogni scienza perché l’altro non solo ascolti il mistero, ma anche lo comprenda. Quando la Chiesa avrà di nuovo iniziato a far comprendere il mistero di Cristo al mondo intero, essa inizia a divenire vera Chiesa di Cristo Gesù. Fino a quel momento anche in seno a molti dei suoi figli regnano ignoranza, incomprensione, ambiguità sul mistero, lacune e ogni altra deficienza. Tutto questo lo attesta lo stato spirituale del cristiano che non sa più neanche chi è Cristo Gesù e qual è il mistero che egli ha vissuto e realizzato tra noi. L’approssimazione su Cristo è la cosa più scandalosa che possa esistere nel campo cristiano.


Vino, ministero, vita cristiana inconciliabili. Il cristiano deve sempre possedere la padronanza del suo spirito, del suo corpo, della sua mente, dei suoi sentimenti, della sua volontà, dell’intera sua vita. Deve perciò evitare tutte quelle cose che in qualche modo gli ostacolano in parte o in tutto il totale possesso di sé. Ogni cosa – cibo, bevande, sostanze lecite e illecite – deve essere evitata, messa al bando se diviene per noi una sorgente di menomazione piccola o grande della nostra integrità psicofisica. Anche se questo dovesse avvenire per un istante, di questa cosa bisogna privarsene. Lo esige il ministero di cui siamo stati fatti degni da parte di Dio e del Signore nostro Gesù Cristo.


Gioia pagana, gioia cristiana. La gioia cristiana è la gioia che nasce dal possedere un cuore ricolmo di Dio e della sua verità. La gioia pagana invece, mondana, è quella che ha per oggetto le cose di cui si riempie il cuore e la mente, oppure si avvolge il corpo. Diciamo subito che questa gioia non dura, non dona veramente gioia perché lascia il cuore vuoto. La gioia cristiana invece ricolma il cuore, lo sazia, con essa non si ha più bisogno di niente. Chi possiede essa, possiede tutto, indistintamente tutto, perché possiede Dio che è il tutto per l’uomo, in questa vita e nell’eternità.


Cristiano: orante perpetuo. Se dovessimo dare una definizione del cristiano, dovremmo dire che il cristiano è un orante perpetuo. È orante perpetuo perché sa che tutto discende da Dio, tutto è un suo dono d’amore. Poiché tutto, veramente tutto il cristiano deve attingerlo in Dio, niente egli ha in sé, tutto è fuori di sé, è in Dio e in Dio si attinge attraverso la preghiera, fatta a volte di semplici aneliti, di gemiti attraverso i quali manifestiamo al Signore ogni nostra richiesta. Di tutto e di ogni cosa abbiamo bisogno di lui, tutto e ogni cosa dobbiamo domandare a Lui. Questa è la preghiera di impetrazione, o domanda di grazie. Dopo aver ottenuto tutto, dobbiamo anche ringraziarlo per tutto. Questa è la preghiera di benedizione. Ma Dio è tutto per se stesso, prima che per noi. Lui si deve lodare, benedire, ringraziare, magnificare perché è Dio, il nostro Dio e questa preghiera di lode deve scandire i ritmi e le ore della nostra giornata. Non deve esistere minuto, momento in cui non si innalzano gli occhi al cielo per magnificare il Signore per le meraviglie che lui ha operato per la nostra salvezza eterna.


La sottomissione nella fede. La fede nella sottomissione. Ogni sottomissione nel cristianesimo è sempre nella fede, cioè secondo la volontà di Dio. Non deve esistere sottomissione se non alla verità, alla volontà di Dio, ai suoi comandi, alla mozione dello Spirito Santo. Bisogna inoltre avere fede nella sottomissione. Avere fede significa una cosa sola: la nostra verità e quindi la nostra vita è nell’ascolto del Signore, è nella sottomissione alla sua volontà, è obbedienza ad ogni Parola che è uscita dalla sua bocca. Se non si costruisce la nostra vita su questa fede, difficilmente si potrà vivere la sottomissione. Sono molti i motivi umani, le ragioni della nostra volontà che ci spingono a rinnegare la volontà di Dio per sottomettere la nostra vita alla nostra volontà. Ma questa non è sottomissione di fede e neanche c’è fede nella sottomissione. Tutto ciò che esiste nel creato è sottomesso solo a Dio. Anche l’uomo è sottomesso a Dio. Questa è la sua fede, l’unica sua fede, la sola fede che deve animarlo e spingerlo ad amare secondo verità. Se c’è sottomissione di un uomo ad un altro uomo, questa non può avvenire se non secondo la legge di Dio, mai secondo la legge dell’uomo. La sottomissione secondo la legge di Dio dice e insegna che nessuna sottomissione sarà mai possibile per un uomo, se questa contraddice la legge divina, la volontà del Padre. Per non contraddire la volontà del Padre, per non cedere e sottomettersi all’uomo, il cristiano deve essere pronto a subire anche il patibolo della croce, allo stesso modo che ha fatto Cristo Gesù.


Riportare la famiglia nel mistero. Chi vuole salvare oggi la famiglia deve riportarla nel mistero. Perché questo avvenga – il mistero è quello della morte e della risurrezione di Cristo Gesù – è necessario che si portino nel mistero singolarmente prima l’uomo e la donna che si stanno accingendo a formare la famiglia e poi, una volta formata, insieme, l’uno e l’altra costantemente debbano fare riferimento a Cristo e al suo mistero di morte e di risurrezione. Cosa succede invece oggi? Si vorrebbe portare la famiglia nel mistero, ma lasciano sia l’uomo, che il marito e i figli fuori del mistero; oppure permettendo e consentendo che si faccia una famiglia attraverso il sacramento del matrimonio senza la conoscenza del mistero di Cristo Gesù e senza una vita santa dei fidanzati in esso. Questo modo di celebrare il sacramento del matrimonio non sortisce alcun effetto santo. Manca infatti il soggetto del matrimonio cristiano che è un uomo inserito nel mistero di Cristo, sì da essere divenuto con il Signore un solo mistero, una sola verità, una sola grazia, una sola via per raggiungere il regno dei cieli. Chi vuole la salvezza della famiglia, deve volere prima la salvezza dell’uomo; deve lottare evangelicamente perché ogni uomo si conformi all’immagine di Cristo Gesù, diventi mistero del suo mistero, si faccia verità di Cristo, sua carità, sua croce per la redenzione della famiglia e del mondo intero.


Vita finalizzata a Cristo. Non può esistere alcuna famiglia cristiana che non sia finalizzata al compimento del mistero di Cristo nel suo seno. Ora qual è il mistero di Cristo? È il dono totale della sua vita a noi. Così finalizzando la vita della famiglia a Cristo, l’uomo e la donna sanno cosa fare: devono fare della loro vita una sorgente di verità e di carità a servizio l’uno dell’altra. La carità che deve regnare nella famiglia, assieme alla carità è l’amore crocifisso del Figlio, amore di sottomissione al Padre. Questa è la legge della vita di ogni famiglia che viene a formarsi in Cristo Gesù.


Mistero di Dio, mistero di Cristo, mistero della famiglia. La famiglia deve produrre nel suo seno il mistero di Dio, il mistero di Cristo, il mistero dello Spirito Santo. Di Dio deve vivere il mistero del dono della vita. Dio è colui che dona la vita, che la genera in sé (dona la vita al suo Figlio Unigenito nell’eternità), la crea fuori di sé (dona la vita ad ogni essere vivente). La famiglia deve essere creatrice di vita. Questo è uno dei suoi compiti primari. Se non lo fa, se si chiude in se stessa, interrompe il circuito della vita e si diviene egoisti. Non si è più ad immagine di Dio. Realizza il mistero di Cristo, se si fa olocausto d’amore non solo all’interno della famiglia, ma per ogni uomo e per ogni famiglia che vive in questo mondo. L’amore di Cristo è dono totale di sé; l’amore degli sposi è olocausto per se stessi, per i figli, per il mondo intero. Sapersi lasciare consumare e crocifiggere dall’amore è opera della comunione dello Spirito Santo, opera della sua verità, opera della sua santità. Lui ci dona se stesso, perché noi ci possiamo donare a Cristo, perché Cristo ci consegni al Padre in un movimento di piena e totale sottomissione a Lui, nella giustizia e nella santità vera, attraverso un’obbedienza che è rinnegamento e immolazione di tutta intera la nostra vita.


All’uomo non è dato il potere di fare che non sia fatto ciò che ha fatto. Ad ogni uomo è stata concessa la libertà di iniziare, o non iniziare dei cammini. Una volta che lui ha iniziato, non può più ritornare indietro. Era in suo potere prima non porre l’azione, una volta posta, deve viverla secondo la legge di Dio. A proposito del matrimonio significa che all’uomo è data facoltà di sposarsi, di non sposarsi. Non è data però facoltà di ritornare indietro, di separare ciò che Dio ha unito. Anche in questo: quando l’uomo e la donna sapranno che certe azioni sono state tolte alla loro volontà, perché siano governate solo dalla volontà di Dio, essi avranno fatto un passo in avanti nella loro stabilità nell’amore e nella verità. Questo ci insegna anche che alcune azioni hanno un valore eterno, una valenza eterna e nessuno, proprio nessuno, può banalizzarle, altrimenti si banalizza la Croce di Cristo Gesù. Su questa tematica c’è troppo da dire ai nostri giorni, dove non è più concepibile – anche all’interno della fede – che ci possa essere una volontà sovrana e insindacabile sopra di noi che ha stabilito fin dall’eternità la legge del nostro esistere. Finché non accetteremo che sopra di noi vige e regna la volontà di Dio, noi non potremo mai essere cristiani, siamo degli esseri religiosi, la cui religiosità però non ci salva, perché non ci ha condotti alla verità di Dio e della sua sovranità di amore e di verità sopra ogni uomo.


 





Credente
00sabato 3 novembre 2018 10:44

CAPITOLO SESTO


VIRTÙ DOMESTICHE


[1]Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto.


La famiglia non si compone solo del marito e della moglie; nella famiglia il marito diviene padre, la moglie madre. Qual è il giusto rapporto che deve governare le relazioni tra genitori e figli?


Sappiamo quali sono i rapporti che intercorrono tra l’uomo e la donna uniti in matrimonio. Quali i rapporti tra genitori e figli che scaturiscono dalla fede?


Quando si vuole stabilire una relazione tra gli uomini bisogna sempre trovare il principio che le dona consistenza, validità, stabilità, verità, giustizia.


Ogni relazione che non viene fondata su un principio di verità e di giustizia, è una relazione arbitraria. Mai questa relazione potrà generare un bene.


Tutto ciò che non è vero e non è giusto, non può produrre amore e quindi genera malessere, non benessere nei cuori.


Qual è la verità e la giustizia che governano le relazioni tra genitori e figli?


La relazione di verità e di giustizia bisogna trovarla nella fede, nella volontà di Dio, in ciò che Dio ha stabilito.


Sia i genitori che i figli sono del Signore, appartengono a Lui. È Lui la legge sia dei genitori che dei figli.


Questo deve essere proclamato con chiarezza, determinazione, con tutta la fortezza che è dono dello Spirito Santo.


Se genitori e figli sono di Dio, appartengono a Lui, non può esserci volontà dei genitori sui figli che non sia manifestazione, espressione, rivelazione della volontà di Dio.


E qual è la volontà di Dio sui figli: il loro sommo bene. È il bene che nasce dalla verità e dalla giustizia. È il bene che nasce dalla fede. È il bene che nasce dall’adorazione di Dio e dall’ascolto della sua voce.


C’è una parola che è detta da Dio a proposito di Abramo che può illuminarci a riguardo: “Il Signore diceva: Devo io tener nascosto ad Abramo quello che sto per fare, mentre Abramo dovrà diventare una nazione grande e potente e in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra? Infatti io l'ho scelto, perché egli obblighi i suoi figli e la sua famiglia dopo di lui ad osservare la via del Signore e ad agire con giustizia e diritto, perché il Signore realizzi per Abramo quanto gli ha promesso” (Gn 18,17-19).


È questo il principio di giustizia, di verità che deve governare l’atto del comando dei genitori verso i figli. Essi devono insegnare la via del bene, della verità, dell’osservanza dei comandamenti di Dio, devono condurre i loro figli su una via santa, la via di Dio.


È questo l’oggetto dell’obbedienza. Non c’è obbedienza quando ci si pone fuori della verità e della giustizia, fuori della volontà di Dio manifestata.


In questo ci è di esempio Cristo Gesù, il quale avendo ricevuto dal Padre un comandamento, una particolare volontà da osservare, senza dire nulla a Maria e a Giuseppe si fermò a Gerusalemme.


La sua azione è mossa dall’obbedienza diretta al Padre suo celeste. La Madre questo non lo sapeva. Gesù glielo ricorda con queste precise parole:


Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui. I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero.


Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.


Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo.


Ed egli rispose: Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?.


Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,40-52).


Per vivere questo principio, cioè quello dell’obbedienza, è necessario che ogni bambino venga educato secondo la legge della fede. Venga cioè istruito nel mistero che si vive all’interno della famiglia.


I genitori hanno l’obbligo di condurre ogni figlio sulla via di Dio, di farlo camminare nella sua volontà.


I genitori donano al figlio la volontà di Dio. A questo essi sono preposti. I figli obbedendo ai genitori sanno di obbedire a Dio, del quale essi hanno il posto per educare i propri figli nella sua volontà.


Entriamo qui in un duplice obbligo. Come c’è l’obbligo dei figli di obbedire ai genitori, così c’è anche l’obbligo dei genitori di dare ai figli la volontà di Dio.


Quando è manifesto che non viene data la volontà di Dio non c’è l’obbligo dell’obbedienza. Un genitore mai può comandare ad un bambino qualcosa che è contro la volontà di Dio. Mai può un genitore obbligare un bambino a non osservare la legge dei comandamenti.


In questo caso si compie l’altra parola di Gesù contenuta nel Vangelo. È la parola che sancisce la separazione tra genitori e figli, ma anche tra marito e moglie, a causa della volontà di Dio.


Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!


Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. D'ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera”(Lc 12,49-53)


Qual è il compito dei genitori? Quello di condurre i propri figli nella volontà di Dio. Per questo essi esistono.


Qual è l’obbedienza dei figli nei confronti dei genitori: quella di ascoltare la volontà di Dio.


Quando non c’è un comando di Dio, già rivelato perché contenuto nel Vangelo, o manifestato personalmente, il figlio è obbligato in coscienza a dire il motivo del non ascolto.


Ogni figlio si deve comportare come ha fatto Cristo Gesù: “Il Padre mio mi ha detto cosa devo fare oggi, e oggi ho fatto cosa mi ha detto di fare il Padre”.


È obbligo però dei figli dire sempre il motivo della loro non obbedienza e il motivo è uno solo: il compimento della volontà di Dio.


[2]Onora tuo padre e tua madre: è questo il primo comandamento associato a una promessa:


L’obbedienza e l’onore non sono la stessa cosa. L’obbedienza non obbliga quando ciò che si comanda non è la volontà di Dio, secondo la specificazione or ora puntualizzata.


Gesù obbedisce a Dio, resta a Gerusalemme. Compie ciò che il Padre in quel momento gli ha chiesto. Non informa neanche Maria e Giuseppe.


Perché non lo fa non lo sappiamo. Forse per insegnarci che quando Dio parla, ci deve essere un solo pensiero nella mente e una sola preoccupazione: quella di fare ciò che Dio ci ha detto, manifestato, chiesto.


Per le spiegazioni con gli uomini, anche con i genitori, c’è il tempo, dopo. Ora invece è il tempo dell’obbedienza, dell’ascolto, della realizzazione della parola che Dio ci ha detto.


L’onore invece è per sempre. Non c’è nessuna circostanza in cui si è dispensati dall’onorare il padre e la madre.


Nell’Antico Testamento abbiamo diverse parole forti che inculcano questo onore da tributare loro e sempre. La prima parola la troviamo nella Genesi ed è proferita in merito a Noè: “I figli di Noè che uscirono dall'arca furono Sem, Cam e Iafet; Cam è il padre di Canaan. Questi tre sono i figli di Noè e da questi fu popolata tutta la terra.


Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna. Avendo bevuto il vino, si ubriacò e giacque scoperto all'interno della sua tenda.


Cam, padre di Canaan, vide il padre scoperto e raccontò la cosa ai due fratelli che stavano fuori. Allora Sem e Iafet presero il mantello, se lo misero tutti e due sulle spalle e, camminando a ritroso, coprirono il padre scoperto; avendo rivolto la faccia indietro, non videro il padre scoperto.


Quando Noè si fu risvegliato dall'ebbrezza, seppe quanto gli aveva fatto il figlio minore; allora disse: Sia maledetto Canaan! Schiavo degli schiavi sarà per i suoi fratelli!


Disse poi: Benedetto il Signore, Dio di Sem, Canaan sia suo schiavo! Dio dilati Iafet e questi dimori nelle tende di Sem, Canaan sia suo schiavo!” (Gn 9,18-27).


Cam non rende onore al padre, anzi lo disonora, perché non copre il padre nudo, anzi lo svela anche agli altri fratelli che nulla sapevano del loro padre.


Nei sapienziali invece leggiamo:


Figli, ascoltatemi, sono vostro padre; agite in modo da essere salvati. Il Signore vuole che il padre sia onorato dai figli, ha stabilito il diritto della madre sulla prole. Chi onora il padre espia i peccati; chi riverisce la madre è come chi accumula tesori.


Chi onora il padre avrà gioia dai propri figli e sarà esaudito nel giorno della sua preghiera. Chi riverisce il padre vivrà a lungo; chi obbedisce al Signore dà  consolazione alla madre. Chi teme il Signore rispetta il padre e serve come padroni i genitori. Onora tuo padre a fatti e a parole, perché scenda su di te la sua benedizione. La benedizione del padre consolida le case dei figli, la maledizione della madre ne scalza le fondamenta.


Non vantarti del disonore di tuo padre, perché il disonore del padre non è gloria per te; la gloria di un uomo dipende dall'onore del padre, vergogna per i figli è una madre nel disonore.


Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo durante la sua vita.


Anche se perdesse il senno, compatiscilo e non disprezzarlo, mentre sei nel pieno vigore. Poiché la pietà verso il padre non sarà dimenticata, ti sarà computata a sconto dei peccati. Nel giorno della tua tribolazione Dio si ricorderà di te; come fa il calore sulla brina, si scioglieranno i tuoi peccati.


Chi abbandona il padre è come un bestemmiatore, chi insulta la madre è maledetto dal Signore (Sir 3,1-16).


L’onore è rispetto, aiuto, sostegno, misericordia, scusa, perdono, benevolenza. Tutto è l’onore e tutto è onore. L’onore per i genitori è la ricerca del loro bene supremo: bene spirituale, bene materiale.


Questo onore lo si deve dare sempre. E tuttavia c’è un solo caso, sancito sempre dalla volontà di Dio, in cui si è dispensati dall’onorare materialmente i genitori. Questo unico caso è la vita consacrata al regno, alla missione evangelizzatrice.


Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: Maestro, io ti seguirò dovunque tu andrai. Gli rispose Gesù: Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo.


E un altro dei discepoli gli disse: Signore, permettimi di andar prima a seppellire mio padre. Ma Gesù gli rispose: Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti”(Mt 8,19-22).


Solo in questo caso il figlio può lasciare i genitori, andarsene lontano, predicare il Vangelo, condurre gli uomini alla fede. Negli altri casi l’onore dei genitori ha la prevalenza su ogni altra scelta.


Quest’onore è sancito da un comandamento: il quarto, che è il primo comandamento che segue immediatamente dopo i primi tre che riguardano l’onore e la gloria di Dio.


[3]perché tu sia felice e goda di una vita lunga sopra la terra.


Leggiamo nel libro dell’Esodo: “Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dá il Signore, tuo Dio” (Es 20,12).


In questa prima formulazione manca la promessa della felicità. È contenuta invece quella della lunga vita. In sé però la lunga vita è una benedizione di Dio e nella benedizione di Dio c’è sempre la felicità.


È felice quella vita che è benedetta da Dio. Nel caso dei figli, essa è benedetta perché rispettano, hanno rispettato, rispetteranno i genitori fino all’ultimo istante dei loro giorni.


La felicità viene aggiunta a questo comandamento nella seconda formulazione che troviamo nel Deuteronomio:


Onora tuo padre e tua madre, come il Signore Dio tuo ti ha comandato, perché la tua vita sia lunga e tu sii felice nel paese che il Signore tuo Dio ti dà” (Dt 5,16).


In questa seconda formulazione, scritta dopo l’esilio, la felicità è mirabilmente unita anche all’onore da tributare ai genitori.


La felicità nasce dall’amore, dalla carità, dalla misericordia. Sulla terra essa è unita, come a sua fonte, all’amore verso i genitori.


D’altronde, la felicità eterna nel regno di Dio, non è forse unita, anzi generata dall’amore verso i fratelli tutti?


Il nostro giudizio universale non si baserà forse sulla legge della carità e della sua osservanza senza fare preferenze di persone?


Un figlio che vuole la benedizione di Dio, che vuole vivere felice su questa terra, che vuole essere protetto e custodito da Dio, deve portare felicità, custodire e proteggere i suoi genitori.


Questa è la verità che bisogna oggi insegnare ai cristiani, che spesso dimenticano questo comandamento e pensano di poter trovare la felicità in quello che loro autonomamente decidono di fare. La felicità è un dono di Dio, come è un dono di Dio la vita lunga. La gioia viene dal Signore e il Signore ci ha indicato la fonte dove attingerla: nell’onore che si riversa sul padre e sulla madre.


Altre fonti non esistono. Ogni altra fonte della gioia è sempre nell’osservanza dei comandamenti. Questo comandamento però sta in modo del tutto particolare nel cuore di Dio ed è per questo che lo ha benedetto con un dono particolare, anzi con due doni: con il dono della vita lunga e della gioia e della felicità.


Cosa è la nostra vita senza la fede? Un niente. Anzi: una miseria continua, una illusione perenne, una fatica non solo inutile, quanto dannosa, poiché quella vita vissuta senza la fede conduce direttamente all’inferno.


Insegnare la fede è aprire le porte della vita ad ogni uomo, le porte della felicità e della gioia, le porte del ritrovarsi e dell’essere pienamente se stessi, senza le cose della terra, nelle quali inutilmente l’uomo spera di trovare felicità e gioia assieme alla lunga vita.


[4]E voi, padri, non inasprite i vostri figli, ma allevateli nell'educazione e nella disciplina del Signore.


Viene in questo versetto specificato qual è l’obbligo dei genitori verso i figli.


Essi devono allevare i figli nell’educazione e nella disciplina del Signore.


Per noi del Nuovo Testamento c’è una sola disciplina e una sola educazione del Signore: il suo Santo Vangelo.


I genitori devono educare i propri figli ad amare il Vangelo, a vivere il Vangelo, a testimoniare il Vangelo.


Il Vangelo è Cristo. I genitori devono educare i propri figli ad amare Cristo, vivere in Cristo, con Cristo, per Cristo, testimoniare Cristo.


Loro devono creare nei figli una coscienza evangelica e per questo devono illuminare il loro cuore con la luce che è la Parola di Cristo Gesù.


Devono fare tutto questo con pazienza, dolcezza, benignità, senso di accompagnamento, perfetta esemplarità.


Devono porre ogni attenzione a che i loro figli non si inaspriscono, o non vengano inaspriti.


Quando si inasprisce un cuore? Quando si toglie il respiro. Quando c’è un incalzare continuo di richieste, di comandi, di imposizioni.


Quando non si vede il figlio come un soggetto messo e posto da Dio nelle nostre mani perché lo aiutiamo a camminare verso di Lui, ma come un oggetto che noi possiamo modellare a nostro piacimento, per fare di lui non ciò che è gradito al Signore, ma ciò che è gradito a noi, che a noi piace.


Questo vale in ogni relazione in cui è richiesta l’obbedienza. Chi comanda deve sempre comandare per il compimento della volontà di Dio e chi obbedisce deve obbedire anche per il medesimo fine. Dio è il Signore della vita di chi comanda e di chi obbedisce. Chi è stato posto per comandare, è stato posto per dire solo la volontà di Dio; chi è stato posto per obbedire, è stato posto solo per fare la volontà di Dio.


Quando un cuore percepisce che non c’è volontà di Dio in quello che si comanda, il cuore soffre, geme, è nel dolore.


Per questo assieme al comando è sempre giusto offrire la motivazione per cui un’obbedienza è richiesta.


La motivazione legata all’obbedienza non priva del merito dell’obbedienza l’atto che si compie, gli dona verità, sapienza, intelligenza ed è proprio dell’uomo agire con verità, sapienza, intelligenza, conoscenza.


Se leggiamo il Vangelo di Luca al momento dell’Annunciazione, troviamo che a Maria Santissima fu data la verità, l’intelligenza e la sapienza perché il suo atto di fede fosse un vero atto umano, atto posto da una donna che è chiamata a consegnarsi interamente a Dio.


Leggiamo il passo, ci aiuterà a capire tante cose quando si chiede l’obbedienza ad un comando:


Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te.


A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine.


Allora Maria disse all'angelo: Come è possibile? Non conosco uomo.


Le rispose l'angelo: Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio.


Allora Maria disse: Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto. E l'angelo partì da lei” (Lc 1,26-38).


In questi brevi versetti è contenuto tutto il mistero dell’obbedienza. Dio tratta sempre l’uomo da uomo. Non sempre l’uomo tratta l’uomo da uomo.


L’inasprimento è quando l’altro non è più uomo, ma diviene una cosa, un oggetto, uno schiavo, un servo.


L’attenzione a che questo non avvenga deve essere sempre alta, anzi altissima. A volte è necessario, altre volte è utile non intervenire, piuttosto che inasprire. Altre volte ancora è indispensabile valutare tutto nella preghiera, perché il comando sia vero comando che viene da Dio e non da noi.


Spesso infatti capita, e non è raro, che tutto si attribuisca a Dio, mentre in realtà altro non è che volontà e desiderio del nostro cuore. La preghiera, l’invocazione allo Spirito Santo, attendere che il Signore risponda al nostro cuore e al nostro spirito, dopo averlo lungamente implorato, ci aiuta e ci preserva dal dare un comando che non sia sua volontà.


Quanto dobbiamo pregare e quanto dobbiamo attendere? Tutto il tempo necessario perché si abbia in noi una certezza sicura, anzi infallibile.


Se non si ha questa certezza, è giusto che lo si manifesti, che lo si dica: il mio cuore pensa questo, ma non so se è volontà di Dio.


Ti manifesto il mio cuore. Va’ tu dal Signore e chiedi che ti venga in aiuto. Lui ti ama, tu lo ami e di certo ti darà risposta sicura.


La risposta che non ha dato a me, la darà sicuramente a te.


Questa è l’umiltà che è richiesta a chiunque ha un posto di comando, a chiunque si rivolge agli altri chiedendo l’obbedienza. I genitori hanno questo posto, hanno il posto di Dio in seno alla famiglia.

[5]Schiavi, obbedite ai vostri padroni secondo la carne con timore e tremore, con semplicità di spirito, come a Cristo,

Abbiamo esaminato la relazione familiare. Essa non è l’unica e la sola relazione nella quale un uomo è chiamato a vivere. C’è anche una relazione sociale.

Qual è la differenza tra la relazione sociale e quella familiare? Quella familiare è sancita dalla legge di Dio e quindi è immutabile.

Quella sociale invece è regolata dalla legge degli uomini e a volte anche da strutture che si tramandano lungo il corso della storia. Non sono la volontà di Dio e tuttavia anche queste bisogna che vengano ricondotte nella volontà di Dio.

In queste strutture sociali bisogna però prestare molta attenzione. Bisogna distinguere in esse: la giustizia che sempre deve essere osservata, dalle modalità che possono variare da luogo a luogo e da tempo a tempo.

Quali erano le relazioni sociali al tempo di Paolo? Esse si fondavano esclusivamente su due categorie. Padroni e schiavi. Molti uomini schiavi, pochi uomini liberi.

Qual è la regola che Paolo detta a questo mondo sociale, che caratterizzava quel tempo?

Paolo chiede agli schiavi l’obbedienza. Chiede lo stesso stato d’animo che domanda per la propria santificazione.

Così nella Lettera ai Filippesi: “Quindi, miei cari, obbedendo come sempre, non solo come quando ero presente, ma molto più ora che sono lontano, attendete alla vostra salvezza con timore e tremore. E` Dio infatti che suscita in voi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni. Fate tutto senza mormorazioni e senza critiche, perché siate irreprensibili e semplici, figli di Dio immacolati in mezzo a una generazione perversa e degenere, nella quale dovete splendere come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita. Allora nel giorno di Cristo, io potrò vantarmi di non aver corso invano né invano faticato” (Fil 2,12-16).

L’obbedienza richiede, esige una quadruplice modalità:

Con timore: il timore è cosa santa. Per un cristiano il timore è tutto. Timore per noi è stare sempre alla presenza di Dio e fare ogni cosa perché sua volontà.

Per sapere cosa è il timore del Signore, è sufficiente leggere il primo capitolo del libro del Siracide:

Il timore del Signore allieta il cuore e dà  contentezza, gioia e lunga vita. Per chi teme il Signore andrà bene alla fine, sarà benedetto nel giorno della sua morte.

Principio della sapienza è temere il Signore; essa fu creata con i fedeli nel seno materno. Tra gli uomini essa ha posto il nido, fondamento resterà fedelmente con i loro discendenti.

Pienezza della sapienza è temere il Signore; essa inebria di frutti i propri devoti. Tutta la loro casa riempirà di cose desiderabili, i magazzini dei suoi frutti.

Corona della sapienza è il timore del Signore; fa fiorire la pace e la salute. Dio ha visto e misurato la sapienza; ha fatto piovere la scienza e il lume dell'intelligenza; ha esaltato la gloria di quanti la possiedono.

Radice della sapienza è temere il Signore; i suoi rami sono lunga vita. La collera ingiusta non si potrà giustificare, poiché il traboccare della sua passione sarà la sua rovina. Il paziente sopporterà per qualche tempo; alla fine sgorgherà la sua gioia; per qualche tempo terrà nascoste le parole e le labbra di molti celebreranno la sua intelligenza. Fra i tesori della sapienza sono le massime istruttive, ma per il peccatore la pietà è un abominio. Se desideri la sapienza, osserva i comandamenti; allora il Signore te la concederà.

Il timore del Signore è sapienza e istruzione, si compiace della fiducia e della mansuetudine. Non essere disobbediente al timore del Signore e non avvicinarti ad esso con doppiezza di cuore. Non essere finto davanti agli uomini e controlla le tue parole. Non esaltarti per non cadere e per non attirarti il disonore; il Signore svelerà i tuoi segreti e ti umilierà davanti all'assemblea, perché non hai ricercato il timore del Signore e il tuo cuore è pieno di inganno” (Sir 1,10-29).

Per noi cristiani, battezzati, il timore del Signore è dono dello Spirito Santo. Con questo dono sappiamo sempre cosa il Signore vuole da noi e disponiamo il nostro cuore e la nostra volontà ad una obbedienza perfetta.

La nostra vita è nel timore del Signore. Se la poniamo fuori dal timore, la perdiamo, perché la esponiamo alla tentazione e al peccato, la consegniamo semplicemente al male.

Se bisogna obbedire ai padroni, lo si deve fare vedendo in essi l’unico nostro Padrone, l’unico Signore. Questa obbedienza è la via della nostra santificazione, sempre però che il loro comando non contrasti la volontà di Dio, non sia cioè in opposizione, o contrario al volere del Signore manifestato nel Suo Vangelo.

Con tremore: il tremore ci deve insegnare invece che per ogni azione dobbiamo domani presentarci al cospetto del Signore e rendere ragione di tutto.

Niente di ciò che viene fatto sfuggirà al giudizio di Dio. Poiché su ogni nostra azione incombe l’infallibile giudizio del Signore, Paolo ci esorta a pensare anche a quel giorno, al giorno del nostro giudizio.

Questo ci aiuterà a svolgere l’azione in modo vero, giusto, santo. Sappiamo così che chi ci giudica non è un uomo oggi, è Dio, domani.

Questo principio deve regolare ogni nostra azione. È questo il segreto della verità e della santità della nostra vita.

Ecco perché c’è questa unità mirabile tra l’obbedienza agli uomini e la nostra santificazione. La santificazione altro non è che obbedienza agli uomini e questa obbedienza deve essere fatta con timore e tremore.

Ogni azione deve essere fatta perché volontà di Dio, ma anche come dinanzi a Dio. Se mettiamo questo principio in ogni relazione sociale, avremo posto nel mondo il principio della verità, della giustizia, della bontà di ogni cosa, ma anche della bellezza di tutte le relazioni umane.

Possono cambiare i soggetti. Il padrone può non essere più padrone e lo schiavo non essere più schiavo, può anche modificarsi ogni regola pratica che controlla e guida le relazioni, mai però deve cambiare il timore e il tremore.

Fare ogni cosa perché volontà di Dio. Farla sempre alla sua presenza, sapendo che domani saremo convocati in giudizio e a lui dobbiamo rendere conto anche di un semplice pensiero della mente, sorto in essa, ma senza la partecipazione della nostra volontà.

Una società non si può fondare se non su questi due principi: del timore e del tremore. Oggi però Dio è bandito dalla nostra vista. La sua volontà non esiste più, neanche tra i cristiani. Come fare per inculcare a tutti questo principio? Come operare perché entri nel cuore il timore del Signore?

Bisogna riprendere la via della nuova evangelizzazione. Bisogna ridare il Vangelo al cristiano, perché lo viva, ad esso si converta, ad esso creda, esso ami, annunzi, proclami, realizzi nella sua vita e lo faccia interamente.

Se il Vangelo non viene dato agli uomini, neanche il timore e il tremore vengono dati e l’uomo si trova su un declino morale dal quale non c’è alcuna via di uscita. È condannato per sempre alla conflittualità e alla guerra tra le classi sociali, tra gli stessi uomini.

Si pensi oggi alla litigiosità sociale, politica, economica, religiosa. Come può essere superata se non mettendo ogni uomo dinanzi alla volontà di Dio e al suo giudizio sulle azioni degli uomini? Ma per fare questo bisogna iniziare dalla fede. Bisogna costruire il tessuto della fede in ogni cuore.

È questa l’opera ardua che deve compiere la Chiesa. Questo significa che essa si deve liberare da tutte quelle sovrastrutture e false strutture che la caricano di pesi inutili e che le fanno consumare invano il tempo in cose fatue, mentre in verità altro compito non le è stato dato, se non quello di creare il timore e il tremore nel cuore degli uomini, perché tutti attendano alla propria santificazione.

Con semplicità di spirito: assieme al timore vi è anche la semplicità di spirito. Cosa è la semplicità di spirito? In una parola sola: fare le cose senza chiedersi. Obbedire prontamente, immediatamente, subito. Rispondere con brevità di parole. Ma soprattutto non mettere il pensiero dentro il comando.

Il pensiero serve per fare bene le cose comandate, non per stabilire la bontà o meno del comando.

Questo non spetta a noi. A noi spetta obbedire prontamente – sempre però nel rispetto della legge dell’obbedienza – il resto non ci compete, perché il resto appartiene al padrone e non allo schiavo, del resto è responsabile chi comanda, mai chi obbedisce.

La semplicità di spirito è virtù assai difficile da acquisire. Il motivo è questo: l’uomo è pensiero, intelligenza, razionalità, saggezza, mente, oltre che cuore.

Come si fa a ricevere un comando e non farlo passare attraverso la nostra mente e quindi la nostra razionalità ed intelligenza? Se facciamo questo, alla fine potremmo anche decidere per la non bontà del comando.

Ma la bontà o la non bontà non siamo noi a deciderla. Chi decide è Dio. A noi è chiesto di fare bene l’opera che Dio ci comanda, non di stabilire se l’opera comandata è buona, utile, o altro.

Una volta che sappiamo che l’opera comandata non è in opposizione alla volontà di Dio che conosciamo – è ininfluente la via attraverso noi conosciamo la volontà di Dio – bisogna che vi mettiamo tutta la mente per farla bene, santamente, perfettamente.

La semplicità di spirito dice abolizione della nostra mente nella decisione da prendere; rinnegamento di noi stessi nello stabilire ciò che bisogna realizzare. L’ordine, il comando viene da altri. Questi altri hanno il posto di Dio. Dio ci parla attraverso di loro. Noi ci asteniamo dal commentare, dal giudicare, dal mormorare, da ogni pettegolezzo e ogni altra parola vana.

Non è forse questo che ci vuole dire Gesù quando ci raccomanda di “essere prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”?

Prudenti nella realizzazione, semplici nell’accettazione del comando. Spesso però accade proprio il contrario: si è semplici, senza mettere la nostra mente nella realizzazione, mentre tutta la mente la mettiamo nell’accettazione.

come a Cristo: viene chiesto agli schiavi di non vedere in chi li comanda semplicemente un uomo. Se vogliono obbedire secondo la legge dell’obbedienza cristiana – con timore, con tremore, con semplicità di spirito – non devono vedere un uomo in loro, devono vedere lo stesso Cristo.

Entriamo qui nel mistero profondo dell’uomo. Qual è questo mistero?

L’uomo deve passare dalla terra al cielo. Non è ciò che fa che lo conduce al cielo. È lo spirito che mette in ciò che fa che lo porta al cielo. Che faccia questa o quell’altra cosa non ha nessuna incidenza nella sua vita, nessuna importanza, nessuna superiorità per rapporto ad un’altra cosa.

Ciò che fa la cosa vera, santa, buona, giusta è l’obbedienza che vi si pone in essa. Per obbedire Paolo vuole che si veda in chi comanda Cristo.

Cristo può comandare attraverso chiunque. Tutti possono essere Cristo. Uno riceve il comando, vi presta la sua obbedienza, lo compie con scienza e coscienza, lo fa come davanti al Signore, la via del cielo si apre dinanzi a lui.

È questa la libertà cristiana, che è libertà dalla propria mente, ma anche libertà da ogni opera.

Il cristiano è colui che ascolta, colui che obbedisce, colui che esegue, colui che realizza tutto ciò che gli si chiede. Tutto il resto non entra nemmeno nella sua mente. Per questo egli è libero della stessa libertà di Cristo Gesù, che fece tutto per comando del Padre, per obbedire ad un suo ordine eterno.

[6]e non servendo per essere visti, come per piacere agli uomini, ma come servi di Cristo, compiendo la volontà di Dio di cuore,

Viene qui insegnata la retta intenzione. Cosa è in verità la retta intenzione?

È compiere ogni azione alla presenza di Dio, secondo la sua volontà, per manifestare nel mondo la sua verità, il suo amore, la sua salvezza, aspettando la ricompensa solo da Lui e non dagli uomini. La ricompensa di Dio è benedizione su questa terra e nell’eternità.

Il Signore dell’uomo è sempre Dio. Giudice dell’uomo è solo il Signore. Colui che giudica e che ricompensa sulla terra e nel cielo è il Signore. Se Lui è tutto per noi, nel presente e nel futuro, nel tempo e nell’eternità, è assai evidente che tutto bisogna fare per Lui e non per gli uomini, anche se il comando viene dagli uomini e il servizio viene fatto agli uomini.

La retta intenzione è la ricerca costante di come fare per piacere al Signore, per essere graditi a Lui, per servire Lui secondo la sua volontà, per amare Lui secondo il suo comandamento.

Si agisce con retta intenzione se si fa ogni cosa con gli occhi della fede, se non si vede con gli occhi di carne, ma con gli occhi dello spirito e gli occhi dello spirito devono vedere solo il Signore che ci chiede l’opera e solo a chi l’opera viene fatta che è sempre e solo il Signore.

È retta intenzione fare ogni cosa evitando la vanagloria, il desiderio di essere ammirati, la superbia, la gelosia, la contrapposizione, la mormorazione, il pettegolezzo, ogni altra cosa che può viziare l’opera e renderla non meritevole di gloria eterna dinanzi al Signore.

Nella retta intenzione l’uomo scompare, resta solo il Signore. Non si è servi dell’uomo, mai, nella retta intenzione, si è solo servi di Cristo Gesù e in Lui, con Lui e per Lui si compie ogni cosa, si realizza ogni opera.

Inoltre nella retta intenzione la volontà deve assumere l’opera, farla propria, compierla con gioia, con amore, nella più grande libertà, mettendoci tutto il cuore, la mente, l’intelligenza, la sapienza, pregando perché Dio ci venga in aiuto in modo che alla fine solo la sua gloria si manifesti attraverso quanto noi abbiamo fatto e mai la gloria degli uomini.

La retta intenzione, e solo essa, fa sì che la nostra opera sia santa ed è santa solo quell’opera che è riconducibile alla volontà di Dio e fatta secondo la volontà di Dio.

Si fa la volontà di Dio, secondo la volontà di Dio. La volontà di Dio è il dono della nostra vita all’amore, alla verità, alla giustizia, al servizio di Cristo nei fratelli. Secondo la volontà di Dio è fare ogni cosa per adempiere la legge perenne che regola ogni azione degli uomini e questa legge è il comandamento della carità.

Tutto, l’uomo deve fare per amore. Dall’amore l’opera deve nascere, nell’amore compiersi, per amore terminare. L’uomo non esiste più. Esiste solo come strumento di Dio per amare, perché Dio possa amare attraverso di lui. Questa è l’opera e il servizio che è richiesto al cristiano.






Credente
00sabato 3 novembre 2018 10:45

[7]prestando servizio di buona voglia come al Signore e non come a uomini.


Viene specificato e meglio precisato quanto detto finora.


Il destinatario del nostro servizio deve essere sempre il Signore. Mai deve essere l’uomo.


Se togliamo il Signore e vi mettiamo l’uomo, prima o poi cadremo in tentazione. Ci abbandoneremo alla mormorazione, alla critica, al pettegolezzo.


Faremo del nostro servizio uno strumento per la nostra condanna eterna e non più per la nostra gloria nel cielo.


Questo deve essere detto con chiarezza, ma anche insegnato con fermezza. Bisogna formare evangelicamente i cristiani ad agire, a lavorare, ad operare.


Inoltre perché il servizio sia fatto secondo le regole della volontà di Dio deve essere svolto dal principio alla fine di buona voglia.


Cosa aggiunge la buona voglia alla retta intenzione? Niente. Tutto è nella retta intenzione.


La buona voglia dice una delle modalità che devono sempre accompagnare il servizio del cristiano. La volontà deve assumere il comando ricevuto, farlo proprio, come se nascesse da essa, svolgerlo mettendo in esso tutto l’uomo: cuore, mente, spirito, corpo, anima, sentimenti.


La buona voglia dice gioia, ilarità, semplicità, libertà, discrezione, silenzio, operosità, amore, alto senso del dovere.


La buona voglia dice in una sola parola che il nostro cuore è in quello che facciamo e lo facciamo solo per amore del Signore.


Nella buona voglia scompare la tristezza, l’occhio malvagio, il lamento, il boicottaggio, la superficialità, la fretta e il ritardo, il rinvio, il rimando a tempi migliori, oppure il non fare per niente il lavoro, attribuendo ogni colpa alla dimenticanza o alle difficoltà incontrate. Invece si mette ogni attenzione non solo come se fosse la cosa più cara che ci è stata affidata, ma molto di più. Lo si fa perché lo si considera la cosa più cara al Signore, non a noi.


Ancora una volta ricompare il Signore. L’opera è del Signore. Non spetta a noi giudicare, valutare, decidere. Il comando lo si assume e lo si porta a compimento nel modo unico possibile: mettendo nell’esecuzione dell’opera tutto il cuore, tutta la mente, tutte le forze, tutto noi stessi.


[8]Voi sapete infatti che ciascuno, sia schiavo sia libero, riceverà dal Signore secondo quello che avrà fatto di bene.


Ogni lavoro merita un salario, una ricompensa. Deve ricompensare colui al quale il lavoro è stato fatto.


Se noi lavoriamo per gli uomini, saranno gli uomini a darci la ricompensa. Se invece lavoriamo per il Signore, sarà il Signore a doverci ricompensare. Quella del Signore è una ricompensa eterna.


Quella del Signore è anche la benedizione su questa terra. Benedizione che ci fa bene, che ci libera dal male, che ci protegge, ci assiste, ci conferisce forza, ci dona salute, aiuta il nostro corpo perché non vacilli, la nostra mente perché non si indebolisca, il nostro cuore perché non si smarrisca, la nostra anima perché non si perda dietro il male, la nostra volontà perché non si affievolisca e si lasci trascinare dalla tentazione.


Cosa ricompenserà di noi il Signore? Solo ciò che avremo fatto di bene.


Ma cosa è il bene per il Signore? Bene è solo ciò che è fatto nella sua volontà secondo la sua volontà. Bene è quindi ogni opera realizzata secondo verità e giustizia, ma compiuta secondo la legge della carità e dell’amore.


Oltre la legge della ricompensa che viene enunciata in questo versetto e alla quale ognuno deve prestare la più grande attenzione, merita una speciale considerazione quanto viene affermato sui soggetti che riceveranno la ricompensa.


Il soggetto della ricompensa non è solo lo schiavo, è anche il libero, cioè il padrone, colui che comanda e dona ordini allo schiavo.


Ora se anche il libero, il padrone, è soggetto alla legge della ricompensa, è anche soggetto alla legge che regola l’opera, in questo caso non più l’opera, ma il comando che richiede l’opera.


Come allora deve essere fatto il comando perché possa essere ricompensato da Dio nell’ultimo giorno e benedetto anche su questa terra?


Il comando deve avere come oggetto solo il bene e non il male, deve essere fatto con carità, dolcezza, benevolenza, amore, considerazione delle capacità fisiche e spirituali, deve essere realmente fattibile; infine, deve essere a misura d’uomo, lasciando spazio e tempo perché ogni altra attività umana possa essere vissuta con gioia, nella serenità, nella calma interiore ed esteriore.


Nessun comando è santo se sacrifica la persona al bene di colui che comanda e neanche se in esso si possono trovare indizi di esagerazione. È cattivo quanto attenta alla salute fisica e morale del soggetto che deve portarlo a realizzazione. C’è tutta una giustizia che si deve adempiere nel dare un comando, se si vuole che alla fine il Signore ci ricompensi nel regno dei cieli.


Ogni sfruttamento, ogni vilipendio della persona, ogni esposizione ad un reale pericolo non è comando santo.


Quando si toglie spazio per la vita privata del soggetto, spazio necessario perché l’uomo possa coltivare la sua umanità, che è fatta ad immagine di Dio, di quel Dio che lo ha costituito signore sul creato e sulle cose, neanche questo è un comando santo. Non solo non verrà retribuito in questa vita e nell’altra, quanto è meritevole di giudizio e di infamia eterna.


Ogni comando non è santo quando attraverso di esso non si può vivere il primo e il secondo comandamento della carità: amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze; amerai il prossimo tuo come te stesso.


Quando il prossimo è visto come oggetto e non come soggetto, il comando non è santo, è peccaminoso. Questo comando è meritevole del giudizio di Dio e dinanzi a lui un giorno ci presenteremo per ricevere la sentenza di biasimo che potrebbe anche concludersi con la nostra condanna eterna.


[9]Anche voi, padroni, comportatevi allo stesso modo verso di loro, mettendo da parte le minacce, sapendo che per loro come per voi c'è un solo Signore nel cielo, e che non v'è preferenza di persone presso di lui.


Paolo vuole che ogni rapporto tra gli uomini sia regolato dall’unica legge: quella di Cristo Gesù.


La legge di Cristo vede nell’altro solo una persona da amare, da rispettare, da riverire, da salvare, da aiutare, da sorreggere. Vede una persona al quale la nostra vita gli è dovuta, perché Cristo gliel’ha già data e noi siamo corpo di Cristo.


Le differenze sociali le hanno fatte gli uomini. Presso Dio non ci sono differenze. Presso Dio ci sono solo esseri fatti a sua immagine e somiglianza, che Cristo ha redento, versando per loro il proprio sangue sull’albero della croce.


Perché nel comando bisogna mettere da parte le minacce? Perché le minacce sono una promessa di punizione.


Ma può l’uomo punire un altro uomo? Può l’uomo farsi obbedire dietro la minaccia di una punizione?


Se viene minacciata la punizione significa che c’è qualcosa nel rapporto che non va. C’è una mancanza di amore che bisogna senz’altro ripristinare, rimettere nella relazione sociale.


Chi giudica, chi punisce, chi valuta secondo giustizia le azioni degli uomini, di chi è schiavo e di chi è libero, è sempre il Signore.


L’uomo, anche dinanzi a fatti gravi di disobbedienza, può sollevare l’altro dal servizio, anzi deve sollevarlo, se il servizio non viene svolto secondo la legge della volontà di Dio per adempiere la volontà di Dio. Questo è il suo limite, non può andare oltre, perché l’oltre non gli compete. L’oltre compete a Dio ed è solo Lui che può minacciare e condannare, in questa vita e nell’altra.


Per capire quanto Paolo sta dicendo in questo versetto, sarebbe assai utile per noi tutti salire sull’albero della croce, lasciarci crocifiggere assieme a Cristo e poi con Cristo, sempre sulla croce, affissi ad essa, elevare al Signore quella preghiera accorata che così dice: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”.


La minaccia dell’uomo nei confronti di un altro uomo può essere solo questa. Il resto, tutto il resto appartiene al Signore.


Pur non condannando e non giudicando, pur non minacciando e non sentenziando, colui che ha la responsabilità che tutto venga fatto secondo la volontà di Dio per adempiere la volontà di Dio che è di salvezza eterna per ogni uomo, può e deve risollevare dal servizio coloro che dopo essere stati richiamati secondo la legge evangelica della correzione fraterna, continuano nei loro peccati e turbano con essi il servizio reso a Dio, o meglio il servizio che Dio rende ai suoi figli per condurli tutti nella salvezza.


Il testo di Matteo è chiaro e noi secondo questo testo dobbiamo sempre agire, quando c’è di mezzo il bene della comunità:


Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni.


Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano” (Mt 18, 15-17).


Oltre questa legge, c’è solo arbitrio. L’arbitrio è piena sostituzione alla volontà di Dio. L’arbitrio non è mai servizio all’uomo, né alla carità, né alla fede, né alla speranza.




LA LOTTA SPIRITUALE



[10]Per il resto, attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza.

Come si è potuto constatare, le esigenze della volontà di Dio sono altissime. La legge dell’amore richiede veramente il rinnegamento di noi stessi e della nostra condizione umana.

La legge della fede vuole inoltre che si veda solo il Signore e mai l’uomo. Domanda altresì che nell’amore e nella carità nessun pensiero umano venga ad introdursi.

Come fa un uomo impastato di carne e di ossa, fatto di materia deperibile, messo in un corpo di peccato, con un’anima ferita dalla prima colpa e da tutte le altre colpe personali commesse, elevarsi a tanta purezza di intenzione e di opera? Potrà mai un figlio di Adamo osservare la volontà di Dio secondo le regole che la stessa volontà di Dio detta?

Come per il comando e la sua realizzazione non dobbiamo guardare sulla terra, non dobbiamo vedere dinanzi a noi gli uomini, così nel compimento dell’opera non dobbiamo guardare in noi stessi, nelle nostre difficoltà, nella nostra fragilità, nella nostra caducità, in quell’essere assai frantumato dal peccato, ma dobbiamo alzare gli occhi al cielo, vedere Dio, la sua grazia, la sua forza, la sua onnipotenza, il suo amore, la sua misericordia, la sua benedizione.

Bisogna attingere forza nel Signore e nel vigore della sua potenza: questa è l’esortazione di Paolo.

Paolo sa che tutto è per grazia. Lo abbiamo già considerato esaminando la Lettera ai Galati. Lui si lamentava della sua debolezza e il Signore gli rispose con una frase lapidaria: “Ti basta, o Paolo, la mia grazia”.

A questa risposta di Dio, si aggiunge la considerazione di Paolo: ”Quando sono debole è allora che sono forte, perché la grazia di Dio si manifesta nella debolezza dell’uomo”.

Dio deve essere visto come un pozzo infinito di forza, di vigore, di potenza spirituale.

Nel pozzo materiale si attinge l’acqua; l’acqua si consuma ben presto; la sete è molta; si ritorna ad attingere con una frequenza che è data dalla necessità del corpo dell’uomo.

Dio è l’acqua della nostra anima, la forza del nostro spirito, il vigore della nostra volontà, la potenza dei nostri pensieri, la grandezza dei nostri desideri, la verità delle nostre scelte.

In noi quest’acqua della vita non c’è, non si trova; essa è solo in Dio. Noi consumiamo quest’acqua; essa in noi si esaurisce presto, prestissimo; basta una lotta spirituale perché tutte le energie attinte in Dio si consumino, allo stesso modo che succede con l’acqua quando il corpo viene sottoposto ad uno sforzo continuo.

Cosa fare? Ciò che fanno gli uomini con l’acqua materiale. Si ritorna ad attingere, si ricomincia a bere. Si ristabilisce l’equilibrio nel corpo. Questo è nuovamente pronto per affrontare la fatica del quotidiano.

Noi esauriamo le nostre forze spirituali in ogni combattimento contro il male, nello svolgimento delle opere della carità e della misericordia di Dio, dobbiamo ritornare da Dio, invocarlo con una preghiera accorata perché ci rivesta della sua forza, del suo vigore, ci doni il suo Spirito, mandi nella nostra anima un aumento di carità, perché possiamo continuare a lottare contro il male e costruire attorno a noi il suo regno che è gioia, pace e giustizia nello Spirito Santo.

Se ci si presenta al combattimento spirituale privi della forza di Dio, la sconfitta è certa. L’uomo non ha in sé l’energia per vincere il male, né la forza per edificare attorno a sé la carità di Dio.

Per questo è ben giusto che ci si rechi dinanzi al Signore, ci si metta dinanzi alla sua presenza, si attinga la forza in lui e nel vigore della sua potenza. L’esempio ce lo ha donato Cristo Gesù. Lui stava per recarsi all’appuntamento con il principe di questo mondo, per sconfiggerlo e abbatterlo una volta per tutte, togliendo a lui la forza e il vigore con i quali teneva prigionieri gli uomini.

Andò nell’Orto degli Ulivi, si mise in preghiera. Entrò nell’Orto debole della sua umanità, uscì forte della stessa forza dello Spirito Santo.

Questa verità è chiaramente evidente, basta leggere il testo:

Uscito se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: Pregate, per non entrare in tentazione. Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà.

Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. In preda all'angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra.

Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione.

Mentre egli ancora parlava, ecco una turba di gente; li precedeva colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, e si accostò a Gesù per baciarlo. Gesù gli disse: Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo?.

Allora quelli che eran con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: Signore, dobbiamo colpire con la spada? E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l'orecchio destro. Ma Gesù intervenne dicendo: Lasciate, basta così! E toccandogli l'orecchio, lo guarì.

Poi Gesù disse a coloro che gli eran venuti contro, sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante? Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete steso le mani contro di me; ma questa è la vostra ora, è l'impero delle tenebre” (Lc 22, 39-53)

Chi entra nell’Orto degli Ulivi e chi esce non è lo stesso uomo. Entra da debole, esce da forte. Entra da triste, esce da Signore, da colui che governa ogni cosa.

Gesù è il Signore nella passione. Questa è la forza che egli ha attinto in Dio.

[11]Rivestitevi dell'armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo.

Questo invito è già contenuto nell’Antico Testamento. Paolo lo attualizza e gli dona la struttura che è propria del Nuovo Testamento.

Il libro della Sapienza così dice di Dio:

I giusti al contrario vivono per sempre, la loro ricompensa è presso il Signore e l'Altissimo ha cura di loro. Per questo riceveranno una magnifica corona regale, un bel diadema dalla mano del Signore, perché li proteggerà con la destra, con il braccio farà loro da scudo.

Egli prenderà per armatura il suo zelo e armerà il creato per castigare i nemici; indosserà la giustizia come corazza e si metterà come elmo un giudizio infallibile; prenderà come scudo una santità inespugnabile; affilerà la sua collera inesorabile come spada e il mondo combatterà con lui contro gli insensati.

Scoccheranno gli infallibili dardi dei fulmini, e come da un arco ben teso, dalle nubi, colpiranno il bersaglio; dalla fionda saranno scagliati chicchi di grandine colmi di sdegno. Infurierà contro di loro l'acqua del mare e i fiumi li sommergeranno senza pietà. Si scatenerà contro di loro un vento impetuoso, li disperderà come un uragano. L'iniquità renderà deserta tutta la terra e la malvagità rovescerà i troni dei potenti” (Sap 5, 15-23).

In questi versetti della Sapienza, Dio è il difensore del giusto, colui che protegge coloro che si affidano a Lui. Li protegge come un prode, valoroso soldato. Cosa è cambiato per rapporto al Nuovo Testamento?

Nel Nuovo Testamento non è più Dio che si deve vestire da soldato, ma è il cristiano stesso. Paolo d’altronde vede sempre il cristiano come un buon soldato di Cristo Gesù. Come tale deve combattere la buona battaglia della fede contro nemici invisibili che attentano alla sua vita.

Le insidie vengono dal diavolo. Ma chi è in verità il diavolo? È l’angelo delle tenebre che per invidia tenta l’uomo al male, perché lo vuole dannato come lui.

È lui l’autore della prima tentazione. È lui anche la causa remota della nostra morte, della perdita di tutti i beni eterni con i quali il Signore ci aveva rivestiti, creandoci.

Il libro della Sapienza così dice di lui, a proposito della nostra morte: “Sì, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece a immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono” (Sap 2,23-24).

Paolo, alla luce della conoscenza che è in lui e che viene dallo Spirito Santo, sa perfettamente quali sono le insidie del diavolo e per questo invita i cristiani a rivestirsi della giusta armatura, se si vuole vincere la battaglia contro il principe di questo mondo.

Per il momento è sufficiente sapere queste due verità: che le insidie vengono dal diavolo e che per vincerlo occorre l’armatura di Dio, la stessa armatura che Dio ha indossato per proteggere il giusto secondo la rivelazione veterotestamentaria.

L’armatura di Dio però nel Nuovo Testamento si arricchisce di nuovi elementi. Paolo li indica tutti ed è ben giusto che vengano presentati uno per uno.

[12]La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.

Nel primo versetto ha semplicemente annunziato chi è il vero nemico dell’uomo: il diavolo. Lo stesso Vangelo presenta Cristo Gesù nel deserto tentato dal diavolo con arte sopraffina, con scaltrezza e soprattutto con quella menzogna che sulla sua bocca è un’arma invincibile, perché subdola, capziosa, nascosta, camuffata, fatta quasi sempre passare per Parola del Signore.

La tentazione del diavolo in fondo è una sola, anche se è fatta con diverse modalità. Essa ha lo scopo di sottrarre l’uomo all’obbedienza al suo Signore, perché faccia solo la sua volontà, che naturalmente è in opposizione e in contrasto con il volere di Dio.

Poiché solo nella volontà del Signore è la nostra vita, passando nella volontà del diavolo, l’uomo è nella morte e se persevera in essa fino alla fine, questa morte sarà eterna, per sempre, nell’inferno. È questo che il diavolo vuole in ultima analisi: la dannazione dell’uomo. Il resto, tutto il resto glielo concede.

Al di là delle diverse denominazioni, o specificazioni, cose tutte che riflettono la concezione del tempo su Angeli e diavoli, in questo versetto c’è una verità che bisogna che venga presa seriamente in considerazione.

Il nemico dell’uomo è il diavolo. È lui all’origine di ogni tentazione al male. Che poi si serva degli uomini, ha poca importanza.

Il diavolo è qui definito dominatore di questo mondo di tenebra, spirito del male. È come se il mondo, tutto il mondo fosse in suo possesso.

Gesù lo chiama il principe di questo mondo. Paolo lo dice dominatore di questo mondo di tenebra.

Di questo unico nemico bisogna guardarsi; questo solo temere; contro questo difendersi. Come? Indossando l’armatura di Dio.

[13]Prendete perciò l'armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove.

Bisogna che il cristiano prenda l’armatura di Dio, la indossi, la usi in modo stabile, perenne.

Il cristiano, se vuole vincere il diavolo, mai deve smettere questa armatura divina e celeste.

Se per un solo istante si illude di poterla svestire, è la fine. Subito il diavolo lo vince e lo conduce nella morte.

Molti cristiani si sono persi a causa della loro incoscienza, o presunzione di non essere più tentati.

Avendo svestito l’armatura di Dio, immediatamente sono stati trafitti dagli strali del diavolo, che è sempre in agguato.

Qual è il giorno del malvagio? Ogni giorno può essere del diavolo. Noi non lo sappiamo. Sappiamo però che lui è sempre in agguato e sempre ci può tentare.

Così il giorno del malvagio è il tempo in cui uno rimane su questa terra. Finché c’è respiro nelle narici, c’è anche possibilità di peccare, perché finché c’è respiro siamo tentati.

La prova, o tentazione non è una sola. Sono molte. Tuttavia la misura della tentazione è sempre stabilita da Dio. A tal proposito sia per quanto attiene al giorno del malvagio, sia per il limite posto alla tentazione, la parola di Dio è ben chiara, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento.

Sappiamo che il diavolo chiese a Dio di poter provare la fedeltà di Giobbe. Il Signore acconsentì, però mise un limite. La prima prova era sui figli e sui possedimenti:

Un giorno, i figli di Dio andarono a presentarsi davanti al Signore e anche satana andò in mezzo a loro. Il Signore chiese a satana: Da dove vieni? Satana rispose al Signore: Da un giro sulla terra, che ho percorsa. Il Signore disse a satana: Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio ed è alieno dal male.

Satana rispose al Signore e disse: Forse che Giobbe teme Dio per nulla? Non hai forse messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quanto è suo? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e il suo bestiame abbonda sulla terra. Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha e vedrai come ti benedirà in faccia!

Il Signore disse a satana: Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stender la mano su di lui. Satana si allontanò dal Signore (Gb 1,6-11).

La seconda prova, ha anch’essa un limite. Giobbe può esser provato nel corpo, ma non gli si deve togliere la vita:

Quando un giorno i figli di Dio andarono a presentarsi al Signore, anche satana andò in mezzo a loro a presentarsi al Signore. Il Signore disse a satana: Da dove vieni? Satana rispose al Signore: Da un giro sulla terra che ho percorsa.

Il Signore disse a satana: Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio ed è alieno dal male. Egli è ancor saldo nella sua integrità; tu mi hai spinto contro di lui, senza ragione, per rovinarlo.

Satana rispose al Signore: Pelle per pelle; tutto quanto ha, l'uomo è pronto a darlo per la sua vita. Ma stendi un poco la mano e toccalo nell'osso e nella carne e vedrai come ti benedirà in faccia!

Il Signore disse a satana: Eccolo nelle tue mani! Soltanto risparmia la sua vita”. (Gb 2,1-6).

Di Gesù invece è detto: “Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto dove, per quaranta giorni, fu tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni; ma quando furono terminati ebbe fame.

Allora il diavolo gli disse: Se tu sei Figlio di Dio, dì a questa pietra che diventi pane. Gesù gli rispose: Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo. Il diavolo lo condusse in alto e, mostrandogli in un istante tutti i regni della terra, gli disse: Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio. Se ti prostri dinanzi a me tutto sarà tuo.

Gesù gli rispose: Sta scritto: Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, lui solo adorerai. Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul pinnacolo del tempio e gli disse: Se tu sei Figlio di Dio, buttati giù; sta scritto infatti: Ai suoi Angeli darà ordine per te, perché essi ti custodiscano; e anche: essi ti sosterranno con le mani, perché il tuo piede non inciampi in una pietra. Gesù gli rispose: E` stato detto: Non tenterai il Signore Dio tuo.

Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato” (Lc 4,1-13).

Come si può constatare c’è un tempo e c’è una misura nella tentazione che il diavolo non può violare. Anche lui è sottoposto alla volontà di Dio. È questo il motivo per cui Paolo usa l’espressione: “perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove”. Con Giobbe e con Gesù è avvenuto proprio così.

[14]State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia,

Dopo aver ben individuato l’avversario e precisato quali sono le strategie, i tempi e le modalità della lotta, Paolo passa ora ad indicare le armi che il cristiano deve indossare, se vuole essere vincitore.

Senza queste armi, inutile dirlo, o ripeterlo, si è già sconfitti. Nessuno può resistere al diavolo, se si presenterà svestito nel giorno della lotta e del combattimento.

La prima regola del buon soldato di Cristo è quella di stare ben fermo.

Prima ancora di indossare l’armatura, occorre una particolare virtù: la fermezza, la solidità, la stabilità della mente e del cuore; la sicurezza che diviene anche fierezza, che è disposizione dell’animo prima durante e dopo il combattimento.

Stare ben fermi significa piantarsi, non spostarsi, non indietreggiare, essere ben solido. Il nemico si può vincere. Cristo lo ha vinto. Noi lo vinceremo, lo sconfiggeremo. Lui non potrà avere il sopravvento su di noi.

Questa fermezza a volte manca al cristiano, il quale ancor prima di combattere è già uno sconfitto, perché non crede nella vittoria, non affronta neanche la lotta. Lui si sente un perdente. Manca di fermezza, di sicurezza, di convinzione nella vittoria di Cristo che diviene anche sua.

Cristo è ben fermo dinanzi al combattimento. Così dice agli apostoli nel Cenacolo: “Ecco, verrà l'ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto proprio e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me. Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!”(Gv 16,32-33).

Gesù è il vincitore. Il cristiano in Lui è anche vincitore. Questo il cristiano deve credere con fermezza di cuore. Lo dice l’apostolo Giovanni: “Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede. E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?” (1Gv 5,4-5)

Chi vuole sconfiggere il diavolo deve avere il cuore ben fermo nella certezza che la vittoria è già sua, perché in Cristo lui è più che vincitore. Lo attesta lo stesso Paolo nella Lettera ai Romani: “Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati” (Rm 8,37).

Dopo aver messo nel cuore questa certezza, dopo essersi fatto ben fermo nella mente e nel cuore, il buon soldato di Cristo Gesù inizia la vestizione dell’armatura. Il primo pezzo è la verità, il secondo è la giustizia:

Cinti i fianchi con la verità: il buon soldato di Cristo Gesù deve essere l’uomo della verità. La verità deve cercare, alla verità deve aderire, la verità deve realizzare in ogni sua parte.

La verità per lui sarà solo la volontà di Dio. Egli pertanto ogni giorno dovrà formarsi nella conoscenza della volontà di Dio. Ogni “buco” che avrà nella conoscenza della volontà di Dio, sarà una porta aperta attraverso la quale il diavolo entrerà nel suo cuore e porterà disastri spirituali.




Credente
00sabato 3 novembre 2018 10:47

Gesù nel deserto vinse la tentazione perché era veramente cinto di tutta la verità del Padre suo e con essa, solo con essa respinse la tentazione.


È necessario conoscere tutta la volontà di Dio perché spesso il diavolo si presenta con frasi di Scrittura, che apparentemente sembrano essere volontà di Dio, mentre in realtà non sono la volontà di Dio, perché mancano della globalità della rivelazione.


Il mondo cristiano oggi è già sconfitto nella lotta contro il diavolo, perché non ha i fianchi cinti con la verità. Egli è totalmente esposto ad ogni tentazione.


La verità però non si deve solo conoscere, si deve anche realizzare e tutta la nostra vita deve essere realizzazione della verità. Man mano che una verità viene realizzata, essa irrobustisce la nostra cintura e si diviene sempre più resistenti agli attacchi della tentazione.


Rivestiti con la corazza della giustizia: la corazza preserva il corpo del soldato dagli strali inferti da lontano, ma anche dai colpi taglienti ricevuti da vicino. La corazza rende irraggiungibile il corpo, preservandolo da ferite mortali, o assai dolorose.


Il buon soldato di Cristo Gesù si deve rivestire con la corazza della giustizia. Cosa è la giustizia?


La giustizia, come la verità, è la volontà di Dio manifestata. Ciò che Dio ha detto è, ciò che Dio non ha detto, non è. La vita è in ciò che Dio ha detto; la morte è in ciò che Dio non ha detto.


Perché Eva cadde nel primo peccato, dopo la prima tentazione? Perché non si era rivestita della corazza della giustizia. Non aveva rivestito la sua anima di questa certezza infallibile: la vita è nella volontà che Dio ha manifestato. La tentazione è sempre manifestazione di una volontà contraria a ciò che Dio ha detto.


Perché Gesù ha sconfitto il diavolo nel deserto? Ma cosa gli proponeva il diavolo?


Il diavolo gli proponeva una via di salvezza alternativa a quella che il Padre gli aveva indicato, manifestato e che Lui aveva accolto: “Ecco, io vengo, o Padre, per fare la tua volontà”. Il diavolo gli propone invece un’altra via, un’altra strada, che non passa dalla croce, per compiere la redenzione dell’uomo, per portare sulla terra la salvezza.


In qualche modo questa tentazione la troviamo anche nell’Orto degli Ulivi. Gesù si mette in preghiera, nella preghiera si riveste della corazza della volontà di Dio e il diavolo è già sconfitto.


Il cristiano è chiamato a realizzare ogni parola che è uscita dalla bocca di Dio, ma anche a conoscere tutta intera la volontà di Dio.


È questa la prima regola per riportare la vittoria sul diavolo. Cristo così lo ha vinto. Così lo potranno vincere tutti coloro che vorranno vincerlo.


Se la verità non si dona, se la giustizia non si proclama; se la verità non si comprende, se la giustizia non si invoca quotidianamente da Dio, come Cristo Gesù, nell’Orto degli Ulivi, noi siamo già sconfitti, ancor prima di combattere.


Siamo sconfitti perché siamo nudi dinanzi al diavolo, siamo svestiti.


Oggi il cristiano è nudo dinanzi alla tentazione. Il diavolo lo può prendere da ogni lato. A Cristo lo tentò con ogni genere di tentazione e Cristo rimase sempre vincitore. Per noi non c’è neanche bisogno che venga a tentarci. Siamo perennemente esposti al male, a causa della non conoscenza della verità, a causa del non possesso della giustizia, cioè di ciò che Dio vuole da noi ora e qui, nella circostanza e nella situazione storica nella quale viviamo.


In questo la Chiesa ha una grave responsabilità. Non insegna più ai suoi figli né la giustizia e né la verità. Anzi l’insegnamento che a volte si dona è già parola di tentazione, perché non è Parola di Dio.


Il più grave tradimento per un uomo di Dio, un ministro della Parola, un buon soldato di Cristo, è quello di farsi proprio lui amico e alleato del diavolo per tentare i suoi fratelli e li tenta sempre quando dalla sua bocca non esce la verità e dalla sua vita il compimento della volontà di Dio.


Tutti allora potremmo divenire amici e alleati del diavolo. Che il Signore ci preservi da questo alto tradimento del mandato che ci ha conferito e del ministero che ci ha assegnato, quando ci ha costituiti strumenti o ministri della sua verità e della sua giustizia.


[15]e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il Vangelo della pace.


Un buon soldato ha anche bisogno di una buona calzatura. Deve attraversare terreni aspri, difficili. I suoi piedi sono assai necessari al fine di potersi spostare per andare a stanare il nemico e a sconfiggerlo.


Qual è la calzatura migliore per un buon soldato di Gesù Signore?


La sua calzatura è lo zelo per propagare il Vangelo della pace.


Lo zelo: è un fuoco che arde dentro e che non si consuma, non si spegne, non si indebolisce, non viene mai meno.


Lo zelo è la forza dei discepoli di Gesù, il motore delle loro azioni.


Quando lo zelo arde, brucia, il cristiano non si arrende, non si ferma, non retrocede, non viene mai meno. Se invece lo zelo si affievolisce, perché non alimentato a dovere con una preghiera costante, perseverante, basta la più piccola difficoltà e si abbandona la lotta.


Senza un forte zelo, si è già sconfitti. Un buon soldato di Cristo che non sente l’ardore per la lotta spirituale, è già un perdente.


Conosciamo lo zelo di Paolo: non si ferma dinanzi a niente: né fame, né nudità, né pericoli, né morte, né deboli e né potenti; né il mondo religioso, né quello pagano è riuscito a domarlo. Intrepido, è andato sempre avanti, sfidando ogni giorno la morte e ogni altro pericolo e ogni privazione. Questa è la forza dello zelo.


Per propagare il Vangelo: il discepolo di Gesù deve avere un solo zelo, un solo desiderio, un solo fuoco che lo brucia dentro: diffondere la buona novella, annunziare il Vangelo ad ogni creatura, portare la Parola di Cristo Gesù nei cuori.


L’annunzio del Vangelo deve essere l’unico progetto del cristiano. Tutti gli altri progetti non meritano la sua attenzione.


Lui è un chiamato a cooperare con Cristo Gesù alla salvezza delle anime e questa avviene solo se si annunzia loro il Vangelo.


Non annunziare il Vangelo equivale ad abbandonare a se stesse le anime, lasciandole nell’ignoranza di Cristo Gesù, quindi assai esposte al peccato e al male, con il reale rischio della dannazione eterna.


Il Vangelo si propaga, si annunzia, si ricorda, si predica, si proclama, si insegna, si fa risuonare per il mondo intero.


Propagare ha un significato ben preciso: farlo espandere a macchia d’olio, o se si preferisce: come un fuoco che incendia un intero bosco.


Con il Vangelo bisogna incendiare i cuori, riscaldare le menti, far fondere le anime, bruciare i nostri pensieri.


Con il Vangelo si deve formare ogni coscienza e illuminare ogni spirito, perché ogni cosa che pensa, che vuole, che desidera, la pensi, la voglia, la desideri secondo la volontà di Dio, manifestata a noi in Cristo Gesù.


Con il Vangelo si deve illuminare il mondo intero e per questo bisogna propagarlo, diffonderlo, portarlo di luogo in luogo.


Poiché bisogna camminare per propagare il Vangelo, occorre una buona calzatura e questa calzatura è lo zelo.


Della pace: viene precisato quale Vangelo dobbiamo propagare: il Vangelo della pace.


È il Vangelo che annunzia la misericordia di Dio manifestataci in Cristo Gesù, che ci invita a lasciarci riconciliare con Dio.


Questa è la nostra pace: la riconciliazione con il Signore nel perdono dei peccati, nella remissione della colpa.


Non c’è vero annunzio del Vangelo che non si trasformi in conversione, in pentimento, in accoglienza della misericordia del Padre e quindi nel cambiamento radicale della nostra vita.


La pace è l’amicizia con Dio ritrovata, ma è anche il dimorare in questa amicizia per tutti i nostri giorni.


Oggi c’è un pericolo che minaccia lo stesso cristianesimo. Il pericolo è questo: fare del Vangelo un momento solo conoscitivo, al pari di tutte le altre cose che si conoscono.


Il Vangelo non è per la nostra curiosità, per il nostro studio, per la nostra scienza.


Il Vangelo è per la nostra coscienza, per la nostra conversione, la nostra santificazione, la nostra vita eterna, il nostro incontro con Dio nella sua verità e nella sua grazia.


Il Vangelo è il cambiamento radicale dei nostri pensieri e per la conformazione della nostra vita alla vita di Cristo Gesù.


Questo è il fine del Vangelo e senza conformazione della nostra vita a Cristo non c’è vero dono del Vangelo.


Il Vangelo si dona da conformati a Cristo perché altri si conformino a Lui. È questo lo zelo che dobbiamo avere nel cuore: parlare di Cristo in tutto simili a Lui nella nostra obbedienza al Padre celeste.


[16]Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno;


C’è la verità, c’è la giustizia, c’è lo zelo, c’è il Vangelo da propagare. Il cristiano deve essere uomo pieno di verità, di giustizia, di zelo, deve essere animato dalla volontà di comunicare agli altri la ricchezza che lo anima e lo muove dentro.


Tutto questo però non è sufficiente a proteggerlo quando la battaglia si fa dura, cruenta, infuocata.


Chi conosce gli attacchi del male sa che è assai facile cadere nella tentazione. I dardi infuocati del maligno ci potrebbero colpire in ogni tempo.


Cosa fare perché questo non accada. Il soldato si protegge dai dardi con lo scudo. Con esso si protegge il viso e anche il corpo.


Lo scudo arresta il dardo e lo rende inoffensivo. Così deve avvenire nella lotta spirituale. Al cristiano occorre lo scudo della fede, se vuole che il maligno non lo colpisca con i suoi dardi infuocati e sono infuocati di menzogna, di falsità, di lusinghe e di tante altre promesse fallaci che altro non fanno che recare morte e distruzione a tutti coloro che cadono nella trappola delle sue tentazioni.


Che cos’è la fede? La fede che viene richiesta in questo versetto non è tanto la comprensione della verità, o la conoscenza perfetta di essa, in ogni suo più piccolo dettaglio o particolare.


La fede che Paolo chiede è l’abbandono totale di tutta la nostra vita a Dio. Ci si consegna pienamente, totalmente, perfettamente al Signore. La nostra vita è sua, non più nostra. Se è sua, faccia quello che vuole. Se vuole che noi moriamo, moriamo; se vuole che noi viviamo, viviamo.


Ma viviamo e moriamo per Lui: viviamo e moriamo perché questa è l’unica via per attestare la sua Signoria in mezzo ai nostri fratelli.


Viviamo e moriamo per dire al mondo che Lui è l’unico Signore, l’unico Dio, l’unico Redentore e Salvatore della nostra vita; l’unico al quale noi apparteniamo nel corpo, nello spirito, nell’anima.


La fede che è qui richiesta è il dono di noi stessi a Dio fino alla morte e alla morte di croce.


Quando uno mette nelle mani di Dio la sua vita, allora niente più gli importa di questo mondo, del suo corpo, dei suoi pensieri, della sua volontà. Tutto è di Dio e a Dio è costantemente donato.


Satana non può più fare nulla. I suoi dardi si scontrano con questa fede e vengono fermati all’istante.


Cosa può offrire il maligno al cristiano al quale la vita non appartiene più, che non ha più vita propria da vivere in questo mondo?


Niente. Ecco il motivo per cui è richiesta questa fede. Se invece il cuore si aspetta qualcosa dal mondo, questo qualcosa il maligno glielo offre e se glielo offre, la tentazione ha raggiunto il cuore dell’uomo, oltre che la sua mente.


Cadere in queste circostanze è assai facile, anzi più che facile. Molti cadono nella tentazione perché il maligno offre loro qualcosa che appartiene a questo mondo. Costoro si lasciano abbindolare dalle cose della terra e sono quindi preda della tentazione; se non cadono oggi, cadranno di sicuro domani. Ma di certo cadranno, perché il loro cuore si è lasciato tentare dalle cose del mondo.


Ricordiamoci che la terza tentazione di Cristo Gesù consisteva proprio nell’offerta del mondo intero da parte del diavolo.


Cristo Gesù fu vincitore per la sua fede. La sua vita era del Padre. Non apparteneva al mondo, né alle sue cose. Se del Padre, è il Padre che sa quali cose sono utili per la nostra vita. Il Padre è l’unico che può decidere e decide secondo la sua eterna sapienza e il suo intelletto divino, infallibile.


[17]prendete anche l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio.


Tutto del corpo deve essere protetto, niente deve rimanere scoperto, altrimenti un solo punto debole, indebolisce tutto il corpo.


Cosa significa prendere anche l’elmo della salvezza? Significa rivestirsi della salvezza.


La salvezza è dimorare perennemente nella grazia di Dio, crescere in essa. Di Gesù è detto che cresceva in età, sapienza e grazia.


Il buon soldato di Cristo Gesù indossa l’elmo della giustizia se si veste della grazia di Gesù Signore e in essa dimora per tutti i giorni della sua vita.


La grazia si indossa attraverso la riconciliazione con Dio che avviene attraverso il sacramento del battesimo e della riconciliazione.


In essa si abbonda, se quotidianamente la si riceve nel sacramento dell’Eucaristia e la si alimenta attimo per attimo attraverso la preghiera.


Sappiamo che particolare significato riveste la preghiera del Santo Rosario innalzata alla Vergine Maria, Madre della Redenzione.


La grazia santificante si coltiva attraverso l’esercizio delle sante virtù. Per ogni atto virtuoso noi cresciamo in grazia, il nostro elmo di salvezza si fa più robusto, più consistente, difficilmente penetrabile da qualsiasi arma di offesa.


Quando un cristiano vive perennemente in stato di peccato mortale, lui è già vittima del maligno, preda di ogni tentazione. Per lui la lotta è finita. La sua testa è stata ferita a morte.


Da qui tutta una pastorale, interamente ancora da impostare, che guidi i discepoli di Gesù a vivere sempre in grazia di Dio, con l’elmo della salvezza sempre indossato.


Inutile ogni attività pastorale che si svolge, se non ha come suo unico intento, sua sola finalità quella di far sì che tutti i cristiani vivano in grazia di Dio e in essa crescano alla stessa maniera di Cristo Gesù.


È la grazia la forza irresistibile contro il male. È la grazia la nostra forza. È la grazia il nostro antidoto contro i morsi della tentazione.


Perciò l’esigenza pastorale di educare a vivere in grazia e crescere in essa.


Il bon soldato di Cristo Gesù deve anche prendere la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio.


Il cristiano è un costruttore del regno di Dio, ma costruisce il regno di Dio distruggendo il regno del principe di questo mondo.


Come si distrugge il regno del principe di questo mondo? Distruggendo la sua menzogna, la sua falsità, il suo errore, ogni ambiguità della sua parola.


Con che cosa? Con la potenza della parola di Dio, detta qui da Paolo: la spada dello Spirito.


La parola di Dio è la spada dello Spirito perché essa annienta e distrugge l’altra spada, quella del diavolo, cioè la parola di menzogna, di falsità, di errore.


Il cristiano deve essere sempre a perfetta conoscenza della Parola di Dio, se vuole distruggere in sé e attorno a sé il regno della falsità e della menzogna del principe di questo mondo.


La Parola di Dio è luce, verità, conoscenza, sapienza. Essa svela noi a noi stessi e Dio a noi.


Con essa noi dobbiamo illuminare il mondo intero della conoscenza di Dio e dell’uomo.


Non è verità ciò che l’uomo dice di se stesso. È verità ciò che la Parola di Dio dice di noi. Così anche: non è verità ciò che noi diciamo di Dio; è verità ciò che Dio dice a noi di se stesso.


Senza questa verità, è facile cadere nell’inganno del maligno e di conseguenza nella morte.


Occorre allora che il cristiano faccia una scelta ben precisa: o la parola di Dio, la spada dello Spirito, o la parola e il pensiero degli uomini.


Oggi c’è come una specie di schizofrenia religiosa: da una parte abbracciamo la parola di Dio, ma dall’altra agiamo solo con la parola degli uomini.


La parola di Dio tocca solo un piccolo aspetto della nostra vita: quando entriamo in Chiesa e finché restiamo in essa. Quando usciamo fuori, allora c’è la parola degli uomini che ci condiziona.


Siamo, sì, religiosi, ma pensiamo ed agiamo come il mondo, ragioniamo come il mondo, risolviamo i nostri problemi mondanamente.


Questo significa semplicemente non aver preso la spada dello Spirito in mano. Siamo cristiani, ma adoperiamo l’altra spada, quella del maligno, perché ci serviamo dei suoi pensieri per ogni nostra occupazione del quotidiano.


Questa è la scissione che si è venuta a creare nel cuore cristiano. Contro questa scissione c’è solo una metodologia appropriata: quella di presentarci ad ogni uomo con una sola parola: quella di Dio, sempre, in ogni circostanza, in ogni evento della vita.


Come il buon soldato, se vuole salva la sua vita, non solo si deve difendere, ma anche attaccare, combattere, se vuole abbattere i suoi nemici, così deve dirsi del buon soldato di Cristo Gesù.


Se lui non diffonde attorno a sé la Parola di Dio, se non risolve il problema della sua vita sempre con la Parola di Dio, egli abiterà sempre in un mondo di menzogna e primo o poi la non verità penetrerà anche nel suo cuore e lo distruggerà.


[18]Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti i santi,


Paolo sa che tutto è grazia di Dio. Sa anche che Dio non interviene nella vita dell’uomo, operativamente, se non viene invocato.


Ogni uomo è libero, perché dotato di volontà propria. Dio non può prendersi la volontà dell’uomo, a meno che l’uomo non gliela offra.


L’offerta della volontà non può essere fatta una volta per tutte. È fatta una volta per tutte nelle scelte irreversibili della vita.


Ma anche in queste scelte, se atto per atto, non si dona la volontà al disegno di Dio, al suo mistero di salvezza, ci si riprende operativamente, ciò che è stato dato intenzionalmente.


Operativamente è come se la volontà non sia stata data a Dio, perché l’atto non viene compiuto secondo la volontà di Dio, bensì secondo la volontà dell’uomo.


Bisogna dare la volontà a Dio non solo intenzionalmente, una volta per sempre, ma operativamente, azione per azione, decisione per decisione, atto per atto, pensiero per pensiero e sentimento per sentimento. Tutti i secondi, i minuti, le ore, i giorni, le settimane, i mesi, gli anni, l’intera vita in ogni sua parte deve essere offerta a Dio attraverso il dono della volontà, la quale deve decidersi di operare sempre secondo la volontà di Dio e non più secondo se stessa.


Come fare perché questo avvenga? L’indicazione di Paolo è perfetta, chiara, precisa, soprattutto vera della stessa verità di Dio.


Poiché dobbiamo consegnare a Dio ogni attimo della nostra vita, in ogni attimo bisogna elevare la nostra mente in Dio. Chiedere il suo aiuto, il suo sostegno, la sua grazia, la sua forza, la sua verità, il suo amore.


Solo se Dio con tutta la ricchezza celeste discende in noi sotto forma di grazia, noi possiamo santificare la nostra vita. Un attimo non consegnato a Dio attraverso la preghiera, non santificato, perché eravamo carenti della sua verità e della sua grazia, è un momento della nostra vita sottratto alla sua Signoria. È un atto che Dio non può fare suo, perché non è stato fatto nella sua grazia e nella sua verità.


Non solo bisogna pregare con ogni sorta di preghiere e di suppliche, bisogna altresì che ogni nostra preghiera venga fatta nello Spirito.


Cosa significa pregare nello Spirito Santo? Significa pregare nella sua santità, nella sua verità, nella sua grazia, in quella comunione di amore, di luce, di speranza che ci unisce a Dio.


Prega nello Spirito chi è in grazia di Dio, ma anche chi prega secondo la volontà di Dio, chi si mette a sua disposizione per manifestare nel mondo la sua gloria.


Pregare nello Spirito Santo vuol dire pregare per cercare la volontà di Dio, per sapere qual è il suo disegno d’amore su di noi perché lo attuiamo in ogni sua parte, sempre, in ogni suo particolare, per tutti i giorni della nostra vita.


Nella preghiera bisogna essere vigilanti. Non solo, nella vigilanza bisogna mettere ogni perseveranza.


Si vigila e si persevera, si persevera e si vigila. Si sta attenti a che nessun momento sia sottratto a Dio e questo non solo per un giorno, o per un mese, ma per un anno e tutti gli anni.


Su questo molte volte siamo scoperti. Deponiamo l’attenzione. Ci lasciamo trascinare dalle cose, dagli eventi, dalla stessa storia, dagli uomini.


Vigiliamo un giorno e poi non vigiliamo più. Perseveriamo nella preghiera una settimana e poi ci dimentichiamo che tutto discende da Dio.


Iniziamo e poi non continuiamo, o se continuiamo, lo facciamo malamente, saltuariamente, un giorno sì e mille no.


La regola di Paolo è perfetta: chi vuole vincere la battaglia contro lo spirito del male, deve pregare nello Spirito, ma vigilando nella preghiera con ogni perseveranza.


Se una di queste condizioni viene meno, ci accorgiamo che immediatamente siamo dei perdenti. Basta un niente, un incontro, una parola, un atteggiamento, il più leggero alito di vento è sufficiente perché noi cadiamo nel peccato. Ogni peccato che si commette, anche veniale, è una sconfitta per noi, anche se leggera, ma è una sconfitta.


Siamo però tutti corpo del Signore. Bisogna pregare per se stessi, ma anche per tutto il corpo.


Anche questa è legge della preghiera. Anche questa intenzione bisogna che venga manifestata al Signore.


È vero che tutte le preghiere della Chiesa sono al plurale, compresi il “Padre nostro” e l’”Ave Maria”. Ma questo non dispensa il cristiano dal metterci l’intenzione per gli altri.


Non deve esserci preghiera cristiana che non sia fatta anche esplicitamente per gli altri. È la più grande opera di carità che possiamo fare per i nostri fratelli: pregare incessantemente per loro; vigilare con perseveranza nella preghiera per loro. Questo è lo stile di vita dei cristiani: legati vitalmente gli uni agli altri, nella preghiera questo legame si rafforza e diviene indistruttibile. Per questo legame ogni tentazione sarà vinta e il principe di questo mondo sarà sconfitto.


Non è sufficiente pregare per se stessi per essere nella verità. Occorre pregare anche per gli altri e pregare allo stesso modo e con la stessa intensità con i quali preghiamo per noi.


Se non preghiamo per gli altri, significa che neanche per noi preghiamo secondo la volontà di Dio; significa che preghiamo semplicemente male e chi prega male non prega nello Spirito Santo.


[19]e anche per me, perché quando apro la bocca mi sia data una parola franca, per far conoscere il mistero del Vangelo,


Paolo ora chiede agli Efesini che preghino anche per lui. Chiede che non dimentichino lui. È facile dimenticarsi di una persona, specie quando questa persona per un motivo qualsiasi non vive più accanto a noi.


A stento ci ricordiamo delle persone vicine, di quelle a noi più care, figuriamoci se ci ricordiamo delle persone assenti, lontane, fuori dai nostri occhi.


Paolo non vuole che gli Efesini lo dimentichino nelle loro preghiere. Prima di tutto bisogna dire che pregare per gli altri è l’unica forma vera di ricordarli, di non dimenticarli.


In secondo luogo, pregare per gli altri, significa metterci in comunione con gli altri e chiedere al Signore che l’altro sia semplicemente ciò che Dio vuole che egli sia.


Chi è Paolo? Un operaio del Vangelo, un annunciatore della buona novella, un proclamatore del mistero di Cristo Gesù.


Cosa chiede agli Efesini per lui. Non solo la preghiera, ma che mettano la sua intenzione nella preghiera.


Questo è molto importante da un punto di vista ascetico. Si prega per l’altro perché faccia sempre la volontà di Dio.


Noi non sappiamo qual è la volontà di Dio su di una persona. Però la persona sa quel è la volontà di Dio su di lui. Paolo sa cosa il Signore vuole da lui, lo sa, lo manifesta agli Efesini, chiede loro di pregare secondo questa finalità.


Lui deve predicare il Vangelo. Il Vangelo va predicato con una parola franca, chiara, comprensibile, facilmente assimilabile dalla cultura e soprattutto dai cuori.


La sua parola deve essere precisa, deve tagliare netto, non deve essere fraintesa, alterata; non può essere ambigua, ma precisa, puntuale, tagliente, penetrante nel cuore e nello spirito di un uomo.


La sua parola è portatrice di un mistero. Il mistero contenuto nella parola deve essere fatto conoscere al mondo intero.


Se Paolo non dona la parola giusta, vera, franca, tagliente e penetrante, il mistero contenuto nella parola rimane sconosciuto e un mistero sconosciuto e un mistero non accolto, non vissuto e quindi è un mistero che non dona salvezza a causa dell’uomo che lo porta e che lo annunzia.


La forza del cristiano è questa: far entrare un cuore nel mistero di Cristo. Questa è anche la sua verità, la sua sapienza, la sua scienza, la sua perizia. Se Cristo non entra in un cuore, perché rimane sconosciuto al cuore, il missionario del Vangelo ha impiegato malamente il suo tempo.


Questo è l’errore di molti che parlano di Cristo. Dicono, ma non introducono nel mistero. La loro parola a volte è assai profana, mondana; è una parola del mondo per le cose del mondo; ma non è una parola del cielo per i misteri del cielo. Il cristiano parla come il mondo, pensa come il mondo, agisce come il mondo, usa le parole del mondo.


Manca di quella franchezza che è distinzione dal mondo. “Voi siete nel mondo, non siete del mondo”. Questo non essere del mondo deve apparire anche nel modo in cui si parla, si predica, si evangelizza, si dialoga, si sta in compagnia con gli altri. Tutto della vita del cristiano: pensieri, parole, opere, devono attestare che noi non siamo del mondo, ma siamo semplicemente nel mondo.


Perché ci sia in noi una perenne distinzione dal mondo occorre quella preghiera costante elevata incessantemente a Dio in una vigilanza senza tregua, che ci ottenga da Lui tanta di quella franchezza per testimoniare Lui, la sua Parola, la sua Verità, il suo Vangelo in ogni circostanza.


Paolo sa che le sole sue forze non sono sufficienti, non bastano, dinanzi alla straordinaria grandezza della grazia che gli è necessaria e per questo si affida ad ogni comunità; ad ognuna chiede preghiere.


Più è elevata la missione e più forza divina occorre, più preghiere sono necessarie. O le facciamo noi, o le chiediamo agli altri. Noi non possiamo farle, urge chiederle agli altri.


Elemosinare – in senso buono – una preghiera incessante da una comunità o da un singolo individuo è la cosa più santa che possa esistere, è la via sicura perché la grazia discenda su di noi e ci irradi con la sua luce, la sua forza, la sua santità, la sua franchezza, cioè quella libertà che ci fa parlare dinanzi ad ogni uomo, senza timore, senza arrossire, senza vergognarci di affermare la nostra identità cristiana, di essere cioè discepoli di Gesù che intendono espandere il suo regno in mezzo agli uomini.


[20]del quale sono ambasciatore in catene, e io possa annunziarlo con franchezza come è mio dovere.


Paolo dona qui una notizia autobiografica di grande importanza. Egli è in catene. È prigioniero.


Dagli Atti degli Apostoli sappiamo che la sua prigionia fu assai lunga. La giustizia non sempre è giusta e non sempre fa le cose secondo giustizia.


Quando il peccato si intromette nella giustizia, anche la giustizia diventa ingiusta e questo è un vero male per gli uomini.


Paolo però è in catene per Cristo Gesù. Di Cristo egli è ambasciatore. È un controsenso essere ambasciatore del Re del cielo e della terra ed essere imprigionato proprio a causa dell’ambasciata che porta, poiché in nome di Dio invita tutti i cuori a lasciarsi riconciliare con Lui, convertendosi da questa generazione perversa e credendo al Vangelo, aderendo alla comunità dei discepoli del Signore Gesù.


L’ambasciatore è colui che porta un messaggio da parte di colui che lo ha inviato, che lo ha costituito suo tramite per manifestare la sua volontà.


L’ambasciatore non può prendere decisioni autonome. L’ambasciatore dipende in tutto da colui che lo ha inviato.


Paolo ha una missione da svolgere. Non può venir meno, né nella missione in sé, né nelle modalità attraverso le quali la missione viene svolta.


La missione deve essere svolta sempre, in obbedienza alla volontà di Dio. Paolo deve consacrarsi alla missione, deve consegnare tutto il suo tempo ad essa. Di questo tempo non può togliere neanche un minuto. Non gli appartiene. Se tutto della vita è stato consegnato a Dio, anche un singolo minuto è del Signore, il quale può disporre secondo la sua volontà.


Questo precisato, ci resta da chiarire l’altro aspetto della missione non meno pericoloso e pernicioso del primo.


A volte capita che la missione non si svolga. Questo è un vero peccato di omissione di cui bisogna un giorno rendere conto a Dio.


A volte però si vive un’intera vita nel compimento della missione – si pensi al sacerdozio cattolico, o anche al matrimonio cristiano, per indicare i due sacramenti che immettono un uomo anche visibilmente in una missione da portare a compimento – e poi cosa succede?


In questa missione non si funge da ambasciatori, ma da autonomi, da re e signori, poiché tutto si decide autonomamente e tutto si svolge come se Dio non avesse mai parlato e mai fosse venuto a visitarci dal cielo.


Si vive la missione, ma senza essere ambasciatori; si vive ma senza la Parola di Gesù, che viene taciuta, alterata, contraffatta, camuffata, sostituita con quella più piacevole degli uomini. Si vive, ma non si dona la parola vera, in tutta franchezza, secondo il ministero di ciascuno.


Paolo non vuole che questo succeda nella sua vita e per questo chiede preghiere. Domandare che altri preghino per noi non deve mai significare una dispensa da parte nostra dalla preghiera. Anzi, quando si chiede preghiere agli altri, bisogna che noi intensifichiamo la nostra e ci poniamo con più frequenza e più costanza dinanzi al Signore, per impetrare da Lui che possiamo svolgere con santità il ministero che Lui ci ha affidato.


Paolo altro non chiede che di poter svolgere il suo lavoro, la sua ministerialità di essere ambasciatore di Cristo senza temere gli uomini, ma annunziando il Vangelo secondo tutta la potenza della sua verità e del suo amore.


Come si può constatare questa è una preghiera mossa in lui dallo Spirito Santo. È questo il desiderio di Cristo e di Dio e lo Spirito lo pone nei cuori, perché sia trasformato in una preghiera di impetrazione, affinché il Signore conceda la parola giusta, la sola capace di smuovere un cuore e di donargli certezze, sicurezze, speranza, verità.





Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 08:26.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com