COMMENTO ALLA TERZA LETTERA DI S.GIOVANNI

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Credente
00lunedì 9 gennaio 2012 11:48

PRESENTAZIONE

Nella comunità di Cristo Gesù, nella Sua Chiesa, sia universale che particolare, l’Apostolo, il Presbitero, l’Anziano è la coscienza critica, di discernimento, di separazione del bene dal male, della falsità dalla verità, della santità dal peccato di ogni discepolo del Signore.

Nella Comunità di Cristo Gesù, il Presbitero è rivestito di un ministero altissimo. Per lui la verità rimane nella Comunità, ma anche per lui può scomparire, eclissarsi, dileguarsi.

Per lui la comunità può crescere di verità in verità, camminando verso la verità tutta intera, cui conduce lo Spirito del Signore, ma anche si può procedere di falsità in falsità, fino alla falsità totale, che si fa peccato contro lo Spirito Santo.

Il Presbitero ha un duplice ministero: di approvare e di disapprovare, di lodare e di biasimare, di promuovere e di riprovare.

Egli deve approvare, lodare, promuovere chi cammina nella verità perché cammini più speditamente, più completamente, coinvolgendo tutto se stesso, fino alla suprema testimonianza del martirio, se questo è richiesto dalle vicende storiche.

Egli deve invece disapprovare, biasimare, riprovare quanti camminano nell’errore, nella falsità, nella menzogna, perché abbandonino la via del peccato e della morte, della caligine e delle tenebre, si convertano e credano con fede forte, convinta alla Parola, al Vangelo, l’unica fonte della salvezza, perché la sola fonte della pienezza della verità, di cui egli è il custode, l’interprete, il saggio dispensatore.

Può svolgere il suo ministero con approvazione e lode eterna da parte di Cristo Gesù e di Dio, se lui stesso, il Presbitero, come Cristo Gesù cresce ogni giorno in sapienza e grazia.

Chi è preposto all’approvazione della verità e al biasimo dell’errore, deve essere un conoscitore fine, perfetto, minuzioso, capillare di tutta la dottrina di Cristo Gesù.

Il suo è vero obbligo, vera responsabilità. Per lui il mondo passa nella luce, ma anche per lui il mondo resta nelle tenebre e quanti sono nella luce potrebbero ritornare nelle tenebre di un tempo.

Questa responsabilità obbliga il Presbitero a non allontanarsi mai dalla più pura, più santa, più perfetta, più completa verità.

Questa responsabilità la potrà vivere solo se è ripieno della fortezza dello Spirito Santo.

Il mondo e le sue trappole di falsità sono ingannevoli. Se il Presbitero non è forte, anzi fortissimo in Cristo, gli sarà sempre difficile resistere alle seduzioni del male e nei fatti potrebbe cadere nel rinnegamento della verità, per il semplice fatto che non l’ha difesa con quella fermezza di Spirito Santo, sempre necessaria al suo ministero e al suo ufficio sacro.

Il Presbitero deve essere anche il testimone della santità di Cristo Gesù.

È testimone della santità di Cristo Gesù in un solo modo: rendendosi partecipe della santità di Cristo, conformandosi a Lui nell’obbedienza perfetta al Padre.

Solo se il Presbitero è santo sarà in grado di scovare il peccato che si annida nel cuore dei discepoli di Cristo Gesù.

Se lui non è santo, neanche la comunità potrà egli guidare verso una più grande santità. Nessuno può dare ciò che non ha, ciò che lui stesso non è, non è ancora divenuto, non diviene, non vuole divenire.

La santità del Presbitero è prima di ogni cosa umiltà, grandissima umiltà. L’umiltà è pienezza di vita nella volontà del Padre, sempre, in tutto, in ogni luogo.

Se nell’umiltà c’è in lui perfetta imitazione di Cristo, il mite e l’umile di cuore, egli potrà vedere la superbia che si annida nel cuore dei figli della Chiesa e prendere quelle opportune misure perché questo non avvenga.

Quando in un cuore si fa regnare l’ambizione, la superbia, l’orgoglio, è difficile edificare la comunità. La superbia disgrega. L’umiltà unisce.

Questa Terza Lettera ci rivela un Presbitero attento, solerte, vigile, saggio, circospetto, capace di ogni sano discernimento, dispensatore di consigli sapienti, forte nel prendere le giuste decisioni.

Sotto la sua intelligente cura, di sicuro la comunità potrà sempre camminare nella verità, nella santità e in esse crescere ed abbondare in ogni buon frutto di salvezza, di conversione, di santificazione.

La Vergine Maria, Madre della Redenzione, ottenga dal Cielo per la Chiesa di Suo Figlio Gesù, pastori secondo il cuore di Dio.



Credente
00lunedì 9 gennaio 2012 12:18

INTRODUZIONE



In apparenza questa Terza Lettera di San Giovanni Apostolo potrebbe sembrare un biglietto di chiarificazione, utile a richiamare l’attenzione su qualcosa che non va in seno alla comunità cristiana.

Se invece lo si legge con occhio attento, con la saggezza che è dono dello Spirito Santo, con la sapienza che viene da Dio – e per questo bisogna chiederla con preghiera accorata – emerge una verità così alta, sublime, eccellente, che si rivela come la verità sulla quale dovrà sempre reggersi e fondarsi la Chiesa del Signore Gesù.

Questa verità è il legame inscindibile che deve sempre unire la comunità di Cristo a Cristo Gesù. Questo legame è dato dal Presbitero, o Apostolo del Signore.

Questa verità, a fondamento di ogni altra verità, può essere così annunziata:

Il presbitero è una cosa sola con la verità. Verità di Cristo Gesù e Presbitero sono una cosa sola: né la verità di Cristo può esistere senza il presbitero, né il presbitero deve esistere senza la verità di Cristo Gesù.

Sono la vita l’uno dell’altra. Vivono l’uno per l’altra. La verità fa il presbitero, il presbitero fa la verità.

Questa unità deve conservarsi fino alla consumazione dei secoli. La comunità cristiana vive di questa unità, vive da questa unità.

Se la verità viene separata dal presbitero essa non è più verità di Cristo. Se il presbitero si separa dalla verità, lui non è più presbitero di Cristo Gesù.

In questa unità insieme vivono, insieme muoiono. In questa unità sono la verità l’uno dell’altra. Il presbitero è la verità della verità di Cristo. La verità di Cristo è la verità del presbitero.

Il presbitero è la verità di Dio in seno alla comunità. È il presbitero la verità di Dio in seno alla comunità. È Lui a motivo del suo legame con la verità di Cristo Gesù.

Se Lui è la verità di Cristo, è anche Lui che deve dare la verità di Cristo. Ma è anche Lui che deve discernere ciò che è verità di Cristo da quanto invece non è verità di Cristo in seno alla comunità.

Il presbitero dona la verità di Cristo alla comunità di Cristo, ma anche vigila nella comunità di Cristo affinché nessun elemento di falsità, nessun errore, ambiguità, menzogna, venga ad inquinare la purezza della verità del Signore Gesù.

Il presbitero potrà esercitare questo altissimo ministero ad una sola condizione che diventi ogni giorno santità della santità di Cristo Gesù.

Se Lui si discosta dalla santità di Cristo, si discosterà anche dalla verità. Questa non brillerà più dalla sua vita e la comunità sarà divorata dall’errore, dall’eresia, dalla menzogna su Cristo e sulla sua verità.

Per il presbitero la luce di Cristo si diffonde nella comunità, ma anche per lui le tenebre la soffocano e la conducono nell’idolatria.

Il presbitero ama chi è nella verità. Nell’alto suo ministero di vigilanza, il presbitero deve amare coloro che camminano nella verità.

Tutti costoro devono essere da lui incoraggiati, spronati, invogliati, esortati, sostenuti perché la verità diventi sempre più forte in loro.

Solo così la luce che promana da essi potrà illuminare tutta la terra. Quando un solo discepolo di Gesù è nella pienezza della verità, tutto il mondo gode della sua luce e se vuole può divenire luce in Cristo Gesù.

Questo ministero di amore deve essere esercitato con ogni bontà, mansuetudine, misericordia, carità, sollecitudine, zelo.

Da questo ministero di amore chi è nella verità attinge sicurezza, forza, costanza, perseveranza. Sa di non essere solo. Sa che il presbitero è con Lui e quindi anche Cristo è con Lui.

Molti hanno abbandonato la via della verità perché si sono sentiti lasciati in balia di se stessi, nella loro solitudine.

Molti si sono smarriti, perché il presbitero ha avuto paura di affermare la verità della loro parola, delle loro azioni, della loro missione.

Il presbitero che ama Cristo, deve amare tutti coloro che sono nella verità. Anzi deve essere lui il loro sostegno, la loro forza, il loro coraggio, il loro incitamento.

Lui deve riprendere tutti coloro che non sono nella verità. Come il presbitero ha l’obbligo ministeriale di incoraggiare, di amare, di sostenere coloro che sono nella verità, così ha anche l’obbligo ministeriale di riprendere, correggere, riportare sulla via del Vangelo, coloro che non camminano più nella verità.

A volte sarebbe sufficiente operare questo discernimento, con parole assai semplici, con una dichiarazione elementare, perché tutta la comunità fosse nuovamente illuminata dalla luce della verità di Cristo Gesù.

Invece sovente questo non avviene e la comunità soffre. Soffre per mancato discernimento, per non presa posizione dinanzi alla falsità, per non richiamo pubblico di fronte ad una falsità che condiziona la vita di un’intera comunità.

Per il presbitero la comunità cammina nella luce, per il presbitero la comunità barcolla nelle tenebre. Per il presbitero si cammina verso la luce eterna, per lui si avanza verso le tenebre eterne. Il discernimento, l’approvazione della verità, la riprovazione della falsità, è suo obbligo ministeriale ben preciso. Se lo assolve, è di Cristo Gesù. Se non lo assolve, non è di Cristo Gesù.

Altro ministero del presbitero è il ricordo dello sviluppo, o dei frutti che la verità comporta in sé, o produce. È obbligo ministeriale del presbitero ricordare che:

La verità è carità. La verità è come un albero. Essa deve produrre un frutto di carità, amore, benevolenza, misericordia, pietà, compassione, sostegno, aiuto, ogni bene.

Se la verità non diviene frutto di carità, essa è una verità sterile, inutile. È una verità solamente ideale.

La nostra verità, la verità cristiana è realtà, ed ogni realtà è visibile. Essa è visibile se produce un frutto di amore a favore di ogni uomo.

Essa è realtà se ognuno che la possiede si trasforma in carità, in amore per tutti gli uomini.

Il presbitero ha l’obbligo ministeriale non solo di ricordare questa verità, ma anche di vigilare a che sempre produca dei buoni frutti.

Il presbitero deve essere simile ad un solerte agricoltore il quale non solo semina il buon grano nel suo campo (realtà), vigila, presta attenzione a che ogni albero produca al massimo delle sue potenzialità.

Mai il solerte contadino abbandona il suo campo. Mai il solerte presbitero abbandona la Chiesa di Dio a se stessa.

La verità è missione. Cristo ha consegnato la sua verità al presbitero perché il presbitero la consegni ad ogni uomo. Questa consegna della verità ad ogni uomo si chiama missione.

Non solo Lui deve consegnare la verità ad ogni uomo. Ogni uomo che ha ricevuto la verità ha l’obbligo ministeriale di consegnare la verità al mondo intero.

Il presbitero non solo deve essere lui un buon missionario nel campo di Dio, deve vigilare affinché ogni altro discepolo di Gesù lo divenga.

La missione è la vita della Chiesa. La Chiesa ha l’obbligo di crescere in ogni manifestazione della sua vita. L’obbligo della crescita non è di questo, o di quell’altro membro, è di ogni membro, di ogni figlio. L’obbligo è di tutto il corpo.

Il Presbitero che ha il ministero di guidare la Chiesa verso la verità tutta intera, deve anche su questo versante far sì che sempre la Chiesa si mantenga missionaria, viva cioè in perfetta armonia con la propria natura.

La verità è sostegno della missione con i propri beni. La missione ha un costo non solo spirituale, ma anche materiale, in sostanza, in aiuto a quanti vivono la missione, perché si rechino di luogo in luogo per portare il Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo.

Chi deve aiutare i missionari del Vangelo, chi li deve sostenere?

La verità che il presbitero deve insegnare alla sua Chiesa è questa: la Chiesa deve sostenere se stessa, la Chiesa deve alimentare la sua stessa vita.

Ogni membro della Chiesa ha l’obbligo di partecipare alla vita della Chiesa secondo la misura dei suoi beni. Se ha molto è giusto che dia molto, se ha poco non deve esitare a dare secondo il poco che possiede.

Quest’obbligo è grave. Cristo Gesù per la sua Chiesa ha dato se stesso. Per la Chiesa si è lasciato crocifiggere.

Ogni membro deve alla Chiesa la sua stessa vita. Se le deve la vita, le deve anche ogni altra cosa. Anche questa è verità che il presbitero deve annunziare alla Chiesa, ad ogni suo membro in particolare, esortandolo con ogni dottrina a partecipare all’opera missionaria della Chiesa secondo le sue possibilità.

La verità è fuga da ogni interesse personale. Cristo Gesù non cercò mai il suo interesse personale. Lui non visse per sé, visse per noi, per la nostra redenzione eterna.

La verità di Cristo obbliga ogni membro della Chiesa a non vivere per se stesso, a liberarsi da ogni interesse personale.

Non siamo nella Chiesa per noi stessi, siamo per il Signore e per i fratelli, siamo per donare la nostra vita a Dio perché ne faccia un sacrificio a beneficio del mondo intero.

Chiunque nella Chiesa cerca il suo particolare interesse, costui nega nei fatti la verità che professa su Cristo e sulla Chiesa.

Il presbitero deve vigilare affinché mai un solo interesse personale muova l’agire di un figlio della Chiesa. Egli deve ammonire i figli della Chiesa che gli interessi personali distruggono l’essenza stessa della Chiesa.

La carità unisce. La Chiesa è una nella sua più pura e più santa essenza. Questa unità deve essere il pensiero, il desiderio, la passione, lo zelo, la carità, l’amore di ogni figlio della Chiesa.

Solo chi ama alla maniera di Cristo Gesù, solo chi muore per la Chiesa, la preserva e la custodisce nella sua unità.

Solo chi vive di immensa, grande carità conserva intatto il corpo di Cristo Gesù.

Il presbitero ha l’obbligo ministeriale di educare alla carità, di ammaestrare in questa virtù ogni discepolo del Signore.

Lo richiede l’essenza stessa della Chiesa. Se lui omette di insegnare la verità della Chiesa e come la si conserva nella sua essenza, lui pecca di omissione contro Dio e contro la Chiesa.

Perché di omissione? Perché è venuto meno ad un obbligo che grava sulle sue spalle.

L’interesse personale divide. Come il presbitero edifica la Chiesa insegnando qual è la forza della carità, così deve avvisare ogni discepolo di Gesù sulle conseguenze disastrose, di rovina, che provocano gli interessi personali all’interno della comunità cristiana.

Ogni interesse personale lacera il corpo di Cristo, divide la comunità, poiché separa i membri gli uni dagli altri.

L’interesse personale fa delle isole a se stanti, spesso l’una contro le altre e viceversa.

Nella comunità nessuno deve venire per interesse personale, neanche per una qualche considerazione, o per ricevere una lode.

Nella comunità non si viene per ricevere niente dalla comunità in relazione alla propria persona e ai propri interessi.

Nella comunità si viene per consegnare la nostra vita a Dio affinché Lui ne faccia un dono di amore per la salvezza dei fratelli.

Se il presbitero avrà la forza nello Spirito Santo di insegnare tutte queste verità alla Chiesa, senza lasciarsi intimidire da nessuno, per la sua opera la Chiesa crescerà, diverrà bella, mostrerà al mondo la potenza della sua carità, della sua verità.

Per la sua opera di insegnamento la Chiesa non solo crescerà all’interno di sé in verità e in carità, quanto anche allargherà i confini del regno di Dio con una missione che raggiungerà ogni uomo.

La Chiesa salva e rovina se stessa. La Chiesa salva e rovina il mondo.

La santità della Chiesa salva la Chiesa e il mondo. Il peccato della Chiesa rovina la Chiesa e il mondo.

Il presbitero deve vigilare affinché la Chiesa sia adorna di ogni verità, di ogni carità, di ogni giustizia.

Il presbitero deve vigilare affinché nella Chiesa regni solo e sempre la volontà di Dio.

La Vergine Maria, Madre della Redenzione, Madre della Chiesa e del Discepolo che Gesù amava, ottenga ad ogni “presbitero” di essere nella Chiesa maestro di verità, di carità, di perfetta conoscenza della volontà di Cristo e di Dio.

 

Credente
00lunedì 9 gennaio 2012 12:20
CAPITOLO PRIMO


[1]Io, il presbitero, al carissimo Gaio, che amo nella verità.

Di Gaio in tutto il Nuovo testamento si parla per ben 5 volte. Non esiste però alcun elemento che ci consente di poter affermare che si tratta della medesima persona.
“Tutta la città fu in subbuglio e tutti si precipitarono in massa nel teatro, trascinando con sé Gaio e Aristarco macèdoni, compagni di viaggio di Paolo” (At 19,29).
“Lo accompagnarono Sòpatro di Berèa, figlio di Pirro, Aristarco e Secondo di Tessalonica, Gaio di Derbe e Timòteo, e gli asiatici Tìchico e Tròfimo” (At 20,4).
“Vi saluta Gaio, che ospita me e tutta la comunità. Vi salutano Erasto, tesoriere della città, e il fratello Quarto” (Rm 16,23).
“Ringrazio Dio di non aver battezzato nessuno di voi, se non Crispo e Gaio” (1Cor 1,14).
“Io, il presbitero, al carissimo Gaio, che amo nella verità” (3Gv 1,1).
Sul “presbitero” unitamente agli “anziani” il Nuovo testamento ci offre le seguenti notizie:
“Non trascurare il dono spirituale che è in te e che ti è stato conferito, per indicazioni di profeti, con l'imposizione delle mani da parte del collegio dei presbiteri” (1Tm 4,14).
“I presbiteri che esercitano bene la presidenza siano trattati con doppio onore, soprattutto quelli che si affaticano nella predicazione e nell'insegnamento” (1Tm 5,17).
“Non accettare accuse contro un presbitero senza la deposizione di due o tre testimoni. (1Tm 5,19).
“Per questo ti ho lasciato a Creta perché regolassi ciò che rimane da fare e perché stabilissi presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato” (Tt 1,5).
“Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore” (Gc 5,14).
“Io, il presbitero, alla Signora eletta e ai suoi figli che amo nella verità, e non io soltanto, ma tutti quelli che hanno conosciuto la verità” (2Gv 1,1).
“Io, il presbitero, al carissimo Gaio, che amo nella verità. (3Gv 1,1).
“Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno” (Mt 16,21).
“Entrato nel tempio, mentre insegnava gli si avvicinarono i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo e gli dissero: Con quale autorità fai questo? Chi ti ha dato questa autorità?” (Mt 21,23).
“Allora i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa” (Mt 26,3).
“Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo” (Mt 26,47).
“Or quelli che avevano arrestato Gesù, lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale già si erano riuniti gli scribi e gli anziani” (Mt 26,57).
“Venuto il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù, per farlo morire” (Mt 27,1).
“Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani” (Mt 27,3).
“E mentre lo accusavano i sommi sacerdoti e gli anziani, non rispondeva nulla” (Mt 27,12).
“Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù” (Mt 27, 20).
“Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano” (Mt 27,41).
“Questi si riunirono allora con gli anziani e deliberarono di dare una buona somma di denaro ai soldati” (Mt 28,12).
“E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare” (Mc 8,31).
“Andarono di nuovo a Gerusalemme. E mentre egli si aggirava per il tempio, gli si avvicinarono i sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani” (Mc 11,27).
“E subito, mentre ancora parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni mandata dai sommi sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani” (Mc 14,43).
“Allora condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi” (Mc 14, 53).
“Al mattino i sommi sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo condussero e lo consegnarono a Pilato” (Mc 15,1).
“Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo” (Lc 7,3).
“Il Figlio dell'uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno” (Lc 9,22).
“Un giorno, mentre istruiva il popolo nel tempio e annunziava la parola di Dio, si avvicinarono i sommi sacerdoti e gli scribi con gli anziani e si rivolsero a lui” (Lc “20,1).
“Poi Gesù disse a coloro che gli eran venuti contro, sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante?” (Lc 22,52).
“Appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i sommi sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al sinedrio” (Lc 22,66).
“Il giorno dopo si radunarono in Gerusalemme i capi, gli anziani e gli scribi” (At 4,5).
“Allora Pietro, pieno di Spirito Santo, disse loro: Capi del popolo e anziani” (At 4,8).
“Appena rimessi in libertà, andarono dai loro fratelli e riferirono quanto avevano detto i sommi sacerdoti e gli anziani” (At 4,23).
“Udito questo, entrarono nel tempio sul far del giorno e si misero a insegnare. Quando arrivò il sommo sacerdote con quelli della sua parte, convocarono il sinedrio e tutti gli anziani dei figli d'Israele; mandarono quindi a prelevare gli apostoli nella prigione” (At 5,21).
“E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo trascinarono davanti al sinedrio” (At 6,12).
“Questo fecero, indirizzandolo agli anziani, per mezzo di Barnaba e Saulo” (At 11,30).
“Costituirono quindi per loro in ogni comunità alcuni anziani e dopo avere pregato e digiunato li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto” (At 14,23).
“Poiché Paolo e Barnaba si opponevano risolutamente e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Barnaba e alcuni altri di loro andassero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione” (At 15,2).
“Giunti poi a Gerusalemme, furono ricevuti dalla Chiesa, dagli apostoli e dagli anziani e riferirono tutto ciò che Dio aveva compiuto per mezzo loro” (At 15,4).
“Allora si riunirono gli apostoli e gli anziani per esaminare questo problema” (At 15,6).
“Allora gli apostoli, gli anziani e tutta la Chiesa decisero di eleggere alcuni di loro e di inviarli ad Antiochia insieme a Paolo e Barnaba: Giuda chiamato Barsabba e Sila, uomini tenuti in grande considerazione tra i fratelli” (At 15,22).
“E consegnarono loro la seguente lettera: Gli apostoli e gli anziani ai fratelli di Antiochia, di Siria e di Cilicia che provengono dai pagani, salute!” (At 15,23).
“Percorrendo le città, trasmettevano loro le decisioni prese dagli apostoli e dagli anziani di Gerusalemme, perché le osservassero” (At 16,4).
“Da Milèto mandò a chiamare subito ad Efeso gli anziani della Chiesa” (At 20,17).
“L'indomani Paolo fece visita a Giacomo insieme con noi: c'erano anche tutti gli anziani” (At 21,18).
“Come può darmi testimonianza il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani. Da loro ricevetti lettere per i nostri fratelli di Damasco e partii per condurre anche quelli di là come prigionieri a Gerusalemme, per essere puniti” (At 22,5).
“Si presentarono ai sommi sacerdoti e agli anziani e dissero: Ci siamo obbligati con giuramento esecratorio di non assaggiare nulla sino a che non avremo ucciso Paolo” (At 23,14).
“Cinque giorni dopo arrivò il sommo sacerdote Anania insieme con alcuni anziani e a un avvocato di nome Tertullo e si presentarono al governatore per accusare Paolo” (At 24,1).
“Durante la mia visita a Gerusalemme, si presentarono con accuse i sommi sacerdoti e gli anziani dei Giudei per reclamarne la condanna” (At 25,15).
“Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi” (1Pt 5,1) In greco è così espresso: “Presbutšrouj oân ™n Øm‹n parakalî Ð sumpresbÚteroj kaˆ m£rtuj tîn toà Cristoà paqhm£twn, Ð kaˆ tÁj melloÚshj ¢pokalÚptesqai dÒxhj koinwnÒs: poim£nate tÕ ™n Øm‹n po…mnion toà qeoà, (™piskopoàntes) m¾ ¢nagkastîj ¢ll¦ ˜kous…wj kat¦ qeÒn, mhd a„scrokerdîj ¢ll¦ proqÚmwj, mhd' æj katakurieÚontej tîn kl»rwn ¢ll¦ tÚpoi ginÒmenoi toà poimn…ou: kaˆ fanerwqšntoj toà ¢rcipo…menoj komie‹sqe tÕn ¢mar£ntinon tÁj dÒxhj stšfanon” (1Pt 5,1-4).
Il “presbitero”, o “anziano” è colui che deve conservare la comunità nella verità e nella grazia di Cristo Gesù, facendola crescere in santità.
Ma anche è colui che aiuta la Comunità a che essa diventi Madre di una moltitudine di altri figli.
San Pietro nel passo citato ci riferisce quali sono i suoi compiti: “Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce” (1Pt 5,1-5).
Altra notizia la troviamo negli Atti degli Apostoli (20,17-35):
“Da Milèto mandò a chiamare subito ad Efeso gli anziani della Chiesa. Quando essi giunsero disse loro: Voi sapete come mi sono comportato con voi fin dal primo giorno in cui arrivai in Asia e per tutto questo tempo: ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e tra le prove che mi hanno procurato le insidie dei Giudei. Sapete come non mi sono mai sottratto a ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi in pubblico e nelle vostre case, scongiurando Giudei e Greci di convertirsi a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù.
Ed ecco ora, avvinto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme senza sapere ciò che là mi accadrà. So soltanto che lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni. Non ritengo tuttavia la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio.
Ecco, ora so che non vedrete più il mio volto, voi tutti tra i quali sono passato annunziando il regno di Dio. Per questo dichiaro solennemente oggi davanti a voi che io sono senza colpa riguardo a coloro che si perdessero, perché non mi sono sottratto al compito di annunziarvi tutta la volontà di Dio.
Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue. Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge; perfino di mezzo a voi sorgeranno alcuni a insegnare dottrine perverse per attirare discepoli dietro di sé. Per questo vigilate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, io non ho cessato di esortare fra le lacrime ciascuno di voi. Ed ora vi affido al Signore e alla parola della sua grazia che ha il potere di edificare e di concedere l'eredità con tutti i santificati. Non ho desiderato né argento, né oro, né la veste di nessuno. Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani. In tutte le maniere vi ho dimostrato che lavorando così si devono soccorrere i deboli, ricordandoci delle parole del Signore Gesù, che disse: Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!”.
La Chiesa di Dio si pasce con la grazia e la verità del Signore Gesù. Verità e grazia devono essere una cosa sola. Chi separa la grazia dalla verità non pasce la Chiesa di Dio. Così anche chi sceglie la verità a discapito della grazia, o la grazia a discapito della verità.
Verità e grazia devono essere date in unità inscindibile, inseparabile per tutto il tempo della storia, fino alla consumazione dei secoli.
La volontà di Dio è la verità rivelata. Da non confondere con la volontà attuale che Dio ha su una persona particolare.
Questa volontà attuale è rivelata dallo Spirito Santo all’anima credente. Il presbitero deve solo discernere che non vi sia alcuna contraddizione con la verità rivelata.
Il presbitero deve custodire il gregge nella verità rivelata di Dio che è la sua volontà eterna di salvezza e di redenzione.
La sostituzione della verità di Dio con il pensiero dell’uomo è così facile che nessuno può dirsi immune dal cadere in questo pericolo.
La forza della Chiesa è la sua verità integra, pura, santa. Verità che viene fatta fruttificare dalla grazia che Cristo Gesù ha conquistato per noi sull’albero della croce. La debolezza della Chiesa, la sua nullità nella storia, è costituita dall’abbandono della verità. Quando si esce dalla verità, anche la grazia diviene inefficace. Essa non produce nel mondo alcun frutto di vita eterna, perché manca l’albero della verità sul quale nascono e maturano i frutti di Dio.
Sull’appellativo di “caro”, “carissimo”, dato a persone e anche a “cose”, ecco quanto ci riferisce il Nuovo testamento:
“Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l'aveva molto caro” (Lc 7,2).
“Guai a voi, farisei, che avete cari i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze” (Lc 11,43).
“Salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa. Salutate il mio caro Epèneto, primizia dell'Asia per Cristo” (Rm 16,5).
“Salutate Urbano, nostro collaboratore in Cristo, e il mio caro Stachi” (Rm 16,9).
“Salutate Trifèna e Trifòsa che hanno lavorato per il Signore. Salutate la carissima Pèrside che ha lavorato per il Signore” (Rm 16,12).
“Non per farvi vergognare vi scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi” (1Cor 4,14).
“Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!” (1Cor 6,20).
“Siete stati comprati a caro prezzo: non fatevi schiavi degli uomini!” (1Cor 7,23).
“Perciò, o miei cari, fuggite l'idolatria” (1Cor 10,14).
“Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, prodigandovi sempre nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (1Cor 15,58).
“In possesso dunque di queste promesse, carissimi, purifichiamoci da ogni macchia della carne e dello spirito, portando a compimento la nostra santificazione, nel timore di Dio” (2Cor 7,1).
“Certo, da tempo vi immaginate che stiamo facendo la nostra difesa davanti a voi. Ma noi parliamo davanti a Dio, in Cristo, e tutto, carissimi, è per la vostra edificazione” (2Cor 12,19).
“Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi” (Ef 5,1).
“Desidero che anche voi sappiate come sto e ciò che faccio; di tutto vi informerà Tìchico, fratello carissimo e fedele ministro nel Signore. (Ef 6,21).
“Quindi, miei cari, obbedendo come sempre, non solo come quando ero presente, ma molto più ora che sono lontano, attendete alla vostra salvezza con timore e tremore” (Fil 2,12).
“Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete saldi nel Signore così come avete imparato, carissimi!” (Fil 4,1).
“[….] Epafra, nostro caro compagno nel ministero; egli ci supplisce come un fedele ministro di Cristo” (Col 1,7).
“Tutto quanto mi riguarda ve lo riferirà Tìchico, il caro fratello e ministro fedele, mio compagno nel servizio del Signore” (Col 4,7).
“Con lui verrà anche Onèsimo, il fedele e caro fratello, che è dei vostri. Essi vi informeranno su tutte le cose di qui” (Col 4,9).
“Vi salutano Luca, il caro medico, e Dema” (Col 4,14).
“Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari”(1Ts 2,8).
“Se poi qualcuno non si prende cura dei suoi cari, soprattutto di quelli della sua famiglia, costui ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele” (1Tm 5,8).
“Paolo, prigioniero di Cristo Gesù, e il fratello Timòteo al nostro caro collaboratore Filèmone” (Fil 1,1).
“Non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come un fratello carissimo in primo luogo a me, ma quanto più a te, sia come uomo, sia come fratello nel Signore” (Fil 1,16).
“Quanto a voi però, carissimi, anche se parliamo così, siamo certi che sono in voi cose migliori e che portano alla salvezza” (Eb 6,9).
“Non andate fuori strada, fratelli miei carissimi” (Gc 1,16).
“Lo sapete, fratelli miei carissimi: sia ognuno pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all'ira” (Gc 1,19).
“Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano?” (Gc 2,5).
“Carissimi, io vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai desideri della carne che fanno guerra all'anima” (1Pt 2,11).
“Carissimi, non siate sorpresi per l'incendio di persecuzione che si è acceso in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano” (1Pt 4,12).
“Questa, o carissimi, è già la seconda lettera che vi scrivo, e in tutte e due cerco di ridestare con ammonimenti la vostra sana intelligenza” (2Pt 3,1).
“Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo” (2Pt 3,8).
“Perciò, carissimi, nell'attesa di questi eventi, cercate d'essere senza macchia e irreprensibili davanti a Dio, in pace” (2Pt 3,14).
“La magnanimità del Signore nostro giudicatela come salvezza, come anche il nostro carissimo fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data” (2Pt 3,15),
“Voi dunque, carissimi, essendo stati preavvisati, state in guardia per non venir meno nella vostra fermezza, travolti anche voi dall'errore degli empi” (2Pt 3,17).
“Carissimi, non vi scrivo un nuovo comandamento, ma un comandamento antico, che avete ricevuto fin da principio. Il comandamento antico è la parola che avete udito” (1Gv 2,7).
“Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (Gv 3,2).
“Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio; (1Gv 3,21).
“Carissimi, non prestate fede a ogni ispirazione, ma mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono comparsi nel mondo” (1Gv 4,1).
“Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. (1Gv 4,7).
“Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri” (1Gv 4,11).
“Io, il presbitero, al carissimo Gaio, che amo nella verità” (3Gv 1,1).
“Carissimo, faccio voti che tutto vada bene e che tu sia in buona salute, come va bene per la tua anima” (3Gv 1,2).
“Carissimo, tu ti comporti fedelmente in tutto ciò che fai in favore dei fratelli, benché forestieri. (3Gv 1,5).
“Carissimo, non imitare il male, ma il bene. Chi fa il bene è da Dio; chi fa il male non ha veduto Dio” (3Gv 1,11).
“Carissimi, avevo un gran desiderio di scrivervi riguardo alla nostra salvezza, ma sono stato costretto a farlo per esortarvi a combattere per la fede, che fu trasmessa ai credenti una volta per tutte” (Gd 1,3).
“Ma voi, o carissimi, ricordatevi delle cose che furono predette dagli apostoli del Signore nostro Gesù Cristo” (Gd 1,17).
“Ma voi, carissimi, costruite il vostro edificio spirituale sopra la vostra santissima fede, pregate mediante lo Spirito Santo” (Gd 1,20).
L’aggettivo “caro”, al superlativo “carissimo”, indica un rapporto di preziosità. L’altro è cosa preziosa per noi, molto preziosa.
L’altro è prezioso per noi quanto è stato prezioso per Cristo Gesù.
Quanto è stato prezioso l’uomo per Cristo Gesù? Quanto la sua stessa vita.
La vita di Cristo non è vita solo di un uomo. È vita di un uomo che allo stesso tempo è Dio. È Dio fin dall’eternità per l’eternità, da sempre e per sempre.
La vita dell’altro, o meglio l’altro è prezioso per noi quanto è prezioso Dio in se stesso, nella sua divinità e nella sua umanità.
Dio è senza prezzo. Il prezzo di Dio è Dio stesso. Il prezzo dell’uomo è Dio stesso. Se il prezzo dell’uomo è Dio stesso, la nostra vita da sola non è sufficiente, non basta per riscattare qualcuno. La nostra vita è vita umana. A meno che non la facciamo divenire vita divina, conformandola in tutto alla vita di Cristo Gesù, divenendo con Lui una sola vita.
Come Dio è divenuto con noi una sola vita ed ha offerto la sua vita umana e divina per la nostra salvezza, tanto era la nostra preziosità ai suoi occhi, così anche noi divenendo una sola vita in Lui, per mezzo della nostra santificazione, possiamo offrire la vita sua che è nostra per la redenzione del mondo.
Sulla preziosità di Cristo e dell’uomo, o sul valore di un uomo e i beni eterni, ecco quanto insegna il Nuovo Testamento:
“Ora, quanto è più prezioso un uomo di una pecora! Perciò è permesso fare del bene anche di sabato” (Mt 12,12).
“Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose” (Mt 13,45).
“Gli si avvicinò una donna con un vaso di alabastro di olio profumato molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre stava a mensa” (Mt 26,7).
“Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell'unguento” (Gv 12,3).
“Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!” (1Cor 6,20).
“Siete stati comprati a caro prezzo: non fatevi schiavi degli uomini!” (1Cor 7,23).
“Siate dunque pazienti, fratelli, fino alla venuta del Signore. Guardate l'agricoltore: egli aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le piogge d'autunno e le piogge di primavera” (Gc 5,7).
“Perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell'oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo” (1Pt 1,7).
“Voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili, come l'argento e l'oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia” (1Pt 1,18-19).
“Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio” (1Pt 2,4).
“Si legge infatti nella Scrittura: Ecco io pongo in Sion una pietra angolare, scelta, preziosa e chi crede in essa non resterà confuso” (1Pt 2,6).
“Cercate piuttosto di adornare l'interno del vostro cuore con un'anima incorruttibile piena di mitezza e di pace: ecco ciò che è prezioso davanti a Dio” (1Pt 3,4).
“Simon Pietro, servo e apostolo di Gesù Cristo, a coloro che hanno ricevuto in sorte con noi la stessa preziosa fede per la giustizia del nostro Dio e salvatore Gesù Cristo” (2Pt 1,1).
“Con queste ci ha donato i beni grandissimi e preziosi che erano stati promessi, perché diventaste per loro mezzo partecipi della natura divina, essendo sfuggiti alla corruzione che è nel mondo a causa della concupiscenza” (2Pt 1,4).
“Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino” (Ap 21,11).
“Le fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedònio, il quarto di smeraldo” (Ap 21,19).
“Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito?” (Mt 6,25).
“Non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri!” (Mt 10,3).
“Trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra” (Mt 13,46).
“Amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici” (Mc 12,33).
“Gesù si trovava a Betània nella casa di Simone il lebbroso. Mentre stava a mensa, giunse una donna con un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo genuino di gran valore; ruppe il vasetto di alabastro e versò l'unguento sul suo capo” (Mc 14,3).
“Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete, voi valete più di molti passeri” (Lc 12,7).
“La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito” (Lc 12,23).
“Guardate i corvi: non seminano e non mietono, non hanno ripostiglio né granaio, e Dio li nutre. Quanto più degli uccelli voi valete!” (Lc 12,24).
“perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell'oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo” (1Pt 1,7).
All’uomo di oggi manca proprio questo discernimento: la capacità di riconoscere ciò che vale da ciò che non vale.
Non era questo forse il grande insegnamento che Dio fece giungere al profeta Geremia?
Geremia - cap. 15,1-21: “Il Signore mi disse: Anche se Mosè e Samuele si presentassero davanti a me, io non mi piegherei verso questo popolo. Allontanali da me, se ne vadano!
Se ti domanderanno: Dove andremo?, dirai loro: Così dice il Signore: Chi è destinato alla peste, alla peste, Chi alla spada, alla spada, chi alla fame, alla fame, chi alla schiavitù, alla schiavitù. Io manderò contro di loro quattro specie di mali parola del Signore : la spada per ucciderli, i cani per sbranarli, gli uccelli dell'aria e le bestie selvatiche per divorarli e distruggerli. Li renderò oggetto di spavento per tutti i regni della terra a causa di Manàsse figlio di Ezechia, re di Giuda, per ciò che egli ha fatto in Gerusalemme.
Chi avrà pietà di te, Gerusalemme, chi ti compiangerà? Chi si volterà per domandarti come stai? Tu mi hai respinto, dice il Signore, mi hai voltato le spalle e io ho steso la mano su di te per annientarti; sono stanco di avere pietà. Io li ho dispersi al vento con la pala nelle città della contrada. Ho reso senza figli e ho fatto perire il mio popolo, perché non abbandonarono le loro abitudini.
Le loro vedove sono diventate più numerose della sabbia del mare. Ho mandato sulle madri e sui giovani un devastatore in pieno giorno; d'un tratto ho fatto piombare su di loro turbamento e spavento. E` abbattuta la madre di sette figli, esala il suo respiro; il suo sole tramonta quando è ancor giorno, è coperta di vergogna e confusa. Io consegnerò i loro superstiti alla spada, in preda ai loro nemici. Oracolo del Signore.
Me infelice, madre mia, che mi hai partorito oggetto di litigio e di contrasto per tutto il paese! Non ho preso prestiti, non ho prestato a nessuno, eppure tutti mi maledicono. Forse, Signore, non ti ho servito del mio meglio, non mi sono rivolto a te con preghiere per il mio nemico, nel tempo della sventura e nel tempo dell'angoscia? Potrà forse il ferro spezzare il ferro del settentrione e il bronzo? I tuoi averi e i tuoi tesori li abbandonerò al saccheggio, non come pagamento, per tutti i peccati che hai commessi in tutti i tuoi territori. Ti renderò schiavo dei tuoi nemici in una terra che non conosci, perché si è acceso il fuoco della mia ira, che arderà contro di voi.
Tu lo sai, Signore, ricordati di me e aiutami, vendicati per me dei miei persecutori. Nella tua clemenza non lasciarmi perire, sappi che io sopporto insulti per te. Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore, perché io portavo il tuo nome, Signore, Dio degli eserciti. Non mi sono seduto per divertirmi nelle brigate di buontemponi, ma spinto dalla tua mano sedevo solitario, poiché mi avevi riempito di sdegno. Perché il mio dolore è senza fine e la mia piaga incurabile non vuol guarire? Tu sei diventato per me un torrente infido, dalle acque incostanti.
Ha risposto allora il Signore: Se tu ritornerai a me, io ti riprenderò e starai alla mia presenza; se saprai distinguere ciò che è prezioso da ciò che è vile, sarai come la mia bocca. Essi torneranno a te, mentre tu non dovrai tornare a loro, ed io, per questo popolo, ti renderò come un muro durissimo di bronzo; combatteranno contro di te ma non potranno prevalere, perché io sarò con te per salvarti e per liberarti. Oracolo del Signore. Ti libererò dalle mani dei malvagi e ti riscatterò dalle mani dei violenti”.
Prezioso è solo il Signore. Prezioso è l’uomo da salvare. Prezioso è ogni discepolo del Signore. Prezioso è ogni dono che discende dal Cielo. Prezioso è ogni dono di Dio.
Prezioso per noi deve essere chi ama il Signore e fa la sua volontà. Preziosa è la persona che ci dona la verità di Dio, la sua Parola, il suo Vangelo.
Se noi riusciremo sempre a distinguere ciò che è prezioso da ciò che non vale, che è vile, insignificante, anzi peccato, noi possiamo dare alla nostra vita una direzione di Cielo, di Paradiso, di Verità, di Salvezza eterna. Questo discernimento è l’anima stessa del nostro essere cristiano.
Oggi purtroppo il cristiano vive senza discernimento. Non sa il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, cioè che è santo e ciò che è peccato, ciò che è vero e ciò che è falso.
Il cristiano vive nella grande confusione dell’idolatria ed è questo il più grande suo peccato.
Lui che è chiamato a mostrare al mondo intero la preziosità del Suo Signore e dell’uomo fatto a sua immagine e somiglianza, vive nella grande ignoranza e confusione di non saper distinguere il valore di un’anima da quello di un cane o di un gatto.
Per l’uomo contemporaneo un gatto vale più di un uomo e un cane più di un’anima da salvare.
Per il presbitero invece ogni discepolo del Signore è carissimo. Se è carissimo, al lui deve la sua vita per la salvezza, per la redenzione, per la santificazione.
L’altro, ogni altro, deve essere per noi tanto prezioso quanto è prezioso il Sangue che Cristo Gesù ha versato per lui.
Poiché per noi il Sangue di Cristo non è prezioso, neanche l’altro è prezioso.
L’altro spesso, anzi quasi sempre, è colui che non vale. L’altro non ha alcun prezzo per noi. L’altro è cosa vile.
Il presbitero ama il carissimo Gaio nella verità. Lo ama nella verità di Cristo. La verità di Cristo è la preziosità del suo Sangue sparso per la salvezza dell’anima di Gaio e di ogni altro uomo.
La verità di Cristo è la sua Incarnazione, Passione, Morte, Risurrezione, Ascensione gloriosa al Cielo.
La verità di Cristo è la Sua Parola, l’unica e sola Parola di vita eterna per noi.
La verità di Cristo è anche la vocazione e la missione del presbitero, che in tutto deve imitare il Buon Pastore, che dona la vita per le pecore che il Signore gli ha affidato.
La verità di Cristo, che è a principio, corona, fine di ogni parola, pensiero, opera del presbitero, è il dono della sua vita per la vita e la salvezza del mondo.
La verità di Cristo è lo stesso amore di Cristo Gesù che si fece obbediente al Padre fino alla morte e alla morte di croce.
La verità di Cristo è l’ascolto perenne dello Spirito Santo da parte del presbitero nella guida del gregge di Dio.
La verità di Cristo è quella perenne distinzione che lui dovrà sempre fare tra il servo e il signore. Lui è servo del gregge. Il gregge è il signore della sua vita. Poiché servo, Lui deve essere a servizio del gregge, non il gregge a suo servizio.
Credente
00lunedì 9 gennaio 2012 12:22
La verità di Cristo è la scelta da parte del presbitero di conformare tutta la sua vita a Cristo Gesù, per renderlo presente, operante in mezzo al suo gregge con quella infinita carità che gli fece prendere su di Sé tutti i peccati del mondo.
La verità di Cristo è la sua consegua quotidiana alla morte per la salvezza di ogni uomo.
La verità di Cristo è la scelta del presbitero di versare il suo sangue per nutrire il gregge di Dio.
La verità di Cristo è quella di lasciarsi anche lui spezzare, come buon pane, perché nulla mai manchi al gregge del Signore in buon nutrimento spirituale, santo, di parola e di grazia, di verità e di fede, di dottrina e di insegnamento.
Amare l’altro nella verità – e la verità è solo quella di Cristo Gesù – è pagare con la propria vita la salvezza di un’anima.
Il presbitero ama così, perché Cristo Gesù ha amato così. Lui, il presbitero non potrà conoscere nessun’altra forma di amore, se non quella vissuta dal suo Maestro e Signore.
O si ama nella verità di Cristo Gesù, o non si ama affatto, per niente. L’amore vero, puro, santo, divino, eterno è solo quello che si dona nella verità.
Il presbitero ama nella verità quando metterà in pratica ogni Parola che Cristo Gesù gli ha lasciato in eredità, quando lo ha costituito in Lui, con Lui, per Lui, pastore del suo gregge, guida delle sue pecore.
La verità di Cristo è l’acquisizione di tutta la santità di Cristo, perché solo nella santità è possibile amare secondo verità, perché solo nella santità vi è assenza di peccato, di vizio, di imperfezione.
Chi vive nel peccato, anche veniale, non può amare nella verità di Cristo, perché la verità di Cristo è una sola: totale, piena, perfetta, completa assenza di peccato.
La verità di Cristo Gesù è l’acquisizione di ogni virtù e solo chi vive di virtù può amare con tutta la carità di Cristo. Può amare, perché in lui c’è assenza di impedimenti per un amore sempre più grande.
[2]Carissimo, faccio voti che tutto vada bene e che tu sia in buona salute, come va bene per la tua anima.
Il voto qui è un augurio. È un augurio sincero, che sgorga dal cuore. Il cuore desidera il bene e lo augura. Lo augura però in modo cristiano. Il voto si fa a Dio. Si invoca cioè il Signore perché conceda ciò che il cuore desidera per gli altri.
Anche se questa formula – faccio voti – è esclusiva e si trova solo in questa Lettera e solo in questo versetto, l’augurio, il desiderio è però contenuto in molte altre Lettere, specie in quelle di Paolo.
Quasi sempre l’inizio e la fine di ogni Lettera dell’Apostolo delle Genti è un voto di grazia, di santità, di verità, di fede, di carità.
Un esempio basta per avere chiara questa verità alla nostra mente. L’inizio e la fine della Seconda Lettera ai Corinzi sono sufficienti: “Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Timòteo, alla chiesa di Dio che è in Corinto e a tutti i santi dell'intera Acaia: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo” (2Cor 1,1-2). “Per il resto, fratelli, state lieti, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell'amore e della pace sarà con voi. Salutatevi a vicenda con il bacio santo. Tutti i santi vi salutano. La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi” (2Cor 13,11-13).
Paolo augura la grazia, la pace, l’amore, la comunione, ogni altro bene spirituale.
Chi ama vuole il più grande bene per la persona amata. Chi ama prega per il bene e lo dice, augurandolo.
Augurare il bene deve essere per noi una preghiera intensa per l’altro. Il bene viene solo da Dio, unica fonte di ogni dono di grazia, di verità, di amore, di santità.
Augurare il bene, senza accompagnarlo da una preghiera ininterrotta è cosa inutile, perché l’uomo non è fonte di bene.
L’uomo può essere volontà, desiderio di bene. Perché questa volontà e questo desiderio si realizzino deve chiederlo a Colui che solo può attuarli.
I voti del presbitero sono due: “che tutto vada bene; che tu sia in buona salute, come va bene per la tua anima”.
Che tutto vada bene: vada bene nella comunità, nella comunità dove Gaio vive. Ma anche che tutto vada bene nel mondo nel quale Gaio vive. Vada bene, sia cioè secondo la Volontà di Dio, il suo mistero di salvezza a favore di ogni uomo. Ogni cosa va bene quando è posta nella volontà del Signore. Tutto ciò che si pone fuori della volontà di Dio di sicuro bene non va; va male, perché non è cosa santa, giusta, buona. Il bene per l’uomo è solo il compimento della Volontà del Padre nostro celeste. Una comunità cristiana va bene, quando in essa risplende la Volontà del Signore.
Che tu sia in buona salute, come va bene per la tua anima: la salute è bene preziosissimo per l’uomo. Tutto ciò che l’uomo fa, lo fa attraverso il corpo. Se il corpo è sano, l’anima opera, agisce, compie santamente tutta la volontà di Dio; se il corpo è ammalato, l’anima non può agire, è costretta a fermarsi. Per questo motivo il cristiano prega per la salvezza eterna della sua anima, che sarà salvezza eterna anche per il corpo, ma prega anche perché il Signore gli dia quel poco di salute che basta per consentire all’anima di poter fare tutta la volontà di Dio non solo in ordine alla propria santificazione, ma anche alla conversione e alla santificazione del mondo intero.
Il presbitero sa che l’anima di Gaio va bene, è in buona salute spirituale. Questa stessa salute augura per il suo corpo.
Chi vuole il bene dell’altro, vuole il bene di tutta la persona. Vuole il bene dell’anima, dello spirito, del corpo. L’uomo non è un “essere che può esistere a pezzi”. L’uomo esiste, vive nella pienezza della sua unità di anima, di spirito, di corpo. L’unità è costitutiva, essenziale. L’unità è la sua vita. Se una parte dell’uomo soffre, tutto l’uomo è nella sofferenza.
Occuparsi dell’altro, è occuparsi di tutto l’altro. Questo è il vero bene.
Occuparsi di tutto l’altro è vera sensibilità spirituale, vero amore, purissimo amore.
Cristo Gesù questo ha sempre insegnato ai suoi discepoli. Esempio mirabile ce lo ha lasciato dopo la risurrezione e prima ancora con la moltiplicazione dei pani:
Vangelo secondo Giovanni - cap. 21,1-14: “Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: Io vado a pescare. Gli dissero: Veniamo anche noi con te. Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla.
Quando già era l'alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: Figlioli, non avete nulla da mangiare? Gli risposero: No. Allora disse loro: Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete. La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: E` il Signore!. Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi il camiciotto, poiché era spogliato, e si gettò in mare.
Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane.
Disse loro Gesù: Portate un po’ del pesce che avete preso or ora. Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatrè grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò.
Gesù disse loro: Venite a mangiare. E nessuno dei discepoli osava domandargli: Chi sei?, poiché sapevano bene che era il Signore. Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro, e così pure il pesce. Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti”.
Anche in San Paolo troviamo alcune frasi che ci rivelano la sua grande delicatezza d’animo nei confronti di tutti i cristiani.
Prima lettera ai Tessalonicesi - cap. 2,1-20: “Voi stessi infatti, fratelli, sapete bene che la nostra venuta in mezzo a voi non è stata vana. Ma dopo avere prima sofferto e subìto oltraggi a Filippi, come ben sapete, abbiamo avuto il coraggio nel nostro Dio di annunziarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte.
E il nostro appello non è stato mosso da volontà di inganno, né da torbidi motivi, né abbiamo usato frode alcuna; ma come Dio ci ha trovati degni di affidarci il vangelo così lo predichiamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori. Mai infatti abbiamo pronunziato parole di adulazione, come sapete, né avuto pensieri di cupidigia: Dio ne è testimone. E neppure abbiamo cercato la gloria umana, né da voi né da altri, pur potendo far valere la nostra autorità di apostoli di Cristo.
Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature. Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari. Voi ricordate infatti, fratelli, la nostra fatica e il nostro travaglio: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno vi abbiamo annunziato il vangelo di Dio.
Voi siete testimoni, e Dio stesso è testimone, come è stato santo, giusto, irreprensibile il nostro comportamento verso di voi credenti; e sapete anche che, come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi, incoraggiandovi e scongiurandovi a comportarvi in maniera degna di quel Dio che vi chiama al suo regno e alla sua gloria.
Proprio per questo anche noi ringraziamo Dio continuamente, perché, avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l'avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete. Voi infatti, fratelli, siete diventati imitatori delle Chiese di Dio in Gesù Cristo, che sono nella Giudea, perché avete sofferto anche voi da parte dei vostri connazionali come loro da parte dei Giudei, i quali hanno perfino messo a morte il Signore Gesù e i profeti e hanno perseguitato anche noi; essi non piacciono a Dio e sono nemici di tutti gli uomini, impedendo a noi di predicare ai pagani perché possano essere salvati. In tal modo essi colmano la misura dei loro peccati! Ma ormai l'ira è arrivata al colmo sul loro capo.
Quanto a noi, fratelli, dopo poco tempo che eravamo separati da voi, di persona ma non col cuore, eravamo nell'impazienza di rivedere il vostro volto, tanto il nostro desiderio era vivo. Perciò abbiamo desiderato una volta, anzi due volte, proprio io Paolo, di venire da voi, ma satana ce lo ha impedito. Chi infatti, se non proprio voi, potrebbe essere la nostra speranza, la nostra gioia e la corona di cui ci possiamo vantare, davanti al Signore nostro Gesù, nel momento della sua venuta? Siete voi la nostra gloria e la nostra gioia”.
Tutta la nobiltà e la ricchezza della sua anima, Paolo la esprime nella Lettera ai Filippesi a questo riguardo:
Lettera ai Filippesi - cap. 4,1-23: “Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete saldi nel Signore così come avete imparato, carissimi! Esorto Evòdia ed esorto anche Sìntiche ad andare d'accordo nel Signore. E prego te pure, mio fedele collaboratore, di aiutarle, poiché hanno combattuto per il vangelo insieme con me, con Clemente e con gli altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita.
Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù.
In conclusione, fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri. Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare. E il Dio della pace sarà con voi!
Ho provato grande gioia nel Signore, perché finalmente avete fatto rifiorire i vostri sentimenti nei miei riguardi: in realtà li avevate anche prima, ma non ne avete avuta l'occasione. Non dico questo per bisogno, poiché ho imparato a bastare a me stesso in ogni occasione; ho imparato ad essere povero e ho imparato ad essere ricco; sono iniziato a tutto, in ogni maniera: alla sazietà e alla fame, all'abbondanza e all'indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza.
Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alla mia tribolazione. Ben sapete proprio voi, Filippesi, che all'inizio della predicazione del vangelo, quando partii dalla Macedonia, nessuna Chiesa aprì con me un conto di dare o di avere, se non voi soli; ed anche a Tessalonica mi avete inviato per due volte il necessario. Non è però il vostro dono che io ricerco, ma il frutto che ridonda a vostro vantaggio. Adesso ho il necessario e anche il superfluo; sono ricolmo dei vostri doni ricevuti da Epafrodìto, che sono un profumo di soave odore, un sacrificio accetto e gradito a Dio. Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza in Cristo Gesù.
Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli. Amen. Salutate ciascuno dei santi in Cristo Gesù. Vi salutano i fratelli che sono con me. Vi salutano tutti i santi, soprattutto quelli della casa di Cesare. La grazia del Signore Gesù Cristo sia con il vostro spirito”.
Il cristianesimo è la religione dell’uomo, di tutto l’uomo, del vero uomo. Distrugge il cristianesimo chi ne fa la religione dello spirito, o dell’anima.
Chi fa del cristianesimo la religione della sola anima, per la sola anima, rinnega il mistero dell’Incarnazione nella sua verità più profonda, essenziale, costitutiva, fondamentale.
Chi fa del cristianesimo la religione della sola anima, dichiara la sua fede morta.
Questa verità viene espressa in San Giacomo così:
Lettera di Giacomo - cap. 2,1-26: Fratelli miei, non mescolate a favoritismi personali la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria. Supponiamo che entri in una vostra adunanza qualcuno con un anello d'oro al dito, vestito splendidamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se voi guardate a colui che è vestito splendidamente e gli dite: Tu siediti qui comodamente, e al povero dite: Tu mettiti in piedi lì, oppure: Siediti qui ai piedi del mio sgabello, non fate in voi stessi preferenze e non siete giudici dai giudizi perversi?
Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano? Voi invece avete disprezzato il povero! Non sono forse i ricchi che vi tiranneggiano e vi trascinano davanti ai tribunali? Non sono essi che bestemmiano il bel nome che è stato invocato sopra di voi?
Certo, se adempite il più importante dei comandamenti secondo la Scrittura: amerai il prossimo tuo come te stesso, fate bene; ma se fate distinzione di persone, commettete un peccato e siete accusati dalla legge come trasgressori. Poiché chiunque osservi tutta la legge, ma la trasgredisca anche in un punto solo, diventa colpevole di tutto; infatti colui che ha detto: Non commettere adulterio, ha detto anche: Non uccidere. Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio.
Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi, ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa. Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede. Tu credi che c'è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano! Ma vuoi sapere, o insensato, come la fede senza le opere è senza calore?
Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull'altare? Vedi che la fede cooperava con le opere di lui, e che per le opere quella fede divenne perfetta e si compì la Scrittura che dice: E Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato a giustizia, e fu chiamato amico di Dio. Vedete che l'uomo viene giustificato in base alle opere e non soltanto in base alla fede.
Così anche Raab, la meretrice, non venne forse giustificata in base alle opere per aver dato ospitalità agli esploratori e averli rimandati per altra via? Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta”.
È grande il mistero della nostra fede. Beato quell’uomo che lo accoglie nella sua interezza e lo vive nella sua totalità.
[3]Molto infatti mi sono rallegrato quando sono giunti alcuni fratelli e hanno reso testimonianza che tu sei verace in quanto tu cammini nella verità.
Chi è uomo di Dio – e il presbitero di sicuro lo è – trova la sua gioia nel sapere che Cristo Gesù, che è l’unica e sola fonte di ogni suo bene, è amato, adorato, annunziato, ascoltato, obbedito, servito, celebrato, imitato, cercato da quanti sono suoi fratelli nella fede, nella carità, nella speranza dello stesso Cristo Gesù.
Non c’è gioia più grande per un responsabile della Comunità cristiana – e il presbitero lo è per costituzione divina – nel ricevere una buona testimonianza sui figli della comunità che egli guida, o di altre comunità, che quanti ne fanno parte camminano nella verità di nostro Signore Gesù Cristo.
Questa gioia Paolo così la esprime a proposito sia dei Romani che dei Tessalonicesi: “Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché la fama della vostra fede si espande in tutto il mondo” (Rm 1,8). “La fama della vostra obbedienza è giunta dovunque; mentre quindi mi rallegro di voi, voglio che siate saggi nel bene e immuni dal male. (Rm 16,19). “Infatti la parola del Signore riecheggia per mezzo vostro non soltanto in Macedonia e nell'Acaia, ma la fama della vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, di modo che non abbiamo più bisogno di parlarne” (1Ts 1,8).
In questo versetto c’è però una “preziosità” che è giusto che sia posta in luce, sia messa cioè sul candelabro, dinanzi agli occhi di tutti, bene in alto, perché da essa ognuno si lasci illuminare.
Dice il presbitero: mi sono rallegrato quando sono giunti alcuni fratelli e hanno reso testimonianza che tu sei verace in quanto tu cammini nella verità.
Chi è il verace e perché Gaio è verace?
Sulla veracità ecco quanto ci insegna il Nuovo testamento:
“Ma c'è un altro che mi rende testimonianza, e so che la testimonianza che egli mi rende è verace” (Gv 5,32).
“Impossibile! Resti invece fermo che Dio è verace e ogni uomo mentitore, come sta scritto: Perché tu sia riconosciuto giusto nelle tue parole e trionfi quando sei giudicato” (Rm 3,4).
“Dico infatti che Cristo si è fatto servitore dei circoncisi in favore della veracità di Dio, per compiere le promesse dei padri” (Rm 15,8).
“Molto infatti mi sono rallegrato quando sono giunti alcuni fratelli e hanno reso testimonianza che tu sei verace in quanto tu cammini nella verità” (3Gv 1,3).
“All'angelo della Chiesa di Filadelfia scrivi: Così parla il Santo, il Verace, Colui che ha la chiave di Davide: quando egli apre nessuno chiude, e quando chiude nessuno apre” (Ap.3,7).
“All'angelo della Chiesa di Laodicèa scrivi: Così parla l'Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio” (Ap 3,14).
“E gridarono a gran voce: Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e verace, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue sopra gli abitanti della terra?” (Ap 6,10).
“Cantavano il cantico di Mosè, servo di Dio, e il cantico dell'Agnello: Grandi e mirabili sono le tue opere, o Signore Dio onnipotente; giuste e veraci le tue vie, o Re delle genti!” (Ap 15,3).
“Allora l'angelo mi disse: Scrivi: Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell'Agnello! Poi aggiunse: Queste sono parole veraci di Dio” (Ap 19,9).
“Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava: Fedele e Verace: egli giudica e combatte con giustizia” (Ap 19,11).
“E Colui che sedeva sul trono disse: Ecco, io faccio nuove tutte le cose; e soggiunse: Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci” (Ap 21,5).
“Poi mi disse: Queste parole sono certe e veraci. Il Signore, il Dio che ispira i profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi ciò che deve accadere tra breve” (Ap 22,6).
È verace chi rimane, conserva, mantiene sempre la sua vera essenza.
È verace colui il quale pone ogni attenzione a che nella sua natura non entri nulla di impuro, di meno buono, di non santo, di non corrispondente a ciò che si è per essenziale identità.
L’essenza del cristiano è Cristo Gesù con il quale forma un solo corpo.
L’essenza del cristiano è la Parola di Cristo Gesù, con la quale forma un solo pensiero, un solo desiderio, una sola realizzazione, o attuazione.
L’essenza del cristiano è la verità con la quale il cristiano costituisce una sola natura di bene, di santità, di luce, di carità, di speranza.
Poiché la verità di Cristo è divenuta la stessa natura del cristiano, il cristiano è verace quando vive tutto nella verità, quando la sua natura cresce e produce frutti di verità, della verità che lui è divenuto.
Gaio è verace perché mantiene integro in sé il mistero di Cristo Gesù e in questo mistero consuma i suoi giorni, crescendo in esso, poiché lo porta alla sua piena e perfetta realizzazione.
Questo significa camminare nella verità: compiere nella propria vita tutto il mistero di Cristo Gesù.
Gaio è verace perché la sua natura si conserva tutta intera nel mistero di Cristo, fino a divenire con Cristo Gesù un solo mistero di vita eterna.
Poiché il desiderio del presbitero è uno solo: che Cristo sia formato in ogni cuore, che Cristo cresca in ogni cuore, che Cristo produca frutti di santità e di salvezza in ogni cuore, vedendo questo suo desiderio compiuto perfettamente, pienamente in Gaio, non può che rallegrarsi, gioire.
La gioia è l’essenza stessa del cristiano. La sua vocazione è alla gioia di restare con Cristo per tutta l’eternità.
Sapendo che un altro fratello ama Cristo e cammina in Cristo, questo non può produrre se non una gioia immensa, infinita, sconfinata nel cuore.
Chi ama Cristo gioisce quando apprende che un altro ama Cristo.
Quando non si ha gioia perché un altro ama Cristo, è segno che noi non amiamo Cristo Gesù.
Sulla gioia ecco alcuni passi del Nuovo Testamento:
“Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia” (Mt 2,10).
“Quello che è stato seminato nel terreno sassoso è l'uomo che ascolta la parola e subito l'accoglie con gioia” (Mt 13,20).
“Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo” (Mt 13,44).
“Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone” (Mt 25, 21).
“Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone” (Mt 25,23).
“Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l'annunzio ai suoi discepoli” (Mt 28,8).
“Similmente quelli che ricevono il seme sulle pietre sono coloro che, quando ascoltano la parola, subito l'accolgono con gioia” (Mc 4,16).
“Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita” (Lc 1,14).
“Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo” (Lc 1,44).
“Ma l'angelo disse loro: Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo” (Lc 2,10).
“Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, accolgono con gioia la parola, ma non hanno radice; credono per un certo tempo, ma nell'ora della tentazione vengono meno” (Lc 8,13).
“I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome” (Lc 10,17).
“Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia” (Lc 12,19).
“Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione” (Lc 15,7).
“Così, vi dico, c'è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte” (Lc 15,10).
“In fretta scese e lo accolse pieno di gioia” (Lc 19,6).
“Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: Avete qui qualche cosa da mangiare?” (Lc 24,41).
“Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia” (Lc 24,52).
“Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta” (Gv 3,29).
“Quando però giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero con gioia, poiché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme durante la festa; anch'essi infatti erano andati alla festa” (GV 4,45).
“Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11).
“In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia” (Gv 16,20).
“La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo” (Gv 16,21).
“Nessuno vi potrà togliere la vostra gioia. In quel giorno non mi domanderete più nulla. In verità, in verità vi dico: Se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà” (Gv 16,23).
“Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena” (GV 16,24).
“Ma ora io vengo a te e dico queste cose mentre sono ancora nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia” (Gv 17,13).
“Mi hai fatto conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia con la tua presenza” (At 2,28).
“E vi fu grande gioia in quella città” (At 8,8).
“Quando furono usciti dall'acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l'eunuco non lo vide più e proseguì pieno di gioia il suo cammino” (At 8,39).
“Riconosciuta la voce di Pietro, per la gioia non aprì la porta, ma corse ad annunziare che fuori c'era Pietro” (At 12,14).
“Mentre i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo” (At 13,52).
“Essi dunque, scortati per un tratto dalla comunità, attraversarono la Fenicia e la Samaria raccontando la conversione dei pagani e suscitando grande gioia in tutti i fratelli” (At 15,3).
“Poi li fece salire in casa, apparecchiò la tavola e fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per avere creduto in Dio” (At 16,34).
“In tutte le maniere vi ho dimostrato che lavorando così si devono soccorrere i deboli, ricordandoci delle parole del Signore Gesù, che disse: Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!” (At 20,35).
“Chi l'esortazione, all'esortazione. Chi dà, lo faccia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia”. (Rm 12,8).
“Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto” (Rm 12,15).
“Il regno di Dio infatti non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Rm 14,17).
“Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo” (Rm 15,13).
“Sicché io possa venire da voi nella gioia, se così vuole Dio, e riposarmi in mezzo a voi. Il Dio della pace sia con tutti voi. Amen” (Rm 15,32).
“Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete già saldi” (2Cor 1,24).
“Perciò vi ho scritto in quei termini che voi sapete, per non dovere poi essere rattristato alla mia venuta da quelli che dovrebbero rendermi lieto, persuaso come sono riguardo a voi tutti che la mia gioia è quella di tutti voi” (2Cor 2,3).
“Sono molto franco con voi e ho molto da vantarmi di voi. Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni nostra tribolazione” (2Cor 7,4).
“E non solo con la sua venuta, ma con la consolazione che ha ricevuto da voi. Egli ci ha annunziato infatti il vostro desiderio, il vostro dolore, il vostro affetto per me; cosicché la mia gioia si è ancora accresciuta” (2Cor 7,7).
“Ecco quello che ci ha consolati. A questa nostra consolazione si è aggiunta una gioia ben più grande per la letizia di Tito, poiché il suo spirito è stato rinfrancato da tutti voi” (2Cor 7,13).
“Nonostante la lunga prova della tribolazione, la loro grande gioia e la loro estrema povertà si sono tramutate nella ricchezza della loro generosità” (2Cor 8,2).
“Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia” (2Cor 9,7).
“Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22).
“Pregando sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera” (Fil 1,4).
“Per conto mio, sono convinto che resterò e continuerò a essere d'aiuto a voi tutti, per il progresso e la gioia della vostra fede” (Fil 1,25).
“Rendete piena la mia gioia con l'unione dei vostri spiriti, con la stessa carità, con i medesimi sentimenti” (Fil 2,2).
“Accoglietelo dunque nel Signore con piena gioia e abbiate grande stima verso persone come lui” (Fil 2,29).
“Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete saldi nel Signore così come avete imparato, carissimi!” (Fil 4,1).
“Ho provato grande gioia nel Signore, perché finalmente avete fatto rifiorire i vostri sentimenti nei miei riguardi: in realtà li avevate anche prima, ma non ne avete avuta l'occasione” (Fil 4,10).
“Ringraziando con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce” (Col 1,12).
“E voi siete diventati imitatori nostri e del Signore, avendo accolto la parola con la gioia dello Spirito Santo anche in mezzo a grande tribolazione” (1Ts 1,6).
“Chi infatti, se non proprio voi, potrebbe essere la nostra speranza, la nostra gioia e la corona di cui ci possiamo vantare, davanti al Signore nostro Gesù, nel momento della sua venuta?” (1Ts 2,19).
“Siete voi la nostra gloria e la nostra gioia”(1Ts 2,20).
“Quale ringraziamento possiamo rendere a Dio riguardo a voi, per tutta la gioia che proviamo a causa vostra davanti al nostro Dio” (1Ts 3,9).
“Mi tornano alla mente le tue lacrime e sento la nostalgia di rivederti per essere pieno di gioia” (2Tm 1,4).
“La tua carità è stata per me motivo di grande gioia e consolazione, fratello, poiché il cuore dei credenti è stato confortato per opera tua” (Flm 1,7).
“Infatti avete preso parte alle sofferenze dei carcerati e avete accettato con gioia di esser spogliati delle vostre sostanze, sapendo di possedere beni migliori e più duraturi” (Eb 10,34).
“Tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l'ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio” (Eb 12,2).
“Certo, ogni correzione, sul momento, non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo però arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati” (Eb 12,11).
“Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perché essi vegliano su di voi, come chi ha da renderne conto; obbedite, perché facciano questo con gioia e non gemendo: ciò non sarebbe vantaggioso per voi” (Eb 13,17).
“Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia salmeggi” (Gc 5,13).
“Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po’ afflitti da varie prove” (1Pt 1,6).
“voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa” (1Pt 1,8).
“Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta” (1Gv 1,4).
“Molte cose avrei da scrivervi, ma non ho voluto farlo per mezzo di carta e di inchiostro; ho speranza di venire da voi e di poter parlare a viva voce, perché la nostra gioia sia piena” (2Gv 1,12).
“Non ho gioia più grande di questa, sapere che i miei figli camminano nella verità” (3Gv 1,4).
“Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore” (Gv 20,20).
“Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui” (1Cor 12,26).
“Anche se sono lontano con il corpo, sono tra voi con lo spirito e gioisco al vedere la vostra condotta ordinata e la saldezza della vostra fede in Cristo” (Col 2,5).
“E finalmente siate tutti concordi, partecipi delle gioie e dei dolori degli altri, animati da affetto fraterno, misericordiosi, umili” (1Pt 3,8).
“Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi. (Mt 5, 12).
“Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite” (Mt 18,13).
“Quelli all'udirlo si rallegrarono e promisero di dargli denaro. Ed egli cercava l'occasione opportuna per consegnarlo” (Mc 14,11).
“Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita” (Lc 1,14).
“I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei” (Lc 1,58).
“Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti” (Lc 6,23).
“Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli” (Lc 10,20).
“Va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta” (Lc 15,6).
“E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta” (Lc 15,9).
“Ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,32).
“Essi si rallegrarono e si accordarono di dargli del denaro” (Lc 22,5).
“Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto, perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui” (Lc 23,8).
“Egli era una lampada che arde e risplende, e voi avete voluto solo per un momento rallegrarvi alla sua luce” (Gv 5,35).
“Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò” (Gv 8,56).
“Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi; se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di me” (Gv 14,28).
“In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia. (Gv 16,20).
“Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà” (Gv 16,22).
“Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua; ed anche la mia carne riposerà nella speranza” (At 2,16).
“E in quei giorni fabbricarono un vitello e offrirono sacrifici all'idolo e si rallegrarono per l'opera delle loro mani” (At 7,41).
Credente
00lunedì 9 gennaio 2012 12:23
“Quando questi giunse e vide la grazia del Signore, si rallegrò” (At 11,23).
“Nell'udir ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola di Dio e abbracciarono la fede tutti quelli che erano destinati alla vita eterna” (At 13,48).
“Quando l'ebbero letta, si rallegrarono per l'incoraggiamento che infondeva” (At 15,31).
“Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto” (Rm 12,15).
“E ancora: Rallegratevi, o nazioni, insieme al suo popolo” (Rm 15,10).
“La fama della vostra obbedienza è giunta dovunque; mentre quindi mi rallegro di voi, voglio che siate saggi nel bene e immuni dal male” (Rm 16,19).
“Io mi rallegro della visita di Stefana, di Fortunato e di Acàico, i quali hanno supplito alla vostra assenza” (1Cor 16,17).
“Perché se io rattristo voi, chi mi rallegrerà se non colui che è stato da me rattristato?” (2Cor 2,2).
“Mi rallegro perché posso contare totalmente su di voi” (2Cor 7,16).
“Perciò ci rallegriamo quando noi siamo deboli e voi siete forti. Noi preghiamo anche per la vostra perfezione” (2Cor 13,9).
“Ma questo che importa? Purché in ogni maniera, per ipocrisia o per sincerità, Cristo venga annunziato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene” (Fil 1,18).
“Allo stesso modo anche voi godetene e rallegratevi con me” (Fil 2,18).
“L'ho mandato quindi con tanta premura perché vi rallegriate al vederlo di nuovo e io non sia più preoccupato” (Fil 2, 28).
“Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi” (Fil 4,4).
“Il fratello di umili condizioni si rallegri della sua elevazione” (Gc 1,9).
“Ma nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare” (1Pt 4,13).
“Mi sono molto rallegrato di aver trovato alcuni tuoi figli che camminano nella verità, secondo il comandamento che abbiamo ricevuto dal Padre” (2Gv 1,4).
“Molto infatti mi sono rallegrato quando sono giunti alcuni fratelli e hanno reso testimonianza che tu sei verace in quanto tu cammini nella verità” (3Gv 1,3).
“Gli abitanti della terra faranno festa su di loro, si rallegreranno e si scambieranno doni, perché questi due profeti erano il tormento degli abitanti della terra” (Ap 11,10).
“Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria, perché son giunte le nozze dell'Agnello; la sua sposa è pronta” (AP 19,7).
La gioia dell’uomo di Dio, di chi ama il Signore è tutta spirituale. È la gioia di chi desidera una cosa sola: che il Signore sia amato, obbedito, onorato, cercato, desiderato.
È la gioia di chi senza mai arrendersi sa che solo Dio è il fondamento della verità e della completezza del suo essere e per questo non si stanca mai di cercarlo. Lo cerca come cerva assetata anela ai corsi d’acqua, o come la terra arida brama essere bagnata dalla pioggia.
La gioia dell’uomo non finisce sulla terra, si completa nel cielo, per tutta l’eternità. L’eternità con Dio, in Cristo Gesù, è l’aspirazione unica di chi ama il Signore. L’uomo spirituale vive di gioia spirituale. La gioia spirituale dell’uomo spirituale è Dio sulla terra e nel cielo.
C’è poi anche la gioia dell’uomo materiale. Questa gioia è fatta di materia, di cose della terra. Questa gioia non disseta l’uomo. Questa gioia non sazia. Questa gioia uccide. Questa gioia rende l’uomo egoista, invidioso, superbo. Questa gioia porta l’uomo in un baratro di morte.
Di questa gioia l’uomo spirituale si è liberato per sempre. Si è liberato a motivo della sua perfetta povertà in spirito. L’unico suo desiderio è stare con il Signore, nel Signore, per il Signore.
Il presbitero gioisce perché sa che Gaio cammina nella verità, nella verità ha posto il suo cuore, la sua mente, la sua volontà. Nella verità ha posto tutta la sua persona. La verità è la sua vita.
Da notare in questo versetto la carità che univa la Chiesa delle origini. Quanti erano membri di una comunità informavano della vita della comunità e dei singoli membri altre comunità, soprattutto coloro che sulla comunità esercitavano il ministero della sorveglianza, della custodia, della difesa della verità.
La comunione offerta e accolta, data e ricevuta fa crescere bene la Chiesa, perché la fa progredire nella verità e nella carità; perché la protegge e la difende da ogni falsità ed errore.
[4]Non ho gioia più grande di questa, sapere che i miei figli camminano nella verità.
Nel versetto precedente si è detto tutto sulla gioia spirituale che anima gli uomini di Dio.
Se Dio è la gioia dell’uomo di Dio, Dio non è solo in un uomo di Dio, è in tutti gli uomini di Dio.
L’uomo di Dio gioisce perché Dio è anche negli altri ed è negli altri quando la verità di Dio è negli altri.
Il presbitero è stato costituito non solo per dare la verità, ma anche per insegnare agli uomini come si vive nella verità, come si cammina in essa.
Il dono e l’insegnamento della verità sono la missione del presbitero. Sono la missione, perché sono la sua vita.
Se sono la sua vita, sono anche la sua gioia, perché quando la missione si fa vita e la vita si fa missione, si raggiunge la perfezione cristiana ed è questa perfezione la causa, l’origine, la fonte della gioia del presbitero.
La gioia di un albero è quella di fruttificare bene, di produrre al massimo delle sue possibilità.
La gioia di un presbitero è anche quella di aver prodotto un frutto di verità in un altro cuore.
Sapendo che molti figli della comunità camminano nella verità e che la verità è frutto del dono del suo annunzio e del suo insegnamento, diviene per il presbitero causa di molta gioia.
Non potrebbe essere diversamente. Chi ha tristezza, invidia, gelosia che un altro cammina nella verità, costui di sicuro non cammina nella verità, non ama il Signore, non lo adora, non lo ascolta, non gli presta la necessaria obbedienza. Costui non è cristiano.
Una frase di San Paolo serve ad illuminarci sul grande amore che lui aveva per Cristo Gesù. Il suo amore è tanto grande, alto, profondo, largo, immenso, sconfinato da fargli desiderare una cosa sola: che tutti, anche per invidia contro di lui, si decidessero a predicare Cristo.
Lettera ai Filippesi - cap. 1,1- 30: “Paolo e Timoteo, servi di Cristo Gesù, a tutti i santi in Cristo Gesù che sono a Filippi, con i vescovi e i diaconi. Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo.
Ringrazio il mio Dio ogni volta ch'io mi ricordo di voi, pregando sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera, a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del vangelo dal primo giorno fino al presente, e sono persuaso che colui che ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù.
E` giusto, del resto, che io pensi questo di tutti voi, perché vi porto nel cuore, voi che siete tutti partecipi della grazia che mi è stata concessa sia nelle catene, sia nella difesa e nel consolidamento del vangelo. Infatti Dio mi è testimonio del profondo affetto che ho per tutti voi nell'amore di Cristo Gesù.
E perciò prego che la vostra carità si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché possiate distinguere sempre il meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quei frutti di giustizia che si ottengono per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio. Desidero che sappiate, fratelli, che le mie vicende si sono volte piuttosto a vantaggio del vangelo, al punto che in tutto il pretorio e dovunque si sa che sono in catene per Cristo; in tal modo la maggior parte dei fratelli, incoraggiati nel Signore dalle mie catene, ardiscono annunziare la parola di Dio con maggior zelo e senza timore alcuno.
Alcuni, è vero, predicano Cristo anche per invidia e spirito di contesa, ma altri con buoni sentimenti. Questi lo fanno per amore, sapendo che sono stato posto per la difesa del vangelo; quelli invece predicano Cristo con spirito di rivalità, con intenzioni non pure, pensando di aggiungere dolore alle mie catene. Ma questo che importa? Purché in ogni maniera, per ipocrisia o per sincerità, Cristo venga annunziato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene. So infatti che tutto questo servirà alla mia salvezza, grazie alla vostra preghiera e all'aiuto dello Spirito di Gesù Cristo, secondo la mia ardente attesa e speranza che in nulla rimarrò confuso; anzi nella piena fiducia che, come sempre, anche ora Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia. Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere. Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; d'altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne.
Per conto mio, sono convinto che resterò e continuerò a essere d'aiuto a voi tutti, per il progresso e la gioia della vostra fede, perché il vostro vanto nei miei riguardi cresca sempre più in Cristo, con la mia nuova venuta tra voi. Soltanto però comportatevi da cittadini degni del vangelo, perché nel caso che io venga e vi veda o che di lontano senta parlare di voi, sappia che state saldi in un solo spirito e che combattete unanimi per la fede del vangelo, senza lasciarvi intimidire in nulla dagli avversari. Questo è per loro un presagio di perdizione, per voi invece di salvezza, e ciò da parte di Dio; perché a voi è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo; ma anche di soffrire per lui, sostenendo la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e che ora sentite dire che io sostengo”.
L’amore per Cristo porta l’apostolo a desiderare una predicazione capillare, universale del Vangelo di Cristo Gesù.
È grande il mistero dell’amore negli uomini di Dio. È il loro unico desiderio, l’unica loro volontà.
Dovremmo gareggiare nell’annunzio, nella predicazione, nell’insegnamento di Cristo Gesù.
Dovremmo sempre lodare Dio se qualcuno sa parlare meglio di noi di Dio, se meglio di noi insegna, predica, ammaestra.
Dovremmo sempre gioire quando apprendiamo che un cristiano cammina nella verità. Mentre dovremmo piangere quando non vi cammina, perché ha scelto le tenebre e la falsità.
Chi ama secondo verità Cristo Signore, ama di tutto cuore tutti coloro che amano Cristo e lo donano al mondo intero.
Chi soffre di invidia perché l’altro predica Cristo meglio e più di lui, costui di certo non ama il Signore. Se lo amasse, gioirebbe che Cristo viene fatto conoscere in modo vero, perfetto, santo, secondo pienezza di verità.
La gioia che nasce nel cuore al sentire che Cristo è fatto conoscere da altri è il vero segno che si ama il Signore secondo pienezza di verità e di carità.
[5]Carissimo, tu ti comporti fedelmente in tutto ciò che fai in favore dei fratelli, benché forestieri.
Il presbitero loda il comportamento di Gaio a favore dei fratelli di fede. Lo loda perché lui non fa alcuna distinzione tra i fratelli che sono membri della comunità e quelli che sono forestieri, che vengono cioè da altre parti.
La fedeltà non è ad una regola, o ad un comandamento che viene dagli uomini.
La fedeltà del presbitero è alla Volontà del suo Maestro e Signore, il quale è venuto per la salvezza di ogni uomo.
Gesù Signore non fa alcuna differenza tra uomo e uomo. Neanche chi è suo discepolo deve fare alcuna differenza.
Cristo Gesù è il servo di tutti. Anche il suo discepolo deve essere servo di tutti.
Cristo Gesù è venuto per fare di ogni uomo una cosa sola in Lui.
Anche il servo, o discepolo di Cristo Gesù deve lavorare perché questa unità non sia solo invisibile, sacramentale, ma anche visibile, operativa.
Nella comunità cristiana nessun uomo dovrà essere considerato straniero. Ogni uomo deve essere visto come Cristo Gesù, perché Cristo Gesù con l’incarnazione ha preso le sembianze di ogni uomo. Lui si è identificato con ogni uomo, specie i deboli, i poveri, gli emarginati, gli esclusi.
Quando una comunità cristiana fa differenza tra i discepoli di Gesù, quando fa differenza tra uomo e uomo, in questa comunità cristiana manca la verità. Manca Cristo, verità di ogni comunità cristiana.
La comunità di Cristo è una, perché uno è l’uomo.
Alla comunità del Signore ogni uomo deve appartenere o come discepolo di Gesù “già fatto”, o come discepolo di Gesù “da fare”.
Ogni uomo deve essere considerato di Cristo. Se è di Cristo, è necessariamente della comunità. Se non è estraneo a Cristo, non deve essere estraneo neanche alla comunità.
L’amore per il forestiero è legge essenziale del cristiano. Chi ignora il forestiero ignora Cristo, chi lo disprezza, disprezza Cristo, chi lo maltratta, maltratta Cristo, chi lo accoglie, accoglie Cristo Gesù.
L’essenza stessa del cristiano è quella di essere forestiero in questo mondo. Lui non è del mondo. Lui è del cielo, verso il cielo cammina, al cielo perennemente guarda.
Abramo non visse come forestiero? Cristo Gesù, anche Lui non visse come forestiero sulla terra?
Sul termine “forestiero”, “pellegrino”, “straniero”, ecco alcune verità che si possono trarre dalla Scrittura:
“E tenuto consiglio, comprarono con esso il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri” (Mt 27,7).
“Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?” (Lc 17,18).
“Della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di Roma” (At 2,10).
“Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2,19).
“E anche voi, che un tempo eravate stranieri e nemici con la mente intenta alle opere cattive che facevate” (Col 1,21).
“Per fede soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa” (Eb 11,9).
“Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sopra la terra” (Eb 11,13).
“Carissimi, io vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai desideri della carne che fanno guerra all'anima” (1Pt 2,11).
“Poi Dio parlò così: La discendenza di Abramo sarà pellegrina in terra straniera, tenuta in schiavitù e oppressione per quattrocento anni” (At 7,6).
“E se pregando chiamate Padre colui che senza riguardi personali giudica ciascuno secondo le sue opere, comportatevi con timore nel tempo del vostro pellegrinaggio” (1Pt 1,17).
“Allora il Signore disse ad Abram: Sappi che i tuoi discendenti saranno forestieri in un paese non loro; saranno fatti schiavi e saranno oppressi per quattrocento anni” (Gn 15,13).
“Ebbene, giurami qui per Dio che tu non ingannerai né me né i miei figli né i miei discendenti: come io ho agito amichevolmente con te, così tu agirai con me e con il paese nel quale sei forestiero” (Gn 21,23).
“E fu forestiero nel paese dei Filistei per molto tempo” (Gn 21,34).
“Io sono forestiero e di passaggio in mezzo a voi. Datemi la proprietà di un sepolcro in mezzo a voi, perché io possa portar via la salma e seppellirla” (Gn 23,4).
“Conceda la benedizione di Abramo a te e alla tua discendenza con te, perché tu possieda il paese dove sei stato forestiero, che Dio ha dato ad Abramo” (Gn 28,4).
“Diede loro questo comando: Direte al mio signore Esaù: Dice il tuo servo Giacobbe: Sono stato forestiero presso Làbano e vi sono restato fino ad ora” (Gn 32,5).
“Poi Giacobbe venne da suo padre Isacco a Mamre, a Kiriat-Arba, cioè Ebron, dove Abramo e Isacco avevano soggiornato come forestieri” (Gn 35,27).
“Giacobbe si stabilì nel paese dove suo padre era stato forestiero, nel paese di Canaan” (Gn 37,1).
“Poi dissero al faraone: Siamo venuti per soggiornare come forestieri nel paese perché non c'è più pascolo per il gregge dei tuoi servi; infatti è grave la carestia nel paese di Canaan. E ora lascia che i tuoi servi risiedano nel paese di Gosen!” (Gn 47.4).
“Ho anche stabilito la mia alleanza con loro, per dar loro il paese di Canaan, quel paese dov'essi soggiornarono come forestieri” (Es 6,4).
“Per sette giorni non si troverà lievito nelle vostre case, perché chiunque mangerà del lievito, sarà eliminato dalla comunità di Israele, forestiero o nativo del paese” (Es 12,19).
“Se un forestiero è domiciliato presso di te e vuol celebrare la pasqua del Signore, sia circonciso ogni suo maschio: allora si accosterà per celebrarla e sarà come un nativo del paese. Ma nessun non circonciso ne deve mangiare” (Es 12,48).
“Vi sarà una sola legge per il nativo e per il forestiero, che è domiciliato in mezzo a voi” (Es 12,49).
“Ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te” (Es 20,10).
“Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri nel paese d'Egitto” (Es 22,20).
“Non opprimerai il forestiero: anche voi conoscete la vita del forestiero, perché siete stati forestieri nel paese d'Egitto” (es 23,9).
“Per sei giorni farai i tuoi lavori, ma nel settimo giorno farai riposo, perché possano goder quiete il tuo bue e il tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava e il forestiero” (Es 23,12).
“Questa sarà per voi una legge perenne: nel settimo mese, nel decimo giorno del mese, vi umilierete, vi asterrete da qualsiasi lavoro, sia colui che è nativo del paese, sia il forestiero che soggiorna in mezzo a voi” (Lev 16,29).
“Voi dunque osserverete le mie leggi e le mie prescrizioni e non commetterete nessuna di queste pratiche abominevoli: né colui che è nativo del paese, né il forestiero in mezzo a voi” (Lev 18,26).
“Quanto alla tua vigna, non coglierai i racimoli e non raccoglierai gli acini caduti; li lascerai per il povero e per il forestiero. Io sono il Signore, vostro Dio” (Lev 19,10).
“Quando un forestiero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli farete torto” (Lev 19,33).
“Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l'amerai come tu stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d'Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio” (Lev 19,34).
“Dirai agli Israeliti: Chiunque tra gli Israeliti o tra i forestieri che soggiornano in Israele darà qualcuno dei suoi figli a Moloch, dovrà essere messo a morte; il popolo del paese lo lapiderà” (Lev 20,2).
“Parla ad Aronne, ai suoi figli, a tutti gli Israeliti e ordina loro: Chiunque della casa d'Israele o dei forestieri dimoranti in Israele presenta in olocausto al Signore un'offerta per qualsiasi voto o dono volontario” (Lev 22,18).
“Quando mieterete la messe della vostra terra, non mieterete fino al margine del campo e non raccoglierai ciò che resta da spigolare del tuo raccolto; lo lascerai per il povero e per il forestiero. Io sono il Signore, il vostro Dio” (Lev 23,22).
“Ci sarà per voi una sola legge per il forestiero e per il cittadino del paese; poiché io sono il Signore vostro Dio” (Lev 24,22).
“Ciò che la terra produrrà durante il suo riposo servirà di nutrimento a te, al tuo schiavo, alla tua schiava, al tuo bracciante e al forestiero che è presso di te” (Lev 25,6).
“Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e inquilini” (Lev 25,23).
“Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria ed è privo di mezzi, aiutalo, come un forestiero e inquilino, perché possa vivere presso di te” (Lev 25,35).
“Se un forestiero stabilito presso di te diventa ricco e il tuo fratello si grava di debiti con lui e si vende al forestiero stabilito presso di te o a qualcuno della sua famiglia… ” (Lev 25,47).
“Queste sei città serviranno di rifugio agli Israeliti, al forestiero e all'ospite che soggiornerà in mezzo a voi, perché vi si rifugi chiunque abbia ucciso qualcuno involontariamente” (Num 35,15).
“Ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare lavoro alcuno né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il forestiero, che sta entro le tue porte, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te” (Dt 5,14).
“Rende giustizia all'orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà  pane e vestito” (Dt 10,18).
“Amate dunque il forestiero, poiché anche voi foste forestieri nel paese d'Egitto” (Dt 10,19).
“Gioirai in questa tua festa, tu, tuo figlio e tua figlia, il tuo schiavo e la tua schiava e il levita, il forestiero, l'orfano e la vedova che saranno entro le tue città” (Dt 16,14).
“Non avrai in abominio l'Idumeo, perché è tuo fratello; non avrai in abominio l'Egiziano, perché sei stato forestiero nel suo paese” (Dt 23,8).
“Non defrauderai il salariato povero e bisognoso, sia egli uno dei tuoi fratelli o uno dei forestieri che stanno nel tuo paese, nelle tue città” (Dt 24,14).
“Quando, facendo la mietitura nel tuo campo, vi avrai dimenticato qualche mannello, non tornerai indietro a prenderlo; sarà per il forestiero, per l'orfano e per la vedova, perché il Signore tuo Dio ti benedica in ogni lavoro delle tue mani” (Dt 24,19).
“Quando bacchierai i tuoi ulivi, non tornerai indietro a ripassare i rami: saranno per il forestiero, per l'orfano e per la vedova” (Dt 24,20).
“Quando vendemmierai la tua vigna, non tornerai indietro a racimolare: sarà per il forestiero, per l'orfano e per la vedova” (Dt 24,21).
“E tu pronuncerai queste parole davanti al Signore tuo Dio: Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa” (Dt 26,5).
“Gioirai, con il levita e con il forestiero che sarà in mezzo a te, di tutto il bene che il Signore tuo Dio avrà dato a te e alla tua famiglia” (Dt 26,11).
“Quando avrai finito di prelevare tutte le decime delle tue entrate, il terzo anno, l'anno delle decime, e le avrai date al levita, al forestiero, all'orfano e alla vedova perché ne mangino nelle tue città e ne siano sazi…” (Dt 26,12).
“…Dirai dinanzi al Signore tuo Dio: Ho tolto dalla mia casa ciò che era consacrato e l'ho dato al levita, al forestiero, all'orfano e alla vedova secondo quanto mi hai ordinato; non ho trasgredito, né dimenticato alcuno dei tuoi comandi” (Dt 26,13).
“Maledetto chi lede il diritto del forestiero, dell'orfano e della vedova! Tutto il popolo dirà: Amen” (Dt 27,19).
“Radunerai il popolo, uomini, donne, bambini e il forestiero che sarà nelle tue città, perché ascoltino, imparino a temere il Signore vostro Dio e si preoccupino di mettere in pratica tutte le parole di questa legge” (Dt 31,12).
“Tutto Israele, i suoi anziani, i suoi scribi, tutti i suoi giudici, forestieri e cittadini stavano in piedi da una parte e dall'altra dell'arca, di fronte ai sacerdoti leviti, che portavano l'arca dell'alleanza del Signore, una metà verso il monte Garizim e l'altra metà verso il monte Ebal, come aveva prima prescritto Mosè, servo del Signore, per benedire il popolo di Israele” (Gs 8,33).
“Non ci fu parola, di quante Mosè aveva comandate, che Giosuè non leggesse davanti a tutta l'assemblea di Israele, comprese le donne, i fanciulli e i forestieri che soggiornavano in mezzo a loro” (Gs 8, 35).
“La terza decima poi era per gli orfani, le vedove e i forestieri che si trovavano con gli Israeliti. La portavo loro ogni tre anni e la si consumava insieme, come vuole la legge di Mosè e secondo le raccomandazioni di Debora moglie di Anàniel, la madre di nostro padre, poiché mio padre, morendo, mi aveva lasciato orfano” (Tb 1,8).
“Ascolta la mia preghiera, Signore, porgi l'orecchio al mio grido, non essere sordo alle mie lacrime, poiché io sono un forestiero, uno straniero come tutti i miei padri” (Sal 38,13).
“Uccidono la vedova e il forestiero, danno la morte agli orfani” (Sal 93,6).
“Quando erano in piccolo numero, pochi e forestieri in quella terra” (Sal 104,12).
“Non solo: ci sarà per i primi un giudizio, perché accolsero ostilmente dei forestieri” (Sap 19,15).
“Dice il Signore: Praticate il diritto e la giustizia, liberate l'oppresso dalle mani dell'oppressore, non fate violenza e non opprimete il forestiero, l'orfano e la vedova, e non spargete sangue innocente in questo luogo” (Ger 22,3).
“Non costruirete case, non seminerete sementi, non pianterete vigne e non ne possederete alcuna, ma abiterete nelle tende tutti i vostri giorni, perché possiate vivere a lungo sulla terra, dove vivete come forestieri” (Ger 35,7).
“In te si disprezza il padre e la madre, in te si maltratta il forestiero, in te si opprime l'orfano e la vedova” (Ez 22,7).
“Gli abitanti della campagna commettono violenze e si danno alla rapina, calpestano il povero e il bisognoso, maltrattano il forestiero, contro ogni diritto” (Ez 22,29).
“Lo dividerete in eredità fra voi e i forestieri che abitano con voi, i quali hanno generato figli in mezzo a voi; questi saranno per voi come indigeni fra gli Israeliti e tireranno a sorte con voi la loro parte in mezzo alle tribù d'Israele” (Ez 47, 22).
“Io mi accosterò a voi per il giudizio e sarò un testimone pronto contro gli incantatori, contro gli adùlteri, contro gli spergiuri, contro chi froda il salario all'operaio, contro gli oppressori della vedova e dell'orfano e contro chi fa torto al forestiero. Costoro non mi temono, dice il Signore degli eserciti” (Mal 3,5).
“Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato” (Mt 25,35).
“Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito?” (Mt 25m38).
“Ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato” (Mt 25, 43).
“Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?” (Mt 25,44).
“Carissimo, tu ti comporti fedelmente in tutto ciò che fai in favore dei fratelli, benché forestieri” (3Gv 1.5).
È grande il mistero di Cristo Gesù, Lui il pellegrino, Lui che abitò su questa terra da vero viandante, Lui che l’attraversò senza trovare in essa un posto dove posare il capo.
“Gli rispose Gesù: Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo”. (Mt 8,20).
“Gesù gli rispose: Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo” (Lc 9,58).
Il passo tutto intero così recita: “Vedendo Gesù una gran folla intorno a sé, ordinò di passare all'altra riva. Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: Maestro, io ti seguirò dovunque tu andrai. Gli rispose Gesù: Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo. E un altro dei discepoli gli disse: Signore, permettimi di andar prima a seppellire mio padre. Ma Gesù gli rispose: Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti” (Mt 8,18-22). “Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: Ti seguirò dovunque tu vada. Gesù gli rispose: Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo. A un altro disse: Seguimi. E costui rispose: Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre. Gesù replicò: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va’ e annunzia il regno di Dio. Un altro disse: Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa. Ma Gesù gli rispose: Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio” (Lc 9,57-62).
Se Cristo è vissuto forestiero su questa terra, ci potrà mai essere un suo discepolo che possa considerarsi residente fisso in essa?
Se tutti siamo forestieri, pellegrini, in cammino perenne, in viaggio verso la patria eterna, si potrà mai fare distinzione tra cristiano e cristiano, tra chi abita qui e chi abita altrove, dal momento che ognuno è sempre altrove e quindi sempre forestiero per il luogo dove attualmente si trova?
La fede non fa distinzione tra discepolo e discepolo, tra uomo e uomo. Neanche la carità deve fare distinzione. Se la fa, è segno che essa non nasce dalla vera fede in Cristo Gesù e nella sua Parola di salvezza.
Gaio si comporta fedelmente. Vive cioè di fede pura, santa, retta. La sua fede è retta, pura e santa, perché la sua carità è pura, retta, santa.
La carità diviene così la prova della verità della nostra fede. È vera quella fede che produce come frutto una carità limpida, universale, cattolica, senza distinzione, senza separazione, senza classificazione.
Se la carità non è vera carità, di sicuro neanche la fede è vera fede. Gaio è lodato perché la sua fede è vera. Lo attesta la sua carità vera.
[6]Essi hanno reso testimonianza della tua carità davanti alla Chiesa, e farai bene a provvederli nel viaggio in modo degno di Dio,
Gesù lo ha detto: “Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli”. (Mt 5,13-16).
Credente
00lunedì 9 gennaio 2012 12:23
I forestieri, accolti da Gaio e serviti con squisita carità, rendono testimonianza davanti alla Chiesa. Dicono alla Chiesa il bene ricevuto e chi lo ha fatto.
È obbligo di chi fa il bene il silenzio sul bene fatto. Anche questo insegna Cristo Gesù: “Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli. Quando dunque fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Quando invece tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6,1-4).
È obbligo di chi riceve il bene, manifestarlo perché sia imitato e soprattutto perché si renda gloria al Signore.
Il presbitero in questa Lettera addita Gaio come modello di carità, perché sia imitato in tutte le altre comunità cristiane.
I forestieri che hanno ricevuto il bene da Gaio lo testimoniano davanti alla Chiesa, perché si glorifichi il Signore.
La testimonianza del bene che si riceve aiuta la Chiesa a crescere nella carità e nella fede. La testimonianza infatti altro non è che l’annunzio che è possibile vivere in pienezza di fede.
Ciò che è possibile per uno è possibile anche per gli altri. Ciò che uno con la grazia di Dio riesce a fare, anche gli altri lo possono compiere.
Così la testimonianza diviene evangelizzazione, catechesi, predica, omelia. Tutto ciò però avviene e diviene non con le parole della fede, ma con le opere della carità.
Altra verità espressa in questo versetto è: “E farai bene a provvederli nel viaggio in modo degno di Dio”.
La carità è perfetta, quando risolve ogni necessità dei nostri fratelli.
Una carità che si limitasse al solo nutrimento, di certo non è la carità che Cristo Gesù ci ha insegnato ed anche mostrato con il dono di tutta la sua vita.
Il presbitero esorta Gaio a provvedere i fratelli stranieri per tutto ciò che essi hanno bisogno nel viaggio. Deve provvederli in modo degno di Dio.
Gaio non si può limitare ad una elemosina di comodo, o al minimo indispensabile. Deve invece provvedere con ogni magnanimità, abbondanza.
Tutto ciò che è loro necessario, lui deve offrirlo loro. Questo significa in modo degno di Dio: senza risparmiarsi in nulla.
Lui è invitato a dare a larghe mani, con misura pigiata e scossa, traboccante. Con la stessa magnanimità con la quale Dio tratta noi.
Solo un modo è degno di Dio: è il modo di chi tratta l’altro come se stesso, anzi come se fosse Dio in persona.
Se fosse Dio ad avere bisogno di qualcosa cosa farei? Ciò che farei con il Signore devo farlo con i miei fratelli forestieri.
D’altronde Cristo Gesù non si è forse identificato con il mondo del bisogno, della povertà, della nudità, della miseria, della fame, della sete, di coloro che sono stati privati della salute, della libertà, di ogni altro bene?
Il bene noi non lo facciamo agli uomini. Lo facciamo a Cristo Gesù, lo facciamo a Dio. Per questo è giusto chiederci sempre: cosa farei al Signore se fosse Lui stesso a chiedermi qualcosa? Come lo tratterei? Come tratterei Lui devo trattare ogni mio fratello più piccolo, nella misura delle mie possibilità. Solo non facendo alcuna differenza tra il bisognoso e Dio, si provvede all’altro in modo degno di Dio.
Fatta così la carità, ha veramente un sapore di cielo, un gusto divino, un profumo di paradiso.
Chi fa così la carità attesta di avere una fede grande, una grande visione soprannaturale della vita.
[7]perché sono partiti per amore del nome di Cristo, senza accettare nulla dai pagani.
Quando chiediamo la carità per noi stessi e per gli altri dobbiamo dare anche il motivo di giustizia per cui ricorriamo alla generosità dei fratelli.
Sarebbe un vero furto, una grave ingiustizia ricorrere alla carità dei fratelli senza un reale motivo di giustizia che rende la nostra richiesta esigenza della carità e non una richiesta arbitraria, peccaminosa.
Questo perché ognuno ha il dovere di guadagnarsi il pane con il sudore della fronte.
Tra il dare ed il ricevere deve sempre esserci la più stretta giustizia. Il nostro ricevere deve essere un salario per le nostre opere di giustizia e di verità fatte al Signore a beneficio della sua opera di salvezza.
Quando la carità salta l’osservanza della giustizia, essa non è più carità. È opera ingiusta e sovente anche iniqua. Di questa carità Dio non si compiace.
Tre esempi bastano a chiarire questo principio di santa e retta giustizia da osservare sempre, sempre, sempre:
Vangelo secondo Luca - cap. 10,1-11: “Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”.
Seconda lettera ai Tessalonicesi - cap. 3,6-15: “Vi ordiniamo pertanto, fratelli, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, di tenervi lontani da ogni fratello che si comporta in maniera indisciplinata e non secondo la tradizione che ha ricevuto da noi. Sapete infatti come dovete imitarci: poiché noi non abbiamo vissuto oziosamente fra voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato con fatica e sforzo notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi. Non che non ne avessimo diritto, ma per darvi noi stessi come esempio da imitare. E infatti quando eravamo presso di voi, vi demmo questa regola: chi non vuol lavorare neppure mangi. Sentiamo infatti che alcuni fra di voi vivono disordinatamente, senza far nulla e in continua agitazione. A questi tali ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di mangiare il proprio pane lavorando in pace. Voi, fratelli, non lasciatevi scoraggiare nel fare il bene. Se qualcuno non obbedisce a quanto diciamo per lettera, prendete nota di lui e interrompete i rapporti, perché si vergogni; non trattatelo però come un nemico, ma ammonitelo come un fratello”.
Prima lettera a Timoteo - cap. 5,3-21: “Onora le vedove, quelle che sono veramente vedove; ma se una vedova ha figli o nipoti, questi imparino prima a praticare la pietà verso quelli della propria famiglia e a rendere il contraccambio ai loro genitori, poiché è gradito a Dio. Quella poi veramente vedova e che sia rimasta sola, ha riposto la speranza in Dio e si consacra all'orazione e alla preghiera giorno e notte; al contrario quella che si dà  ai piaceri, anche se vive, è già morta. Proprio questo raccomanda, perché siano irreprensibili. Se poi qualcuno non si prende cura dei suoi cari, soprattutto di quelli della sua famiglia, costui ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele. Una vedova sia iscritta nel catalogo delle vedove quando abbia non meno di sessant'anni, sia andata sposa una sola volta, abbia la testimonianza di opere buone: abbia cioè allevato figli, praticato l'ospitalità, lavato i piedi ai santi, sia venuta in soccorso agli afflitti, abbia esercitato ogni opera di bene. Le vedove più giovani non accettarle perché, non appena vengono prese da desideri indegni di Cristo, vogliono sposarsi di nuovo e si attirano così un giudizio di condanna per aver trascurato la loro prima fede. Inoltre, trovandosi senza far niente, imparano a girare qua e là per le case e sono non soltanto oziose, ma pettegole e curiose, parlando di ciò che non conviene. Desidero quindi che le più giovani si risposino, abbiano figli, governino la loro casa, per non dare all'avversario nessun motivo di biasimo. Già alcune purtroppo si sono sviate dietro a satana. Se qualche donna credente ha con sé delle vedove, provveda lei a loro e non ricada il peso sulla Chiesa, perché questa possa così venire incontro a quelle che sono veramente vedove. I presbiteri che esercitano bene la presidenza siano trattati con doppio onore, soprattutto quelli che si affaticano nella predicazione e nell'insegnamento. Dice infatti la Scrittura: Non metterai la museruola al bue che trebbia e: Il lavoratore ha diritto al suo salario. Non accettare accuse contro un presbitero senza la deposizione di due o tre testimoni. Quelli poi che risultino colpevoli riprendili alla presenza di tutti, perché anche gli altri ne abbiano timore. Ti scongiuro davanti a Dio, a Cristo Gesù e agli angeli eletti, di osservare queste norme con imparzialità e di non far mai nulla per favoritismo”.
Questi “forestieri” hanno lasciato la loro città, la loro comunità, sono venuti da loro, si recano in altre parti, per amore del nome di Cristo.
Il loro fine è l’evangelizzazione, la proclamazione del Vangelo. Il loro scopo è anche recare conforto, sostegno, aiuto a tutti coloro che sono discepoli del Signore. Annunziare e ricordare il Vangelo è opera prettamente missionaria ed è per questo motivo che è giusto sostenerli nelle loro necessità materiali.
Inoltre questi “forestieri” hanno evitato di ricorrere ai pagani. Da loro non hanno accettato nulla. Lo hanno fatto sempre per amore del nome di Cristo Gesù.
La chiesa delle origini era gelosa di Cristo, del suo nome, della sua verità, del suo Vangelo, della sua Parola.
Essa custodiva questo Tesoro prezioso con somma cura. Evitava tutto ciò che in qualche modo avrebbe potuto costituire un pericolo e quindi compromettere la santità di beni così grandi.
Il principio che regolava la loro azione è semplice da individuare: non si ricorre all’aiuto di coloro che rifiutano Cristo per diffondere Cristo nel mondo.
Chi rifiuta Cristo deve sapere che ha rifiutato la vita e non può essere mezzo, strumento di vita per altri.
Questo però non come disprezzo dei pagani, piuttosto come norma e regola di evangelizzazione anche per loro. Così agendo i pagani avrebbero sempre potuto sapere che erano fuori della vera vita.
Ogni gesto che il cristiano compie lo deve compiere sempre a favore del Vangelo, della verità, della Parola, di Cristo.
Ogni gesto del cristiano mai potrà essere direttamente contro l’uomo. Deve essere sempre per l’uomo.
È per l’uomo se lo aiuta a riflettere, a meditare, a pensare, a decidersi, a scegliere, a convertirsi, ad aprirsi alla fede al Vangelo.
È per l’uomo se perennemente lo mette in condizione di fare la distinzione tra fede e non fede, Parola e non–parola, Vita e non–vita, Santità e peccato, Luce e tenebre, Verità e menzogna, Vero Dio e falsi dei, Vera Profezia e falsa; Vera Religione e tutte le forme di idolatria che sono nel mondo.
L’altro deve sempre sapere, per le azioni del cristiano, che lui non è nella verità, non è nella vita, non è nella santità.
L’altro deve sapere che tra lui e il cristiano c’è l’abisso di Cristo che li separa.
Se questo non avviene, il cristiano con la sua azione omologa il peccato, la falsità, l’idolatria, l’errore, la menzogna, la tenebra, la falsa adorazione di Dio.
È questo il più grande errore, o equivoco, o ambiguità in cui tutti noi possiamo cadere: la non presa di posizione netta, inequivocabile, precisa, puntuale, di assoluta verità tra la nostra fede e la non fede di chi rifiuta Cristo Gesù, o non lo accoglie come suo Signore, Salvatore, Dio.
Perché questa presa di posizione possa essere sempre attuata è giusto che la comunità cristiana, che è una nella sua essenza, perché uno è il Corpo di Cristo, venga in soccorso per tutte quelle necessità sia di ordine spirituale che materiale di tutti i suoi figli indistintamente.
Questo può avvenire se la fede nell’unità del corpo di Cristo è forte, irresistibile in ogni membro della comunità. Se questa fede è debole, incerta, inesistente, vacilla, diviene assai difficile vedere l’altro come corpo di Cristo, nostro corpo, da aiutare, sostenere, incoraggiare, favorire in ogni cosa per il nome di Cristo Gesù.
Il presbitero vede ogni cosa nella verità e santità della fede. Dalla fede vera e santa dona quella luce di saggezza divina perché la comunità possa svolgere in piena conformità con la Volontà di Dio la sua missione evangelizzatrice in questo mondo.
[8]Noi dobbiamo perciò accogliere tali persone per cooperare alla diffusione della verità.
Quanto detto in modo velato nel versetto precedente, è ora proferito con ogni chiarezza. Nel nome di Cristo Gesù significa per il presbitero nel nome della missione evangelizzatrice.
Tutti sono cooperatori, collaboratori del Vangelo.
Nel Nuovo Testamento questa verità è chiara, ben chiara. Nessuno deve sentirsi escluso dalla responsabilità di propagandare il glorioso messaggio di Cristo Signore.
Alcuni esempi lo attestano con divina chiarezza:
“Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù; per salvarmi la vita essi hanno rischiato la loro testa” (Rm 16,3).
“Salutate Urbano, nostro collaboratore in Cristo, e il mio caro Stachi” (Rm 16,9).
“Vi saluta Timòteo mio collaboratore, e con lui Lucio, Giasone, Sosìpatro, miei parenti” (Rm 16,21).
“Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete il campo di Dio, l'edificio di Dio” (1Cor 3,9).
“Siate anche voi deferenti verso di loro e verso quanti collaborano e si affaticano con loro” (1Cor 16,16).
“Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete già saldi” (2Cor 1,24).
“E poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio” (2Cor 6,1).
“Quale intesa tra Cristo e Beliar, o quale collaborazione tra un fedele e un infedele?” (2Cor 6,15).
“Quanto a Tito, egli è mio compagno e collaboratore presso di voi; quanto ai nostri fratelli, essi sono delegati delle Chiese e gloria di Cristo” (2Cor 8,23).
“Dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità” (Ef 4,16).
“E prego te pure, mio fedele collaboratore, di aiutarle, poiché hanno combattuto per il vangelo insieme con me, con Clemente e con gli altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita” (Fil 4,3).
“E Gesù, chiamato Giusto. Di quelli venuti dalla circoncisione questi soli hanno collaborato con me per il regno di Dio e mi sono stati di consolazione” (Col 4,11).
“E abbiamo inviato Timòteo, nostro fratello e collaboratore di Dio nel vangelo di Cristo, per confermarvi ed esortarvi nella vostra fede” (1Ts 3,2).
“Paolo, prigioniero di Cristo Gesù, e il fratello Timòteo al nostro caro collaboratore Filèmone” (Flm 1,1).
“Con Marco, Aristarco, Dema e Luca, miei collaboratori”(Flm 1,24).
Leggendo per intero due capitoli di Paolo – Seconda Corinzi 1 e Filippesi 1 – si può constatare come Paolo sviluppi il concetto di collaborazione, o cooperazione in modo vasto, esaustivo.
Questi due capitoli e quanto è stato riportato immediatamente prima ci possono aiutare a comprendere qual è il giusto significato nella collaborazione e cooperazione in ordine alla diffusione del Vangelo nel mondo.
Seconda lettera ai Corinzi - cap. 1,1-24: “Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Timòteo, alla chiesa di Dio che è in Corinto e a tutti i santi dell'intera Acaia: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo. Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio.
Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. Quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati, è per la vostra consolazione, la quale si dimostra nel sopportare con forza le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo.
La nostra speranza nei vostri riguardi è ben salda, convinti che come siete partecipi delle sofferenze così lo siete anche della consolazione. Non vogliamo infatti che ignoriate, fratelli, come la tribolazione che ci è capitata in Asia ci ha colpiti oltre misura, al di là delle nostre forze, sì da dubitare anche della vita.
Abbiamo addirittura ricevuto su di noi la sentenza di morte per imparare a non riporre fiducia in noi stessi, ma nel Dio che risuscita i morti. Da quella morte però egli ci ha liberato e ci libererà, per la speranza che abbiamo riposto in lui, che ci libererà ancora, grazie alla vostra cooperazione nella preghiera per noi, affinché per il favore divino ottenutoci da molte persone, siano rese grazie per noi da parte di molti.
Questo infatti è il nostro vanto: la testimonianza della coscienza di esserci comportati nel mondo, e particolarmente verso di voi, con la santità e sincerità che vengono da Dio. Non vi scriviamo in maniera diversa da quello che potete leggere o comprendere; spero che comprenderete sino alla fine, come ci avete già compresi in parte, che noi siamo il vostro vanto, come voi sarete il nostro, nel giorno del Signore nostro Gesù.
Con questa convinzione avevo deciso in un primo tempo di venire da voi, perché riceveste una seconda grazia, e da voi passare in Macedonia, per ritornare nuovamente dalla Macedonia in mezzo a voi ed avere da voi il commiato per la Giudea. Forse in questo progetto mi sono comportato con leggerezza? O quello che decido lo decido secondo la carne, in maniera da dire allo stesso tempo sì, sì e no, no,? Dio è testimone che la nostra parola verso di voi non è "sì" e "no". Il Figlio di Dio, Gesù Cristo che abbiamo predicato tra voi, io, Silvano e Timoteo, non fu "sì" e "no", ma in lui c'è stato il "sì". E in realtà tutte le promesse di Dio in lui sono divenute "sì". Per questo sempre attraverso lui sale a Dio il nostro Amen per la sua gloria.
E' Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l'unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito Santo nei nostri cuori. Io chiamo Dio a testimone sulla mia vita, che solo per risparmiarvi non sono più venuto a Corinto. Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete già saldi”.
Lettera ai Filippesi - cap. 1,1-30: “Paolo e Timoteo, servi di Cristo Gesù, a tutti i santi in Cristo Gesù che sono a Filippi, con i vescovi e i diaconi. Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo. Ringrazio il mio Dio ogni volta ch'io mi ricordo di voi, pregando sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera, a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del vangelo dal primo giorno fino al presente, e sono persuaso che colui che ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù.
E` giusto, del resto, che io pensi questo di tutti voi, perché vi porto nel cuore, voi che siete tutti partecipi della grazia che mi è stata concessa sia nelle catene, sia nella difesa e nel consolidamento del vangelo. Infatti Dio mi è testimonio del profondo affetto che ho per tutti voi nell'amore di Cristo Gesù. E perciò prego che la vostra carità si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento, perché possiate distinguere sempre il meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di quei frutti di giustizia che si ottengono per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.
Desidero che sappiate, fratelli, che le mie vicende si sono volte piuttosto a vantaggio del vangelo, al punto che in tutto il pretorio e dovunque si sa che sono in catene per Cristo; in tal modo la maggior parte dei fratelli, incoraggiati nel Signore dalle mie catene, ardiscono annunziare la parola di Dio con maggior zelo e senza timore alcuno.
Alcuni, è vero, predicano Cristo anche per invidia e spirito di contesa, ma altri con buoni sentimenti. Questi lo fanno per amore, sapendo che sono stato posto per la difesa del vangelo; quelli invece predicano Cristo con spirito di rivalità, con intenzioni non pure, pensando di aggiungere dolore alle mie catene. Ma questo che importa? Purché in ogni maniera, per ipocrisia o per sincerità, Cristo venga annunziato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene.
So infatti che tutto questo servirà alla mia salvezza, grazie alla vostra preghiera e all'aiuto dello Spirito di Gesù Cristo, secondo la mia ardente attesa e speranza che in nulla rimarrò confuso; anzi nella piena fiducia che, come sempre, anche ora Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia. Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere. Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; d'altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne.
Per conto mio, sono convinto che resterò e continuerò a essere d'aiuto a voi tutti, per il progresso e la gioia della vostra fede, perché il vostro vanto nei miei riguardi cresca sempre più in Cristo, con la mia nuova venuta tra voi. Soltanto però comportatevi da cittadini degni del vangelo, perché nel caso che io venga e vi veda o che di lontano senta parlare di voi, sappia che state saldi in un solo spirito e che combattete unanimi per la fede del vangelo, senza lasciarvi intimidire in nulla dagli avversari. Questo è per loro un presagio di perdizione, per voi invece di salvezza, e ciò da parte di Dio; perché a voi è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo; ma anche di soffrire per lui, sostenendo la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e che ora sentite dire che io sostengo”.
Cosa è nella sua più vera essenza la cooperazione, o collaborazione nella missione che Cristo Gesù ha affidato alla sua Chiesa?
La collaborazione, o cooperazione, è la realizzazione di un’unica opera – la diffusione del Vangelo, l’edificazione della comunità cristiana, il compimento della missione di salvezza a favore di tutti gli uomini – fatta da ogni credente, mettendo ognuno i suoi particolari doni di grazia, di verità, di santità, di ministero.
L’idea più perfetta della cooperazione, o collaborazione è quella espressa da Paolo nella Lettera agli Efesini.
Lettera agli Efesini - cap. 4.11-16: “E` lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo.
Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l'inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell'errore. Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità”.
L’altra grande verità sulla collaborazione, o cooperazione è quella espressa nella Prima Lettera ai Corinzi:
Prima lettera ai Corinzi - cap. 12,1-31: “Riguardo ai doni dello Spirito, fratelli, non voglio che restiate nell'ignoranza. Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare verso gli idoli muti secondo l'impulso del momento. Ebbene, io vi dichiaro: come nessuno che parli sotto l'azione dello Spirito di Dio può dire: Gesù è anàtema, così nessuno può dire: Gesù è Signore, se non sotto l'azione dello Spirito Santo.
Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune: a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell'unico Spirito; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose è l'unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole.
Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito. Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo, non per questo non farebbe più parte del corpo. E se l'orecchio dicesse: Poiché io non sono occhio, non appartengo al corpo, non per questo non farebbe più parte del corpo. Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l'udito? Se fosse tutto udito, dove l'odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l'occhio dire alla mano: Non ho bisogno di te; né la testa ai piedi: Non ho bisogno di voi. Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre.
Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi vengono i miracoli, poi i doni di far guarigioni, i doni di assistenza, di governare, delle lingue. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti operatori di miracoli? Tutti possiedono doni di far guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano? Aspirate ai carismi più grandi! E io vi mostrerò una via migliore di tutte”.
La verità espressa da Paolo nelle sue Lettere parla da sé. Essa non ha alcun bisogno di ulteriori illuminazioni teologiche.
Tuttavia una verità bisogna affermarla con chiarezza, con forza di Spirito Santo: la collaborazione, o cooperazione non è fare ciò che l’altro vuole che sia fatto, o ciò che le esigenze della comunità vorrebbero che venisse fatto.
La collaborazione evangelica è mettere nella storia, nella comunità nel corpo di Cristo, per il corpo di Cristo, con il corpo di Cristo, la potenza di grazia che il Signore ha concesso a ciascun membro del corpo.
La collaborazione evangelica è vivere ogni dono di grazia, di verità, di ministero, di santità, di scienza, di coscienza, di dottrina, nella comunione dell’unico corpo di Cristo Gesù.
Non c’è collaborazione, cooperazione quando non si mette il proprio dono a beneficio dell’unico corpo di Cristo.
Neanche c’è cooperazione, collaborazione, quando non si accetta il dono di grazia dell’altro.
Chi viola la santità del dono di grazia proprio o dei fratelli, mai potrà collaborare e cooperare all’edificazione del corpo di Cristo nella storia.
Il presbitero invita Gaio e tutte le comunità cristiane a volere accogliere i missionari del Vangelo.
Si accolgono come missionari. Si aiutano come missionari. Si sostengono come missionari, elargendo loro quei sussidi necessari perché la loro opera non soffra alcun impedimento.
Una comunità che non accoglie, non sostiene, non aiuta i missionari del Vangelo è una comunità che non collabora alla diffusione del Vangelo. È una comunità morta in se stessa.
Quando questa visione di fede sarà di ogni discepolo di Cristo Gesù, la Chiesa di Dio brillerà di luce divina. Il mondo vedrà questa luce e glorificherà il Signore.
Credente
00lunedì 9 gennaio 2012 12:24
Già il Signore lo aveva detto nel Suo Vangelo: “Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto. E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa” (Mt 10,40-42).
Chi accoglie un missionario come missionario e lo sostiene nella sua opera, coopera con lui alla diffusione della verità e avrà la ricompensa del missionario.
Questo significa: “Noi dobbiamo perciò accogliere tali persone per cooperare alla diffusione della verità”.
[9]Ho scritto qualche parola alla Chiesa ma Diòtrefe, che ambisce il primo posto tra loro, non ci vuole accogliere.
Questo versetto è oscuro nella sua storicità. Non abbiamo notizie dei fatti contenuti, o espressi in esso.
Non sappiamo chi sia Diòtrefe e quali le parole che il presbitero abbia scritto alla Chiesa. Sappiamo dal versetto che segue che la Chiesa è la comunità nella quale vive Gaio, cioè la stessa alla quale ha scritto questa lettera.
Sappiamo però che nella comunità cristiana non tutti vivono di santità, non tutti svolgono il servizio per edificare il corpo di Cristo.
Molti si servono della Chiesa per dare sfogo al loro vizio, o peccato.
Diòtrefe è uno che ambisce il primo posto. È uno che ama mettersi dinanzi a tutti.
Non ama questo per amore del Vangelo, della verità, della parola di salvezza.
Ama questo per la gloria della sua persona.
Chi cura la gloria della sua persona, mai potrà curare la gloria del corpo di Cristo.
Sono due glorie di cui l’una esclude l’altra. O si lavora per la gloria del corpo di Cristo, o per la gloria della propria persona.
Nella comunità di Dio tutto ciò che si vive, si opera, si fa, ogni ministero che si assume ha un unico e solo fine: edificare il corpo di Cristo, cooperare per la crescita della sua gloria.
L’ambizione è peccato grave, anzi gravissimo. È grave ed è gravissimo perché per mezzo di essa tutto ciò che si fa, si fa per se stessi e anche i fratelli sono asserviti al carro della propria gloria, distogliendoli dal carro di Cristo Gesù.
L’ambizione distrugge il corpo di Cristo, lo annienta. Un solo ambizioso nella comunità provoca danni incalcolabili.
Memorabile nell’Antico Testamento è l’ambizione di Assalonne, uno dei figli di Davide. I mali che egli procurò a causa di questo vizio non sconfitto furono infiniti, giunsero fino alla guerra civile, che poi si concluse con la stessa morte di lui.
Secondo libro di Samuele - cap. 15.1-37: “Ma dopo, Assalonne si procurò un carro, cavalli e cinquanta uomini che correvano davanti a lui. Assalonne si alzava la mattina presto e si metteva da un lato della strada di accesso alla porta della città; quando qualcuno aveva una lite e veniva dal re per il giudizio, Assalonne lo chiamava e gli diceva: Di quale città sei?, l'altro gli rispondeva: Il tuo servo è di tale e tale tribù d'Israele. Allora Assalonne gli diceva: Vedi, le tue ragioni sono buone e giuste, ma nessuno ti ascolta da parte del re. Assalonne aggiungeva: Se facessero me giudice del paese! Chiunque avesse una lite o un giudizio verrebbe da me e io gli farei giustizia.
Quando uno gli si accostava per prostrarsi davanti a lui, gli porgeva la mano, l'abbracciava e lo baciava. Assalonne faceva così con tutti gli Israeliti che venivano dal re per il giudizio; in questo modo Assalonne si cattivò l'affetto degli Israeliti. Ora, dopo quattro anni, Assalonne disse al re: Lasciami andare a Ebron a sciogliere un voto che ho fatto al Signore. Perché durante la sua dimora a Ghesùr, in Aram, il tuo servo ha fatto questo voto: Se il Signore mi riconduce a Gerusalemme, io servirò il Signore a Ebron! Il re gli disse: Và in pace! Egli si alzò e andò a Ebron.
Allora Assalonne mandò emissari per tutte le tribù d'Israele a dire: Quando sentirete il suono della tromba, allora direte: Assalonne è divenuto re a Ebron. Con Assalonne erano partiti da Gerusalemme duecento uomini, i quali, invitati, partirono con semplicità, senza saper nulla. Assalonne convocò Achitòfel il Ghilonita, consigliere di Davide, perché venisse dalla sua città di Ghilo ad assistere mentre offriva i sacrifici. La congiura divenne potente e il popolo andava crescendo di numero intorno ad Assalonne. Arrivò un informatore da Davide e disse: Il cuore degli Israeliti si è volto verso Assalonne.
Allora Davide disse a tutti i suoi ministri che erano con lui a Gerusalemme: Alzatevi, fuggiamo; altrimenti nessuno di noi scamperà dalle mani di Assalonne. Partite in fretta perché non si affretti lui a raggiungerci e faccia cadere su di noi la sventura e colpisca la città a fil di spada. I ministri del re gli dissero: Tutto secondo ciò che sceglierà il re mio signore; ecco, noi siamo i tuoi ministri.
Il re dunque uscì a piedi con tutta la famiglia; lasciò dieci concubine a custodire la reggia. Il re uscì dunque a piedi con tutto il popolo e si fermarono all'ultima casa. Tutti i ministri del re camminavano al suo fianco e tutti i Cretei e tutti i Peletei e Ittài con tutti quelli di Gat, seicento uomini venuti da Gat al suo seguito, sfilavano davanti al re. Allora il re disse a Ittài di Gat: Perché vuoi venire anche tu con noi? Torna indietro e resta con il re, perché sei un forestiero e per di più un esule dalla tua patria. Appena ieri sei arrivato e oggi ti farei errare con noi, mentre io stesso vado dove capiterà di andare? Torna indietro e riconduci con te i tuoi fratelli; siano con te la grazia e la fedeltà al Signore!. Ma Ittài rispose al re: Per la vita del Signore e la tua, o re mio signore, in qualunque luogo sarà il re mio signore, per morire o per vivere, là sarà anche il tuo servo.
Allora Davide disse a Ittài: Va’, prosegui pure! Ittài, quello di Gat, proseguì con tutti gli uomini e con tutte le donne e i bambini che erano con lui. Tutti quelli del paese piangevano ad alta voce, mentre tutto il popolo passava. Il re stava in piedi nella valle del Cedron e tutto il popolo passava davanti a lui prendendo la via del deserto. Ecco venire anche Zadòk con tutti i leviti, i quali portavano l'arca dell'alleanza di Dio. Essi deposero l'arca di Dio presso Ebiatàr, finché tutto il popolo non finì di uscire dalla città. Il re disse a Zadòk: Riporta in città l'arca di Dio! Se io trovo grazia agli occhi del Signore, egli mi farà tornare e me la farà rivedere insieme con la sua Dimora. Ma se dice: Non ti gradisco, eccomi: faccia di me quello che sarà bene davanti a lui. Il re aggiunse al sacerdote Zadòk: Vedi? Torna in pace in città con tuo figlio Achimaaz e Giònata figlio di Ebiatàr. Badate: io aspetterò presso i guadi del deserto, finché mi sia portata qualche notizia da parte vostra. Così Zadòk ed Ebiatàr riportarono a Gerusalemme l'arca di Dio e là dimorarono.
Davide saliva l'erta degli Ulivi; saliva piangendo e camminava con il capo coperto e a piedi scalzi; tutta la gente che era con lui aveva il capo coperto e, salendo, piangeva. Fu intanto portata a Davide la notizia: Achitòfel è con Assalonne tra i congiurati. Davide disse: Rendi vani i consigli di Achitòfel, Signore! Quando Davide fu giunto in vetta al monte, al luogo dove ci si prostra a Dio, ecco farglisi incontro Cusài, l'Archita, con la tunica stracciata e il capo coperto di polvere. Davide gli disse: Se tu procedi con me, mi sarai di peso; ma se torni in città e dici ad Assalonne: Io sarò tuo servo, o re; come sono stato servo di tuo padre prima, così sarò ora tuo servo, tu dissiperai in mio favore i consigli di Achitòfel. E non avrai forse là con te i sacerdoti Zadòk ed Ebiatàr? Quanto sentirai dire della reggia, lo riferirai ai sacerdoti Zadòk ed Ebiatàr. Ecco, essi hanno con loro i due figli, Achimaaz, figlio di Zadòk e Giònata, figlio di Ebiatàr; per mezzo di loro mi farete sapere quanto avrete sentito. Cusài, amico di Davide, arrivò in città quando Assalonne entrava in Gerusalemme.
Secondo libro di Samuele - cap. 16.1-23: “Davide aveva di poco superato la cima del monte, quando ecco Zibà, servo di Merib-Bàal, gli si fece incontro con un paio di asini sellati e carichi di duecento pani, cento grappoli di uva secca, cento frutti d'estate e un otre di vino. Il re disse a Zibà: Che vuoi fare di queste cose? Zibà rispose: Gli asini serviranno di cavalcatura alla reggia, i pani e i frutti d'estate sono per sfamare i giovani, il vino per dissetare quelli che saranno stanchi nel deserto. Il re disse: Dov'è il figlio del tuo signore? Zibà rispose al re: Ecco, è rimasto a Gerusalemme perché ha detto: Oggi la casa di Israele mi renderà il regno di mio padre. Il re disse a Zibà: Quanto appartiene a Merib-Bàal è tuo. Zibà rispose: Mi prostro! Possa io trovar grazia ai tuoi occhi, re mio signore!
Quando poi il re Davide fu giunto a Bacurìm, ecco uscire di là un uomo della stessa famiglia della casa di Saul, chiamato Simeì, figlio di Ghera. Egli usciva imprecando e gettava sassi contro Davide e contro tutti i ministri del re Davide, mentre tutto il popolo e tutti i prodi stavano alla destra e alla sinistra del re. Simeì, maledicendo Davide, diceva: Vattene, vattene, sanguinario, scellerato! Il Signore ha fatto ricadere sul tuo capo tutto il sangue della casa di Saul, al posto del quale regni; il Signore ha messo il regno nelle mani di Assalonne tuo figlio ed eccoti nella sventura che hai meritato, perché sei un sanguinario.
Allora Abisài figlio di Zeruià disse al re: Perché questo cane morto dovrà maledire il re mio signore? Lascia che io vada e gli tagli la testa! Ma il re rispose: Che ho io in comune con voi, figli di Zeruià? Se maledice, è perché il Signore gli ha detto: Maledici Davide! E chi potrà dire: Perché fai così?
Poi Davide disse ad Abisài e a tutti i suoi ministri: Ecco, il figlio uscito dalle mie viscere cerca di togliermi la vita: Quanto più ora questo Beniaminita! Lasciate che maledica, poiché glielo ha ordinato il Signore. Forse il Signore guarderà la mia afflizione e mi renderà il bene in cambio della maledizione di oggi.
Davide e la sua gente continuarono il cammino e Simeì camminava sul fianco del monte, parallelamente a Davide, e, cammin facendo, imprecava contro di lui, gli tirava sassi e gli lanciava polvere. Il re e tutta la gente che era con lui arrivarono stanchi presso il Giordano e là ripresero fiato.
Intanto Assalonne con tutti gli Israeliti era entrato in Gerusalemme e Achitòfel era con lui. Quando Cusài l'Archita, l'amico di Davide, fu giunto presso Assalonne gli disse: Viva il re! Viva il re! Assalonne disse a Cusài: Questa è la fedeltà che hai per il tuo amico? Perché non sei andato con il tuo amico? Cusài rispose ad Assalonne: No, io sarò per colui che il Signore e questo popolo e tutti gli Israeliti hanno scelto e con lui rimarrò. E poi di chi sarò schiavo? Non lo sarò forse di suo figlio? Come ho servito tuo padre, così servirò te.
Allora Assalonne disse ad Achitòfel: Consultatevi su quello che dobbiamo fare. Achitòfel rispose ad Assalonne: Entra dalle concubine che tuo padre ha lasciate a custodia della casa; tutto Israele saprà che ti sei reso odioso a tuo padre e sarà rafforzato il coraggio di tutti i tuoi. Fu dunque piantata una tenda sulla terrazza per Assalonne e Assalonne entrò dalle concubine del padre, alla vista di tutto Israele. In quei giorni un consiglio dato da Achitòfel era come una parola data da Dio a chi lo consulta. Così era di tutti i consigli di Achitòfel per Davide e per Assalonne.
Secondo libro di Samuele - cap. 17,1-29: “Achitòfel disse ad Assalonne: Sceglierò dodicimila uomini: mi metterò ad inseguire Davide questa notte; gli piomberò addosso mentre egli è stanco e ha le braccia fiacche; lo spaventerò e tutta la gente che è con lui si darà alla fuga; io colpirò solo il re e ricondurrò a te tutto il popolo, come ritorna la sposa al marito. La vita di un solo uomo tu cerchi; la gente di lui rimarrà tranquilla.
Questo parlare piacque ad Assalonne e a tutti gli anziani d'Israele. Ma Assalonne disse: Chiamate anche Cusài l'Archita e sentiamo ciò che ha in bocca anche lui. Quando Cusài fu giunto da Assalonne, questi gli disse: Achitòfel ha parlato così e così; dobbiamo fare come ha detto lui? Se no, parla tu! Cusài rispose ad Assalonne: Questa volta il consiglio dato da Achitòfel non è buono. Cusài continuò: Tu conosci tuo padre e i suoi uomini: sai che sono uomini valorosi e che hanno l'animo esasperato come un'orsa nella campagna quando le sono stati rapiti i figli; poi tuo padre è un guerriero e non passerà la notte con il popolo. A quest'ora egli è nascosto in qualche buca o in qualche altro luogo; se fin da principio cadranno alcuni dei tuoi, qualcuno lo verrà a sapere e si dirà: C'è stata una strage tra la gente che segue Assalonne. Allora il più valoroso, anche se avesse un cuore di leone, si avvilirà, perché tutto Israele sa che tuo padre è un prode e che i suoi uomini sono valorosi.
Perciò io consiglio che tutto Israele, da Dan fino a Bersabea, si raduni presso di te, numeroso come la sabbia che è sulla riva del mare, e che tu vada in persona alla battaglia. Così lo raggiungeremo in qualunque luogo si troverà e gli piomberemo addosso come la rugiada cade sul suolo; di tutti i suoi uomini non ne scamperà uno solo. Se invece si ritira in qualche città, tutto Israele porterà corde a quella città e noi la trascineremo nella valle, così che non se ne trovi più nemmeno una pietruzza.
Assalonne e tutti gli Israeliti dissero: Il consiglio di Cusài l'Archita è migliore di quello di Achitòfel. Il Signore aveva stabilito di mandare a vuoto il saggio consiglio di Achitòfel per far cadere la sciagura su Assalonne. Allora Cusài disse ai sacerdoti Zadòk ed Ebiatàr: Achitòfel ha consigliato Assalonne e gli anziani d'Israele così e così, ma io ho consigliato in questo modo. Ora dunque mandate in fretta ad informare Davide e ditegli: Non passare la notte presso i guadi del deserto, ma passa subito dall'altra parte, perché non venga lo sterminio sul re e sulla gente che è con lui.
Ora Giònata e Achimaaz stavano presso En-Roghèl, in attesa che una schiava andasse a portare le notizie che essi dovevano andare a riferire al re Davide; perché non potevano farsi vedere ad entrare in città. Ma un giovane li vide e informò Assalonne. I due partirono di corsa e giunsero a Bacurìm a casa di un uomo che aveva nel cortile una cisterna. Quelli vi si calarono e la donna di casa prese una coperta, la distese sulla bocca della cisterna e vi sparse grano pesto, così che non ci si accorgeva di nulla. I servi di Assalonne vennero in casa della donna e chiesero: Dove sono Achimaaz e Giònata? La donna rispose loro: Hanno passato il serbatoio dell'acqua. Quelli si misero a cercarli, ma, non riuscendo a trovarli, tornarono a Gerusalemme. Quando costoro se ne furono partiti, i due uscirono dalla cisterna e andarono ad informare il re Davide. Gli dissero: Muovetevi e passate in fretta l'acqua, perché così ha consigliato Achitòfel a vostro danno.
Allora Davide si mosse con tutta la sua gente e passò il Giordano. All'apparire del giorno, neppure uno era rimasto che non avesse passato il Giordano. Achitòfel, vedendo che il suo consiglio non era stato seguito, sellò l'asino e partì per andare a casa sua nella sua città. Mise in ordine gli affari della casa e s'impiccò. Così morì e fu sepolto nel sepolcro di suo padre. Davide era giunto a Macanàim, quando Assalonne passò il Giordano con tutti gli Israeliti. Assalonne aveva posto a capo dell'esercito Amasà invece di Ioab. Amasà era figlio di un uomo chiamato Itrà l'Ismaelita, il quale si era unito a Abigàl, figlia di Iesse e sorella di Zeruià, madre di Ioab. Israele e Assalonne si accamparono nel paese di Gàlaad. Quando Davide fu giunto a Macanàim, Sobì, figlio di Nacàs che era da Rabbà, città degli Ammoniti, Machìr, figlio di Ammiel da Lodebàr, e Barzillài, il Galaadita di Roghelìm, portarono letti e tappeti, coppe e vasi di terracotta, grano, orzo, farina, grano arrostito, fave, lenticchie, miele, latte acido e formaggi di pecora e di vacca, per Davide e per la sua gente perché mangiassero; infatti dicevano: Questa gente ha patito fame, stanchezza e sete nel deserto.
Secondo libro di Samuele - cap. 18,1-32: “Davide passò in rassegna la sua gente e costituì capi di migliaia e capi di centinaia per comandarla. Divise la gente in tre corpi: un terzo sotto il comando di Ioab, un terzo sotto il comando di Abisài figlio di Zeruià, fratello di Ioab, e un terzo sotto il comando di Ittài di Gat. Poi il re disse al popolo: Voglio uscire anch'io con voi! Ma il popolo rispose: Tu non devi uscire, perché se noi fossimo messi in fuga, non si farebbe alcun caso di noi; quand'anche perisse la metà di noi, non se ne farebbe alcun caso, ma tu conti per diecimila di noi; è meglio che ti tenga pronto a darci aiuto dalla città.
Il re rispose loro: Farò quello che vi sembra bene. Il re si fermò al fianco della porta, mentre tutto l'esercito usciva a schiere di cento e di mille uomini. Il re ordinò a Ioab, ad Abisài e ad Ittài: Trattatemi con riguardo il giovane Assalonne! E tutto il popolo udì quanto il re ordinò a tutti i capi nei riguardi di Assalonne.
L'esercito uscì in campo contro Israele e la battaglia ebbe luogo nella foresta di Efraim. La gente d'Israele fu in quel luogo sconfitta dai servi di Davide; la strage fu grande: in quel giorno caddero ventimila uomini. La battaglia si estese su tutta la contrada e la foresta divorò in quel giorno molta più gente di quanta non ne avesse divorato la spada. Ora Assalonne s'imbattè nei servi di Davide. Assalonne cavalcava il mulo; il mulo entrò sotto i rami di un grande terebinto e la testa di Assalonne rimase impigliata nel terebinto e così egli restò sospeso fra cielo e terra; mentre il mulo che era sotto di lui passava oltre. Un uomo lo vide e venne a riferire a Ioab: Ho visto Assalonne appeso a un terebinto.
Ioab rispose all'uomo che gli portava la notizia: Dunque, l'hai visto? E perché non l'hai tu, sul posto, steso al suolo? Io non avrei mancato di darti dieci sicli d'argento e una cintura. Ma quell'uomo disse a Ioab: Quand'anche mi fossero messi in mano mille sicli d'argento, io non stenderei la mano sul figlio del re; perché con i nostri orecchi abbiamo udito l'ordine che il re ha dato a te, ad Abisài e a Ittài: Salvatemi il giovane Assalonne! Se io avessi commesso di mia testa una perfidia, poiché nulla rimane nascosto al re, tu stesso saresti sorto contro di me.
Allora Ioab disse: Io non voglio perdere così il tempo con te. Prese in mano tre dardi e li immerse nel cuore di Assalonne, che era ancora vivo nel folto del terebinto. Poi dieci giovani scudieri di Ioab circondarono Assalonne, lo colpirono e lo finirono. Allora Ioab suonò la tromba e il popolo cessò di inseguire Israele, perché Ioab aveva trattenuto il popolo. Poi presero Assalonne, lo gettarono in una grande fossa nella foresta ed elevarono sopra di lui un enorme mucchio di pietre. Tutto Israele era fuggito ciascuno nella sua tenda.
Ora Assalonne mentre era in vita, si era eretta la stele che è nella Valle del re; perché diceva: Io non ho un figlio che conservi il ricordo del mio nome; chiamò quella stele con il suo nome e la si chiamò di Assalonne fino ad oggi. Achimaaz figlio di Zadòk disse a Ioab: Correrò a portare al re la notizia che il Signore gli ha fatto giustizia contro i suoi nemici. Ioab gli rispose: Oggi tu non sarai l'uomo della buona notizia, la porterai un altro giorno; non porterai oggi la bella notizia perché il figlio del re è morto. Poi Ioab disse all'Etiope: Va’ e riferisci al re quello che hai visto. L'Etiope si prostrò a Ioab e corse via.
Achimaaz, figlio di Zadòk, disse di nuovo a Ioab: Qualunque cosa avvenga, lasciami correre dietro all'Etiope. Ioab gli disse: Ma perché correre, figlio mio? La buona notizia non ti porterà nulla di buono. E l'altro: Qualunque cosa avvenga, voglio correre. Ioab gli disse: Corri! Allora Achimaaz prese la corsa per la strada della valle e oltrepassò l'Etiope. Davide stava seduto fra le due porte; la sentinella salì sul tetto della porta dal lato del muro; alzò gli occhi, guardò ed ecco un uomo correre tutto solo.
La sentinella gridò e avvertì il re. Il re disse: Se è solo, porta una buona notizia. Quegli andava avvicinandosi sempre più. Poi la sentinella vide un altro uomo che correva e gridò al guardiano: Ecco un altro uomo correre tutto solo! E il re: Anche questo porta una buona notizia. La sentinella disse: Il modo di correre del primo mi pare quello di Achimaaz, figlio di Zadòk. E il re disse: E` un uomo dabbene: viene certo per una lieta notizia!
Achimaaz gridò al re: Pace! Prostratosi dinanzi al re con la faccia a terra, disse: Benedetto sia il Signore tuo Dio che ha messo in tuo potere gli uomini che avevano alzato le mani contro il re mio signore! Il re disse: Il giovane Assalonne sta bene? Achimaàz rispose: Quando Ioab mandava il servo del re e me tuo servo, io vidi un gran tumulto, ma non so di che cosa si trattasse.
Il re gli disse: Mettiti là, da parte Quegli si mise da parte e aspettò. Ed ecco arrivare l'Etiope che disse: Buone notizie per il re mio signore! Il Signore ti ha reso oggi giustizia, liberandoti dalle mani di quanti erano insorti contro di te.
Il re disse all'Etiope: Il giovane Assalonne sta bene? L'Etiope rispose: Diventino come quel giovane i nemici del re mio signore e quanti insorgono contro di te per farti il male!”
Abbiamo riportato questa storia, perché ognuno si renda conto quanto male è capace di generare l’ambizione.
Quando essa si impossessa del cuore di un uomo, è la fine per quel cuore ed è la fine anche della pace in seno alla comunità degli uomini.
L’ambizione infatti è figlia della superbia ed ha come sorelle l’invidia e la gelosia.
Sono questi i vizi peggiori che si possono attaccare ad un cuore. Diòtrefe è gravemente infetto e per questo crea divisioni nella comunità.
La prima e più grave divisione è quella di mettere la comunità contro l’apostolo del Signore.
È quanto faceva Assalonne con il popolo di Dio. Lo rivoltava contro Davide che era il Re prescelto dal Signore.
Diòtrefe non accoglie la parola del presbitero. Non accoglie il presbitero. Getta discredito sul suo conto presso i fedeli.
Ecco la sua tattica velenosa:
[10]Per questo, se verrò, gli rinfaccerò le cose che va facendo, sparlando contro di noi con voci maligne. Non contento di questo, non riceve personalmente i fratelli e impedisce di farlo a quelli che lo vorrebbero e li scaccia dalla Chiesa.
La sua tattica velenosa consiste in scelte operative precise. Egli può ergersi a capo della comunità in un solo modo: distruggendo nel cuore dei fedeli l’autorità e la figura del presbitero.
Questo può avvenire operando su due fronti: contro il presbitero e contro i fedeli in Cristo Gesù.
Contro il presbitero opera infangando il suo nome, sparlando contro di lui con voci maligne.
La malignità è propria di satana, del diavolo. Essa è generata nel cuore dall’invidia. È rafforzata dalla malizia e dalla malvagità.
Quando questi tre vizi si impossessano di un cuore, dal cuore viene eruttata nella comunità una lava di morte.
I danni che provocano questi tre vizi in seno alla comunità degli uomini sono veramente incalcolabili. Essi si possono chiamare con un solo nome: distruzione e morte.
Il Nuovo Testamento vede il diavolo come il padre di ogni malignità. Vede la malignità nella sua forza di devastazione e di annientamento di ogni bene spirituale. Dove si insedia la malignità, si stabilisce la morte.
“Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Mt 5,37).
“Tutte le volte che uno ascolta la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada” (Mt 13,19).
Credente
00lunedì 9 gennaio 2012 12:27
“Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del maligno” (Mt 13,38).
“Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: Ipocriti, perché mi tentate?” (Mt 22,18).
“Costoro lo interrogarono: Maestro, sappiamo che parli e insegni con rettitudine e non guardi in faccia a nessuno, ma insegni secondo verità la via di Dio. E` lecito che noi paghiamo il tributo a Cesare? Conoscendo la loro malizia, disse: Mostratemi un denaro: di chi è l'immagine e l'iscrizione?. Risposero: Di Cesare. Ed egli disse: Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. Così non poterono coglierlo in fallo davanti al popolo e, meravigliati della sua risposta, tacquero. (Lc 20,21-26).
“Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno” (Gv 17,15).
“O uomo pieno di ogni frode e di ogni malizia, figlio del diavolo, nemico di ogni giustizia, quando cesserai di sconvolgere le vie diritte del Signore?” (At 13,10).
“Colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori” (Rm 1,29).
“Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità” (1Cor 5,8).
“Fratelli, non comportatevi da bambini nei giudizi; siate come bambini quanto a malizia, ma uomini maturi quanto ai giudizi” (1Cor 14,20).
“Temo però che, come il serpente nella sua malizia sedusse Eva, così i vostri pensieri vengano in qualche modo traviati dalla loro semplicità e purezza nei riguardi di Cristo” (2Cor 11,3).
“Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità” (Ef 4,31).
“Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno” (Ef 6,16).
“Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca” (Col 3,8).
“Ma il Signore è fedele; egli vi confermerà e vi custodirà dal maligno” (2Ts 3,3).
“Perciò, deposta ogni impurità e ogni resto di malizia, accogliete con docilità la parola che è stata seminata in voi e che può salvare le vostre anime” (Gc 1,21).
“Deposta dunque ogni malizia e ogni frode e ipocrisia, le gelosie e ogni maldicenza” (1Pt 2,1).
“Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio” (1Pt 2,16).
“Scrivo a voi, padri, perché avete conosciuto colui che è fin dal principio. Scrivo a voi, giovani, perché avete vinto il maligno” (1Gv 2,13).
“Ho scritto a voi, figlioli, perché avete conosciuto il Padre. Ho scritto a voi, padri, perché avete conosciuto colui che è fin dal principio. Ho scritto a voi, giovani, perché siete forti, e la parola di Dio dimora in voi e avete vinto il maligno” (1Gv 2,14).
“Non come Caino, che era dal maligno e uccise il suo fratello. E per qual motivo l'uccise? Perché le opere sue erano malvagie, mentre quelle di suo fratello eran giuste” (1Gv 3,12).
“Sappiamo che chiunque è nato da Dio non pecca: chi è nato da Dio preserva se stesso e il maligno non lo tocca” (1Gv 5,18).
“Noi sappiamo che siamo da Dio, mentre tutto il mondo giace sotto il potere del maligno” (1Gv 5,19).
“Per questo, se verrò, gli rinfaccerò le cose che va facendo, sparlando contro di noi con voci maligne. Non contento di questo, non riceve personalmente i fratelli e impedisce di farlo a quelli che lo vorrebbero e li scaccia dalla Chiesa” (3Gv 1,10).
Con le sue voci maligne Diòtrefe infanga la persona del presbitero. Lo dipinge agli occhi della comunità come un nemico della verità, del bene. Lo distrugge nel loro cuore, in modo che possa mettere al suo posto se stesso.
È questa vera tattica diabolica. Chi opera questo è vero nemico di Dio, un idolatra, uno che distrugge il regno di Dio, anziché edificarlo sulla terra.
Al maligno non interessa il Vangelo, la sua diffusione tra gli uomini e neanche l’edificazione della comunità cristiana. Al maligno interessa solo se stesso. Perché lui sia celebrato, esaltato, adorato, magnificato, messo al posto di Dio nella comunità, è capace di qualsiasi cosa.
Quando un cuore è governato dalla malignità, tutto è capace di fare perché raggiunga lo scopo prefissato: anche la morte fisica di quanti pongono ostacolo sul suo cammino di stoltezza e di insipienza.
Dalla malignità dei sommi sacerdoti, degli scribi e dei farisei Cristo Gesù fu messo a morte, fu da loro condannato come bestemmiatore.
Diòtrefe, nella sua insana mira di ottenere il primo posto nella comunità, non solo infanga la persona del presbitero perché non venga più né amato, né rispettato, né riverito come “naturale” capo della comunità, quanto anche mette in moto un’altra astuta macchina da guerra contro la verità e contro il bene.
Lui fa di tutto per creare il vuoto attorno alla comunità nella quale vive.
Se una comunità viene chiusa in se stessa, è facile governarla con la bugia, la menzogna, la falsità, la malignità, l’astuzia, l’inganno, l’ambiguità, ogni altro ritrovato delle tenebre e dell’errore.
È come se in una casa si chiudessero tutte le porte e le finestre. Il buio sarebbe eterno. La luce mai potrebbe illuminare questa casa.
Diòtrefe chiude porte e finestre ad ogni possibile luce di verità e di santità proveniente dalle altre comunità.
Se un cristiano, un fedele, uno che ama la verità e la luce viene da un’altra comunità e vede le tenebre nelle quali questi discepoli di Cristo sono rinchiusi, prigionieri, schiavi, con una sua parola potrebbe far ritornare la luce nei loro cuori, la verità nelle loro menti.
Come fare perché questo non avvenga? Si chiudono le porte e le finestre della comunità a quanti vengono dalle altre comunità, nelle quali si respira aria di verità, di carità, di amore, di rispetto, di sincerità, di santità.
Diòtrefe personalmente si rifiuta di accogliere i fratelli. Personalmente pone un muro di bronzo, una porta di acciaio invalicabile a quanti vengono da fuori.
Non contento di questo e temendo che altri possono aprire le porte del loro cuore e della loro casa ai fratelli delle altre comunità, impedisce di farlo a quelli che vorrebbero farlo.
Se la frase ultima: “li scaccia dalla Chiesa”, si riferisce a quelli che vorrebbero accogliere i fratelli, siamo veramente al sommo della cattiveria, della malignità, della malvagità.
Scacciare dalla Chiesa quanti vorrebbero accogliere i fratelli, è opera di distruzione della comunità cristiana.
Ma è anche volontà satanica di schiavizzare, tenendoli legati con corde indistruttibili di falsità, tutti i membri della comunità cristiana.
Il peso del peccato è anche questo. Nessuna comunità cristiana può ritenersi esente da uomini come Diòtrefe.
La domanda giusta da porsi è questa: ci si può liberare da siffatti uomini? La risposta giusta è una sola: ci si può liberare ad una sola condizione: che si scelga il martirio pur di non lasciarsi schiavizzare dalla malignità di questi uomini.
Il presbitero manifesta a Gaio l’intenzione di riprendere a viso aperto Diòtrefe per rinfacciargli le cose che sta facendo.
La sola parola del presbitero non è sufficiente, se non viene sostenuta dalla presa di posizione di tutta la comunità cristiana.
Ci sono momenti nella vita del popolo di Dio in cui la via della verità e della salvezza passa per il presbitero, per le sue scelte, per le sue prese di posizioni.
Se lui tace, subisce, si lascia imprigionare nell’errore e nella falsità, è la sua fine e di tutta la comunità.
Il male si vince con la scelta del bene sempre. Per scegliere il bene bisogna avere la forza nello Spirito Santo di andare fino in fondo nella scelta della verità, della carità, della fede, della speranza. Il “fino in fondo” del bene è la croce. Solo dalla croce si sceglie e si difende il bene.
Diòtrefe è l’attestazione che anche nella comunità cristiana si può insediare il male. Neanche essa è esente dalla malizia, dalla perversità, dalla malignità.
Diòtrefe insegna a tutti noi che buon grano e zizzania sono cresciuti, crescono e cresceranno sempre insieme. Solo alla fine del mondo, verranno gli Angeli di Dio e separeranno i buoni dai cattivi.
Fino a quel giorno chi vuole perseverare sino alla fine, lo deve fare solo sul proprio sangue, sul proprio martirio, sul sacrificio dell’offerta di se stesso al Padre.
Il mistero dell’iniquità si potrà sempre nella comunità impadronire di chiunque. Ognuno pertanto è chiamato a vigilare perché rimanga sempre nella verità. Ognuno è invitato a stare attento a non lasciarsi tentare dal mistero dell’iniquità.
La comunione con il mistero dell’iniquità ci rende responsabili di tutti i misfatti che il mistero dell’iniquità commette.
[11]Carissimo, non imitare il male, ma il bene. Chi fa il bene è da Dio; chi fa il male non ha veduto Dio.
Gaio è invitato dal presbitero a non imitare il male. Gli chiede di fare sempre il bene.
Il male non si fa solo per imitazione di coloro che lo fanno. Il male si fa anche prestando collaborazione a coloro che fanno il male.
Il male si fa anche non denunciandolo apertamente; giustificando coloro che lo fanno; non prendendo posizione netta contro il male.
Il cristiano, se vuole evitare di fare il male, deve scegliere la verità di Dio e per questa verità non conoscere nessuno sulla terra.
La verità obbliga a stare dalla parte della verità sempre, con ogni mezzo, ogni modo, con tutte le persone.
La connivenza, l’omertà, il silenzio, il chiudere un occhio, il far finta di non sentire, ogni altra azione attiva e passiva, che in qualche modo viene percepita dall’altro, da chiunque altro, come sintonia, comunione, partecipazione al male dell’altro, ci rende responsabile del male che l’altro compie.
Essere cristiani è veramente difficile. Non è difficile per la scelta di Cristo Gesù che bisogna operare sempre. È difficile per la scelta di non cooperare mai, in nessun modo, in nessuna circostanza, con coloro che fanno il male.
È difficile perché dobbiamo sempre e comunque fare professione di bene, di verità, di giustizia, di santità, contro ogni forma di male, anche la più piccola ed insignificante ai nostri occhi.
È difficile perché dobbiamo rimanere nella più grande saggezza, sapienza, intelligenza di Spirito Santo per non essere coinvolti nella rete del male che l’altro tende sui nostri passi.
Cristo Gesù non ebbe mai nessun contatto con quanti nel suo tempo erano operatori di iniquità.
Il presbitero dona la ragione per cui Gaio deve stare e rimanere sempre nel bene. Chi fa il bene è da Dio. Chi fa il male non ha veduto Dio.
La ragione è teologica, prima che morale. E sempre la ragione deve essere teologica per essere morale.
Se una ragione non trova nella teologia la sua verità, essa mai potrà dirsi morale, anche se la si vuole far passare come tale.
Anche in questo caso gli errori sono molteplici, sono tanti. Molte motivazioni morali sono fondate sulla ragione umana. Questa è capace di giustificare ogni peccato, ogni misfatto, ogni delitto, ogni iniquità, ogni nefandezza.
Dinanzi alla ragione umana tutto alla fine può divenire “norma morale”, “norma etica”, “norma di comportamento”.
L’odierna società si fonda proprio su questo equivoco. Essa pretende di porre a fondamento della sua moralità la ragione dell’uomo.
La ragione non ha in sé né la forza, né la luce, né la volontà di fondare ciò che è morale secondo Dio.
D’altronde, se la ragione della moralità di un atto è in Dio, questa ragione non potrà mai essere nell’uomo.
Se è in Dio, essa potrà solo essere teologica, mai antropologica.
Chi fa il bene è da Dio, perché è innestato in Dio, è divenuto partecipe della sua divina natura.
Chi è da Dio, è da Dio perché è in Dio ed è con Dio. Se è in Dio, con Dio, da Dio non può produrre se non ciò che opera Dio e Dio opera solo il bene.
Chi fa il male si è distaccato da Dio e quindi opera in conformità alla sua natura che è natura corrotta dal peccato, intrisa di concupiscenza, immersa nei vizi, priva di verità, avvolta dalle tenebre.
Queste due piccole affermazioni del presbitero: “Chi fa il bene è da Dio; chi fa il male non ha veduto Dio”, dovrebbe condurre tutti noi ad un cambio radicale di mentalità in seno al popolo di Dio.
Il cambiamento è questo: noi cristiani che siamo i portatori di Dio nel mondo, ci stiamo trasformando in assertori di una moralità a favore dell’uomo, ma senza Dio.
Ci potrà mai essere una moralità vera senza essere da Dio? Ci potrà mai essere senza Dio la capacità in un uomo di fare il bene, tutto il bene secondo Dio?
Se questo fosse possibile, noi tutti non avremmo più bisogno di Cristo Salvatore e Redentore dell’uomo. Noi tutti non avremmo bisogno della fede in Cristo per essere uomini secondo Dio.
Cristo Gesù è la via per essere di Dio, in Dio, con Dio, da Dio. Cristo Gesù è la via perché ogni uomo possa compiere le opere di Dio. Non solo è la via, è anche la verità delle opere di Dio, assieme alla vita che ci consente di poter operare sempre il bene secondo Dio.
L’affermazione del presbitero ci insegna due verità. La prima è questa: ognuno di noi può proclamarsi da Dio. Ognuno può dire di essere vero cristiano, cristiano santo, cristiano secondo il cuore di Dio.
Ognuno di noi però può sempre sapere se ciò che lui dice di sé è vero, oppure è falso. È vero se fa il bene. È vero cristiano chi fa il bene. È falso cristiano chi fa il male. È falso perché chi fa il male non ha veduto Dio. Chi fa il male non conosce Dio.
La seconda verità è questa: se noi vogliamo che una persona faccia il bene secondo Dio, dobbiamo far sì che questa persona sia da Dio ed è da Dio in un solo modo: divenendo da Cristo, facendo con Cristo un solo corpo.
Chi non è da Cristo, mai potrà essere da Dio. Se dice di essere da Dio, senza essere da Cristo, la sua affermazione è falsa.
Gesù lo dice con chiarezza: “senza di me non potete fare nulla”. È Lui la via che ci conduce al Padre, è Lui la carne, il corpo attraverso il quale noi siamo da Dio.
È da Dio chiunque è in Cristo Gesù. È in Cristo Gesù chi è nella sua Parola. È nella sua Parola chi è nel suo corpo. È nel suo corpo chi si è lasciato battezzare e quindi è nato da acqua e da Spirito Santo.
L’opera della Chiesa sarà opera antropologica, se diviene opera teologica. Se la Chiesa smette di compiere l’opera teologica, essa mai potrà compiere una sola opera antropologica.
Non può, perché il bene lo compie chi è da Dio. Chi non è da Dio, perché lasciato nella sua vecchia natura, mai potrà compiere le opere di Dio.
L’opera teologica consente di fare bene ogni opera antropologica. L’opera antropologica da sola mai potrà divenire opera teologica.
Lo potrà divenire in un solo caso: quando essa è vera opera antropologica, perché compiuta dall’opera teologica ed è compiuta solo come segno della verità che è in noi.
Chi è da Dio, deve vivere sempre secondo la verità di Dio, la sua volontà. Questa vita secondo la verità e la volontà di Dio per gli altri deve essere segno della potenza di santità che è in tutti coloro che sono da Dio.
L’opera antropologica vera la compie solo il cristiano nei riguardi del mondo intero. Compiendola, deve dire al mondo intero perché solo lui può e gli altri non possono. Così facendo, egli annunzia il Vangelo secondo verità, perché tutti coloro che vogliono, si convertano e credano per avere la vita, per essere da Dio, per compiere le opere di Dio.
Predicare all’uomo che deve fare le opere di Dio senza essere da Dio, senza indicare come si diviene da Dio, come si nasce da Lui, qual è la via per nascere ed essere da Dio, è tradimento che l’uomo di Dio fa della sua verità, della sua missione, del suo mandato specifico ricevuto da parte di Cristo Gesù. Sul tradimento di Cristo non si può costruire l’uomo nuovo. Sul rinnegamento della propria missione mai potrà sorgere opera antropologicamente buona, perfetta, santa.
Chi vuole le cose di Dio, deve essere da Dio. Se rifiuta di essere da Dio, non potrà fare le cose di Dio.
In questo errore è la confusione che regna oggi in molti cristiani nella Chiesa.
In questo errore è il fallimento di tutta la nostra pastorale.
In questo errore è il fallimento della nostra missione di evangelizzatori di Cristo Gesù.
[12]Quanto a Demetrio, tutti gli rendono testimonianza, anche la stessa verità; anche noi ne diamo testimonianza e tu sai che la nostra testimonianza è veritiera.
Chi sia Demetrio e cosa faccia è assai difficile da potersi determinare. Compare infatti nel Nuovo Testamento solo in questo versetto.
Negli Atti degli Apostoli si parla di un altro Demetrio, ma quello è un pagano, un costruttore di immagini di divinità pagane.
“Un tale, chiamato Demetrio, argentiere, che fabbricava tempietti di Artèmide in argento e procurava in tal modo non poco guadagno agli artigiani” (At 19,24).
“Perciò se Demetrio e gli artigiani che sono con lui hanno delle ragioni da far valere contro qualcuno, ci sono per questo i tribunali e vi sono i proconsoli: si citino in giudizio l'un l'altro” (At 19,38).
Da quanto il versetto insegna, sicuramente Demetrio è un personaggio di spicco nella comunità, un lavoratore attento e scrupoloso nella vigna del Signore.
Tutti infatti riconoscono la sua fedeltà al Vangelo, alla Parola. C’è un consenso unanime che si esprime favorevolmente su di lui e sulle sue opere.
Non solo le persone con le quali lui viene a contatto attestano che in lui non vi è difformità alcuna tra la fede e la vita, anche la verità gli rende testimonianza.
È grande questa affermazione del presbitero. Dire che la verità rende testimonianza ad una persona equivale a dire che la Parola, il Vangelo, la fede, lo Spirito Santo attestano per lui.
Il comportamento di Demetrio è così limpido, chiaro, trasparente, nitido da far apparire all’istante la perfetta conformazione con la Parola del Vangelo.
Chi legge il Vangelo e osserva la vita di Demetrio deve constatare che non vi è alcuna difformità.
Questa testimonianza della verità dovrebbe possedere ogni discepolo di Cristo Gesù. È in questa testimonianza la sua vera essenza cristiana. Se questa testimonianza non avviene, è segno che qualcosa ancora non è del tutto in conformità con il Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo.
Il presbitero si premura a far conoscere a tutta la comunità che in questa testimonianza si inserisce anche lui. Anche lui conosce questa perfetta conformazione della vita di Demetrio con il Vangelo e lo attesta, lo annunzia, lo manifesta.
La sua è una testimonianza particolare, differente da ogni altra testimonianza. La sua – cioè quella del presbitero – è la testimonianza di chi nella comunità ha il posto di Cristo, di chi ha le chiavi della scienza del regno dei cieli per discernere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, il vero dal falso, ciò che è Vangelo da ciò che Vangelo non è nella vita di una persona.
La testimonianza del presbitero è veritiera, ma su un livello superiore. È veritiera per autorità di presbitero. È veritiera perché sancisce in modo autorevole la conformità di una vita con il Vangelo.
Il suo è un vero discernimento, un discernimento autorevole, cioè fatto da chi ha l’autorità di separare, o di dichiarare vero il vero e falso il falso.
Il suo è il discernimento di chi ha ricevuto da Cristo Gesù il potere di legare e di sciogliere, di legare alla verità, di sciogliere dall’errore, dalla falsità, dalla menzogna, dalle tenebre, dal buio.
In tal senso la sua testimonianza è differente da qualsiasi altra resa dai molti. È differente perché gli altri sanciscono una verità di ordine storico. Lui invece afferma e ribadisce una verità di ordine teologico.
Oggi è proprio questa testimonianza autorevole che manca a molti cristiani. Oserei dire che manca proprio questa testimonianza in sé.
Manca o perché si ha paura di pronunciarla, o perché non si è in grado di poterla pronunciare. Manca perché in molti cuori non c’è una verità oggettiva. Manca perché c’è un soggettivismo così diffuso che non si ha più neanche il concetto, la nozione di verità fuori di noi.
Eppure la forza della comunità cristiana è in questo discernimento di autorità. È ispirata – e solo per ispirazione il presbitero avrebbe potuto dirlo – l’aggiunta: e tu sai che la nostra testimonianza è veritiera. Tu sai cioè che noi non seguiamo i nostri pensieri, non andiamo dietro i nostri sentimenti, non corriamo dietro le nostre idee, non ci pronunciamo per ciò che sentiamo dire dalla gente.
Tu invece sai che seguiamo una cosa sola: la verità che nasce dalla Parola, che è tutta nella Parola, che è fuori di noi e alla quale noi abbiamo dato il nostro assenso di fede. È secondo questa Parola colta nella sua più pura oggettività che noi rendiamo testimonianza.
Oggettività e verità devono essere una cosa sola in chi vuole rendere testimonianza. Quando nella verità entra il soggettivismo è la morte della verità ed è la falsità della testimonianza.
L’oggettività della verità richiede ad ognuno di noi la più grande, la più perfetta, la più santa povertà in spirito, che consiste proprio in questo: spogliarci di ogni nostro pensiero, desiderio, volontà, perché solo il pensiero, il desiderio, la volontà di Dio governi il nostro spirito ed inondi il nostro cuore.
Questo significa che solo il santo può abbracciare la verità oggettiva ed è santo proprio perché si è voluto e si è lasciato liberare il cuore da ogni forma di soggettivismo nella verità e nella fede. È santo perché ha scelto il rinnegamento di se stesso come unica e sola norma del suo essere all’interno della verità e della fede.
Poiché il presbitero ha rinnegato se stesso, è povero in spirito, è guidata dalla verità che è fuori di lui, lui veramente può rendere testimonianza alla verità. La sua testimonianza è veritiera.
[13]Molte cose avrei da scriverti, ma non voglio farlo con inchiostro e penna.
Ci sono delle cose pubbliche e delle cose private, ciò che si può scrivere, esponendo alla pubblica lettura e solo ciò che il cuore può ascoltare e nessun altro.
L’apostolo di Cristo Gesù deve essere l’uomo del sano, giusto, perfetto discernimento per ogni occasione, circostanza, persona, tempo, luogo.
Chi manca di questo sano discernimento, di sicuro arrecherà molti danni spirituali – e non solo – all’interno della comunità cristiana.
Sapere ciò che si può dire per iscritto e ciò che invece bisogna confidare alla segretezza del cuore è scienza di Spirito Santo, è quella sapienza che è suo dono e che consiste nell’esercizio delle quattro virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza.
Non tutto infatti si può scrivere, non tutto si può affidare alla carta.
Ci sono delle cose che appartengono alla coscienza, al cuore, all’intelligenza del singolo.
Ciò che appartiene al singolo, al singolo bisogna affidarlo, perché lo custodisca gelosamente nel cuore.
Ognuno che ha responsabilità in seno alla comunità, deve sempre sapere ciò che deve essere detto a voce, ciò che può essere messo per iscritto; ciò che deve essere predicato a tutti, ciò che deve essere rivelato al cuore.
Chi non possiede questa scienza, di sicuro provocherà grandi danni in seno alla comunità di Cristo Gesù.
Verità e carità in seno alla comunità cristiana devono essere una sola regola, o norma di relazionarsi.
Né la carità, senza la verità, ma neanche la verità senza la carità. Esse sono in Cristo una cosa sola. Devono rimanere una cosa sola in tutti i suoi discepoli.
La carità senza la verità non è vera carità. La carità è il dono della salvezza totale ad ogni cuore.
La verità senza la carità non è verità. La verità è l’amore attraverso il quale Cristo Gesù ci ama e ci attrae alla sua Parola che è Parola di vita eterna.
Verità e carità sono un unico mistero di salvezza. Nella vita e nell’annunzio deve sempre rimanere un solo mistero.
Verità e carità, insieme, fanno l’uomo nuovo, perché lo fanno vero discepolo di Cristo Gesù. La verità da sola non fa discepoli di Cristo. Neanche la carità da sola li fa. Verità e carità insieme sono la completezza, la perfezione, la pienezza del dono di salvezza di Cristo Gesù.
Sono una cosa sola perché la nostra verità è Cristo Crocifisso per amore.
La verità cristiana si predica dalla croce, cioè dall’oblazione di se stessi per tutti coloro che devono essere condotti nel Vangelo della grazia.
[14]Spero però di vederti presto e parleremo a viva voce.
Per parlare a viva voce con qualcuno, bisogna che ci si incontri. Per incontrarsi bisogna che ci si sposti.
Può muoversi colui che vuole parlare. Ma anche può spostarsi colui che deve ascoltare.
Il presbitero non specifica in questo contesto chi deve muoversi. Manifesta invece il suo desiderio di vedere presto Gaio per poter conversare con lui a viva voce.
C’è una verità che bisogna puntualizzare. Deve muoversi chi può farlo con minore disagi. Ma anche deve muoversi chi può farlo per primo.
L’urgenza delle cose da dire determina anche l’urgenza dell’andare, o del venire.
Ci sono delle cose che non possono attendere. Riguardano il bene dell’anima, la sua salvezza. In questo caso più grave è il pericolo che l’anima possa smarrirsi dietro la falsità, più impellente è l’obbligo di chiarire ogni cosa.
Se invece si tratta di cose che possono attendere, di cose generali che riguardano l’andamento futuro e presente sia della singola persona che dell’intera comunità, in questo caso non c’è una urgenza particolare.
L’urgenza non la può mai determinare colui che deve ascoltare. Deve determinarla solo chi deve parlare.
Per chi deve ascoltare alcune cose potrebbero sembrare cose da nulla, insignificanti, inutili, addirittura vane.
Per chi deve comunicare invece sono assai importanti, necessarie, indispensabili.
Chi ascolta, se chi parla è il responsabile della comunità, deve prestare la più alta attenzione. Deve accogliere ogni parola con tutta la serietà possibile, donando un posto importante nel proprio cuore.
Non sempre chi ascolta è in grado di cogliere l’urgenza di una parola, di una proposta, di una decisione, di un comportamento da assumere.
Non spetta a chi ascolta operare il discernimento. A chi ascolta deve importare una cosa sola: vivere quanto ascoltato, realizzare ogni via che gli è stata suggerita, compiere quanto gli viene imposto.
Credente
00lunedì 9 gennaio 2012 12:29
Chi parla ha l’obbligo di operare un sano e santo discernimento perché non si carichi di pesi inutili né i singoli, né le comunità.
Chi ascolta ha l’obbligo di una obbedienza piena, senza tentennamenti, senza ritardi, senza rinvii, senza tergiversazione, ma anche senza il discernimento sull’opportunità o meno di fare ciò che gli è stato detto. Più sollecita e pronta sarà l’obbedienza, e più efficace sarà l’opera di salvezza che si realizzerà per mezzo del suo ascolto.
La vita della comunità è dalla sintonia perfetta tra discernimento ed obbedienza.
Un cattivo discernimento crea delusione, scoraggiamento, sgretolamento dello stesso principio di obbedienza che è sempre insito nella verità cristiana.
Una cattiva, o mancata obbedienza, provoca, in chi rivela e parla, tristezza, che alla fine potrebbe anche rivelarsi come abbandono di ogni discernimento, stanchezza nell’operare altri discernimenti.
Alla fine ogni responsabilità ricade su colui che deve parlare, che è chiamato a parlare, che è tenuto a parlare.
Costui deve imitare in tutto il suo Maestro e Signore. Deve essere capace per l’affermazione della verità di andare fin sulla croce, perché la croce la vera cattedra dalla quale si proclama, si annunzia, si ricorda la verità della salvezza.
Da Cristo Gesù ognuno che governa la comunità deve imparare che non c’è salvezza se non dalla croce e la croce è il dono della nostra vita perché ogni cuore ascolti la Parola che lo salva.
[15]La pace sia con te. Gli amici ti salutano. Saluta gli amici ad uno ad uno.
L’augurio è il desiderio più grande che è nel nostro cuore.
L’augurio è la manifestazione del nostro cuore al fratello nella sua volontà di sommo bene per lui.
L’augurio rivela la profondità del nostro cuore. Svela tutto il bene che noi vogliamo per l’altro.
Non essendoci però corrispondenza tra cuore e bocca, nell’ipocrisia e nella malvagità, la bocca potrebbe proferire solo parole di adulazione, parole ingannatrici, parole che manifestano un cuore che non esiste al fine di mentire al fratello.
Le parole del Salmo sono chiare di una chiarezza divina:
Salmi - cap. 54,1-24: “Al maestro del coro. Per strumenti a corda. Maskil. Di Davide. Porgi l'orecchio, Dio, alla mia preghiera, non respingere la mia supplica; dammi ascolto e rispondimi, mi agito nel mio lamento e sono sconvolto al grido del nemico, al clamore dell'empio. Contro di me riversano sventura, mi perseguitano con furore.
Dentro di me freme il mio cuore, piombano su di me terrori di morte. Timore e spavento mi invadono e lo sgomento mi opprime. Dico: Chi mi darà ali come di colomba, per volare e trovare riposo? Ecco, errando, fuggirei lontano, abiterei nel deserto. Riposerei in un luogo di riparo dalla furia del vento e dell'uragano.
Disperdili, Signore, confondi le loro lingue: ho visto nella città violenza e contese. Giorno e notte si aggirano sulle sue mura, all'interno iniquità, travaglio e insidie e non cessano nelle sue piazze sopruso e inganno. Se mi avesse insultato un nemico, l'avrei sopportato; se fosse insorto contro di me un avversario, da lui mi sarei nascosto. Ma sei tu, mio compagno, mio amico e confidente; ci legava una dolce amicizia, verso la casa di Dio camminavamo in festa.
Piombi su di loro la morte, scendano vivi negli inferi; perché il male è nelle loro case, e nel loro cuore. Io invoco Dio e il Signore mi salva. Di sera, al mattino, a mezzogiorno mi lamento e sospiro ed egli ascolta la mia voce; mi salva, mi dà pace da coloro che mi combattono: sono tanti i miei avversari. Dio mi ascolta e li umilia, egli che domina da sempre. Per essi non c'è conversione e non temono Dio. Ognuno ha steso la mano contro i suoi amici, ha violato la sua alleanza. Più untuosa del burro è la sua bocca, ma nel cuore ha la guerra; più fluide dell'olio le sue parole, ma sono spade sguainate.
Getta sul Signore il tuo affanno ed egli ti darà sostegno, mai permetterà che il giusto vacilli. Tu, Dio, li sprofonderai nella tomba gli uomini sanguinari e fraudolenti: essi non giungeranno alla metà dei loro giorni. Ma io, Signore, in te confido”.
Il cuore del presbitero è pieno di Dio. In lui c’è questa perfetta corrispondenza tra il suo essere e il suo dire.
Lui è pieno di pace. Lui è operatore di pace. Lui è figlio della pace. Lui sa cosa è la pace di Cristo.
La pace di Cristo è il ritorno dell’uomo nella sua verità di origine, verità di creazione, ma molto di più verità di redenzione, di giustificazione, di santificazione, di partecipazione della divina natura.
Questa pace lui augura a Gaio. Questa pace vuole che dimori nel cuore di Gaio. Questa pace vuole che inondi Gaio e lo trasformi in una nuova creatura.
Chi conosce cosa è veramente la pace di Cristo, altro non desidera, altro non può desiderare, bramare, se non di possedere questa pace; altro non può augurare ai fratelli se non di essere nella pace e la pace di essere in loro.
Il saluto fa così accoglienza dell’altro nella propria comunione di vita. L’altro, nel saluto, è parte di noi.
Ogni comunità è parte di ogni altra comunità. Ogni comunità saluta le altre comunità, le riconosce parte di sé, le accoglie come parte di sé.
La comunità è fatta di una moltitudine di persone. Queste non sempre sono in comunione gli uni con gli altri.
Dovrebbero esserlo, ma spesso non lo sono. Forse per questo il presbitero dice a Gaio: Gli amici ti salutano; ed anche: Saluta gli amici ad uno ad uno.
Sappiamo per esempio che Diotrefe non è amico di Gaio. Non è neanche amico di molti altri fratelli.
Non è amico dei fratelli perché non è amico di Cristo Gesù.
Cosa è in verità l’amicizia secondo il Nuovo Testamento? Quali indicazioni esso ci dona perché possiamo identificare bene la nozione, o il concetto, o la verità che sottostà alla parola “amicizia”, o “amico”. Gesù stesso come la concepisce nei suoi discorsi, specie in quelli tenuti nell’Ultima Cena, prima della sua passione e morte? Fin da ora si può dire che seguendo passo passo tutto il Nuovo Testamento, è possibile cogliere il concetto ed avere una nozione assai chiara su questa realtà, fondamentale nelle relazioni degli uomini con Dio e degli uomini tra di loro.
“E` venuto il Figlio dell'uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Ma alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere” (Mt 11,19).
“Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro?” (Mt 20,13).
“Gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz'abito nuziale? Ed egli ammutolì” (Mt 22,12).
“E Gesù gli disse: Amico, per questo sei qui! Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono” (Mt 26,50).
“Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: Signore, non stare a disturbarti, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto” (Lc 7,6).
“E` venuto il Figlio dell'uomo che mangia e beve, e voi dite: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori” (Lc 7,34).
“Poi aggiunse: Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte a dirgli: Amico, prestami tre pani” (Lc 11,5).
“Perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti” (Lc 11,6).
“Vi dico che, se anche non si alzerà a darglieli per amicizia, si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono almeno per la sua insistenza” (Lc 11,8).
“A voi miei amici, dico: Non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono far più nulla” (Lc 12,4).
“Invece quando sei invitato, va’ a metterti all'ultimo posto, perché venendo colui che ti ha invitato ti dica: Amico, passa più avanti. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali” (Lc 14,10).
“Disse poi a colui che l'aveva invitato: Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch'essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio” (Lc 14,12).
“Va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta” (Lc 15,6).
“E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta” (Lc 15,9).
“Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici” (Lc 15,29).
“Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand'essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc 16,9).
“Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi” (Lc 21,16).
“In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici; prima infatti c'era stata inimicizia tra loro” (Lc 23,12).
“Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta” (Gv 3,19).
“Le sorelle mandarono dunque a dirgli: Signore, ecco, il tuo amico è malato” (GV 11,3).
“Così parlò e poi soggiunse loro: Il nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo” (GV 11,11).
“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).
“Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando” (Gv 15,14).
“Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15).
“Da quel momento Pilato cercava di liberarlo; ma i Giudei gridarono: Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare” (Gv 19,12).
“Il giorno dopo arrivò a Cesarèa. Cornelio stava ad aspettarli ed aveva invitato i congiunti e gli amici intimi” (At 10.24).
“Anche alcuni dei capi della provincia, che gli erano amici, mandarono a pregarlo di non avventurarsi nel teatro” (At 19,31).
“E ordinò al centurione di tenere Paolo sotto custodia, concedendogli però una certa libertà e senza impedire a nessuno dei suoi amici di dargli assistenza” (At 24,23).
“Il giorno dopo facemmo scalo a Sidone e Giulio, con gesto cortese verso Paolo, gli permise di recarsi dagli amici e di riceverne le cure” (At 27,3).
“Se dunque tu mi consideri come amico, accoglilo come me stesso” (Flm 1.17)-
“E si compì la Scrittura che dice: E Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato a giustizia, e fu chiamato amico di Dio”. (Gc 2,23).
“La pace sia con te. Gli amici ti salutano. Saluta gli amici ad uno ad uno”(3Gv 1,15).
Come si può constatare l’amicizia implica comunione di cuore, di volontà, di pensiero, della stessa anima. Nell’amicizia è come se si divenisse una cosa sola con l’altro. Cuore, pensiero, volontà, anima, desiderio devono essere una cosa sola, altrimenti non può esistere alcuna amicizia. Senza e fuori di questa comunione, non ci sono amici. Quanto più questa comunione è piena e perfetta, tanto più è piena e perfetta l’amicizia. La carenza di uno di questi elementi, rende l’amicizia instabile, o addirittura inesistente.
Con Cristo l’amicizia è vera se il cuore di Cristo, i suoi pensieri, la sua volontà, i suoi desideri, la sua stessa anima diventano nostri.
Siamo amici di Cristo se pensiamo con i suoi pensieri, vogliamo con la sua volontà, amiamo con il suo cuore, desideriamo secondo il suo Santo Spirito, operiamo la nostra santità con la sua anima santissima.
Con Cristo chi determina “le regole” dell’amicizia è Lui, non siamo noi. In questo caso, con Cristo l’amicizia si fonda sulla nostra perfetta obbedienza alla sua Parola. Con Cristo l’amicizia nasce dall’obbedienza, dall’ascolto, dalla messa in pratica di ogni sua Parola.
Se l’obbedienza è inesistente, inesistente sarà anche l’amicizia.
Diotrefe non ascolta Cristo Gesù. Non compie la sua volontà. Non ama come Cristo ha amato. Non pensa secondo i pensieri di Cristo. Non vive con l’anima di Cristo nel suo cuore.
Diotrefe non è amico del presbitero, né di Gaio, né di altri. Lui è nemico di Cristo, nemico della comunità, nemico di Dio e degli uomini.
Diotrefe cerca solo se stesso, ama solo se stesso, pensa solo a se stesso.
Diotrefe è un distruttore dell’opera di Cristo Gesù. Per questo non è suo amico.
Quanti amano Cristo Gesù salutano Gaio. Gaio deve salutare quanti amano Cristo Gesù. Deve salutarli ad uno ad uno.
Da tutti riceve l’amore di Cristo, la loro amicizia in Cristo Gesù. A tutti gli amici di Cristo deve manifestare il suo amore, la sua amicizia in Cristo Gesù.
La comunità si edifica anche sulla manifestazione di questo amore.
Quest’amore manifestato, offerto, donato è la forza che spinge la comunità a compiere il suo ministero sino alla fine.
Quest’amore è aiuto prezioso perché esso rende tutta la comunità una cosa sola con Cristo Gesù e chi è una cosa sola in Cristo, chi sa di essere una cosa in Cristo, chi manifesta questo suo essere una cosa sola in Cristo agli altri, altro non fa che rinsaldare i legami con Cristo e con la sua invincibilità.
Chi è una cosa sola con Cristo vince il mondo, perché Cristo ha vinto il mondo.
Chi sostiene l’altro nel suo essere una cosa sola con Cristo, aiuta l’altro a vincere il mondo come Cristo Gesù ha vinto il mondo.
Se siamo una cosa sola in Cristo, non possiamo essere gli uni contro gli altri. Se siamo gli uni contro gli altri è perché non siamo una cosa sola in Cristo Gesù.
È proprio degli amici di Cristo Gesù essere una cosa sola in Cristo Gesù, con Lui e per Lui. Salutarsi è riconoscersi amici di Cristo Gesù e in Cristo Gesù. Salutarsi è desiderio di attestare agli altri il nostro amore per Cristo e di ricevere dagli altri il loro amore per Cristo Gesù.
È nell’amore di Cristo che si consuma la vita del discepolo del Signore. È in questo amore che lui compie ogni cosa, anche la più semplice, che è quella di salutare e di accogliere il saluto.
Il saluto nella Scrittura non è una pura e semplice convenienza. È la manifestazione del proprio cuore, della propria anima, del proprio spirito.
Due saluti meritano di essere da noi altamente considerati. In questi due saluti è il rinnovamento dell’umanità intera.
Vangelo secondo Luca - cap. 1,26-33: “Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te. A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”.
Credente
00lunedì 9 gennaio 2012 12:30
Vangelo secondo Giovanni - cap. 20,19-23: “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi! Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”.
Un saluto cambia la storia dell’umanità. Un saluto crea un mondo nuovo. Un saluto fa l’umanità nuova.
Il saluto del cristiano deve essere sempre vero. Se il suo saluto è falso, falso è il suo essere cristiano.
La Vergine Maria, Madre della Redenzione, che solo salutando la sua cugina Elisabetta, portò nella sua casa la salvezza di Dio, ci aiuti perché solo con il nostro saluto possiamo portare tanta salvezza in questo mondo.
Vangelo secondo Luca - cap. 1,39–55: “In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore”.
Dinanzi ad Elisabetta, Maria saluta il Signore con queste parole:
“Allora Maria disse: L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre”.
Il Signore conceda anche a noi di avere un saluto ricco di grazia, di verità, di compassione, di misericordia, di Spirito Santo.
Un saluto che porti il Cielo sulla terra e la terra nel Cielo.
Un saluto che porti Dio nei cuori e i cuori in Dio.
Un saluto che doni la verità alle menti e le menti alla verità.
Un saluto che doni la grazia alle anime e le anime alla grazia.
Un saluto che riversi lo Spirito Santo nei cuori e i cuori nello Spirito Santo.
Un saluto che faccia incontrare Cristo con gli uomini e gli uomini con Cristo.
Un saluto che sia vera comunione di verità e di santità per tutti coloro che cercano il Signore con cuore sincero.
Che il nostro saluto, il saluto del cristiano sia il saluto che offra all’uomo l’amore di Dio Padre, la grazia di Cristo suo unico Figlio, la comunione dello Spirito Santo.
Che il nostro saluto sia simile al canto dell’”Ave Maria” che dal cuore del figlio sale verso la Madre Celeste, per magnificare ed esaltare ciò che Dio ha fatto di Lei.
Che il nostro saluto sia simile al saluto che Gesù fece al Padre suo con il “Padre nostro” per manifestargli il nostro desiderio di santità, di obbedienza, di totale affidamento a Lui.
Che ogni nostro saluto sgorghi dalla santità del nostro cuore tutto inondato di amore per Cristo Gesù.

Tu sai che la nostra testimonianza è veritiera


Verità e grazia sono una cosa sola. Nella nostra santissima fede verità e grazia sono una cosa sola, perché sono un solo dono che Dio ci fa in Cristo Gesù. Chi dona la grazia deve donare anche la verità e chi dona la verità deve donare anche la grazia. La grazia senza la verità non fa i veri cristiani e neanche la verità senza la grazia li fa. La santità del cristiano è nella crescita armoniosa in grazia e in verità. Molti danno la grazia, ma non danno la verità. Non fanno i cristiani. Molti danno la verità ma non danno la grazia. Neanche questi fanno i veri cristiani. Molti non danno né grazia e né verità. Senza grazia e senza verità nessuna conversione sarà mai possibile e senza conversione non c’è alcun cambiamento dell’uomo. L’uomo nuovo non lo fa la verità da sola, non lo fa la grazia da sola. Lo fanno insieme la grazia e la verità.
Caro, carissimo… la preziosità dell’uomo. Prezioso, caro, preziosità. Carissimo nella verità di Cristo. È giusto che ci chiediamo quanto è prezioso, o caro un uomo. Esso è caro, prezioso quanto caro e prezioso è Dio stesso, quanto cara e preziosa è l’Incarnazione del Verbo di Dio, quanto cara e preziosa è stata la sua Crocifissione. Ogni uomo ha un valore divino. Il valore è dato dalla morte di Cristo per l’uomo. Se Cristo è morto per l’uomo ciò significa che agli occhi di Dio l’uomo è prezioso. Vale la morte in croce del suo Figlio unigenito. Se valiamo così tanto agli occhi di Dio, anche ai nostri occhi dobbiamo avere un simile valore e per questo non dobbiamo avere timore di dare la nostra vita al martirio per la salvezza eterna nostra e dei nostri fratelli.
La verità di Cristo. La verità di Cristo è la sua morte per la salvezza di ogni uomo. È anche la sua gloriosa Risurrezione per la nostra giustificazione. La verità di Cristo è Cristo stesso nel suo mistero di Incarnazione, Passione, Morte, Risurrezione, Ascensione gloriosa al Cielo per noi. In questo mistero che è anche dono di vita eterna bisogna vedere ogni uomo e noi stessi.
Distinguere secondo la verità di Cristo. Il cristiano è chiamato a vedere ogni cosa, a distinguere ogni cosa partendo dal mistero di Cristo Gesù, che è la sua verità, ma anche la sua vita eterna. Tutto ciò che allontana dal mistero di Cristo deve essere da lui evitato, schivato, fuggito. Tutto ciò che invece avvicina al mistero di Cristo Gesù deve essere cercato, desiderato, compiuto, bramato. Chi possiede questo santo discernimento possiede le chiavi della vita eterna. Con questo discernimento il cristiano abiterà sempre nella verità e nella grazia di Cristo Gesù.
Augurare il bene è pregare per il bene dell’altro. Il cristiano non solo augura il bene ai suoi fratelli. Per i suoi fratelli prega perché tutto il bene di Cristo Gesù si riversi nel loro cuore e ricolmi la loro anima. Un augurio di bene che non si trasforma in una costante preghiera di bene, per il bene, è un augurio inutile, non è un augurio cristiano. Il bene del cristiano è Cristo. Cristo è l’unico vero, sommo, eterno bene per ogni uomo. Il cristiano prega perché ogni uomo si incontri con Cristo, accolga Cristo, perché in Cristo è la sua salvezza.
Che tutto vada bene, perché? Che tu sia in buona salute, perché? Occuparsi dell’altro è occuparsi di tutto l’uomo (anima, spirito, corpo). Il presbitero ha un solo desiderio santo: che tutto vada bene sia nel corpo, sia nello spirito, sia nell’anima di ogni discepolo di Gesù. Chi ama vuole il bene vero dell’altro e il bene vero è la salvezza eterna che si consegue se il cristiano rimane nella grazia e nella verità di Gesù Signore. Anche il corpo deve godere quel poco di salute. Perché? Perché esso è lo strumento dell’anima e senza il corpo l’anima non può esprimere tutta la sua potenzialità di grazia e di verità. Senza il corpo non si può compiere la missione di salvezza a beneficio di ogni altro uomo. Senza il corpo è difficile servire i fratelli secondo la pienezza del servizio evangelico. È per questo motivo che tutto deve essere in buona salute. Lo richiede il servizio per il Vangelo. Lo richiede la carità di salvezza. Lo richiede la missione a favore del mondo intero. Per questo è giusto che si chiede la salute al Signore non solo per se stessi, ma anche per tutti coloro che sono investiti del ministero dell’annunzio e della predicazione del Vangelo. Anche per ogni altro è cosa buona e giusta che si chieda la salute del corpo per un sempre più grande e più vero servizio al Vangelo della grazia.
Il cristianesimo è la religione dell’uomo. Il cristianesimo non è la religione dell’anima. È la religione dell’uomo, di tutto l’uomo. Cristo è venuto per la salvezza dell’uomo: anima, spirito, corpo. Chi è contro il corpo dell’uomo è contro la salvezza, è contro la verità di Cristo Gesù. Il corpo va onorato, custodito, santificato. Il corpo è lo strumento dell’anima. Chi santifica il corpo santifica l’anima. Chi non santifica il corpo neanche l’anima potrà mai santificare. Attraverso il corpo il peccato entra nell’anima, nello spirito. Attraverso lo spirito il peccato corrode il corpo, trascinandolo nel peccato. Attraverso la grazia dell’anima tutto il corpo ne riceve un grande beneficio.
L’uomo è: tempo, eternità, presente, passato, futuro, corpo, anima, spirito, singolarità, comunione, molteplicità. Essendo il cristianesimo la religione dell’uomo ed essendo l’uomo: tempo, eternità, presente, passato, futuro, corpo, anima, spirito, singolarità, comunione, molteplicità, chi vuole santificare l’uomo, deve condurre nella verità di Cristo tutte queste relazioni. Se una sola di queste relazioni rimane fuori della verità di Cristo Gesù, nessuna santificazione dell’uomo sarà mai possibile. Manca nell’uomo una componente che non è stata santificata e tutte le altre soffrono a causa di questa mancanza attestando la loro non perfetta, non raggiunta santificazione.
Chi è il verace? È verace chi conserva se stesso nella sua verità di natura santificata dalla verità e dalla grazia di Cristo Gesù. Chi non si conserva in questa verità acquisita il giorno del santo Battesimo e negli altri sacramenti della salvezza, attesta di essere ancora nella falsità e nell’ambiguità della sua natura corrotta dal peccato. La veracità del cristiano è la sua perfetta santità. È verace il santo. Chi non è santo non è verace, perché è fuori della verità della sua natura.
Cosa è la gioia per il cristiano? La gioia per il cristiano è il possesso del suo vero essere, della sua vera natura che si compie entrando lui nella grazia e nella verità di Cristo Gesù. La gioia per il cristiano è il possesso di Dio. Quando l’uomo è in Dio è allora che lui è nella gioia, perché è nella verità della sua natura, del suo essere, della sua vita.
Vivere da forestieri. Forestieri e pellegrini. Vivere da forestieri su questa terra significa per il cristiano donare relatività a tutte le cose della terra. Tutte le cose della terra hanno valore di mezzo, non di fine. Il fine del cristiano è uno solo: raggiungere Dio nel Paradiso, godere di Lui per tutta l’eternità. L’abitazione del cristiano sulla nostra terra è un cammino, un viaggio, un progredire perennemente verso il Cielo, il Paradiso. Camminando verso il Paradiso lui dona valore vero ad ogni cosa, perché toglie loro il valore di fine e ne fa uno strumento di carità per sé e per i fratelli. La patria vera del cristiano non è la terra, è il Cielo. Questa patria deve essere raggiunta, verso di essa dobbiamo camminare. Chi cammina non può dare valore eterno alle cose, perché esse passano, rimangono sempre dietro. Avanti a lui invece c’è solo la gioia di gustare in eterno il suo Signore, di godere per Lui per tutta l’eternità. È questo il grande mistero che il cristiano è chiamato a realizzare durante la sua breve, brevissima permanenza sulla terra.
La carità prova della fede. La carità è prova della fede perché essa altro non è che la Parola di Dio vissuta in ogni sua parte. Dio riversa tutto il suo amore nel nostro cuore, per mezzo dei sacramenti e della preghiera. Tutto l’amore di Dio noi dobbiamo donarlo al mondo intero attraverso la via dell’incarnazione di ogni Parola che è uscita dalla bocca di Dio. Chi crede, ma non ama, possiede una fede morta. Chi invece crede e ama in conformità alla Parola di Cristo Gesù è di fede viva. Questa di sicuro produrrà molti frutti. Il frutto della fede è la carità.
Bene fatto e silenzio. Bene ricevuto e lode. Chi fa il bene, deve farlo in modo che la sua destra non sappia ciò che fa la sua sinistra. Colui invece che lo riceve, deve lodare il Signore, benedicendolo ed esaltandolo. Deve anche raccontare agli altri quanto il Signore ha fatto per lui attraverso i suoi fedeli discepoli. Il bene fatto deve operare sempre un duplice frutto: di lode e di esemplarità perché altri lo facciano, ma anche testimonianza della forza della grazia, la sola che può muovere un cuore a fare il bene secondo lo stile e la forma del Vangelo.
In modo degno di Dio. Bisogna aiutare i fratelli in modo degno di Dio. Ciò significa essenzialmente due cose: dobbiamo sempre fare il bene come se lo facessimo a Dio, ma anche dobbiamo farlo come se lo facesse il Signore. Se il Signore fosse al posto nostro cosa farebbe? Ciò che farebbe, ciò che fa il Signore dobbiamo farlo anche noi nei confronti dei nostri fratelli. Se non lo facciamo, di certo non facciamo il bene in modo degno di Dio.
Le ragioni della carità. Una sola è la ragione della carità, la stessa che è nel cuore di Dio. Dio vive nei nostri confronti una carità di espiazione, di morte al posto nostro, in vece nostra, di compassione, di misericordia, di perdono, di dono di tutto se stesso. Lui ci ha amati mentre eravamo peccatori. L’amore è dono di sé per il bene dell’altro. L’altro ha bisogno del nostro bene per essere, ritrovarsi, vivere, salvarsi, essere uomo. Le ragioni della carità mai devono essere trovate in noi, devono invece essere cercate nell’altro e l’altro ha sempre bisogno del nostro amore, della nostra compassione, del nostro perdono, della nostra misericordia per essere se stesso.
L’omologazione col peccato. Quando? Il pericolo più grave per la nostra fede è quando noi operiamo una omologazione con il peccato. Ciò avviene quando esso non è tolto dal nostro corpo. Lo si commette sapendo che poi sarà perdonato. È sempre omologazione quando non si mette alcun impegno per liberarci da esso, per toglierlo dalla nostra vita, per non commetterlo più, mai, in eterno. Oggi l’omologazione è divenuta regola di vita spirituale. Anzi si arriva anche a giustificarlo, a crederlo necessario per la nostra stessa vita. Tanti sono coloro che si sono talmente assuefatti al peccato da affermare e sostenere che non possono fare nulla per eliminarlo dal loro corpo.
Collaborazione e cooperazione. Il campo di Dio da coltivare è uno. Il seme da spargere è anche uno: la sua Parola. Gli operai che sono tanti – anche se sempre inadeguati alla vastità del mondo da condurre nel Vangelo – devono lavorare in sinergia, in comunione, in obbedienza gerarchica. Devono anche operare nella comunione dei carismi, dei doni spirituali, dei talenti. Questo lavoro d’assieme si chiama collaborazione e cooperazione. Mai ci potrà essere collaborazione e cooperazione se non si rispetta il dono specifico di ciascuno assieme alle ministerialità proprie di ogni membro nel popolo di Dio. La collaborazione è anche obbedienza, sottomissione, ma sempre nel rispetto della volontà, che Dio ha scritto e scrive per ciascun operaio che lui chiama a lavorare nella sua vigna. La prima collaborazione è con Dio e nessun uomo può pensare di annullare l’opera che Dio ha deciso per ogni operaio che lui chiama a lavorare nel suo campo.
L’ambizione. L’ambizione è figlia della superbia. Chi la possiede mira ad ottenere ciò che non gli appartiene. Non gli appartiene, perché Dio ha disposto diversamente. Nel campo di Dio è Dio che decide l’opera e il posto di ciascuno. L’ambizioso invece vuole essere lui a decidere il suo posto e i posti dei suoi fratelli. L’ambizioso vuole tutto per sé, niente per gli altri. Gli altri devono sottostare alla sua volontà, che è in tutto contraria alla volontà del Signore.
Con voci maligne. Per poter riuscire nel suo insano proposito, l’ambizioso crea il vuoto attorno a sé. Come? Spargendo voci maligne su tutti i membri della comunità nella quale lui vive. Così operando, crea discredito e mette gli uni contro gli altri, divide e separa gli uni dagli altri, si fa amico degli uni contro gli altri, pensando così di riuscire nel suo proposito scellerato.
Il primo intento della tentazione: separare la comunità dal presbitero. Il presbitero è la guida della comunità. L’Apostolo ha il posto di Cristo. L’ambizioso cosa fa: sparge voci maligne sull’Apostolo del Signore, così separa l’Apostolo dalla comunità e la comunità dall’Apostolo in ordine alla credibilità. Quando questo avviene è la fine della comunità. Essa è privata del suo naturale capo e di certo andrà alla deriva. Nessuna comunità potrà mai reggersi, se c’è separazione dall’Apostolo del Signore. Questa comunità ben presto sarà avvolta dalle tenebre.
Il frutto della malignità. Il frutto della malignità è la disgregazione della comunità cristiana. Tutti, alla fine, sono contro tutti, tutti nemici di tutti. Così mai si potrà edificare il campo di Dio. Così agendo, è la rovina dell’intera comunità del Signore. Chi si lascia governare dall’ambizione in una comunità, altro non fa che distruggere tutta intera la comunità.
Non accogliere i fratelli. La comunità ha una vita all’interno di sé, ma anche una all’esterno. Dall’esterno possono introdursi in essa nuovi figli, anche se per poco tempo, pochi giorni. Questa introduzione di nuovi membri, può portare una vitalità nuova, perché può arricchire la comunità di molti beni spirituali e anche di frutti che si colgono nelle altre comunità. L’ambizioso cosa fa? Opera perché la comunità rimanga nella sua morte spirituale e per questo chiude le porte a tutti coloro che vengono dalle altre comunità. La Chiesa vive di questo scambio di doni e di esperienze spirituali, di questa comunione nei carismi e nei frutti che i carismi producono. È questa la sua ricchezza. Chiudendo le porte a quanti vengono da fuori, l’ambizioso fa sì che la comunità rimanga nella sua miseria e pochezza spirituale. Questo è peccato contro lo Spirito Santo.
Scacciare dalla Chiesa coloro che lo fanno. Altro danno che l’ambizioso arreca è questo: toglie dalla comunità, dalla Chiesa, coloro che accolgono quanti vengono dall’esterno. Così facendo, egli mostra tutta la sua malvagità, la sua chiusura ad ogni forma di amore. Scacciare dalla Chiesa coloro che fanno il bene è condannare questa Chiesa a fare solo il male. Più grave danno di questo è impossibile anche concepirlo. Questo è vero peccato satanico.
La salvezza è dalla parola del presbitero. Gesù ha costituito i suoi Apostoli ministri della sua Parola, datori della sua grazia. L’ambizioso, allontanando la comunità dall’Apostolo, la priva della verità e della grazia. Condanna la comunità alle tenebre perenni, al male, alla cattiveria, alla malvagità, al peccato. Se non si vuole giungere a questo disastro spirituale, è giusto che tutta la comunità insorga contro gli ambiziosi e li allontani dal suo seno.
Come si collabora con il male. Sono molti i modi attraverso i quali si collabora con il male. Il modo cristiano è questo: il mancato annunzio, il falso annunzio, la giustificazione del peccato, la non accoglienza dei doni e dei carismi dei fratelli, la nostra permanenza nel vizio e nella trasgressione dei comandamenti. Si collabora con il male anche insegnando la falsità e l’errore. Chi distrugge, con il suo insegnamento la verità del Vangelo, è un esperto collaboratore del male. Costui anche se è nella Chiesa non è della Chiesa, perché è del mondo. Possiamo affermarlo: il cattivo cristiano è il più grande collaboratore del male. Il cattivo cristiano distrugge la Chiesa, anziché edificarla.
È da Dio chi fa il bene. Ogni bene discende da Dio. È Dio la causa, la fonte, la sorgente di ogni bene. Chi fa il male di certo non viene da Dio. Viene da Dio invece solo chi fa il bene, perché il bene nessuno lo potrà mai fare se non è da Dio, non è con Dio, non vive per il Signore.
L’opera della Chiesa è antropologica se è frutto della sua opera teologica. La Chiesa deve prestare ogni attenzione a non ridurre la sua opera in mera antropologia. L’opera della Chiesa deve essere sempre teologica. Se è veramente teologica è veramente antropologica; se è perfettamente teologica è anche perfettamente antropologica. Ma se non è veramente e perfettamente teologica mai potrà dirsi opera antropologica. È una mistura di ipocrisia, di falsità, di inganno, di menzogna. Senza l’opera teologica l’opera antropologica della Chiesa è il più grande danno che essa possa arrecare all’umanità intera.
È da Dio chi è da Cristo. Chi vuole essere da Dio necessariamente deve essere da Cristo Gesù. È Cristo Gesù la via attraverso la quale Dio viene a noi e noi andiamo a Dio. Chi esclude Cristo, si esclude da Dio. Senza Cristo, il Dio che si adora non è il vero Dio, o non è il perfetto Dio. Senza Cristo, c’è sempre il rischio che si adori un frutto del proprio pensiero.
Quando la verità rende testimonianza di una persona. La verità rende testimonianza ad una persona quando la persona vive tutta la verità, trasformandola in un frutto di eterna e divina carità. Il bene fatto, come frutto della Parola vissuta, attesta per noi. Esso dice al mondo intero che noi siamo di Cristo Gesù, del suo Vangelo, della sua Parola. Quando la verità rende testimonianza di una persona, è segno che questa persona vive intensamente ogni Parola del Vangelo. È il Vangelo la nostra verità ed è il frutto operato dal Vangelo in noi che deve rendere testimonianza della bontà della nostra fede e della nostra carità. Sono le opere secondo la fede che renderanno gloria al Padre nostro che è nei cieli.
Oggettività e verità: principio della vera testimonianza. Chi vuole rendere testimonianza al Vangelo deve unire oggettività e verità. L’oggettività dice che la Parola è fuori di noi, come anche la verità è fuori di noi. La verità è verificabile, con essa ci si può confrontare, essa può essere studiata e conosciuta in ogni suo particolare. Chi riduce la verità ad un fatto personale, del suo cuore, della sua anima, costui sappia che con questa azione mai potrà rendere testimonianza alla verità. Manca alla sua testimonianza l’oggettività, la realtà esteriore che è essenza stessa della verità.
Chi può rendere testimonianza alla verità. Alla verità può rendere testimonianza chi vive tutta la Parola del Vangelo, o nella misura in cui si vive il Vangelo. Trasformando la Parola nella verità della nostra vita, con la nostra vita noi rendiamo testimonianza alla verità.
Ascolto, obbedienza, comprensione. Il nostro ascolto non è alla Parola del Vangelo. È invece alla Parola compresa nel suo significato più vero, più autenticamente divino. Per questo motivo la Chiesa è obbligata non solo a dire la Parola, ma anche a spiegarla. Se la dice, ma non la spiega, l’atto di fede sarà imperfetto, sarà non perfettamente umano. Potrebbe anche essere disumano. Dio dona sempre la comprensione della sua Parola. Lo Spirito Santo ha questo specifico mandato: condurci verso la verità tutta intera. Ora nessuna verità potrà mai essere tutta intera, se non è tratta dalla comprensione tutta intera della Parola di Gesù.
Ogni comunità punto di riferimento per ogni altra comunità. Ogni comunità che cresce nella verità, nella santità, nella testimonianza diviene, con la sua alta esemplarità, punto di riferimento per tutte le altre comunità. L’esemplarità nella fede di Cristo Gesù è come un faro che indica la rotta da seguire a tutte le altre comunità. L’esemplarità è il più grande aiuto che una comunità può offrire a tutte le Chiese che sono nel mondo.
Chi è l’amico? L’amico è colui del quale si condivide la volontà. Nessun cristiano può essere amico di un altro cristiano, anche se ne condivide la volontà. La volontà che aleggia su di noi tutti è quella del Signore. Si è amici del Signore facendo tutta la sua volontà. Si è amici tra i cristiani, se si fa in tutto la volontà del Signore. Un’amicizia costruita fuori della volontà del Signore è falsa, ambigua, dannosa.
Il saluto è già salvezza. Quando? Il saluto è già salvezza quando è augurio e dono di pace, di verità, di santità, di gioia, di amore, di carità, di speranza. È salvezza quando lo si trasforma in preghiera per la conversione di ogni persona che si incontra sul proprio cammino. È salvezza quando è la manifestazione della ricchezza di grazia e di verità che ha trasformato la nostra vita e delle quali il nostro cuore è ricolmo.
Credente
00lunedì 9 gennaio 2012 12:32
CONCLUSIONE



Questa Terza Lettera dell’Apostolo Giovanni è un preziosissimo documento nel quale è contenuto, come in uno scrigno, il cuore dello stesso presbitero.
Questa Terza Lettera ci svela dove risiede la forza di una comunità cristiana, della stessa Chiesa. Essa è nel cuore del presbitero. Nel cuore del presbitero non devono esserci altri amori, non devono esistere altri interessi, non possono regnare altre verità.
Nel cuore del presbitero c’è posto solo per la Chiesa, per la comunità dei discepoli di Cristo Gesù.
Il presbitero deve riversare sulla comunità tutto il suo cuore ricolmo di Cristo Gesù, della sua verità, della sua carità.
Ecco in sintesi quali sono i desideri di un presbitero che ama essere secondo il cuore di Dio e di Cristo Gesù:
Sapere che tutti camminano nella verità. Il presbitero è il mediatore della verità di Cristo Gesù dinanzi al mondo intero. Lo è anche in ordine alla Chiesa, alla comunità dei discepoli del Signore.
La verità è la vita della Chiesa. È la vita di ogni comunità. È la vita se tutti i figli della Chiesa, tutti i membri della comunità camminano in essa.
Il presbitero non ha alcun interesse personale dinanzi alla comunità, dinanzi ad ogni membro in particolare.
Il suo cuore ha però un solo desiderio verso tutti: che tutti camminino nella verità. Lui gioisce se i figli della Chiesa camminano nella verità. Si rattrista se qualcuno abbandona la verità per consegnarsi alla menzogna.
La verità è solo quella che lui ha loro donato, annunziato, comunicato.
La verità è solo quella che è in perfetta sintonia con quanto lui ha fatto conoscere loro. L’allontanamento dalla verità del presbitero è allontanamento dalla verità di Cristo Gesù. È cadere nella falsità, nell’eresia, nell’errore.
Sapere che tutti sono impegnati nella diffusione della verità. Il presbitero ha ricevuto da Gesù, dal suo Maestro e Signore il mandato di predicare il Vangelo ad ogni creatura. Tutte le genti devono essere evangelizzate. A tutti gli uomini deve essere annunziato il Vangelo della verità che salva, redime, giustifica, converte.
Qual è la gioia più grande del presbitero se non quella di sapere che tutti i membri di una comunità concorrono alla diffusione della verità, del Vangelo, della Parola di Cristo Gesù?
Essendo questa la sua gioia, perché questa è la gioia di Cristo e di Dio, egli si deve impegnare a far sì che ogni discepolo di Cristo diventi anche un suo missionario.
La missione è la forza della Chiesa. È la sua vita. Una Chiesa non missionaria, è una Chiesa morta. È una Chiesa senza vita in sé.
La missione è il cuore della Chiesa, se è il cuore del presbitero che presiede alla sua vita.
Sapere che tutti concorrono alla edificazione nell’unità della comunità. La Chiesa è una, il corpo è uno. I figli sono tanti, i membri molti.
Ogni figlio della Chiesa, ogni membro del corpo di Cristo deve avere un solo desiderio, una sola passione, un solo amore: conservare sempre l’unità della Chiesa, conservare la Chiesa nella sua unità.
La Chiesa vive se è una. Muore se si divide. Se la Chiesa è una è segno che anche i suoi figli vivono. Se invece la Chiesa muore, perché lacerata in se stessa, è segno che anche i suoi figli sono morti.
Poiché il presbitero presiede alla vita della Chiesa, egli deve mettere ogni impegno pastorale perché l’unità sia il desiderio di tutti.
Non solo il desiderio, ma anche l’opera di tutti. Tutti infatti sono chiamati a concorrere all’edificazione nell’unità della comunità di Cristo Gesù.
Sapere che l’amore per la comunità vale il rinnegamento di se stessi. Nessuno potrà edificare la comunità nell’unità, se lui stesso è elemento di disgregazione, di distruzione, di separazione, di divisione, di ogni altra lacerazione che avviene nel corpo di Cristo Gesù.
Il presbitero deve porre ogni attenzione a che dalla comunità venga bandito il peccato.
Per questo deve educare ogni discepolo del Signore al rinnegamento di se stesso. Solo per questa via la comunità conserverà intatta la sua unità.
Il rinnegamento di se stesso inizia dalla rinunzia alla propria volontà, ai propri pensieri, alle proprie strategie, ad ogni altra idea che nasce dal cuore dell’uomo.
Il presbitero ha un ruolo assai grande nella comunità: deve condurre tutti i suoi figli a pensare secondo Dio. L’unità della comunità risiede solo nel compimento della volontà di Dio.
Sapere che i fratelli rendono testimonianza ai fratelli che camminano nella verità. Altro desiderio che deve sempre animare il presbitero è questo: sapere che i fratelli rendono testimonianza ai fratelli che camminano nella verità.
Cosa significa questo?
La comunità vive di verità, vive se diffonde la verità, vive se cammina nella verità.
Ognuno nella comunità non solo deve camminare nella verità, deve aiutare gli altri a perseverare sempre nella verità. La verità è la vita della Chiesa.
Sapere che un altro cammina nella verità e testimoniare per lui è cosa molto gradita al Signore.
È gradita perché questa testimonianza produce un duplice frutto: dona sicurezza a coloro che cercano la verità. La nostra testimonianza attesta loro che si trovano dinanzi alla verità. Dona sprone, slancio anche a colui che cammina nella verità. Costui, confortato dalla buona testimonianza dei suoi fratelli, si riveste di forza, di coraggio, di più grande zelo. Può centuplicare le forze non solo per camminare nella verità, ma anche per diffonderla, per farla conoscere al mondo intero.
Sapere che i figli della comunità si astengono dall’imitare il male. Altro desiderio del presbitero, che si trasforma in regola pastorale, è questo: sapere che i figli della comunità si astengono dall’imitare il male.
La Chiesa di Dio non è fatta solo di santi. In essa ci sono santi e peccatori; ci sono coloro che amano la verità e coloro che amano se stessi; ci sono quanti si sono rivestiti di umiltà e quanti si sono ammantati di superbia, di vanagloria; ci sono quelli che rinnegano ogni giorno se stessi, ma anche quelli che fanno del loro pensiero la regola universale, obbligando gli altri a pensare secondo i pensieri degli uomini e non più secondo i pensieri di Dio.
Il presbitero, poiché è l’occhio della verità in seno alla comunità, vede tutto questo. La sua opera pastorale è tutta impegnata a far desistere dal male coloro che lo fanno, ma soprattutto ad evitare che molti si lascino conquistare dal male dei fratelli.
Il presbitero ha gioia quando i figli della Chiesa si astengono dall’imitare il male. Il male nella comunità non solo non si deve compiere, quanto anche è necessario che ognuno si impegni al massimo delle forze per non lasciarsi contagiare da esso.
Il presbitero dovrà impegnare tutte le sue energie di volontà, di pensiero, di cuore, dovrà consumare tutta la sua vita perché ogni figlio della comunità cresca di bene in bene, tenendosi sempre lontano dal male.
Una comunità cristiana che non fonda la sua vita sulla fuga dal male, dal peccato, dalla trasgressione, dallo scandalo, dalla falsità, da ogni vizio, specie dal vizio della superbia e dell’invidia, è una comunità che cammina a stento.
Questa comunità è simile ad un albero in un deserto consumato dalla siccità dei suoi peccati, delle sue trasgressioni, dal male che come tarlo lo rode e lo riduce in polvere.
Per questo il presbitero deve profondere ogni energia perché nessuno dei figli della Chiesa imiti il male che altri figli della Chiesa commettono. Potrà aiutare, se si farà testimone della verità, della pienezza della verità che è in Cristo Gesù e della quale lui è il mediatore in seno alla Chiesa di Dio.
Possiamo affermare così che questa Terza Lettera dell’Apostolo Giovanni è una regola di vita comunitaria perfetta, completa, illuminata, saggia, giusta, vera.
Lo ripetiamo. Essa è un documento preziosissimo perché ci rivela qual è il ruolo del presbitero in seno alla comunità cristiana.
Lui è il tramite tra Cristo, lo Spirito Santo, la Parola di Dio e ogni uomo, nella Chiesa e nel mondo.
Lui deve sempre alimentare la comunità cristiana con la ricchezza della verità e della grazia che formano il suo cuore, consegnato tutto a Cristo Gesù.
Lui è come l’ossigeno per il fuoco, per il corpo.
Senza ossigeno la legna non brucia. Il fuoco si spegne.
Senza ossigeno un corpo non vive, muore.
Senza il cuore del presbitero ricolmo della verità e della carità di Cristo la comunità non vive, muore. Muore alla verità e alla grazia che sono in Cristo Gesù.
È questo il grande mistero del presbitero ed il suo ministero.
La Vergine Maria, Madre della Redenzione, Madre della Chiesa, ottenga da Dio per la Chiesa del suo divin Figlio uno stuolo di presbiteri secondo il cuore di Dio, pieni della verità e della carità di Gesù Signore.
Cristo Gesù, Pastore Supremo del Gregge, custodisca i suoi presbiteri nella pienezza della sua verità e carità. Lo esige la santità della Chiesa, lo domanda la conversione del mondo.

COMMENTO A CURA DEL MOVIMENTO APOSTOLICO
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